Un Mondo Accanto

Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

« Older   Newer »
  Share  
Demon Quaid
view post Posted on 7/10/2010, 08:03 by: Demon Quaid     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Nefele

Nella mitologia greca, Nefele, era il nome di vari personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Nefele, la nuvola magica sposa di Issione.
* Nefele, Dea delle nubi, figlia di Zeus. Sposò Atamante.

Nefele (Issione)

Nella mitologia greca, Nefele è il nome attribuito ad una donna creata da una nuvola da Zeus (Nefele in greco significa infatti nuvola), moglie di Issione re dei Lapiti. Non va confusa con un'altra Nefele, che era la vera e propria dea delle nubi.

La storia racconta di Issione che prima di sposare la sua promessa sposa Dia uccise il padre di lei Deioneo. Per un omicidio del genere doveva essere purificato e solo Zeus acconsentì a farlo. L'uomo non fu grato di tale gesto, anzi provò a violentare la moglie del padre degli dei Era. Per salvarla Zeus creò una donna da una nuvola, dandole le sembianze di Era; a questa donna viene attribuito il nome Nefele.

Altri autori come Apollodoro raccontano che ebbe due figli da Nefele: Centauro e Piritoo.

Si racconta che da tale unione nacque anche un altro centauro, tale Folo.

Nefele (Zeus)

Nella mitologia greca, Nefele era il nome di una delle figlie di Zeus: era la Dea delle nubi. Non va confusa con un altro personaggio della mitologia greca, una donna creata da una nuvola a cui viene attribuito il nome Nefele, che letteralmente significa appunto nuvola.
La dea Nefele. Affresco dal muro presente nella Casa dei Vettii in Pompei.


Sposò Atamante. Ebbe due figli, Frisso ed Elle, ma il marito in seguito l'abbandonò per Ino. Fu lei ad inviare l'ariete dal vello d'oro per salvare il figlio dal piano architettato dalla seconda moglie. L'essere, chiamato Crisomallo e dono del dio Ermes, fu l'inizio dell'impresa che Giasone compierà con gli Argonauti.

Neleo 1

Personaggio mitico dell'antica Grecia, sulla cui nascita si elaborarono tradizioni leggendarie diverse. Si narra nell'Odissea che Tiro, figlia di Salmoneo, vagando sulle rive dell'Enipeo si innamorasse di questo dio fluviale, ma fosse poi posseduta da Poseidone che di Enipeo aveva preso il sembiante. Ne nacquero due figli, dei quali il dio predisse che sarebbero diventati potenti e felici. Erano appena nati quando la madre, non avendo il coraggio di affrontare la collera della matrigna Sidero, espose i due gemelli su di un monte. Un guardiano di cavalli, che passò per caso accanto ai neonati, li portò a casa sua, ma non potè impedire che una delle sue giumente colpisse il mggiore dei gemelli con un calcio al viso. La moglie del guardiano di cavalli si occupò dei piccoli; fece allattare il maggiore dalla giumenta che lo aveva sfregiato e lo chiamò Pelia per via della cicatrice (la parola greca pelion significa "livido"); l'altro, chiamato Neleo, prese la sua natura selvaggia dalla cagna che gli fu nutrice. Non appena Neleo e Pelia seppero chi fosse la loro vera madre e quali maltrattamenti avesse dovuto subire dalla matrigna, decisero di vendicarla. Sidero si rifugiò nel tempio di Era, ma Pelia la colpì a morte mentre essa si aggrappava all'altare. Questo fu il primo dei molti oltraggi fatti da Pelia alla dea. Tiro sposò in seguito suo zio Creteo, fondatore di Iolco, e a lui generò Esone, padre di Giasone l'Argonauta; Creteo adottò anche Pelia e Neleo come suoi figli. Dopo la morte di Creteo, i gemelli vennero alle mani. Pelia si impadronì del trono di Iolco, esiliò Neleo e tenne Esone prigioniero nel palazzo. Neleo guidò i nipoti di Creteo, Melampo e Biante, con un gruppo di Achei, Ftioti ed Eoli, verso la Messenia, dove scacciò i Lelegi da Pilo e portò la città a un tale splendore che ne viene ora ricordato come il fondatore. Sposò Cloride, nipote di Giasone, ed ebbe secondo una tradizione tre figli, secondo un'altra dodici figli e una figlia, Pero. Il regno di Neleo fu funestato dalla guerra che gli mosse Eracle, perché egli non aveva voluto purificarlo dopo l'uccisione di Ifito, figlio di Eurito. Durante la lunga guerra caddero tutti i figli di Neleo: soltanto Nestore sfuggì al massacro, perché era assente. Secondo alcuni Neleo fu ucciso da Eracle; secondo Pausania avrebbe fondato ancora i giuochi istmici e sarebbe stato sepolto a Corinto.

Neleo 2

La tradizione ricorda Neleo figlio di Codro, che fu l'ultimo re di Atene. Dopo la morte del padre fu scacciato dall'Attica dal fratello Medonte, il quale assunse il titolo di arconte a vita. Neleo allora si recò nella Ionia conducendo una colonia di Ioni, onde gli fu attribuita la fondazione di parecchie colonie a cominciare da Mileto. Neleo in età assai antica aveva culto in Atene e questo culto era comune fra gli Ioni, sicché molte famiglie regnanti di numerose città ioniche riportavano a Neleo la loro origine. Un decreto ateniese del 418-417 a.C. stabiliva norme per il restauro del santuario di Codro, Neleo e Basile; ma in realtà si trattava di un antico thèmenos di Neleo lo Spietato, una divinità infernale. La figura di Neleo si venne oscurando nel tempo; poiché gli Ioni d'Asia riguardavano l'Attica come loro madrepatria, si favoleggiò che Neleo o almeno i suoi discendenti dovevano aver regnato in Atene.

Nemesi

Dea della giustizia e della vendetta, punizione anche degli amanti crudeli. In Omero Nemesi non è ancora personificata; è nominata in Esiodo, e la Teogonia la dice figlia della Notte e flagello dei mortali; con Pindaro e coi tragici diventa apportatrice di sventura e dispensatrice di guai a coloro che conseguono troppa felicità. Ma diventa, più che una vera dea, una potenza divina astratta, tutrice dell'ordine e dell'equilibrio dell'universo, che assegna all'uomo la sua sorte, cioè la felicità o la sventura secondo la giustizia e il merito, ripristinando così l'ordine morale quando viene turbato.
Una leggenda la presenta come una vergine amata da Zeus e che fugge l'inseguimento del dio. Taluni dicono che Zeus un giorno si innamorò di Nemesi e la inseguì per terra e per mare. Benché essa mutasse continuamente forma, egli riuscì infine a violarla assumendo l'aspetto di un cigno, e dall'uovo che Nemesi depose nacque Elena di Troia. Altri narrano che quando Zeus si innamorò di Nemesi, costei si tuffò nell'acqua e divenne un pesce; Zeus la inseguì trasformandosi in castoro. Nemesi balzò allora sulla riva e continuò a trasformarsi in questo o in quell'animale selvatico, ma non riuscì a liberarsi dal dio che subito assumeva la forma di animali ancor più forti e agili. Infine essa si alzò in volo in sembianza d'oca selvatica, ma Zeus divenne cigno e, trionfante, la coprì a Ramnunte, in Attica. Nemesi scrollò rassegnata le penne e si recò a Sparta, dove Leda, moglie di Tindareo, trovò un uovo in una palude, lo portò a casa e lo ripose in un cofano: e quando l'uovo si dischiuse nacque Elena. Altri ancora dicono che Zeus, fingendo di essere un cigno inseguito da un'aquila, si rifugiò nel grembo di Nemesi e la violentò; a tempo debito Nemesi depose un uovo che Ermete mise tra le cosce di Leda, mentre sedeva su uno sgabello, a gambe larghe. Leda diede così alla luce Elena e Zeus pose nel cielo l'immagine del Cigno e dell'Aquila a ricordo della sua astuzia.
Secondo la versione più comune, tuttavia, Zeus in veste di cigno si unì a Leda stessa sulle rive del fiume Eurota; poi Leda depose un uovo dal quale nacquero Elena, Castore e Polideuce, e fu deificata in seguito col nome di dea Nemesi. Il marito di Leda, Tindareo, si giacque con lei nel corso della medesima notte, e benché taluni sostengano che tutte e tre le creature uscite dall'uovo (e anche Clitennestra, nata, come Elena, da un secondo uovo) fossero figlie di Zeus, altri dicono che soltanto Elena fosse di origine divina, mentre Castore e Polideuce erano figli di Tindareo; altri amcora, che Castore e Clitennestra erano figli di Tindareo, ed Elena e Polideuce figli di Zeus.
Centro principale del suo culto fu Ramnunte nell'Attica, dove era venerata come figlia di Oceano e come madre di Elena e di Eretteo. Nemesi porta un ramo di melo in mano e una ruota nell'altra, e in capo una corona adorna di cervi; uno scudiscio pende dalla sua cintura, e la sua bellezza e paragonabile a quella di Afrodite. Le feste Nemesie erano celebrate ogni anno ad Atene il 5 Boedromione (settembre) presso Maratona in riva al mare.

Neottolemo (mitologia)

Neottolemo, è un personaggio della mitologia greca, figlio di Achille e della principessa Deidamia, il quale partecipò come il padre alla guerra di Troia.

Achille portava allora il soprannome di Pirra, "la Fulva", poiché la madre Teti, dopo aver saputo da un oracolo che suo figlio sarebbe morto davanti a Troia, immaginò di nascondere il giovane rivestendolo di abiti femminili e facendolo vivere alla corte di Licomede, re di Sciro, dove visse per nove anni con le figlie del re, fra cui Deidamia, e, proprio per il colore dei suoi capelli di un biondo ardente, prese questo appellativo alla corte reale, che poi ereditò Neottolemo prendendo l'epiteto di Pirro. In ogni caso è riconosciuto con due nomi, Neottolemo e Pirro, usati indistintamente.

Si raccontava che la madre di Achille, Teti, un giorno venne a conoscenza di una profezia dell’indovino Calcante, che annunciava una disfatta dei Greci da parte dei Troiani se suo figlio non avesse partecipato alla guerra che stava per scoppiare tra di loro; conoscendo il destino di Achille, destinato a morire in guerra proprio a Troia e in giovane età, si apprestò a nasconderlo agli Achei; lo sottrasse alle cure del centauro Chirone e lo condusse a Sciro, dove regnava il re Licomede, che aveva numerose figlie. La Nereide svelò al re le sue preoccupazioni e fece indossare al figlio degli abiti femminili; inoltre convinse Licomede a cambiare nome al figlio, che da allora fu soprannominato Cercisera o Issa. Vivendo per nove anni con le figlie di Licomede, Achille veniva però chiamato soprattutto Pirra, “la Fulva”, proprio per il colore dei suoi capelli di un biondo ardente, nome che ereditò, appunto, proprio suo figlio Neottolemo.

Durante la sua lunga permanenza a Sciro, Achille trascorse molto tempo con una figlia del re, Deidamia, con la quale giacque segretamente. La rese infine incinta di un figlio, Neottolemo, nato, secondo la tradizione, proprio l’anno della partenza dell’eroe per Troia. Venne alla luce, infatti, proprio durante il ritorno di Achille a Sciro, dopo la sconfitta della Misia e il ferimento di Telefo. Una tradizione diversa raccontava come Pirro non fosse in realtà figlio di Deidamia quanto di Ifigenia[3]. Quando la vergine stava per essere sacrificata sull’altare alla dea Artemide, Clitennestra, madre della giovane, pregò tra le lacrime Achille di riportargli la figlia e salvarla dal sacrificio[4]. L’eroe intervenne, salvando la vergine e conducendola in Scizia, dove la sposò e le diede come figlio Neottolemo.

Imprese a Troia

Nato dopo la partenza del padre per la guerra di Troia, Neottolemo fu allevato dal nonno. Dopo la morte di Achille e la cattura dell'indovino Eleno, gli Achei seppero da quest'ultimo che la città non sarebbe mai caduta se Neottolemo non fosse venuto a combattere in mezzo a loro. Un'altra condizione era anche il possesso dell'arco e delle frecce di Eracle. Inviarono dunque un'ambasciata, composta da Ulisse , Fenice e Diomede, a cercare Neottolemo a Sciro. Licomede s'oppose alla partenza del giovane; ma questi, fedele alla tradizione paterna, seguì gli ambasciatori greci. Sulla strada di Troia, li accompagnò a Lemno, dove si trovava Filottete, ammalato ed incapace di risolvere la situazione nella quale lo aveva lasciato Agamennone dietro consiglio di Ulisse. Ma Filottete possedeva le armi di Eracle, e Neottolemo, insieme ad Ulisse e Fenice, lo convince a venire a Troia. Davanti a Troia, citato nell'Eneide, dove è perfino protagonista nel II canto, Neottolemo compì numerose imprese: uccise in particolare Euripilo, figlio di Telefo e, per la gioia, inventò una danza guerriera che portava il suo nome, la pirrica.

Neottolemo uccise numerosi Troiani in battaglia:

* Euripilo, che condusse un grande esercito di Misi per aiutare i Troiani contro gli invasori Achei.
* Agenore, eroe troiano, il quale si trovava nello stesso gruppo di Paride ed Alcatoo ed era figlio di Antenore.
* Polibo, un altro figlio di Antenore, fratello di Agenore, venne anch'esso ucciso dall'invincibile guerriero.
* Alcidamante e Melaneo, figlio di Alessinomo, che vissero a Cauno, una città della Licia, nel sud est dell'Asia Minore.
* Antifono, Polite e Pammone, figli di Priamo, vennero anch'essi uccisi dall'eroe, la notte della caduta di Troia.
* Astinoo, figlio di Protiaone.
* Il Re Priamo supplice all'altare


Figura tra gli eroi che entrarono nel Cavallo di legno e conquistarono la città. Durante i combattimenti decisivi, uccise Elaso, Astinoo e Polite, ferì Corebo e Agenore, figlio di Antenore, poi uccise lo stesso Priamo che si era rifugiato presso un altare, e fece precipitare il piccolo Astianatte dall'alto di una torre: così Ettore era stato ucciso da Achille, e suo figlio dal figlio di Achille. Nel bottino di guerra, Neottolemo ottenne Andromaca, vedova di Ettore. Per onorare la memoria del padre,immolò sulla sua tomba Polissena. A partire dal ritorno da Troia, le versioni cominciano ad essere dissimili: nella tradizione omerica, Neottolemo torna in Grecia con Menelao, il quale gli diede in sposa la figlia Ermione, e si trasferì in Ftiotide. Altre versioni dicono che si trasferì in Epiro, dove ebbe da Andromaca i figli Molosso, Pielo e Pergamo, e che venne ucciso da Oreste perché aveva rapito Ermione, sua futura sposa e non di Neottolemo. Un'altra versione ancora dice che venne ucciso dai sacerdoti di Delfi, fra cui Machereo, sotto responso della Pizia: Apollo prolungava la sua collera contro Achille fino ai suoi discendenti.

Nereidi

Le antiche tradizioni elleniche davano l'impero dell'Oceano a Nereo e a Doride, e la inesauribile fecondità del mare era simboleggiata da una ricca famiglia di ninfe marine, le Nereidi o Doridi; Esiodo ne nomina 50, Omero soltanto 34; altri mitografi tardivi parlano anche di 100 ninfe marine, la prima delle quali era Anfitrite, diretta emanazione di Doride. Esse personificavano i movimenti della onde, il loro colore, i vari aspetti della vita del mare; così quella azzurra, Glauco; la verdeggiante, Talia; l'ondeggiante, Cimodoce; la incalzante, Dinamene. Soltanto alcune di esse ebbero una leggenda particolare, come Anfitrite, sposa di Poseidone, Teti madre di Achille, Orizia rapita da Borea, Galatea amata dal ciclope Polifemo. Abitavano in fondo al mare, nel palazzo del padre Nereo, sedute su troni d'oro. Occupavano il tempo a filare, a tessere e a cantare, ma talvolta apparivano alla superficie delle onde, cavalcando tritoni o altri mostri marini; erano divinità benefiche alle quali i marinai offrivano sacrifici.
Il più delle volte, intervengono nelle leggende come spettatrici, raramente come attrici. Offese da Cassiopea che si era un giorno vantata dicendo che la bellezza di sua figlia Andromeda superava quella delle Nereidi, si lagnarono di quell'insulto invocando l'aiuto del loro protettore Poseidone che pretese il sacrificio di Andromeda. Ma poi le Nereidi furono presenti alla liberazione di Andromeda da parte di Perseo. Teti con le Nereidi guidò gli Argonauti oltre le infuocate Simplegadi o Rocce Vaganti, che sono fermamente ancorate al fondo marino. Alle nozze di Peleo e Teti, celebrate dinanzi alla grotta di Chirone sul monte Pelio, le cinquanta Nereidi intrecciarono una danza a spirale sulla bianca sabbia. Indicarono a Eracle come ottenere da Nereo le informazioni necessarie sulla via del paese delle Esperidi. Un gruppo di Nereidi giunse a Troia per piangere con Teti: si disposero in cerchio attorno al cadavere di Achille, mentre le nove Muse intonavano il lamento che durò diciassette giorni e diciassette notti. Al diciottesino giorno il corpo di Achille fu bruciato sul rogo e le sue ceneri, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto, dono di nozze di Dioniso a Teti.
Il culto delle Nereidi fu un tempo diffusissimo lungo le coste del Mediterraneo, in Tessaglia, in Beozia, a Corinto, a Delo, a Lesbo, a Corcira; ma perdette parte della sua importanza col prevalere di quello di Poseidone. I nomi di molte Nereidi ci sono conservati dai poeti e dalle iscrizioni vascolari. Gli artisti le rappresentarono spesso sotto le parvenze di vaghe giovinette dalla chioma adorna di perle, sopra delfini o ippocampi, talvolta come esseri fantastici, metà donna e metà pesce.

Nereo

Nella Teogonia di Esiodo è detto figlio di Ponto e di Gea, e fratello di Forcio, Taumante, Euribea e Ceto. Era la più gradita e la più celebrata fra le divinità marine; personificava il mare nei suoi migliori aspetti, più lieti, più pittoreschi e più utili agli uomini. Omero, pur non nominandolo mai chiaramente, lo ricorda qualche vlta come nume di avanzata vecchiezza e padre delle ninfe del mare che dal suo nome si chiamavano Nereidi. Il suo culto era localizzato spesso nelle isole o sulle coste o in prossimità delle foci dei fiumi. I Greci immaginavano che Nereo abitasse, insieme con la sposa Doride e con le figlie in fondo al mare Egeo, e lo ricordavano per il suo spirito profetico e per la sua capacità di tramutarsi in molte forme diverse. A causa di queste sue virtù lo troviamo introdotto in particolare nelle leggende di Eracle e di Paride. Si raccontava che, quando Eracle si recò da lui per chiedergli in qual modo avrebbe potuto impadronirsi dei pomi d'oro delle Esperidi, Nereo avesse cercato di evitare di rispondergli assumendo l'aspetto di vari animali. Quando però l'eroe agguantò il canuto dio del mare e senza lasciarselo sfuggire di mano nonostante le sue continue proteiche metamorfosi, lo costrinse a rivelargli il modo di impossessarsi delle mele d'oro, Nereo acconsentì a dargli risposta e gli consigliò di non cogliere le mele con le proprie mani, ma di servirsi di Atlante, alleggerendolo nel frattempo dell'enorne peso che gravava sulle sue spalle. Invce a Paride, stando a una tradizione conservataci da Orazio, avrebbe spontaneamente predetta la triste sorte che lo attendeva.
Nelle pitture vascolari è spesso rappresentato come un gran vecchio coperto di alghe e di giunchi marini.


Nerito


Nerito è un personaggio della mitologia greca. Secondo alcune fonti era l'unico figlio maschio di Nereo e di Doride e quindi fratello delle cinquanta Nereidi. Dalle sorelle e dai genitori aveva ereditato un bellissimo aspetto, tanto da far innamorare Afrodite nel periodo in cui la dea viveva nel mare. Quando Afrodite dovette salire sull'Olimpo, volle portare con sè Nerito, ma il giovane preferì restare con il padre Nereo e le sorelle, le Nereidi. La dea allora lo trasformò in una conchiglia. Tale metamorfosi è a volte attribuita alla gelosia che Elios (il Sole) provava per la rapidità con cui Nerite, amato da Poseidone, seguiva il dio tra le onde.

Nesea


Nesea è un personaggio della mitologia greca. È una delle Nereidi, ninfe del mare figlie di Nereo e protettrici dei naviganti. Fu la nutrice di Aristeo e compagna di sua madre, la ninfa Cirene.

Nesso (mitologia)

Il Centauro Nesso figlio di Issione e di Nefele, è una delle figure mitologiche del ciclo di Ercole o Eracle.

Nesso viveva sulle rive del fiume Eveno e usava traghettare i viaggiatori sull'altra sponda. Un giorno Eracle si trovò a passare il fiume assieme alla sua seconda moglie Deianira. Nesso si rifiutò di traghettare i due nello stesso momento, cosicché Eracle guadò il fiume da solo.
Quando Nesso si trovò ad avere in groppa la sola Deianira, tentò di rapirla dandosi alla fuga, ma fu ucciso da una freccia di Eracle. Nell'agonia, Nesso rivelò a Deianira che se ella avesse raccolto il suo sangue e ne avesse intriso una veste avrebbe potuto contare sull'amore eterno di Eracle: infatti ogni volta che Eracle avesse mostrato interesse verso un'altra donna sarebbe bastato che l'uomo indossasse quella veste per ritornare devoto a Deianira; l'imprudente donna seguì il consiglio.

Anni dopo, dopo la vittoriosa spedizione contro Ecalia, il vincitore Eracle che portava con sé la bella Iole, figlia del defunto re di Ecalia, si fermò a qualche distanza da Trachis e inviò Lica, un suo compagno, alla moglie Deianira per prendere una veste bianca per sacrificare. Lica raccontò tutto a Deianira, e questa, temendo la bellezza di Iole, consegnò a Lica la camicia di Nesso. Appena Eracle la indossò fu colto da terribili dolori, in quanto il sangue del centauro era contaminato dal veleno della freccia che lo aveva ucciso, intinta anni prima nel sangue dell' Idra di Lerna. Eracle, impazzito dal dolore, uccise Lica e ordinò di costruire una pira funebre su cui si fece bruciare. Deianira, impazzita per il rimorso, si impiccò.

Nestore
(mitologia)

Nestore è una figura della mitologia greca.

Figlio del re di Pilo Neleo e di Cloride, divenne re dopo l'uccisione del padre e dei fratelli da parte di Ercole. Famoso per essere il più vecchio e più saggio combattente sotto le mura di Troia. Ancora oggi molti modi di dire lo citano come sinonimo di più vecchio e saggio. In gioventù Nestore fu un valente guerriero e partecipò a molte imprese importanti, tra le quali la lotta dei Lapiti contro i centauri, la caccia al cinghiale di Calidone sotto la guida di Meleagro e la ricerca del vello d'oro con gli Argonauti.
Salito al potere a Pilo, Nestore sposò Anassibia (o Euridice, a seconda delle versioni), la quale gli diede numerosi figli: Pisidice, Policasta, Perseo, Stratico, Areto, Echefrone, Pisistrato, Antiloco e Trasimede.

Benché già anziano, quando iniziò la guerra di Troia partì con gli altri eroi greci per combattere contro i Troiani. Avendo governato per generazioni, godeva fama di uomo saggio e giusto, e dispensò consigli ai Greci durante il conflitto. Dopo la caduta di Troia, Nestore ritornò a Pilo dove ospitò Telemaco quando il giovane vi si recò per informarsi sul destino di suo padre Ulisse.

Il nome di Nestore ricorre anche in un'iscrizione poetica incisa su una coppa detta appunto di Nestore, il più antico documento di lingua greca, coevo ai poemi omerici.

Nettuno

Antichissima divinità romana identificata piuttosto tardi col greco Poseidone, figlio di Saturno e di Rea.
Il nome di Nettuno è di assai incerta etimologia. L'antichità del culto di Nettuno è documentata dalla festa dei Neptunalia che ricorre nell'antichissimo feriale di Numa Pompilio il 23 luglio; inoltre è provata dalla sua associazione nel culto con Salacia, divinità femminile secondaria romana, che doveva avere lo stesso significato originario di patrona delle fonti vive, e della quale poi si perdette il ricordo.
In origine Nettuno non fu un dio del mare come Poseidone, né figura fino all'ultimo secolo a. C. tra le divinità maggiori di Roma. Nettuno ci appare a Roma come un dio delle acque piovane originate da Giove, cioè le sorgenti, concezione corrispondente alla mentalità di una popolazione rurale che per lungo tempo, nei periodi più antichi della sua storia, non aveva avuto rapporto col mare. A questo carattere di Nettuno corrispondevano le Neptunalie anche col loro carattere agreste, celebrate come erano all'aperto con allegri banchetti o in capanne improvvisate con rami e frasche dopo la raccolta del grano. Il culto di Nettuno in Roma aveva proporzioni modeste. Sono ricordati due lettisterni in suo onore, uno del 395 a. C. in cui Nettuno venne onorato per la prima volta e l'altro del 217, i quali poco influirono sulla coscienza popolare e sul culto del dio. L'istituzione invece a Delo da parte degli Italici del collegio dei Neptunales o Posidoniasti è prova dello sviluppo del suo culto dalla metà del II secolo avanti Cristo. Nell'età repubblicana romana un solo tempio era stato eretto a Nettuno presso il Circo Flaminio, di cui ignoriamo l'anno di fondazione, mentre è ricordato nei Fasti al 1° dicembre il dies natalis.


Nicea
(mitologia)

Nicea è un personaggio della mitologia greca. Era figlia della divinità fluviale Sangario e di Cibele. Amava la caccia, era di bell'aspetto ma era anche molto superba, tanto da uccidere il pastore Imno che era innamorato di lei. Respinse anche l'amore di Dioniso, che però riuscì a possederla dopo averla ubriacata con il vino. Tornata in se', Nicea si uccise per il disonore e la vergogna.

Esiste un'altra versione del mito secondo cui sarebbe stata la madre dei Satiri.

Nicippe

Nella mitologia greca, Nicippe o Nicippa era una delle figlie di Pelope e Ippodamia.

Nicippe venne data in sposa a Stenelo, con cui ebbe diversi figli. Prima nacque Alcione, in seguito Medusa e poi Euristeo che il destino, sotto forma di Era moglie di Zeus, volle re di Micene. In seguito fu proprio l'ultimo figlio della coppia che ordinerà ad Eracle di effettuare le famose dodici fatiche.

Nicostrato

Nella mitologia greca, Nicostrato era il nome dell'eroe greco figlio di Menelao e di Elena o di Pieride.

Nicostrato è nato probabilmente dopo che la coppia reale tornò dalla battaglia di Troia, visto che i racconti del mito arrivati fino a noi indicavano che i due avessero un'unica figlia, Ermione, mentre Megapente era nato da un amore furtivo di Menelao. Gli altri figli della coppia si chiamano Eziola, Marafio e Plistene.

Nikaia (mitologia)

Nikaia è una figura della mitologia greca.

Fanciulla cacciatrice, uccise il mandriano Hymnos, trapassandogli la gola con una freccia, poiché questi stava dichiarandole il suo amore.

Fu posseduta nel sonno da Dioniso, dopo che il dio le aveva fatto bere del vino. Dall'unione nacque la figlia Telete.

Nike

Dea della vittoria presso i Greci. Secondo Esiodo era figlia del titano Pallante e di Stige, sorella di Zelos (Emulazione), di Cratos (Forza) e di Bia (Violenza). Nella battaglia tra gli dèi e i Titani abbandonò le schiere di suo padre. Guidò Eracle all'Olimpo. Ma la "vittoria dai dolci doni", per lo spirito greco l'aspirazione più nobile e affascinante dell'uomo, non poteva non diventare figlia di Zeus, figura parallela dell'altra sua figlia, Atena. Le si tributavano onori dopo ogni vittoria sia che fossero vittorie in guerra che in competizioni atletiche. Ad Atene fu in parte assimilata dalla dea Atena, infatti gli ateniesi adoravano una Atena Nice, questa però, non aveva le ali.
Particolare importanza ebbe il culto della Vittoria nella romanità. In origine non era che un attributo di Juppiter victor; staccatosi come divinità indipendente, il suo culto ebbe grande sviluppo nella tarda repubblica a opera di capi politici e dittatori che la assunsero come personificazione a un tempo delle loro vittorie e del favore divino: si ebbero così la Victoria Sullana, la Victoria Caesaris, e soprattutto la Victoria Augusta, componente essenziale dell'ideologia politica a base dell'impero.
Nike veniva raffigurata come giovane donna dalle grandi ali di aquila, con una corona d'ulivo sul capo e con un ramo di palma nella mano. Le sue statue più famose sono la Nike di Samotracia e la Nike di Peonio. La prima è un'insigne opera marmorea trovata nell'isola di Samotracia; era il dono votivo per la vittoria navale che Demetrio Poliorcete riportò su Tolomeo d'Egitto presso Salamina di Cipro nel 306 a. C.. La seconda, opera dello scultore Peonio, era un dono votivo dedicato dai Messeni e dai Naupazi dopo la battaglia di Sfacteria (425 a.C.).

Nilo (mitologia)

Nilo, nella mitologia greca, era il dio che personificava l'omonimo fiume, figlio di Oceano e Teti. Fu il padre di numerosi figli, fra cui Menfi che, insieme ad Epafo, re dell'Egitto, diede alla luce Libia. Libia, a sua volta, generò a Poseidone i gemelli Belo e Agenore i quali sposarono (presumibilmente) le giovani figlie di Nilo, rispettivamente di nome Anchinoe e Telefassa.

Fra gli altri figli di Nilo si ricordano Chione (figlia di Calliroe),[4] Busiris e (forse) le ninfe Caliadne e Polisso. Nonostante rappresentasse il più importante fiume del Nordafrica, l'importanza del dio Nilo, nella mitologia greca, fu assai limitato.

Ninfa
(mitologia)

La mitologia greca annovera molte ninfe (dal greco antico νύμφη, "giovane fanciulla"), semidivinità della natura. Vi sono molti miti su di esse, questi le associano spesso ai satiri, da cui la tendenza sessuale della ninfomania.

Niobe 1

Figlia di Tantalo, re della Lidia o della Frigia, e perciò sorella di Pelope. La madre sarebbe stata Erope, o Dione, o Eurianassa. Sposò Anfione re di Tebe e gli generò numerosi figli. Il loro numero varia secondo gli autori. Nella tradizione omerica si parla di dodici figli, sei maschi e sei femmine; secondo Esiodo ve ne sono venti, dieci figli e dieci figlie; Erodoto ne conta soltanto quattro; ma secondo la versione seguita da Euripide e da Apollodoro, e che appare la più logica, Niobe ebbe sette figli e sette figlie. Felice e fiera dei suoi figli, Niobe osò un giorno parlare sprezzantemente di Latona, già sua amica di fanciullezza e sua rivale, la quale ne aveva solo due, Apollo e Artemide. La dea la udì, si sentì offesa e chiese ad Apollo e ad Artemide di punire la presuntuosa Niobe. Apollo trovò i ragazzi che cacciavano sul monte Citerone e li uccise a uno a uno, risparmiando il solo Amicla, che aveva saggiamente innalzato una preghiera propiziatoria a Latona. Artemide trovò le fanciulle intente a filare in una sala del palazzo e con una manciata di frecce le sterminò tutte, salvo Melibea, che aveva imitato l'esempio di Amicla. I due sopravvissuti si affrettarono a innalzare un tempio a Latona, benché Melibea si fosse così sbiancata in volto per la paura che portava ancora il soprannome di Cloride quando sposò Neleo alcuni anni dopo. Ma altri dicono che nessuno dei figli di Niobe scampò alla strage e che anche suo marito Anfione fu ucciso da Apollo.
Per nove giorni e nove notti Niobe pianse i suoi morti e non trovò nessuno che li seppellisse, poiché Zeus aveva tramutato tutti i Tebani in pietre, a eccezione di Niobe. Al decimo giorno, gli dèi stessi si degnarono di guidare il funerale e di seppellirli personalmente. Niobe si rifugiò oltremare sul monte Sipilo, dimora del padre suo Tantalo, dove Zeus, mosso da pietà, la tramutò in una statua, che ancor oggi versa copiose lacrime all'inizio dell'estate.
Tutti gli uomini piansero Anfione, deplorando che la sua stirpe si fosse estinta, ma nessuno pianse Niobe, salvo suo fratello Pelope, orgoglioso quanto lei.
Esiste un'altra leggenda di Niobe, la quale spiega diversamente l'uccisione dei suoi figli. Qui, Niobe era figlia d'Assaone, che l'aveva sposata a un Assiro chiamato Filotto: questi fu ucciso durante una caccia, e Assaone si innamorò della figlia. Niobe si rifiutò di concedersi a lui; allora Assaone invitò i suoi nipoti (che erano in venti), e, durante il pranzo, appiccò il fuoco al palazzo. Furono tutti bruciati. Assaone, assalito dal rimorso si uccise. Niobe, o fu trasformata in pietra, oppure si gettò dall'alto d'una roccia.

Niobe 2

Un'argiva, figlia di Foroneo e della ninfa Teledice (oppure Cerdo, o Peito). Fu la prima fra le mortali ad essere amata da Zeus e generò Argo, re di Foronea, che venne poi chiamata Argo. Niobe, figlia del primo uomo, è la prima donna mortale, la "madre dei viventi".

Nireo

Nella mitologia greca, Nireo è il nome di due personaggi mitologici.

Questo nome è riferito alle seguenti figure mitologiche:

* Nireo, capo acheo al comando di una flotta durante la guerra di Troia.
* Nireo, abitante della Sicilia, originario di Catania.

Nireo, comandante greco

Nireo era un giovane capo greco di umili origini, dato che era figlio di Caropo e della ninfa Aglea, e governava sull'isola di Sime. Era un giovane di straordinaria avvenenza; Omero stesso spiega come per bellezza fosse secondo solo ad Achille tra i guerrieri greci che lottarono nei combattimenti contro Troia.

Insieme a numerosi altri pretendenti, desiderò sposare Elena, la quale tuttavia fu assegnata per un sorteggio a Menelao. Legato per un giuramento quando la donna fu rapita da Paride, si unì alla flotta achea con un ausilio di solo tre navigli come ci vienne raccontato nell'Iliade nel Catalogo della Navi.

Durante lo sbarco in Misia, gli Achei si scontrarono col re del posto, Telefo, figlio di Eracle, il quale aizzò il suo esercito contro gli invasori. La stessa moglie di Telefo, Iera, Astioca o Laodice, la quale secondo alcuni era una figlia di Priamo, riunì un esercito di donne guerriere e aiutò il marito nel respingere gli assalitori. Durante questo scontro fu uccisa proprio da Nireo, mentre Telefo veniva gravemente ferito con una lancia da Achille.

Secondo una tradizione, Nireo venne ucciso la notte della caduta di Troia da Euripilo, figlio di Telefo, il quale era giunto in aiuto di Priamo dalla Misia, insieme ai suoi uomini. I Greci lo seppellirono con onore e si dice che la sua tomba si trovi ancora in Troade. Una seconda versione sostiene che Nireo non morì ucciso in questa guerra ma che avesse accompagnato l'amico Toante nei suoi viaggi, dopo la presa di Troia.

Nireo, abitante di Catania


Nireo era un abitante di Catania il quale, deluso per un abbandono amoroso, si gettò giù da un precipizio, da una roccia di Leucade. Alcuni pescatori, tendendo le reti, ritrovarono il giovane e riuscirono a stento a salvarlo dalla morte. Insieme a lui, nella rete da pesca, avevano trovato anche uno scrigno pieno d'oro.

Ripresosi, Nireo reclamò furente questo dono, che apparteneva di diritto a lui dato che era stato trovato nella sua stessa rete. Ma una notte, Apollo gli apparve in sogno, consigliandogli di non ricercare un tesoro che non gli apparteneva, ma di accontentarsi della vita che gli era stata salvata.

Il mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute.

Niso 1

Re di Megara, figlio di Pandione e di Pilia, fratello di Egeo, Pallade e Lico.
Dopo la morte di Pandione, i suoi figli marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo , che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante fino a ovest di Corinto. Scirone figlio di Pila contestò a Niso, suo cognato, la sovranità di Megara, ed Eaco, chiamato a dirimere la disputa, assegnò il trono a Niso e ai suoi discendenti, e il comando degli eserciti a Scirone. In quei tempi Megara era chiamata Nisa e Niso diede il suo nome anche al porto di Nisea, da lui fondato.
Frattanto Minosse già si accaniva nella zona dell'Istmo di Corinto. Egli assediò Nisa, governata da Niso che aveva una figlia chiamata Scilla. Col prolungarsi dell'assedio, Scilla, colpita dalla bellezza di Minosse, si innamorò perversamente di lui. Taluni dicono che questo fu il volere di Afrodite, altri accusano Era. Una notte Scilla si introdusse nella camera del padre e gli recise la famosa ciocca dorata da cui dipendevano la sua vita e il suo regno; poi rubate le chiavi della porta della città, l'aprì e si allontanò rapidamente. Entrata nella tenda di Minosse, gli offrì la ciocca di capelli in cambio del suo amore. Quella sera stessa, conquistata e saccheggiata la città, Minosse si giacque con Scilla; ma non volle portarla con sé a Creta, perché il parricidio gli faceva orrore. Scilla tuttavia inseguì la nave di Minosse a nuoto e si aggrappò al timone finché l'ombra di suo padre Niso, in forma d'aquila marina, piombò su di lei con gli artigli e il becco tesi. Scilla, terrorizzata, mollò la presa e annegò. La sua anima volò via sotto forma di un uccello chiamato Ciris, ben noto per il suo petto e le sue zampe rosso porpora. Ma taluni dicono che Scilla fu annegata per ordine di Minosse, e altri ancora che la sua anima prese la forma del pesce Ciris e non dell'uccello di tale nome.
Niso venne seppellito in Atene, dove si vede la sua tomba dietro il Liceo. I Megaresi, tuttavia, non vogliono ammettere che la loro città fu conquistata dai Cretesi e sostengono che Megareo sposò Ifinoe, figlia di Niso, e gli succedette. Nisa fu in seguito chiamata Megara in onore di Megareo.

Niso 2

Compagno di Enea, celebre per la sua amicizia con Eurialo. Sembra che la sua leggenda risalga a Virgilio. In occasione di giochi funebri celebrati in onore d'Anchise, egli fece in modo da assicurare la vittoria all'amico. Niso ed Eurialo erano custodi di una porta del campo troiano. Niso, maggiore di età, esperto cacciatore ed abile guerriero, si volge ad un tratto all'amico Eurialo manifestandogli il suo desiderio di compiere qualche bella e nobile impresa. E mostrandogli il campo rutulo, gli rivela il suo proposito di attraversare l'accampamento nemico per andare ad avvertire Enea della grave situazione dei Troiani. Eurialo rampogna l'amico per aver pensato di non farlo partecipe di una così bella impresa. Invano Niso cerca di convincerlo della opportunità che egli, più giovane, resti nel campo; ma alla fine cede, vinto dalla insistenza del giovane amico. I due quindi si avviano e, giunti nel campo nemico, fanno una orribile strage di uomini immersi nel sonno e nel sopore del vino, finché, avvicinandosi l'alba, riprendono il loro cammino attraverso i campi. Ma una schiera di cavalieri nemici, agli ordini di Volcente, giungeva intanto da Laurento e, visti i due fuggire fra le tenebra senza obbedire né rispondere all'ordine di fermarsi, circondano di armati tutto il bosco, bloccando ogni sentiero. Ciò nonostante Niso, dopo lunga corsa, riesce a portarsi al sicuro, fuori dell'accerchiamento; ma, fermatosi e voltosi a guardare, vede che Eurialo non è più con lui. Ritorna allora sgomento sui suoi passi, cercando disperatamente il suo giovane amico, ed ecco che ad un tratto vede Eurialo circondato da un folto gruppo di nemici. Niso non esita un istante e lancia un dardo contro uno dei nemici che, colpito al cuore, cade morto al suolo. Poi, con un altro colpo fa cadere un altro nemico. Volcente allora, furioso si lancia contro Eurialo per far pagare a lui la morte dei due cavalieri e già alza la spada per colpirlo, quando Niso esce dall'agguato e, correndo verso di lui grida che solo sua è la colpa, e che Eurialo non è responsabile di nulla. Ma Eurialo, colpito, era già caduto al suolo con le membra tutte insanguinate. A questa vista Niso, furibondo, si lancia contro Volcente e, benché colpito da più parti, riesce a spingergli la spada nella gola e ad ucciderlo, finché, colpito ancora, cade sul corpo di Eurialo.
Arrivati poi al campo, e scoperta la strage che era stata fatta, i Rutuli infieriscono sui cadaveri dei due giovinetti: tagliano loro la testa, le configgono sulla punta di due lunghe aste e, mentre l'aurora sparge di luce il cielo, vanno a torme urlando verso il campo dei Troiani, che dall'alto delle mura stanno mesti a guardare le sembianze dei loro giovani eroi tutte stillanti di sangue.

Nitteide

Nella mitologia greca, Nitteide era una figlia di Nitteo.

Fu sposa del re di Tebe, Polidoro. Da tale unione nacque un figlio: Labdaco, da lui discese Edipo e tutti gli altri labdacidi.

Nitteo


Nitteo, re tebano, padre di Antiope, fratello di Lico.

Quando Zeus sedusse Antiope, figlia di Nitteo, questa si rifugiò presso il re di Sicione che divenne suo consorte. Ciò diede origine ad una guerra durante la quale Nitteo cadde. Lo zio di Antiope, Lico sconfisse i Sicioni in una sanguinosa battaglia e riportò Antiope, vedova, a Tebe.

Noemone

Nella mitologia greca, Noemone era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia. Le gesta di tali eroi viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Noemone, guerriero della Licia. Odisseo guidato da Atena gli andò incontro durante una battaglia uccidendolo.
* Noemone, soldato pilio, amico di Antiloco. Menelao durante i giochi funebri per la morte di Patroclo gli consegnò una cavalla.
* Noemone, guerriero troiano che seguì Enea nel Lazio, dove venne ucciso da Turno nella guerra tra Troiani e Italici.

Norax

Norax (o Norace) è un antico eroe della mitologia sarda. È il figlio di Eriteide, figlia di Gerione e del dio Ermes. Compare nei testi di Pausania, Sallustio e Solino.

La leggenda, narrata da Pausania, dice che Norace giunse in Sardegna alla guida degli Iberi i quali fondarono la città che da lui prese il nome: Nora. Solino specifica che Norace giunse in Sardegna dalla mitica città di Tartesso situata nell'Iberia meridionale.

Un'altra versione dice che Norace fosse un barbaro, un alto e possente guerriero giunto dal mare (dalla penisola iberica) che sposò la figlia di un sovrano sardo. La leggenda vuole che Norax aiutò gli antichi sardi a sconfiggere i pirati, sbaragliandone da solo un intero esercito. Allora aiutò i sardi a trasformare le loro città in possenti fortificazioni indistruttibili, i nuraghès, il cui nome deriva proprio da Norax. In seguito i nuragici, spostandosi sull'isola costruirono sempre nuovi nuraghès, in modo che uno comunicasse con l'altro; recentemente un gruppo di appassionati, accendendo fuochi sulle sommità di alcuni nuraghi, ha dimostrato che effettivamente i nuraghi sono visivamente collegati fra loro, al punto che in 80 minuti si poteva comunicare dalla punta più meridionale all'estrema punta settentrionale dell'isola sarda, tramite segnali luminosi.

Notte

Divinità primordiale sorta dal Caos insieme ad Erebo, Gea, Tartaro ed Eros. Dall'unione di Erebo e Notte traggono origine Cielo e Giorno. Secondo Esiodo la notte è madre di Ypnos ("il sonno") e Thanatos ("la morte"), e di qui forse deriva la concezione di una doppia natura della Notte: come dispensatrice di un benefico riposo ai mortali affaticati e come generatrice di tristi divinità simboleggianti le pene che affliggono l'uomo (Moire, Chere, Erinni, Nemesi, ecc.), per cui veniva spesso rappresentata come donna dall'aspetto severo avente nelle braccia due bambini, uno bianco, simbolo del sonno, e uno nero, simbolo della morte. La Notte è una dea che si impone persino al rispetto di Zeus. Quando il dio voleva scacciare Ypnos dall'Olimpo, la Notte protesse il figlio e Zeus dovette accondiscendere al suo volere. La Notte veniva dai Greci fatta risiedere nell'estremo Occidente, al di là dell'Atlante.

Numa Pompilio

Secondo re di Roma, succeduto a Romolo dopo un anno d'interregno per designazione del Senato. Era di origine sabina, figlio di Pompone e marito di Tazia, figlia di Tito Tazio. Si favoleggiò che avesse avuto per maestro Pitagora, che gli fu in realtà di non poco posteriore, e come consigliera, in materia religiosa e legislativa, la ninfa Egeria che sarebbe stata con lui a segreti colloqui nella grotta delle Camene, vicino a una fonte sacra. Si valse della religione per guidare gli uomini all'obbedienza civile, e la tradizione attribuisce a lui tutte le istituzioni religiose, come a Romolo quelle politiche e militari. Le istituzioni di Numa sono in complesso analoghe a quelle di altre popolazioni latine e italiche, né si presentano come una creazione organica di un determinato legislatore. Secondo la tradizione avrebbe anche stabilito le norme di diritto sacro e fissato il calendario, con la distinzione dei giorni fasti e nefasti e aggiungendo due mesi (gennaio e febbraio) al calendario di dieci mesi istituito da Romolo. Tutto il suo regno è pieno di prodigi e di opere benefiche per gli uomini; stabilì premi per l'agricoltura per rendere laboriosi e felici i cittadini, e rese sacri i confini della proprietà. Il tempio da lui innalzato a Giano rimase sempre chiuso, perché la guerra non turbò mai il suo lungo regno Gli si attribuiva anche il merito di avere valorizzato in Roma le arti e i mestieri. Non vi è prova di un culto di Numa, né il nome ha alcuna caratteristica del divino.
Durante il regno di Numa Pompilio un sacro scudo, l'Ancile, venne fatto cadere da Giove dal cielo come simbolo della salvezza di Roma. Numa ne fece costruire altri undici e li nascose nella reggia, mettendo i sacerdoti (i Sali) a loro guardia. Secondo la leggenda Numa riuscì a chiamare Giove dal cielo usando i poteri magici rivelatigli da Fauno e Pico, le due divinità rurali che aveva catturato mescolando all'acqua della fonte, alla quale bevevano, del miele e del vino. Ottenuta la presenza di Giove gli chiese di rinunciare ai sacrifici umani.
Si attribuiscono a Numa vari figli, Pompeo, Pino, Calpo e Mamerco, ciascuno dei quali sarebbe l'antenato di una gens romana. Aveva anche una figlia, Pompilia, avuta o da Tazia, o da Lucrezia, ch'egli sposò dopo l'accesso al trono. Pompilia sposò un certo Marzio, un Sabino che accompagnò Numa a Roma, dove entrò in Senato. Il figlio di Pompilia, Anco Marzio, nacque, si dice, cinque anni prima della morte di Numa e divenne il quarto re di Roma.
Numa morì estremamente vecchio, e fu sepolto sulla riva destra, sul Gianicolo, e contemporaneamente venivano messi accanto a lui, in una bara separata, i libri sacri ch'egli aveva scritto personalmente.

Edited by demon quaid - 30/12/2014, 14:39
 
Top
94 replies since 12/6/2010, 23:03   25197 views
  Share