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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 24/10/2010, 17:49 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Portaone

Nella mitologia greca, Portaone era il nome di uno dei figli di Agenore e di Epicasta. Omero nell'Iliade lo chiama Porteo.

Egli da parte di madre discendeva da Calidone mentre da parte del padre discendeva da Pleurone, entrambi i nonni avevano una caratteristica in comune: avevano dato il nome alla propria città, e di entrambe fu sovrano Portaone. Ebbe dalla figlia di Ippodamante Eurite diversi figli:

* Eneo
* Agrio
* Alcatoo
* Mela
* Leucopeo
* Sterope, l'unica figlia, che alcuni dicono fosse la madre delle sirene.


A tale elenco altri autori aggiungono:

* Alcatoo
* Eneo


Porteo

Nella mitologia greca, Porteo era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Portaone, che veniva chiamato Porteo da Omero.

* Porteo, il padre di Echione colui che per primo uscì dal cavallo di Troia, tale evento e lo stesso Porteo non vengono nominati nel corso dell'Iliade.

Potamone

Potamone è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Glaucippe, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Poseidone

Figlio di Crono e di Rea, fratello di Zeus e di Ade. A lui spettò la signoria del mare, comprese le coste e le isole.
Subì come gli altri fratelli (escluso Zeus) la sorte d'essere inghiottito dal padre che temeva la loro futura rivalità. Alcuni dicono che Rea fece divorare a Crono un puledro in vece di Poseidone, che nascose tra un branco di cavalli; altri, che Rea affidò Poseidone bambino alle cure di Cafira, figlia d'Oceano, e delle Telchine nell'isola di Rodi. Quando grazie all'emetico di Meti Crono restituì i figli, Poseidone aiutò Zeus a sconfiggere i Titani e a rinchiuderli nel Tartaro sotto la sorveglianza dei giganti centimani. Allora i tre figli di Crono si spartirono l'universo, lasciando la terra e l'Olimpo come territorio comune. Zeus ebbe il comando supremo e Poseidone spesso cercò di ribellarsi; partecipò con Era, Atena, Apollo e tutti gli altri olimpi, ad eccezione di Estia, alla congiura contro Zeus. Insieme lo legarono, ma la nereide Teti, con l'aiuto del centimane Briareo, lo liberò. Zeus appese al cielo Era, la vera organizzatrice della congiura, e punì Apollo e Poseidone costringendoli a servire il re Laomedonte.
Poiché gli occorreva una moglie che si trovasse a suo agio negli abissi marini, Poseidone pensò subito alla nereide Teti, ma quando seppe che il figlio nato da lei sarebbe stato più famoso di suo padre, rinunciò a sposarla. Pose allora gli occhi su Anfitrite, figlia di Nereo o di Oceano. La corteggiò e Anfitrite, sgomenta, si rifugiò sul monte Atlante, ma un certo Delfino la trovò e la convinse ad accettare il dio come consorte. Come premio per questa sua azione, Delfino venne posto in cielo in una costellazione.
Anfitrite gli generò tre figli: Tritone, Roda e Bentesicima; ma Poseidone ebbe numerosi amori con dee, ninfe e donne mortali, tutti fecondi. Anfitrite si ingelosì soprattutto di Scilla, figlia di Forcide, e la trasformò in un mostro dalle sei teste e dodici zampe. Demetra per sfuggire alle molestie di Poseidone si tramutò in giumenta e il dio, trasformatosi a sua volta in stallone, la coprì generando il cavallo Arione e la ninfa Despena. Poseidone amò anche la gorgone Medusa, a quel tempo ancora una bellissima fanciulla, e giacque con lei nel tempio di Atena, crimine per cui Medusa venne trasformata dalla dea in un orribile mostro alato che Perseo uccise. Dal cadavere della Medusa gravida nacquero il gigante Crisaore e il cavallo alato Pegaso. Poseidone generò anche il gigante Anteo insieme a Gea, sua nonna; fu padre di molti Giganti tra cui Oto ed Efialte, avuti da Ifimedia, che cercarono di prendere d'assalto l'Olimpo; del gigantesco cacciatore Orione che fu ucciso da Artemide; di Polifemo che, accecato da Odisseo, gli chiese di vendicarlo. Ebbe anche figli di dimensioni umane, ma tutti d'indole violenta: i briganti Cercione e Scirone che vennero uccisi da un altro dei suoi figli, Teseo; Amico, re dei Bebrici, ucciso da Polideuce, figlio di Zeus; Busiride, re d'Egitto, ucciso da Eracle; i sei figli avuti da Alia, che fatti impazzire da Afrodite tentarono di violentare la propria madre, ma Poseidone, con un colpo di tridente, li fece inghiottire dalla terra per sottrarli al castigo.
Tra i suoi figli mortali ricordiamo anche i gemelli Belo e Agenore, figli di Libia; Teseo, il più celebre di tutti, figlio di Etra moglie di Egeo; il grande navigatore Nauplio, figlio di Amimone; Pelia e Neleo, figli di Tiro; Cicno, figlio di Calice re di Colone, e molti altri ancora.
Il suo odio per i Troiani aveva origine nell'anno di servitù che Poseidone e Apollo dovettero trascorrere presso re Laomedonte, padre di Priamo. Avevano stabilito col re di costruire le mura della città di Troia in cambio di una certa somma e quando ebbero compiuto l'opera Laomedonte rifiutò di pagare il salario pattuito. Apollo si ritenne pago della pestilenza che inviò alla città e infatti aiutò i Troiani durante la guerra, ma Poseidone non si sentiva sufficientemente vendicato nemmeno dal mostro marino che aveva inviato e che era stato sul punto di divorare Esione, figlia di Laomedonte, perciò continuò a perseguitarli durante tutti i lunghi anni della guerra. La sua ira non risparmiò neppure i combattenti greci e aiutò infatti Atena a punirli per il sacrilegio compiuto da Aiace figlio d'Oileo che aveva violato Cassandra nel tempio della dea. Poseidone inoltre, mentre Aiace si vantava d'essere riuscito a salvarsi dal naufragio, spezzò con un colpo di tridente lo scoglio sul quale il naufrago si era rifugiato, e lo annegò; tutti gli altri comandanti greci smarrirono la rotta a causa d'una tempesta, perché ritenuti colpevoli di non aver punito il suo crimine. Odisseo fu invece risparmiato poiché aveva proposto che Aiace fosse lapidato, ma riuscì poi ad attirarsi l'odio di Poseidone accecando suo figlio Polifemo. Da quell'episodio il suo viaggio di ritorno si svolse in mezzo a mille difficoltà che gli procurarono la perdita di tutti i suoi compagni. Poseidone punì anche i Feaci che l'avevano aiutato, bloccando l'accesso al loro porto con una montagna e trasformando in pietra la nave con la quale avevano accompagnato Odisseo a Itaca.
Poseidone abitava un palazzo subacqueo al largo di Egea, in Eubea. Percorreva il mare col suo aureo cocchio capace di velocità incredibili. Il dio si mostrò avido di assicurarsi regni sulla terra e in queste sue pretese fu in genere sfortunato. Così sfidò Atena avanzando pretese su Atene e Trezene, e i due dèi furono invitati a un confronto. Poseidone giunse in Attica e, con un sol colpo del suo tridente, fece scaturire in mezzo all'Acropoli una sorgente d'acqua salmastra. Poi arrivò Atena che, prendendo il re Cecrope a testimone, piantò un olivo sulla collina. Per decidere, Zeus nominò arbitri: ora si dice che gli arbitri fossero Cecrope e Cranao, e ora i dodici dèi. La decisione fu favorevole ad Atena, poiché Cecrope testimoniò che la dea era stata la prima a piantare l'olivo ad Atene. Poseidone, adirato, inviò un'inondazione che ricoprì la pianura d'Eleusi. Per Trezene, Zeus impose un'equa divisione tra i due, ma né l'uno né l'altra ne furono soddisfatti. In seguito Poseidone cercò invano di strappare Egina a Zeus e Nasso a Dioniso; a Delfi, fu Apollo a spuntarla. Quando vantò pretese su Corinto, la città di Elio, il gigante Briareo, preso come giudice, decise di assegnare soltanto l'istmo a Poseidone. mentre Elio ebbe l'acropoli della città. Per Argo, fu Foroneo ad avere l'incarico d'arbitrare la contesa tra Poseidone ed Era; anche in questo caso, la decisione fu favorevole alla dea. Nel suo furore, Poseidone colpì l'Argolide prosciugando tutte le sorgenti del paese. Poco tempo dopo, Danao e le sue cinquanta figlie arrivarono in Argolide e non trovarono acqua da bere. Grazie ad Amimone, una delle Danaidi, di cui Poseidone s'innamorò, l'Argolide recuperò le sorgenti.
Poseidone si mostrò in alcuni casi anche capace di pietà. Trasformò la Tessaglia in una terra fertile provocando un grosso terremoto che scavò la valle di Tempe attraverso cui scorreva il fiume Penelo. Salvò Ino e il figlio Melicerte che si erano gettati in mare trasformandoli nelle divinità marine Leucotea e Palemone. Nominò Castore e Polideuce (i Dioscuri) protettori dei naviganti, dando loro il potere di placare le tempeste. Veniva invocato il suo aiuto per evitare i terremoti e perciò i Greci lo chiamavano Asphalios, "colui che previene le scosse".
In quanto dio dei cavalli era conosciuto anche col nome Hippios ("signore dei cavalli"). Donò cavalli a molti dei suoi protetti: a Pelope che amava diede cavalli alati con cui potè ottenere in sposa Ippodamia. A Ida quelli che gli permisero di portare con sé la figlia di Eveno, Marpessa; al tracio Reso cavalli bianchi come neve e veloci come il vento, che poi Odisseo e Diomede rubarono; a Peleo per le sue nozze con Teti la coppia di cavalli immortali Xanto e Balio che vennero poi ereditati da Achille. Poseidone veniva anche associato con gli arieti perché quando rapì Teofane, per evitare i pretendenti che si erano gettati all'inseguimento, si trasformò in ariete e trasformò la giovane in una pecora bellissima. Teofane generò un ariete alato con il Vello d'Oro che Nefele donò a suo figlio Frisso per salvarlo da Atamante.
Tutti gli dèi del mare possedevano la virtù di mutare forma, ma Poseidone trasformò oltre a sé anche molti esseri umani. Dopo aver violato Cenide, dietro sua richiesta la trasformò in uomo e mutò Alope in una sorgente d'acqua. Donò a suo figlio Periclimeno il potere di mutare forma a volontà e lo stesso fece per Mestra da lui sedotta. Rese il figlio Cicno invulnerabile.
Il culto di Poseidone era assai diffuso, dalla Beozia e dalla Tessaglia a Corinto, ove in suo onore si celebravano i giochi istmici e nella Magna Grecia, a Taranto e, ovviamente, a Poseidonia (Paestum).

Presbone


Nella mitologia greca, Presbone era il nome di uno dei figli di Frisso avuti con Iofassa.

Presbone, nipote da parte di madre di Eeto re della colchide, non fu uno dei 4 figli di Frisso che cercò di aiutare gli argonauti nelle loro avventure, essi erano Citisoro, Argeo, Frontide e Melanine.

Sposò in seguito Buzige, figlia di Lico e da lei ebbe un figlio chiamato Climeno. Presbone fu l’ultimo re della famosa stirpe di Atamante a regnare su Orcomeno.

Pretidi

Pretidi è il nome patronimico di Lisippe (o Lisippa), Ifinoe, Ifianassa, figlie di Preto. Insuperbite della loro bellezza, offesero gli dei, che le punirono rendendole pazze. Furono guarite dal vate Melampo, che sposò una di esse, Ifianassa.

Preto, figlio di Abante re di Argo, e di Aglea, figlia di Mantineo, si spartì l'Argolide con il fratello gemello Acrisio, col quale aveva una contesa da lungo tempo. Ma Acrisio scacciò Preto che trovò rifugio da Iobate, re di Licia, con l'aiuto del quale occupò Tirinto. I due fratelli allora si spartirono il regno: Acrisio regnò su Argo e Preto su Tirinto. Dalla moglie Stenebea, figlia di Iobate, che nell'Iliade è chiamata Antea, Preto ebbe le Pretidi e, molti anni dopo, Megapente.

La follia

Quando Preto si trovava ancora ad Argo, le Pretidi impazzirono. All'origine della follia vi sarebbe un'offesa arrecata a Era sulla cui natura esistono differenti versioni:

* le Pretidi avrebbero affermato di essere più belle della dea
* avrebbero detto che il palazzo del loro padre conteneva più ricchezze del tempio della dea
* avrebbero rubato l'oro che adornava una veste di Era


Secondo altre narrazioni, l'invasamento delle Pretidi sarebbe causato da Dioniso; esse, dopo averlo insultato, si sarebbero ubriacate con il vino. In un'anfora a figure rosse del Museo Nazionale di Napoli, le Pretidi sono rappresentate nel tempio di Artemide, dopo la purificazione, intente ad ascoltare le esortazioni di Melampo, alla presenza di Dioniso e di un satiro.

Alcuni autori sostengono che non soltanto le Pretidi furono colte da follia ma anche molte donne argive. Erodoto, ad esempio, non nomina né Preto né le figlie, ma parla di donne in generale; così anche Pausania, che però in un luogo della Periegesi riporta l'episodio come avvenuto sotto il regno di Anassagora e in un altro sotto il regno di Preto.

Nell'Epinicio X di Bacchilide, in onore di Alessidamo da Metaponto, le Pretidi costituiscono un motivo centrale. Vengono descritte in fuga dalla casa del padre, mentre si dirigono verso i monti in preda a terribili urla, a causa della follia suscitata in loro da Era. Preto supplica Artemide di guarirle e per questo fa edificare un tempio a Tirinto in onore della dea.

Melampo e la guarigione


Sempre Erodoto[5] riferisce che Melampo esigeva un compenso molto elevato per l'esercizio della sua mantis. Agli Argivi, che cercavano di convincerlo col denaro a guarire le donne di Argo, rispose di volere metà del regno. Allora essi, stupiti per l'esosa richiesta, se ne andarono. Ma siccome il numero delle donne che diventavano folli continuava a crescere, decisero di accondiscendere alle condizioni di Melampo. Melampo, dal canto suo, ne approfittò per rilanciare la richiesta, e disse che se non avessero assegnato anche a suo fratello Biante un terzo del regno, non si sarebbe deciso a guarire le donne. Sembra che nella follia le Pretidi credessero di essere delle vacche, imitandone il muggito, e che vagassero per i monti (fenomeno dell'oribasia o oreibasia) e i boschi dell'Argolide e dell'Arcadia. Andata a buon fine la trattativa e guarite le donne, Melampo sposò Ifianassa, Biante sua sorella Lisippa, mentre Ifinoe morì.

Il fiume Anigro


Pausania racconta che, secondo alcuni, il fiume Anigro, in Elide, emanava cattivo odore perché Melampo vi avrebbe gettato gli oggetti sacri utilizzati per la purificazione delle Pretidi. È probabile che questo dato sia da mettersi in relazione con la natura solforosa delle acque, da cui solitamente emana un forte sgradevole odore. Anche Strabone riferisce la leggenda di Melampo e ci informa che vicino al fiume Anigro si trova una grotta abitata dalle ninfe Anigridi dalla quale sgorga una sorgente di acque curative.

Preto

Mitico re di Tirinto, figlio di Abante e di Aglea, e fratello gemello di Acrisio. I due fratelli furono nemici così irriducibili che già nel seno materno presero a contendere. Abante lasciò in eredità il regno ai suoi due figli gemelli, raccomandando loro di regnare alternativamente. I loro costanti litigi si inasprirono allorché Preto si giacque con la figlia di Acrisio, Danae, e riuscì a stento a salvare la vita. Poiché Acrisio rifiutò di cedergli il trono allo scadere del suo termine, Preto si rifugiò alla corte di Iobate, re di Licia, e ne sposò la figlia Stenebea o Antea. Poi ritornò in Argolide alla testa di un esercito licio per sostenere il suo diritto alla successione. Ne seguì una sanguinosa battaglia, ma poiché né l'una né l'altra parte riuscì a prevalere, Preto e Acrisio acconsentirono, sia pure a malincuore, a dividersi il regno. Ad Acrisio toccarono Argo e i dintorni; a Preto toccarono Tirinto, Midea a la costa dell'Argolide. In possesso di Tirinto, Preto ne fortificò la cittadella, servendosi di sette Ciclopi, chiamati Gasterochiri perché si guadagnavano da vivere facendo i muratori. Essi costruirono mura massicce, utilizzando grandi blocchi di pietra.
A questo punto, il mito di Preto si intreccia strettamente con quello di Bellerofonte, figlio di Glauco. Bellerofonte si rifugiò come supplice presso Preto per farsi purificare da un delitto involontario che aveva commesso. Srenebea s'innamorò di lui a prima vista e poiché l'eroe rifiutò le sue profferte, essa lo accusò di aver tentato di sedurla e Preto, non volendo attirare su di sé la vendetta delle Moire uccidendo con le proprie mani un supplice, mandò Bellerofonte da suo suocero Iobate, affinché lo mettesse a morte.
Da Stenebea, Preto ebbe dapprima tre figlie: Lisippa, Ifianassa e Ifinoe, le quali furono fatte impazzire da Era (o Dioniso) e guarite da Melampo, indovino e medico. Ma la loro guarigione obbligò Preto a dividere il regno in tre parti, una delle quali conservò egli stesso; le altre due dovette consegnarle a Melampo e a suo fratello Biante. Preto diede poi in sposa la figlia Lisippa a Melampo e Ifianassa a Biante (la cui moglie Pero era morta di recente).
Durante la follia delle sue figlie, Preto ebbe un altro figlio da Stenebea, Megapente. Più tardi Megapente succedette a Preto sul trono di Tirinto, ma con Perseo scambiò il suo regno con quello di Argo, che Perseo non voleva avere a causa dell'uccisione accidentale del nonno Acrisio.

Priamo

Nella mitologia greca Priamo, figlio più giovane di Laomedonte, è re di Troia durante la guerra di Troia. Nella cosiddetta Prima guerra di Troia, espugnata la città da Eracle e ucciso Laomedonte il giovinetto Priamo fu salvato dall'intercessione di sua sorella Esione al momento della divisone del bottino. Da allora venne chiamato Priamo, vale a dire il riscattato (dal verbo greco Πρίαμαι), mentre fino allora il suo nome era Podarce (il pié veloce).

Non ci sono molte fonti che si riferiscano alle attività di Priamo prima della Guerra di Troia; si sa (Omero, Iliade III, 84) che il re aveva un rispettabile passato militare, accumulato nelle campagne dei Frigi contro le Amazzoni e vediamo che è un esperto guidatore di carri (attività decisamente militare all'epoca) quando si presenta, unica volta in tutta l'Iliade sul campo di battaglia per giurare i patti del duello fra Paride e Menelao.

La sua morte, non narrata dai poemi omerici ci è nota da altri scrittori, soprattutto nel II canto dell'Eneide di Virgilio e nella tragedia di Euripide Le troiane. Quando i Greci penetrano infine nella città riveste la sua vecchia armatura e vorrebbe cercare la morte nella mischia, ma la moglie in lacrime lo convince a rifugiarsi con le donne sull'altare di Zeus Erceo. Così deve assistere allo spettacolo della morte del figlio Polite, inseguito da Pirro Neottolemo fin sui gradini dell'altare. Priamo in preda alla furia gli fionda con estrema potenza l'asta ma il colpo va decisamente a vuoto, ferendo ad un braccio Pirro, dopo essere passata per il suo scudo; Neottolemo lo afferra e lo trafigge al fianco con la spada, causandone la morte. Virgilio poi accenna a una successiva decapitazione del cadavere, senza però fare il nome dell'esecutore,

Matrimoni e figli

Priamo ebbe numerose mogli e concubine; la prima moglie fu Arisbe da cui ebbe un figlio, Esaco, che morì prima dell'inizio della seconda guerra di Troia. Priamo in seguito divorziò da lei in favore di Ecabe (o Ecuba), figlia del re della Frigia Dimante da cui ebbe Ettore, l'eroe dell'Iliade ed erede al trono, Paride, il bellissimo giovane causa della seconda guerra di Troia, Deifobo, Eleno, noto indovino, Pammone, Polite, Antifo, Hipponoo, Polidoro, Troilo, ucciso giovanissimo da Achille in un agguato, Creusa, moglie di Enea, Iliona, Medesicaste, Laodice, Polissena, e Cassandra, amata da Apollo e punita per il suo rifiuto con il dono della profezia destinata a non essere mai creduta. Tra le figlie di Priamo secondo alcuni vi è anche Ilia sposa di Idamante re di Creta. Priamo elevò al rango di regina anche Laotoe, figlia del re dei Lelegi, senza però ripudiare Ecuba; da lei ebbe due figli, Licaone e il secondo Polidoro, che fu il suo ultimogenito. Il re generò molti altri figli da varie concubine o schiave. Secondo la versione più diffusa il numero totale dei suoi figli arriverebbe al numero tondo di cinquanta. Altre fonti parlano di cinquanta figli e cinquanta figlie.

Priapo

Figlio di Afrodite e di Dioniso, dio dei giardini giunto tardi nel mondo greco, probabilmente di provenienza frigia.
Nato deforme con corpo piccolo, pancia enorme e membro mostruosamente smisurato. Nascendo così brutto Afrodite lo rinnegò e lo abbandonò. Lo allevarono dei pastori che dalla sua mostruosità fallica ne avevano tratto dei buoni auspici per la fertilità dei campi e delle greggi. Così Priapo divenne il dio dell'istinto sessuale e della forza generativa maschile e della fertilità delle campagne.
S'innamorò della ninfa Lotide che rifiutava ostinatamente l'amore del dio; più di una volta egli era stato sul punto di raggiungerla, ma lei era sempre riuscita a scappare. Una notte in cui ella dormiva fra le Menadi, compagne di Dioniso, Priapo, che era dello stesso gruppo, cercò di avvicinarsi a lei e di prenderla di sorpresa. Stava per raggiungere il suo scopo allorché l'asino di Sileno si mise a ragliare così forte che tutti si svegliarono; Lotide fuggì, lasciando Priapo molto confuso, mentre le Baccanti presenti ridevano della sua disavventura. Più tardi Lotide chiese di essere trasformata in una pianta, e diventò un arbusto dai fiori rossi, chiamato loto.
Come nume della generazione, Priapo trovò fedeli presso gli iniziati ai misteri e i contadini. I primi lo consideravano non solo dio della nascita, ma anche della morte, cioè di tutta la vita e di tutta la natura. Più semplice e ingenuo era il culto che gli rendevano i contadini: per essi Priapo era venerato come protettore degli armenti, della pesca, delle api, delle vigne e dei giardini. Gli si offrivano le primizie e gli si sacrificava un asino. Gli si innalzavano nei campi degli spaventapasseri in posizioni oscene e grottesche. La roncola nel pugno e il fascio di canne mosse dal vento sul capo, giovavano a incutere terrore ai ladri e agli uccelli. Talvolta era invece rappresentato sotto l'aspetto di Satiro con il berretto frigio e carico di frutta.
Gli era sacro l'asino ed era figurato come vecchio barbuto seminudo munito di falce e con un enorme membro eretto. In Italia si identificò con il dio Mutinus Tutinus, antica e oscura divinità romana a carattere fallico.

Procle

Nella mitologia greca, Procle era uno degli eraclidi di terza generazione, figlio di Aristodemo e nipote di Aristomaco.

Assieme al fratello gemello Euristene ricevette in eredità da Aristodemo il trono di Sparta (secondo altre versioni del mito i due gemelli lo avrebbero strappato a Tisameno).

È considerato il fondatore della casa regnante di Sparta degli Euripontidi.

Procleia

Nella mitologia greca, Procleia o Proclea era il nome di una delle figlie di Laomedonte.

Procleia fu la prima moglie di Cicno al tempo in cui era re di Colone. da tale unione nacquero due figli, Tenete o Tenedo e Emitea. In seguito alla morte di Procleia Cicno si sposò con Filonome.

Procne


Nella mitologia greca Procne, o Progne, (greco Πρόκνη, pron. Pròcne) è figlia di Pandione, re mitico di Atene.

La sua leggenda è legata a quella di sua sorella Filomela, violentata dal marito di Procne Tereo, re della Tracia. Filomela, sebbene Tereo l'avesse privata della lingua affiché nessuno conoscesse il suo gesto, riesce a comunicare l'accaduto alla sorella tessendone le immagini su di una tela. Procne, per vendetta, fa a pezzi suo figlio Iti e lo dà in pasto a Tereo. Tereo va su tutte le furie e minaccia di morte Filomela e Procne. Secondo il mito furono tramutate dagli dei rispettivamente in usignolo e rondine, mentre Tereo in un'upupa.

Nel Purgatorio dantesco Procne compare nel canto diciassettesimo tra gli iracondi.

A Procne è intitolato l'asteroide 194 Prokne.

Procri

Procri è una figura della mitologia greca, era figlia di Eretteo re di Atene, e sorella di Creusa, Orizia e Ctonia.

Procri sposò Cefalo, dal quale ebbe Arcesio, padre di Laerte e nonno di Ulisse. Ma la bellezza del marito attrasse Eos, la dea dell'aurora, condannata da Afrodite ad innamorarsi di continuo per aver condiviso il talamo con Ares.
L'aurora cercò di attirare con generose profferte d'amore Cefalo, ma lui dichiarò che era fedele a Procri ed anche se era Afrodite in persona, non avrebbe consentito a diventare il suo amante.

Eos, non rinunciando a lui, gli chiese di mettere alla prova la fedeltà della moglie, poi sparì.
Cefalo, turbato dal pensiero che Procri lo tradisse in sua assenza, sotto mentite spoglie si presentò alla moglie e le offrì molti monili d'oro, in cambio di una notte con lei. Sulle prime Procri non cedette né all'oro, né al marito travestito, poi vinta dalla sua insistenza, accettò. Allora il marito si rivelò e lei, piena di vergogna, travestitasi da giovinetto, fuggì a Creta, dove divenne l'amante di Minosse. Il re di Creta donò a Procri una lancia magica che non mancava mai il bersaglio ed un cane che riusciva sempre a catturare le prede, doni avuti da Artemide, che si irritò molto.

In seguito Procri tornò da Creta e rincontrò Cefalo che, notando i regali fatti da Minosse a Procri, le chiese cosa volesse in cambio della lancia e di Lelope e questa gli disse che li avrebbe avuti, in cambio di una notte d'amore. I due sposi si riconobbero nell'intimità e si riconciliarono. Vissero ancora dei momenti di felicità insieme, ma Artemide, che non aveva mai tollerato che i suoi regali venissero passati di mano in mano per le gioie del sesso, decise di vendicarsi.

Un giorno Procri, pensando che Cefalo fosse ancora innamorato di Eos, durante una battuta di caccia si nascose in un cespuglio per osservare l'amato. Cefalo, sentendo un fruscio nel cespuglio e pensando che in quel cespuglio si nascondesse una fiera in agguato, afferrò la lancia che non mancava mai il bersaglio e la lanciò contro il cespuglio, uccidendo accidentalmente la moglie.

Procuste

Nella mitologia greca classica Procuste è il soprannome di un brigante greco di nome Damaste (o anche Polipèmone) che, appostato sul monte Coridallo, nell'Attica, lungo la via sacra tra Eleusi e Atene, aggrediva i viandanti e li straziava battendoli con un martello su di un'incudine a forma di letto scavata nella roccia o metallica.

I malcapitati venivano infatti stirati a forza se troppo corti, o amputati qualora sporgessero dal letto. Ulteriori interpretazioni del mito (che divennero predominanti) affermavano invece che Damaste possedesse due letti, uno molto corto e uno molto lungo: egli tormentava e uccideva i viandanti stirando quelli di bassa statura sul letto lungo e amputando le membra di quelli di alta statura avanzanti dal letto corto.

Damaste fu sconfitto e ucciso da Teseo che lo incontrò mentre si recava da Atene a Trezene; egli lo costrinse allo stesso supplizio che imponeva alle sue vittime.

Con la locuzione "letto di Procuste" o "letto di Damaste", derivata da questo mito, si indica il tentativo di ridurre le persone a un solo modello, un solo modo di pensare e di agire, o più genericamente una situazione difficile e intollerabile o una condizione di spirito tormentosa.

Promaco

Promaco è il nome di differenti personaggi della mitologia greca.

Figure mitiche

* Promaco, fratello di Giasone, figlio di Esone e di Alcimede (o Polimela o Anfinome). Era ancora un bambino quando fu ucciso da Pelia, assieme ai suoi familiari, mentre Giasone aveva intrapreso la spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro.
* Promaco, figlio di Partenopeo, fece parte degli degli Epigoni, il gruppo di protagonisti dell'aggressione della città di Tebe, un'impresa concepita allo scopo di vendicare i loro padri, morti nella spedizione dei Sette contro Tebe. Tutti gli Epigoni morirono nel tentativo di compiere dell'impresa e Promaco, ucciso in battaglia, fu sepolto a sette stadi da Temesso, sulla strada che da Tebe conduce verso l'Euripe. Pausania, nel ricordare le loro statue presenti ad Argo, afferma invece che il gruppo sarebbe riuscito nel conquistare Tebe. Altro gruppo statuario viene ricordato nel recinto sacro di Delfi.
* Promaco, fratello di Echefrone, entrambi figli di Eracle e della siciliana Psofide (Psophis), figlia del tiranno Erice, ucciso da Eracle. Insieme al fratello, diede il nome della madre a una città dell'Arcadia, poi minacciata dal cinghiale di Erimanto.
* Promaco, da Itaca, fu uno dei Proci che aspiravano al matrimonio con Penelope.
* Promaco, figlio di Alegenore (o Alegenorre), discendente di Anfizione e Deucalione, fu un guerriero della Beozia, menzionato tra gli Achei nell'Iliade. Fu ucciso da Acamante. Viene ricordato nell'Iliade come un capitano beota, al servizio del re supremo della Beozia. Omero accenna al fatto che fosse sposato ma, oltre a questa piccola informazione, null'altro si conosce su questo personaggio, la cui presenza letteraria è limitata ad alcuni versi del celebre poema epico.
* Promaco, amante del giovane Leucocama. La figura dell'erastes Promaco è associata a quella del suo eromenos Leucocama, in un mito le cui vicende sono ambientate a Cnosso. Il mito di Promaco e Leucocama è attestato unicamente nelle Narrationes (Διηγήσεις) di Conone di Atene, andate perdute ma epitomate in modo molto dettagliato da Fozio. Il giovane cretese Promaco, innamorato del coetaneo Leucocama, si sottoponeva a prove durissime per conquistare l'amato. Quest'ultimo, tuttavia, ne proponeva sempre di nuove negandosi ogni volta. Così, avendo recuperato con molte difficoltà un elmo, Promaco, al cospetto di Leucocama, lo offrì a un altro giovane. Leucocama, indispettito dal gesto, si suicidò trafiggendosi con una spada.

Prometeo

Prometeo, è una figura della mitologia greca, titano, figlio di Giapeto e di Climene. A questo eroe amico del genere umano sono legati alcuni antichissimi miti che ebbero fortuna e diffusione in Grecia. Egli è anche "cugino" di Zeus, essendo anche quest'ultimo figlio di un titano, Crono. Le tradizioni differiscono talvolta sul nome della madre. Viene citata Asia, figlia di Oceano o Climene, anch'ella un Oceanina. Una leggenda più antica lo rendeva figlio di un Gigante, chiamato Eurimedonte, il quale lo aveva generato sin da bambino violentando Era, il che spiegherebbe l'avversione di Zeus verso Prometeo. Prometeo ha vari fratelli: Epimeteo, che è, in contrasto con lui, il "maldestro" per eccellenza, Atlante, Menezio. Prometeo si sposò a sua volta. Il nome di sua moglie varia egualmente secondo gli autori: il più delle volte è Celeno, o anche Climene. I suoi figli sono Deucalione, Lico e Chimereo, ai quali si aggiungono talvolta Etneo, Elleno e Tebe.

La sua azione, posta ai primordi dell'umanità, si esplicava in antitesi a Zeus, dando origine alla condizione esistenziale umana.

Il mito di Prometeo

I Greci dicono che Atlante fosse figlio di Era, e che le sue cinque coppie di fratelli gemelli giurassero lealtà sul sangue di un toro sacrificato. All'inizio i fratelli erano molto virtuosi e saggi, ma un giorno si lasciarono vincere dall'avidità e dalla crudeltà; per punirli gli dei scatenarono un diluvio che distrusse il loro regno. Atlante e Menezio, che sopravvissero al diluvio, si unirono a Crono e ad altri Titani per combattere gli dei dell'Olimpo. Zeus, però, uccise Menezio con una folgore e condannò Atlante a portare sulle spalle il Cielo per l'eternità.

Pur appartenendo ai ribelli Titani, Prometeo si schierò dalla parte di Zeus, inducendo a fare altrettanto anche il fratello Epimeteo; per questo fu presente alla nascita di Atena dalla testa di Zeus, che fu assai gentile e benevola con lui, insegnandogli le arti utilissime come l'architettura, l'astronomia, la matematica, la medicina, la metallurgia e la navigazione.

Dell'amicizia che prova per gli uomini dà testimonianza fin dalla prima volta in cui se ne deve occupare: quando riceve da Atena e dagli altri dei un numero limitato di "buone qualità" da distribuire saggiamente fra tutti gli esseri viventi. Epimeteo («colui che riflette dopo»), senza pensarci troppo, cominciò a distribuire le qualità agli animali ma si dimenticò degli uomini; Prometeo rimediò rubando dalla casa di Atena uno scrigno in cui erano riposte l'intelligenza e la memoria, e le donò alla specie umana.

Ma Zeus in quel momento non era favorevole al genere umano, anzi aveva deciso di distruggerlo: non approvava la benevolenza di Prometeo per le sue creature e considerava i doni del titano troppo pericolosi, perché gli uomini in tal modo sarebbero divenuti sempre più potenti e capaci.

Durante un sacrificio agli dei, nella piazza di Mecone, gli uomini si incontrarono e decisero di spartirsi di comune accordo gli animali immolati. Prometeo, convocato in qualità di arbitro per stabilire quali parti di un toro sacrificato spettassero agli dei e quali agli uomini, squartò l'animale, lo tagliò a pezzi e ne fece due parti. Agli uomini riservò i pezzi di carne migliori, nascondendoli però sotto la disgustosa pelle del ventre del toro. Agli dei riservò solo le ossa che celò in un lucido strato di grasso. Fatte le porzioni, invitò Zeus a scegliere la sua parte; il resto doveva andare agli uomini.

Zeus accettò l'invito e si servì della parte grassa, ma vedendo le ossa abilmente nascoste, si infuriò lanciando una terribile maledizione su costoro: da quel momento gli uomini sacrificheranno agli dei e offriranno loro le parti immangiabili dell'animale sacrificato, consumandone le carni, ma i mangiatori di carne diverranno per questo mortali mentre gli dei rimarranno i soli immortali. Lo sfrontato raggiro doveva comunque essere punito e Zeus, senza colpire direttamente Prometeo, tolse il fuoco agli uomini e lo nascose.

La punizione di Prometeo e degli uomini


Prometeo si recò da Atena affinché lo facesse entrare di notte nell'Olimpo e appena giunto, accese una torcia dal carro di Elio e si dileguò senza che nessuno lo vedesse. Secondo altre leggende, egli ritrovò la torcia nella Fucina di Efesto, ne rubò qualche favilla e, incurante delle conseguenze, la riportò agli uomini. Venutolo a sapere, Zeus promise di fargliela pagare. Così ordinò ad Efesto di costruire una donna bellissima, di nome Pandora, la prima del genere umano, alla quale gli dei del vento infusero lo spirito vitale e tutte le dee dell'Olimpo la dotarono di doni meravigliosi.

Si racconta che Zeus la inviò da Epimeteo affinché punisse la razza umana, alla quale Prometeo aveva dato il fuoco divino. Epimeteo, avvertito dal fratello di non accettare regali da Zeus, la rifiutò; cosicché Zeus, più indignato che mai per l'affronto subìto prima dall'uno poi dall'altro fratello, decise di punire ferocemente il Titano e tutti gli uomini che egli difendeva. Il padre degli dei fece incatenare Prometeo, nudo, con lacci d'acciaio nella zona più alta e più esposta alle intemperie del Caucaso e gli venne conficcata una colonna nel corpo. Inviò poi un'aquila perché gli squarciasse il petto e gli dilaniasse il fegato, che gli ricresceva durante la notte, giurando di non staccare mai Prometeo dalla roccia.

Epimeteo, dispiaciuto per la sorte del fratello, si rassegnò a sposare Pandora, ma essa si rivelò tanto stupida quanto bella, perché sventatamente e per pura curiosità aprì un vaso che Epimeteo teneva gelosamente custodito, nel quale Prometeo aveva chiuso tutti i mali che potessero tormentare l'uomo: la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte. Essi uscirono e immediatamente si sparsero tra gli uomini; solo la speranza, rimasta nel vaso tardivamente richiuso, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggior scoraggiamento.

La liberazione e l'immortalità del Titano


Come narrato nella tragedia perduta di Eschilo Prometeo liberato, dopo tremila anni, Eracle passò dalla regione del Caucaso, trafisse con una freccia l'aquila che lo tormentava e liberò Prometeo, spezzando le catene.

Secondo il racconto contenuto nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, durante un incontro tra Chirone ed Eracle, alcuni centauri attaccarono l'eroe. Questi per difendersi usò le frecce bagnate con il veleno dell'Idra, da cui non si poteva guarire. Chirone venne inavvertitamente graffiato da una delle frecce. Non potendo morire perché immortale, cominciò per lui una sofferenza atroce. Zeus quindi accettò la vita di Chirone che poté finalmente morire in cambio dell'immortalità di Prometeo.

Culto e devozioni

L'eroe benefattore dell'umanità godette di un culto molto diffuso ad Atene, tanto che la città gli dedicò delle feste pubbliche, dette «Prometheia», nelle quali si percorrevano le strade correndo con fiaccole accese per celebrare il più grande dono che Prometeo aveva fatto all'umanità: il fuoco.

Pronoe

Nella mitologia greca, Pronoe era il nome di una delle Nereidi. Essa, secondo alcune tradizioni, era la figlia di Forbo

Pronoe ebbe come marito Etolo, il famoso fondatore dell’Etolia, dalla loro unione nacquero Pleurone e Calidone.

Pronoo

Nella mitologia greca, Pronoo era il nome di uno dei figli di Fegeo fratello di Foroneo.

Pronoo (Iliade)

Pronoo, fu un guerriero troiano citato nell'Iliade nel libro relativo a Patroclo .

Pronoo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade.

Proserpina

Divinità romana degli Inferi, il cui nome è una probabile latinizzazione del nome della dea greca Persefone o Core con la quale va in ogni caso identificata. In origine fu una dea agreste, che presiedeva alla germinazione. Secondo una leggenda tramandataci da Valerio Massimo, il culto di Proserpina fu introdotto in Roma con quello di Dite per scongiurare una grave pestilenza. I figli di un certo Valerio furono colpiti dal morbo. Il loro padre, allarmato, chiese agli dèi che cosa doveva fare per salvarli, ed essi risposero che doveva seguire il corso del Tevere, con i figli, fino a "Tarentum", e qui dar loro da bere l'acqua dell'altare di Dis e di Proserpina. Valerio provò fastidio per dover intraprendere un sì lungo viaggio. Si mise tuttavia in marcia, e la prima sera, si accampò ai margini del fiume. L'indomani chiese agli abitanti del paese come si chiamasse quel luogo. Gli risposero "Tarentum". Comprese allora il vero significato dell'oracolo, colse l'acqua del Tevere e la diede da bere ai figli, i quali guarirono. Riconoscente volle innalzare in quel punto un altare a Dis e a Proserpina, ma scavando il suolo per fondarvi l'edificio, scoprì una pietra che recava già un'iscrizione in onore di queste due divinità: era l'altare di cui aveva parlato l'oracolo.
Da Varrone e Livio sappiamo che fin dal 249 a. C. a Roma si erano celebrati i ludi tarentini o saeculari in onore di tale dea, con sacrifici nel Tarentum. E proprio da Taranto sembra che Proserpina sia stata importata, in epoca molto anteriore alla conquista romana della Grecia. Identificata ben presto con Libera, non raggiunse mai tra i Romani molta popolarità.

Proteo
(mitologia)

Proteo è una divinità marina e profeta della religione greca, figlio di Oceano e Teti, capace di cambiare forma in ogni momento.

Il suo nome allude al "primo nato" e il personaggio è associato ad altri due "vecchi del mare", Nereo e Forco.

Secondo Omero, Proteo risedeva abitualmente nell'isola di Faro, prossima all'Egitto, a circa un giorno di distanza dal fiume Nilo. Nell'Odissea si racconta che Proteo soleva uscire dal mare a mezzogiorno per sdraiarsi a riposare all'ombra delle rocce, circondato dal gregge di foche di Posidone al quale accudiva. Chi anelava sapere dal dio la propria ventura, ricorrendo alle sue facoltà di veggente sincero e veritiero, doveva accostarglisi a quell'ora e coglierlo nel sonno, utilizzando anche la forza bruta per trattenerlo, poiché egli era in grado di trasformarsi per tentare di sfuggire al compito talvolta ingrato di vaticinare. Tuttavia, una volta tornato, magari anche per coercizione, alle sue fattezze naturali di vecchio, rispondeva con schiettezza a ogni quesito che gli veniva posto.

Nell'Odissea di Omero Proteo è padre di Idotea.


Dalla sua capacità di trasfigurarsi scaturisce il termine proteiforme, che sta a indicare un essere in grado di mutare la propria forma in ogni momento, oppure l'accezione proteo riferita a una persona che cambia spesso opinioni o parola, per cui di un uomo variabile si dice che è un Proteo.

Da questo personaggio mitologico deriva anche la cosiddetta sindrome di Proteo, una malattia rarissima che comporta deformazioni estese.

Protesilao

Protesilao (o Iolao) è una figura della mitologia greca, figlio di Ificlo e di Astioche. Principe di Tessaglia, era uno dei capi achei che accompagnarono gli eserciti di Agamennone e Menelao nella guerra di Troia. Fu il primo guerriero acheo a balzare sul suolo troiano, morendo eroicamente, dopo aver compiuto una grande strage, per mano di Ettore. La sua morte non è raccontata nell'Iliade, nel quale è solo citata, ma è riferita da svariati autori greci e latini.

Protesilao era uno dei pretendenti di Elena. Egli condusse 40 navi con sé a Troia, e fu il primo ad atterrare: "Il primo uomo che osò sbarcare quando la flotta greca toccò la Troade".

Un oracolo profetizzò che il primo Greco a toccare terra, sceso dalla nave, sarebbe stato il primo a morire nella guerra di Troia, e quindi, dopo aver ucciso quattro uomini, Protesilao venne ucciso da Ettore. Ma anche su questo punto, le fonti discordano; secondo altri l'uccisore sarebbe stato Euforbo, Acate, Enea o Cicno. Dopo la morte di Protesilao, suo fratello, Podarce, entrò in guerra al suo posto. Gli dei ebbero pietà di sua moglie, Laodamia, figlia di Acasto, e lo condussero fuori dall'Ade per vederla. Un'altra tradizione afferma che sua moglie era Polidora, figlia di Meleagro. Lei inizialmente era felicissima, credendo che egli sarebbe ritornato da Troia, ma dopo che gli dei lo condussero nell'oltretomba, trovò la perdita insopportabile. Costruì una statua di bronzo del marito perduto, e si dedicò ad essa. Come suo padre se ne accorse, preoccupato, la distrusse fondendola nel fuoco, ma Laodamia vi balzò dentro. Nell'Iliade fa una brevissima apparizione: è il primo eroe ucciso sul suolo troiano. La leggenda indica come non avesse compiuto i riti sacrificali prima della costruzione della sua casa nuziale. Perse così la protezione divina dopo il matrimonio con Laodamia.
Il suo nome contiene l'aggettivo Protos che significa primo.

Protoenore


Nella mitologia greca, Protoenore (o Protenore, nella versione più comune), era il nome di uno dei capitani achei, provenienti dalla Beozia, i quali presero parte alla guerra di Troia, per sostenere Menelao, re di Sparta, contro la ricca e fiorente città di Troia, rea di un oltraggio per opera del principe troiano Paride. Questi infatti, accolto benevolmente dal re spartano, approfittò della sua assenza per rapirne la moglie, la bellissima Elena, figlia di Zeus. Le vicende fondamentali di questa guerra furono raccontati da Omero nell'Iliade.

La partenza per Troia


Protoenore, illustre capitano originario della Beozia, partì alla volta della città insieme al fratello Arcesilao, figlio, come lui, di Areilico e di Teobula. Nell'Iliade, egli viene nominato nel "Catalogo delle navi", col ruolo di luogotenente, al servizio del supremo comandante beota, Peneleo;[1] oltre a Protoenore, altri comandanti rappresentavano il contingente beota: Clonio, Arcesilao ed Arpalione, quest'ultimo suo fedele amico. Protoenore giunse a Troia, conducendo con sé otto navi.[2]

La morte


Durante la battaglia contro le navi achee, il giovane eroe greco cercò di tuffarsi nei combattimenti armato di lancia e di spada e affrontò coraggiosamente il guerriero e sacerdote di Troia Polidamante che lo trafisse con la sua lancia alla spalla, e la vita del greco scese giù nella casa di Ade. Polidamante imprecò contro di lui, una volta ucciso, in modo così crudele che Aiace Telamonio, furioso per la morte di un compagno così caro dell'esercito acheo, gli fiondò contro la sua lancia e Polidamante riuscì ad evitare la morte e il colpo invece se lo prese il figlio di Antenore Archeloco in pieno collo, con tale violenza che venne decapitato di netto.

Protogenia

Nella mitologia greca, Protogenia, il cui significato del nome è «la Prima Nata», è una delle prime donne mortali, figlia di Deucalione e Pirra. Ha due fratelli, Elleno, il maggiore e Anfizione.

Stando alla leggenda, Protogenia era stata la seconda mortale, dopo Niobe, a cui Zeus si era unito d'amore nel talamo. Da questo amore con la divinità, essa ebbe due figli: Etlio ed Opo.
In questo stesso periodo, tuttavia, Protogenia aveva sposato un mortale, Locro, re dell'omonima città di Oponte. Uno dei figli "divini" di sua moglie Protogenia, Opo, gli venne affidato da Zeus stesso e in tal modo il re lo allevò come figlio suo.

Protoo

Nella mitologia greca, Protoo era il nome di alcuni personaggi, protagonisti di vicende molto diverse tra loro.

Sono quattro i personaggi che portano questo nome:

* Protoo, figlio di Tendredone, era il capitano dei Magneti, una popolazione della Tessaglia che abitava tra il monte Pelio e il fiume Peneo, ed era uno degli eroi greci nella guerra di Troia.
* Protoo, uno dei figli di Agrio, il quale partecipò col padre e i fratelli alla confisca del regno di Calidone a Eneo, loro zio. Venne ucciso da Diomede.
* Protoo, nominato da Apollodoro come uno dei cinquanta figli del malvagio Licaone. Venne fulminato da Zeus insieme al padre e ai fratelli.
* Protoo, figlio di Testio e fratello di Altea

Protoo, capo dei Magneti


Originario della Tessaglia, Protoo "il veloce" discendeva da Tendredone, un personaggio altrove sconosciuto. Egli era sovrano dei Magneti, un popolo che abitava la parte costiera della Tessaglia a sud-ovest del Monte Ossa. Pare fosse un pretendente di Elena, figlia di Zeus, anche se tale notizia è riportata dal solo Igino. In seguito al rapimento di quest'ultima da parte di Paride dovette partecipare alla guerra contro Troia per liberarla. Egli partì dalla sua patria conducendo con sé quaranta navi.

Protoone

Protoone, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Protoone fu ucciso da Teucro nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.

Psamate (figlia di Crotopo)

Psamate era figlia di Crotopo, re di Argo, e concepì un figlio ad Apollo, Lino. Non va confusa con un'altra Psamate, che era una delle nereidi.

Pausania riferisce che Apollo si innamorò di Psamate e la rese gravida di Lino. Quando il bambino nacque, Psamate, temendo l'ira del padre, lo abbandonò su una montagna. Dei mandriani al servizio di Crotopo raccolsero il bambino e lo allevarono; un giorno, però, Lino fu sbranato dai cani pastori, lasciati incustoditi. Il dolore di Psamate alla notizia della morte del bimbo non sfuggi a Crotopo, che intuì la colpa della figlia e la condannò a morte. Apollo, addolorato e furioso per la morte di Lino e della sua amante, volle punire Crotopo, e inviò ad Argo Pena («Punizione»), una creatura mostruosa che rapiva tutti i neonati del regno. Pena fu uccisa dall'eroe Corebo, ma subito sulla città si abbatté un'implacabile pestilenza. Infine, Corebo chiese all'Oracolo di Delfi come estinguere la rabbia del dio. La Pizia gli ordinò di prendere un tripode e di edificare un tempio ad Apollo nel luogo in cui gli sarebbe caduto di mano. Ciò accadde sul monte Gerania, laddove Corebo costruì il tempio e in seguito fondò la città di Tripodisco.

Psamate (nereide)

Psamate è una delle nereidi, semi-divinità della mitologia greca, e specificatamente la dea della sabbia. Figlia di Nereo e di Doride, generò con Eaco, re di Egina, il figlio Foco. Non va confusa con un'altra Psamate, che era invece figlia di Crotopo.

Quando Eaco decise di sedurla, Psamate si mutò in foca e cercò inutilmente di sfuggirgli. L'uomo la raggiunse e dal loro amplesso nacque Foco, che divenne il prediletto del re. In seguito, Foco fu ucciso dai suoi fratelli maggiori Telamone e Peleo, figli di primo letto di Eaco con Endeide. Il fratricidio fu però scoperto, e i due fuggirono da Egina.

Stando ad Antonino Liberale, Psamate volle vendicarsi e scatenò un lupo mostruoso contro Peleo, che frattanto aveva sposato un'altra nereide, Teti. L'animale incontrò fortuitamente sulla propria strada le mandrie di mucche che Teti aveva portato in dote al marito, e se ne saziò. Quando sopraggiunsero i due sposi, il lupo, satollo, tentò goffamente di lanciarsi contro Peleo. Teti allora trasformò l'animale in una pietra, che si troverebbe ancora in quel luogo, fra la Locride e la Focide.

Ovidio racconta invece che Peleo, quando si trovò di fronte il lupo, pregò Psamate per ottenerne il perdono, ma inutilmente. Fu allora Teti a intercedere per il suo sposo, placando l'ira della sorella. Il lupo tuttavia non si fermava e, dopo aver straziato la gola dell'ultima giovenca, sarebbe saltato addosso a Peleo, se non fosse stata la stessa Psamate a trasformarlo in una statua di marmo.

Stando a Euripide, in seguito Psamate sposò Proteo, re d'Egitto, cui diede due figli: un maschio, Teoclimeno, e una femmina, Eido, che ricevette in eredità dal nonno Nereo il dono della profezia e in seguito assunse per questo il nome di Teonoe.

Psiche

Il mito di Amore e Psiche, la cui elaborazione più raffinata e completa è nei libri quarto, quinto e sesto delle Metamorfosi di Apuleio narra che Psiche, figlia d'un re, aveva due sorelle. Tutte e tre erano bellissime, ma Psiche era di una bellezza tale che aveva reso gelosa perfino Afrodite. La dea, irata, decise di punirla e ordinò ad Amore di ferirla con le sue frecce e farle nascere in cuore un affetto indegno. Ma Amore, vistala, se ne innamorò, e la fece rapire da Zefiro e trasportare in un meraviglioso magico palazzo. La fanciulla penetrò nelle stanze che s'aprivano davanti a lei e fu accolta da voci che la guidarono e le rivelarono di essere altrettante schiave al suo servizio, una voce gentile le disse di non avere paura. La giornata trascorse di stupore in stupore e di meraviglia in meraviglia. La sera, Psiche avvertì vicino a lei una presenza che le disse d'essere il suo sposo e aggiunse che avrebbe potuto vivere la più felice delle vite se non si fosse lasciata tentare dallo scoprire chi egli fosse e se non avesse mai cercato di vederlo. Psiche si innamorò di lui profondamente. Di giorno, lei era sola nel suo palazzo pieno di voci. Di notte, era raggiunta dal suo sposo. Era felicissima, ma un giorno cominciò a sospirare la famiglia, il padre e la madre, e chiese all'amante il permesso di poter tornare per un po' di tempo presso i suoi. Dopo molte preghiere, Psiche finì per spuntarla. L'occidentale vento Zefiro la trasportò fino alla sommità della roccia e, da qui, fece ritorno a casa. Le furono fatte grandi feste e le sorelle vennero a trovarla. Queste, nel vederla così felice e nel ricevere i regali ch'ella aveva loro portato, furono prese da una grande gelosia. Riuscirono poi a scoprire che Psiche non aveva mai veduto in volto il suo sposo e le insinuarono il dubbio che un giorno si sarebbe trasformato in un serpente che risalendo fino al suo ventre avrebbe ucciso il bambino che portava.
Psiche ritornò al palazzo e, dilaniata dai dubbi, decise di soddisfare la sua curiosità. Nascose nella camera una lucerna e la notte, approfittando del sonno di Amore, l'accese; ma rimase tanto rapita nella contemplazione del suo sposo che dimenticando ogni prudenza, lasciò cadere sul dormiente una goccia d'olio caldo. Amore crucciato si svegliò e scomparve. Disperata, Psiche lo cercò in ogni dove vanamente, inseguita dalla collera di Afrodite. Non ricevendo aiuto da alcuna divinità, si recò infine al palazzo di Afrodite. La dea la lasciò entrare ma la ridusse in schiavitù e le ordinò di eseguire prove durissime e terribili: mondare semi che riempivano una stanza prima che scendesse la notte, raccogliere lana di montoni selvatici, riempire una giara con l'acqua del fiume Stige nella parte montagnosa dell'Arcadia, infine discendere agli Inferi. Qui doveva chiedere a Persefone uno scrigno che conteneva la bellezza. La dea le diede lo scrigno chiesto da Afrodite, accuratamente sigillato. Sulla via del ritono, Psiche si lasciò prendere dalla curiosità e dal grande desiderio di riconquistare l'amore del suo sposo e aprì lo scrigno che le era stato dato da Persefone. Cadde nel sonno mortale contenuto nello scrigno e così fu trovata da Amore che le restituì la vita e la portò con sé sull'Olimpo. Il matrimonio fu celebrato dagli dèi, Afrodite dimenticò la sua ira, e lo stesso Zeus le offrì una coppa di nettare che la rese immortale. Psiche generò ad Amore una figlia, Voluttà.
La favola di Amore e Psiche (l'anima) fu per la prima volta cantata dal poeta ellenistico Meleagro nel I secolo a. C., pur essendo certamente più antica, poi elaborata nel romanzo di Apuleio assunse un particolare valore morale e religioso, in relazione con le interpretazioni neoplatoniche, appunto in quanto appare il concetto che l'Amore delle cose divine apre la via all'immortalità. Psiche, personificazione dell'anima umana, tende a ricongiungersi con Amore, simbolo della bellezza immortale di Dio.

Psillo


Psillo era il sovrano di una tribù della Cirenaica, gli Psilli, i quali erano celeberrimi incantatori di serpenti.

Era figlio d'Anfitemi e di una ninfa nonché, stando a quanto riferito da Nonno di Panopoli, il padre di Categono.

Volle vendicarsi del Vento del sud, che con il suo soffio aveva spazzato via i suoi raccolti, ed armò una grande flotta per far vela alla volta dell'isola di Eolo e far pagare al vento infido il fio della sua colpa.

Sennonché lo colse una tremenda procella prima che riuscisse a raggiungere l'agognata méta. La tempesta fece colare a picco tutte le sue navi ed anch'egli defunse.

La sua tomba era ubicata presso la Grande Sirte.

Pterelao

Pterelao è un personaggio della mitologia greca, figlio di Tafio e re di Tafo.

Grazie ad un capello d'oro donatogli da Poseidone e celato nella sua folta capigliatura, era detentore dell'immortalità. Un giorno sua figlia Cometo, innamorata follemente di Anfitrione che aveva assediato la città, gli strappò il capello d'oro, uccidendolo.

Anfitrione conquistò la città ed uccise la figlia snaturata.

Ptoliporthus

Nella mitologia greca, Ptoliporthus o Ptoliporto, che significa «il Distruttore di Città» è un figlio di Telemaco e Nausicaa.

Dopo la morte del padre, Telemaco prese il suo posto come re ad Itaca e qui sposò Circe, che era stata in tempi passati amante del padre. Dopo che gli generò il figlio Latino, eponimo dei Latini, il giovane l'abbandonò per recarsi in terra dei Feaci, dove regnava il vecchio re Alcinoo e la sua bella figlia Nausicaa.

Telemaco prese in sposa la fanciulla e da lei ebbe due figli: Persepolis e Ptoliporthus (o Ptoliporto). Secondo la tradizione venne così battezzato dal nonno Ulisse che era ancora in vita al tempo della sua nascita. In effetti l'epiteto di "distruttore di rocche" è attribuito a più riprese a Ulisse nei poemi omerici.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 19:08
 
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