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Settimo cerchio, Violenti

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view post Posted on 8/4/2010, 22:50     +1   -1
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Il diavolo è sicuramente donna.

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Tuffati nel fiume di sangue bollente Flegetonte, più o meno in profondità a seconda della loro colpa (tiranni fino agli occhi, omicidi fino al collo... predoni e ladroni fino al petto)

Settimo cerchio


Nel settimo cerchio si accede dopo aver superato i resti di una frana, provocata dal terremoto che scosse la terra alla morte di Cristo; essa segna un netto distacco dalla parte superiore dell'Inferno: i dannati degli ultimi tre cerchi, infatti, sono colpevoli di aver posto malizia nelle loro cattive azioni. Il custode del cerchio è il Minotauro, che rappresenta la «matta bestialità», ovvero la violenza che rende l'uomo simile a bestie: e infatti a essere dannati qui sono i violenti, divisi in tre gironi:

7. 1. Primo girone

I violenti contro il prossimo, cioè gli omicidi e i predoni, tiranni e briganti, sono immersi nel Flegetonte, fiume di sangue bollente che ben simboleggia il sangue da loro versato in vita, e sono tormentati dai Centauri, che anche essi rappresentano la violenza e la forza bestiale; da specificare che i dannati sono immersi nel fiume in proporzione alla gravità della colpa, e sono colpiti dalle frecce dei Centauri se tentano di uscire dal sangue più di quanto sia stabilito.

Sono qui puniti come tiranni: Alessandro di Fere, Dionisio di Siracusa, Ezzelino da Romano, Obizzo II d'Este, Attila, Pirro Neottolemo e Sesto Pompeo; è qui punito come omicida: Guido di Montfort; sono qui puniti come briganti: Rinieri da Corneto e Rinieri de' Pazzi.

Canto_XII



Flegetonte
Flegetonte (greco antico, Φλεγέθων, /p/legéthōn) o Piriflegetonte (greco antico, Πυριφλεγέθων, Püri/p/legéthōn) è uno dei fiumi che scorrono nell'Ade, l'oltretomba nella mitologia greca. Il fiume infernale scorre attorno a Erebo che rappresenta la parte più tenebrosa dell'Ade e confluisce, assieme al Cocito, nell'Acheronte. Il suo nome significa "fiume del fuoco".

Il termine Piriflegetonte è quello più antico, presente nell'Odissea, ove viene menzionato da Circe quando impartisce a Ulisse le istruzioni per evocare Tiresia: egli deve compiere il rituale presso la roccia situata esattamente alla confluenza del Cocito e del Piriflegetonte.

Platone nel Fedone lo descrive come un fiume di fuoco che alimenta una vasta palude ignea. Secondo Platone, nel fiume ardente sono immersi, come supplizio, i parricidi e i matricidi.

Il Flegetonte viene citato nell'Eneide nell'invocazione compiuta da Enea al momento del suo ingresso negli inferi. L'eroe troiano sta seguendo le istruzioni della Sibilla per raggiungere il Tartaro e rivedere lo spirito del proprio padre Anchise. Il Flegetonte viene successivamente descritto[4] come un fiume impetuoso e fiammeggiante che circonda le alte mura del Tartaro.

Nelle Metamorfosi di Ovidio, Ascalafo viene asperso con l'acqua del Flegetonte e trasformato in un gufo come punizione per aver condannato, con la sua delazione, Proserpina a rimanere per sempre nel regno dei morti.

Flegetonte e Cocito sono indicati nella Tebaide[6] di Stazio come due divinità stillanti, rispettivamente, fuoco e lacrime che aiutano Minosse nel giudizio delle anime. Il riferimento staziano verrà ripreso da Dante Alighieri nel XIV canto dell'Inferno in cui Virgilio spiega a Dante che all'origine del Flegetonte, come per altri fiumi infernali, vi sono le lacrime che stillano dalla statua di Minosse. Sempre nell'Inferno dantesco, a fianco alla riva del Flegetonte corrono nudi sotto una pioggia di fuoco i sodomiti.

«Seguita il terzo fiume, chiamato Flegetonte, il quale è interpetrato “ardente”: volendo per questo ardore darne l’autore ad intendere che, poi che il peccatore è divenuto nella tristizia della sua perdizione, incontanente diviene nell’ardore della gravità de’ supplìci [...] »
(Boccaccio, Esposizioni XIV.43)

index



Il Minotauro (Μινώταυρος) è una figura della mitologia greca. È un essere mostruoso e feroce metà uomo metà toro. Era figlio del Toro di Creta e di Pasifae regina di Creta. Il suo vero nome è Asterio o Asterione.

1. Il Mito

Minosse, re di Creta, pregò Poseidone di inviargli un toro, come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli mandò un bellissimo e possente toro bianco di un valore inestimabile. Ma, vista la bellezza dell'animale, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Nonostante quello fosse un animale e lei una donna, ella desiderava ardentemente accoppiarsi con esso e voleva a tutti i costi soddisfare il proprio desiderio carnale. Vi riuscì nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte Dedalo.

Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso "minos" (che presso i cretesi significava re) con il suffisso "tauro" (che significa toro).

Il Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale.

Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel labirinto costruito da Dedalo. La città di Atene, sottomessa allora da Creta, doveva inviare ogni anno (secondo altre fonti: ogni tre o ogni nove anni) sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Allora Tèseo, eroe figlio del re ateniese Ègeo, si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, si innamorò di lui.

All'entrata del labirinto Arianna diede a Tèseo il celebre "filo d'Arianna", un gomitolo (di filo rosso, realizzato da Dèdalo) che gli avrebbe permesso di non perdersi una volta entrato. Quando Teseo giunse dinanzi al minotauro, attese che si addormentasse e poi lo pugnalò (secondo altri, lo affrontò e lo uccise con la spada).

Uscito dal labirinto Tèseo salpò con Arianna alla volta di Atene, montando vele bianche in segno di vittoria. Ma poi abbandonò la fanciulla dormiente su un'isola deserta (l'isola di Nasso, donde il detto: abbandonare in Nasso, o, popolarmente, in asso). Il motivo di tale atto è controverso. Si dice che l’eroe si fosse invaghito di un’altra o che si sentisse in imbarazzo a ritornare in patria con la figlia del nemico, oppure che venne intimorito da Dionisos in sogno, che gli intimò di lasciarla là, per poi raggiungerla ancora dormiente e farla sua sposa.

Arianna, rimasta sola, iniziò a piangere fino a quando apparve al suo cospetto il dio Dioniso che per confortarla le donò una meravigliosa corona d'oro, opera di Efesto, che venne poi, alla sua morte, mutata dal dio in una costellazione splendente: la costellazione della Corona.

Poseidone, adirato contro Tèseo, inviò una tempesta, che squarciò le vele bianche della nave, costringendo l'eroe ateniese a sostituirle con quelle nere. Infatti a Teseo, prima di partire, fu raccomandato da suo padre Ègeo di portare due gruppi di vele, e di montare al ritorno le vele bianche in caso di vittoria, mentre, in caso di sconfitta, di issare quelle nere. Ègeo, vedendo all'orizzonte le vele nere, si gettò disperato nel mare, il quale poi dal suo nome fu chiamato mare di Ègeo, cioè Mar Egèo.

2. Il Minotauro nella Divina Commedia

Dante e Virgilio incontrano il Minotauro (Gustave Doré)
« e 'n su la punta de la rotta lacca
l'infamïa di Creti era distesa
che fu concetta ne la falsa vacca »
(Dante Alighieri, Inferno - Canto dodicesimo, vv. 11-13)


Il Minotauro appare anche nella Divina Commedia. Precisamente nel dodicesimo canto dell'Inferno.

È il guardiano del Cerchio dei violenti ed è qui che Dante e Virgilio lo incontrano. Nonostante tenti inizialmente di sbarrare loro la strada, Virgilio riesce a allontanarlo, e allora il minotauro comincia a divincolarsi qua e là come un toro.

Allegoricamente, il Minotauro è posto a guardia del girone dei violenti, perché nel mito greco esso simboleggia proprio la parte istintiva e irrazionale della mente umana, quella che ci accomuna agli animali (la «matta bestialità») e ci rende inconsapevoli. I violenti sono proprio quei peccatori che hanno peccato cedendo all'istinto e non hanno seguito la ragione. Per la teologia cristiana rappresenta un grave peccato, perché mentre agli animali non si può dare alcuna colpa, perché fanno ciò che è necessario per sopravvivere e nulla più, l'uomo dovrebbe usare la ragione per non compiere atti di pura crudeltà. La scena di Virgilio che vince il Minotauro rappresenta allegoricamente il trionfo della ragione sull'istinto.

Nella Divina Commedia è presente inoltre un accenno a Pasifae, madre del minotauro, nel ventiseiesimo canto del Purgatorio, dedicato al vizio dei lussuriosi. Pasifae vi è citata due volte, come emblema dell'animalità del peccato di lussuria: Dante la definisce con eloquente sintesi "colei che si imbestiò ne le 'mbestiate schegge" (cf. Purg. xxvi, vv. 41-42, 86-87).

Secondo girone

7. 2. Secondo girone

I violenti contro sé stessi sono divisi in due categorie nettamente distinte dalla diversità della loro pena: i suicidi sono trasformati in albero per aver volontariamente rinunciato alla loro natura umana, e infatti non potranno mai recuperarla: il giorno del Giudizio universale, infatti, quando dannati e beati rivestiranno i loro corpi per soffrire e gioire in modo più intenso, i suicidi si limiteranno ad appendere ai rami del proprio albero il corpo recuperato; essi sono inoltre tormentati dalle Arpie, creature mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna, che nell'Eneide profetizzavano ai troiani fame e sciagure.



Gli scialacquatori, invece, che in vita distrussero e dilaniarono le loro sostanze, sono qui lacerati da cagne fameliche con uguale ferocia; essi sono distinti dai prodighi del quarto cerchio in quanto non solo non hanno avuto misura nello gestire il proprio patrimonio, ma hanno anche infierito su di esso, distruggendo sé stessi attraverso le proprie sostanze: sono quindi vittime di una caccia infernale, molto simile a quelle che animano la narrativa del Medioevo (l'esempio più famoso si trova nel Decameron di Boccaccio, nella novella di Nastagio degli Onesti), e in tal modo tra l'altro accrescono ancora la sofferenza dei suicidi.

Stradano_Inferno_Canto_13



Sono qui puniti come suicidi: Pier della Vigna e un anonimo fiorentino; sono qui puniti come scialacquatori: Lano da Siena e Giacomo da Sant'Andrea.

Edited by demon quaid - 12/12/2015, 01:22
 
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view post Posted on 9/4/2010, 08:14     +1   -1
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Terzo girone



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I violenti contro Dio, natura e arte sono appunto divisi in tre schiere: i bestemmiatori stanno supini sul sabbione infuocato, immobili sotto un'incessante pioggia di fuoco; i sodomiti invece corrono continuamente sotto il fuoco, mentre infine gli usurai ("violenti contro l'arte" in quanto violenti contro il retto operare umano) sono accovacciati sotto la pioggia di fuoco. Non vi è un guardiano specifico per questo girone, ma ricordiamo che vi è il custode dell'intero settimo cerchio, cioè il Minotauro.

Il contrappasso ancora una volta si richiama alle pene ordinariamente inflitte, nell'uso medievale, per i reati contro la divinità: il rogo; inoltre nel caso particolare dei sodomiti notiamo un richiamo all'episodio biblico della distruzione di Sodoma e Gomorra sotto appunto una pioggia di fuoco. Notiamo inoltre come gli usurai sono irriconoscibili per Dante, che li identifica solo grazie allo stemma della loro casata, che si portano appresso, in una globale condanna della società cui appartengono (e in questa irriconoscibilità sono inoltre accomunati agli avari e prodighi del quarto cerchio, connotandoli come accecati dall'amore per i beni terreni, che nel distoglierli dai beni celesti ne stravolge anche la natura umana).

È qui punito come bestemmiatore: Capaneo; sono qui puniti come contro natura: Brunetto Latini, Prisciano di Cesarea, Francesco d'Accorso, Andrea de' Mozzi, Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci e Guglielmo Borsiere; sono qui puniti come usurai: un Gianfigliazzi, un Obriachi e uno Scrovegni.

Edited by demon quaid - 30/12/2015, 16:01
 
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