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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 14/10/2010, 19:33 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Partenope (mitologia)

Il mito della sirena Partenope nasce dalla tradizione del popolo, di origine greca, dei rodii, residente sulle coste del golfo napoletano nel lontano III secolo a.C.
Le poche notizie che ci sono giunte al riguardo concernono soltanto una corsa con le fiaccole che ogni anno si compiva in suo onore; tuttavia il nome di quella che pare fosse la più bella sirena del golfo, sepolta secondo la leggenda sempre nelle vicinanze di Napoli, rimane oggi utilizzato per definire la regione napoletana. Pare che la sirena in questione sia morta nel luogo in cui oggi sorge Castel dell'Ovo e proprio lì sia stata sepolta una dei patroni di Napoli, santa Patrizia.

Molte sono le leggende che la riguardano: secondo alcune, morì dopo un rifiuto da parte di Ulisse; altre raccontano, invece, che Partenope ebbe una storia con un uomo greco e con questi fuggì su un’isola del tutto sconosciuta.

Da fonti leggendarie e definibili antropologiche, sembra che proprio da queste due figure nasca la città di Napoli, fondata dapprima sull’isola di Megaride ed estesa poi al monte Echia, nel IX-VIII secolo a.C.

Partenopeo

Partenopeo è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Melanione e di Atalanta, o secondo altri di Meleagro e della stessa Atalanta, deve il suo nome al lungo periodo di verginità osservato dalla madre (parthenos significa vergine in greco). Partecipò, come eroe più giovane, alla spedizione dei Sette contro Tebe organizzata da Adrasto. Artemide, innamorata di lui, gli donò delle frecce infallibili e lo unse di ambrosia per preservarlo in vita il più a lungo possibile. Afrodite, protettrice dei Tebani, si infuriò per la strage compiuta da Partenopeo e pregò Ares di allontanare Artemide, che lo proteggeva, dal campo. Artemide, consapevole di quanto sarebbe avvenuto, assunse l'aspetto di Dorceo, vecchio guerriero molto caro a Partenopeo, e cercò di convincerlo a tornare a casa. Anche Anfione, che pur combatteva nel campo nemico, lo esortò ad abbandonare la battaglia, ma fu tutto inutile. Lo uccise Dioreo (secondo alcune versioni sarebbe stato Periclimeno). La sua morte venne vendicata dal figlio Promaco (uno degli Epigoni), avuto dalle nozze con la ninfa Climene.

Pasifae

Pasifae è un personaggio della mitologia greca, figlia di Elio e di Perseide, una ninfa. È la madre del Minotauro.

Moglie di Minosse, re di Creta, da lui ebbe otto figli, di cui Androgeo, Fedra e Arianna sono i più ricordati.

Secondo la versione più comune del mito, Poseidone inviò a Minosse un bianchissimo toro affinché venisse sacrificato in suo nome. Il re di Creta però non obbedì al dio, ritenendo troppo bello quell'animale e ne sacrificò un altro: la vendetta di Poseidone non tardò ad arrivare. Infatti indusse in Pasifae una passione folle per l'animale e le fece desiderare ardentemente di accoppiarsi con esso. Accecata dal desiderio, chiese aiuto a Dedalo, rifugiatosi a Creta per sfuggire a una condanna per omicidio, che le costruì una vacca di legno cava nella quale entrare per poter soddisfare la sua cieca voglia. Così Pasifae riuscì a congiungersi al toro, e dalla loro unione nacque il Minotauro.

Patroclo

Figlio di Menezio, re di Opunte in Locride, e di Stenela. Fu uno dei pretendenti alla mano di Elena.
Ancora giovinetto, durante una lite sorta a proposito di una partita a dadi, Patroclo uccise accidentalmente Clitonimo, figlio di Anfidamante. Costretto all'esilio, si recò con il padre a Ftia dove re Peleo lo purificò. Divenne amico e fedele compagno di Achille. Così grande era l'amicizia che lo legava ad Achille, che lo seguì a Troia. Quando Achille, privato da Agamennone della sua amata Briseide, si ritirò nella sua tenda e fu sordo ad ogni richiamo alle armi, Patroclo rimase con lui, a condividere lo sdegnoso ritiro e il profondo dolore. E quando i messi di Agamennone giunsero ad offrire la conciliazione, lo trovarono solo con Patroclo che suonava la cetra e gli cantava le imprese degli eroi. Ma il richiamo della guerra divenne irresistibile per Patroclo; egli infatti preghò l'amico di concedergli di tornare alla lotta, indossando le sue armi famose.
Nell'ultimo anno di guerra, quando Achille vide alzarsi le fiamme dalla nave di Protesilao incendiata dai Troiani, si scordò del suo rancore e incitò i Mirmidoni ad accorrere in aiuto di Patroclo. Questi aveva scagliato la lancia nel folto dei Troiani riuniti attorno alla nave di Protesilao e aveva trafitto Pirecmo, re dei Peoni. Allora i Troiani, scambiando Patroclo per Achille, fuggirono. Patroclo spense l'incendio, salvò la nave e abbattè Sarpedone; poi inseguì l'esercito nemico fino alle mura di Troia. Mentre tentava di dare la scalata, Apollo in gran fretta salì sulle mura respingendo per tre volte Patroclo con lo scudo. La battaglia si protrasse fino al calar della notte allorché Apollo, avvolto in una fitta nebbia, assalì Patroclo alle spalle e lo colpì con forza tra le scapole. Patroclo strabuzzò gli occhi, l'elmo cadde dal capo, la sua lancia andò in mille pezzi e lo scudo rotolò a terra; Apollo con un sorriso maligno gli slacciò la corazza. Euforbo, figlio di Pantoo, vedendo Patroclo ridotto in quello stato, lo ferì senza timore che egli reagisse, e mentre Patroclo si allontanava barcollando, Ettore, ritornato sul campo di battaglia, lo finì con un solo colpo di lancia.
Accorse Menelao e uccise Euforbo; poi ritornò alla sua tenda con le spoglie del nemico morto, lasciando che Ettore levasse a Patroclo l'armatura. Menelao e il Grande Aiace ritornarono sul posto e insieme difesero il cadavere di Patroclo fino al crepuscolo, quando riuscirono a portarlo in salvo presso le navi. Achille, avuta la triste notizia, si rotolò tra la polvere abbandonandosi a una crisi di disperazione. Teti entrò nella tenda del figlio recandogli una nuova armatura. Achille diè subito di piglio alle armi, si riconciliò con Agamennone e uscì dalla tenda per vendicare Patroclo. Nessuno potè resistere alla sua furia e giurò che non avrebbe sepolto il corpo dell'amico fino a quando non fosse riuscito a vendicarsi dei Troiani. E fu dunque proprio la morte di Patroclo a spingere Achille a tornare nella mischia e a uccidere Ettore.
Ai funerali di Patroclo, quando fu cremato il suo corpo che Teti aveva conservato intatto fino a quel giorno con l'ambrosia, Achille sacrificò non soltanto alcuni cavalli e due dei nove cani della muta di Patroclo, ma anche dodici nobili prigionieri troiani tra i quali alcuni figli di Priamo che uccise sgozzandoli. Quando anche Achille fu ucciso, le sue ceneri, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto; quest'urna fu sepolta sul promontorio Sigeo che domina l'Ellesponto, e i Greci vi innalzarono sopra un tumulo a cono.

Pattolo

Nella mitologia greca, Pattolo è la divinità che abitava il fiume omonimo, nella regione dell'Asia Minore. Questo dio fluviale era, secondo alcuni autori, nato dagli amori di Zeus e della ninfa Leucotea.

Zeus, una volta che la mortale Ino venne accolta tra gli dei assumendo il nome della divinità marina Leucotea, tentò di approfittarsi del suo amore e riuscì a sedurla; da questa unione nacque un figlio, Pattolo, che inizialmente era mortale.

Il giovane, sposatosi, generò una figlia, Eurianassa, secondo alcuni moglie di Tantalo e madre di Pelope. Per questo Pattolo era spesso ricordato come il nonno di quest'ultimo.

La trasformazione


Un giorno in cui si celebravano i misteri sacri di Afrodite, Pattolo, in un momento di forte ebbrezza, raggiunse il letto di sua sorella Demodice per unirsi a lei. Quando la donna rimase incinta e il giovane si accorse dell'incesto che aveva appena consumato si gettò in un fiume, chiamato Crisorroa (cioè il "fiume d'oro" a causa della presenza di alcune pagliuzze d'oro che venivano trasportate dalle sue correnti.
Da allora quel fiume prese il nome di Pattolo.

Il fiume

Il fiume Pattolo nasce dal Monte Tmolo, scorre tra le rovine dell'antica capitale della Lidia, Sardi, si avvicina alla costa turca dell'Egeo, e si getta nel fiume Gediz, l'antico fiume Ermo (Hermus, in latino). Un tempo, il Pattolo era ricco di sabbie aurifere, sabbie che si presentavano sotto forma di Elettro, una lega naturale di Oro ed Argento. L'Elettro costituì la base dell'economia del Regno di Lidia e la lega con cui fu coniata - attorno al 570 a.C., sotto il regno di Creso, la prima moneta della storia, lo Statere. In base ad un'antica leggenda greca, le sabbie aurifere del fiume furono generate dall'abluizione che il re di Frigia, Mida, compì per rinunciare al dono di tramutare in oro ogni oggetto da lui toccato.

Peante

Figlio di Taumaco o di Filaco e padre di Filottete. Figura tra gli Argonauti, ma vi ha una parte secondaria. Una tradizione gli attribuisce tuttavia la vittoria su Talo, onore di solito riservato a Medea.
Quando gli Argonauti raggiunsero Creta, non riuscirono a sbarcare per colpa di Talo, la sentinella di bronzo, opera di Efesto, che bersagliò l'Argo con delle pietre. Medea blandì il mostro con voce soave e gli promise l'immortalità se beveva una certa pozione; si trattava in verità di un soporifero e, mentre il mostro dormiva, Medea estrasse il chiodo di bronzo che turava l'unica vena di Talo (una vena che gli correva dalla nuca alle caviglie), e il mostro morì dissanguato. Altri dicono, che Pallante lo uccise scoccandogli una freccia nel tallone.
Peante accompagnò Eracle nei suoi ultimi istanti sul monte Eta. Secondo certi nitografi, allorché Eracle saliva sul rogo funebre e dava ordine che vi fosse appiccato il fuoco, nessuno osò obbedire, finché Peante che passava di lì per caso ordinò a Filottete, il figlio che aveva avuto da Demonassa, di fare ciò che Eracle gli chiedeva. Filottete accese la pira e, in segno di gratitudine, Eracle gli lasciò la sua faretra, il suo arco e le sue frecce.
Anni dopo, quando Calcante profetizzò che Troia non sarebbe caduta senza l'aiuto dell'arco e delle frecce di Eracle, Odisseo e Diomede furono incaricati di salpare per Lemno e di andarli a chiedere a Filottete, che ne era il possessore. Odisseo riuscì con l'inganno a strappare a Filottete l'arco e le frecce dell'eroe, ma Diomede non volle essere implicato in quel furto e consigliò Filottete di pretendere la restituzione del maltolto. A questo punto intervenne il dio Eracle che disse a Filottete di andare con loro a Troia, dove avrebbe ucciso Paride, preso parte al saccheggio della città e portato in patria un ricco bottino, riservando però la parte migliore al padre Peante. Gli raccomandò inoltre: "Non potrai entrare in Troia senza Neottolemo figlio di Achille né egli potrà entrarvi senza di te!".

Pedaso (mitologia)

Nella mitologia greca, Pedaso (Πήδασος) era il nome di diversi personaggi presenti nella guerra di Troia e di alcune città citate nell’Iliade di Omero.

I personaggi

Sotto tale nome ritroviamo:

* Pedaso, uno dei cavalli di Achille, conquistato nella città di Eetione; a discapito della sua mortalità che lo rendeva inferiore rispetto agli altri animali legati al carro di Achille aveva la stessa velocità degli altri. In battaglia lo uccise per sbaglio Sarpedonte quando combatteva contro Patroclo.

* Pedaso, fratello gemello di Esepo, figlio di Bucolione e di una ninfa Abarbarea. Suo nonno era Laomedonte, durante la guerra venne ucciso in combattimento da Mecisteo.

Pedeo

Nella mitologia greca, Pedeo era il nome di uno dei personaggi presenti nella guerra di Troia, scaturita a causa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, per mano di Paride figlio di Priamo re di Troia. La guerra fra i due regni viene raccontata da Omero nell’Iliade.

Figlio di Antenore, sua madre era invece ignota. Teano, la moglie legittima crebbe Pedeo come fosse uno dei suoi figli.

La morte


Pedeo fu assalito in combattimento da Megete, che lo uccise con un colpo di lancia alla testa.

I luoghi


* Pedaso, città della Troade, patria di Elato. La città, che si trovava sul fiume Satnioenta, venne saccheggiata da Achille. Licaone proveniva da quei luoghi.
* Pedaso, città del Peloponneso sul mare, ricca di vigne. Era una delle città che furono promesse ad Achille se fosse rientrato a combattere per gli Achei.

Pegaso

Figlio di Poseidone e di Medusa.
Perseo volò verso occidente, fino alla terra degli Iperborei, dove trovò le Gorgoni addormentate. L'eroe fissò lo sguardo sull'immagine di Medusa riflessa nello scudo, Atena guidò la sua mano ed egli con un solo colpo di falcetto decapitò il mostro; allora, con sua grande sorpresa, vide balzar fuori dal cadavere il cavallo alato Pegaso e il guerriero Crisaore, con una falce dorata in mano. Pegaso viveva sul monte Elicona, e colà, battendo al suolo il suo zoccolo lunato, aveva fatto sgorgare per le Muse la fonte Ippocrene, le cui acque donavano l'estro poetico.
Sull'incontro di Bellerofonte con Pegaso le tradizioni variano. Pegaso in quel periodo non si trovava in Elicona, ma Bellerofonte lo rintracciò sull'Acropoli presso un'altra delle sue fonti, la fonte Pirene, e gli passò sopra il capo una briglia d'oro, dono di Atena. Ma altri dicono che Atena consegnò a Bellerofonte il cavallo già imbrigliato, e altri ancora che fu il padre suo Poseidone a consegnarglielo. Grazie a questo cavallo alato, Bellerofonte potè compiere diverse imprese. Riuscì a sopraffare la Chimera piombandole addosso a cavallo di Pegaso, trafiggendola con le frecce e poi conficcandole tra le mascelle un pezzo di piombo che aveva infilato sulla punta della lancia. L'alito infuocato della Chimera fece sciogliere il piombo che le scivolò giù per la gola bruciandole gli organi vitali. Riportò la vittoria, da solo, contro i bellicosi Solimi e le loro alleate, le Amazzoni, volando alto, fuori portata dal tiro delle frecce, e lasciando cadere grosse pietre sulle loro teste.
Bellerofonte, secondo la tragedia di Euripide andata perduta e che portava il suo nome, avrebbe voluto competere con gli dèi raggiungendo il cielo in groppa a Pegaso; ma Zeus incollerito mandò un tafano a pungere il cavallo che lo disarcionò. Bellerofonte cadde ingloriosamente sulla terra. Pegaso raggiunse tuttavia l'Olimpo, e Zeus si servì di lui come bestia da soma per trasportare i tuoni e i lampi; quanto a Bellerofonte, precipitato in un roveto, vagò a lungo sulla terra, zoppo, cieco, solo e maledetto, sempre evitando le strade battute dagli uomini, finché la morte lo colse.

Pelagonte


Nella mitologia greca, Pelagonte è il nome di diversi personaggi che parteciparono alla guerra di Troia.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Pelagonte, guerriero di Pilo, al fianco di Nestore, mentre incitava con discorsi di guerra l’esercito e lo distribuiva con il suo aiuto
* Pelagonte, guerriero della Licia. Amico di Sarpedonte, quando questi fu ferito in guerra colpito da una lancia, Pelagonte gli prestò soccorso aiutandolo ad estrarla.

Pelasgo

Pelasgo, capostipite dei Pelasgi, è figlio di Zeus e Niobe e padre di Licaone o figlio di Poseidone e di Larista e padre di Emone.

Fu re di Argo al tempo in cui vi giunse Danao con le sue figlie.

Proprio in relazione a questo episodio, Pelasgo è protagonista di una tragedia di Eschilo, Le Supplici, che erano, appunto, le cinquanta figlie di Danao che, per evitare di andare in spose ai figli del re d'Egitto, chiedono al re di Argo asilo e protezione.

Pelasgo appare nella tragedia combattuto tra la decisione di difendere le giovani costringendo la sua città ad una guerra con gli Egizi, oppure ignorare le loro suppliche e rendersi colpevole di matrimoni incestuosi, sottoponendosi alla vendetta di Zeus. Decide di rimettere la questione alla decisione del popolo, che sceglie di accogliere le giovani.

Insegnò agli uomini a fabbricare capanne, a nutrirsi di ghiande e a coprirsi con pelli di suino.

Peleo


Peleo è una figura della mitologia greca. Fu re di Ftia, in Tessaglia, ed è ricordato soprattutto per essere stato padre d'Achille. Era figlio di Eaco, re dell'isola di Egina, e di Endeide.

Giovinezza

Peleo e Telamone erano i fratellastri di Foco, a cui andavano le simpatie del padre Eaco, a causa della sua bellezza e della sua bravura nelle gare atletiche.

Endeide, temendo che il re scegliesse Foco come erede al trono, convinse i figli ad ucciderlo. Costoro sfidarono quindi Foco a una gara di pentathlon, e il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone. I due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi da Egina. Peleo e Telamone dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.

Stando a Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccide Foco fu lanciato da Peleo, ma per il primo il colpo è accidentalde, per il secondo intenzionale.

Esilio

Telamone si rifugiò a Salamina e Peleo riparò presso Attore, re di Ftia, il cui figlio, Euritione, lo purificò dall'empio fratricidio. In seguito sposò Antigone, figlia del re.

Durante la caccia al cinghiale calidonio Peleo colpì accidentalmente Euritione e lo uccise. Costretto nuovamente a fuggire arrivò a Iolco e si rifugiò presso il re Acasto. Qui la regina Astidamia si innamorò di Peleo, che però la respinse. Per vendicarsi la donna lo accusò di averla sedotta. Acasto allora lo invitò a caccia presso il monte Pelio, frequentato dai centauri, e, mentre Peleo dormiva, gli sottrasse la spada. Una volta svegliatosi, Peleo si ritrovò disarmato di fronte ai mostri, ma grazie all'intervento di Ermes inviato da Zeus (o di Chirone secondo altre versioni) il quale gli consegnò una spada con poteri divini, riuscì a fuggire. Tornato in città, si vendicò assassinando Acasto e la moglie.

Nozze


Dopo aver sposato Antigone, figlia di Attore, ed aver partecipato alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, conobbe una nereide di nome Tetide, o Teti, e il cui matrimonio fu celebrato con solennità alla presenza di tutti gli dei, tranne Eris. La dea della discordia, infuriata per essere stata esclusa, intervenne alle nozze lasciando il pomo d'oro, oggetto del giudizio di Paride e origine della guerra di Troia.

Da Teti ebbe sei figli, tra cui Achille.


Le nozze di Peleo con Tetide sono state un tema figurativo interessante e frequente della iconografia greca. Crateri, coppe e vasi in ceramica sparsi nei vari musei del mondo celebrano questo evento. Un cratere a calice proveniente da Spina, ora al Museo Archeologico di Ferrara, e in cui viene raffigurata una scena di questo matrimonio, ha dato il nome a un pittore vascolare della II metà del V secolo a.C., conosciuto appunto come Pittore di Peleo.

È denominato anche Gelanore.

Pelia

Pelia è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Tiro e fratello gemello di Neleo.

Ancora neonato, venne abbandonato con suo fratello su una montagna dalla madre Tiro spaventata dalle angherie della suocera Sidero. Allevato da un pastore e divenuto adulto, volle vendicarsi della crudeltà subita e uccise Sidero presso l'altare del tempio di Era ov'ella s'era rifugiata.

Neleo lo scacciò a causa del sacrilegio e Pelia si stabilì in Tessaglia, dove divenne re di Iolco. Sposò Anassibia, dalla quale ebbe un figlio, Acasto e tre figlie, note collettivamente come Peliadi, ossia Alcesti, la futura moglie del re di Fere Admeto, Anfinome ed Evadne.

Un giorno indisse dei giochi in onore di Poseidone ai quali invitò anche Giasone. Questi arrivò in città senza un calzare, perso attraversando un fiume. Pelia, ricordandosi d'una profezia in cui si dice di diffidare dell'uomo dal piede scalzo, lo inviò alla ricerca del vello d'oro, con l'intento di sbarazzarsi di lui.

Nel frattempo Pelia uccise il proprio fratellastro Esone (padre di Giasone), per consolidare il proprio potere nel regno.

Giasone riuscì nell'impresa di tornare in patria con il vello d'oro e, con l'aiuto della moglie Medea, trovò il modo di uccidere Pelia. Entrata a Iolco mentre gli Argonauti erano ancora al largo del porto, Medea si presentò a palazzo sotto mentite spoglie, come vecchia mendicante, dopodiché, una volta accolta, cambiò magicamente aspetto e si mostrò qual era in realtà, una giovane e bellissima donna. Poi, rivelatasi così come maga, mostrò a Pelia un metodo per ringiovanire magicamente: prese un ariete, lo fece a pezzi e lo mise in un pentolone bollente da cui uscì un agnello. Pelia entusiasta volle sottoporsi allo stesso trattamento. Medea lo fece addormentare e convinse quindi le figlie presenti al palazzo, Evadne e Anfinome, a farlo a pezzi e metterlo a bollire nel calderone. Queste convinte eseguirono risolutamente la procedura; una volta fatto a pezzi Pelia, Medea disse loro di andare in cima al palazzo a invocare la divinità agitando delle fiaccole, per propiziare il buon esito dell'incantesimo. Questo gesto servì in realtà come segnale per Giasone, che aspettava ancora al largo, che la nave potesse entrare in porto, perché Pelia era morto. Medea infatti fece in modo che Pelia non resuscitasse.

Acasto sostituì il padre Pelia sul trono, organizzò in suo onore dei giochi ginnici e bandì Giasone e Medea, nonché le sorelle parricide da Iolco.

La vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei.

Pelope

Pelope è una figura della mitologia greca.

Il suo dominio si estese a tutta la penisola, che da lui prese il nome di Peloponneso (Pélopos + nésos, l'isola di Pelope), nonché fondatore dei giochi olimpici e signore della città greca di Pisa. Era figlio di Tantalo e Dione.

Tantalo, figlio di Zeus, per provare l'onniscienza degli dei li invitò ad un banchetto in cui offrì loro le carni del giovane figlio Pelope. Essendosi accorti del macabro inganno, tutti i celesti allontanarono i piatti, eccetto Demetra che, sconvolta dalla perdita della figlia Kore, non vi badò e divorò una spalla. Dopo aver punito Tantalo gli dei resuscitarono Pelope, fornendogli una spalla d'avorio, creata da Efesto. Secondo altri autori Pelope era nato con quella malformazione e dopo essere stato assassinato, Rea, la divinità della terra gli diede con un soffio nuovamente la vita. Secondo un'altra versione, al banchetto indetto dal padre Tantalo, al quale partecipavano anche gli dei, Poseidone vedendo Pelope se ne innamorò, portandolo con sé sull'Olimpo. A causa della colpa del padre (l'aver offerto a degli uomini nettare e ambrosia, colpa per la quale fu condannato a sopportare eternamente la fame e la sete nel Tartaro) venne però rispedito sulla terra.

La gara

Pelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia dove governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione di barbari, intraprese un viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao. Questi era il re di Pisa (in Elide), figlio del dio Ares, e non aveva mai acconsentito a concedere la mano della figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano del proprio genero. Enomao possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice), perciò, sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero sposato Ippodamia, in caso contrario sarebbero stati uccisi. Già tredici giovani avevano perso la vita, sicché quando Pelope arrivò a Pisa con un carro leggerissimo e cavalli alati datigli da Poseidone e s'innamorò d'Ippodamia, fu terrorizzato dalla vista delle teste degli sfortunati pretendenti, inchiodate alle porte del palazzo d'Enomao. Decise quindi di vincere la gara slealmente: corruppe l'auriga Mirtilo, figlio di Hermes anch'egli infatuato della figlia del re, promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli avrebbe permesso di passare una notte con la principessa Ippodamia. Mirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i perni degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera. Durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò ed Enomao morì. Successivamente Pelope, certamente geloso dell'amore d'Ippodamia, annegò l'auriga che, in punto di morte, invocando Ermes, maledisse lui e tutta la sua discendenza. Ne conseguì che Pelope, diventato re, accumulò ricchezze ed onori ma, fu causa della rovina dei suoi figli Atreo e Tieste, e della sua intera stirpe, nonostante avesse tentato di procurarsi i favori di Zeus istituendo le Olimpiadi.

I figli di Pelope

Per placare l'ira di Hermes Pelope eresse subito un tempio per onorarlo e per placare il rimorso della propria coscienza tributò onori eroici a Mirtilo, e infine diede onori anche ai tanti morti che sfidarono Enomao e persero.

Dalla moglie Ippodamia ebbe venti figli tra cui Pitteo, Alcatoo, Atreo, Tieste, Ippalco, Copreo, Scirone, Ippalcimo, Cleonte e Lisidice. Dalla ninfa Astioche ebbe Crisippo.

Il culto di Pelope

Le sue ossa sono conservate in un santuario, il suo culto fu conservato a lungo, infatti ogni anno sacrificano un ariete nero, e i giovani che si radunavano si flagellavano offrendogli il proprio sangue.

Pelopia

Pelopia, figlia di Tieste, è una figura della mitologica greca. Pelopia è il mezzo attraverso cui si realizza un momento della maledizione diretta da Mirtilo al nonno di lei, Pelope, e i cui discendenti saranno artefici di una vera e propria faida. Pelopia, unica figlia scampata alla strage perpetrata da Atreo, fratello di Tieste, era diventata sacerdotessa della dea Atena nella città di Sicione dove regnava Tesproto. Un oracolo aveva intanto predetto a Tieste che dall'unione incestuosa con la figlia sarebbe nato colui che lo avrebbe vendicato uccidendo Atreo. Tieste si accoppia con la figlia e dall'unione nasce Egisto.

Peloro

Nella mitologia greca, Peloro era il nome di uno degli Sparti nati dai denti del drago seminati da Cadmo.

Durante il viaggio di Cadmo egli si fermò con l'intenzione di fondare una città (detta poi Tebe); prima di iniziare tale impresa volle fare un sacrificio ad Atena ma un drago, figlio di Ares o comunque a lui sacro, apparve e riuscì ad ucciderlo. La stessa dea gli consigliò di seminarne i denti strappati alla bestia. i denti furono come semi da cui nacquero tanti soldati formando alla fine una falange ostile, tutti si uccisero a vicenda e fra loro soltanto 5 rimasero in vita, oltre a Peloro, gli altri furono:

* Echione
* Udeo
* Ctonio
* Iperenore


Peloro insieme ai suoi compagni aiutò l'eroe nella fondazione della città. Da allora fu uno dei capostipiti delle famiglie nobili della città.

Penati

Divinità romane delle dispense che contenevano le riserve (penus) ed erano oggetti di un culto familiare da tempi molto antichi. Finché la vita romana si svolse nella capanna o nell'umile abitazione, i Penati furono venerati insieme con Vesta e con i Lari; e anche quando l'architettura civile si sviluppò, l'atrio (compluvium) resto sempre collegato ai Penati, perfino nella casa di Augusto, come a essi rimase sempre in modo particolare dedicata la cucina. Il culto che si presta ai Penati è simile a quello prestato ai Lari. A ogni pasto viene loro fatta un'offerta di sale, l'elemento che purifica e conserva, e di farro, il primo cereale che i Romani abbiano coltivato.
Più tardi, con lo sviluppo della vita politica di Roma si costituirono i Penati per tutelare la vita dello Stato. I Penati pubblici furonp venerati nel tempio di Vesta nel Foro, il quale aveva un penus, dove erano conservate le offerte libatorie, che una volta all'anno nell'apposita festa veniva solennemente purificato e rinnovato e dove a nessuno, salvo al pontefice massimo e alle vestali, era lecito porre il piede.
V'era in Lavinio un famoso santuario dei Penati, dove si recavano ufficialmente all'entrare in carica gli alti magistrati delo Stato. L'importanza dei Penati di Lavinio oscurò quella dei Penati di Alba, che pure era la città madre della confederazione latina e quella dalla quale, dopo la distruzione, i Penati sarebbero stati trasportati in Roma. E la leggenda troiana diceva che quando Ascanio, fondata Alba Longa, vi trasferì da Lavinio i Penati, questi per ben due volte abbandonarono la nuova sede e ritornarono nottetempo a Lavinio.
I Penati della nazione erano raffigurati come due guerrieri seduti, lancia in pugno, in origine contenuti in giare che restarono a Lavinio. Venivano a volte identificati con i Dioscuri e i Cabiri.

Peneleo

Nella mitologia greca, Peneleo (o Penelo), figlio di Ippalcimo, era uno degli Argonauti, che in seguito prese parte alla Guerra di Troia, come comandante dei Beoti (è presente nellIliade e nellEneide).

Eroe tra gli Argonauti


Quando Giasone, incaricato del recupero del vello d'oro, inviò gli araldi a chiedere aiuto a tutti gli eroi dell'epoca, per salpare con lui con la nave Argo per la Colchide, uno degli eroi che rispose all'appello fu il prode Peneleo. Egli non si distinse nelle varie avventure, ma riuscì a finirle in vita, ritornando vittorioso.

La morte a Troia


Essendo stato tra i pretendenti alla mano di Elena, Peneleo partecipò all'assedio di Troia dopo che la donna venne rapita dal principe troiano Paride. Dopo la morte di Tersandro per mano di Telefo, il comando di tutte le truppe Beote passò nelle sue mani. Nei combattimenti, Peneleo si distinse uccidendo barbaramente Ilioneo e Licone, ma venne lui stesso ferito da Polidamante. Durante la presa di Troia, Peneleo colpì a morte il giovane principe frigio Corebo, ma fu a sua volta ucciso da Euripilo, il figlio di quel Telefo che era stato ferito da Achille all'inizio del conflitto contro i Troiani.

Penelope
(mitologia)

Penelope è una figura della mitologia greca, figlia di Icario e di Policaste (o di Peribea), moglie di Ulisse, madre di Telemaco e cugina di Elena. Prende il nome da un mito riguardante la sua infanzia: quando nacque fu gettata in mare per ordine del padre e fu salvata da alcune anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la spiaggia più vicina. Dopo questo evento, i genitori la ripresero con loro e le diedero il nome di Penelope (che significa appunto "anatra").

Attese per vent'anni il ritorno del marito, partito per la guerra a Troia, evitando di scegliere uno tra i proci, nobili pretendenti alla sua mano, anche grazie al famoso stratagemma della tela: di giorno tesseva il sudario per Laerte, padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito il momento della scelta. L'astuzia di Penelope, tuttavia, durò "solo" per poco meno di quattro anni a causa di un'ancella traditrice che riferì ai proci l'inganno della regina. Alla fine, Ulisse tornò, uccise i proci e si ricongiunse con la moglie. Penelope è il simbolo per antonomasia della fedeltà coniugale femminile.
Tornato nuovamente a casa dopo l'estremo viaggio, Ulisse poté nuovamente godere della moglie e la rese incinta di altri due figli, oltre a Telemaco: Arcesilao e Poliporte.

Tela


La tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, creato da Penelope, che per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il sudario di Laerte, padre di Ulisse. Per impedire che ciò accadesse la notte disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Tutt'oggi si cita la tela di Penelope per riferirsi ad un lavoro buono nelle intenzioni ma "impossibile", che non potrà mai avere termine perché ogni volta ricomincia daccapo. per non celebrare le nozze quindi, penelope non termina il sudario per il vecchio Laerte, preferisce rimanere fedele ad Odisseo.

L'infedeltà

Non tutte le versioni sostengono la castità e la fedeltà di Penelope verso il marito; secondo alcune leggende la donna amò il dio Ermes, con il quale condivise il suo letto e dalla quale fu addirittura resa incinta, concependo il dio Pan.

Caratteristiche di Penelope


Penelope rappresenta, all'interno dell'Odissea, l'ideale di donna del mondo omerico, un vero e proprio modello di comportamento. Ella è la sintesi di bellezza, regalità, pudore, fedeltà e astuzia. Infatti, viene definita alter ego di Odisseo/Ulisse, come per il figlio Telemaco.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:29
 
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