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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 26/10/2010, 16:27 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Quirino

Antichissima divinità romana, di origini e di etimologia discusse. L'etimologia di Quirino da Cures, città dei Sabini al confine del Lazio, pare non abbia altro valore, data la somiglianza dei nomi, che di una spiegazione erudita accreditata da Terenzio Varrone, il quale per altro spiega il nome di Quirino anche con il sabino curis (lancia). Sono le etimologie accettate da tutti gli scrittori antichi posteriori e che Ovidio tenta di combinare. Si volle anche mettere il nome in relazione con Curia, divisione delle tribù primitive della popolazione romana, di cui Quirino sarebbe stato il protettore; altri pensarono, per gli etnici Quirinus e Quirites, a un nome locale Quirium poi dimenticato. Si suppose anche che Quirino fosse losdoppiamento di uno Juppiter Quirinus, di un Mars Quirinus, di un Ianus Quirinus, che probabilmente vanno invece considerati come tardivi accoppiamenti. Quirino è certamente in stretto rapporto con Quirites, un nome di popolo o di tribù che in età storica era equivalente a Romani; Quirino è da ritenersi cioè come l'eponimo fittizio di Quiriti e deriva perciò da quest'ultimo termine. I Romani nell'età repubblicana identificarono Quirino con Romolo. Che in età assai remota Quirino fosse considerato come una divinità è provato dal fatto che aveva in Roma un suo proprio flamine, il flamen Quirinalis, uno dei tre flamini maggiori accanto al Dialis e al Martialis. Inoltre, nell'antichissimo feriale ricorreva al 17 febbraio la festa delle Quirinalia, che secondo la tradizione risaliva al regno di Numa. Del resto sul Quirinale, che prese dal dio il nome, si trovava un suo antichissimo santuario; il console L. Papirio Cursore, vincitore dei Sanniti, gli dedicò nel 298 a. C. un tempio assai importante, ornandolo con i trofei delle guerre sannitiche e con la prima meridiana. Tito Livio parla di un'adunanza tenuta dal Senato nel 435 a. C. in aede Quirini, cioè nel vetusto sacello, ma è notizia senza valore storico.

R



Racio

Re della Caria, figlio di Lebe. Sposò Manto, figlia di Tiresia, la quale ereditò dal padre il dono della profezia. Racio emigrò da Creta a Colofone nella Ionia, dove incontrò Manto che, per ordine di Apollo, lasciò Tebe dopo la conquista della città da parte degli Epigoni, discendenti diretti dei Sette. Dalla loro unione nacque l'indovino Mopso (che certi mitografi sostengono essere d'Apollo), celebre per la sua rivalità con Calcante figlio di Testore.

Radamanto

Radamanto è il nome di un'antichissima divinità cretese, figlio di Zeus e di Europa, fratello di Minosse.

Secondo la mitologia greca, avendo ucciso suo fratello, Radamanto si recò a Calea, nella Beozia, dove sposò Alcmena, vedova di Anfitrione e si meritò la reputazione di legislatore sapientissimo.

Secondo Omero dimora nei Campi Elisi (Isole dei Beati) e per questo fu considerato Signore del mondo ultraterreno.

In Platone troviamo una tradizione che fa di Radamanto, assieme ad Eaco e Minosse, un giudice dei morti. Quando gli antichi volevano esprimere un giudizio giusto, quantunque severo, lo chiamavano "giudizio di Radamanto", proprio a significare la sua grande equità. Nel Tartaro esso inquisiva sui delitti e li puniva, obbligava i colpevoli a rivelare gli errori della loro vita ed a confessare i delitti la cui espiazione doveva avvenire dopo la morte. Radamantini erano i giuramenti che si facevano invocando a testimoni animali o cose inanimate: Socrate giurava per il cane o per il papero, Zenone per la capra.

Radamanto è rappresentato seduto su un trono, con lo scettro in mano, sulla porta dei Campi Elisi, a fianco di Saturno.

Ramnete

Figura nell'Eneide (IX, 466-472) come augure dell'esercito rutulo, agli ordini del re Turno. Fu ucciso da Niso mentre dormiva.
Così dice, e si tace; e d'improvviso
assale con la spada il tronfio Amnete
che su cumulo folto di tappeti
roco soffiava dai polmoni il sonno;
ed augure egli era, e a Turno caro,
ed egli stesso re; ma l'arte sua
non lo salvò da morte.

Rea

Titanide figlia di Urano e di Gea, sorella e sposa di Crono, fu madre di Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone e Zeus.
Era stato profetizzato sia da Urano morente, sia da Gaia, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, egli divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Giunto il momento di partorire Zeus, Rea si rifugiò in una caverna del monte Ditte in Creta, dove dette alla luce Zeus. I suoi vagiti vennero coperti dai Cureti battendo le loro armi sugli scudi, perché Crono non potesse udirli nemmeno da lontano. Rea compì l'inganno dando da ingoiare a Crono invece del bambino una pietra abilmente avvolta in pannolini. Così il Titano inghiottì la pietra convinto di divorare il suo figliolo Zeus. Taluni narrano che mentre stava partorendo Zeus, Rea premette le dita al suolo per alleviare la sofferenza delle doglie, e dal suolo balzarono fuori i Dattili: cinque femmine dalla mano sinistra della dea, cinque maschi dalla mano destra. Secondo un mito dell'Arcadia, Rea riuscì a gabbare Crono anche per il neonato Poseidone che nascose tra un branco di cavalli e al suo posto offrì a Crono in pasto un puledro. Rea affidò poi alle cure delle Telchine il bambino e per lui esse forgiarono il tridente.
Quando Rea, prevedendo i guai che la lussuria di Zeus avrebbe provocato, gli proibì di sposarsi, egli, infuriato, minacciò di usarle violenza. E benché subito Rea si trasformasse in un minaccioso serpente, Zeus non si lasciò ammansire, ma, trasformatosi a sua volta in un serpente maschio, si unì a Rea in un nodo indissolubile e fece quanto aveva minacciato di fare. Cominciò così la sua lunga serie di avventure amorose. Allorché i Titani, per ordine di Era, si impadronirono di Dioniso e lo fecero a brani, la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. In seguito Rea lo accolse e lo guarì dalla follia, lo purificò per i molti delitti commessi e gl'insegnò i riti estatici che poi il dio diffuse per il mondo.
Il culto di Rea era assai diffuso: avanzi di un suo tempio furono rilevati presso Cnosso; in Arcadia sul monte Taumasio era sacra a Rea una grotta accessibile soltanto alle sue sacerdotesse; a Cos e a Mileto era offerto a Rea un sacrificio particolare, un tempio era dedicato a Crono e a Rea in Atene, e in onore delle due divinità si celebrava la festa delle Cronie nell'Attica il giorno 12 del mese Ecatombeone (luglio). In epoca romana, il culto di Rea si fuse con quello della Grande Madre Cibele.

Rea Silvia

Nella tradizione leggendaria è fatta madre di Romolo e Remo. Nella versione rappresentata da Nevio e da Ennio, porta anche il nome di Ilia, cioè donna troiana. Questa versione credeva madre di Romolo una figlia di Enea, ed è da considerarsi una eleborazione adulatoria fatta per collegare con Troia le origini di Roma. Ma intorno alla madre di Romolo si svilupparono diverse versioni leggendarie.
La leggenda che riuscì a prevalere riferisce che Silvia, figlia di Numitore, re di Alba Longa, fu costretta dal fratello del re, Amulio, usurpatore del trono, a farsi vestale; così egli avrebbe potuto godersi la sovranità usurpata venendo a estinguersi la famiglia del fratello. Marte la sorprese mentre dormiva in un boschetto sulle rive del Tevere e la rese madre. Amulio la chiuse in carcere, e, avvenuto il parto dei gemelli Romolo e Remo, la fece uccidere. Secondo altri sarebbe morta in prigione, gettata nel Tevere e raccolta dal dio del fiume o dal dio dell'Aniene. Un'altra variante della leggenda riferiva che a Rea Silvia sarebbe stata lasciata la vita per intercessione della figlia di Amulio, chiamata Anto, ma sempre chiusa in carcere, da cui sarebbe stata liberata dai propri figli dopo l'uccisione di Amulio.
Sembra probabile che Rea Silvia fosse una divinità che fu venerata presso il Lago Albano, la cui voce si sentiva nelle selve. Suoi ministri erano i Silvi trasformati poi nei re di Alba Longa.

Recarano

Chiamato anche Carano o Garano, è un gigantesco mandriano alleato di Eracle.
Recarano, mentre attraversava il territorio della futura Roma con una mandria di buoi, il brigante Caco, uno schiavo del re Evandro, gli rubò due dei più bei tori della mandria e quattro manzi, che trascinò poi nella sua grotta. Recarano, disperando di trovare i buoi, abbandonò le ricerche, ma Evandro che conosceva bene la natura ladresca del suo schiavo, lo obbligò a restituire gli animali rubati. Recarano, contento, ringraziò il re Evandro e innalzò ai piedi dell'Aventino un altare a Zeus, cui sacrificò uno dei tori ricuperati: sarebbe l'Ara Maxima, generalmente attribuita a Eracle.

Remo

Figlio di Marte e di Rea Silvia, e fratello gemello di Romolo.
A causa del rapimento attuato dallo zio Amulio, re di Alba Longa, Remo fu portato da Numitore, fratello di Amulio, con l'accusa di aver rubato gli armenti. Numitore, ammirato del nobile aspetto del giovane, lo rimandò. Faustolo saputo del caso di Remo rivelò ai due fratelli la loro origine: essi, corsi coi loro seguaci ad Alba e ucciso Amulio, ristabilirono Numitore sul trono. Quando Romolo e Remo più tardi decisero di fondare una città, i due fratelli non riuscirono a mettersi d'accordo su chi dei due dovesse governarla e decisero di consultare il volere degli dèi osservando, secondo il rito sacro, il volo degli uccelli, per stabilire chi dei due dovesse considerarsi fondatore e dovesse dare il nome alla città. Remo salì sull'Aventino e vide sei avvoltoi mentre Romolo, dal Palatino, ne contò dodici. Il muricciolo provvisorio che delimitava la nuova città era costruito e Remo, geloso del fratello, lo saltò d'un balzo. Romolo, in un impeto d'ira, lo uccise. Se non lui fu Celere a colpirlo con la spada. Romolo, pur rendendosi conto dell'insulto del fratello, non potè non pentirsi del suo gesto e lo pianse a lungo. Secondo un'altra versione della morte di Remo questi fu ucciso durante uno scontro tra i seguaci dei due fratelli poiché entrambi sostenevano d'aver visto il numero più alto di uccelli sul colle.
Remo ebbe scarso svuluppo nella leggenda; di lui si ha ricordo solo in due nomi locali, la Remuria sull'Aventino, dove Remo avrebbe preso gli auspici, e l'agro Remurino. La leggenda dei gemelli Romolo e Remo deve risalire in Roma alla fine del IV secoilo a. C., ma in essa la figura di Remo ebbe scarso rilievo e modesta elaborazione. Raccontava che i pastori dei dintorni, notando le nobili qualità dei due fratelli, prestavano loro spontanea obbedienza: Fabii si chiamavano i seguaci di Remo, Quintilii quelli di Romolo. La leggenda di Remo finisce con la sua morte senz'altro sviluppo.

Reo (mitologia)

Nella mitologia greca, Reo era la figlia di Crisotemi e Stafilo, e divenne una delle amanti di Apollo.

Reo, senza dire nulla a suo padre venne amata in segreto dal divino Apollo. Una volta rimasta incinta di lui, non passò molto tempo prima che suo padre scoprì il misfatto, andando su tutte le furie. Stafilo, quindi, la prese la chiuse in un baule e lo gettò contro le onde del mare. Il mare ebbe pietà della ragazza facendola naufragare sulle spiagge dell’Eubea. Altri invece dicono che il cofano arrivò sino a Delo.

Chiamò suo figlio Anio, per ricordare le grandi sofferenze patite per lui.
Significati di interpretazione [modifica]

Reo in questa occasione, rappresenta la dea della fertilità nella sua piccola nave a forma di quarto di luna, la donna appare in seguito con le sue figlie, le vignaioile, facendo pensare che fosse una delle tante rappresentazioni di Demetra.

Vestigia di simile culto ancora oggi si trovano nel kernos a tre coppe, un contenitore di utilizzo frequente da parte di preti ortodossi greci per offrire olio, grano e vino in chiesa.

Reso

Reso è un personaggio della mitologia greca.

Reso era un giovane re della Tracia che, secondo l’Iliade, nel corso della guerra di Troia si alleò con i troiani di Priamo. Omero afferma che suo padre era Eioneo, un personaggio altrimenti sconosciuto, sebbene il suo nome sia evidentemente connesso con la città di Eione che si trova nella Tracia occidentale, alla foce dello Strimone. Scrittori di epoche successive attribuirono a Reso un’origine semidivina, sostenendo che fosse figlio di una delle Muse (Clio, Calliope, Euterpe o Tersicore), oppure che suo padre fosse la divinità che sovrintende al fiume Strimone e che fosse stato allevato da alcune Naiadi.

La morte

Reso salì ancora adolescente sul trono di Tracia. Era da poco diventato re quando giunse la notizia della guerra scoppiata tra greci e troiani, e allora inviò in aiuto del re Priamo un grande contingente di uomini guidati da Acamante e Piroo: se egli non poté subito intervenire direttamente in prima persona fu perché nel contempo si trovò a dover difendere il suo regno da un attacco degli abitanti della Scizia. Passarono così dieci anni, e finalmente Reso arrivò a Troia con due cavalli bianchi che gli erano stati donati da Ares, dotati di una grandissima velocità. Gli Achei, preoccupati di questo, inviarono Odisseo e Diomede per rubarglieli. I due eroi, penetrati nell’accampamento con il favore del buio, si introdussero nella tenda di Reso e uccisero lui e dodici suoi uomini mentre dormivano per poi allontanarsi con i preziosi animali. Ironia della sorte, il giovane condottiero in quel momento sognava di essere ucciso da Diomede. Alla strage sopravvisse Ippocoonte, cugino e coetaneo di Reso, nonché suo consigliere.

Questi fatti sono raccontati sia nel libro X dell’Iliade che nella tragedia Reso, la cui attribuzione ad Euripide è tuttora incerta e contestata.

Rigmo

Rigmo è un personaggio dell' Iliade, menzionato nel ventesimo libro.

Rigmo era un giovane signore trace, bellissimo d'aspetto, figlio di Piroo (o Pireo). I due accorsero in difesa dei troiani di Priamo alla testa di un grande contingente. Piroo trovò la morte per mano di Toante, come è detto nel quarto libro del poema.

La morte


Valoroso come suo padre, Rigmo non gli sopravvisse a lungo. Venne infatti ucciso in combattimento dall'eroe greco Achille che voleva vendicare la morte del suo intimo amico Patroclo ucciso dall'eroe troiano Ettore. Assalito da Achille, Rigmo, che si trovava a combattere sul suo carro insieme al suo scudiero e auriga Areitoo, avrebbe potuto fuggire mettendosi in salvo, ma intrepido com'era volle tentare il confronto. Il giovane fu colpito in pieno dall'asta, in mezzo al ventre, e fatto precipitare giù dal carro. Achille subito dopo ferì mortalmente Areitoo alla schiena con la lancia: anche costui cadde giù dal cocchio, e i cavalli scapparono via a zampe levate, essendosi imbizzarriti per la morte dei due eroi uccisi dal figlio di Peleo.

Roda

Figlia di Poseidone e della nereide Anfitrite, sorella di Tritone e di Bentesicima.
Anfitrite sdegnò le proposte del dio e si rifugiò sul monte Atlante, ma Poseidone le inviò dei messaggeri, e tra questi un certo Delfino, che riuscì a indurre la ninfa al consenso. Subito si fecero i preparativi per le nozze e Poseidone, grato a Delfino, ne immortalò l'immagine tra gli astri del firmamento. Roda fu sposata da Elio (il Sole).

Rodo

Rodo è una figura mitologica greca, figlia di Poseidone e di Afrodite (anche se altre versioni affermano di Anfitrite o di Alia).

Rodope
(mitologia)

Nella mitologia greca, Rodope era il nome di una delle figlie di Strimone, una divinità dei fiumi.

Moglie di Emo il figlio di Borea e Orizia diventato poi re della Tracia. Ebbe dal marito un figlio, Ebro. Superba della sua bellezza come il marito, lei finse di essere Giunone il marito Zeus; per questa loro azione Zeus tramutò entrambi in monti. In Tracia esiste un monte che porta questo nome.

Romolo

Mitico fondatore di Roma (753 a.C.). Il nome significa semplicemente "Romano". Le varie forme assunte dalle leggende che lo riguardano affondano le loro origini nella mitologia greca.
Romolo e Remo erano i gemelli nati da Rea Silvia, figlia di Numitore, ben presto scacciato dal suo regno di Alba Longa dal fratello minore Amulio. Per evitare che Numitore avesse un erede, Amulio costrinse Rea Silvia a diventare una vergine Vestale, ma nel bosco sacro di Marte le si presentò il dio e la vergine fu da lui resa madre di due gemelli. Quando Amulio venne a conoscenza del fatto condannò la nipote a essere affogata con i bambini; ma il dio Tiberino la sposò e la rese immortale, e la cesta in cui erano esposti i gemelli, ritirandosi le acque del fiume in piena, rimase in secco presso il Ficus Ruminalis. Gli animali sacri a Marte, la lupa e il picchio, si occuparono degli infanti e qualche tempo dopo vennero trovati da un mandriano del re, Faustolo che, senza avvisare il re Amulio, li portò alla sua capanna. Sua moglie Acca (o Acca Larenzia) allevò i due bambini e li chiamò l'uno Romolo e l'altro Remo. Cresciuti in età, diventarono due giovani forti e intelligenti, capi dei figli dei pastori che cacciavano i briganti del luogo, e a volte si spingevano fin nelle terre di Numitore. Un giorno Remo, che ritornava dalla festa dei Lupercali, dedicati a Pan, cadde in un'imboscata e rimase prigioniero dei pastori di Numitore che lo portarono davanti al re Amulio, il quale, sentendo che il giovane era accusato di furto ai danni degli armenti di Numitore, lo consegnò per la punizione a Numitore. Questi, ammirato del nobile aspetto del giovane, lo rimandò. Faustolo, saputo del caso di Remo, rivelò ai due fratelli la loro origine: essi, corsi coi loro seguaci ad Alba e ucciso Amulio, ristabilirono Numitore sul trono. Romolo e Remo non s'accontentarono di vivere ad Alba Longa con il nonno e decisero di fondare una nuova città. Scelsero una terra non molto distante dal luogo vicino al Tevere dov'erano stati abbandonati, ma nacque ben presto un dissidio quando si trattò di decidere chi dei due avrebbe dovuto diventare re. Decisero quindi di consultare il volere degli dèi osservando, secondo il rito sacro, il volo degli uccelli. Romolo andò sul colle Palatino e vide dodici avvoltoi, il doppio di quanti ne vide Remo dall'Aventino. I sostenitori di Remo pretesero la vittoria per il loro protetto che aveva ricevuto il segno per primo. Romolo ignorò la questione e sul Palatino tracciò i solchi delimitanti la città e incominciò a costruirvi un muro alle Parilia, la festa di Pale, il 21 aprile. Ma Remo, irato, insultò il fratello e in segno di scherno saltò il muro chiedendo come una barriera tanto fragile potesse difendere la città. Allora Romolo (secondo altri Celere) lo uccise con un colpo di vanga.
Fondata la città, Romolo si preoccupò di popolarla dando asilo ai fuggiaschi e agli esiliati dei villaggi vicini, accogliendo liberi e schiavi. Così, Roma si popolò di uomini, ma non vi erano donne. Fu allora che Romolo pensò di rapire quelle dei suoi vicini, i Sabini. Organizzò una grande festa a cui parteciparono i Sabini e altre popolazioni, e durante i giochi e le esibizioni i Romani fecero prigioniere tutte le giovani donne (il Ratto delle Sabine) e scacciarono gli uomini. Le donne, dapprima terrorizzate, alle persuasive parole di Romolo accettarono la nuova situazione. Poco tempo dopo però le popolazioni alle quali erano state rapite le ragazze si raggrupparono attorno al re dei Sabini, Tito Tazio. Si formò ben presto un esercito che marciò contro Roma. Le truppe sabine attaccarono la città e, per il tradimento di Tarpea, custode della rocca capitolina, riuscirono anche a conquistare la cima occidentale del Campidoglio ed attaccarono i Romani in quel pezzo di pianura chiamato più tardi Foro Romano. I Sabini stavano per avere la meglio, quando Romolo si rivolse a Giove e lo implorò di ribaltare la situazione, dedicandogli in quel luogo un tempio con il titolo di Stator. Giove lo esaudì e i Romani non indietreggiarono più, fronteggiarono i nemici e la battaglia riprese più violenta, ma le donne sabine si gettarono fra i due eserciti avversari implorando la pace. Romani e Sabini stipularono allora un trattato di alleanza, che univa i due popoli. Così Romolo e Tazio decisero di governare insieme, ambedue col titolo di re, quel nuovo popolo nato dalla fusione delle due tribù, di cui portò congiuntamente il nome: romani quiriti. Tazio avrebbe abitato la cittadella del Campidoglio, Romolo il Palatino. Questo regno congiunto durò cinque anni. Durante un sacrificio che i due re offrivano a Lavinio, Tazio venne ucciso, e Romolo riportò a Roma il suo cadavere, gli accordò grandi onori e lo fece seppellire sull'Aventino.
Dopo quarant'anni di pacifico regno Romolo terminava la sua vita terrena. Durante una rassegna militare al Campo di Marte presso la palude Caprea, nel giorno delle None Caprotine si levò improvviso un temporale e Romolo scomparve avvolto tra i nembi e i tuoni.
Fu considerato divino da tutti gli uomini presenti a quel prodigio e poco dopo apparve in sogno a tale Giulio Proculo e gli rivelò di essere stato assunto fra gli dèi e gli impose di dire ai Romani che lo onorassero con il nome di dio Quirino e gli erigessero un santuario sul monte Quirinale.

Ropalo

Figlio di Festo e padre di Ippolito re di Sicione.
Festo, figlio d'Eracle, dovette abbandonare il trono di Sicione in seguito ad un oracolo e si recò a Creta, dove fondò la città che portò il suo nome. Ebbe per figlio e successore Ippolito che, preda della paura, si arrese davanti ad un esercito miceneo guidato da Agamennone, e consegnò Sicione ai Micenei.

Rutuli

Piccolo popolo stanziato nel Lazio meridionale, sulla costa tirrenica a Sud di Roma. Il suo nome, come quello del suo principe Turno, è noto soltanto perché Virgilio nell'Eneide ne canta la lotta tenace contro Enea e i Troiani. Peraltro in età storica il nome di Rutulus viene applicato agli abitanti di Ardea: Ardeatis Rutulus, ma non si può affermare che gli Ardeati fossero i Rutuli dell'età leggendaria.

Edited by demon quaid - 1/1/2015, 20:49
 
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