Un Mondo Accanto

Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 2/10/2010, 19:28 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Metaponto

Re di Icaria, padre adottivo d'Eolo il Giovane e di Beoto. Egli aveva minacciato di ripudiare Teano, la moglie sterile, se non gli avesse generato un figlio nel volgere di un anno. Durante l'assenza di Metaponto, recatosi a interpellare un oracolo, Teano invocò l'aiuto del mandriano che le portò i gemelli trovati sul monte; e Teano li fece credere suoi. In seguito, poiché non era sterile come si credeva, Teano partorì davvero due gemelli; ma i due trovatelli, grazie alla loro origine divina, erano di gran lunga più belli e dunque i prediletti di Metaponto. Rosa dalla gelosia, Teano attese l'occasione opportuna e, quando Metaponto si assentò nuovamente per sacrificare nel santuario di Artemide Metapontina, ordinò ai propri figli di andare a caccia con i fratelli maggiori e di ucciderli simulando un incidente. Il malvagio disegno tuttavia fallì, perché Poseidone venne in aiuto dei propri figli i quali uscirono vittoriosi dalla lotta. Eolo e Beoto riportarono dunque al palazzo i cadaveri dei due gemelli di Teano, e la madre, alla loro vista, si uccise.
Eolo e Beoto si rifugiarono allora dal loro padre adottivo, il mandriano, e Poseidone stesso rivelò il segreto della loro nascita. Ordinò poi che essi accorressero in aiuto della loro madre, che ancora languiva nella prigione, e uccidessero il suo padre adottivo Desmonte. I gemelli ubbidirono senza esitare; Poseidone ridonò la vista ad Arne e tutti e tre ritornarono a Icaria. Quando Metaponto seppe che Teano l'aveva ingannato, sposò Arne e adottò i figli di lei come suoi eredi.
Tutto andò bene per qualche tempo, finché Metaponto decise di ripudiare Arne e di sposarsi di nuovo. Eolo e Beoto insorsero in difesa della madre e uccisero Autolita, la nuova regina; furono però costretti a rinunciare alla successione al trono e a fuggire. Beoto si rifugiò con Arne nel palazzo del nonno Eolo, che gli affidò la parte meridionale del suo regno e la chiamò Arne, mentre i suoi abitanti portano il nome di Beoti. Eolo frattanto era salpato con un gruppo di amici e prese possesso delle sette isole Eolie del mar Tirreno, dove divenne famoso come consigliere degli dèi e custode dei venti.

Meti (Oceanine)

Meti o Metide era nella mitologia greca una delle Oceanine, figlia del titano Oceano e della titanide Teti.

Il suo nome significa "prudenza" ma anche "perfidia". Fu lei a salvare il padrone dei fulmini da Crono, suo padre. Era stato infatti predetto che uno dei figli l'avrebbe detronizzato uccidendolo, per cui egli, per essere sicuro, divorava vivi la sua progenie. Meti consegnò una droga al titano che vomitò tutti i suoi figli.

La nascita di Atena

Secondo il mito è stata anche la prima amante (e forse la prima moglie) di Zeus, il padre di tutti gli dei, ma la donna non si consegnò facilmente al dio, trasformandosi in mille modi cercando di sfuggirgli, prima di arrendersi. Un altro oracolo aveva previsto che Zeus sarebbe stato detronizzato da un figlio avuto da Meti e quindi dopo essersi giaciuto con lei, decise di divorarla. Zeus la indusse quindi a trasformarsi in una goccia d'acqua, (nella mitologia greca l'intelligenza e l'astuzia erano rappresentate come poliformi ed in continuo cambiamento: Metis, infatti, è in grado di assumere ogni forma desideri) e la inglobò bevendola. Secondo un'altra versione, fu trasformata in una cicala e inghiottita da Zeus, il quale affermava che talvolta sentiva la voce di Meti che gli dava suggerimenti. A questo punto venne al dio un fortissimo mal di testa e grazie all'aiuto di Efesto o Prometeo si riuscì a spaccare con un'ascia il cranio immortale di Zeus e dalla ferita uscì Atena.

Metiadusa


Nella mitologia greca, Metiadusa era il nome di una delle figle di Eupalamo.

Fu la sposa di Cecrope II, che era anche un suo parente, suo zio, attraverso Eretteo. Dall'unione nacque Pandione II.

Secondo una versione del mito era sorella di Dedalo.

Metione


Nella mitologia greca, Metione era il nome di uno dei figli di Eretteo e di Prassitea.

Re di Atene e di Prassieta aveva alcuni fratelli e molte sorelle, Cecrope II, Pandoro, Procri, Creusa, Ctonia e Orizia.

Forse, a sentire altri autori il numero di fratellie sorelle era molto superiore. I suoi figli, chiamati Metionidi, ebbero un ruolo importante per quanto riguarda la successione al trono riuscendo a scacciare il futuro re Pandione II.

Sua moglie fu Alcippe, mentre Dedalo, attraverso Palamone, era suo nipote.

Mezenzio

Fu un re semileggendario della città etrusca di Cere. Gli annalisti romani gli assegnarono una delle parti principali nella guerra contro Enea, rappresentato come fondatore della nazione romana. La leggenda di Mezenzio è variamente combinata di diversi elementi. Avversario di Latino, perciò di Enea, Mezenzio diventa alleato di Turno, il quale secondo Catone, vinto dall'eroe troiano, si rifugia presso Mezenzio e con lui dà battaglia a Enea. In essa cadono Turno ed Enea; ma Ascanio, figlio di Enea, uccide poi in duello Mezenzio. Si raccontava che Mezenzio era stato ucciso sul fiume Numicio; altri dissero che Enea era stato vinto da lui, messo in fuga, scomparso nelle onde del fiume, e vendicato poi da Ascanio. La leggenda conservava ricordo di un trattato imposto dal re di Cere ai Latini, per il quale Mezenzio avrebbe preteso come tributo in perpetuo tutto il prodotto delle viti del Lazio; ma i Latini preferirono farne offerta a Giove se avesse concesso loro la vittoria. Offerto il voto, Ascanio fece una sortita notturna riuscita vittoriosa, finita con la morte di Lauso, figlio di Mezenzio. Da ciò l'istituzione delle feste latine dette Vinalia celebrate il 23 aprile. Nell'elaborazione virgiliana (Aen., X, 689 sgg.) la leggenda presenta Mezenzio invocato da Turno, re dei Rutuli, contro Enea e Latino collegati. Ne venne un'aspra battaglia presso il Numicio nelle vicinanze di Lavinio, in cui accanto a Mezenzio combattè il figlio Lauso. Nella battaglia, secondo Virgilio, Enea ferisce Mezenzio, uccide Lauso accorso a difesa del padre, poi abbatte anche Mezenzio innalzando il trofeo con le sue spoglie. La leggenda è interpretata come espressione, attraverso un carme epico popolare, dell'antica lotta fra Etruschi e Latini per il possesso del Lazio.

Mida

Mitico re della Frigia, figlio del re Gordio e di Cibele.
Un giorno il vecchio satiro Sileno, un tempo pedagogo di Dioniso, si allontanò dal disordinato esercito dionisiaco e si addormentò, ubriaco fradicio, nel giardino di rose del re Mida. I giardinieri lo inghirlandarono di fiori e lo condussero dinanzi a Mida il quale, riconoscendo in lui il compagno di Dioniso, lo trattò gentilmente. Sileno narrò storie meravigliose di un continente che giaceva al di là del fiume Oceano, dove sorgevano belle città e abitavano Giganti sereni, dalla lunghissima vita, protetti da una perfetta legislazione. Una grande spedizione di uomini partì un giorno per attraversare l'Oceano e visitare gli Iperborei; ma, vedendo la triste condizione di questi mortali e saputo che la loro era la terra più bella del vecchio mondo, tutti rimasero disgustati e ritornarono ai loro luoghi d'origine. Tra gli altri prodigi, Sileno citò un gorgo vorticoso che nessuno potrà mai superare. Due corsi d'acqua vi scorrono vicini e gli alberi che crescono sulle rive del primo portano frutti che fanno piangere e gemere chi li mangia, mentre gli alberi che crescono sulle rive del secondo fiume recano frutti che ridonano la giovinezza ai vecchi. Mida, deliziato della fantasia di Sileno, lo trattenne per dieci giorni e dieci notti e poi ordinò a una guida di scortarlo fino al quartiere generale di Dioniso.
Dioniso, che si era assai preoccupato per la sorte di Sileno, ringraziò molto cortesemente e mandò a chiedere a Mida quale ricompensa desiderasse. Mida, benché fosse assai ricco, chiese al dio la facoltà di mutare in oro tutto ciò che avesse toccato. Purtroppo, non soltanto le pietre, i fiori e il mobilio del palazzo si trasformarono in oro, ma anche il cibo e l'acqua che egli si portava alla bocca. Mida, che era sul punto di morire di fame e di sete, supplicò perché il suo desiderio fosse annullato; al che Dioniso gli consigliò di lavarsi nella fonte del fiume Pàttolo, presso il monte Tmolo. Mida obbedì e subito fu liberato, e le acque del fiume Pàttolo da quel giorno rimasero cariche di pagliuzze d'oro.
Di un'altra disavventura Mida fu protagonista. Egli assistette alla famosa gara musicale tra Apollo e Marsia (o Pan), arbitrata dal dio fiume Tmolo. Tmolo consegnò il premio ad Apollo e, poiché Mida osò disapprovare il verdetto, Apollo lo punì facendogli crescere un paio di orecchie d'asino. Mida riuscì a nasconderle sotto il berretto frigio, ma il suo barbiere, accortosi di tale deformità, provò la irresistibile tentazione di palesarne il segreto, benché Mida gli avesse ingiunto di tacere, pena la morte. Il barbiere scavò dunque una buca sulla riva di un fiume e, assicuratosi che non vi fosse nessuno nei dintorni, vi sussurrò dentro: "Re Mida ha le orecchie d'asino!" Poi riempì la buca e se ne andò in pace finché ben presto spuntarono sul luogo alcune canne che, mosse dal vento, incominciarono a ripetere che il re Mida aveva le orecchie d'asino, rivelando così a tutti la mostruosa deformità. Quando Mida seppe che la sua vergogna era sulla bocca di tutti, condannò a morte il barbiere, che bevve sangue di toro e perì miseramente.

Midone

Nella mitologia greca, Midone era il nome di vari personaggi citati nell' Iliade di Omero, presenti nella guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio del re troiano Priamo

Sotto tale nome ritroviamo:

* Midone, soldato troiano, uno dei peoni che morì in battaglia contro Achille, dopo che Patroclo il suo più caro amico, fu ucciso.
* Midone, figlio di Atimnio, era il giovane scudiero e auriga del re dei Paflagoni Pilemene, alleato dei troiani. Fu ucciso in battaglia da Antiloco; questi dapprima lo colpì al braccio con una grossa pietra costringendolo ad abbandonare le cinghie d'avorio con cui guidava i cavalli; quindi Antiloco, approfittando dello stordimento di Midone, gli conficcò la spada nella tempia; i cavalli, imbizzarritisi, presero la fuga trascinando in una folle corsa il carro col giovane agonizzante, che, caduto su un lato, restò a lungo con le gambe incastrate nel mezzo e la testa ciondolante al di fuori, per poi finire a terra in conseguenza di uno strattone, dove esalò l'anima. Antiloco si impadronì del cocchio e lo portò via come bottino.

Milete

Milete era un eroe della Laconia, secondo una vecchia tradizione inventore del mulino. Sempre nella tradizione laconica, era figlio di Lelego, re di Lacedemone, e di Peridia, fratello di Policaone, Bumolco e Terapne e padre di Eurota, che secondo alcuni storici sarebbe figlia di Lelego.

Mileto

Re e fondatore dell'omonima città, figlio di Apollo e di Aria (figlia di Cleoco), che altri chiamano Deiona e altri ancora Tia. Crescendo il bimbo divenne un bellissimo fanciullo, allora Minosse cercò di violentarlo. Poiché Mileto mostrava di prediligere Sarpedone, Minosse lo scacciò da Creta ed egli salpò con una grande flotta alla volta dell'Asia Minore, dove fondò la città e il regno di Mileto. Altri, tuttavia, dicono che Minosse sospettò Mileto di volersi impadronire del regno; per non suscitare l'ira di Apollo si limitò a rimproverare il giovane che riparò in Caria di sua spontanea volontà. Qui il giovane re sposò la figlia del re Eurito, Idotea, dalla quale ebbe due gemelli, Bibli e Cauno. Una variante del mito lo dà come figlio di Apollo e di Acacallide (figlia di Minosse). In questa variante il bambino fu esposto, per paura di Minosse. Fu nutrito da una lupa e successivamente allevato dai pastori.
Il povero Mileto non fu un genitore felice, poiché la bellissima figlia Bibli si innamorò perdutamente del fratello Cauno. La giovane ninfa, tormentata dall'amore, rivelò al fratello la sua passione; questo, inorridito, fuggì via da Mileto e andò a fondare la città di Cauno in Caria. Sulla sorte di Bibli le versioni sono diverse: una dice che si impiccò a una quercia e che dalle sue lacrime fosse nata una sorgente; un'altra versione narra che Bibli, addolorata per il perduto amore, impazzì ed errò attraverso tutta l'Asia Minore. Nel momento in cui stava per precipitarsi dall'alto di una roccia, le Ninfe ne ebbero pietà e, dopo averla immersa in un sonno profondo, la trasformarono in una ninfa Amadriade e, dalla roccia dalla quale si voleva precipitare, fecero sgorgare una fonte alla quale fu dato il nome di "Lacrime di Bibli".

Minete

Minete è un personaggio della mitologia greca, re di Cilicia e marito di Briseide. Secondo il mito durante la guerra di Troia fu ucciso da Achille che ridusse in schiavitù la moglie.

Minerva

Era un'antica divinità romano-italica che prima di essere identificata con la greca Atena ebbe individualità, culto e attributi propri. Il suo nome è italico e appare nella forma arcaica Menerva con la variante etrusca Menrva; la sua etimologia fu variamente discussa, ma si suole riportare alla radice manas (latino mens e memini). L'origine del culto di Minerva è alquanto oscura; esso non appartiene al fondo primitivo della religione romana, e il suo ingresso nel culto ufficiale dei Romani può essere avvenuto quando già era chiusa la serie dei cosiddetti dei indigetes. Alcuni ritengono Minerva introdotta a Roma al tempo dei Tarquini, insieme con altre divinità straniere (dei novensides); secondo Varrone il culto di Minerva sarebbe stato introdotto in Roma dalla Sabina. È certo che il nome della dea mancava nel rituale più antico. I culti più antichi di Minerva si riscontrano presso i Latini di Roma e di Falerii, presso i Sabini di Orvinio e presso gli Etruschi, presso i quali troviamo anche santuari dedicati a Tinia (Giove), Uni (Giunone) e Menrva (Minerva), imitazione della triade greca Zeus-Era-Atena. La scarsità di tracce del culto di Giunone come sposa di Giove, e la limitata importanza del culto pubblico di Minerva, indussero a credere che la triade capitolina, in cui Giunone e Minerva sono associate come dee poliadi a Giove Ottimo Massimo, fosse passata dall'Etruria a Roma. L'assimilazione fra l'Atena greca e la Minerva italica, fatta assai per tempo, contribuì probabilmente all'inserzione di Minerva nella triade degli dèi superi, e all'influsso dei miti greci si dovette l'importanza che Minerva venne assumendo in seguito nel culto e nella letteratura, e la diffusione che ebbe in Italia e nelle province.
A Minerva erano dedicati in Roma parecchi templi e sacrari; anzitutto la cella nel santuario del Capitolium vetus del Quirinale, e quella del tempio eretto sul Campidoglio nel 509 a.C. nel quale era venerata la triade. Nell'età repubblicana essa ebbe altri tre sacrari piuttosto modesri e di data incerta: uno sull'Aventino che fu sede dei poeti e degli attori a partire dal 207 a.C.; un altro ai piedi del monte Celio esistente dalla fine del secolo IV o dalla prima metà del III a.C., dedicato a Minerva Capta, il cui epiteto fa ritenere assai probabile la provenienza della statua oggetto di culto da Falerii conquistata dai Romani nell'anno 241 a.C.; il terzo poco ricordato sull'Esquilino, dedicato a Minerva Medica, il cui epiteto si spiega con la partecipazione della Corporazione dei medici alle feste delle Quinquatrus. Più tardi come Atena Nike Cneo Pompeo onorò Minerva con la fondazione di un tempio de manubiis nella zona dei Saepta. Augusto innalzò un tempio a Minerva Calcidica, il Chalcidicum presso la Curia Giulia. Domiziano gliene consacrò uno nel Campo di Marte, e istituì giochi in onore della dea.
Il culto di Minerva nella religione romana, prima di subire l'influsso di Atena Poliade, ebbe carattere soltanto pacifico e sociale; il campo d'azione di essa era assai limitato, era considerata come inventrice delle arti e dei mestieri, ben lungi dall'essere protettrice di ogni attività dell'ingegno umano. Nel II secolo a.C., come divinità patrona degli artigiani, era da essi celebrata in suo onore una festa il quinto giorno dopo le idi di marzo, detto perciò Quinquatrus, che acquistò maggiore importanza con la durata di cinque giorni in conseguenza dello sviluppo crescente dell'artigianato e delle altre professioni che andavano sotto questo nome. Era anche una festa dei maestri, e gli scolari offrivano loro il Minervale munus. Un altro giorno di festa si aggiunse col nome di Quinquatrus minusculae il 13 giugno, nel quale i tibicines, i flautisti addetti al culto pubblico, celebravano con un banchetto nel tempio di Giove Capitolino la festa della loro associazione, con una mascherata per le vie della città, e con una riunione nel tempio di Minerva sull'Aventino, il cui dies natalis era commemorato il 19 giugno.

Mini (popolo)

Secondo la mitologia greca, i Mini o Minie - agg. minio, minia, minie, minii, furono un gruppo autoctono abitante la regione egea. Tuttavia, l'estensione con cui la preistoria del mondo egeo viene riflessa nei resoconti letterari di popoli leggendari è soggetta a ripetute revisioni.

Prima della seconda guerra mondiale, gli archeologi talvolta applicarono il termine "Mini" in modo diverso, per indicare la prima vera ondata di popoli parlanti il protogreco nel II millennio a.C., tra le culture dell'antica età del bronzo, talvolta identificate con l'inizio della cultura del Medio Elladico. La "ceramica minia" grigia è un termine usati dagli archeologi per un particolare stile di ceramica egea associata con il periodo Medio Elladico. Di conseguenza l'inizio del Medio Elladico sarebbe contrassegnato dalla immigrazione di questi "Mini". Secondo Emily Vermeule, questa fu la prima ondata di veri elleni in Grecia. Più recentemente, comunque, gli archeologi e paleothologi trovano il termine "Minyes" discutibile: "chiamare i marcatori della ceramica minia loro stessi 'Mini' è biasimevole", sottolineava F. H. Stubbings. "Derivando i nomi etnici dagli stili della ceramica è una delle abitudini più deplorevoli in archeologia," affermava F. J. Tritsch nel 1974. "Noi parliamo animatamente dei 'Mini' quando vogliamo indicare una popolazione che usa ceramica che noi chiamiamo 'minia'," sebbene egli avesse sbagliato nel dire che i Greci stessi non menzionano mai i 'Mini' come tribù o popolo.

Minia

Nella mitologia greca, Minia era il progenitore di molti degli Argonauti fra cui Giasone.

Minia, figlio di Crise o forse di Poseidone come anche nipote stesso del dio, era partito in cerca di miglior fortuna dalla tessaglia, arrivando fino ad Orcomeno in Beozia, dove decise di fondare prima una città e poi un regno, dei tanti re fu il primo che costruì un tesoro.

Frisso, colui che trafugò il vello d'oro, dando inizio alle avventure degli Argonauti, era il nipote di Minia.

I greci micenei raggiunsero Creta nel 1450 a.C. ca. La presenza greca sul continente, comunque, risale al 1600 a.C., come mostrato nelle più tarde tombe a pozzetto , se la cultura materiale può essere collegata sicuramente all'etnicità basata sulla lingua. Altri aspetti del periodo "minio" sembrano arrivare dalla Grecia settentrionale e dai Balcani (tombe a tumulo, asce in pietra perforate). Secondo gli scavi archeologici di John L. Caskey condotti negli anni '50, la prova è emersa collegando i proto-greci ai portatori della cultura "minia" (o del Medio Elladico).

Miniadi
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Le Miniadi sono figure della mitologia classica. Le tre sorelle Leucippe, Arsippe e Alcatoe (o Alcitoe), figlie di Minia, re di Orcomeno, si rifiutarono di riconoscere Bacco come figlio di Zeus e di partecipare ai suoi riti; preferendo, al contrario delle donne d'Orcomeno (o in un'altra versione di Tebe), restarsene a casa a lavorare al telaio e a raccontarsi favole antiche.

Alla fine del giorno, uditi per la casa suoni di flauti, tamburelli, e bronzi, i telai si trasformarono in tralci di vite e piante d'edera. La casa, dove risuonano ruggiti di belve immaginarie, è invaso da altrettante illusorie fiamme. Spaventate le tre sorelle impazzirono e uccisero il figlio di Leucippe Ippaso, per raggiungere poi le donne intente ai riti bacchici. In un'altra versione vengono trasformate in pipistrelli.

Altra versione narra che Bacco, sotto le spoglie di un giovane, decise lui stesso di recarsi a casa delle sorelle e di rimproverarle per il loro comportamento. Deriso, il dio si trasformò in toro, in pantera e in leone. Le tre sorelle, sedute su sgabelli dal quale colavano latte e miele, sono prese dal delirio che le portarono ad uccidere Ippaso.

Minosse

Minosse è un personaggio della mitologia greca, figlio di Zeus e di Europa.

Minosse fu re giusto e saggio di Creta. Per questo motivo, dopo la sua morte, divenne uno dei giudici degli inferi, insieme a Eaco e Radamanto. Nei miti attici invece viene dipinto come estremamente crudele.

Il personaggio

Si racconta che, in seguito alla morte del re Asterione, padre adottivo di Minosse, egli costruì un altare a Poseidone in riva al mare, per dimostrare il suo diritto alla successione al trono. Minosse pregò Poseidone di inviargli un toro per il sacrificio ed il dio lo esaudì. Ma Minosse non sacrificò l'animale, poiché era molto bello. Poseidone, adirato, fece innamorare del toro Pasifae, la moglie di Minosse. Da questa unione nacque il minotauro, mezzo uomo e mezzo toro. Minosse incaricò dunque Dedalo di costruire un labirinto in cui nascondere il mostro.

Minosse ebbe 8 figli da Pasifae: Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeo, Acalla, Senodice, Arianna, Fedra. Ebbe inoltre Eussantio da Dessitea, mentre dalla ninfa Paria ebbe Filolao, Crise, Eurimedonte e Nefalione.

Il regno di Minosse fu caratterizzato da ampi scontri con i popoli vicini, che egli riuscì ad assoggettare.
Combatté anche contro Niso, re di Megara, che aveva un capello d'oro a cui era legata la sorte della sua vita e della sua potenza. La figlia di Niso, Scilla, si innamorò al primo istante di Minosse e non indugiò ad introdursi nottetempo nella camera del padre per tagliargli il capello d'oro. Andò in seguito da Minosse offrendogli le chiavi di Megara e chiedendogli di sposarla. Minosse conquistò Megara ma rifiutò di portare con sé a Creta la parricida che, presa dallo sconforto, si gettò in mare ed annegò.

Minosse attaccò anche Atene, in seguito all'assassinio del figlio Androgeo causato dal re Egeo. Sconfitti gli ateniesi, Minosse chiese ad essi in tributo la consegna ogni nove anni di sette fanciulli e sette fanciulle, che venivano date in pasto al Minotauro. Tale sacrificio cessò solo in seguito all'intervento di Teseo, che aiutato da Arianna, riuscì ad uccidere il minotauro.

Secondo il mito Minosse fu ucciso in una vasca da bagno in Sicilia mentre era ospite nella rocca del re sicano Cocalo. Il racconto è stato ripreso da Diodoro Siculo nella Biblioteca storica che narra come la sua leggendaria tomba si trovasse al di sotto di un tempio di Afrodite e come Terone di Akragas avesse occupato quest'area sacra con il proposito ufficiale di vendicare l’uccisione del re cretese.

Minotauro

Il Minotauro è una figura della mitologia greca. È un essere mostruoso e feroce metà uomo metà toro. Era figlio del Toro di Creta e di Pasifae regina di Creta. Il suo nome proprio è Asterio o Asterione.

Minosse, re di Creta, pregò Poseidone di inviargli un toro, come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli mandò un bellissimo e possente toro bianco di un valore inestimabile. Vista la bellezza dell'animale, però, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Nonostante quello fosse un animale e lei una donna, ella desiderava ardentemente accoppiarsi con esso e voleva a tutti i costi soddisfare il proprio desiderio carnale. Vi riuscì nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte Dedalo.

Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso "minos" (che presso i cretesi significava re) con il suffisso "taurus" (che significa toro).

Il Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale.

Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel Labirinto di Cnosso costruito da Dedalo. La città di Atene, sottomessa allora a Creta, doveva inviare ogni anno (secondo altre fonti: ogni tre o ogni nove anni) sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Allora Tèseo, eroe figlio del re ateniese Ègeo, si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, si innamorò di lui.

All'entrata del labirinto Arianna diede a Tèseo il celebre "filo d'Arianna", un gomitolo (di filo rosso, realizzato da Dèdalo) che gli avrebbe permesso di non perdersi una volta entrato. Quando Teseo giunse dinanzi al minotauro, attese che si addormentasse e poi lo pugnalò (secondo altri, lo affrontò e lo uccise con la spada).

Uscito dal labirinto Tèseo salpò con Arianna alla volta di Atene, montando vele bianche in segno di vittoria. Ma poi abbandonò la fanciulla dormiente su un'isola deserta (l'isola di Nasso, donde il detto, qualora non si tratti di una semplice paretimologia: abbandonare in Nasso, o, popolarmente, in asso)[senza fonte]. Il motivo di tale atto è controverso. Si dice che l’eroe si fosse invaghito di un’altra o che si sentisse in imbarazzo a ritornare in patria con la figlia del nemico, oppure che venne intimorito da Dionisos in sogno, che gli intimò di lasciarla là, per poi raggiungerla ancora dormiente e farla sua sposa.

Arianna, rimasta sola, iniziò a piangere fino a quando apparve al suo cospetto il dio Dioniso che per confortarla le donò una meravigliosa corona d'oro, opera di Efesto, che venne poi, alla sua morte, mutata dal dio in una costellazione splendente: la costellazione della Corona.

Poseidone, adirato contro Tèseo, inviò una tempesta, che squarciò le vele bianche della nave, costringendo l'eroe ateniese a sostituirle con quelle nere. Infatti a Teseo, prima di partire, fu raccomandato da suo padre Ègeo di portare due gruppi di vele, e di montare al ritorno le vele bianche in caso di vittoria, mentre, in caso di sconfitta, di issare quelle nere. Ègeo, vedendo all'orizzonte le vele nere, si gettò disperato nel mare, il quale poi dal suo nome fu chiamato mare di Ègeo, cioè Mar Egèo.

Dietro il mito si celano anche particolari significati che i Greci attribuivano ad alcuni elementi del racconto. Ad esempio il termine Minosse, attribuito al re di Creta, è designato da alcuni studi non come il nome del solo re di Cnosso, ma come il termine genericamente utilizzato per indicare "i sovrani" in tutta l'isola di Creta. Dietro al personaggio del Minotauro si stima ci sia la divinizzazione del toro da parte dei Greci, mentre lo sterminato Labirinto di Cnosso è simbolo dello stupore dei Greci verso le immense costruzioni Cretesi. Alla vittoria di Tèseo si attribuisce invece l'inizio del predominio dei Greci sul mar Egèo nonché la signoria su tutte le sue isole ed il controllo delle principali rotte percorse per i commerci.

Il Minotauro nella Divina Commedia


Il Minotauro appare anche nella Divina Commedia. Precisamente nel dodicesimo canto dell'Inferno.

È il guardiano del Cerchio dei violenti ed è qui che Dante e Virgilio lo incontrano. Nonostante tenti inizialmente di sbarrare loro la strada, Virgilio riesce a allontanarlo, e allora il minotauro comincia a divincolarsi qua e là come un toro.

Allegoricamente, il Minotauro è posto a guardia del girone dei violenti, perché nel mito greco esso simboleggia proprio la parte istintiva e irrazionale della mente umana, quella che ci accomuna agli animali (la «matta bestialità») e ci rende inconsapevoli. I violenti sono proprio quei peccatori che hanno peccato cedendo all'istinto e non hanno seguito la ragione. Per la teologia cristiana rappresenta un grave peccato, perché mentre agli animali non si può dare alcuna colpa, perché fanno ciò che è necessario per sopravvivere e nulla più, l'uomo dovrebbe usare la ragione per non compiere atti di pura crudeltà. La scena di Virgilio che vince il Minotauro rappresenta allegoricamente il trionfo della ragione sull'istinto.

Nella Divina Commedia è presente inoltre un accenno a Pasifae, madre del minotauro, nel ventiseiesimo canto del Purgatorio, dedicato al vizio dei lussuriosi. Pasifae vi è citata due volte, come emblema dell'animalità del peccato di lussuria: Dante la definisce con eloquente sintesi "colei che si imbestiò ne le 'mbestiate schegge".

Mirina

Regina delle Amazzoni, attaccò dalla base di Chersoneso gli Atlanti, il popolo più civile a occidente del Nilo, che ha la sua capitale nell'isola atlantica di Cerne. Mirina radunò un esercito di ventamila cavalieri e tremila fanti. Tutte portavano archi e quand'erano costrette a battere in ritirata se ne servivano per scoccare contro i loro inseguitori frecce infallibili. Indossavano armature fatte con la pelle dei serpenti libici, di incredibili proporzioni.
Invaso il territorio degli Atlanti, Mirina inflisse loro una irrimediabile sconfitta. Poi sboccò a Cerne, conquistò la città, passò tutti gli uomini validi a fil di spada, portò i bambini e le donne prigionieri e rase al suolo le mura. Quando gli Atlanti superstiti acconsentirono ad arrendersi li trattò con nobiltà e per compensarli della perdita di Cerne costruì la nuova città di Mirina, dove si stabilirono i prigionieri e chiunque altro desiderasse viverci. Gli Atlanti le tributarono allora onori divini e Mirina acconsentì a proteggerli dalla vicina tribù dei Gorgoni. In una furibonda battaglia, Mirina riportò la vittoria, e inoltre catturò non meno di tremila prigioniere, ma molte Gorgoni riuscirono a fuggire. La notte tuttavia, mentre le Amazzoni banchettavano per festeggiare la vittoria, le Gorgoni prigioniere rubarono le armi delle loro guardie e ne uccisero un gran numero, ma ben presto, le Amazzoni si risollevarono e massacrarono le ribelli. Mirina tributò grandi onori alle sue compagne morte e innalzò loro tre grandi tumuli che sono ancor oggi chiamati Tombe delle Amazzoni. Malgrado la disfatta, le Gorgoni riuscirono a ristabilire il loro potere.
Più tardi, dopo aver conquistato gran parte della Libia, Mirina entrò in Egitto con un nuovo esercito, si alleò a re Oro, figlio di Iside, e passò ad invadere l'Arabia. Taluni dicono che queste Amazzoni libiche, e non le Amazzoni del Mar Nero, conquistarono l'Asia Minore. E che Mirina, dopo aver scelto la sede che più le garbava nel suo nuovo impero, fondò molte città costiere, comprese Mirina, Cima, Pitana, Priene e le altre ancora nell'entroterra. Conquistò anche molte isole egee, fra cui Lesbo, dove costruì la città di Mitilene, così chiamata dal nome di sua sorella che partecipò alla campagna. Mentre Mirina era ancora impegnata nella conquista delle isole, una tempesta si abbattè sulla sua flotta; ma la Madre degli dèi guidò le navi sane e salve fino a Samotracia, allora disabitata, che Mirina consacrò alla dea-madre, innalzando altari e offrendo splendidi sacrifici.
Mirina si recò poi nella Tracia continentale dove il re Mopso e il suo alleato, lo scita Sipilo, la sconfissero in leale combattimento, e Mirina fu uccisa. L'esercito delle Amazzoni non riuscì più a riprendersi dopo tale rovescio; sconfitte dai Traci in frequenti scaramucce, le superstiti si ritirarono infine in Libia.

Mirra

Chiamata anche Smirna, figlia di Cinira re di Cipro. Un giorno la moglie di re Cinira stupidamente si vantò che sua figlia Mirra era più bella della stessa Afrodite. La dea si vendicò di quell'insulto facendo sì che Mirra si innamorasse di suo padre e si introducesse nel suo letto. Con l'aiuto della nutrice Ippolita, la fanciulla dormì col padre per ben dodici notti senza che questi la riconoscesse. Ma, la dodicesima notte, il padre accese una fiaccola e con orrore si rese conto con chi, per ben dodici notti, aveva fatto l'amore. Presa la spada inseguì Mirra fuori del palazzo, per ucciderla. Stava già per raggiungerla sul ciglio di una collina, quando Mirra invocò gli dèi chiedendo di nasconderla. Afrodite, presa a compassione, la trasformò in un albero di mirra e le cui gocce di resina ricordano le amare lacrime da lei sparse. Al decimo mese la pianta si spaccò, e nacque il bambino di nome Adone. Afrodite, già pentita dell'errore commesso, chiuse Adone in un cofano e lo affidò a Persefone, regina dei Morti, chiedendole di celarlo in qualche angolo buio. Persefone, mossa da curiosità, aprì il cofano e vi trovò dentro Adone. Il fanciullo era così bello che Persefone lo portò con sé nel suo palazzo.
Afrodite fu informata della cosa e subito scese nel Tartaro per reclamare Adone. E quando Persefone non volle cederglielo perché ne aveva già fatto il suo amante, Afrodite si appellò a Zeus. Zeus, ben sapendo che anche Afrodite era smaniosa di andare a letto con Adone, rifiutò di dirimere la questione così sgradevole e la deferì a un tribunale di minore importanza presieduto dalla Musa Calliope. La Musa divise dunque l'anno in tre parti eguali: Adone avrebbe trascorso la prima in compagnia di Persefone, la seconda in compagnia di Afrodite, e la terza da solo. Afrodite non si comportò lealmente: indossando sempre la magica cintura indusse Adone a trascorrere con lei anche quella parte dell'anno che gli spettava come vacanza e ad accorciare il periodo che spettava a Persefone.
Persefone, giustamente irata, andò in Tracia e disse al suo benefattore Ares che ormai Afrodite gli preferiva Adone. Ares si ingelosì e, trasformatosi in cinghiale, si precipitò su Adone che stava cacciando sul monte Libano e lo azzannò a morte davanti agli occhi di Afrodite. Anemoni sbocciarono dal sangue di Adone e la sua anima discese al Tartaro. Afrodite, in lacrime, si recò da Zeus e chiese che fosse concesso ad Adone di trascorrere soltanto la metà più cupa e triste dell'anno in compagnia di Persefone, mentre nei mesi estivi sarebbe ridivenuto il suo compagno. Zeus magnanimamente acconsentì.

Mirtilo

Mirtilo è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Ermes, amico di Pelope, l'eroe eponimo del Peloponneso, e scelto da Enomao come suo auriga. Secondo altre versioni, Mirtilo era un figlio di Zeus e di Climene.

Pelope si era innamorato di Ippodamia, figlia di Enomao. Enomao avrebbe concesso la figlia a chi lo avesse superato in una gara con i carri. La gara fu favorevole a Pelope, tuttavia pare che alla base di questa vittoria ci fosse stato il sabotaggio di Mirtilo a scapito di Enomao. Come tutti i traditori Mirtilo viene ucciso da Pelope per timore che raccontasse la verità. O secondo un'altra versione ucciso da Pelope avendo questi appurato che Mirtilo insidiava Ippodamia. Nel punto di morte Mirtilo maledice Pelope e tutta la sua discendenza. Dopo la morte venne trasformato da Ermes nella Costellazione dell'Auriga.

Miscelo

E' un Acheo, originario di Ripe, che fondò la città di Crotone nella Magna Grecia, per volere di Apollo. Il dio, attraverso l'oracolo di Delfi, gli ordinò di fondare Crotone. Ma, nella regione esisteva già la città di Sibari, e Miscelo tornò a chiedere al dio se fosse proprio necessario fondare una nuova città nella stessa regione. L'oracolo gli rispose: "Miscelo dalla schiena corta (egli era un po' gobbo), agendo contro il volere del dio, raccoglierai lacrime; gradisci il regalo che di è fatto". Miscelo finì con l'obbedire.
Un'altra versione del mito, riportata da Ovidio, dice che Crotone fu fondata dall'intervento di Eracle. L'eroe ritornando dalla Sicilia verso l'Italia per seguire un'altra strada che lo conducesse in Grecia con la mandria di Gerione, uccise incidentalmente un certo Crotone, lo seppellì con tutti gli onori e profetizzò che, in tempi futuri, lì sarebbe sorta una grande città che avrebbe avuto il nome dell'ucciso. La profezia di Eracle si avverò dopo la sua divinizzazione: egli apparve in sogno a uno dei suoi discendenti, l'argivo Miscelo, minacciandolo di terribili punizioni se non avesse guidato un gruppo di coloni in Sicilia per fondarvi una città; e quando gli Argivi erano sul punto di condannare a morte Miscelo per aver contravvenuto alla loro legge contro l'emigrazione, Eracle miracolosamente tramutò tutti i sassolini neri del voto in sassolini bianchi, e Miscelo fu assolto. Gli fu permesso allora di partire a fondare la colonia, e così egli venne a stabilirsi nella regione di Crotone.

Mnemone

Servitore di Achille, incaricato di ricordare all'eroe la predizione della madre Teti. Teti aveva avvertito Achille che semmai egli avesse ucciso "un figlio di Apollo", sarebbe morto per mano di Apollo, davanti a Troia. Infatti un oracolo voleva che Achille dovesse morire di morte violenta se avesse ucciso un figlio d'Apollo, che non fu designato in altro modo. E Mnemone ("Colui che fa ricordare") lo accompagnava al solo scopo di ricordargli ogni giorno la predizione della madre. Ma Achille, allorché vide l'isola di Tenedo e Tenete che scagliava massi dall'alto di un promontorio contro le navi greche, raggiunse la riva a nuoto e senza rifletterci sopra lo uccise trapassandogli il petto. I Greci sbarcarono e saccheggiarono Tenedo. Resosi conto, ma troppo tardi, di quanto aveva fatto, Achille condannò a morte Mnemone che non gli aveva rammentato le parole di Teti. Poi fece a Tenete funerali magnifici e seppellì il cadavere dove ora sorge il suo tempio: nessun flautista vi può mettere piede né vi si può pronunciare il nome di Achille. Achille inoltre uccise Cicno, padre di Tenete, con un colpo alla nuca, il suo unico punto vulnerabile e inseguì la sorella di Tenete, Emitea, che fuggì rapida. L'avrebbe tuttavia raggiunta e violata se la terra aprendosi non l'avesse inghiottita.

Mnemosine

Nella mitologia greca è una delle dee del ciclo dei Titani, personificazione della Memoria; nella lotta di Zeus contro i Titani stette dalla parte di Zeus. E' ricordata per la prima volta da Esiodo nella Teogonia, dove è detta figlia di Urano e di Gea. Zeus si giacque con lei, nella Pierìa, per nove notti di seguito, e, in capo a un anno, ella gli diede nove figlie, le Muse. E' questa la genealogia ufficiale olimpica, che offuscò del tutto la tradizione più antica che faceva le Muse figlie di Urano e di Gea. Nel culto è sempre associata con le Muse sue figlie; in Atene si facevano in onore di lei libagioni di latte e miele.

Mnesimache

Nella mitologia greca, Mnesimache era il nome di una delle figle di Dessameno.

Eracle, il figlio di Zeus era stato cacciato dalla casa di Augia e trovò rifugio a casa di Dessameno, qui la ragazza fu promessa come sposa al ragazzo. Egli partì per altre avventure, poco tempo dopo arrivò nel regno un centauro di nome Eurizione, attratto dalla bellezza della ragazza la voleva per se nonostante fosse già promessa ad un altro, la ragazza si fidanzò con forza a lui, anche contro il proprio volere. Eracle tornò nel regno per la donna.

Mnesimache aveva due sorelle: Teronice e Terefone.

Mneso


Mneso, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Mneso fu ucciso da Achille nell'azione bellica descritta nel libro XXI dell'Iliade relativo alla Battaglia del fiume.

Moire

Dee del Destino, dalla genitura molto controversa. Infatti, Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte, ne fissano il numero a tre (numero sacro), e ne danno anche i nomi: Cloto, la "filatrice" del filo della vita che si avvolge intorno alla conocchia; Lachesi, la "fissatrice", che dà a ciascuno quello che gli spetta in sorte; Atropo, l' "irremovibile", l'inevitabile fatalità della morte nel momento stabilito. Ma un'altra tradizione mitica molto antica, per riportarle al mondo divino di Zeus e inserirle nel quadro dell'Olimpo, le considera come figlie di Zeus e di Temi. La teogonia orfica le dice figlie di Urano e di Gea.
Le Moire non ebbero mai un'esatta limitazione: ora appaiono sottoposte a Zeus, ora sono una forza incontrollabile, tenebrosa, che sovrasta tutti gli dèi, non eccettuato Zeus. Zeus che pesa sulla bilancia le vite degli uomini e informa le Moire delle sue decisioni, può, si dice, cambiar parere e intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lachesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo. Anzi, gli uomini sostengono addirittura di poter salvarsi, entro certi limiti, modificando il proprio destino grazie alla prudenza nell'evitare inutili rischi. Gli dèi più giovani dunque si ridono delle Moire e alcuni dicono che Apollo un giorno riuscì ad ubriacarle con un raggiro per salvare la vita del suo amico Admeto. Altri ritengono invece che Zeus stesso debba sottostare alle Moire, come la sacerdotessa pitica affermò una volta in un oracolo; le Moire infatti non sono figlie di Zeus, ma nacquero per partenogenesi dalla Grande Dea Necessità, con la quale gli dèi non osano contendere, e che è chiamata "La Possente Moira".
Generalmente si ritiene che le Moire non fossero in grado di determinare il destino, eppure nel mito di Meleagro giocano un ruolo decisivo. Infatti, allorché il ragazzo compì sette anni, Le Moire apparvero nella stanza di Altea e le annunciarono che il figlio avrebbe potuto vivere soltanto finché un certo tizzone del focolare non si fosse consumato. Altea tolse subito quel tizzone dal fuoco, lo spense in un secchio d'acqua e lo nascose in un cofano. Ma il giorno in cui Meleagro uccise i suoi zii, fratelli della madre Altea, questa, addolorata, lanciò una maledizione contro Meleagro. Le Moire le consigliarono di prendere dal cofano il tizzone spento e di gettarlo sul fuoco, e Meleagro spirò.
Nella mitologia le Moire non compaiono che raramente. Combatterono al fianco di Zeus nella battaglia contro i Giganti e con proiettili infuocati bruciarono le teste di Agrio e Toante, e poi alla battaglia contro Tifone, sempre per aiutare Zeus, offrirono al mostro frutti effimeri facendogli credere che gli avrebbero ridonato forza, mentre invece lo predestinavano a sicura morte. Le Moire assegnarono ad Afrodite un solo compito divino, quello di fare all'amore; ma un giorno Atena la sorprese mentre segretamente tesseva a un telaio, e si lagnò che tentasse di usurpare le sue prerogative; Afrodite le fece le sue scuse e da allora non alzò più nemmeno un dito per lavorare.
I poeti le rappresentano normalmente come donne vecchie e deformi; l'arte figurativa come giovani severe, caratterizzate Cloto col fuso, Lachesi con un globo su cui indica i destini, Atropo con una bilancia e con le forbici con cui troncare lo stame della vita.
A Delfi si onorano soltanto due Moire, quelle della Nascita e della Morte; e ad Atene, Afrodite Urania è detta essere la maggiore delle tre. I Romani identificarono le Moire con le Parche.


Molione


Molione (in greco Μολίων), personaggio dell'Iliade, è il nome di un guerriero troiano.

Molione fu ucciso da Ulisse nell'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle gesta di Agamennone. Giovane valoroso e assai bello d'aspetto, era scudiero e auriga di Timbreo, un re alleato dei Troiani, che morì insieme a lui, ucciso però da Diomede.

Molionidi

Erano figli di Attore e di Molione, figlia di Molo, oppure, secondo Omero, di Poseidone e Molione. Erano gemelli, nati da un uovo d'argento, e fin dalla nascita erano uniti l'uno all'altro all'altezza della cintura. I loro nomi erano Eurito e Cteato e sposarono le figie gemelle del centauro Dessameno, Teronice e Terefone, dalle quali ebbero due figli, Anfimaco e Talpio, che capeggiarono, davanti a Troia, il contingente degli Epei.
Celebri per la loro forza, i Molionidi dimostrarono tutto il loro valore combattendo per lo zio, il re Augia, contro Eracle il quale lo voleva punire perché si era rifiutato di pagargli una mercede. Augia, prevedendo l'attacco di Eracle, si era preparato a sostenerlo nominando suoi generali Eurito e Cteato, e chiamando al suo fianco per governare sull'Elide il valoroso Amarinceo, che di solito viene descritto come figlio dell'immigrato tessalo Pizio. Eracle non si coprì di gloria in questa guerra dell'Elide. Egli cadde ammalato e quando i Molioni misero in rotta il suo esercito che si era accampato nel cuore dell'Elide, i Corinzi intervennero proclamando re l'istmico Truce. Tra i feriti vi fu Ificle, il fratello gemello di Eracle. I gemelli presero poi parte all'assedio di Pilo. Gli Elei, guidati da Amarinceo avanzarono su Pilo in pieno assetto di guerra, e attraversarono la pianura a Triessa. Ma Atena mise in allarme la gente di Pilo, e quando i due eserciti vennero a battaglia, Nestore abbattè con un colpo di lancia Amarinceo, e anche i Molioni sarebbero caduti sotto i colpi della sua infaticabile lancia se Poseidone non li avesse avvolti in una nebbia impenetrabile soffiandoli via lontano.
Più tardi, saputo che gli Elei avrebbero organizzato una processione in onore di Poseidone per la Terza Festa istmica, e che i Molionidi intendevano assistere ai giochi e prendere parte ai sacrifici, Eracle tese loro una imboscata in una macchia che sorgeva lungo la strada nei pressi di Cleonea e scoccò una freccia trafiggendo a morte i due gemelli; uccise pure un loro cugino, chiamato anch'egli Eurito, figlio di re Augia.
Molione seppe ben presto chi aveva assassinato i suoi figli e indusse gli Elei a chiedere soddisfazione a Euristeo che declinò ogni responsabilità per i misfatti di Eracle che egli aveva bandito dal paese. Molione pregò allora gli Argivi di escludere tutti gli Elei dai Giochi Istmici, finché il delitto di Eracle non fosse stato espiato. I Corinzi si rifiutarono di obbedirle e Molione lanciò una maledizione su ogni Eleo che osasse prendere parte alla festa.

Molo (mitologia)

Nella mitologia greca, Molo era il nome del padre di Merione

Molo, abitante dell’isola di Creta era uno dei figli di Deucalione, avuto da un rapporto fuori dal matrimonio. Crebbe e desiderò una ninfa al punto di violentarla. Egli scomparve e il suo corpo venne ritrovato in seguito privo della testa, una vendetta.

Suo figlio, Merione amico di Idomeneo, partecipò alla guerra di Troia, schierandosi con il suo compagno.

Molorco

Nella mitologia greca, Molorco era un uomo di umili origini, che Eracle incontrò durante le sue dodici fatiche.

Durante una delle tante imprese impostegli da Euristeo, Eracle si ritrovò a Cleone, una città sperduta. L'eroe cercava rifugio trovandolo nella casa del povero Molorco. Egli avrebbe voluto fare un sacrificio anche se aveva poco da offrire vista la sua misera esistenza. Eracle gli consigliò allora di attendere trenta giorni prima di effettuare l'offerta voluta. Molorco accettò di pazientare sperando nel ritorno dell'eroe, quando partì il semidio diede una condizione al brav'uomo: se egli non fosse tornato da pastore in quel lasso di tempo avrebbe offerto a lui e non a un dio la sua offerta. Eracle riuscì a tornare dall'impresa, la sconfitta del leone di Nemea, proprio al trentesimo giorno quando Molorco aveva ormai perso le speranze di rivederlo in vita.

Molosso
(mitologia)

Molosso (o Molotto) è una figura della mitologia greca, era figlio di Neottolemo e di Andromaca, la moglie di Ettore che Neottolemo aveva ottenuto come parte del bottino nella Guerra di Troia.

Euripide tratta ampiamente la vicenda di Molosso nella sua tragedia Andromaca.

Molpadia

Nella mitologia greca, Molpadia è il nome di un'Amazzone, menzionata da Pausania e Plutarco come probabile assassina di Antiope.

Se si accoglie la tradizione più generica sulle origini delle Amazzoni, allora Molpadia sarebbe da identificare in una delle figlie di Ares e della ninfa Armonia e avrebbe un legame parentale con le compagne Antiope, Otrera, Ippolita e Pentesilea. Quando Teseo giunse a Temiscira e rapì la regina Antiope, Molpadia si unì alla forze schierate dall'Amazzone Orizia e marciò contro Atene per vendicare l'onta del rapimento.

Nel violento scontro che vide opposte le forze dell'eroe ateniese e l'esercito delle donne guerriere, Molpadia colpì a morte, forse volontariamente, la stessa Antiope, la quale aveva disertato le sue compagne e si era unita a Teseo perché innamorata. Quest'ultimo ne vendicò la morte, uccidendo a sua volta Molpadia. Il corpo di quest'ultima venne seppellito insieme a quello di Antiope presso il tempio della Madre Terra. In onore di Molpadia venne eretto un monumento che Pausania ricorda ancora ad Atene.

Momo

Divinità minore dell'Olimpo graco. Figlio del Sonno e della Notte, era personificazione del sarcasmo e dello scherzo crudele. Si vuole che gli dèi, irritati per il suo comportamento, lo cacciassero dall'Olimpo. Una leggenda narra che, avendo un giorno Atena, Poseidone ed Efeso sottoposto al suo giudizio tre loro opere, la casa, il toro e l'uomo, Momo le criticasse tutte e tre: la casa, perché non si può trasportarla da un luogo all'altro, il toro perché ha le corna ai lati della testa anziché sulla fronte e perciò più scomode per colpire, e l'uomo infine perché non ha nel petto una finestra che permetta di sapere cosa c'è nel suo cuore.
Era raffigurato come un nano, calvo, nudo e con una maschera in mano. Non trovando nessun difetto in Afrodite, si mise a dire che i sandali della dea scricchiolavano.

Mopso 1

Eroe greco intorno al quale si hanno versioni diverse. E' detto Lapita di Ecalia, figlio di Ampige e della ninfa Cloride, uno di coloro che presero parte alla caccia di Calidone, alla lotta violenta scatenatasi fra i Centauri e i Lapiti al matrimonio di Peritoo con Ippodamia, ai giochi funebri celebrati per le esequie di Pelia, e alla spedizione degli Argonauti, tra i quali compiva l'ufficio di indovino. Durante la navigazione degli Argonauti, posò il piede su un serpente libico che lo morsicò al tallone: una fitta nebbia scese sui suoi occhi e morì tra spasimi atroci. Gli Argonauti gli tributarono onori funebri come si conviene a un eroe.

Mopso 2

Gli antichi distinguevano un secondo Mopso, figlio di Apollo e di Manto, figlia di Tiresia. Una tradizione lo considerava come figlio di Racio, re della Caria, che Manto aveva incontrato uscendo dal tempio di Delfi, e che era stato così designato dal dio come suo sposo. A Claro, fondata da Manto, Mopso divenne profeta di Apollo; a Colofone e a Mallo nella Cilicia aveva oracoli e culto di eroe. Famoso indovino, fu causa della morte dell'indovino Calcante. A Colofone vi era un fico selvatico coperto di frutti e Calcante, sperando di mettere Mopso in imbarazzo, lo sfidò chiedendogli di dire esattamente quanti fichi saranno raccolti da quell'albero. Mopso rispose che l'albero avrebbe dato dapprima diecimila fichi, poi uno staio di fichi accuratamente pesati, e infine sarebbe rimasto un fico solo sui rami. Calcante rise ironicamente all'idea di quell'ultimo fico, ma quando l'albero fu spogliato dai suoi frutti, la predizione di Mopso si rivelò esattissima. Mopso vide una scrofa gravida, e chiese a Calcante quanti lattonzoli di ciascun sesso si celavano nel ventre e quando si sarebbe sgravata. "Otto lattonzoli e tutti maschi, e la scrofa partorirà tra otto giorni", rispose Calcante a caso, sperando di poter ripartire prima che la sua predizione si scoprisse falsa. Mopso subito replicò: "Secondo me nasceranno tre lattonzoli, di cui solo uno maschio, domattina all'ora sesta, non un minuto prima, non un minuto dopo". Mopso ebbe ragione ancora una volta e Calcante morì di crepacuore. I suoi compagni lo seppellirono a Nozio.
Mopso e Anfiloco avevano fondato la città di Mallo in Cilicia e quando Anfiloco si ritirò nella sua città natale di Argo Anfilochia, Mopso divenne l'unico sovrano. Alfiloco, dopo dodici mesi, ritornò a Mallo certo di poter riassumere i poteri, ma Mopso gli intimò di andarsene. I Malli, imbarazzati e sgomenti, proposero di risolvere la vertenza con un duello. I rivali si affrontarono e morirono tutti e due per le ferite riportate. I roghi funebri furono disposti in modo che Mopso e Anfiloco non potessero scambiarsi insulti durante la cremazione, ma inspiegabilmente le loro ombre si legarono di profonda amicizia e istituirono un oracolo in comune; tale oracolo ha ora fama di essere più veridico di quello di Delfi.

Morfeo

Era la divinità dei sogni per gli antichi che collegarono il suo nome con la parola greca che significa la "forma"; però, siccone genealogicamente derivava dalla Notte, sembra migliore interpretazione quella che lo collega con Hypnos ("buio"). Figlio e ministro del Sonno (Ipno) si mostrava mandato dal padre ai dormienti sotto l'aspetto di qualche persona nota per fare rivelazioni, o per suggerire consigli, o per dare notizie. Era raffigurato come un vecchio, con una corona di papaveri e una cornucopia, provvisto di ali con le quali giungeva senza essere avvertito. Tra i numerosi suoi fratelli, Fantaso fa apparire ai dormienti case e paesaggi, Fobetore (o Icelo) assume nelle sue apparizioni ai dormienti forme di animali.

Mori (Iliade)

Mori, figlio di Ippotione e personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Mori fu ucciso da Merione nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.

Mosino

Nella mitologia greca, Mosino era il nome di un guerriero acheo che faceva parte dell'esercito di Aiace Telamonio durante la guerra di Troia. È citato nel libro VI del Posthomerica di Quinto Smirneo.

Mosino e suo fratello Forci abitavano l'isola di Salamina, nel Mar Egeo, dominata al tempo da Aiace Telamonio. Combattenti di valore, giovanissimi, furono reclutati da Aiace stesso per combattere a suo fianco nella guerra di Troia. Entrambi salirono a bordo di una delle dodici navi disposte dall'eroe.

La morte


Mosino per primo trovò la morte sul campo di battaglia per mano di Paride (fu forse trafitto da una freccia); dopo di lui, il troiano ammazzò il fratello Forci.

Mulio


Mulio è il nome di due guerrieri citati nell'Iliade:

* Mulio, guerriero troiano ucciso da Patroclo nel libro XVI.

* Mulio, guerriero troiano ucciso da Achille nel libro XX.

Mulio vittima di Achille


Achille, infuriato per la morte del suo caro amico Patroclo, rientrò in battaglia uccidendo tantissimi guerrieri di Ettore, che gli aveva ucciso il caro compagno. Tra questi vi fu anche Mulio, un troiano, che, assalito da Achille, morì ucciso da una sua lancia che gli entrò in un orecchio e, perforato il cervello, uscì per l'altro.

Munito

Figlio d'Acamante e di Laodice, la più bella delle figlie di Priamo.
Quando Acamante giunse a Troia con l'ambasciata di Diomede, dieci anni prima dell'inizio della guerra, per richiedere la restituzione di Elena, fu scorto da Laodice che s'innamorò di lui. La ragazza confidò la sua passione alla moglie di Perseo, Filobia, la quale decise di aiutarla. Convinse il proprio marito, che regnava sulla città di Dardano, in Troade, a invitare separatamente i due giovani a un banchetto, e a metterli l'uno accanto all'altra. Alla fine del banchetto, Laodice era diventata la moglie di Acamante. Da questa unione nacque un figlio, Munito, che fu allevato nella casa di Priamo dalla bisnonna, Etra, madre di Teseo, allora prigioniera d'Elena. Dopo la caduta di Troia, Munito ritornò dal padre che lo condusse in Attica insieme a Etra, infine liberata. Ma, durante il viaggio, a Olinto, Munito, mentre cacciava, fu morso da un serpente e morì.

Muse

Erano le nove figlie di Zeus e di Mnemosine . Il sommo dio si unì per nove notti con Mnemosine figlia di Urano e di Gea. Allo scadere della gestazione la dea partorì nella Pierìa, ai piedi dell'Olimpo, nove bimbe. Altra tradizione ne fa le figlie di Urano ("il Cielo") e di Gea ("la Terra"). In Omero le Muse appaiono come antichissime e sempre giovani dee della musica che rallegrano col loro dolce canto la mensa degli dèi dell'Olimpo; e sono poi ricordate come coro del banchetto nuziale degli dèi per le nozze di Peleo e Teti, celebrate dinanzi alla grotta di Chirone sul monte Pelio. I tebani ancora mostrano il luogo dove le Muse suonarono il flauto e cantarono, e Apollo trasse dolci suoni dalla lira, durante la festa nuziale di Cadmo e Armonia. Solo più tardi presiedettero alle arti, alle scienze, alle lettere, alla poesia, ciascuna con attributi particolari. Nella Teogonia di Esiodo la figura delle Muse è più precisa e distinta, si fissa a nove il loro numero con i rispettivi nomi. Le singole Muse, nel mito greco antico non hanno storia particolare, e solo nella tradizione postclassica si ha una precisa distribuzione di funzioni per ciascuna di esse, con emblemi e attributi propri. Clio, che canta la gloria, divenne la Musa dell'epopea e della storia, e fu rappresentata con un rotolo di carta e uno stilo; Euterpe, che rallegra, Musa della musica, ebbe il doppio flauto; Talia, Musa della commedia, la maschera comica; Melpomene, Musa del canto in genere, poi della tragedia, la maschera tragica; Tersicore, che si diletta dei cori, Musa della danza, la lira e la veste che scende fino ai piedi; Erato, amante, Musa della poesia erotica, uno strumento a corde e la veste svolazzante; Polimnia, dai molti inni, Musa ora della lirica religiosa, ora della memoria, non ha attributi simbolici particolari; Urania, la celeste, Musa dell'astronomia, ebbe un globo e una bacchetta; Calliope, dalla bella voce, Musa della poesia in genere, poi dell'elegia, un rotolo di carta o una cassetta di libri e uno stilo.
Il loro culto, passato dalla Pieria nella Beozia, fu portato più tardi a Delfi, dove le Muse ebbero un santuario presso la fontana Castalia, e probabilmente qui avvenne il collegamento delle Muse con Apollo divenuto guidatore del loro canto, Musagete. Se questo epiteto dato al dio è tardo, assai antica è invece l'associazione fra lui e le Muse. L'antichità di essa è testimoniata dal carattere primitivo e crudele del mito relativo alla gara musicale fra Apollo e Marsia, riuscita vittoriosa per Apollo, giudicata da Zeus alla presenza di Atena e delle Muse, e conclusa con la condanna di Marsia a essere scorticato vivo. Chi osava offendere le Muse veniva severamente punito, come le figlie di Pierio, re della Tessaglia. Questi aveva nove figlie che vollero rivaleggiare con le Muse nel canto e furono battute e mutate, come racconta Ovidio, in rauche gazze. Da questo evento le Muse a volte vengono chiamate Pieridi. Anche Tamiri, un giovane di rara bellezza, osò sfidarle. Egli eccelleva contemporaneamente nell'arte del canto e in quella della lira, e volle confrontarsi con le Muse in una gara musicale. Aveva chiesto, in caso di vittoria, di unirsi successivamente a tutte le Muse, ma fu vinto, e le dee, irritate, lo accecarono e lo privarono della sua abilità musicale. Le Sirene dopo una gara di canto con le Muse (gara in cui furono battute) persero le ali.
Le Muse non possiedono un ciclo leggendario loro proprio, viene attribuita a ciascuna di loro qualche avventura amorosa. Calliope è madre di Orfeo, il più famoso poeta e musicista mai esistito. Apollo gli donò la lira e le Muse gli insegnarono a usarla. Urania o Tersicore è considerata madre di Lino, il quale era un musico notevole, che osò rivaleggiare con lo stesso Apollo e questi, indignato, lo uccise.
Il culto delle Muse si estese poi a Eleutere, nell'Attica e in tutta la Grecia. Lo troviamo ad Atene, a Corinto, a Trezene, a Sparta, a Messene, a Olimpia, a Megalopoli; nelle isole a Creta, Lesbo, Paro, Tera; nelle colonie greche di Sicilia e della Magna Grecia, a Siracusa, Crotone, Taranto, Turii. Fatte dai poeti abitatrici dell'Olimpo a rallegrare i conviti degli dèi, più spesso furono trasportate in terra, sui monti, nei banchetti, presso le fresche sorgenti, fra cui notevoli le tre fonti di Aganippe, di Castalia e di Ippocrene; questa era stata fatta sgorgare dal monte Elicona dal cavallo Pegaso, detto il favorito delle Muse, battendo al suolo il suo zoccolo lunato. A seconda delle regioni e delle località predilette le Muse ebbero epiteti svariatissimi: Parnassidi, Eliconidi, Pindidi, Pimpleidi, Castalidi, Ippocrenidi, Aganippidi, Pieridi.
Il più importante e il più splendido fra tutti i santuari dedicati alle Muse in Grecia fu quello dell'Elicona, nel quale ogni cinque anni si celebravano grandi feste che comprendevano principalmente concorsi musicali e poetici; in seguito si arricchirono di tragedie, commedie, drammi satireschi. Si celebrarono fino al tempo di Costantino.
Con la letteratura greca le Muse entrarono anche in Roma, e secondo la tradizione Numa Pompilio per primo avrebbe consacrato loro un'edicola sul Celio e un boschetto irrigato da fonti, specialmente dalla celebre fonte della ninfa Egeria. Scarsa fu la loro importanza nel culto. Un unico tempio fu loro innalzato da Fulvio Nobiliore, ove erano associate a Ercole, e solo contribuì a renderle più popolari la loro identificazione con le Camene, divinità indigene dell'ispirazione profetica, già avvenuta quando Fulvio dedicò il suo tempio.

Museo (autore mitico)

Museo è un personaggio leggendario associato ad Orfeo.

A seconda delle fonti è figlio o discepolo di Orfeo, figlio di Selene, la mitologia narra sia stato cresciuto dalle Ninfe. Non vi è una tradizione coerente sulla provenienza: sarebbe di Atene o trace o nato ad Eleusi. L’associazione ad Eleusi è attestata anche in altri modi: secondo alcuni autori avrebbe presieduto ai misteri eleusini, mentre secondo altri sarebbe stato suo figlio Eumolpo ad istituirli.

A Museo, poeta e divinatore, la tradizione attribuisce oracoli, inni, una Titanomachia, un Inno a Demetra, una Eumolpia, un libro Sui Trespoti e l'introduzione dell' Attica dei misteri d'Eleusi. Delle opere attribuitegli si sono conservati pochi frammenti poetici di argomento teogonico e mitologico.

Secondo Giorgio Colli la figura di Museo potrebbe essersi originata isolando gli elementi apollinei della figura dominante di Orfeo, che si sarebbe così caratterizzata più compiutamente in senso dionisiaco.

Myskellos di Rhype


Myskellos di Rhype è una figura della mitologia greca, condottiero dei coloni achei fondatore di Crotone.

Secondo una leggenda, l'oracolo di Apollo a Delfi ordinò a Myskellos di Rhype di fondare una nuova città nel territorio compreso fra Capo Lacinio e Punta Alice. Dopo aver attraversato il mare ed esplorato quelle terre, Myskellos pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già florida e accogliente anziché affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città. Il dio adirato gli ordinò di rispettare il responso dell'oracolo. Secondo Ovidio sarebbe stato invece Eracle ad ordinare a Myskellos di recarsi sulle rive del fiume Esaro.

Nell'Eneide di Virgilio Enea e la Sibilla incontrano Museo nei Campi Elisi, tra gli spiriti beati più degni, "che svetta con ampie spalle". E sarà lui, su richiesta della Sibilla, a guidarli verso il sentiero che li condurrà ad Anchise. Museo spiega loro anche la non stabile sede delle anime del luogo (nulli certa domus), e la loro collocazione sparsa tra ameni e confortevoli luoghi naturali.

Muzio Scevola

Leggendario eroe romano che durante l'assedio di Roma attuato dagli Etruschi decise d'uccidere il loro re Porsenna di Chiusi. Indossò abiti etruschi e s'infiltrò nel campo nemico; ma, non conoscendo il re, per errore uccise il suo segretario. Arrestato ed esortato a far conoscere i suoi complici, per dimostrare la sua indifferenza di fronte ai tormenti, stese la mano destra sopra un braciere ardente destinato alla celebrazione d'un sacrificio, e impassibile lasciò che bruciasse. Pieno d'ammirazione, Porsenna fece portar via il braciere e restituì al suo nemico la spada che gli era stata tolta. Muzio dichiarò (mentendo) che trecento Romani si nascondevano nel campo aspettando l'occasione di riuscire nell'impresa da lui fallita, e che egli era stato semplicemente designato dalla sorte per un primo tentativo. Spaventato, Porsenna stipulò un armistizio con Roma, e l'assedio fu tolto.
Da questo fatto gli venne il soprannome di Scevola, cioè "mancino", che poi tutti i Muzio conservarono. In realtà, il congnome proviene da un amuleto detto scaevola, che si portava contro la iettatura, interpretato erroneamente come mancino, cioè privo della mano destra, attribuendone l'origine al leggendario atto eroico di Gaio Mucio.

Edited by demon quaid - 29/12/2014, 21:31
 
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