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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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view post Posted on 2/10/2010, 19:28     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Metaponto

Re di Icaria, padre adottivo d'Eolo il Giovane e di Beoto. Egli aveva minacciato di ripudiare Teano, la moglie sterile, se non gli avesse generato un figlio nel volgere di un anno. Durante l'assenza di Metaponto, recatosi a interpellare un oracolo, Teano invocò l'aiuto del mandriano che le portò i gemelli trovati sul monte; e Teano li fece credere suoi. In seguito, poiché non era sterile come si credeva, Teano partorì davvero due gemelli; ma i due trovatelli, grazie alla loro origine divina, erano di gran lunga più belli e dunque i prediletti di Metaponto. Rosa dalla gelosia, Teano attese l'occasione opportuna e, quando Metaponto si assentò nuovamente per sacrificare nel santuario di Artemide Metapontina, ordinò ai propri figli di andare a caccia con i fratelli maggiori e di ucciderli simulando un incidente. Il malvagio disegno tuttavia fallì, perché Poseidone venne in aiuto dei propri figli i quali uscirono vittoriosi dalla lotta. Eolo e Beoto riportarono dunque al palazzo i cadaveri dei due gemelli di Teano, e la madre, alla loro vista, si uccise.
Eolo e Beoto si rifugiarono allora dal loro padre adottivo, il mandriano, e Poseidone stesso rivelò il segreto della loro nascita. Ordinò poi che essi accorressero in aiuto della loro madre, che ancora languiva nella prigione, e uccidessero il suo padre adottivo Desmonte. I gemelli ubbidirono senza esitare; Poseidone ridonò la vista ad Arne e tutti e tre ritornarono a Icaria. Quando Metaponto seppe che Teano l'aveva ingannato, sposò Arne e adottò i figli di lei come suoi eredi.
Tutto andò bene per qualche tempo, finché Metaponto decise di ripudiare Arne e di sposarsi di nuovo. Eolo e Beoto insorsero in difesa della madre e uccisero Autolita, la nuova regina; furono però costretti a rinunciare alla successione al trono e a fuggire. Beoto si rifugiò con Arne nel palazzo del nonno Eolo, che gli affidò la parte meridionale del suo regno e la chiamò Arne, mentre i suoi abitanti portano il nome di Beoti. Eolo frattanto era salpato con un gruppo di amici e prese possesso delle sette isole Eolie del mar Tirreno, dove divenne famoso come consigliere degli dèi e custode dei venti.

Meti (Oceanine)

Meti o Metide era nella mitologia greca una delle Oceanine, figlia del titano Oceano e della titanide Teti.

Il suo nome significa "prudenza" ma anche "perfidia". Fu lei a salvare il padrone dei fulmini da Crono, suo padre. Era stato infatti predetto che uno dei figli l'avrebbe detronizzato uccidendolo, per cui egli, per essere sicuro, divorava vivi la sua progenie. Meti consegnò una droga al titano che vomitò tutti i suoi figli.

La nascita di Atena

Secondo il mito è stata anche la prima amante (e forse la prima moglie) di Zeus, il padre di tutti gli dei, ma la donna non si consegnò facilmente al dio, trasformandosi in mille modi cercando di sfuggirgli, prima di arrendersi. Un altro oracolo aveva previsto che Zeus sarebbe stato detronizzato da un figlio avuto da Meti e quindi dopo essersi giaciuto con lei, decise di divorarla. Zeus la indusse quindi a trasformarsi in una goccia d'acqua, (nella mitologia greca l'intelligenza e l'astuzia erano rappresentate come poliformi ed in continuo cambiamento: Metis, infatti, è in grado di assumere ogni forma desideri) e la inglobò bevendola. Secondo un'altra versione, fu trasformata in una cicala e inghiottita da Zeus, il quale affermava che talvolta sentiva la voce di Meti che gli dava suggerimenti. A questo punto venne al dio un fortissimo mal di testa e grazie all'aiuto di Efesto o Prometeo si riuscì a spaccare con un'ascia il cranio immortale di Zeus e dalla ferita uscì Atena.

Metiadusa


Nella mitologia greca, Metiadusa era il nome di una delle figle di Eupalamo.

Fu la sposa di Cecrope II, che era anche un suo parente, suo zio, attraverso Eretteo. Dall'unione nacque Pandione II.

Secondo una versione del mito era sorella di Dedalo.

Metione


Nella mitologia greca, Metione era il nome di uno dei figli di Eretteo e di Prassitea.

Re di Atene e di Prassieta aveva alcuni fratelli e molte sorelle, Cecrope II, Pandoro, Procri, Creusa, Ctonia e Orizia.

Forse, a sentire altri autori il numero di fratellie sorelle era molto superiore. I suoi figli, chiamati Metionidi, ebbero un ruolo importante per quanto riguarda la successione al trono riuscendo a scacciare il futuro re Pandione II.

Sua moglie fu Alcippe, mentre Dedalo, attraverso Palamone, era suo nipote.

Mezenzio

Fu un re semileggendario della città etrusca di Cere. Gli annalisti romani gli assegnarono una delle parti principali nella guerra contro Enea, rappresentato come fondatore della nazione romana. La leggenda di Mezenzio è variamente combinata di diversi elementi. Avversario di Latino, perciò di Enea, Mezenzio diventa alleato di Turno, il quale secondo Catone, vinto dall'eroe troiano, si rifugia presso Mezenzio e con lui dà battaglia a Enea. In essa cadono Turno ed Enea; ma Ascanio, figlio di Enea, uccide poi in duello Mezenzio. Si raccontava che Mezenzio era stato ucciso sul fiume Numicio; altri dissero che Enea era stato vinto da lui, messo in fuga, scomparso nelle onde del fiume, e vendicato poi da Ascanio. La leggenda conservava ricordo di un trattato imposto dal re di Cere ai Latini, per il quale Mezenzio avrebbe preteso come tributo in perpetuo tutto il prodotto delle viti del Lazio; ma i Latini preferirono farne offerta a Giove se avesse concesso loro la vittoria. Offerto il voto, Ascanio fece una sortita notturna riuscita vittoriosa, finita con la morte di Lauso, figlio di Mezenzio. Da ciò l'istituzione delle feste latine dette Vinalia celebrate il 23 aprile. Nell'elaborazione virgiliana (Aen., X, 689 sgg.) la leggenda presenta Mezenzio invocato da Turno, re dei Rutuli, contro Enea e Latino collegati. Ne venne un'aspra battaglia presso il Numicio nelle vicinanze di Lavinio, in cui accanto a Mezenzio combattè il figlio Lauso. Nella battaglia, secondo Virgilio, Enea ferisce Mezenzio, uccide Lauso accorso a difesa del padre, poi abbatte anche Mezenzio innalzando il trofeo con le sue spoglie. La leggenda è interpretata come espressione, attraverso un carme epico popolare, dell'antica lotta fra Etruschi e Latini per il possesso del Lazio.

Mida

Mitico re della Frigia, figlio del re Gordio e di Cibele.
Un giorno il vecchio satiro Sileno, un tempo pedagogo di Dioniso, si allontanò dal disordinato esercito dionisiaco e si addormentò, ubriaco fradicio, nel giardino di rose del re Mida. I giardinieri lo inghirlandarono di fiori e lo condussero dinanzi a Mida il quale, riconoscendo in lui il compagno di Dioniso, lo trattò gentilmente. Sileno narrò storie meravigliose di un continente che giaceva al di là del fiume Oceano, dove sorgevano belle città e abitavano Giganti sereni, dalla lunghissima vita, protetti da una perfetta legislazione. Una grande spedizione di uomini partì un giorno per attraversare l'Oceano e visitare gli Iperborei; ma, vedendo la triste condizione di questi mortali e saputo che la loro era la terra più bella del vecchio mondo, tutti rimasero disgustati e ritornarono ai loro luoghi d'origine. Tra gli altri prodigi, Sileno citò un gorgo vorticoso che nessuno potrà mai superare. Due corsi d'acqua vi scorrono vicini e gli alberi che crescono sulle rive del primo portano frutti che fanno piangere e gemere chi li mangia, mentre gli alberi che crescono sulle rive del secondo fiume recano frutti che ridonano la giovinezza ai vecchi. Mida, deliziato della fantasia di Sileno, lo trattenne per dieci giorni e dieci notti e poi ordinò a una guida di scortarlo fino al quartiere generale di Dioniso.
Dioniso, che si era assai preoccupato per la sorte di Sileno, ringraziò molto cortesemente e mandò a chiedere a Mida quale ricompensa desiderasse. Mida, benché fosse assai ricco, chiese al dio la facoltà di mutare in oro tutto ciò che avesse toccato. Purtroppo, non soltanto le pietre, i fiori e il mobilio del palazzo si trasformarono in oro, ma anche il cibo e l'acqua che egli si portava alla bocca. Mida, che era sul punto di morire di fame e di sete, supplicò perché il suo desiderio fosse annullato; al che Dioniso gli consigliò di lavarsi nella fonte del fiume Pàttolo, presso il monte Tmolo. Mida obbedì e subito fu liberato, e le acque del fiume Pàttolo da quel giorno rimasero cariche di pagliuzze d'oro.
Di un'altra disavventura Mida fu protagonista. Egli assistette alla famosa gara musicale tra Apollo e Marsia (o Pan), arbitrata dal dio fiume Tmolo. Tmolo consegnò il premio ad Apollo e, poiché Mida osò disapprovare il verdetto, Apollo lo punì facendogli crescere un paio di orecchie d'asino. Mida riuscì a nasconderle sotto il berretto frigio, ma il suo barbiere, accortosi di tale deformità, provò la irresistibile tentazione di palesarne il segreto, benché Mida gli avesse ingiunto di tacere, pena la morte. Il barbiere scavò dunque una buca sulla riva di un fiume e, assicuratosi che non vi fosse nessuno nei dintorni, vi sussurrò dentro: "Re Mida ha le orecchie d'asino!" Poi riempì la buca e se ne andò in pace finché ben presto spuntarono sul luogo alcune canne che, mosse dal vento, incominciarono a ripetere che il re Mida aveva le orecchie d'asino, rivelando così a tutti la mostruosa deformità. Quando Mida seppe che la sua vergogna era sulla bocca di tutti, condannò a morte il barbiere, che bevve sangue di toro e perì miseramente.

Midone

Nella mitologia greca, Midone era il nome di vari personaggi citati nell' Iliade di Omero, presenti nella guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio del re troiano Priamo

Sotto tale nome ritroviamo:

* Midone, soldato troiano, uno dei peoni che morì in battaglia contro Achille, dopo che Patroclo il suo più caro amico, fu ucciso.
* Midone, figlio di Atimnio, era il giovane scudiero e auriga del re dei Paflagoni Pilemene, alleato dei troiani. Fu ucciso in battaglia da Antiloco; questi dapprima lo colpì al braccio con una grossa pietra costringendolo ad abbandonare le cinghie d'avorio con cui guidava i cavalli; quindi Antiloco, approfittando dello stordimento di Midone, gli conficcò la spada nella tempia; i cavalli, imbizzarritisi, presero la fuga trascinando in una folle corsa il carro col giovane agonizzante, che, caduto su un lato, restò a lungo con le gambe incastrate nel mezzo e la testa ciondolante al di fuori, per poi finire a terra in conseguenza di uno strattone, dove esalò l'anima. Antiloco si impadronì del cocchio e lo portò via come bottino.

Milete

Milete era un eroe della Laconia, secondo una vecchia tradizione inventore del mulino. Sempre nella tradizione laconica, era figlio di Lelego, re di Lacedemone, e di Peridia, fratello di Policaone, Bumolco e Terapne e padre di Eurota, che secondo alcuni storici sarebbe figlia di Lelego.

Mileto

Re e fondatore dell'omonima città, figlio di Apollo e di Aria (figlia di Cleoco), che altri chiamano Deiona e altri ancora Tia. Crescendo il bimbo divenne un bellissimo fanciullo, allora Minosse cercò di violentarlo. Poiché Mileto mostrava di prediligere Sarpedone, Minosse lo scacciò da Creta ed egli salpò con una grande flotta alla volta dell'Asia Minore, dove fondò la città e il regno di Mileto. Altri, tuttavia, dicono che Minosse sospettò Mileto di volersi impadronire del regno; per non suscitare l'ira di Apollo si limitò a rimproverare il giovane che riparò in Caria di sua spontanea volontà. Qui il giovane re sposò la figlia del re Eurito, Idotea, dalla quale ebbe due gemelli, Bibli e Cauno. Una variante del mito lo dà come figlio di Apollo e di Acacallide (figlia di Minosse). In questa variante il bambino fu esposto, per paura di Minosse. Fu nutrito da una lupa e successivamente allevato dai pastori.
Il povero Mileto non fu un genitore felice, poiché la bellissima figlia Bibli si innamorò perdutamente del fratello Cauno. La giovane ninfa, tormentata dall'amore, rivelò al fratello la sua passione; questo, inorridito, fuggì via da Mileto e andò a fondare la città di Cauno in Caria. Sulla sorte di Bibli le versioni sono diverse: una dice che si impiccò a una quercia e che dalle sue lacrime fosse nata una sorgente; un'altra versione narra che Bibli, addolorata per il perduto amore, impazzì ed errò attraverso tutta l'Asia Minore. Nel momento in cui stava per precipitarsi dall'alto di una roccia, le Ninfe ne ebbero pietà e, dopo averla immersa in un sonno profondo, la trasformarono in una ninfa Amadriade e, dalla roccia dalla quale si voleva precipitare, fecero sgorgare una fonte alla quale fu dato il nome di "Lacrime di Bibli".

Minete

Minete è un personaggio della mitologia greca, re di Cilicia e marito di Briseide. Secondo il mito durante la guerra di Troia fu ucciso da Achille che ridusse in schiavitù la moglie.

Minerva

Era un'antica divinità romano-italica che prima di essere identificata con la greca Atena ebbe individualità, culto e attributi propri. Il suo nome è italico e appare nella forma arcaica Menerva con la variante etrusca Menrva; la sua etimologia fu variamente discussa, ma si suole riportare alla radice manas (latino mens e memini). L'origine del culto di Minerva è alquanto oscura; esso non appartiene al fondo primitivo della religione romana, e il suo ingresso nel culto ufficiale dei Romani può essere avvenuto quando già era chiusa la serie dei cosiddetti dei indigetes. Alcuni ritengono Minerva introdotta a Roma al tempo dei Tarquini, insieme con altre divinità straniere (dei novensides); secondo Varrone il culto di Minerva sarebbe stato introdotto in Roma dalla Sabina. È certo che il nome della dea mancava nel rituale più antico. I culti più antichi di Minerva si riscontrano presso i Latini di Roma e di Falerii, presso i Sabini di Orvinio e presso gli Etruschi, presso i quali troviamo anche santuari dedicati a Tinia (Giove), Uni (Giunone) e Menrva (Minerva), imitazione della triade greca Zeus-Era-Atena. La scarsità di tracce del culto di Giunone come sposa di Giove, e la limitata importanza del culto pubblico di Minerva, indussero a credere che la triade capitolina, in cui Giunone e Minerva sono associate come dee poliadi a Giove Ottimo Massimo, fosse passata dall'Etruria a Roma. L'assimilazione fra l'Atena greca e la Minerva italica, fatta assai per tempo, contribuì probabilmente all'inserzione di Minerva nella triade degli dèi superi, e all'influsso dei miti greci si dovette l'importanza che Minerva venne assumendo in seguito nel culto e nella letteratura, e la diffusione che ebbe in Italia e nelle province.
A Minerva erano dedicati in Roma parecchi templi e sacrari; anzitutto la cella nel santuario del Capitolium vetus del Quirinale, e quella del tempio eretto sul Campidoglio nel 509 a.C. nel quale era venerata la triade. Nell'età repubblicana essa ebbe altri tre sacrari piuttosto modesri e di data incerta: uno sull'Aventino che fu sede dei poeti e degli attori a partire dal 207 a.C.; un altro ai piedi del monte Celio esistente dalla fine del secolo IV o dalla prima metà del III a.C., dedicato a Minerva Capta, il cui epiteto fa ritenere assai probabile la provenienza della statua oggetto di culto da Falerii conquistata dai Romani nell'anno 241 a.C.; il terzo poco ricordato sull'Esquilino, dedicato a Minerva Medica, il cui epiteto si spiega con la partecipazione della Corporazione dei medici alle feste delle Quinquatrus. Più tardi come Atena Nike Cneo Pompeo onorò Minerva con la fondazione di un tempio de manubiis nella zona dei Saepta. Augusto innalzò un tempio a Minerva Calcidica, il Chalcidicum presso la Curia Giulia. Domiziano gliene consacrò uno nel Campo di Marte, e istituì giochi in onore della dea.
Il culto di Minerva nella religione romana, prima di subire l'influsso di Atena Poliade, ebbe carattere soltanto pacifico e sociale; il campo d'azione di essa era assai limitato, era considerata come inventrice delle arti e dei mestieri, ben lungi dall'essere protettrice di ogni attività dell'ingegno umano. Nel II secolo a.C., come divinità patrona degli artigiani, era da essi celebrata in suo onore una festa il quinto giorno dopo le idi di marzo, detto perciò Quinquatrus, che acquistò maggiore importanza con la durata di cinque giorni in conseguenza dello sviluppo crescente dell'artigianato e delle altre professioni che andavano sotto questo nome. Era anche una festa dei maestri, e gli scolari offrivano loro il Minervale munus. Un altro giorno di festa si aggiunse col nome di Quinquatrus minusculae il 13 giugno, nel quale i tibicines, i flautisti addetti al culto pubblico, celebravano con un banchetto nel tempio di Giove Capitolino la festa della loro associazione, con una mascherata per le vie della città, e con una riunione nel tempio di Minerva sull'Aventino, il cui dies natalis era commemorato il 19 giugno.

Mini (popolo)

Secondo la mitologia greca, i Mini o Minie - agg. minio, minia, minie, minii, furono un gruppo autoctono abitante la regione egea. Tuttavia, l'estensione con cui la preistoria del mondo egeo viene riflessa nei resoconti letterari di popoli leggendari è soggetta a ripetute revisioni.

Prima della seconda guerra mondiale, gli archeologi talvolta applicarono il termine "Mini" in modo diverso, per indicare la prima vera ondata di popoli parlanti il protogreco nel II millennio a.C., tra le culture dell'antica età del bronzo, talvolta identificate con l'inizio della cultura del Medio Elladico. La "ceramica minia" grigia è un termine usati dagli archeologi per un particolare stile di ceramica egea associata con il periodo Medio Elladico. Di conseguenza l'inizio del Medio Elladico sarebbe contrassegnato dalla immigrazione di questi "Mini". Secondo Emily Vermeule, questa fu la prima ondata di veri elleni in Grecia. Più recentemente, comunque, gli archeologi e paleothologi trovano il termine "Minyes" discutibile: "chiamare i marcatori della ceramica minia loro stessi 'Mini' è biasimevole", sottolineava F. H. Stubbings. "Derivando i nomi etnici dagli stili della ceramica è una delle abitudini più deplorevoli in archeologia," affermava F. J. Tritsch nel 1974. "Noi parliamo animatamente dei 'Mini' quando vogliamo indicare una popolazione che usa ceramica che noi chiamiamo 'minia'," sebbene egli avesse sbagliato nel dire che i Greci stessi non menzionano mai i 'Mini' come tribù o popolo.

Minia

Nella mitologia greca, Minia era il progenitore di molti degli Argonauti fra cui Giasone.

Minia, figlio di Crise o forse di Poseidone come anche nipote stesso del dio, era partito in cerca di miglior fortuna dalla tessaglia, arrivando fino ad Orcomeno in Beozia, dove decise di fondare prima una città e poi un regno, dei tanti re fu il primo che costruì un tesoro.

Frisso, colui che trafugò il vello d'oro, dando inizio alle avventure degli Argonauti, era il nipote di Minia.

I greci micenei raggiunsero Creta nel 1450 a.C. ca. La presenza greca sul continente, comunque, risale al 1600 a.C., come mostrato nelle più tarde tombe a pozzetto , se la cultura materiale può essere collegata sicuramente all'etnicità basata sulla lingua. Altri aspetti del periodo "minio" sembrano arrivare dalla Grecia settentrionale e dai Balcani (tombe a tumulo, asce in pietra perforate). Secondo gli scavi archeologici di John L. Caskey condotti negli anni '50, la prova è emersa collegando i proto-greci ai portatori della cultura "minia" (o del Medio Elladico).

Miniadi
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Le Miniadi sono figure della mitologia classica. Le tre sorelle Leucippe, Arsippe e Alcatoe (o Alcitoe), figlie di Minia, re di Orcomeno, si rifiutarono di riconoscere Bacco come figlio di Zeus e di partecipare ai suoi riti; preferendo, al contrario delle donne d'Orcomeno (o in un'altra versione di Tebe), restarsene a casa a lavorare al telaio e a raccontarsi favole antiche.

Alla fine del giorno, uditi per la casa suoni di flauti, tamburelli, e bronzi, i telai si trasformarono in tralci di vite e piante d'edera. La casa, dove risuonano ruggiti di belve immaginarie, è invaso da altrettante illusorie fiamme. Spaventate le tre sorelle impazzirono e uccisero il figlio di Leucippe Ippaso, per raggiungere poi le donne intente ai riti bacchici. In un'altra versione vengono trasformate in pipistrelli.

Altra versione narra che Bacco, sotto le spoglie di un giovane, decise lui stesso di recarsi a casa delle sorelle e di rimproverarle per il loro comportamento. Deriso, il dio si trasformò in toro, in pantera e in leone. Le tre sorelle, sedute su sgabelli dal quale colavano latte e miele, sono prese dal delirio che le portarono ad uccidere Ippaso.

Minosse

Minosse è un personaggio della mitologia greca, figlio di Zeus e di Europa.

Minosse fu re giusto e saggio di Creta. Per questo motivo, dopo la sua morte, divenne uno dei giudici degli inferi, insieme a Eaco e Radamanto. Nei miti attici invece viene dipinto come estremamente crudele.

Il personaggio

Si racconta che, in seguito alla morte del re Asterione, padre adottivo di Minosse, egli costruì un altare a Poseidone in riva al mare, per dimostrare il suo diritto alla successione al trono. Minosse pregò Poseidone di inviargli un toro per il sacrificio ed il dio lo esaudì. Ma Minosse non sacrificò l'animale, poiché era molto bello. Poseidone, adirato, fece innamorare del toro Pasifae, la moglie di Minosse. Da questa unione nacque il minotauro, mezzo uomo e mezzo toro. Minosse incaricò dunque Dedalo di costruire un labirinto in cui nascondere il mostro.

Minosse ebbe 8 figli da Pasifae: Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeo, Acalla, Senodice, Arianna, Fedra. Ebbe inoltre Eussantio da Dessitea, mentre dalla ninfa Paria ebbe Filolao, Crise, Eurimedonte e Nefalione.

Il regno di Minosse fu caratterizzato da ampi scontri con i popoli vicini, che egli riuscì ad assoggettare.
Combatté anche contro Niso, re di Megara, che aveva un capello d'oro a cui era legata la sorte della sua vita e della sua potenza. La figlia di Niso, Scilla, si innamorò al primo istante di Minosse e non indugiò ad introdursi nottetempo nella camera del padre per tagliargli il capello d'oro. Andò in seguito da Minosse offrendogli le chiavi di Megara e chiedendogli di sposarla. Minosse conquistò Megara ma rifiutò di portare con sé a Creta la parricida che, presa dallo sconforto, si gettò in mare ed annegò.

Minosse attaccò anche Atene, in seguito all'assassinio del figlio Androgeo causato dal re Egeo. Sconfitti gli ateniesi, Minosse chiese ad essi in tributo la consegna ogni nove anni di sette fanciulli e sette fanciulle, che venivano date in pasto al Minotauro. Tale sacrificio cessò solo in seguito all'intervento di Teseo, che aiutato da Arianna, riuscì ad uccidere il minotauro.

Secondo il mito Minosse fu ucciso in una vasca da bagno in Sicilia mentre era ospite nella rocca del re sicano Cocalo. Il racconto è stato ripreso da Diodoro Siculo nella Biblioteca storica che narra come la sua leggendaria tomba si trovasse al di sotto di un tempio di Afrodite e come Terone di Akragas avesse occupato quest'area sacra con il proposito ufficiale di vendicare l’uccisione del re cretese.

Minotauro

Il Minotauro è una figura della mitologia greca. È un essere mostruoso e feroce metà uomo metà toro. Era figlio del Toro di Creta e di Pasifae regina di Creta. Il suo nome proprio è Asterio o Asterione.

Minosse, re di Creta, pregò Poseidone di inviargli un toro, come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli mandò un bellissimo e possente toro bianco di un valore inestimabile. Vista la bellezza dell'animale, però, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Nonostante quello fosse un animale e lei una donna, ella desiderava ardentemente accoppiarsi con esso e voleva a tutti i costi soddisfare il proprio desiderio carnale. Vi riuscì nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte Dedalo.

Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso "minos" (che presso i cretesi significava re) con il suffisso "taurus" (che significa toro).

Il Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale.

Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel Labirinto di Cnosso costruito da Dedalo. La città di Atene, sottomessa allora a Creta, doveva inviare ogni anno (secondo altre fonti: ogni tre o ogni nove anni) sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Allora Tèseo, eroe figlio del re ateniese Ègeo, si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, si innamorò di lui.

All'entrata del labirinto Arianna diede a Tèseo il celebre "filo d'Arianna", un gomitolo (di filo rosso, realizzato da Dèdalo) che gli avrebbe permesso di non perdersi una volta entrato. Quando Teseo giunse dinanzi al minotauro, attese che si addormentasse e poi lo pugnalò (secondo altri, lo affrontò e lo uccise con la spada).

Uscito dal labirinto Tèseo salpò con Arianna alla volta di Atene, montando vele bianche in segno di vittoria. Ma poi abbandonò la fanciulla dormiente su un'isola deserta (l'isola di Nasso, donde il detto, qualora non si tratti di una semplice paretimologia: abbandonare in Nasso, o, popolarmente, in asso)[senza fonte]. Il motivo di tale atto è controverso. Si dice che l’eroe si fosse invaghito di un’altra o che si sentisse in imbarazzo a ritornare in patria con la figlia del nemico, oppure che venne intimorito da Dionisos in sogno, che gli intimò di lasciarla là, per poi raggiungerla ancora dormiente e farla sua sposa.

Arianna, rimasta sola, iniziò a piangere fino a quando apparve al suo cospetto il dio Dioniso che per confortarla le donò una meravigliosa corona d'oro, opera di Efesto, che venne poi, alla sua morte, mutata dal dio in una costellazione splendente: la costellazione della Corona.

Poseidone, adirato contro Tèseo, inviò una tempesta, che squarciò le vele bianche della nave, costringendo l'eroe ateniese a sostituirle con quelle nere. Infatti a Teseo, prima di partire, fu raccomandato da suo padre Ègeo di portare due gruppi di vele, e di montare al ritorno le vele bianche in caso di vittoria, mentre, in caso di sconfitta, di issare quelle nere. Ègeo, vedendo all'orizzonte le vele nere, si gettò disperato nel mare, il quale poi dal suo nome fu chiamato mare di Ègeo, cioè Mar Egèo.

Dietro il mito si celano anche particolari significati che i Greci attribuivano ad alcuni elementi del racconto. Ad esempio il termine Minosse, attribuito al re di Creta, è designato da alcuni studi non come il nome del solo re di Cnosso, ma come il termine genericamente utilizzato per indicare "i sovrani" in tutta l'isola di Creta. Dietro al personaggio del Minotauro si stima ci sia la divinizzazione del toro da parte dei Greci, mentre lo sterminato Labirinto di Cnosso è simbolo dello stupore dei Greci verso le immense costruzioni Cretesi. Alla vittoria di Tèseo si attribuisce invece l'inizio del predominio dei Greci sul mar Egèo nonché la signoria su tutte le sue isole ed il controllo delle principali rotte percorse per i commerci.

Il Minotauro nella Divina Commedia


Il Minotauro appare anche nella Divina Commedia. Precisamente nel dodicesimo canto dell'Inferno.

È il guardiano del Cerchio dei violenti ed è qui che Dante e Virgilio lo incontrano. Nonostante tenti inizialmente di sbarrare loro la strada, Virgilio riesce a allontanarlo, e allora il minotauro comincia a divincolarsi qua e là come un toro.

Allegoricamente, il Minotauro è posto a guardia del girone dei violenti, perché nel mito greco esso simboleggia proprio la parte istintiva e irrazionale della mente umana, quella che ci accomuna agli animali (la «matta bestialità») e ci rende inconsapevoli. I violenti sono proprio quei peccatori che hanno peccato cedendo all'istinto e non hanno seguito la ragione. Per la teologia cristiana rappresenta un grave peccato, perché mentre agli animali non si può dare alcuna colpa, perché fanno ciò che è necessario per sopravvivere e nulla più, l'uomo dovrebbe usare la ragione per non compiere atti di pura crudeltà. La scena di Virgilio che vince il Minotauro rappresenta allegoricamente il trionfo della ragione sull'istinto.

Nella Divina Commedia è presente inoltre un accenno a Pasifae, madre del minotauro, nel ventiseiesimo canto del Purgatorio, dedicato al vizio dei lussuriosi. Pasifae vi è citata due volte, come emblema dell'animalità del peccato di lussuria: Dante la definisce con eloquente sintesi "colei che si imbestiò ne le 'mbestiate schegge".

Mirina

Regina delle Amazzoni, attaccò dalla base di Chersoneso gli Atlanti, il popolo più civile a occidente del Nilo, che ha la sua capitale nell'isola atlantica di Cerne. Mirina radunò un esercito di ventamila cavalieri e tremila fanti. Tutte portavano archi e quand'erano costrette a battere in ritirata se ne servivano per scoccare contro i loro inseguitori frecce infallibili. Indossavano armature fatte con la pelle dei serpenti libici, di incredibili proporzioni.
Invaso il territorio degli Atlanti, Mirina inflisse loro una irrimediabile sconfitta. Poi sboccò a Cerne, conquistò la città, passò tutti gli uomini validi a fil di spada, portò i bambini e le donne prigionieri e rase al suolo le mura. Quando gli Atlanti superstiti acconsentirono ad arrendersi li trattò con nobiltà e per compensarli della perdita di Cerne costruì la nuova città di Mirina, dove si stabilirono i prigionieri e chiunque altro desiderasse viverci. Gli Atlanti le tributarono allora onori divini e Mirina acconsentì a proteggerli dalla vicina tribù dei Gorgoni. In una furibonda battaglia, Mirina riportò la vittoria, e inoltre catturò non meno di tremila prigioniere, ma molte Gorgoni riuscirono a fuggire. La notte tuttavia, mentre le Amazzoni banchettavano per festeggiare la vittoria, le Gorgoni prigioniere rubarono le armi delle loro guardie e ne uccisero un gran numero, ma ben presto, le Amazzoni si risollevarono e massacrarono le ribelli. Mirina tributò grandi onori alle sue compagne morte e innalzò loro tre grandi tumuli che sono ancor oggi chiamati Tombe delle Amazzoni. Malgrado la disfatta, le Gorgoni riuscirono a ristabilire il loro potere.
Più tardi, dopo aver conquistato gran parte della Libia, Mirina entrò in Egitto con un nuovo esercito, si alleò a re Oro, figlio di Iside, e passò ad invadere l'Arabia. Taluni dicono che queste Amazzoni libiche, e non le Amazzoni del Mar Nero, conquistarono l'Asia Minore. E che Mirina, dopo aver scelto la sede che più le garbava nel suo nuovo impero, fondò molte città costiere, comprese Mirina, Cima, Pitana, Priene e le altre ancora nell'entroterra. Conquistò anche molte isole egee, fra cui Lesbo, dove costruì la città di Mitilene, così chiamata dal nome di sua sorella che partecipò alla campagna. Mentre Mirina era ancora impegnata nella conquista delle isole, una tempesta si abbattè sulla sua flotta; ma la Madre degli dèi guidò le navi sane e salve fino a Samotracia, allora disabitata, che Mirina consacrò alla dea-madre, innalzando altari e offrendo splendidi sacrifici.
Mirina si recò poi nella Tracia continentale dove il re Mopso e il suo alleato, lo scita Sipilo, la sconfissero in leale combattimento, e Mirina fu uccisa. L'esercito delle Amazzoni non riuscì più a riprendersi dopo tale rovescio; sconfitte dai Traci in frequenti scaramucce, le superstiti si ritirarono infine in Libia.

Mirra

Chiamata anche Smirna, figlia di Cinira re di Cipro. Un giorno la moglie di re Cinira stupidamente si vantò che sua figlia Mirra era più bella della stessa Afrodite. La dea si vendicò di quell'insulto facendo sì che Mirra si innamorasse di suo padre e si introducesse nel suo letto. Con l'aiuto della nutrice Ippolita, la fanciulla dormì col padre per ben dodici notti senza che questi la riconoscesse. Ma, la dodicesima notte, il padre accese una fiaccola e con orrore si rese conto con chi, per ben dodici notti, aveva fatto l'amore. Presa la spada inseguì Mirra fuori del palazzo, per ucciderla. Stava già per raggiungerla sul ciglio di una collina, quando Mirra invocò gli dèi chiedendo di nasconderla. Afrodite, presa a compassione, la trasformò in un albero di mirra e le cui gocce di resina ricordano le amare lacrime da lei sparse. Al decimo mese la pianta si spaccò, e nacque il bambino di nome Adone. Afrodite, già pentita dell'errore commesso, chiuse Adone in un cofano e lo affidò a Persefone, regina dei Morti, chiedendole di celarlo in qualche angolo buio. Persefone, mossa da curiosità, aprì il cofano e vi trovò dentro Adone. Il fanciullo era così bello che Persefone lo portò con sé nel suo palazzo.
Afrodite fu informata della cosa e subito scese nel Tartaro per reclamare Adone. E quando Persefone non volle cederglielo perché ne aveva già fatto il suo amante, Afrodite si appellò a Zeus. Zeus, ben sapendo che anche Afrodite era smaniosa di andare a letto con Adone, rifiutò di dirimere la questione così sgradevole e la deferì a un tribunale di minore importanza presieduto dalla Musa Calliope. La Musa divise dunque l'anno in tre parti eguali: Adone avrebbe trascorso la prima in compagnia di Persefone, la seconda in compagnia di Afrodite, e la terza da solo. Afrodite non si comportò lealmente: indossando sempre la magica cintura indusse Adone a trascorrere con lei anche quella parte dell'anno che gli spettava come vacanza e ad accorciare il periodo che spettava a Persefone.
Persefone, giustamente irata, andò in Tracia e disse al suo benefattore Ares che ormai Afrodite gli preferiva Adone. Ares si ingelosì e, trasformatosi in cinghiale, si precipitò su Adone che stava cacciando sul monte Libano e lo azzannò a morte davanti agli occhi di Afrodite. Anemoni sbocciarono dal sangue di Adone e la sua anima discese al Tartaro. Afrodite, in lacrime, si recò da Zeus e chiese che fosse concesso ad Adone di trascorrere soltanto la metà più cupa e triste dell'anno in compagnia di Persefone, mentre nei mesi estivi sarebbe ridivenuto il suo compagno. Zeus magnanimamente acconsentì.

Mirtilo

Mirtilo è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Ermes, amico di Pelope, l'eroe eponimo del Peloponneso, e scelto da Enomao come suo auriga. Secondo altre versioni, Mirtilo era un figlio di Zeus e di Climene.

Pelope si era innamorato di Ippodamia, figlia di Enomao. Enomao avrebbe concesso la figlia a chi lo avesse superato in una gara con i carri. La gara fu favorevole a Pelope, tuttavia pare che alla base di questa vittoria ci fosse stato il sabotaggio di Mirtilo a scapito di Enomao. Come tutti i traditori Mirtilo viene ucciso da Pelope per timore che raccontasse la verità. O secondo un'altra versione ucciso da Pelope avendo questi appurato che Mirtilo insidiava Ippodamia. Nel punto di morte Mirtilo maledice Pelope e tutta la sua discendenza. Dopo la morte venne trasformato da Ermes nella Costellazione dell'Auriga.

Miscelo

E' un Acheo, originario di Ripe, che fondò la città di Crotone nella Magna Grecia, per volere di Apollo. Il dio, attraverso l'oracolo di Delfi, gli ordinò di fondare Crotone. Ma, nella regione esisteva già la città di Sibari, e Miscelo tornò a chiedere al dio se fosse proprio necessario fondare una nuova città nella stessa regione. L'oracolo gli rispose: "Miscelo dalla schiena corta (egli era un po' gobbo), agendo contro il volere del dio, raccoglierai lacrime; gradisci il regalo che di è fatto". Miscelo finì con l'obbedire.
Un'altra versione del mito, riportata da Ovidio, dice che Crotone fu fondata dall'intervento di Eracle. L'eroe ritornando dalla Sicilia verso l'Italia per seguire un'altra strada che lo conducesse in Grecia con la mandria di Gerione, uccise incidentalmente un certo Crotone, lo seppellì con tutti gli onori e profetizzò che, in tempi futuri, lì sarebbe sorta una grande città che avrebbe avuto il nome dell'ucciso. La profezia di Eracle si avverò dopo la sua divinizzazione: egli apparve in sogno a uno dei suoi discendenti, l'argivo Miscelo, minacciandolo di terribili punizioni se non avesse guidato un gruppo di coloni in Sicilia per fondarvi una città; e quando gli Argivi erano sul punto di condannare a morte Miscelo per aver contravvenuto alla loro legge contro l'emigrazione, Eracle miracolosamente tramutò tutti i sassolini neri del voto in sassolini bianchi, e Miscelo fu assolto. Gli fu permesso allora di partire a fondare la colonia, e così egli venne a stabilirsi nella regione di Crotone.

Mnemone

Servitore di Achille, incaricato di ricordare all'eroe la predizione della madre Teti. Teti aveva avvertito Achille che semmai egli avesse ucciso "un figlio di Apollo", sarebbe morto per mano di Apollo, davanti a Troia. Infatti un oracolo voleva che Achille dovesse morire di morte violenta se avesse ucciso un figlio d'Apollo, che non fu designato in altro modo. E Mnemone ("Colui che fa ricordare") lo accompagnava al solo scopo di ricordargli ogni giorno la predizione della madre. Ma Achille, allorché vide l'isola di Tenedo e Tenete che scagliava massi dall'alto di un promontorio contro le navi greche, raggiunse la riva a nuoto e senza rifletterci sopra lo uccise trapassandogli il petto. I Greci sbarcarono e saccheggiarono Tenedo. Resosi conto, ma troppo tardi, di quanto aveva fatto, Achille condannò a morte Mnemone che non gli aveva rammentato le parole di Teti. Poi fece a Tenete funerali magnifici e seppellì il cadavere dove ora sorge il suo tempio: nessun flautista vi può mettere piede né vi si può pronunciare il nome di Achille. Achille inoltre uccise Cicno, padre di Tenete, con un colpo alla nuca, il suo unico punto vulnerabile e inseguì la sorella di Tenete, Emitea, che fuggì rapida. L'avrebbe tuttavia raggiunta e violata se la terra aprendosi non l'avesse inghiottita.

Mnemosine

Nella mitologia greca è una delle dee del ciclo dei Titani, personificazione della Memoria; nella lotta di Zeus contro i Titani stette dalla parte di Zeus. E' ricordata per la prima volta da Esiodo nella Teogonia, dove è detta figlia di Urano e di Gea. Zeus si giacque con lei, nella Pierìa, per nove notti di seguito, e, in capo a un anno, ella gli diede nove figlie, le Muse. E' questa la genealogia ufficiale olimpica, che offuscò del tutto la tradizione più antica che faceva le Muse figlie di Urano e di Gea. Nel culto è sempre associata con le Muse sue figlie; in Atene si facevano in onore di lei libagioni di latte e miele.

Mnesimache

Nella mitologia greca, Mnesimache era il nome di una delle figle di Dessameno.

Eracle, il figlio di Zeus era stato cacciato dalla casa di Augia e trovò rifugio a casa di Dessameno, qui la ragazza fu promessa come sposa al ragazzo. Egli partì per altre avventure, poco tempo dopo arrivò nel regno un centauro di nome Eurizione, attratto dalla bellezza della ragazza la voleva per se nonostante fosse già promessa ad un altro, la ragazza si fidanzò con forza a lui, anche contro il proprio volere. Eracle tornò nel regno per la donna.

Mnesimache aveva due sorelle: Teronice e Terefone.

Mneso


Mneso, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Mneso fu ucciso da Achille nell'azione bellica descritta nel libro XXI dell'Iliade relativo alla Battaglia del fiume.

Moire

Dee del Destino, dalla genitura molto controversa. Infatti, Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte, ne fissano il numero a tre (numero sacro), e ne danno anche i nomi: Cloto, la "filatrice" del filo della vita che si avvolge intorno alla conocchia; Lachesi, la "fissatrice", che dà a ciascuno quello che gli spetta in sorte; Atropo, l' "irremovibile", l'inevitabile fatalità della morte nel momento stabilito. Ma un'altra tradizione mitica molto antica, per riportarle al mondo divino di Zeus e inserirle nel quadro dell'Olimpo, le considera come figlie di Zeus e di Temi. La teogonia orfica le dice figlie di Urano e di Gea.
Le Moire non ebbero mai un'esatta limitazione: ora appaiono sottoposte a Zeus, ora sono una forza incontrollabile, tenebrosa, che sovrasta tutti gli dèi, non eccettuato Zeus. Zeus che pesa sulla bilancia le vite degli uomini e informa le Moire delle sue decisioni, può, si dice, cambiar parere e intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lachesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo. Anzi, gli uomini sostengono addirittura di poter salvarsi, entro certi limiti, modificando il proprio destino grazie alla prudenza nell'evitare inutili rischi. Gli dèi più giovani dunque si ridono delle Moire e alcuni dicono che Apollo un giorno riuscì ad ubriacarle con un raggiro per salvare la vita del suo amico Admeto. Altri ritengono invece che Zeus stesso debba sottostare alle Moire, come la sacerdotessa pitica affermò una volta in un oracolo; le Moire infatti non sono figlie di Zeus, ma nacquero per partenogenesi dalla Grande Dea Necessità, con la quale gli dèi non osano contendere, e che è chiamata "La Possente Moira".
Generalmente si ritiene che le Moire non fossero in grado di determinare il destino, eppure nel mito di Meleagro giocano un ruolo decisivo. Infatti, allorché il ragazzo compì sette anni, Le Moire apparvero nella stanza di Altea e le annunciarono che il figlio avrebbe potuto vivere soltanto finché un certo tizzone del focolare non si fosse consumato. Altea tolse subito quel tizzone dal fuoco, lo spense in un secchio d'acqua e lo nascose in un cofano. Ma il giorno in cui Meleagro uccise i suoi zii, fratelli della madre Altea, questa, addolorata, lanciò una maledizione contro Meleagro. Le Moire le consigliarono di prendere dal cofano il tizzone spento e di gettarlo sul fuoco, e Meleagro spirò.
Nella mitologia le Moire non compaiono che raramente. Combatterono al fianco di Zeus nella battaglia contro i Giganti e con proiettili infuocati bruciarono le teste di Agrio e Toante, e poi alla battaglia contro Tifone, sempre per aiutare Zeus, offrirono al mostro frutti effimeri facendogli credere che gli avrebbero ridonato forza, mentre invece lo predestinavano a sicura morte. Le Moire assegnarono ad Afrodite un solo compito divino, quello di fare all'amore; ma un giorno Atena la sorprese mentre segretamente tesseva a un telaio, e si lagnò che tentasse di usurpare le sue prerogative; Afrodite le fece le sue scuse e da allora non alzò più nemmeno un dito per lavorare.
I poeti le rappresentano normalmente come donne vecchie e deformi; l'arte figurativa come giovani severe, caratterizzate Cloto col fuso, Lachesi con un globo su cui indica i destini, Atropo con una bilancia e con le forbici con cui troncare lo stame della vita.
A Delfi si onorano soltanto due Moire, quelle della Nascita e della Morte; e ad Atene, Afrodite Urania è detta essere la maggiore delle tre. I Romani identificarono le Moire con le Parche.


Molione


Molione (in greco Μολίων), personaggio dell'Iliade, è il nome di un guerriero troiano.

Molione fu ucciso da Ulisse nell'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle gesta di Agamennone. Giovane valoroso e assai bello d'aspetto, era scudiero e auriga di Timbreo, un re alleato dei Troiani, che morì insieme a lui, ucciso però da Diomede.

Molionidi

Erano figli di Attore e di Molione, figlia di Molo, oppure, secondo Omero, di Poseidone e Molione. Erano gemelli, nati da un uovo d'argento, e fin dalla nascita erano uniti l'uno all'altro all'altezza della cintura. I loro nomi erano Eurito e Cteato e sposarono le figie gemelle del centauro Dessameno, Teronice e Terefone, dalle quali ebbero due figli, Anfimaco e Talpio, che capeggiarono, davanti a Troia, il contingente degli Epei.
Celebri per la loro forza, i Molionidi dimostrarono tutto il loro valore combattendo per lo zio, il re Augia, contro Eracle il quale lo voleva punire perché si era rifiutato di pagargli una mercede. Augia, prevedendo l'attacco di Eracle, si era preparato a sostenerlo nominando suoi generali Eurito e Cteato, e chiamando al suo fianco per governare sull'Elide il valoroso Amarinceo, che di solito viene descritto come figlio dell'immigrato tessalo Pizio. Eracle non si coprì di gloria in questa guerra dell'Elide. Egli cadde ammalato e quando i Molioni misero in rotta il suo esercito che si era accampato nel cuore dell'Elide, i Corinzi intervennero proclamando re l'istmico Truce. Tra i feriti vi fu Ificle, il fratello gemello di Eracle. I gemelli presero poi parte all'assedio di Pilo. Gli Elei, guidati da Amarinceo avanzarono su Pilo in pieno assetto di guerra, e attraversarono la pianura a Triessa. Ma Atena mise in allarme la gente di Pilo, e quando i due eserciti vennero a battaglia, Nestore abbattè con un colpo di lancia Amarinceo, e anche i Molioni sarebbero caduti sotto i colpi della sua infaticabile lancia se Poseidone non li avesse avvolti in una nebbia impenetrabile soffiandoli via lontano.
Più tardi, saputo che gli Elei avrebbero organizzato una processione in onore di Poseidone per la Terza Festa istmica, e che i Molionidi intendevano assistere ai giochi e prendere parte ai sacrifici, Eracle tese loro una imboscata in una macchia che sorgeva lungo la strada nei pressi di Cleonea e scoccò una freccia trafiggendo a morte i due gemelli; uccise pure un loro cugino, chiamato anch'egli Eurito, figlio di re Augia.
Molione seppe ben presto chi aveva assassinato i suoi figli e indusse gli Elei a chiedere soddisfazione a Euristeo che declinò ogni responsabilità per i misfatti di Eracle che egli aveva bandito dal paese. Molione pregò allora gli Argivi di escludere tutti gli Elei dai Giochi Istmici, finché il delitto di Eracle non fosse stato espiato. I Corinzi si rifiutarono di obbedirle e Molione lanciò una maledizione su ogni Eleo che osasse prendere parte alla festa.

Molo (mitologia)

Nella mitologia greca, Molo era il nome del padre di Merione

Molo, abitante dell’isola di Creta era uno dei figli di Deucalione, avuto da un rapporto fuori dal matrimonio. Crebbe e desiderò una ninfa al punto di violentarla. Egli scomparve e il suo corpo venne ritrovato in seguito privo della testa, una vendetta.

Suo figlio, Merione amico di Idomeneo, partecipò alla guerra di Troia, schierandosi con il suo compagno.

Molorco

Nella mitologia greca, Molorco era un uomo di umili origini, che Eracle incontrò durante le sue dodici fatiche.

Durante una delle tante imprese impostegli da Euristeo, Eracle si ritrovò a Cleone, una città sperduta. L'eroe cercava rifugio trovandolo nella casa del povero Molorco. Egli avrebbe voluto fare un sacrificio anche se aveva poco da offrire vista la sua misera esistenza. Eracle gli consigliò allora di attendere trenta giorni prima di effettuare l'offerta voluta. Molorco accettò di pazientare sperando nel ritorno dell'eroe, quando partì il semidio diede una condizione al brav'uomo: se egli non fosse tornato da pastore in quel lasso di tempo avrebbe offerto a lui e non a un dio la sua offerta. Eracle riuscì a tornare dall'impresa, la sconfitta del leone di Nemea, proprio al trentesimo giorno quando Molorco aveva ormai perso le speranze di rivederlo in vita.

Molosso
(mitologia)

Molosso (o Molotto) è una figura della mitologia greca, era figlio di Neottolemo e di Andromaca, la moglie di Ettore che Neottolemo aveva ottenuto come parte del bottino nella Guerra di Troia.

Euripide tratta ampiamente la vicenda di Molosso nella sua tragedia Andromaca.

Molpadia

Nella mitologia greca, Molpadia è il nome di un'Amazzone, menzionata da Pausania e Plutarco come probabile assassina di Antiope.

Se si accoglie la tradizione più generica sulle origini delle Amazzoni, allora Molpadia sarebbe da identificare in una delle figlie di Ares e della ninfa Armonia e avrebbe un legame parentale con le compagne Antiope, Otrera, Ippolita e Pentesilea. Quando Teseo giunse a Temiscira e rapì la regina Antiope, Molpadia si unì alla forze schierate dall'Amazzone Orizia e marciò contro Atene per vendicare l'onta del rapimento.

Nel violento scontro che vide opposte le forze dell'eroe ateniese e l'esercito delle donne guerriere, Molpadia colpì a morte, forse volontariamente, la stessa Antiope, la quale aveva disertato le sue compagne e si era unita a Teseo perché innamorata. Quest'ultimo ne vendicò la morte, uccidendo a sua volta Molpadia. Il corpo di quest'ultima venne seppellito insieme a quello di Antiope presso il tempio della Madre Terra. In onore di Molpadia venne eretto un monumento che Pausania ricorda ancora ad Atene.

Momo

Divinità minore dell'Olimpo graco. Figlio del Sonno e della Notte, era personificazione del sarcasmo e dello scherzo crudele. Si vuole che gli dèi, irritati per il suo comportamento, lo cacciassero dall'Olimpo. Una leggenda narra che, avendo un giorno Atena, Poseidone ed Efeso sottoposto al suo giudizio tre loro opere, la casa, il toro e l'uomo, Momo le criticasse tutte e tre: la casa, perché non si può trasportarla da un luogo all'altro, il toro perché ha le corna ai lati della testa anziché sulla fronte e perciò più scomode per colpire, e l'uomo infine perché non ha nel petto una finestra che permetta di sapere cosa c'è nel suo cuore.
Era raffigurato come un nano, calvo, nudo e con una maschera in mano. Non trovando nessun difetto in Afrodite, si mise a dire che i sandali della dea scricchiolavano.

Mopso 1

Eroe greco intorno al quale si hanno versioni diverse. E' detto Lapita di Ecalia, figlio di Ampige e della ninfa Cloride, uno di coloro che presero parte alla caccia di Calidone, alla lotta violenta scatenatasi fra i Centauri e i Lapiti al matrimonio di Peritoo con Ippodamia, ai giochi funebri celebrati per le esequie di Pelia, e alla spedizione degli Argonauti, tra i quali compiva l'ufficio di indovino. Durante la navigazione degli Argonauti, posò il piede su un serpente libico che lo morsicò al tallone: una fitta nebbia scese sui suoi occhi e morì tra spasimi atroci. Gli Argonauti gli tributarono onori funebri come si conviene a un eroe.

Mopso 2

Gli antichi distinguevano un secondo Mopso, figlio di Apollo e di Manto, figlia di Tiresia. Una tradizione lo considerava come figlio di Racio, re della Caria, che Manto aveva incontrato uscendo dal tempio di Delfi, e che era stato così designato dal dio come suo sposo. A Claro, fondata da Manto, Mopso divenne profeta di Apollo; a Colofone e a Mallo nella Cilicia aveva oracoli e culto di eroe. Famoso indovino, fu causa della morte dell'indovino Calcante. A Colofone vi era un fico selvatico coperto di frutti e Calcante, sperando di mettere Mopso in imbarazzo, lo sfidò chiedendogli di dire esattamente quanti fichi saranno raccolti da quell'albero. Mopso rispose che l'albero avrebbe dato dapprima diecimila fichi, poi uno staio di fichi accuratamente pesati, e infine sarebbe rimasto un fico solo sui rami. Calcante rise ironicamente all'idea di quell'ultimo fico, ma quando l'albero fu spogliato dai suoi frutti, la predizione di Mopso si rivelò esattissima. Mopso vide una scrofa gravida, e chiese a Calcante quanti lattonzoli di ciascun sesso si celavano nel ventre e quando si sarebbe sgravata. "Otto lattonzoli e tutti maschi, e la scrofa partorirà tra otto giorni", rispose Calcante a caso, sperando di poter ripartire prima che la sua predizione si scoprisse falsa. Mopso subito replicò: "Secondo me nasceranno tre lattonzoli, di cui solo uno maschio, domattina all'ora sesta, non un minuto prima, non un minuto dopo". Mopso ebbe ragione ancora una volta e Calcante morì di crepacuore. I suoi compagni lo seppellirono a Nozio.
Mopso e Anfiloco avevano fondato la città di Mallo in Cilicia e quando Anfiloco si ritirò nella sua città natale di Argo Anfilochia, Mopso divenne l'unico sovrano. Alfiloco, dopo dodici mesi, ritornò a Mallo certo di poter riassumere i poteri, ma Mopso gli intimò di andarsene. I Malli, imbarazzati e sgomenti, proposero di risolvere la vertenza con un duello. I rivali si affrontarono e morirono tutti e due per le ferite riportate. I roghi funebri furono disposti in modo che Mopso e Anfiloco non potessero scambiarsi insulti durante la cremazione, ma inspiegabilmente le loro ombre si legarono di profonda amicizia e istituirono un oracolo in comune; tale oracolo ha ora fama di essere più veridico di quello di Delfi.

Morfeo

Era la divinità dei sogni per gli antichi che collegarono il suo nome con la parola greca che significa la "forma"; però, siccone genealogicamente derivava dalla Notte, sembra migliore interpretazione quella che lo collega con Hypnos ("buio"). Figlio e ministro del Sonno (Ipno) si mostrava mandato dal padre ai dormienti sotto l'aspetto di qualche persona nota per fare rivelazioni, o per suggerire consigli, o per dare notizie. Era raffigurato come un vecchio, con una corona di papaveri e una cornucopia, provvisto di ali con le quali giungeva senza essere avvertito. Tra i numerosi suoi fratelli, Fantaso fa apparire ai dormienti case e paesaggi, Fobetore (o Icelo) assume nelle sue apparizioni ai dormienti forme di animali.

Mori (Iliade)

Mori, figlio di Ippotione e personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Mori fu ucciso da Merione nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.

Mosino

Nella mitologia greca, Mosino era il nome di un guerriero acheo che faceva parte dell'esercito di Aiace Telamonio durante la guerra di Troia. È citato nel libro VI del Posthomerica di Quinto Smirneo.

Mosino e suo fratello Forci abitavano l'isola di Salamina, nel Mar Egeo, dominata al tempo da Aiace Telamonio. Combattenti di valore, giovanissimi, furono reclutati da Aiace stesso per combattere a suo fianco nella guerra di Troia. Entrambi salirono a bordo di una delle dodici navi disposte dall'eroe.

La morte


Mosino per primo trovò la morte sul campo di battaglia per mano di Paride (fu forse trafitto da una freccia); dopo di lui, il troiano ammazzò il fratello Forci.

Mulio


Mulio è il nome di due guerrieri citati nell'Iliade:

* Mulio, guerriero troiano ucciso da Patroclo nel libro XVI.

* Mulio, guerriero troiano ucciso da Achille nel libro XX.

Mulio vittima di Achille


Achille, infuriato per la morte del suo caro amico Patroclo, rientrò in battaglia uccidendo tantissimi guerrieri di Ettore, che gli aveva ucciso il caro compagno. Tra questi vi fu anche Mulio, un troiano, che, assalito da Achille, morì ucciso da una sua lancia che gli entrò in un orecchio e, perforato il cervello, uscì per l'altro.

Munito

Figlio d'Acamante e di Laodice, la più bella delle figlie di Priamo.
Quando Acamante giunse a Troia con l'ambasciata di Diomede, dieci anni prima dell'inizio della guerra, per richiedere la restituzione di Elena, fu scorto da Laodice che s'innamorò di lui. La ragazza confidò la sua passione alla moglie di Perseo, Filobia, la quale decise di aiutarla. Convinse il proprio marito, che regnava sulla città di Dardano, in Troade, a invitare separatamente i due giovani a un banchetto, e a metterli l'uno accanto all'altra. Alla fine del banchetto, Laodice era diventata la moglie di Acamante. Da questa unione nacque un figlio, Munito, che fu allevato nella casa di Priamo dalla bisnonna, Etra, madre di Teseo, allora prigioniera d'Elena. Dopo la caduta di Troia, Munito ritornò dal padre che lo condusse in Attica insieme a Etra, infine liberata. Ma, durante il viaggio, a Olinto, Munito, mentre cacciava, fu morso da un serpente e morì.

Muse

Erano le nove figlie di Zeus e di Mnemosine . Il sommo dio si unì per nove notti con Mnemosine figlia di Urano e di Gea. Allo scadere della gestazione la dea partorì nella Pierìa, ai piedi dell'Olimpo, nove bimbe. Altra tradizione ne fa le figlie di Urano ("il Cielo") e di Gea ("la Terra"). In Omero le Muse appaiono come antichissime e sempre giovani dee della musica che rallegrano col loro dolce canto la mensa degli dèi dell'Olimpo; e sono poi ricordate come coro del banchetto nuziale degli dèi per le nozze di Peleo e Teti, celebrate dinanzi alla grotta di Chirone sul monte Pelio. I tebani ancora mostrano il luogo dove le Muse suonarono il flauto e cantarono, e Apollo trasse dolci suoni dalla lira, durante la festa nuziale di Cadmo e Armonia. Solo più tardi presiedettero alle arti, alle scienze, alle lettere, alla poesia, ciascuna con attributi particolari. Nella Teogonia di Esiodo la figura delle Muse è più precisa e distinta, si fissa a nove il loro numero con i rispettivi nomi. Le singole Muse, nel mito greco antico non hanno storia particolare, e solo nella tradizione postclassica si ha una precisa distribuzione di funzioni per ciascuna di esse, con emblemi e attributi propri. Clio, che canta la gloria, divenne la Musa dell'epopea e della storia, e fu rappresentata con un rotolo di carta e uno stilo; Euterpe, che rallegra, Musa della musica, ebbe il doppio flauto; Talia, Musa della commedia, la maschera comica; Melpomene, Musa del canto in genere, poi della tragedia, la maschera tragica; Tersicore, che si diletta dei cori, Musa della danza, la lira e la veste che scende fino ai piedi; Erato, amante, Musa della poesia erotica, uno strumento a corde e la veste svolazzante; Polimnia, dai molti inni, Musa ora della lirica religiosa, ora della memoria, non ha attributi simbolici particolari; Urania, la celeste, Musa dell'astronomia, ebbe un globo e una bacchetta; Calliope, dalla bella voce, Musa della poesia in genere, poi dell'elegia, un rotolo di carta o una cassetta di libri e uno stilo.
Il loro culto, passato dalla Pieria nella Beozia, fu portato più tardi a Delfi, dove le Muse ebbero un santuario presso la fontana Castalia, e probabilmente qui avvenne il collegamento delle Muse con Apollo divenuto guidatore del loro canto, Musagete. Se questo epiteto dato al dio è tardo, assai antica è invece l'associazione fra lui e le Muse. L'antichità di essa è testimoniata dal carattere primitivo e crudele del mito relativo alla gara musicale fra Apollo e Marsia, riuscita vittoriosa per Apollo, giudicata da Zeus alla presenza di Atena e delle Muse, e conclusa con la condanna di Marsia a essere scorticato vivo. Chi osava offendere le Muse veniva severamente punito, come le figlie di Pierio, re della Tessaglia. Questi aveva nove figlie che vollero rivaleggiare con le Muse nel canto e furono battute e mutate, come racconta Ovidio, in rauche gazze. Da questo evento le Muse a volte vengono chiamate Pieridi. Anche Tamiri, un giovane di rara bellezza, osò sfidarle. Egli eccelleva contemporaneamente nell'arte del canto e in quella della lira, e volle confrontarsi con le Muse in una gara musicale. Aveva chiesto, in caso di vittoria, di unirsi successivamente a tutte le Muse, ma fu vinto, e le dee, irritate, lo accecarono e lo privarono della sua abilità musicale. Le Sirene dopo una gara di canto con le Muse (gara in cui furono battute) persero le ali.
Le Muse non possiedono un ciclo leggendario loro proprio, viene attribuita a ciascuna di loro qualche avventura amorosa. Calliope è madre di Orfeo, il più famoso poeta e musicista mai esistito. Apollo gli donò la lira e le Muse gli insegnarono a usarla. Urania o Tersicore è considerata madre di Lino, il quale era un musico notevole, che osò rivaleggiare con lo stesso Apollo e questi, indignato, lo uccise.
Il culto delle Muse si estese poi a Eleutere, nell'Attica e in tutta la Grecia. Lo troviamo ad Atene, a Corinto, a Trezene, a Sparta, a Messene, a Olimpia, a Megalopoli; nelle isole a Creta, Lesbo, Paro, Tera; nelle colonie greche di Sicilia e della Magna Grecia, a Siracusa, Crotone, Taranto, Turii. Fatte dai poeti abitatrici dell'Olimpo a rallegrare i conviti degli dèi, più spesso furono trasportate in terra, sui monti, nei banchetti, presso le fresche sorgenti, fra cui notevoli le tre fonti di Aganippe, di Castalia e di Ippocrene; questa era stata fatta sgorgare dal monte Elicona dal cavallo Pegaso, detto il favorito delle Muse, battendo al suolo il suo zoccolo lunato. A seconda delle regioni e delle località predilette le Muse ebbero epiteti svariatissimi: Parnassidi, Eliconidi, Pindidi, Pimpleidi, Castalidi, Ippocrenidi, Aganippidi, Pieridi.
Il più importante e il più splendido fra tutti i santuari dedicati alle Muse in Grecia fu quello dell'Elicona, nel quale ogni cinque anni si celebravano grandi feste che comprendevano principalmente concorsi musicali e poetici; in seguito si arricchirono di tragedie, commedie, drammi satireschi. Si celebrarono fino al tempo di Costantino.
Con la letteratura greca le Muse entrarono anche in Roma, e secondo la tradizione Numa Pompilio per primo avrebbe consacrato loro un'edicola sul Celio e un boschetto irrigato da fonti, specialmente dalla celebre fonte della ninfa Egeria. Scarsa fu la loro importanza nel culto. Un unico tempio fu loro innalzato da Fulvio Nobiliore, ove erano associate a Ercole, e solo contribuì a renderle più popolari la loro identificazione con le Camene, divinità indigene dell'ispirazione profetica, già avvenuta quando Fulvio dedicò il suo tempio.

Museo (autore mitico)

Museo è un personaggio leggendario associato ad Orfeo.

A seconda delle fonti è figlio o discepolo di Orfeo, figlio di Selene, la mitologia narra sia stato cresciuto dalle Ninfe. Non vi è una tradizione coerente sulla provenienza: sarebbe di Atene o trace o nato ad Eleusi. L’associazione ad Eleusi è attestata anche in altri modi: secondo alcuni autori avrebbe presieduto ai misteri eleusini, mentre secondo altri sarebbe stato suo figlio Eumolpo ad istituirli.

A Museo, poeta e divinatore, la tradizione attribuisce oracoli, inni, una Titanomachia, un Inno a Demetra, una Eumolpia, un libro Sui Trespoti e l'introduzione dell' Attica dei misteri d'Eleusi. Delle opere attribuitegli si sono conservati pochi frammenti poetici di argomento teogonico e mitologico.

Secondo Giorgio Colli la figura di Museo potrebbe essersi originata isolando gli elementi apollinei della figura dominante di Orfeo, che si sarebbe così caratterizzata più compiutamente in senso dionisiaco.

Myskellos di Rhype


Myskellos di Rhype è una figura della mitologia greca, condottiero dei coloni achei fondatore di Crotone.

Secondo una leggenda, l'oracolo di Apollo a Delfi ordinò a Myskellos di Rhype di fondare una nuova città nel territorio compreso fra Capo Lacinio e Punta Alice. Dopo aver attraversato il mare ed esplorato quelle terre, Myskellos pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già florida e accogliente anziché affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città. Il dio adirato gli ordinò di rispettare il responso dell'oracolo. Secondo Ovidio sarebbe stato invece Eracle ad ordinare a Myskellos di recarsi sulle rive del fiume Esaro.

Nell'Eneide di Virgilio Enea e la Sibilla incontrano Museo nei Campi Elisi, tra gli spiriti beati più degni, "che svetta con ampie spalle". E sarà lui, su richiesta della Sibilla, a guidarli verso il sentiero che li condurrà ad Anchise. Museo spiega loro anche la non stabile sede delle anime del luogo (nulli certa domus), e la loro collocazione sparsa tra ameni e confortevoli luoghi naturali.

Muzio Scevola

Leggendario eroe romano che durante l'assedio di Roma attuato dagli Etruschi decise d'uccidere il loro re Porsenna di Chiusi. Indossò abiti etruschi e s'infiltrò nel campo nemico; ma, non conoscendo il re, per errore uccise il suo segretario. Arrestato ed esortato a far conoscere i suoi complici, per dimostrare la sua indifferenza di fronte ai tormenti, stese la mano destra sopra un braciere ardente destinato alla celebrazione d'un sacrificio, e impassibile lasciò che bruciasse. Pieno d'ammirazione, Porsenna fece portar via il braciere e restituì al suo nemico la spada che gli era stata tolta. Muzio dichiarò (mentendo) che trecento Romani si nascondevano nel campo aspettando l'occasione di riuscire nell'impresa da lui fallita, e che egli era stato semplicemente designato dalla sorte per un primo tentativo. Spaventato, Porsenna stipulò un armistizio con Roma, e l'assedio fu tolto.
Da questo fatto gli venne il soprannome di Scevola, cioè "mancino", che poi tutti i Muzio conservarono. In realtà, il congnome proviene da un amuleto detto scaevola, che si portava contro la iettatura, interpretato erroneamente come mancino, cioè privo della mano destra, attribuendone l'origine al leggendario atto eroico di Gaio Mucio.

Edited by demon quaid - 29/12/2014, 21:31
 
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Naiadi

Ninfe delle acque dolci, furono immaginate dagli antichi come fanciulle di fiorente bellezza, signore dei fiumi e dei ruscelli (Potameidi), delle fonti (Creniadi), delle paludi e dei laghi (Lèmnadi). Talvolta ve ne è soltanto una, la quale è la ninfa della fonte, talvolta la stessa sorgente ne ha diverse, considerate come sorelle, uguali fra loro. Dotate di grande longevità, ma mortali, erano note per la loro benevolenza verso il mondo umano, e in virtù delle forze vitali dell'acqua erano onorate come le nutrici delle piante, degli animali e degli uomini. Per questa ragione si consideravano come nutrici di Dioniso e di Demetra. Danzano in lieti cori in compagnia di Satiri e di Sileni, coltivando la musica, la poesia e l'arte della divinazione.
La loro genealogia è variabile sia secondo i mitografi sia secondo le leggende. Spesso sono figlie di Zeus o discendenti di Oceano o figlie del dio del fiume in cui abitano: così, le figlie dell'Asopo sono Naiadi. Tutte le fonti celebri hanno la loro Naiade, la quale ha un nome e una leggenda particolare. Così la ninfa Aretusa, a proposito della quale si raccontava che era compagna fedele d'Artemide e, come la sua protettrice, sdegnosa dell'amore. Un giorno, per rinfrescarsi dopo una battuta di caccia, si bagnò nel fiume Alfèo il quale innamoratosi della ninfa prese forma umana e la inseguì. Spaventata, Aretusa supplicò Artemide di salvarla. La dea, dopo aver trasformato Aretusa in una fonte, la sprofondò sottoterra facendola riaffiorare a Siracusa, nell'isola di Ortigia. Alfèo, per nulla scoraggiato, riassunse la forma acquatica e poté così unirsi alla ninfa. Nella spedizione degli Argonauti, durante uno scalo in Misia, Ila, il giovane amato da Eracle, si era recato ad attingere acqua presso la vicina fonte Pegea. Qui le Naiadi, attirate dalla sua bellezza, lo indussero a seguirle e lo tennero presso di sé in una grotta sott'acqua.
Le Naiadi passavano spesso per avere facoltà guaritrici: i malati bevevano l'acqua delle fonti a loro consacrate, oppure, più raramente, vi si bagnavano. Talvolta, il bagno era considerato un sacrilegio e chiunque vi si arrischiava incorreva nella collera e nella vendetta delle dee che si manifestavano attraverso qualche malattia misteriosa. Nella mitologia popolare latina si sosteneva che chiunque scontentava o vedeva le Naiadi (Lymphae) era colpito da pazzia o smarrimento. Da ciò l'espressione latina lymphaticus, che significa "pazzo".
Nei testi antichi, le Naiadi spesso erano usate per dare lustro alle famiglie più importanti. Molte genealogie presentano all'origine una Naiade. Per esempio, la moglie di Erittonio, Prassitea che generò Pandione; la moglie di Endimione, madre di Etolo; quella d'Icario, Peribea che generò Penelope; quella d'Ebalo.
Le Naiadi vengono rappresentate nelle opere artistiche nude, splendide di giovinezza, coronate di canne, versanti acqua da un'urna con in mano una conchiglia o un corno da cui sgorga l'acqua.

Nannaco

Nannaco, in mitologia, è il nome di un re antediluviano della Frigia.

La leggenda

Secondo un oracolo, alla sua morte sarebbe avvenuto il Diluvio Universale. Per evitare che la profezia si avverasse, il re cercò di convincere gli dei con incessanti preghiere, assieme a tutto il suo popolo. Nacque così l'espressione proverbiale "lamentarsi con Nannaco".

Secondo un'altra versione del mito, Nannaco morì all'età di 300 anni e, immediatamente dopo, un'imponente alluvione distrusse completamente il territorio della Frigia.

Naponos

Il Nàpònòs fu una divinità adorata nelle colonie sicule della Magna Grecia, tipicamente tra Gela e Butera.

Morfologicamente, tendeva ad assumere sembianze umane ma era dotata di tre occhi, con il quale aveva il dono della conoscenza interiore.

Tra i ritrovamenti delle fattorie Greco-Romane nelle campagne buteresi si sono trovate numerose incisioni inneggianti a Naponos; i siti archeologici di Fontana Calda, Desusino e Suor Marchesa hanno dei reperti che citano direttamente la divinità.

Naponos viene citato nei manoscritti ritrovati nella tomba di Eschilo a Gela, oltre alle numerose incisioni sulle Mura Timoleontee.

Narciso (mitologia)

Narciso (in greco: Νάρκισσος) è un personaggio della mitologia greca famoso per la sua bellezza. Figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso (o secondo un'altra versione di Selene ed Endimione) nel mito appare incredibilmente crudele, in quanto disdegna ogni persona che lo ama. Come punizione divina, si innamora della sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua, lasciandosi infine morire resosi conto dell'impossibilità del suo amore.

Esistono diverse versioni del mito fra cui: una proveniente dai papiri di Ossirinco, attribuita a Partenio; una nelle Narrazioni di Conone, datata fra il 36 a.C. e il 17 d.C.; la più nota versione di Ovidio contenuta nelle Metamorfosi e una versione di Pausania proveniente da Guida alla Grecia.

La versione ellenica

La versione ellenica del mito appare come una sorta di racconto morale in cui il superbo e insensibile Narciso viene punito dagli dèi per aver respinto tutti i suoi pretendenti di sesso maschile, e in un certo qual senso lo stesso Eros. Il racconto è quindi pensato come una storia di ammonimento rivolto ai giovani. Fino a poco tempo fa le due fonti per questa versione del mito erano un compendio delle opere di Conone, un greco contemporaneo di Ovidio, conservato nella Bibliotheca di Fozio e un brano di Pausania, vissuto circa 150 anni dopo Ovidio. Un racconto molto simile è stato scoperto nel 2004 tra i papiri di Ossirinco che precede la versione di Ovidio di almeno cinquant’anni e si crede messi per iscritto da Partenio. In questa versione Narciso aveva molti innamorati che lui costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo un giovane ragazzo, Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse davanti alla sua casa, avendo prima invocato il dio per ottenere una giusta vendetta.

La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua bellezza, restò incantato dalla sua stessa immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di se stesso. Completando la simmetria del racconto, preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise. Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue si dice spuntò per la prima volta l'omonimo fiore.

La versione romana


Nel racconto narrato da Ovidio, probabilmente basato sulla versione di Partenio, ma modificata al fine di aumentarne il pathos, Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di un giovane vanitoso di nome Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope. Cefiso aveva circondato Liriope con i suoi corsi d'acqua, e, così intrappolata, aveva sedotto la ninfa che diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza. Preoccupata per il futuro del bambino, Liriope consultò il profeta Tiresia che predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia, “se non avesse mai conosciuto se stesso.”

Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età, era un giovane di tale bellezza che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, si innamorava di lui, ma Narciso, orgogliosamente, li respingeva tutti. Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi desiderosa di rivolgergli la parola, ma incapace di parlare per prima perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto; era stata infatti punita da Giunone perché la distraeva con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove, si nascondevano. Narciso, quando sentì dei passi e gridò: “Chi è là?”, Eco rispose: “Chi è là?” e così continuò, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa e le disse di lasciarlo solo. Eco, con il cuore a pezzi, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce.

Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso. Il ragazzo, mentre era nel bosco, si imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide, per la prima volta nella sua vita, la sua immagine riflessa si innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso. Solo dopo un po' capì che l'immagine riflessa apparteneva a lui e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia. Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore cui fu dato il nome narciso. Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando ancora di vedersi riflesso.

La versione di Pausania


Pausania individua la fonte di Narciso a Tepsi, in Beozia. Lo scrittore greco trova incredibile (usando le sue stesse parole “idiota”) che qualcuno non sia in grado di distinguere un riflesso da una persona reale, e cita una variante meno nota a cui dà più credito. In questa versione Narciso aveva una sorella gemella, del tutto somigliante a lui, con la quale andava spesso a caccia insieme. Narciso alla fine si innamorò di lei e quando questa morì, recandosi alla fonte, capiva di vedere la propria immagine, ma quel viso assomigliava così tanto alla sorella amata che gli era di grande consolazione. Pausania, inoltre, fa notare che il fiore narciso doveva esistere ben prima del personaggio omonimo, visto che il poeta epico Pamphos, vissuto molto anni prima, nei suoi versi narra che quando Persefone fu rapita da Ade stava raccogliendo proprio dei narcisi.

Influenza culturale

Il mito di Narciso è stato un'assidua fonte di ispirazione per gli artisti fino ai giorni nostri, anche ben prima che il poeta latino Ovidio includesse una versione del mito nel libro III delle sue Metamorfosi.

Pittura

Fra i principali pittori che si sono dedicati al mito di Narciso si possono citare: Caravaggio, Poussin, Lemoyne, Turner, Waterhouse, Dalì.

Letteratura

Il mito e la figura di Narciso sono stati ripresi in secoli più recenti da vari poeti, ad esempio Keats e Alfred Edward Housman. Il mito ha influenzato la cultura omoerotica vittoriana, attraverso lo studio di André Gide del mito (Il Trattato di Narciso, 1891) e l'opera di Oscar Wilde.

Fëdor Dostoevskij utilizza in alcune poesie e romanzi personaggi con un carattere simile a Narciso (come Jakov Petrovic Goljadkin ne Il sosia, 1846). Nel romanzo di Stendhal Il rosso e il nero (1830) il personaggio di Mathilde mostra un tipico carattere narcisista.

Nel 1930 la figura di Narciso è riproposta dallo scrittore tedesco Hermann Hesse col romanzo Narciso e Boccadoro, dove il personaggio è presentato in veste di monaco medievale.

Anche il libro di Paulo Coelho L'alchimista (1988) inizia con un riferimento a Narciso.

Seamus Heaney cita Narciso nel suo poema Personal Helicon dalla sua prima collezione Death of a Naturalist.

Musica


Sono state dedicate varie canzoni a questo tema: License to Kill di Bob Dylan si riferisce indirettamente a Narciso; il gruppo metal greco Septic Flesh ha inciso una canzone su Narciso (intitolata Narcissus) nel loro album Communion; il testo della canzone Reflection dei Tool è parzialmente incentrata sul mito di Narciso; altre canzoni inerenti al mito sono Narcissus di Alanis Morissette e The daffodil lament di The Cranberries.

Fra gli autori italiani si può citare:La lira di Narciso, tratta dall'album Bianco sporco dei Marlene Kuntz, Parole di burro tratta dall'album Stato di necessità di Carmen Consoli,Una storia d'amore e di vanità di Morgan (Da A ad A. Teoria delle catastrofi), Narciso tratta dall'album omonimo album dei Pierrot Lunaire, La Cantata del Fiore di Nicola Piovani.

Nasso (Polemone)

Nella mitologia greca, Nasso era il nome di uno dei figli di Polemone.

Dopo essersi mosso alla conquista di nuove terre giunse nell'isola Dia che prese poi il nome dall'eroe e fondò il suo regno. Ebbe un figlio, Leucippo che gli succedette al trono. Fu durante il regno del figlio di quest'ultimo, Smerdio, che Teseo e Arianna giunsero in qui luoghi.

Nasso
(mitologia)

Nella mitologia greca, Nasso era il nome di diversi personaggi di cui si raccono le gesta.

Con tale nome ritroviamo:

* Nasso figlio di Polemone, re dei Cari.
* Nasso figlio di Apollo e di Acacallide

Naste

Nella mitologia greca, Naste era il nome di uno dei capitani alleati dell'esercito troiano, nel corso dei combattimenti svolti nella guerra di Troia. Gli episodi principali di questa guerra vennero raccontati da Omero nell'Iliade.

Periodo

Le date fornite per la guerra da Eratostene, la collocano all'incirca tra il 1194-1184 a.C.

Gli studiosi moderni che sostengono la storicità della guerra di di Troia, sono propensi a datarla alla fine della tarda età del Bronzo, generalmente tra il 1300 e il 1180 a.C., ovvero tra la fine della fase urbanistica di Troia VI e la fine di quella indicata come Troia VIIa. Entrambe le fasi si conclusero con un disastroso incendio

Secondo Barry Strauss, ad esempio, essa può collocarsi luogo in un'epoca compresa tra il 1230 e il 1180 a.C., con una probabile preferenza per l'ultimo trentennio. Al 1180 a.C. circa viene datato l'incendio che colpì la città di Troia VIIa e le cui evidenze si devono agli scavi compiuti da Manfred Korfmann negli anni ottanta.

Naucrate


Naucrate era la madre di Icaro.

Era schiava di Minosse, re di Creta, e si era innamorata di Dedalo per la sua astuzia ed intelligenza, e ne era diventata sposa.

Naucrate personifica la regione occidentale del delta del Nilo. Quando i Greci stabilirono la loro prima colonia nell'Egitto (circa 50 anni prima che Solon andasse nell'Egitto), chiamarono Naucrati la loro prima colonia.

Di lei parla lo Pseudo-Apollodoro.

Nauplio 1

Principe di Argo ed eccellente navigatore, è detto figlio di Poseidone e della danaide Amimone; ebbe due figli: Nausimedonte "il Signore della nave", ed Eaco il Pilota. Secondo tardi mitografi partecipò alla spedizione degli Argonauti, e quando Tifi, il timoniere dell'Argo, si ammalò e morì presso il re Lico, nel paese dei Mariandini, sulle rive del Ponto Eusino, Nauplio si offrì di sostituirlo al timone, ma fu prescelto Anceo e si rivelò abilissimo. Fu fondatore della città di Nauplia. Da grande navigatore quale egli era inventò il modo di stabilire le rotte facendo riferimento all'Orsa Maggiore. Egli fu l'avo di Nauplio il Naufragatore, che soleva fare fracassare le navi sugli scogli attirandole con false segnalazioni di fuochi.

Nauplio 2

Re di Eubea o di Argo, e padre di Eace e di Palamede. Non si incontra in Omero, ma nei poeti ciclici e in altre fonti. Nauplio è l'eroe navigatore per eccellenza, e i re si servirono più volte di lui per mandare in esilio questo o quel membro della loro famiglia a loro sgradito. Così Aleo, re di Tegea e padre di Auge, gli affidò la giovane che era stata sedotta da Eracle, con il compito di farla annegare. Nauplio, seguendo le istruzioni ricevute, partì con Auge per Nauplia; ma sul monte Partenio Auge fu colta dalle doglie e diede alla luce il piccolo Telefo. Nauplio non aveva l'intenzione di affogare una principessa che poteva vendere per altissimo prezzo al mercato degli schiavi; cedette dunque Auge a certi mercanti che erano da poco giunti a Nauplia e che, a loro volta, la vendettero a Teutrante, re di Teutrania in Misia.
Catreo, per paura dell'oracolo che l'aveva avvertito ch'egli sarebbe morto per mano di uno dei suoi figli, sorprese un giorno Erope mentre accoglieva un suo amante nel palazzo; stava per gettarla in pasto ai pesci allorché, commutando la sentenza di morte dietro preghiera di Nauplio, la vendette come schiava a Nauplio stesso, per un prezzo nominale, assieme alla sorella Climene, che egli sospettava tramasse contro la sua vita; impose tuttavia come condizione che né l'una né l'altra tornassero mai più in Creta. Nauplio diede Erope ad Atreo, e sposò Climene da cui ebbe due figli, Eace e Palamede.
Più tardi, suo figlio Palamede si ricongiunse all'esercito greco contro Troia, ma ben presto, egli fu lapidato a morte come traditore. Quando Nauplio ebbe la dolorosa notizia, salpò per Troia e chiese soddisfazione; ma non ottenne nulla da Agamennone che era stato consigliato da Odisseo e godeva della fiducia di tutti i capi greci. Così Nauplio ritornò in Grecia col figlio superstite Eace e diffuse false voci tra le mogli degli assassini di Palamede, dicendo che i mariti, prossimi a ritornare da Troia, conducevano seco concubine che avrebbero sostituito le legittime spose. Alcune di codeste infelici si uccisero; altre commisero adulterio, come la moglie di Agamennone, Clitennestra, che si unì a Egisto; ed Egialea, moglie di Diomede, che si unì a Comete figlio di Stenelo; e Meda, moglie di Idomeneo, che si unì a un certo Leuco; ma costui un giorno trascinò Meda a la figlia di lei, Clisitira, fuori del palazzo e le uccise nel tempio dove si erano rifugiate.
Né fu questa la sola vendetta. Egli infatti, avvertito che una parte della flotta greca ritornando dall'assedio di Troia era stata dispersa da una tempesta presso le coste dell'Eubea, ordinò che nottetempo fossero accesi fuochi fra gli scogli delle sua isola, affinché le navi greche, ritenendoli lumi dei porti, vi urtassero contro. Di fatto le navi si spezzarono e gli equipaggi perirono. Ma la nave che portava Odisseo, autore dell'uccisione di Palamede, l'unica di cui Nauplio desiderava la rovina, si salvò, risospinta dalla tempesta in alto mare. Saputo ciò, Nauplio, disperato, si uccise. Altri dicono che Zeus volle punire questo crimine e Nauplio, attirato dalla luce di un falso faro, andò incontro alla morte molti anni dopo.

Nausicaa

Nausicaa è una figura della mitologia greca, figlia di Alcinoo (re dei Feaci) e di Arete.

Nel libro VI dell'Odissea si narra di una Nausicaa che, consigliata da Atena, gioca a palla presso una riva con le proprie ancelle.

D'un tratto un naufrago nudo esce da un cespuglio: Ulisse. Mentre le ancelle fuggono impaurite, Nausicaa accoglie con eleganza e cortesia lo sconosciuto che invoca la sua misericordia.

Gli regala delle vesti e gli suggerisce la via per la dimora del padre Alcinoo. Egli lo accoglie calorosamente e gli fornisce una nave per il ritorno in patria.

La vicenda, esemplificativa del concetto di ospitalità (xenia) presso gli antichi Greci, viene brevemente riassunta da Igino Astronomo nelle sue Fabulae.

Nausimedonte


Nella mitologia greca, Nausimedonte era il nome di uno dei figli di Nauplio e di Climene, la figlia di Catreo.

Fratello di Palamede e di Nausimedonte.

La sua fine è incerta anche se si narra di come Pilade, amico di Oreste, abbia ucciso tutti i figli di Nauplio e quindi, morto in precedenza Palamede, uccise i due rimanenti: Nausimedonte e Eace.

Nausinoo


Nella mitologia greca, Nausinoo è uno dei figli di Ulisse e Calipso, fratello di Nausitoo.

Nausitoo

Nausitoo è il nome di tre figure minori della mitologia greca.

* Il primo Nausitoo era figlio di Poseidone e di Peribea e padre di Alcinoo. Padre di Alcinoo e di Ressenore, egli stesso re dei Feaci condusse il suo popolo da Iperea a Scheria, per liberarlo dalle continue angherie dei vicini Ciclopi.
* Il secondo, a quanto attesta Esiodo nella sua Teogonia, era figlio di Odisseo e della ninfa Calipso.
* Il terzo era un pilota di Teseo.

Neera (Anfione)

Nella mitologia greca, Neera era il nome di una delle figlie di Anfione, il fratello gemello di Zeto, entrambi figli di Zeus e di Antiope e di Niobe, la figlia di Tantalo, sorella di Pelope.

Alcuni mitografi la chiamavano Etodea. Fu una delle sette figlie di Niobe (anche se alcuni mitografi dicono partorì 10 figlie). La sua morte fu dovuta alla sfrontatezza della madre, che osò vantarsi della sua prole con Latona che chiese vendetta ottenendola. Di tutte le figlie solo una sopravvisse alla furia di Apollo e Artemide, Clori.

Neera (Pereo)

Nella mitologia greca, Neera era il nome di una delle figlie di Pereo.

Di lei si racconta di come dall'unione con Aleo nacquero i suoi 3 figli: Auge, Cefeo e Licurgo.

Auge fu una sacerdotessa di Atena ed ebbe un figlio da Eracle
Pereo, fu re di Tegea e uno degli argonauti
Licurgo, fu re dell'Arcadia


Neera
(mitologia)

Nella mitologia greca, Neera era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Si ritrovasono con tal nome:

* Neera, (o Etodea) figlia di Anfione e di Niobe
* Neera, figlia di Pereo
* Neera, la moglie di Strimone, da cui ebbe Evadne.[1]

Edited by demon quaid - 30/12/2014, 14:26
 
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view post Posted on 7/10/2010, 08:03     +1   -1
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Nefele

Nella mitologia greca, Nefele, era il nome di vari personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Nefele, la nuvola magica sposa di Issione.
* Nefele, Dea delle nubi, figlia di Zeus. Sposò Atamante.

Nefele (Issione)

Nella mitologia greca, Nefele è il nome attribuito ad una donna creata da una nuvola da Zeus (Nefele in greco significa infatti nuvola), moglie di Issione re dei Lapiti. Non va confusa con un'altra Nefele, che era la vera e propria dea delle nubi.

La storia racconta di Issione che prima di sposare la sua promessa sposa Dia uccise il padre di lei Deioneo. Per un omicidio del genere doveva essere purificato e solo Zeus acconsentì a farlo. L'uomo non fu grato di tale gesto, anzi provò a violentare la moglie del padre degli dei Era. Per salvarla Zeus creò una donna da una nuvola, dandole le sembianze di Era; a questa donna viene attribuito il nome Nefele.

Altri autori come Apollodoro raccontano che ebbe due figli da Nefele: Centauro e Piritoo.

Si racconta che da tale unione nacque anche un altro centauro, tale Folo.

Nefele (Zeus)

Nella mitologia greca, Nefele era il nome di una delle figlie di Zeus: era la Dea delle nubi. Non va confusa con un altro personaggio della mitologia greca, una donna creata da una nuvola a cui viene attribuito il nome Nefele, che letteralmente significa appunto nuvola.
La dea Nefele. Affresco dal muro presente nella Casa dei Vettii in Pompei.


Sposò Atamante. Ebbe due figli, Frisso ed Elle, ma il marito in seguito l'abbandonò per Ino. Fu lei ad inviare l'ariete dal vello d'oro per salvare il figlio dal piano architettato dalla seconda moglie. L'essere, chiamato Crisomallo e dono del dio Ermes, fu l'inizio dell'impresa che Giasone compierà con gli Argonauti.

Neleo 1

Personaggio mitico dell'antica Grecia, sulla cui nascita si elaborarono tradizioni leggendarie diverse. Si narra nell'Odissea che Tiro, figlia di Salmoneo, vagando sulle rive dell'Enipeo si innamorasse di questo dio fluviale, ma fosse poi posseduta da Poseidone che di Enipeo aveva preso il sembiante. Ne nacquero due figli, dei quali il dio predisse che sarebbero diventati potenti e felici. Erano appena nati quando la madre, non avendo il coraggio di affrontare la collera della matrigna Sidero, espose i due gemelli su di un monte. Un guardiano di cavalli, che passò per caso accanto ai neonati, li portò a casa sua, ma non potè impedire che una delle sue giumente colpisse il mggiore dei gemelli con un calcio al viso. La moglie del guardiano di cavalli si occupò dei piccoli; fece allattare il maggiore dalla giumenta che lo aveva sfregiato e lo chiamò Pelia per via della cicatrice (la parola greca pelion significa "livido"); l'altro, chiamato Neleo, prese la sua natura selvaggia dalla cagna che gli fu nutrice. Non appena Neleo e Pelia seppero chi fosse la loro vera madre e quali maltrattamenti avesse dovuto subire dalla matrigna, decisero di vendicarla. Sidero si rifugiò nel tempio di Era, ma Pelia la colpì a morte mentre essa si aggrappava all'altare. Questo fu il primo dei molti oltraggi fatti da Pelia alla dea. Tiro sposò in seguito suo zio Creteo, fondatore di Iolco, e a lui generò Esone, padre di Giasone l'Argonauta; Creteo adottò anche Pelia e Neleo come suoi figli. Dopo la morte di Creteo, i gemelli vennero alle mani. Pelia si impadronì del trono di Iolco, esiliò Neleo e tenne Esone prigioniero nel palazzo. Neleo guidò i nipoti di Creteo, Melampo e Biante, con un gruppo di Achei, Ftioti ed Eoli, verso la Messenia, dove scacciò i Lelegi da Pilo e portò la città a un tale splendore che ne viene ora ricordato come il fondatore. Sposò Cloride, nipote di Giasone, ed ebbe secondo una tradizione tre figli, secondo un'altra dodici figli e una figlia, Pero. Il regno di Neleo fu funestato dalla guerra che gli mosse Eracle, perché egli non aveva voluto purificarlo dopo l'uccisione di Ifito, figlio di Eurito. Durante la lunga guerra caddero tutti i figli di Neleo: soltanto Nestore sfuggì al massacro, perché era assente. Secondo alcuni Neleo fu ucciso da Eracle; secondo Pausania avrebbe fondato ancora i giuochi istmici e sarebbe stato sepolto a Corinto.

Neleo 2

La tradizione ricorda Neleo figlio di Codro, che fu l'ultimo re di Atene. Dopo la morte del padre fu scacciato dall'Attica dal fratello Medonte, il quale assunse il titolo di arconte a vita. Neleo allora si recò nella Ionia conducendo una colonia di Ioni, onde gli fu attribuita la fondazione di parecchie colonie a cominciare da Mileto. Neleo in età assai antica aveva culto in Atene e questo culto era comune fra gli Ioni, sicché molte famiglie regnanti di numerose città ioniche riportavano a Neleo la loro origine. Un decreto ateniese del 418-417 a.C. stabiliva norme per il restauro del santuario di Codro, Neleo e Basile; ma in realtà si trattava di un antico thèmenos di Neleo lo Spietato, una divinità infernale. La figura di Neleo si venne oscurando nel tempo; poiché gli Ioni d'Asia riguardavano l'Attica come loro madrepatria, si favoleggiò che Neleo o almeno i suoi discendenti dovevano aver regnato in Atene.

Nemesi

Dea della giustizia e della vendetta, punizione anche degli amanti crudeli. In Omero Nemesi non è ancora personificata; è nominata in Esiodo, e la Teogonia la dice figlia della Notte e flagello dei mortali; con Pindaro e coi tragici diventa apportatrice di sventura e dispensatrice di guai a coloro che conseguono troppa felicità. Ma diventa, più che una vera dea, una potenza divina astratta, tutrice dell'ordine e dell'equilibrio dell'universo, che assegna all'uomo la sua sorte, cioè la felicità o la sventura secondo la giustizia e il merito, ripristinando così l'ordine morale quando viene turbato.
Una leggenda la presenta come una vergine amata da Zeus e che fugge l'inseguimento del dio. Taluni dicono che Zeus un giorno si innamorò di Nemesi e la inseguì per terra e per mare. Benché essa mutasse continuamente forma, egli riuscì infine a violarla assumendo l'aspetto di un cigno, e dall'uovo che Nemesi depose nacque Elena di Troia. Altri narrano che quando Zeus si innamorò di Nemesi, costei si tuffò nell'acqua e divenne un pesce; Zeus la inseguì trasformandosi in castoro. Nemesi balzò allora sulla riva e continuò a trasformarsi in questo o in quell'animale selvatico, ma non riuscì a liberarsi dal dio che subito assumeva la forma di animali ancor più forti e agili. Infine essa si alzò in volo in sembianza d'oca selvatica, ma Zeus divenne cigno e, trionfante, la coprì a Ramnunte, in Attica. Nemesi scrollò rassegnata le penne e si recò a Sparta, dove Leda, moglie di Tindareo, trovò un uovo in una palude, lo portò a casa e lo ripose in un cofano: e quando l'uovo si dischiuse nacque Elena. Altri ancora dicono che Zeus, fingendo di essere un cigno inseguito da un'aquila, si rifugiò nel grembo di Nemesi e la violentò; a tempo debito Nemesi depose un uovo che Ermete mise tra le cosce di Leda, mentre sedeva su uno sgabello, a gambe larghe. Leda diede così alla luce Elena e Zeus pose nel cielo l'immagine del Cigno e dell'Aquila a ricordo della sua astuzia.
Secondo la versione più comune, tuttavia, Zeus in veste di cigno si unì a Leda stessa sulle rive del fiume Eurota; poi Leda depose un uovo dal quale nacquero Elena, Castore e Polideuce, e fu deificata in seguito col nome di dea Nemesi. Il marito di Leda, Tindareo, si giacque con lei nel corso della medesima notte, e benché taluni sostengano che tutte e tre le creature uscite dall'uovo (e anche Clitennestra, nata, come Elena, da un secondo uovo) fossero figlie di Zeus, altri dicono che soltanto Elena fosse di origine divina, mentre Castore e Polideuce erano figli di Tindareo; altri amcora, che Castore e Clitennestra erano figli di Tindareo, ed Elena e Polideuce figli di Zeus.
Centro principale del suo culto fu Ramnunte nell'Attica, dove era venerata come figlia di Oceano e come madre di Elena e di Eretteo. Nemesi porta un ramo di melo in mano e una ruota nell'altra, e in capo una corona adorna di cervi; uno scudiscio pende dalla sua cintura, e la sua bellezza e paragonabile a quella di Afrodite. Le feste Nemesie erano celebrate ogni anno ad Atene il 5 Boedromione (settembre) presso Maratona in riva al mare.

Neottolemo (mitologia)

Neottolemo, è un personaggio della mitologia greca, figlio di Achille e della principessa Deidamia, il quale partecipò come il padre alla guerra di Troia.

Achille portava allora il soprannome di Pirra, "la Fulva", poiché la madre Teti, dopo aver saputo da un oracolo che suo figlio sarebbe morto davanti a Troia, immaginò di nascondere il giovane rivestendolo di abiti femminili e facendolo vivere alla corte di Licomede, re di Sciro, dove visse per nove anni con le figlie del re, fra cui Deidamia, e, proprio per il colore dei suoi capelli di un biondo ardente, prese questo appellativo alla corte reale, che poi ereditò Neottolemo prendendo l'epiteto di Pirro. In ogni caso è riconosciuto con due nomi, Neottolemo e Pirro, usati indistintamente.

Si raccontava che la madre di Achille, Teti, un giorno venne a conoscenza di una profezia dell’indovino Calcante, che annunciava una disfatta dei Greci da parte dei Troiani se suo figlio non avesse partecipato alla guerra che stava per scoppiare tra di loro; conoscendo il destino di Achille, destinato a morire in guerra proprio a Troia e in giovane età, si apprestò a nasconderlo agli Achei; lo sottrasse alle cure del centauro Chirone e lo condusse a Sciro, dove regnava il re Licomede, che aveva numerose figlie. La Nereide svelò al re le sue preoccupazioni e fece indossare al figlio degli abiti femminili; inoltre convinse Licomede a cambiare nome al figlio, che da allora fu soprannominato Cercisera o Issa. Vivendo per nove anni con le figlie di Licomede, Achille veniva però chiamato soprattutto Pirra, “la Fulva”, proprio per il colore dei suoi capelli di un biondo ardente, nome che ereditò, appunto, proprio suo figlio Neottolemo.

Durante la sua lunga permanenza a Sciro, Achille trascorse molto tempo con una figlia del re, Deidamia, con la quale giacque segretamente. La rese infine incinta di un figlio, Neottolemo, nato, secondo la tradizione, proprio l’anno della partenza dell’eroe per Troia. Venne alla luce, infatti, proprio durante il ritorno di Achille a Sciro, dopo la sconfitta della Misia e il ferimento di Telefo. Una tradizione diversa raccontava come Pirro non fosse in realtà figlio di Deidamia quanto di Ifigenia[3]. Quando la vergine stava per essere sacrificata sull’altare alla dea Artemide, Clitennestra, madre della giovane, pregò tra le lacrime Achille di riportargli la figlia e salvarla dal sacrificio[4]. L’eroe intervenne, salvando la vergine e conducendola in Scizia, dove la sposò e le diede come figlio Neottolemo.

Imprese a Troia

Nato dopo la partenza del padre per la guerra di Troia, Neottolemo fu allevato dal nonno. Dopo la morte di Achille e la cattura dell'indovino Eleno, gli Achei seppero da quest'ultimo che la città non sarebbe mai caduta se Neottolemo non fosse venuto a combattere in mezzo a loro. Un'altra condizione era anche il possesso dell'arco e delle frecce di Eracle. Inviarono dunque un'ambasciata, composta da Ulisse , Fenice e Diomede, a cercare Neottolemo a Sciro. Licomede s'oppose alla partenza del giovane; ma questi, fedele alla tradizione paterna, seguì gli ambasciatori greci. Sulla strada di Troia, li accompagnò a Lemno, dove si trovava Filottete, ammalato ed incapace di risolvere la situazione nella quale lo aveva lasciato Agamennone dietro consiglio di Ulisse. Ma Filottete possedeva le armi di Eracle, e Neottolemo, insieme ad Ulisse e Fenice, lo convince a venire a Troia. Davanti a Troia, citato nell'Eneide, dove è perfino protagonista nel II canto, Neottolemo compì numerose imprese: uccise in particolare Euripilo, figlio di Telefo e, per la gioia, inventò una danza guerriera che portava il suo nome, la pirrica.

Neottolemo uccise numerosi Troiani in battaglia:

* Euripilo, che condusse un grande esercito di Misi per aiutare i Troiani contro gli invasori Achei.
* Agenore, eroe troiano, il quale si trovava nello stesso gruppo di Paride ed Alcatoo ed era figlio di Antenore.
* Polibo, un altro figlio di Antenore, fratello di Agenore, venne anch'esso ucciso dall'invincibile guerriero.
* Alcidamante e Melaneo, figlio di Alessinomo, che vissero a Cauno, una città della Licia, nel sud est dell'Asia Minore.
* Antifono, Polite e Pammone, figli di Priamo, vennero anch'essi uccisi dall'eroe, la notte della caduta di Troia.
* Astinoo, figlio di Protiaone.
* Il Re Priamo supplice all'altare


Figura tra gli eroi che entrarono nel Cavallo di legno e conquistarono la città. Durante i combattimenti decisivi, uccise Elaso, Astinoo e Polite, ferì Corebo e Agenore, figlio di Antenore, poi uccise lo stesso Priamo che si era rifugiato presso un altare, e fece precipitare il piccolo Astianatte dall'alto di una torre: così Ettore era stato ucciso da Achille, e suo figlio dal figlio di Achille. Nel bottino di guerra, Neottolemo ottenne Andromaca, vedova di Ettore. Per onorare la memoria del padre,immolò sulla sua tomba Polissena. A partire dal ritorno da Troia, le versioni cominciano ad essere dissimili: nella tradizione omerica, Neottolemo torna in Grecia con Menelao, il quale gli diede in sposa la figlia Ermione, e si trasferì in Ftiotide. Altre versioni dicono che si trasferì in Epiro, dove ebbe da Andromaca i figli Molosso, Pielo e Pergamo, e che venne ucciso da Oreste perché aveva rapito Ermione, sua futura sposa e non di Neottolemo. Un'altra versione ancora dice che venne ucciso dai sacerdoti di Delfi, fra cui Machereo, sotto responso della Pizia: Apollo prolungava la sua collera contro Achille fino ai suoi discendenti.

Nereidi

Le antiche tradizioni elleniche davano l'impero dell'Oceano a Nereo e a Doride, e la inesauribile fecondità del mare era simboleggiata da una ricca famiglia di ninfe marine, le Nereidi o Doridi; Esiodo ne nomina 50, Omero soltanto 34; altri mitografi tardivi parlano anche di 100 ninfe marine, la prima delle quali era Anfitrite, diretta emanazione di Doride. Esse personificavano i movimenti della onde, il loro colore, i vari aspetti della vita del mare; così quella azzurra, Glauco; la verdeggiante, Talia; l'ondeggiante, Cimodoce; la incalzante, Dinamene. Soltanto alcune di esse ebbero una leggenda particolare, come Anfitrite, sposa di Poseidone, Teti madre di Achille, Orizia rapita da Borea, Galatea amata dal ciclope Polifemo. Abitavano in fondo al mare, nel palazzo del padre Nereo, sedute su troni d'oro. Occupavano il tempo a filare, a tessere e a cantare, ma talvolta apparivano alla superficie delle onde, cavalcando tritoni o altri mostri marini; erano divinità benefiche alle quali i marinai offrivano sacrifici.
Il più delle volte, intervengono nelle leggende come spettatrici, raramente come attrici. Offese da Cassiopea che si era un giorno vantata dicendo che la bellezza di sua figlia Andromeda superava quella delle Nereidi, si lagnarono di quell'insulto invocando l'aiuto del loro protettore Poseidone che pretese il sacrificio di Andromeda. Ma poi le Nereidi furono presenti alla liberazione di Andromeda da parte di Perseo. Teti con le Nereidi guidò gli Argonauti oltre le infuocate Simplegadi o Rocce Vaganti, che sono fermamente ancorate al fondo marino. Alle nozze di Peleo e Teti, celebrate dinanzi alla grotta di Chirone sul monte Pelio, le cinquanta Nereidi intrecciarono una danza a spirale sulla bianca sabbia. Indicarono a Eracle come ottenere da Nereo le informazioni necessarie sulla via del paese delle Esperidi. Un gruppo di Nereidi giunse a Troia per piangere con Teti: si disposero in cerchio attorno al cadavere di Achille, mentre le nove Muse intonavano il lamento che durò diciassette giorni e diciassette notti. Al diciottesino giorno il corpo di Achille fu bruciato sul rogo e le sue ceneri, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto, dono di nozze di Dioniso a Teti.
Il culto delle Nereidi fu un tempo diffusissimo lungo le coste del Mediterraneo, in Tessaglia, in Beozia, a Corinto, a Delo, a Lesbo, a Corcira; ma perdette parte della sua importanza col prevalere di quello di Poseidone. I nomi di molte Nereidi ci sono conservati dai poeti e dalle iscrizioni vascolari. Gli artisti le rappresentarono spesso sotto le parvenze di vaghe giovinette dalla chioma adorna di perle, sopra delfini o ippocampi, talvolta come esseri fantastici, metà donna e metà pesce.

Nereo

Nella Teogonia di Esiodo è detto figlio di Ponto e di Gea, e fratello di Forcio, Taumante, Euribea e Ceto. Era la più gradita e la più celebrata fra le divinità marine; personificava il mare nei suoi migliori aspetti, più lieti, più pittoreschi e più utili agli uomini. Omero, pur non nominandolo mai chiaramente, lo ricorda qualche vlta come nume di avanzata vecchiezza e padre delle ninfe del mare che dal suo nome si chiamavano Nereidi. Il suo culto era localizzato spesso nelle isole o sulle coste o in prossimità delle foci dei fiumi. I Greci immaginavano che Nereo abitasse, insieme con la sposa Doride e con le figlie in fondo al mare Egeo, e lo ricordavano per il suo spirito profetico e per la sua capacità di tramutarsi in molte forme diverse. A causa di queste sue virtù lo troviamo introdotto in particolare nelle leggende di Eracle e di Paride. Si raccontava che, quando Eracle si recò da lui per chiedergli in qual modo avrebbe potuto impadronirsi dei pomi d'oro delle Esperidi, Nereo avesse cercato di evitare di rispondergli assumendo l'aspetto di vari animali. Quando però l'eroe agguantò il canuto dio del mare e senza lasciarselo sfuggire di mano nonostante le sue continue proteiche metamorfosi, lo costrinse a rivelargli il modo di impossessarsi delle mele d'oro, Nereo acconsentì a dargli risposta e gli consigliò di non cogliere le mele con le proprie mani, ma di servirsi di Atlante, alleggerendolo nel frattempo dell'enorne peso che gravava sulle sue spalle. Invce a Paride, stando a una tradizione conservataci da Orazio, avrebbe spontaneamente predetta la triste sorte che lo attendeva.
Nelle pitture vascolari è spesso rappresentato come un gran vecchio coperto di alghe e di giunchi marini.


Nerito


Nerito è un personaggio della mitologia greca. Secondo alcune fonti era l'unico figlio maschio di Nereo e di Doride e quindi fratello delle cinquanta Nereidi. Dalle sorelle e dai genitori aveva ereditato un bellissimo aspetto, tanto da far innamorare Afrodite nel periodo in cui la dea viveva nel mare. Quando Afrodite dovette salire sull'Olimpo, volle portare con sè Nerito, ma il giovane preferì restare con il padre Nereo e le sorelle, le Nereidi. La dea allora lo trasformò in una conchiglia. Tale metamorfosi è a volte attribuita alla gelosia che Elios (il Sole) provava per la rapidità con cui Nerite, amato da Poseidone, seguiva il dio tra le onde.

Nesea


Nesea è un personaggio della mitologia greca. È una delle Nereidi, ninfe del mare figlie di Nereo e protettrici dei naviganti. Fu la nutrice di Aristeo e compagna di sua madre, la ninfa Cirene.

Nesso (mitologia)

Il Centauro Nesso figlio di Issione e di Nefele, è una delle figure mitologiche del ciclo di Ercole o Eracle.

Nesso viveva sulle rive del fiume Eveno e usava traghettare i viaggiatori sull'altra sponda. Un giorno Eracle si trovò a passare il fiume assieme alla sua seconda moglie Deianira. Nesso si rifiutò di traghettare i due nello stesso momento, cosicché Eracle guadò il fiume da solo.
Quando Nesso si trovò ad avere in groppa la sola Deianira, tentò di rapirla dandosi alla fuga, ma fu ucciso da una freccia di Eracle. Nell'agonia, Nesso rivelò a Deianira che se ella avesse raccolto il suo sangue e ne avesse intriso una veste avrebbe potuto contare sull'amore eterno di Eracle: infatti ogni volta che Eracle avesse mostrato interesse verso un'altra donna sarebbe bastato che l'uomo indossasse quella veste per ritornare devoto a Deianira; l'imprudente donna seguì il consiglio.

Anni dopo, dopo la vittoriosa spedizione contro Ecalia, il vincitore Eracle che portava con sé la bella Iole, figlia del defunto re di Ecalia, si fermò a qualche distanza da Trachis e inviò Lica, un suo compagno, alla moglie Deianira per prendere una veste bianca per sacrificare. Lica raccontò tutto a Deianira, e questa, temendo la bellezza di Iole, consegnò a Lica la camicia di Nesso. Appena Eracle la indossò fu colto da terribili dolori, in quanto il sangue del centauro era contaminato dal veleno della freccia che lo aveva ucciso, intinta anni prima nel sangue dell' Idra di Lerna. Eracle, impazzito dal dolore, uccise Lica e ordinò di costruire una pira funebre su cui si fece bruciare. Deianira, impazzita per il rimorso, si impiccò.

Nestore
(mitologia)

Nestore è una figura della mitologia greca.

Figlio del re di Pilo Neleo e di Cloride, divenne re dopo l'uccisione del padre e dei fratelli da parte di Ercole. Famoso per essere il più vecchio e più saggio combattente sotto le mura di Troia. Ancora oggi molti modi di dire lo citano come sinonimo di più vecchio e saggio. In gioventù Nestore fu un valente guerriero e partecipò a molte imprese importanti, tra le quali la lotta dei Lapiti contro i centauri, la caccia al cinghiale di Calidone sotto la guida di Meleagro e la ricerca del vello d'oro con gli Argonauti.
Salito al potere a Pilo, Nestore sposò Anassibia (o Euridice, a seconda delle versioni), la quale gli diede numerosi figli: Pisidice, Policasta, Perseo, Stratico, Areto, Echefrone, Pisistrato, Antiloco e Trasimede.

Benché già anziano, quando iniziò la guerra di Troia partì con gli altri eroi greci per combattere contro i Troiani. Avendo governato per generazioni, godeva fama di uomo saggio e giusto, e dispensò consigli ai Greci durante il conflitto. Dopo la caduta di Troia, Nestore ritornò a Pilo dove ospitò Telemaco quando il giovane vi si recò per informarsi sul destino di suo padre Ulisse.

Il nome di Nestore ricorre anche in un'iscrizione poetica incisa su una coppa detta appunto di Nestore, il più antico documento di lingua greca, coevo ai poemi omerici.

Nettuno

Antichissima divinità romana identificata piuttosto tardi col greco Poseidone, figlio di Saturno e di Rea.
Il nome di Nettuno è di assai incerta etimologia. L'antichità del culto di Nettuno è documentata dalla festa dei Neptunalia che ricorre nell'antichissimo feriale di Numa Pompilio il 23 luglio; inoltre è provata dalla sua associazione nel culto con Salacia, divinità femminile secondaria romana, che doveva avere lo stesso significato originario di patrona delle fonti vive, e della quale poi si perdette il ricordo.
In origine Nettuno non fu un dio del mare come Poseidone, né figura fino all'ultimo secolo a. C. tra le divinità maggiori di Roma. Nettuno ci appare a Roma come un dio delle acque piovane originate da Giove, cioè le sorgenti, concezione corrispondente alla mentalità di una popolazione rurale che per lungo tempo, nei periodi più antichi della sua storia, non aveva avuto rapporto col mare. A questo carattere di Nettuno corrispondevano le Neptunalie anche col loro carattere agreste, celebrate come erano all'aperto con allegri banchetti o in capanne improvvisate con rami e frasche dopo la raccolta del grano. Il culto di Nettuno in Roma aveva proporzioni modeste. Sono ricordati due lettisterni in suo onore, uno del 395 a. C. in cui Nettuno venne onorato per la prima volta e l'altro del 217, i quali poco influirono sulla coscienza popolare e sul culto del dio. L'istituzione invece a Delo da parte degli Italici del collegio dei Neptunales o Posidoniasti è prova dello sviluppo del suo culto dalla metà del II secolo avanti Cristo. Nell'età repubblicana romana un solo tempio era stato eretto a Nettuno presso il Circo Flaminio, di cui ignoriamo l'anno di fondazione, mentre è ricordato nei Fasti al 1° dicembre il dies natalis.


Nicea
(mitologia)

Nicea è un personaggio della mitologia greca. Era figlia della divinità fluviale Sangario e di Cibele. Amava la caccia, era di bell'aspetto ma era anche molto superba, tanto da uccidere il pastore Imno che era innamorato di lei. Respinse anche l'amore di Dioniso, che però riuscì a possederla dopo averla ubriacata con il vino. Tornata in se', Nicea si uccise per il disonore e la vergogna.

Esiste un'altra versione del mito secondo cui sarebbe stata la madre dei Satiri.

Nicippe

Nella mitologia greca, Nicippe o Nicippa era una delle figlie di Pelope e Ippodamia.

Nicippe venne data in sposa a Stenelo, con cui ebbe diversi figli. Prima nacque Alcione, in seguito Medusa e poi Euristeo che il destino, sotto forma di Era moglie di Zeus, volle re di Micene. In seguito fu proprio l'ultimo figlio della coppia che ordinerà ad Eracle di effettuare le famose dodici fatiche.

Nicostrato

Nella mitologia greca, Nicostrato era il nome dell'eroe greco figlio di Menelao e di Elena o di Pieride.

Nicostrato è nato probabilmente dopo che la coppia reale tornò dalla battaglia di Troia, visto che i racconti del mito arrivati fino a noi indicavano che i due avessero un'unica figlia, Ermione, mentre Megapente era nato da un amore furtivo di Menelao. Gli altri figli della coppia si chiamano Eziola, Marafio e Plistene.

Nikaia (mitologia)

Nikaia è una figura della mitologia greca.

Fanciulla cacciatrice, uccise il mandriano Hymnos, trapassandogli la gola con una freccia, poiché questi stava dichiarandole il suo amore.

Fu posseduta nel sonno da Dioniso, dopo che il dio le aveva fatto bere del vino. Dall'unione nacque la figlia Telete.

Nike

Dea della vittoria presso i Greci. Secondo Esiodo era figlia del titano Pallante e di Stige, sorella di Zelos (Emulazione), di Cratos (Forza) e di Bia (Violenza). Nella battaglia tra gli dèi e i Titani abbandonò le schiere di suo padre. Guidò Eracle all'Olimpo. Ma la "vittoria dai dolci doni", per lo spirito greco l'aspirazione più nobile e affascinante dell'uomo, non poteva non diventare figlia di Zeus, figura parallela dell'altra sua figlia, Atena. Le si tributavano onori dopo ogni vittoria sia che fossero vittorie in guerra che in competizioni atletiche. Ad Atene fu in parte assimilata dalla dea Atena, infatti gli ateniesi adoravano una Atena Nice, questa però, non aveva le ali.
Particolare importanza ebbe il culto della Vittoria nella romanità. In origine non era che un attributo di Juppiter victor; staccatosi come divinità indipendente, il suo culto ebbe grande sviluppo nella tarda repubblica a opera di capi politici e dittatori che la assunsero come personificazione a un tempo delle loro vittorie e del favore divino: si ebbero così la Victoria Sullana, la Victoria Caesaris, e soprattutto la Victoria Augusta, componente essenziale dell'ideologia politica a base dell'impero.
Nike veniva raffigurata come giovane donna dalle grandi ali di aquila, con una corona d'ulivo sul capo e con un ramo di palma nella mano. Le sue statue più famose sono la Nike di Samotracia e la Nike di Peonio. La prima è un'insigne opera marmorea trovata nell'isola di Samotracia; era il dono votivo per la vittoria navale che Demetrio Poliorcete riportò su Tolomeo d'Egitto presso Salamina di Cipro nel 306 a. C.. La seconda, opera dello scultore Peonio, era un dono votivo dedicato dai Messeni e dai Naupazi dopo la battaglia di Sfacteria (425 a.C.).

Nilo (mitologia)

Nilo, nella mitologia greca, era il dio che personificava l'omonimo fiume, figlio di Oceano e Teti. Fu il padre di numerosi figli, fra cui Menfi che, insieme ad Epafo, re dell'Egitto, diede alla luce Libia. Libia, a sua volta, generò a Poseidone i gemelli Belo e Agenore i quali sposarono (presumibilmente) le giovani figlie di Nilo, rispettivamente di nome Anchinoe e Telefassa.

Fra gli altri figli di Nilo si ricordano Chione (figlia di Calliroe),[4] Busiris e (forse) le ninfe Caliadne e Polisso. Nonostante rappresentasse il più importante fiume del Nordafrica, l'importanza del dio Nilo, nella mitologia greca, fu assai limitato.

Ninfa
(mitologia)

La mitologia greca annovera molte ninfe (dal greco antico νύμφη, "giovane fanciulla"), semidivinità della natura. Vi sono molti miti su di esse, questi le associano spesso ai satiri, da cui la tendenza sessuale della ninfomania.

Niobe 1

Figlia di Tantalo, re della Lidia o della Frigia, e perciò sorella di Pelope. La madre sarebbe stata Erope, o Dione, o Eurianassa. Sposò Anfione re di Tebe e gli generò numerosi figli. Il loro numero varia secondo gli autori. Nella tradizione omerica si parla di dodici figli, sei maschi e sei femmine; secondo Esiodo ve ne sono venti, dieci figli e dieci figlie; Erodoto ne conta soltanto quattro; ma secondo la versione seguita da Euripide e da Apollodoro, e che appare la più logica, Niobe ebbe sette figli e sette figlie. Felice e fiera dei suoi figli, Niobe osò un giorno parlare sprezzantemente di Latona, già sua amica di fanciullezza e sua rivale, la quale ne aveva solo due, Apollo e Artemide. La dea la udì, si sentì offesa e chiese ad Apollo e ad Artemide di punire la presuntuosa Niobe. Apollo trovò i ragazzi che cacciavano sul monte Citerone e li uccise a uno a uno, risparmiando il solo Amicla, che aveva saggiamente innalzato una preghiera propiziatoria a Latona. Artemide trovò le fanciulle intente a filare in una sala del palazzo e con una manciata di frecce le sterminò tutte, salvo Melibea, che aveva imitato l'esempio di Amicla. I due sopravvissuti si affrettarono a innalzare un tempio a Latona, benché Melibea si fosse così sbiancata in volto per la paura che portava ancora il soprannome di Cloride quando sposò Neleo alcuni anni dopo. Ma altri dicono che nessuno dei figli di Niobe scampò alla strage e che anche suo marito Anfione fu ucciso da Apollo.
Per nove giorni e nove notti Niobe pianse i suoi morti e non trovò nessuno che li seppellisse, poiché Zeus aveva tramutato tutti i Tebani in pietre, a eccezione di Niobe. Al decimo giorno, gli dèi stessi si degnarono di guidare il funerale e di seppellirli personalmente. Niobe si rifugiò oltremare sul monte Sipilo, dimora del padre suo Tantalo, dove Zeus, mosso da pietà, la tramutò in una statua, che ancor oggi versa copiose lacrime all'inizio dell'estate.
Tutti gli uomini piansero Anfione, deplorando che la sua stirpe si fosse estinta, ma nessuno pianse Niobe, salvo suo fratello Pelope, orgoglioso quanto lei.
Esiste un'altra leggenda di Niobe, la quale spiega diversamente l'uccisione dei suoi figli. Qui, Niobe era figlia d'Assaone, che l'aveva sposata a un Assiro chiamato Filotto: questi fu ucciso durante una caccia, e Assaone si innamorò della figlia. Niobe si rifiutò di concedersi a lui; allora Assaone invitò i suoi nipoti (che erano in venti), e, durante il pranzo, appiccò il fuoco al palazzo. Furono tutti bruciati. Assaone, assalito dal rimorso si uccise. Niobe, o fu trasformata in pietra, oppure si gettò dall'alto d'una roccia.

Niobe 2

Un'argiva, figlia di Foroneo e della ninfa Teledice (oppure Cerdo, o Peito). Fu la prima fra le mortali ad essere amata da Zeus e generò Argo, re di Foronea, che venne poi chiamata Argo. Niobe, figlia del primo uomo, è la prima donna mortale, la "madre dei viventi".

Nireo

Nella mitologia greca, Nireo è il nome di due personaggi mitologici.

Questo nome è riferito alle seguenti figure mitologiche:

* Nireo, capo acheo al comando di una flotta durante la guerra di Troia.
* Nireo, abitante della Sicilia, originario di Catania.

Nireo, comandante greco

Nireo era un giovane capo greco di umili origini, dato che era figlio di Caropo e della ninfa Aglea, e governava sull'isola di Sime. Era un giovane di straordinaria avvenenza; Omero stesso spiega come per bellezza fosse secondo solo ad Achille tra i guerrieri greci che lottarono nei combattimenti contro Troia.

Insieme a numerosi altri pretendenti, desiderò sposare Elena, la quale tuttavia fu assegnata per un sorteggio a Menelao. Legato per un giuramento quando la donna fu rapita da Paride, si unì alla flotta achea con un ausilio di solo tre navigli come ci vienne raccontato nell'Iliade nel Catalogo della Navi.

Durante lo sbarco in Misia, gli Achei si scontrarono col re del posto, Telefo, figlio di Eracle, il quale aizzò il suo esercito contro gli invasori. La stessa moglie di Telefo, Iera, Astioca o Laodice, la quale secondo alcuni era una figlia di Priamo, riunì un esercito di donne guerriere e aiutò il marito nel respingere gli assalitori. Durante questo scontro fu uccisa proprio da Nireo, mentre Telefo veniva gravemente ferito con una lancia da Achille.

Secondo una tradizione, Nireo venne ucciso la notte della caduta di Troia da Euripilo, figlio di Telefo, il quale era giunto in aiuto di Priamo dalla Misia, insieme ai suoi uomini. I Greci lo seppellirono con onore e si dice che la sua tomba si trovi ancora in Troade. Una seconda versione sostiene che Nireo non morì ucciso in questa guerra ma che avesse accompagnato l'amico Toante nei suoi viaggi, dopo la presa di Troia.

Nireo, abitante di Catania


Nireo era un abitante di Catania il quale, deluso per un abbandono amoroso, si gettò giù da un precipizio, da una roccia di Leucade. Alcuni pescatori, tendendo le reti, ritrovarono il giovane e riuscirono a stento a salvarlo dalla morte. Insieme a lui, nella rete da pesca, avevano trovato anche uno scrigno pieno d'oro.

Ripresosi, Nireo reclamò furente questo dono, che apparteneva di diritto a lui dato che era stato trovato nella sua stessa rete. Ma una notte, Apollo gli apparve in sogno, consigliandogli di non ricercare un tesoro che non gli apparteneva, ma di accontentarsi della vita che gli era stata salvata.

Il mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute.

Niso 1

Re di Megara, figlio di Pandione e di Pilia, fratello di Egeo, Pallade e Lico.
Dopo la morte di Pandione, i suoi figli marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo , che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante fino a ovest di Corinto. Scirone figlio di Pila contestò a Niso, suo cognato, la sovranità di Megara, ed Eaco, chiamato a dirimere la disputa, assegnò il trono a Niso e ai suoi discendenti, e il comando degli eserciti a Scirone. In quei tempi Megara era chiamata Nisa e Niso diede il suo nome anche al porto di Nisea, da lui fondato.
Frattanto Minosse già si accaniva nella zona dell'Istmo di Corinto. Egli assediò Nisa, governata da Niso che aveva una figlia chiamata Scilla. Col prolungarsi dell'assedio, Scilla, colpita dalla bellezza di Minosse, si innamorò perversamente di lui. Taluni dicono che questo fu il volere di Afrodite, altri accusano Era. Una notte Scilla si introdusse nella camera del padre e gli recise la famosa ciocca dorata da cui dipendevano la sua vita e il suo regno; poi rubate le chiavi della porta della città, l'aprì e si allontanò rapidamente. Entrata nella tenda di Minosse, gli offrì la ciocca di capelli in cambio del suo amore. Quella sera stessa, conquistata e saccheggiata la città, Minosse si giacque con Scilla; ma non volle portarla con sé a Creta, perché il parricidio gli faceva orrore. Scilla tuttavia inseguì la nave di Minosse a nuoto e si aggrappò al timone finché l'ombra di suo padre Niso, in forma d'aquila marina, piombò su di lei con gli artigli e il becco tesi. Scilla, terrorizzata, mollò la presa e annegò. La sua anima volò via sotto forma di un uccello chiamato Ciris, ben noto per il suo petto e le sue zampe rosso porpora. Ma taluni dicono che Scilla fu annegata per ordine di Minosse, e altri ancora che la sua anima prese la forma del pesce Ciris e non dell'uccello di tale nome.
Niso venne seppellito in Atene, dove si vede la sua tomba dietro il Liceo. I Megaresi, tuttavia, non vogliono ammettere che la loro città fu conquistata dai Cretesi e sostengono che Megareo sposò Ifinoe, figlia di Niso, e gli succedette. Nisa fu in seguito chiamata Megara in onore di Megareo.

Niso 2

Compagno di Enea, celebre per la sua amicizia con Eurialo. Sembra che la sua leggenda risalga a Virgilio. In occasione di giochi funebri celebrati in onore d'Anchise, egli fece in modo da assicurare la vittoria all'amico. Niso ed Eurialo erano custodi di una porta del campo troiano. Niso, maggiore di età, esperto cacciatore ed abile guerriero, si volge ad un tratto all'amico Eurialo manifestandogli il suo desiderio di compiere qualche bella e nobile impresa. E mostrandogli il campo rutulo, gli rivela il suo proposito di attraversare l'accampamento nemico per andare ad avvertire Enea della grave situazione dei Troiani. Eurialo rampogna l'amico per aver pensato di non farlo partecipe di una così bella impresa. Invano Niso cerca di convincerlo della opportunità che egli, più giovane, resti nel campo; ma alla fine cede, vinto dalla insistenza del giovane amico. I due quindi si avviano e, giunti nel campo nemico, fanno una orribile strage di uomini immersi nel sonno e nel sopore del vino, finché, avvicinandosi l'alba, riprendono il loro cammino attraverso i campi. Ma una schiera di cavalieri nemici, agli ordini di Volcente, giungeva intanto da Laurento e, visti i due fuggire fra le tenebra senza obbedire né rispondere all'ordine di fermarsi, circondano di armati tutto il bosco, bloccando ogni sentiero. Ciò nonostante Niso, dopo lunga corsa, riesce a portarsi al sicuro, fuori dell'accerchiamento; ma, fermatosi e voltosi a guardare, vede che Eurialo non è più con lui. Ritorna allora sgomento sui suoi passi, cercando disperatamente il suo giovane amico, ed ecco che ad un tratto vede Eurialo circondato da un folto gruppo di nemici. Niso non esita un istante e lancia un dardo contro uno dei nemici che, colpito al cuore, cade morto al suolo. Poi, con un altro colpo fa cadere un altro nemico. Volcente allora, furioso si lancia contro Eurialo per far pagare a lui la morte dei due cavalieri e già alza la spada per colpirlo, quando Niso esce dall'agguato e, correndo verso di lui grida che solo sua è la colpa, e che Eurialo non è responsabile di nulla. Ma Eurialo, colpito, era già caduto al suolo con le membra tutte insanguinate. A questa vista Niso, furibondo, si lancia contro Volcente e, benché colpito da più parti, riesce a spingergli la spada nella gola e ad ucciderlo, finché, colpito ancora, cade sul corpo di Eurialo.
Arrivati poi al campo, e scoperta la strage che era stata fatta, i Rutuli infieriscono sui cadaveri dei due giovinetti: tagliano loro la testa, le configgono sulla punta di due lunghe aste e, mentre l'aurora sparge di luce il cielo, vanno a torme urlando verso il campo dei Troiani, che dall'alto delle mura stanno mesti a guardare le sembianze dei loro giovani eroi tutte stillanti di sangue.

Nitteide

Nella mitologia greca, Nitteide era una figlia di Nitteo.

Fu sposa del re di Tebe, Polidoro. Da tale unione nacque un figlio: Labdaco, da lui discese Edipo e tutti gli altri labdacidi.

Nitteo


Nitteo, re tebano, padre di Antiope, fratello di Lico.

Quando Zeus sedusse Antiope, figlia di Nitteo, questa si rifugiò presso il re di Sicione che divenne suo consorte. Ciò diede origine ad una guerra durante la quale Nitteo cadde. Lo zio di Antiope, Lico sconfisse i Sicioni in una sanguinosa battaglia e riportò Antiope, vedova, a Tebe.

Noemone

Nella mitologia greca, Noemone era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia. Le gesta di tali eroi viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Noemone, guerriero della Licia. Odisseo guidato da Atena gli andò incontro durante una battaglia uccidendolo.
* Noemone, soldato pilio, amico di Antiloco. Menelao durante i giochi funebri per la morte di Patroclo gli consegnò una cavalla.
* Noemone, guerriero troiano che seguì Enea nel Lazio, dove venne ucciso da Turno nella guerra tra Troiani e Italici.

Norax

Norax (o Norace) è un antico eroe della mitologia sarda. È il figlio di Eriteide, figlia di Gerione e del dio Ermes. Compare nei testi di Pausania, Sallustio e Solino.

La leggenda, narrata da Pausania, dice che Norace giunse in Sardegna alla guida degli Iberi i quali fondarono la città che da lui prese il nome: Nora. Solino specifica che Norace giunse in Sardegna dalla mitica città di Tartesso situata nell'Iberia meridionale.

Un'altra versione dice che Norace fosse un barbaro, un alto e possente guerriero giunto dal mare (dalla penisola iberica) che sposò la figlia di un sovrano sardo. La leggenda vuole che Norax aiutò gli antichi sardi a sconfiggere i pirati, sbaragliandone da solo un intero esercito. Allora aiutò i sardi a trasformare le loro città in possenti fortificazioni indistruttibili, i nuraghès, il cui nome deriva proprio da Norax. In seguito i nuragici, spostandosi sull'isola costruirono sempre nuovi nuraghès, in modo che uno comunicasse con l'altro; recentemente un gruppo di appassionati, accendendo fuochi sulle sommità di alcuni nuraghi, ha dimostrato che effettivamente i nuraghi sono visivamente collegati fra loro, al punto che in 80 minuti si poteva comunicare dalla punta più meridionale all'estrema punta settentrionale dell'isola sarda, tramite segnali luminosi.

Notte

Divinità primordiale sorta dal Caos insieme ad Erebo, Gea, Tartaro ed Eros. Dall'unione di Erebo e Notte traggono origine Cielo e Giorno. Secondo Esiodo la notte è madre di Ypnos ("il sonno") e Thanatos ("la morte"), e di qui forse deriva la concezione di una doppia natura della Notte: come dispensatrice di un benefico riposo ai mortali affaticati e come generatrice di tristi divinità simboleggianti le pene che affliggono l'uomo (Moire, Chere, Erinni, Nemesi, ecc.), per cui veniva spesso rappresentata come donna dall'aspetto severo avente nelle braccia due bambini, uno bianco, simbolo del sonno, e uno nero, simbolo della morte. La Notte è una dea che si impone persino al rispetto di Zeus. Quando il dio voleva scacciare Ypnos dall'Olimpo, la Notte protesse il figlio e Zeus dovette accondiscendere al suo volere. La Notte veniva dai Greci fatta risiedere nell'estremo Occidente, al di là dell'Atlante.

Numa Pompilio

Secondo re di Roma, succeduto a Romolo dopo un anno d'interregno per designazione del Senato. Era di origine sabina, figlio di Pompone e marito di Tazia, figlia di Tito Tazio. Si favoleggiò che avesse avuto per maestro Pitagora, che gli fu in realtà di non poco posteriore, e come consigliera, in materia religiosa e legislativa, la ninfa Egeria che sarebbe stata con lui a segreti colloqui nella grotta delle Camene, vicino a una fonte sacra. Si valse della religione per guidare gli uomini all'obbedienza civile, e la tradizione attribuisce a lui tutte le istituzioni religiose, come a Romolo quelle politiche e militari. Le istituzioni di Numa sono in complesso analoghe a quelle di altre popolazioni latine e italiche, né si presentano come una creazione organica di un determinato legislatore. Secondo la tradizione avrebbe anche stabilito le norme di diritto sacro e fissato il calendario, con la distinzione dei giorni fasti e nefasti e aggiungendo due mesi (gennaio e febbraio) al calendario di dieci mesi istituito da Romolo. Tutto il suo regno è pieno di prodigi e di opere benefiche per gli uomini; stabilì premi per l'agricoltura per rendere laboriosi e felici i cittadini, e rese sacri i confini della proprietà. Il tempio da lui innalzato a Giano rimase sempre chiuso, perché la guerra non turbò mai il suo lungo regno Gli si attribuiva anche il merito di avere valorizzato in Roma le arti e i mestieri. Non vi è prova di un culto di Numa, né il nome ha alcuna caratteristica del divino.
Durante il regno di Numa Pompilio un sacro scudo, l'Ancile, venne fatto cadere da Giove dal cielo come simbolo della salvezza di Roma. Numa ne fece costruire altri undici e li nascose nella reggia, mettendo i sacerdoti (i Sali) a loro guardia. Secondo la leggenda Numa riuscì a chiamare Giove dal cielo usando i poteri magici rivelatigli da Fauno e Pico, le due divinità rurali che aveva catturato mescolando all'acqua della fonte, alla quale bevevano, del miele e del vino. Ottenuta la presenza di Giove gli chiese di rinunciare ai sacrifici umani.
Si attribuiscono a Numa vari figli, Pompeo, Pino, Calpo e Mamerco, ciascuno dei quali sarebbe l'antenato di una gens romana. Aveva anche una figlia, Pompilia, avuta o da Tazia, o da Lucrezia, ch'egli sposò dopo l'accesso al trono. Pompilia sposò un certo Marzio, un Sabino che accompagnò Numa a Roma, dove entrò in Senato. Il figlio di Pompilia, Anco Marzio, nacque, si dice, cinque anni prima della morte di Numa e divenne il quarto re di Roma.
Numa morì estremamente vecchio, e fu sepolto sulla riva destra, sul Gianicolo, e contemporaneamente venivano messi accanto a lui, in una bara separata, i libri sacri ch'egli aveva scritto personalmente.

Edited by demon quaid - 30/12/2014, 14:39
 
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Oceanine

Figlie di Oceano e di Teti, personificano le fonti e le sorgenti da cui fiumi e ruscelli traggono alimento. Secondo la tradizione esse erano ben tremila. Esiodo ne nominò settantadue, tra cui: Asia, Admeto, Calliroe, Clitia, Criside, Calipso, Cherchide, Climene, Dione e Doride, moglie di Nereo e madre delle Nereidi. Furono immaginate come belle e fiorenti fanciulle e rappresentate nell'atto di danzare, di bagnarsi, o di attingere acqua. Alle Oceanine, come alle altre ninfe, si sacrificavano capre e si offrivano olio, miele e focacce.

Oceano

Nelle concezioni geografiche degli antichi Greci è l'immenso fiume (così lo chiama Omero) che circonda all'intorno tutta la Terra. Da esso traggono origine tutte le acque del mare, i laghi, i fiumi, le fonti. In Omero, Oceano è personificato ed appare come il generatore della Terra e del Cielo e il padre di tutti gli dèi, dei Titani e degli Olimpi. Secondo Esiodo, invece sarebbe figlio di Urano e di Gea e avrebbe sposato la sorella Teti, formando la più antica coppia dei Titani da cui trassero origine tutte le acque del mondo, le divinità e le ninfe dei fiumi, dei laghi e dei mari, comprese le tremila Oceanine. Oceano e Teti che erano della stirpe dei Titani furono gli unici a non prendere parte alla guerra dei Titani contro Zeus. Rea portò la figlia Era da Oceano e da sua moglie perché la proteggessero. Oceano ottenne dal genero Elio il nappo d'oro che prestò poi a Eracle quando partì alla ricerca degli armenti di Gerione. Ma Oceano, per mettere Eracle alla prova, fece beccheggiare pericolosamente il nappo sui flutti. Eracle tese l'arco e indusse così Oceano, spaventato, a placare la tempesta.
Gli antichi gli tributavano un culto solenne e gli confidavano la cura della loro vita quando intraprendevano viaggi di mare. L'arte lo rappresentava in forma di vegliardo con corna di toro e barba fluente, seduto sulle onde, con a fianco un mostro marino.

Ociroe

Ociroe o Ocirroe nella mitologia greca era il nome di diversi personaggi di cui si racconta nel mito.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ocirroe, una ninfa, figlia del titano Oceano e della titanide Teti, una delle Oceanine. Unita al dio Elio gli diede un figlio, chiamato Fasi.
* Ocirroe, una ninfa di Samo, figlia di un'altra ninfa chiamata Chesia e del dio del fiume Imbraso. Apollo si innamorò di lei ma la ninfa chiese l'aiuto di Pompilo, ma fallirono la fuga.
* Ocirroe, figlia di Chirone e Cariclo, un'altra ninfa,nata sulle rive di un ruscello. Ebbe il dono della divinazione, per questo rivelò al padre e al piccolo Asclepio la storia segreta della divinità. Per punizione Ociroe venne trasformata in cavalla.

Ocna (mitologia)

Nella mitologia greca, Ocna era il nome di una delle figlie di Colono di Tanagra

Ocna era innamorata di un giovane del luogo, un tale Eunosto, figlio di Elieo, il ragazzo non contraccambiò l’amore della giovane facendola infuriare. La donna nella sua vendetta si inventò che fosse stata maltrattata e quasi violentata da Eunosto e lamentandosi con i suoi parenti ottenne l’omicidio dell’amato, i fratelli in seguito furono cacciati da Elieo.

Ocna vedendo tutto quello che era successo per colpa sua si pentì e confesso ogni cosa. La vergogna di essere causa di un omicidio fu tanta che la donna arrivò ad uccidersi.

Odio (mitologia)

Nella mitologia greca, Odio o Odìo era il nome di uno dei capitani che presero parte alla guerra di Troia per sostenere in guerra i Troiani contro gli Achei. La guerra derivò dalla decisione di Paride, figlio di Priamo re di Troia, di rapire la regina spartana Elena, di cui si era innamorato; durante l'assenza del marito di quest'ultima, Menelao, partito per i funerali di suo zio, il principe troiano sedusse la giovane e la condusse con sé a Troia, dove visse con lei per ben diciotto anni.

Furibondo per l'oltraggio, il re di Sparta riunì un esercito innumerevole e potentissimo, guidato dal suo supremo fratello, Agamennone, e con esso dichiarò guerra alla città nemica. Le vicende principali di questo conflitto sono raccontate da Omero nell' Iliade.

Odio nel "Catalogo delle navi"


Odìo, sovrano del popolo degli Alizoni, una popolazione che abitava la parte nord occidentale dell'Asia Minore, giunse in soccorso a Priamo e ai suoi sudditi ben dieci anni dopo lo scoppio della guerra.
Aveva abbandonato la sua patria, accompagnato da un altro capitano, Epìstrofo, che, insieme a lui, svolgeva il ruolo di capitano nella guerra. Omero racconta che entrambi provenivano da Alibe, probabilmente capitale del regno degli Alizoni, città conosciuta per la grande quantità di argento.

Combattimenti e morte


Questo capo alleato dei Troiani non combatté a lungo durante questa guerra, ma anzi fu una delle prime e più importanti vittime degli Achei. Già nel libro V, infatti, Agamennone scelse come bersaglio proprio il giovane condottiero degli Alizoni. Lo sbalzò dal cocchio, e con la sua lancia gli trafisse la schiena, in modo tale da fargli penetrare l'arma attraverso tutto il corpo, uscendo dal petto.
Il cadavere di Odìo cadde con fragore a terra, provocando un rimbombo a causa della potente armatura che lo ricopriva.

Odisseo

Re di Itaca, uno dei personaggi principali dell'Iliade e figura centrale dell'Odissea.
Odisseo era l'unico figlio di Laerte e Anticlea, anche se secondo alcuni Anticlea sposò Laerte dopo essere stata violentata da Sisifo, e le circostanze in cui Odisseo fu concepito bastano a spiegare la sua straordinaria astuzia. Autolico, padre di Anticlea, si recò a Itaca poco dopo la nascita del bimbo e la sera, al termine del banchetto, prese il piccolo sulle ginocchia e Anticlea gli chiese di dare egli stesso il nome al nipote. Autolico rispose: "Nel corso della mia vita mi sono messo in urto con molti principi e chiamerò dunque il mio nipote Odisseo, che significa Il Rabbioso, perché sarà vittima delle mie antiche inimicizie". Autolico promise inoltre a Odisseo ricchi doni il giorno in cui fosse stato in grado d'andare a prenderli personalmente nella sua dimora sul monte Parnaso. Non appena raggiunta la maturità, Odisseo si recò a far visita ad Autolico ma, mentre cacciava in compagnia degli zii, fu ferito da un cinghiale alla coscia e gli restò una cicatrice che diede modo, alquanti anni dopo, alla nutrice Euriclea di riconoscerlo quando rimise piede nel suo palazzo a Itaca in sembianza di mendico. Autolico tuttavia ebbe gran cura di lui e lo rimandò a Itaca con i doni promessi. Qualche tempo dopo, avendo i Messeni rubato agli Itacesi trecento montoni, fu mandato da Laerte presso il re della Messenia a risolvere pacificamente la questione. Quivi ricevette in dono da Orsiloco e da Ifito l'arco di Eurito, loro padre, re di Ecalia. E proprio con quell'arco, molti anni più tardi, venne lanciata la sfida ai pretendenti di Penelope.

Quando giunse il momento di prender moglie, la scelta di Odisseo cadde su Penelope figlia di Icario, re di Sparta. Per conquistare la sua sposa Odisseo diede mostra per la prima volta dell'astuzia che l'avrebbe reso celebre. Si unì alla schiera dei pretendenti di Elena, la bellissima figlia di Tindareo, fratello di Icario, ma si presentò a mani vuote, poiché non aveva la minima possibilità di successo. Tindareo non respinse alcuno dei pretendenti né, d'altro canto, volle accettare i doni offerti, poiché temeva che la sua preferenza per questo o quel principe potesse far nascere dispute tra gli altri. Per trarlo d'impaccio dinanzi al gran numero di pretendenti, Odisseo gli consigliò di esigere da ciascuno di loro il giuramento di rispettare la scelta che sarebbe stata fatta e di aiutare il prescelto a tenersi la moglie nel caso in cui qualcuno l'avesse pretesa per sé. La scelta cadde su Menelao, e più tardi, quando Paride rapì Elena, tutti gli altri principi si trovarono obbligati da quel vecchio giuramento a partecipare alla guerra di Troia per aiutare Menelao a riconquistare la sua sposa. Per ripagarlo dell'ottimo consiglio che gli aveva dato, Tindareo cercò di intercedere presso il fratello Icario e Odisseo ottenne Penelope nonostante la riluttanza di Icario a lasciar partire l'amata figlia. Secondo un'altra versione della leggenda, Icario istituì una gara di corsa a piedi dichiarando che il vincitore avrebbe avuto la mano della figlia, e Odisseo riportò la vittoria. Dopo aver maritato Penelope a Odisseo, Icario lo pregò di rimanere a Sparta alla sua corte. Odisseo rifiutò e Icario allora inseguì il cocchio sul quale viaggiava la coppia di sposi, supplicando Penelope di tornare indietro. Odisseo, perduta la pazienza, si volse e disse a Penelope: "O vieni con me a Itaca, oppure, se mi preferisci tuo padre, rimani qui con lui senza di me!" Penelope abbassò il velo che le copriva il capo e Icario, resosi conto che Odisseo agiva con suo pieno diritto, lasciò partire la figlia. Più tardi Icario fece erigere sul luogo della separazione da sua figlia una statua dedicata ad Aidos ("il pudore"). Penelope diede a Odisseo un unico figlio, Telemaco. Questi era ancora in tenera età allorché si sparse la notizia che Paride aveva rapito Elena.

Agamennone ricordò il giuramento dei pretendenti e disse ai principi che era giunto il momento di proteggere i diritti di Menelao e l'onore della Grecia. Ora, Odisseo era stato ammonito da un oracolo che se fosse andato a Troia sarebbe tornato in patria dopo vent'anni, solo e in miseria. Si finse dunque pazzo e quando Menelao e Palamede figlio di Nauplio giunsero a Itaca lo trovarono vestito da contadino che arava un campo pungolando un bue e un asino aggiogati assieme e gettandosi dietro le spalle manciate di sale. Palamede strappò il piccolo Telemaco dalle braccia della madre e lo posò per terra davanti alle zampe degli animali aggiogati all'aratro, Odisseo subito tirò le redini per non uccidere il figlio dimostrando così d'essere sano di mente. Costretto, partì per Troia, ma conservò nei confronti di Palamede un odio implacabile.
A Odisseo, Nestore e Aiace toccò l'incarico di ricercare Achille a Sciro, perché correva voce che egli fosse nascosto laggiù. Fu proprio grazie alla furbizia di Odisseo che venne scoperto il nascondiglio di Achille, ben celato negli appartamenti delle donne nella reggia di Licomede. Odisseo partì con un contingente di dodici navi e nella spedizione si fusero le forze cretesi ed elleniche. L'esercito ellenico era guidato da Agamennone e dai suoi luogotenenti Odisseo, Palamede e Diomede; la flotta ellenica era comandata da Achille, con l'aiuto del Grande Aiace e di Fenice. Quando la flotta si trovò bloccata in Aulide, fu proprio Odisseo a convincere con l'inganno Clitemnestra a convocare la figlia Ifigenia, dicendole che era stata promessa in sposa ad Achille e, secondo la versione più accreditata della vicenda, la fanciulla venne sacrificata per placare l'ira di Artemide. Fu sempre Odisseo a suggerire che i Greci catturassero Filottete sull'isola di Lemno e interpretò con correttezza l'oracolo concernente la guarigione di Telefo da parte di Achille, autore della ferita. Mentre Achille declinava ogni competenza, Odisseo fece osservare che si trattava in realtà della lancia, e non del guerriero. Achille acconsentì; mise un po' della ruggine, che si trovava sulla sua lancia, sopra la ferita di Telefo e, usando anche l'erba achillea, un vulnerario da lui stesso scoprto, risanò la ferita.

La guerra di Troia

Quando i Greci giunsero infine a Troia, Odisseo fu mandato insieme a Menelao in città per chiedere la restituzione di Elena e del tesoro. I Troiani, ben decisi a non restituire Elena, li avrebbero uccisi se Antenore, che li aveva ospitati in casa propria, non avesse impedito l'atroce misfatto. All'assedio di Troia l'amico più caro di Odisseo era Diomede; insieme compirono molte gesta gloriose. La morte di Palamede venne comunque considerata da tutti opera di Odisseo (con o forse senza la connivenza di Diomede). Secondo alcuni autori Odisseo lo accusò di tradimento e, di nascosto, seppellì un sacco d'oro nel punto dove sorgeva la tenda di Palamede. Questi fu condotto dinanzi alla corte marziale, e poiché negava disperatamente di aver ricevuto denaro da Priamo o da chiunque altro, Odisseo propose che si frugasse nella sua tenda. L'oro venne così scoperto e Palamede fu lapidato come traditore. Altri dicono che Odisseo e Diomede, fingendo di aver trovato un tesoro in un pozzo profondo, vi calarono Palamede appeso ad una corda e poi gli spaccarono il cranio con grosse pietre; oppure lo annegarono durante una partita di pesca.
Nell'Iliade la figura di Odisseo è soprattutto quella d'un abile oratore e stratega, non d'un guerriero. Quando parlava si trasformava catturando l' attenzione degli astanti. Scelto per accompagnare Aiace, figlio di Telamone, e Fenice nel loro tentativo di convincere Achille a partecipare ancora alla guerra, Odisseo parlò con grande eloquenza ma fallì l'intento. Partecipò ad almeno due spedizioni nel campo nemico. La prima volta entrò nel campo di Ettore nella pianura e con Diomede spiò la situazione nemica. Si imbatterono in Dolone, figlio di Eumede, che era stato mandato in ricognizione da Ettore, e dopo avergli strappato informazioni con la forza, gli tagliarono la gola. Poi uccisero nel sonno il capitano Reso di Tracia, e molti nobili al suo seguito, e rapirono gli stupendi cavalli del re, più veloci del vento. Quando i Traci superstiti si destarono e videro il re morto e i suoi cavalli spariti, si diedero disordinatamente alla fuga e i Greci li uccisero quasi tutti.
Più tardi Odisseo, solo o accompagnato da Diomede, cercò asilo in Troia, sporco, sanguinante e coperto di stracci come uno schiavo fuggiasco. In città soltanto Elena lo riconobbe, ma non lo tradì e lo invitò a casa. Si raccontava che Elena si fosse confidata con Ecuba della presenza di Odisseo; ma la regina, come Elena, per qualche misteriosa ragione, rinunciò a denunciarlo. Poi, non senza aver massacrato alcuni Troiani, particolarmente le guardie della porta, potè ritirarsi e rientrare nell'accampamento acheo.
Quando Achille venne ucciso da Paride, Aiace, il figlio di Telamone, recuperò il suo corpo e lo riportò al campo greco sotto una pioggia di dardi, mentre Odisseo proteggeva la ritirata. Tra i due nacque una disputa sull'armatura di Achille, ma i principi achei deliberarono che le armi toccassero a Odisseo come riconoscimento della sua preziosa opera; tale deliberazione parve ingiusta ad Aiace, che riteneva di essere secondo dopo Achille nella scala del valore. Onde la follia e il suicidio dell'eroe di Salamina.
Poco dopo, Odisseo con Diomede rubò le ceneri di Laomedonte e il Palladio. L'azione di Odisseo era intesa all'adempimento del responso oracolare: finché le ceneri di Laomedonte e il Palladio fossero rimaste a Troia, la città non sarebbe caduta. Quando Paride morì ed Elena venne data in sposa a Deifobo, Eleno, l'indovino troiano, offeso perché aveva sperato d'avere Elena per sé, abbandonò la città e andò a vivere sulle pendici del monte Ida. Odisseo lo catturò ed Eleno si dichiarò pronto a rivelare gli oracoli segreti e le condizioni necessarie alla caduta di Troia purché i Greci gli consentissero di rifugiarsi al sicuro in qualche terra lontana. Odisseo decise di dedicare i suoi sforzi perché queste condizioni si verificassero: indusse Licomede ad autorizzare la partenza di Neottolemo per Troia e Odisseo, di buon grado, gli cedette le armi di Achille; guidò una spedizione a Lemno dove con un inganno riuscì a strappare a Filottete l'arco e le frecce di Eracle. A questo punto comparve il dio Eracle e convinse Filottete, che odiava Odisseo responsabile del suo abbandono sull'isola di Lemno, a partire per Troia.

Intanto Odisseo ebbe l'ingegnoso inganno mediante il quale gli Achei poterono prendere Troia. Fatto costruire un grande cavallo di legno, Odisseo e gli altri eroi si celarono nella cavità del suo ventre; intanto l'esercito levava le tende e s'imbarcava dirigendo la flotta verso l'isolotto di Tenedo, dove si ancorava a ponente, così da sfuggire alla vista dei Troiani. Frattanto Sinone, ammaestrato da Odisseo, vagava per la campagna dinanzi a Troia; catturato raccontava un'intricata serie di menzogne, volte a persuadere i Troiani che il cavallo era un dono votivo e di risarcimento per Pallade e che, se fossero riusciti a portarlo dentro la città, questa sarebbe divenuta così potente, da minacciare più tardi l'Ellade stessa. I Troiani, dopo alquanti dubbi, introdussero il cavallo in città attraverso un breccia nelle mura. Elena e Deifobo si recarono a vederlo e nel tentativo di sventare un'eventuale trappola Elena parlò agli uomini nascosti nel ventre del cavallo imitando le voci delle loro mogli. Con fatica Odisseo riuscì a impedire ai compagni di rispondere. In seguito, quando uscirono dal cavallo, aprirono le porte agli Achei tornati a riva, che presero e incendiarono la città. Odisseo non dimenticò il suo debito verso Antenore e sulla porta della sua casa appese una pelle di pantera perché fosse risparmiato dal massacro.
Odisseo dichiarò che tutta la discendenza di Priamo doveva essere estinta e senza batter ciglio scagliò il piccolo Astianatte, il figlio di Ettore, giù dalle fortificazioni. Poi, Odisseo e Menelao raggiunsero la casa di Deifobo e colà si impegnarono in una sanguinosa battaglia dalla quale uscirono vittoriosi. Non si sa chi dei due uccise Deifobo. Taluni dicono che Elena stessa gli immerse una spada nella schiena; e questo suo gesto, unitamente alla visione del suo seno nudo, indebolì talmente la volontà di Menelao (il quale aveva giurato di ucciderla) che gettò le armi e permise a Elena di raggiungere sana e salva le navi greche. Odisseo cercò anche di distogliere dai Greci l'ira di Atena provocata dal gesto di Aiace, figlio di Oileo, il quale aveva violentato Cassandra davanti alla statua della dea suggerendo che venisse lapidato. Quando Atena per vendicare il sacrilegio mandò un temporale contro le navi greche, Odisseo fu risparmiato. Incorse comunque nell'ira degli dèi e soprattutto di Poseidone; fu l'ultimo dei Greci a raggiungere la patria, dopo dieci lunghi anni di viaggio.

Il ritorno a Itaca

Odisseo acceca Polifemo Le avventure di questo periodo e del periodo immediatamente successivo sono l'argomento dell'Odissea di Omero.
Odisseo salpò da Troia ben sapendo che avrebbe dovuto vagare per altri dieci anni prima di raggiungere Itaca; sbarcò a Ismaro Ciconia e la prese d'assalto. Di tutti gli abitanti ne risparmiò uno solo, Marone che era sacerdote di Apollo. In segno di gratitudine, Marone gli regalò alcune giare d'un vino dolce e forte, che gli sarà utilissimo nel paese dei Ciclopi. Tentò di doppiare il capo Malea e di spingersi a nord verso Itaca, ma un vento contrario lo spinse nella terra dei mangiatori di loto. Ripartì e giunse all'isola dei Ciclopi dove, con dodici uomini, penetrò in una caverna. I Greci sedettero attorno al focolare, sgozzarono e arrostirono alcuni capretti trovati nella grotta, si servirono dei formaggi allineati nei canestri lungo le pareti e banchettarono in letizia. Verso sera apparve Polifemo che spinse il suo gregge nella caverna e ne chiuse l'ingresso con una pesante pietra. Poi si voltò intorno, vide Odisseo e i suoi compagni riuniti attorno al focolare e cominciò a divorarli a coppie. Odisseo gli offrì del vino di Marone, e il Ciclope, che in vita sua non aveva mai assaggiato niente di più inebriante del siero del latte, ne chiese una seconda coppa e si sentì di umore migliore. Accondiscese allora a chiedere il nome di Odisseo. Questi gli rispose: "Nessuno". Il Ciclope gli promise, come ricompensa per un vino tanto eccellente, di divorarlo per ultimo. Poi, dopo un'ultima coppa, cadde nel profondo sonno degli ubriachi. Odisseo e i suoi compagni arroventarono la punta di un palo nelle braci del focolare; poi la conficcarono nell'unico occhio di Polifemo. Il Ciclope lanciò un urlo orribile che indusse tutti i suoi compagni ad accorrere per vedere che cosa mai accadeva; ma quando Polifemo rispose gridando che la colpa era di Nessuno, i suoi compagni lo presero per pazzo e se ne andarono via. Polifemo si avvicinò a tastoni all'ingresso della caverna, spostò la pietra e, le mani protese dinanzi a sé, attese ansioso di poter agguantare i Greci mentre cercavano di fuggire. Ma Odisseo legò ciascuno dei suoi compagni sopravvissuti sotto il ventre di un ariete. Per sé scelse un enorme ariete e si aggrappò al pelo del suo ventre con le dita dei piedi e delle mani. Così Odisseo riuscì a liberare sé e i suoi compagni, raggiunse la nave e la mise in mare, ma non riuscì a trattenersi dal lanciare un ironico saluto al Ciclope rivelandogli il suo vero nome. Per tutta risposta Polifemo scagliò in acqua un masso che mancò di poco la prua della nave. Poi pregò il padre Poseidone di far sì che Odisseo, se mai fosse ritornato in patria, vi giungesse tardi e a stento, su nave altrui. Poseidone accolse la supplica di Polifemo e promise di vendicarlo.

Sfuggito a Polifemo, Odisseo raggiunse l'isola di Eolo, padrone dei Venti, che lo ospitò per un mese intero e l'ultimo giorno gli offrì un otre dove aveva rinchiuso i venti all'infuori di quello d'occidente che avrebbe spinto direttamente le navi fino a Itaca. Allorché Odisseo cadde addormentato, sopraffatto dalla stanchezza, i suoi uomini, convinti che l'otre contenesse oro, l'aprirono e subito i venti tutti insieme soffiarono respingendo la nave verso l'isola Eolia. Con profonde scuse, Odisseo implorò l'aiuto di Eolo, ma gli fu risposto di non poter essere aiutato essendo ormai inviso agli dèi.

Dopo sette giorni di navigazione Odisseo giunse nel paese dei Lestrigoni governati dal re Lamo. I capitani della flotta di Odisseo entrarono a vele spiegate nel porto di Telepilo e i Lestrigoni fecero strage tra gli equipaggi e distrussero le navi. Si salvò solo la nave di Odisseo il quale, più cauto, l'aveva legata a un albero all'iboccatura del porto. Egli riuscì a recidere con un colpo di spada il cavo che tratteneva la sua nave e a prendere il largo. Con l'unica nave rimasta si diresse verso est e dopo un lungo viaggio raggiunse l'isola Eea, dove regnava la maga Circe. Circe catturò gli uomini scesi a terra e li trasformò in porci, risparmiando solo Euriloco che, troppo sospettoso, indugiò all'esterno del palazzo. Euriloco fece ritorno alla nave e narrò ogni cosa a Odisseo che si armò e partì alla ricerca dei compagni. Con grande sorpresa incontrò il dio Ermete che gli offrì una talismano per rendere inefficaci gli incantesimi di Circe. Odisseo si rifiutò di accettare le amorose carezze della maga finché ella non avesse liberato i suoi compagni e tutti gli altri marinai tramutati in belve prima di loro. Ben volentieri Odisseo rimase in Eea finché Circe gli ebbe partorito un figlio, Telegono.

Odisseo e Tiresia Quando venne il giorno di ripartire, Circe gli consigliò di scendere prima nel Tartaro e interrogare Tiresia per sapere ciò che lo attendeva in Itaca, se mai vi fosse giunto, e negli anni seguenti. Odisseo costrinse i suoi uomini a imbarcarsi per recarsi nella terra di Ade. Quando avvistarono il bosco di Persefone, Odisseo sbarcò e fece esattamente ciò che Circe gli aveva consigliato di fare. Nel Tartaro scavò una fossa e sacrificò un giovane ariete e una pecora nera ad Ade e a Persefone e attese l'arrivo di Tiresia, tenendo lontane tutte le altre ombre. Gli apparvero Elpenore, un compagno morto a Eea e rimasto senza sepoltura, la madre Anticlea e finalmente Tiresia che, bevuto avidamente il sangue sceso nella fossa, ammonì Odisseo a tenere sotto controllo i suoi uomini in Sicilia, perché non fossero tentati di rubare la mandria sacra a Elio. Fece anche altre predizioni sul suo futuro e gli disse che sarebbe ritornato in patria da solo, e su una nave straniera, che a Itaca avrebbe dovuto vendicarsi dei pretendenti alla mano di Penelope e che i suoi viaggi non sarebbero finiti, ma doveva ripartire con un remo sulle spalle, alla ricerca di un popolo che non conoscesse la navigazione, Qui avrebbe dovuto sacrificare a Poseidone, per poi ritornare a Itaca e vivere sereno fino a tarda età. Ma la morte gli sarebbe giunta dal mare. Dopo aver ringraziato Tiresia, Odisseo parlò con le ombre di molti eroi caduti davanti a Troia, con molte regine e principesse, e infine parlò anche con l'ombra di Eracle. Lasciò il regno dei morti e ritornò a Eea, dove diede sepoltura ad Elpenore e salpò di nuovo, dopo aver ricevuto gli ultimi consigli di Circe.

Non appena la nave si avvicinò all'isola delle Sirene, Odisseo seguì il consiglio di Circe: otturò con cera le orecchie dei suoi uomini e si fece legare all'albero maestro per udire i loro canti. Così la nave doppiò l'isola senza che nessuno scendesse a terra. Passò poi tra due mostri, Scilla e Cariddi (nello stretto di Messina) e avvicinandosi troppo a Scilla, per sfuggire a Cariddi, perse sei dei più abili marinai. Evitò le Rocce Vaganti e approdò sull'isola di Trinacria (più tardi identificata con la Sicilia), dove si trovò bloccato per un mese a causa dei venti contrari. I viveri cominciarono a scarseggiare e gli uomini affamati, ignorando il divieto di Odisseo, attesero che egli si fosse addormentato e uccisero alcuni buoi di Elio per mangiarli. Odisseo, destatosi, inorridì al vedere l'accaduto e inorridì anche Elio quando ebbe notizia del furto. Si lagnò con Zeus il quale, visto che la nave aveva ripreso il mare, scatenò una terribile tempesta e scagliò una folgore in coperta che fece inabissare la nave e tutti annegarono, fuorché Odisseo. Egli legò l'albero alla chiglia e fu spinto verso i gorghi di Cariddi dove il mostro ingoiò la zattera. Aggrappato ai rami di un fico che sorgeva sulla riva attese che il mostro la vomitasse di nuovo, vi risalì e si allontanò remando con le mani, e dopo nove giorni giunse nell'isola della ninfa Calipso.

La bellissima Calipso confortò Odisseo che giaceva stremato sulla spiaggia e gli offrì cibo e bevande e il suo morbido letto. Secondo taluni la ninfa generò a Odisseo i gemelli Nausitoo e Nausinoo, e lo trattenne a Ogigia per sette anni, o forse soltanto cinque. Infine, pregato da Atena protettrice dell'eroe, Zeus inviò Ermete a Calipso con l'ordine di lasciar partire Odisseo. Calipso, a malincuore, mise a sua disposizione il legno necessario per costruire una zattera e Odisseo partì col vento in poppa. Poseidone, suo implacabile nemico, vide all'improvviso la zattera e scatenò un temporale che trascinò a fondo Odisseo, ma poiché questi era valente nuotatore, riuscì a risalire in superficie e a raggiungere la zattera. La pietosa dea Leucotea gli si presentò con l'aspetto di un gabbiano: portava nel becco un velo e disse a Odisseo di avvolgerselo attorno alle reni per evitare di annegare. Quando un'altra ondata spazzò la zattera, l'eroe si cinse del velo e cominciò a nuotare. Poseidone era intanto ritornato al suo palazzo; Atena osò suscitare un vento che placava le onde e due giorni dopo Odisseo potè approdare sulla costa di Scheria, la terra dei Feaci.

Stremato, s'addormentò nel bosco che costeggiava un fiume. Al mattino, fu svegliato dalle grida e dalle risa di un gruppo di ragazze. Era Nausicaa, figlia del re dell'isola, con le sue ancelle, venute a lavare la biancheria e a giocare sulle rive del fiume. Odisseo, coprendo la sua nudità con un ramo fronzuto, si mostrò loro e chiese, con dolci parole, di aiutarlo. Nausicaa gli diede vesti per coprirsi e gli indicò la strada che portava al palazzo di suo padre, il re Alcinoo. Presso Alcinoo e la regina Arete, Odisseo fu accolto con grande ospitalità. Il giorno seguente furono organizzati giochi e durante i festegiamenti serali Odisseo rivelò la sua identità e raccontò le proprie avventure. Poi fu colmato di doni e venne messa una nave a sua disposizione. Durante il viaggio Odisseo s'addormentò; i marinai feaci gettarono l'ancora nel porto di Forcide e per non disturbare il sonno dell'eroe lo portarono a terra e lo deposero con cautela sulla spiaggia, ammucchiando i tesori che portava con sé, i regali d'Alcinoo, presso un albero non lontano. La nave ritornò a Scheria; ma, al momento di raggiungere l'isola, Poseidone, irato con i Feaci per le cortesie usate a Odisseo, la trasformò in pietra, con tutto l'equipaggio.

Odisseo, quando si destò, non riconobbe la sua isola avvolta in una nebbia leggera; ma Atena, artefice della foschia, gli rivelò la sua identità, lo rivestì di stracci e gli disse di recarsi da Eumeo, il capo dei porcari. La dea intanto scortò Telemaco da Sparta dove si era recato per avere notizie di suo padre da Menelao. Eumeo accolse ospitalmente il mendicante fornendogli un resoconto della situazione di Itaca. Non meno di centoventi principi corteggiavano Penelope, vivevano nella reggia di Odisseo e dissipavano le sue sostanze. Laerte, il vecchio padre di Odisseo, aveva lasciato la corte e si era ritirato in campagna. Odisseo non svelò la sua identità e finse di essere un cretese che aveva combattuto a Troia ed era al corrente di alcune avventure di Odisseo. Frattanto Telemaco sbarcò inaspettato e si recò alla capanna di Eumeo. Il porcaro andò da Penelope per metterla al corrente dell'arrivo di Telemaco e, approfittando della sua assenza, Odisseo si fece riconoscere dal figlio e insieme organizzarono un piano per sconfiggere i pretendenti.

Il giorno seguente Odisseo ed Eumeo si recarono a palazzo e strada facendo incontrarono il capraio Melanteo che ingiuriò il mendicante. Nel cortile del palazzo, Odisseo trovò il cane Argo che, troppo vecchio e debole per alzarsi, agitò debolmente la coda, drizzò le orecchie riconoscendo il padrone, e spirò. Odisseo entrò nella sala dei banchetti, dove Telemaco, fingendo di non sapere chi fosse quel mendicante, gli offrì ospitalità. Antinoo, un pretendente, gli scagliò addosso uno sgabello. Iro, un accattone di Itaca, sfidò Odisseo in una gara di pugilato e Odisseo lo abbattè con alcuni pugni. Penelope, scesa nella sala, desiderò vedere quel mendicante straniero per chiedergli notizie di Odisseo, ma il mendicante decise di rimandare l'incontro alla sera. Giunta la sera, Odisseo disse a Telemaco di togliere tutte le armi dalla sala e di riporle nell'armeria, mentre egli si recava a visitare Penelope. La regina non riconobbe il marito e raccontò al mendicante di come aveva tenuto a bada i pretendenti fingendo di tessere il lenzuolo per il vecchio Laerte, che durante la notte segretamente disfaceva. Il mendicante, sempre fingendo d'essere cretese, le garantì di aver incontrato di recente Odisseo il quale presto sarebbe tornato a Itaca. Penelope lo ascoltò attentamente e ordinò a Euriclea, la vecchia nutrice di Odisseo, di lavargli i piedi. Ed ecco che Euriclea riconobbe la ferita sulla coscia, ma Odisseo la obbligò a tacere. Penelope propose di indire l'indomani una gara tra i pretendenti, invitandoli a cimentarsi nel tiro all'arco del marito: si trattava di scagliare una freccia negli anelli di dodici asce disposte in fila. Come premio il vincitore l'avrebbe avuta in sposa. Odisseo la incoraggiò ad organizzare la sfida al più presto.

L'indomani Penelope fece portare l'arco che Odisseo aveva ricevuto in dono da Eurito, e diede inizio alla gara. Tutti quanti, guidati da Telemaco, si cimentarono, ma nessuno riuscì a curvare l'arco. Odisseo frattanto rivelava la sua vera identità a Eumeo e a Filezio, il mandriano. Euriclea e Filezio sprangarono le porte, mentre Odisseo ed Eumeo entravano nel palazzo. Telemaco chiese che anche il mendicante provasse a tendere l'arco, e per le proteste e gli insulti dei pretendenti fu costretto a ordinare a Penelope di ritirarsi nelle sue stanze. Nello sbalordimento generale il mendicante tese l'arco senza sforzo e, presa con cura la mira, scagliò la freccia nei dodici anelli delle asce. Con Telemaco ed Eumeo, Odisseo diede quindi inizio alla strage dei pretendenti risparmiando soltanto il rapsodo Femio e l'araldo Medonte. Melanteo cercò di riportare le armi ai pretendenti, perché Telemaco aveva lasciato aperta la porta dell'armeria, ma Eumeo e Filezio lo fermarono in tempo e lo legarono. La strage continuava, e nel giro di poco tempo tutti i pretendenti giacquero morti al suolo. Poi le serve che non erano rimaste fedeli alla causa di Odisseo portarono via i cadaveri, ripulirono il pavimento della sala insozzato di sangue e furono impiccate nel cortile del palazzo insieme col capraio Melanteo, il quale si era schierato dalla parte dei nemici del padrone. Odisseo si fece riconoscere da Penelope e, per toglierle ogni scrupolo, le descrisse il letto nuziale, che soltanto entrambi conoscevano. Il giorno seguente, Odisseo si recò in campagna dove viveva il padre Laerte, e si fece riconoscere. Frattanto, i parenti dei Pretendenti massacrati si riunirono in armi, per chiedere soddisfazione. Ma la dea Atena, sotto le spoglie del vecchio Mentore, apparve ai contendenti e li divise. Li mise in fuga e Odisseo, che cercò di inseguirli, venne fermato da una folgore di Zeus. La pace infine tornò a Itaca.

Esistono versioni diverse sugli ultimi anni di Odisseo. Seguendo i consigli di Tiresia, con un remo sulla spalla, partì a piedi e raggiuse la Tesprozia. Qui, offrì a Poseidone il sacrificio che Tiresia gli aveva ordinato un tempo. Sposò Callidice, regina dei Tesprozi, da cui ebbe un figlio, Polipete. Regnò per un po' di tempo congiuntamente a Callidice e riportò vittorie sui popoli vicini. Ma, allorché Callidice morì, consegnò il regno a Polipete, e ritornò a Itaca, dove trovò il secondo figlio avuto da Penelope, Poliporte.

A itaca la morte venne a Odissea dal mare, così come Tiresia aveva previsto. Telegono, il figlio che egli aveva avuto da Circe, salpato in cerca del padre, fece una scorreria a Itaca, credendo che fosse l'isola di Corcira, e Odisseo si preparò a respingere l'attacco. Telegono lo uccise sulla riva del mare con una lancia che aveva per punta l'aculeo di una razza. Allorché venne a sapere l'identità della sua vittima, Telegono portò il corpo da Circe, insieme con Penelope.
Un'altra tradizione narra che i parenti dei pretendenti uccisi intentarono un'azione legale contro Odisseo, nominando loro giudice Neottolemo, re delle isole Epirotidi. Odisseo acconsentì ad accettare il verdetto e Neottolemo stabilì che egli lasciasse l'isola e che gli eredi dei pretendenti avrebbero dovuto versare a Telemaco, ora re, un adeguato compenso per i danni subiti. Odisseo si recò in Etolia presso il re Toante, ne sposò la figlia con la quale generò Leontofono e lì, in Etolia trascorse il resto della sua vita.

Ofeleste

Nella mitologia greca, Ofeleste è nome comune ad alcuni personaggi che presero parte alla guerra di Troia, scoppiata a causa del rapimento di Elena, la regina spartana, da parte del troiano Paride, figlio di Priamo, il quale sposò la fanciulla senza pensare alle conseguenze del suo gesto.

Nell'Iliade di Omero appaiono due personaggi che combatterono nella guerra che portano lo stesso nome:

* Ofeleste, un guerriero peone, il quale venne inseguito dall'eroe Achille presso le rive del fiume Scamandro ed ucciso senza pietà; il suo corpo, gettato nelle acque del fiume dall'eroe, desideroso di vendicarsi dell'amico Patroclo, ucciso da Ettore, scatenò l'ira del dio fluviale, il quale non gradiva cadaveri nei suoi corsi d'acqua.
* Ofeleste, guerriero troiano, venne trafitto da una freccia di Teucro, l'insuperabile arciere, figlio di Telamone, che lo uccise insieme a numerose altre vittime.

Ofeltio


Nella mitologia greca, Ofeltio era il nome di diversi eroi che si distinsero durante la guerra di Troia.

Nel regno di Troia vi era Paride, uno dei tanti figli di Priamo, egli si innamorò di Elena moglie di Menelao, e la rapì. Quando il marito della donna chiese aiuto a suo fratello Agamennone, gran re greco, scoppiò la guerra fra i due regni.

Ofeltio fu uno sei prodi soldati a combattere contro Ettore, e per mano sua a trovare la morte.

Ofione


Nella mitologia greca, Ofione era il nome di uno dei Titani, che insieme ad Eurinome regnò sul mondo prima di Crono.

Crono e Rea li sconfissero prendendo le loro terre e loro fuggirono nel mare. Nel nuovo territorio trovarono accoglienza ospitale in Teti la futura madre di Achille.

Secondo altri autori Crono nella lotta fece precipitare i due nel Tartaro.

Ogigo


Nella mitologia greca, Ogigo o Ogige era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ogigo, figlio di Beoto e forse padre di Cadmo e Fenice. Fu lui il primo re di Tebe. Diede il nome all'isola Ogigia, secondo alcune versioni durante il suo regno ci fu un diluvio, ma non lo stesso di Deucalione. Ebbe diverse figlie Alalcomenea, Aulide e Telsinia.
* Ogigo, padre di Eleusi;
* Ogigo, secondo una versione minore era tale il nome del re dei Titani, sconfitto in battaglia da Zeus.

Oicle

Oicle, a volte anche Oicleo, era un personaggio della mitologia greca figlio di Antifate. Aveva sposato Ipermnestra discendente della omonima danaide che aveva sposato Linceo. Da questa unione aveva avuto un eroe-indovino Anfiarao. Lui stesso discendeva dall'indovino Melampo. Oicle accompagna Eracle nella sua guerra contro Troia.

Oileo

Nella mitologia greca, Oileo il locrese, padre di Aiace di Locride, era uno degli Argonauti.

Quando Giasone inviò gli araldi a chiedere aiuto a tutti i grandi dell’epoca, per salpare con lui per la Colchide, uno degli eroi che rispose all’appello fu il prode Oileo.

Le avventure degli Argonauti

Durante le avventure degli Argonauti, nelle vicinanze della piccola isola del dio Ares, uno stormo di uccelli si volse in direzione della nave.

Arrivati vicino alla nave Argo, l’attaccarono con piume di bronzo ferendo Oileo alla spalla. Allora tutti si misero subito degli elmi sulla testa e gridarono facendo fuggire le bestie, mentre metà di loro remavano i rimanenti li proteggevano con scudi.

Progenie


Oileo da Eriopide ebbe un figlio, Aiace di Locri, mentre dalla ninfa Rene ebbe Medonte, entrambi parteciparono alla guerra di Troia.

Oineo

Oineo o Eneo è una figura della mitologia greca.

Era re di Calidone, figlio di Parteone, marito di Altea e padre di Deianira, Meleagro e Melanippo. Introdusse la pratica della vinificazione in Etolia che aveva appreso da Dioniso. Fu deposto dai figli di suo fratello, ma Diomede lo riportò al potere.

Dimenticatosi di offrire ad Artemide i sacrifici primaverili, scatenò le ire della dea che, offesa dal comportamento, mandò il cinghiale di Calidone a devastare le campagne.

Da Peribea ebbe il figlio Tideo.

Oinotrope


Elaide dal greco antico ἔλαιον (élaion) olio. Nella mitologia greca, Elaide, Eno e Spermo, dette le Oinotrope (o le Vignaiole) erano le tre figlie del figlio di Apollo Anio e di sua moglie Driope (o Dirippa). Avevano avuto in dono dal dio Dioniso il potere di produrre olio, vino e grano in quantità infinita; i loro nomi si riferiscono per l'appunto a questi tre beni (rispettivamente all'olio Elaide, al vino Eno e al grano Spermo). Grazie a questa dote delle sue figlie, Anio poteva soddisfare le richieste di rifornimenti dei greci in partenza per la guerra di Troia. Agamennone tentò di rapirle per portarle con sé in guerra, ma le giovani furono salvate da Dioniso, che le salvò trasformandole in colombe bianche.

Oleno

Nella mitologia greca, Oleno era il nome di uno dei figli di Anasitea e di Zeus.

Era un poeta e sacerdote di Apollo.

Inoltre con il come Oleno vi è anche una città compresa nelle Città-Stato greche. Nel Catalogo delle navi si narra che da tale città e altre partrirono 2.638 Etoli a bordo di 40 navi. Il loro comandante era Toante.

Onfale


Onfale è un personaggio della mitologia greca. Era la regina della Lidia, figlia del fiume Iardano (o Iardane).

Eracle per tre anni fu schiavo di Onfale, che da lui generò quattro figli: Illo, Agelao, Lamo e Tirseno (o Tirreno a seconda dei mitografi).

La sottomissione di Eracle è sottolineata dal fatto che egli fu obbligato a vestirsi da donna e umiliato a filare la lana, mentre Onfale si vestiva della pelle di Leone di Eracle.

Oniro


Oniro nella mitologia greca è la personificazione del sogno. Figlio della Terra e della Notte non possiede una personalità ben definita venendo spesso confuso con il Sonno, Hypnos. Nei culti oracolari Oniro, grazie al rito dell'incubazione, faceva da tramite tra il volere divino ed il fedele attraverso il sogno, trovando la sua collocazione adeguata.

Opite

Opite, figura mitologica dell'Iliade, fu un guerriero acheo.

Opite fu ucciso da Ettore in un'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle Gesta di Agamennone.

Opo
(mitologia)

Nella mitologia greca, Opo era il nome di uno dei figli di Locro e di Protogenia .

Opo è uno dei re degli Epei uno dei regni dell’Elide, divenne con il tempo un eroe popolare.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 16:52
 
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Opsicella

Opsicella è un personaggio della mitologia greca. Fu compagno del troiano Antenore durante la fuga da Troia distrutta dagli Achei e assieme a lui risalì l'Adriatico ed il Medoacus (l'attuale Brenta). Separatosi da Antenore, secondo la leggenda, fondò la città di Monselice. Ripreso quindi il suo viaggio giunse in Biscaglia dove avrebbe fondato un'altra città dandole il suo nome.

Ad Opsicella è dedicata una delle statue presenti in Prato della Valle a Padova eretta per volere degli abitanti di Monselice nel 1777. Eseguita da Pietro Danieletti, la statua tiene in mano il bastone del comando e ai piedi vi sono uno scudo e una faretra.

Orazio

Eroe romano che nel 507 a. C. si oppose sul ponte Sublicio, da solo, all'esercito di Porsenna che voleva riportare la famiglia di Tarquinio il Superbo al trono. Rimase zoppo in seguito a una ferita alla coscia riportata durante l'azione. Era un discendente di Publio Orazio. Il popolo si era rifugiato dietro le mura della città, il Gianicolo era già stato preso dagli Etruschi, era perciò indispensabile distruggere il ponte. Orazio insieme a Spurio Larzio e a Tito Erminio tennero a bada il nemico fino a che tutti fossero passati, poi Orazio allontanò anche i due compagni e il ponte crollò. Si lanciò nelle acque del Tevere dove, secondo Polibio, perì, mentre secondo la tradizione più tarda (Livio, Plutarco), si salvò a nuoto. La repubblica riconoscente gli fece dono di tanta terra quanta fosse stato capace di arare in un giorno solo e gli avrebbe innalzato una statua nel Comitium nella quale il valoroso sarebbe stato rappresentato guercio e zoppo; da ciò il soprannome di Cocles (Coclite).

Ore

Le Ore (o Stagioni) sono una figura della mitologia greca; erano figlie di Zeus e di Temi.

Le Ore erano sorelle delle Moire e venivano considerate le portinaie dell'Olimpo.

In origine erano tre e simboleggiavano il regolare scorrere del tempo nell'alterna vicenda delle stagioni (primavera, estate ed autunno fusi insieme, inverno); poi ne fu aggiunta una quarta (allusione all'autunno); in epoca romana finirono col personificare le ore vere e proprie, divenendo 12 e da ultimo 24. Le ore si presentano in duplice aspetto:

* in quanto figlie di Temi (l'Ordine universale) assicuravano il rispetto delle leggi morali;
* in quanto divinità della natura presiedevano al ciclo della vegetazione
.

Questi due aspetti spiegano i loro nomi:

* Eunomia, la Legalità;
* Diche, la Giustizia;
* Irene, la Pace;

oppure:

* Tallo, la Fioritura primaverile;
* Auso, il Rigoglio estivo;
* Carpo, la Fruttificazione autunnale.

Le Ore sorvegliavano le porte della dimora di Zeus sull'Olimpo (le aprivano e le richiudevano disperdendo o accumulando una densa cortina di nuvole), servivano Giunone - che avevano allevata -, attaccavano e staccavano i cavalli dal suo cocchio e da quello di Elio; inoltre facevano parte del corteo di Afrodite - insieme con le Cariti - e di Dioniso.

Gli antichi le rappresentavano come leggiadre fanciulle stringenti nella mano un fiore o una pianticella, immaginandole peraltro brune ed invisibili con riferimento alle ore della notte; ma, se si eccettua un presunto matrimonio di Carpo con Zéfiro, non ne fecero le protagoniste di alcuna leggenda. Le onoravano con un culto particolare ad Atene (dove fu loro consacrato un tempio), ad Argo, a Corinto, ad Olimpia.

Oresbio

Nella mitologia greca, Oresbio fu uno dei guerrieri achei che parteciparono alla guerra di Troia, unendosi alle immense forze schierate da Agamennone e Menelao contro la città di re Priamo.

Oresbio viveva ad Ile, città della Beozia, sulle rive del lago Copaide, ad ovest di Tebe (Omero lo cita come lago Cefíside o Cefiso, confondendolo col fiume suo affluente), prosperando in ricchezza e benessere e curando attentamente suoi beni. Era soggetto alla giurisdizione di Peneleo, sovrano della Beozia, che, come riferito, vantava il pieno controllo sulla città di Ile.

Morte

Si unì all'esercito comandato dal suo sovrano, giunto a Troia con una flotta di quaranta navi, ciascuna contenente centoventi guerrieri a bordo. Tra i suoi beni, Oresbio vantava una lucente armatura dorata che molto risaltava in battaglia ma che, purtroppo, non riuscì a proteggerlo dalla morte, descritta nel libro V dell'Iliade. Cadde ucciso per metà da un dio e per metà da un mortale: fu infatti Ettore, sostenuto da Ares in persona, a massacrarlo insieme ad altri suoi compagni che, terrorizzati alla vista del dio della guerra sul campo di battaglia, si lasciarono cogliere da un umano timore.

Oreste
(Troia)

Oreste, (greco, Ὀρέστης), figura mitologica dell'Iliade, è il nome portato da due combattenti di opposto schieramento nella guerra di Troia, l'uno acheo e l'altro troiano.

L'Oreste acheo, noto per le sue qualità nel domare i cavalli, venne ucciso dall'eroe troiano Ettore, assistito da Ares.

Il secondo Oreste fu ucciso dall'acheo Leonteo durante l'assalto alle mura di Troia.

Oreste (mitologia)

Nella mitologia greca, Oreste è figlio del re Agamennone e di Clitennestra e fratello di Ifigenia ed Elettra.

La sua leggenda si è particolarmente arricchita insieme a quella della sorella Ifigenia. Il suo ruolo di vendicatore del padre era già conosciuto nei poemi omerici, sebbene Omero non cita l'episodio dell'uccisione della madre Clitennestra, del tutto estranea alla vicenda.
Il suo ruolo assunse eccezionale importanza soprattutto col tragediografo Eschilo, che dedica alla sua storia due tragedie, tratte entrambe da un'unica trilogia, l'Orestea.

Oreste è ancora molto giovane quando Agamennone di ritorno dalla guerra di Troia viene assassinato dall'amante della madre, Egisto.

Elettra, preoccupata per la sorte del fratello, lo affida alle cure dello zio Strofio, re della Focide. Diventato adulto, Oreste decide di tornare in patria, per assolvere il compito affidatogli dall'oracolo di Delfi. In compagnia del cugino Pilade, torna ad Argo e vendica la morte del padre, uccidendo Egisto e Clitennestra.

Reso pazzo dal matricidio, Oreste viene perseguitato dalle Erinni e giunge ad Atene. Qui subisce un processo, dal quale viene assolto, grazie all'intervento di Atena.

Sugli eventi, però, vi sono diverse versioni. Omero, secondo la tradizione greca, narra che le Erinni o Furie (il cui compito era di punire i gravi delitti e anche il poeta Stesicoro, che nella sua Oresteia ambienta questi avvenimenti a Sparta) lo assalirono ma Apollo diede ad Oreste un arco con cui scacciarle lontano.

Eschilo ed Euripide narrano invece che le Furie fecero impazzire Oreste immediatamente dopo la morte della madre e lo perseguitarono senza tregua. Prima della pazzia, secondo altri autori, Oreste fu giudicato a Micene per volere di Tindareo, padre di Clitemnestra. Eace, che ancora odiava Agamennone per la morte di Palamede, chiese l'esilio di Oreste. Ma, secondo Euripide, Oreste ed Elettra vennero condannati a morte. Furono salvati da Menelao il quale, costretto da Apollo, convinse la gente di Micene ad accontentarsi di punire i due fratelli con un anno d'esilio.

Secondo Eschilo, invece, vi fu un processo ad Atene dove Apollo (che sarebbe stato l'ispiratore dell'assassinio dei due amanti) ebbe il ruolo di difensore di Oreste mentre le Erinni quello delle accusatrici. I voti della giuria furono pari e la dea Atena, in quanto presidente dell'Areopago (l'antico tribunale fondato dagli dei dopo la morte di Alirrozio, figlio di Poseidone), diede il suo voto in favore di Oreste, giudicando la morte della madre meno importante di quella del padre.

Ma nemmeno allora le Furie abbandonarono Oreste. Allora Apollo gli disse che per trovare pace doveva recarsi nella terra dei Tauri nel Chersoneso, rubare l'antica statua lignea di Artemide e poi recarsi in un luogo ove scorreva un fiume formato da sette sorgenti. Nel Chersoneso, quando vi giunse insieme a Pilade, venne catturato e, come tutti gli stranieri, preparato per il sacrificio ad Artemide.

Sacerdotessa del tempio era Ifigenia, sorella di Oreste la quale, riconosciuto il fratello, ingannò Toante, re dei Tauri, dicendogli che i nuovi arrivati dovevano essere lavati nel mare poiché accusati di matricidio e chiese anche alla popolazione di non assistere al rito. Ciò servì ai tre per fuggire, con la statua di Artemide, navigando verso la Grecia. Toante lì inseguì ma venne sconfitto.

Dopo tante peregrinazioni giunsero in Sicilia e poi nell'Ausonia (come si chiamava anticamente la Piana di Gioia Tauro) e qui Oreste approdò alla foce del fiume Metauros (oggi Petrace) indicato dall'oracolo di Delfi. Questo è tutt'oggi un fiume alimentato da sette sorgenti. Appena vi si immerse Oreste riacquistò il senno.

Al ritorno gli spettò il trono di Micene ed Argo (dopo avere ucciso il fratellastro Alete) e alla morte di Menelao anche quello di Sparta. Pilade sposò Elettra e Ifigenia divenne sacerdotessa di Artemide in Grecia.

Orfeo


Orfeo è una figura della mitologia greca. Su di lui si basa la religione orfica.

La storia


Secondo le più antiche fonti Orfeo è nativo della Tracia, terra lontana e misteriosa, nella quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci di provocare uno stato di trance tramite la musica.

Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro, o, secondo altre versioni, del dio Apollo, appartiene alla generazione precedente l'epoca della religione greca classica.

Gli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo.

Egli fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli inferi della Kore.

La letteratura, d'altra parte, mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto; tornato dagli inferi, Orfeo abbandona il culto del dio Dioniso rinunciando all'amore eterosessuale, "inventando" così per la prima volta nella storia l'amore omosessuale. In tale contesto si innamora profondamente di Calais, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai Traci. Per questo motivo, le baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi (vedi: Fanocle). Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di Virgilio la causa della sua morte è invece da ricercarsi nella rabbia delle baccanti per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.

Le imprese di Orfeo

Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti: quando la nave Argo passò accanto all'isola delle Sirene, i marinai furono irretiti dal loro canto, ma Orfeo li salvò intonando un canto ancora più melodioso che ruppe l'incantesimo.

Ma la sua fama è legata soprattutto alla tragica vicenda d'amore che lo vide unito alla ninfa Euridice: Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso. Orfeo penetrò allora negli inferi incantando Caronte con la sua musica. Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Persefone, commossa dal suo dolore e sedotta dal suo canto, persuase Ade a lasciare che Euridice tornasse sulla terra. Ade accettò, ma ad un patto: Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino alla porta dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, e credendo di esser già uscito dal Regno dei Morti, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e si voltò, per vedere Euridice scomparire all'istante e tornare tra le Tenebre per l'eternità. Orfeo, secondo il mito, da allora rifiutò il canto e la gioia, offendendo le Menadi, seguaci di Dioniso che lo uccisero e lo dilaniarono, si nutrirono di parte del suo corpo e ne gettarono la testa nell'Erebo. La testa scese fino al mare e da qui all'isola di Lesbo, dove la testa fu sepolta nel santuario di Apollo. Il corpo venne seppellito dalle Muse ai piedi dell'Olimpo. La sua lira venne invece infissa nel cielo, e formò una costellazione.

Un'altra versione, più drammatica e commovente, parte dalle stesse premesse: Euridice muore uccisa da un serpente mentre scappa dalle grinfie di Aristeo. Orfeo decide allora di andarla a riprendere. Dunque, trova a Cuma la discesa per gli Inferi. Giunto lì incanta Caronte, Cerbero e Persefone. Ade acconsente a patto che egli non si volti fino a che entrambi non siano usciti dal regno dei morti. Insieme ad Hermes (che deve controllare che Orfeo non si volti), si incamminano ed iniziano la salita. Euridice, non sapendo del patto, continua a chiamare in modo malinconico Orfeo, pensa che lui non la guardi perché è brutta, ma lui, con grande dolore, deve continuare imperterrito senza voltarsi. Appena vede un po' di luce, Orfeo, capisce di essere uscito dagli Inferi e si volta. Purtroppo, però, Euridice ha accusato un dolore alla caviglia morsa dal serpente e, dunque, si è attardata... Quindi, Orfeo ha trasgredito la condizione posta da Ade. Solo ora Euridice capisce e, all'amato, sussurra parole drammatiche e struggenti: «Grazie, amore mio, hai fatto tutto ciò che potevi per salvarmi». Si danno poi la mano, consapevoli che quella sarà l'ultima volta. Drammatica anche la presenza di Hermes che, con volto triste ed espressione compassionevole, trattiene Euridice per una mano, perché ha promesso ad Ade di controllare ed è ciò che deve fare. Orfeo vede ora scomparire Euridice e si dispera, perché sa che ora non la vedrà più. Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un gruppo di Baccanti ubriache, poi, lo invita partecipare ad un'orgia dionisiaca. Per tener fede anche lui a ciò che ha detto, rinuncia, ed è proprio questo che porta anche lui alla morte: le Baccanti, infuriate, lo sbranano e gettano la sua testa nel fiume Evros, insieme alla sua lira. La testa cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo evento commovente, prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione.

Il mito di Orfeo nasce forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del riscatto della Kore dagli inferi e dello σπαραγμος (dal greco antico: corpo fatto a pezzi) che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il riportare la vita sulla terra dopo l'inverno.

I riferimenti al mito nella letteratura greca arcaica e classica sono pochi, tanto che alcuni degli elementi essenziali della vicenda compariranno e verranno approfonditi solo dalla letteratura latina in poi. Due autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio.

Nel discorso di Fedro, contenuto nell'opera "Simposio", Platone inserisce Orfeo nella schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per questa ragione gli viene consegnato dagli dei degli inferi un phasma di Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti poiché il suo eros è falso come il suo logos.

La sua stessa morte ha carattere anti-eroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza che può essere conseguita solo tramite le forme superiore dell'eros.

Apollonio Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche presentandolo come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. il ruolo attribuito ad Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini: attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra gli argonauti cantando una personale cosmogonia.

Orione

Abile cacciatore, figlio d'Euriale e di Poseidone, oppure di Irieo. Lo si diceva anche nato dalla terra, come quasi tutti i giganti.
Irieo, fondatore di Iria in Beozia, non aveva una discendenza, e un giorno, dopo aver accolto con grande ospitalità Zeus, Ermete e Poseidone, chiese loro un rimedio al suo problema. Gli dissero di prendere la pelle d'un toro che aveva sacrificato e, dopo averla bagnata della sua orina, di bruciarla. Nove mesi dopo, nel luogo dove avvenne il rito, nacque un bambino che Irieo chiamò Orione che ben presto si rivelò essere un gigante. Era bellissimo e così alto che poteva camminare sul fondo del mare tenendo la testa e le spalle fuori dell'acqua. Ebbe molte amanti. Sua moglie Side gli generò le Coronidi, Menippe e Metioche; ma, fiera della propria bellezza, osò rivaleggiare con Era, e fu gettata nel Tartaro. Orione dunque si recò a Chio, dove il re Enopione gli promise la mano della figlia Merope se avesse ucciso tutte le belve che infestavano l'isola. Il re non onorò poi la sua promessa. Una sera Orione, amareggiato, bevve un otre del vino di Enopione e tanto si riscaldò che irruppe nella camera di Merope e le usò violenza. Quando spuntò l'alba, Enopione invocò il padre suo Dioniso che incaricò i Satiri di offrire altro vino a Orione, finché il giovane cadde addormentato. Allora Enopione, dopo averlo accecato, lo gettò sulla riva del mare. La Pizia rivelò ad Orione che avrebbe recuperato la vista se avesse potuto volgere le orbite ad Elios sorgente dall'Oceano. Il povero gigante riuscì a raggiungere Lemno, e alla fucina di Efesto chiese al giovane Cedalione di mettersi sulle sue spalle e di guidarlo. Cedalione guidò Orione per mare e per terra finché giunse alla spiaggia più remota dell'oceano, dove con il viso volto verso il sole nascente riconquistò la vista. Tornò a Chio e cercò di uccidere Enopione, ma non riuscì a trovarlo, poiché egli si era nascosto in una camera sotterranea preparata per lui da Efesto.
Credendo che Enopione si fosse nascosto da Minosse, andò a Creta e non trovandolo neanche là, si mise a cacciare in compagnia di Artemide ma Eos, la dea dell'Aurora, s'innamorò di lui. Gli dèi, e soprattutto Artemide, non approvavano che una dea avesse un amante mortale e sull'isola di Delo, proprio dov'era nata, Artemide uccise Orione con le sue frecce. Morì per aver osato sfidare la dea al lancio del disco, oppure perché aveva osato violentare una delle accompagnatrici di Artemide, la vergine iperborea Opide, oppure perché cercò di usare violenza alla stessa Artemide che lo uccise per mezzo di uno scorpione. Forse Artemide fu spinta a eliminarlo nel timore che uccidesse tutti gli animali della terra, oppure, secondo una versione completamente contraddittoria, aveva deciso di sposarlo ma il fratello Apollo le tese un tranello e indicandole un oggetto lontano nel mare la provocò dicendole che non sarebbe riuscita a colpirlo. Artemide lanciò e colpì, ma si trattava della testa di Orione che camminava nel mare. Addolorata per la disgrazia mise l'amato in cielo chiamando con il suo nome una costellazione.
Un'altra storia ancora diversa sulla costellazione di Orione narra che il gigante vide in Beozia le Pleiadi, figlie di Atlante e di Pleione, le inseguì con intenti amorosi. Le Pleiadi fuggirono attraverso i campi della Beozia finché gli dèi, mutatele in colombe, ne immortalarono le immagini tra le stelle. Ecco perché in cielo sembra che Orione le stia inseguendo.


Oritaone


Nella mitologia greca, Oritaone era un guerriero troiano vissuto al tempo di re Priamo, sotto il cui regno avvenne la guerra di Troia. Le sue gesta sono narrate nel libro III del Posthomerica di Quinto Smirneo.

Oritaone era un fiero combattente di schieramento troiano, stretto compagno di Ettore a cui sopravvisse per alcuni giorni. Per aspetto e carattere, Oritaone era assai simile ad una divinità.

La morte


Oritaone fu una delle sventurate vittime di Achille morente; ferito e schernito dal dio Apollo, l'eroe comprese che la sua breve vita era giunta al termine e, impazzito d'ira e dolore, si abbatté sulle orde troiane meditando una strage. Per primo, trapassò con la lancia le tempie di Oritaone sfondandogli l'elmo e le ossa del cranio; la punta dell'asta recise i nervi e spappolò il cervello del guerriero, provocandone la morte immediata.

Oritaone perse la vita per mano dell'assassino del suo stesso compagno.

Orizia 1

Figlia di Eretteo, re d'Atene, e di Prassitea.
Un giorno, mentre Orizia giocava con le compagne sulle rive del fiume Ilisso, Borea, figlio di Astreo e di Eos, se la portò via su un picco roccioso presso il fiume Ergine, dove le usò violenza. Borea amava Orizia da molto tempo e più volte aveva chiesto la sua mano, ma Eretteo l'aveva tenuto a bada con vane promesse. Infine Borea, spazientito, si era abbandonato alla sua naturale violenza. Altri invece dicono che Orizia reggeva un cesto di primizie durante l'annuale processione delle Tesmoforie, che si svolge lungo le pendici dell'Acropoli fino al tempio d'Atena Poliade, allorché Borea la rapì, senza essere visto dalla folla raccolta lì attorno. La condusse nella città dei Ciconi in Tracia, dove Orizia divenne sua moglie e gli generò due gemelli, Calaide e Zete. Ad essi, quando raggiunsero la maturità, spuntarono le ali. Presero parte alla spedizione degli Argonauti e svolsero una funzione importante quando, al momento dello scalo presso il re Fineo, inseguirono le Arpie che perseguitavano questo re e le obbligarono a promettere, per il futuro, di lasciare Fineo in pace.
Orizia ebbe da Borea anche due figlie: Chione che generò a Poseidone un figlio, Eumolpo, ch'ella gettò in mare, ma che fu salvato dal padre; e Cleopatra che sposò re Fineo, vittima delle Arpie.

Orizia 2

Mitica regina delle Amazzoni, al tempo in cui Eracle lottò contro di esse e molte ne uccise e parecchie fece prigioniere, fra cui Antiope, sorella della regina, che spettò come parte del bottino a Teseo che partecipava alla spedizione di Eracle.
Orizia giurò di vendicarsi di Teseo e strinse un patto di alleanza con gli Sciti, guidò un forte esercito di Amazzoni sulla superficie gelata del Bosforo Cimmerio, attraversò il Danubio e passò in Tracia, in Tessaglia e in Beozia. Giunta ad Atene, si accampò sull'Areopago e sacrificò ad Ares. Orizia ordinò poi a un distaccamento di invadere la Laconia per scoraggiare ogni tentativo dei Peloponnesiaci di portare rinforzi a Teseo attraverso l'istmo.
Le forze ateniasi erano già riunite, ma né l'una né l'altra parte osava dare inizio alle ostilità. Infine Teseo attaccò battaglia: l'ala destra di Teseo piombò sull'ala sinistra avversaria, ma fu messa in rotta e costretta a ritirarsi fino al Tempio delle Furie; l'ala sinistra dello schieramento ateniese invece sferrò l'assalto e respinse le Amazzoni nei loro accampamenti, infliggendo loro gravi perdite. Taluni dicono che le Amazzoni chiesero la pace soltanto dopo quattro mesi di asprissima lotta; ma altri dicono che Antiope, ormai moglie di Teseo, si battè eroicamente al suo fianco, finché fu uccisa da un dardo di Molpadia; che Orizia con poche compagne fuggì a Megara, dove morì di dolore; e che le Amazzoni superstiti, respinte dall'Attica, si stabilirono in Scizia.


Ormeno


Nella mitologia greca, Ormeno era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo soprattutto troiani morti in guerra:

* Ormeno, combattente a difesa di Troia, fu una delle prime vittime di Teucro, il temibile arciere
* Ormeno, soldato troiano ucciso da Polipete, figlio di Piritoo
* Ormeno, dalla cui discendenza proveranno Amintore (suo figlio) e Fenice (suo nipote).

Ornizione

Ornizione (in greco Ὀρνυτίων) nella mitologia greca era uno dei figli di Sisifo[1] e della pleiade Merope. Era chiamato anche Ornito ma da non confondere con gli omonimi guerrieri.

Il suo nome significa "uccello della luna" o "uccellino". La derivazione del nome ai volatili la si deve al fatto che vi era un credo diffuso riguardante gli uccelli nella vecchia Daulide (in seguito chiamata Focide).

Si racconta di lui come padre di Foco, anche se in realtà era stato Poseidone a ingravidare la compagna, fu lui a dare il proprio nome alla Focide. Fu capostipite della linea Toante-Foco e Dorida-Iantida, fu re di Corinto dove suo orgoglio era una mandria di bestiame che pascolava sull'istmo. Lottò a lungo per conquistare la Dafnia appoggiato dai locresi d'Oponte. Gli successe al trono il secondo figlio, Toante.

Oro (mitologia)

Nella mitologia greca, Oro è il nome di tre personaggi:

1. Uno dei cinquanta figli di Licaone, re d'Arcadia, e Melibea.
2. Un guerriero acheo, citato nel libro XI dell'Iliade, ucciso da Ettore.
3. Il corrispettivo greco della divinità egizia Horo o Horus.

Oro, guerriero acheo


Omero non dà alcuna indicazione sulla nazionalità di Oro, né riferisce patronimico o parentela; Oro viene ucciso da Ettore quando questi, avvertito da Apollo della fuga di Agamennone, si scaglia sugli Achei sperando di metterli in fuga verso le loro navi.

Orsiloco

Nella mitologia greca, Orsiloco era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia,la guerra raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Orsiloco, figlio di Diocle, fratello di Cretone, abile guerriero acheo ucciso da Enea.
* Orsiloco, soldato troiano ucciso da Teucro con il suo arco.

Orteo

Orteo, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Orteo partecipò all'azione bellica descritta nel libro VI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Ossilo

Nella mitologia greca, Ossilo era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ossilo, uno dei figli di Ares , il dio della guerra e di Protogenia che a sua volta era figlia di Calidone e Eolia.
* Ossilo, figlio di Oreio, ebbe una relazione con la propria sorella Amadriade che si concluse con il matrimonio fra i due, dalla loro unione nacquero vari figli dove ognuno aveva il nome che ricordava un dato albero.
* Ossilo, figlio di Emone e nipote di Toante.

Ossilo (Emone)

Nella mitologia greca, Ossilo era il nome di uno dei figli di Emone o Andremone.

Ossilo, uno dei discendenti di Etolo e viveva tranquillamente nell’Elide ma un giorno dovette abbandonare la sua terra per cercare di purificarsi. Tale infatti era l’usanza per gli assassini anche se nel suo caso fu un incidente: mentre gareggiava con il lancio del disco uccise lanciandolo una persona, il fratello Termio. Nei suoi viaggi giunse al golfo di Corinto, poi compiuto il rito, dopo un anno esatto dalla partenza, durante il ritorno in patria incontra gli eraclidi e ne diventa il capo.

Il trioculo

Tempo addietro un indovino chiamato Carno aveva predetto ai figli di Eracle che la guerra nel Peloponneso che volevano compiere sarebbe stata un disastro, Ippote stanco di sentire le sue infauste profezie lo uccise. Le conseguenza furono tragiche: la flotta naufragò e una carestia colpì le truppe. Temeno cercando di risolevvare le sorti chiese consiglio all'oracolo che sentenziò che il loro nuovo capo dovesse avere tre occhi. Lo cercarono in ogni luogo fino a quando videro Ossilo a cavallo di un mulo con un occhio solo, apparendo quindi come un trioculo.

L'impresa

Con un nuovo capo tentarono di nuovo l'impresa fallita più volte: riuscirono ad uccidere Tisameno, figlio di Oreste e conquistarono parte del territorio, li guidò poi via mare e non attrversò l'istmo a piedi. In cambio di tutti i servigi chiese come ricompensa l'Elide. A questo punto esistono vari racconti che si differiscono: c'è chi ha affermato che gli Eraclidi opposero resistenza a tale ricatto mentre Strabone afferma che ottenne ciò che desiderava e mosse subito guerra agli Epei, il cui comandante era Eleio mentre Pausania afferma che una volta conquistata la terra concesse ai vinti di ritornare. La guerra fu vinta grazie ad una disputa fra soli due guerrieri scelti: Digmeno e Pirecme.

I successori

Pausania e Strabone differenziano per quanto riguarda gli eventi successivi alla sua morte. Ebbe una moglie, chiamata Pieria dalla quale nacquero due figli Etolo e Laia. Il primo morì giovane e il secondo successe al padre.


Ossinio


Nella mitologia greca, Ossinio o Ossimo era il nome di uno dei figli di Ettore e di Andromaca.

Ettore era il figlio di Priamo che durante la guerra di Troia dovette difendere il regno dagli invasori achei. Da sua moglie ebbe un figlio Astianatte, ma secondo un'altra versione dei miti ebbe anche un altri figlio, Ossinio.

Secondo tale versione i due figli sopravvissero alla guerra, grazie all'aiuto del nonno paterno. Cresciuti nella Lidia sotto mentite spoglie, tornarono una volta adulti e videro lo sfacelo della città dove li aveva visti nascere: allora decisero di fondare una nuova città, e in seguito un nuovo regno.

Oto (Iliade)

Oto, di Cillene era un capo epeo citato nell'Iliade nel libro relativo al Contrattacco dalle navi.

Oto fu ucciso da Polidamante nell'azione bellica descritta nel libro XV dell'Iliade.

Otreide

Nella mitologia greca, Otreide era una ninfa dei boschi, che fu amata sia da Zeus che da Apollo. Dal primo ebbe un figlio, di nome Meliteo, che Otreide espose nel bosco, per timore delle gelosie di Era. Il fanciullo fu allevato per ordine di Zeus da uno sciame d'api.

Dal secondo ebbe invece un pastore di nome Fegro, che raccolse il fratellastro nel bosco per poi allevarlo in casa sua fino alla sua maturità.

Otreo

Nella mitologia greca, Otreo è il nome di due personaggi, che fanno da contorno ad importanti episodi mitologici.


Il nome di Otreo può riferirsi:

* Otreo, un personaggio secondario all'interno della vicenda degli Argonauti. Questo Otreo, fratello di un re Mariandino, chiamato Lico, era stato ucciso da un brigante locale, Amico, figlio del dio Poseidone. Deciso a vendicare il fratello, Otreo aizzò contro di lui gli Argonauti, i quali erano giunti al suo cospetto durante il loro viaggio alla ricerca del Vello d'oro. Grazie alla forza di Polluce, uno dei viaggiatori, Amico venne sconfitto e la morte di Otreo vendicata.
* Otreo, un re frigio, figlio di Dimante, e quindi fratello di Ecuba, regina di Troia. La sua figura è appena nominata nell'Iliade.

Otrera

Nella mitologia greca, Otrera (o Otrere), era la regina delle Amazzoni, amante del dio Ares e madre di Pentesilea, Ippolita, Antiope, Lisippe e Melanippe.

Otrera, il di cui padre si chiamava Are, a volte è considerata come il mitologico fondatore del tempio di Artemide in Efeso.

Altre volte invece è considerata come la madre della Amazzoni e colei che ha fondato il regno delle Amazzoni, anche se troviamo alcuni miti precedenti alla sua vita, che parlano di Amazzoni.

Successione

Alla sua morte le successe come capo di tutte le donne guerriere sua figlia Ippolita e dopo di lei l'altra figlia Pentesilea.

Otrioneo

Nella mitologia greca, Otrioneo fu uno degli eroi troiani della guerra di Troia narrata nell’Iliade.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 16:58
 
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Pafo (mitologia)

Pafo, nella mitologia greca, è il figlio di Pigmalione, re di Cipro, e di Galatea, una statua della dea Afrodite. Galatea fu resa viva da Afrodite per esaudire la preghiera di Pigmalione che si era innamorato della statua che aveva scolpito lui stesso. La storia è narrata da Ovidio e, poi, con qualche variante dallo scrittore cristiano Arnobio.

Palamede

Palamede è un personaggio della mitologia greca, figlio di Nauplio e Climene. Re dell’isola di Eubea, esperto nell’arte bellica e valoroso guerriero.

Le origini di Palamede sono discusse e ricche di contraddizioni. Suo padre è generalmente identificato in Nauplio il Giovane, così definito per distinguerlo dall'omonimo antenato figlio di Poseidone. Non mancano tuttavia mitografi che assegnano la paternità

Palamede dimostrò il suo ingegno smascherando Ulisse il quale, per non partire per la guerra di Troia, si era finto pazzo. Ulisse infatti seminava sulla riva del mare e arava la sabbia. Palamede prese in braccio il piccolo Telemaco, figlio di Ulisse e lo depose davanti all'aratro: Ulisse alzò immediatamente il vomere per non colpire il bambino e così Palamede capì che Ulisse era perfettamente lucido. Da allora però Ulisse meditò come vendicarsi di Palamede. Sotto consiglio di Palamede venne lapidata Epipola, una giovane mascheratasi da uomo per salvare il padre anziano dalla guerra. Più volte aiutò l'esercito degli Achei, inventando dei passatempi per distrarsi dalla guerra o fornendo anche veri e propri viveri per nutrirsi. Ciò attirava su di lui la gran parte dell'ammirazione dei soldati e soprattutto dei capi achei, in particolar modo Agamennone. Ulisse introdusse nella tenda di Palamede una grossa somma di denaro e una falsa lettera di Priamo che ringraziava il greco per le notizie riferite. Andò a denunciarlo come traditore presso Agamennone: l’assemblea dei Greci, viste le prove, condannò l’eroe che fu lapidato. Secondo un’altra tradizione fu ucciso da Ulisse e Diomede mentre era intento a pescare. Un'altra versione raccontava in modo diverso la sua fine: venne infatti ucciso con una freccia per opera di Paride.

La sua figura e le sue vicende acquisirono notorietà ad Atene poiché furono oggetto di una tragedia perduta di Euripide che venne rappresentata nel 415 a.C.

Palamede fu considerato eroe più ingegnoso di Ulisse: aveva inventato il faro, i pesi, le misure, le lettere doppie dell’alfabeto, i numeri, gli scacchi, i dadi. Fu oggetto di studio del sofista Gorgia che lo prese a simbolo filosofico, con implicazioni giuridiche dell’impossibilità di dimostrare ciò che non è accaduto. Allo stesso modo, viene citato sia nell'Apologia di Socrate che nell'Apologia Senofontea.

Palamone

Nella mitologia greca, Palamone era il nome di uno dei figli di Metione.

Secondo una versione del mito era il padre di Dedalo, altre riportano altri padri: Eupalamo o il di lui figlio Metione.

Pale

Dea campestre venerata dai Romani. Sembra che il suo nome derivi da parere (generare). Le era sacro il 21 aprile nel quale si celebrava la sua festa, chiamata Palilia (o Parilia): in tale data sarebbe avvenuta pure la fondazione di Roma da parte di Romolo. In quella ricorrenza i pastori e il bestiame si purificavano saltando tre volte su fuochi di paglia e di sterpi, veniva chiesto perdono per le profanazioni recate involontariamente ai boschi e alle fonti e si pregava per la prosperità delle greggi; Ovidio fa una compiuta descrizione delle palilie nei Fasti (IV, 721 e sgg.).
A Pale erano dovuti sacrifici incruenti di latte e di focacce.

Palici

Divinità sotterranee, protettrici della zona vulcanica della piana di Catania. Sono dèi gemelli, figli di Zeus e della ninfa Talìa. Mentre era incinta, Talìa, per sottrarsi alla persecuzione della gelosissima Era, si fece nascondere da Zeus sottoterra e, a tempo debito, vide uscire dal suolo i suoi due figli, due gemelli che furono chiamati Palici dalle parole greche: pàlin ikèsthai, che vogliono dire nati due volte, cioè da Talìa e dalla terra. Essi professavano l'arte degli indovini e il tempio dove rendevano i loro oracoli, era situato presso il lago di Naftìa, non lontano da Palagonìa (Catania); dal lago scaturiva una sorgente d'acqua calda sulfurea, che la superstizione credeva fosse stata culla dei due gemelli. Sulla sponda del laghetto, quando sorgeva qualche lite fra gli abitanti del luogo, si usava asseverare con giuramento i termini della controversia. Allorché qualcuno voleva affermare qualcosa con un giuramento, scriveva il giuramento su di una tavoletta che poi gettava nell'acqua del lago. Se la tavoletta galleggiava, il giuramento era vero; se andava a fondo, si era spergiuro. Si diceva inoltre che i Palici accecavano i mentitori che li invocavano falsamente. Nel tempio dei Palici si rifugiavano pure gli schiavi maltrattati dai padroni; e a questi era proibito di andarli a riprendere, se non dopo aver prestato giuramento, in nome dei fratelli Palici, di trattare con umanità e dolcezza i propri dipendenti. Il tempio-santuario fu centro del movimento nazionale sotto Ducezio (459 a. C.), durante la rivolta degli schiavi (204 a. C.), e loro asilo nella seconda guerra servile.

Palinuro

Pilota della nave di Enea. Quando la flotta partì dalla Sicilia per raggiungere l'Italia, Venere pregò supplichevolmente Nettuno affinché rendesse sicuro e privo di pericoli l'ultimo tratto di mare che ancora separava i Troiani dalla terra promessa. Nettuno promise, assicurando la dea che un solo uomo si sarebbe perduto. Sopraggiunta la notte, mentre tutti riposavano, il dio del sonno scese silenzioso verso il fedele Palinuro, il solo che ancora vegliava sulla nave ammiraglia; ma l'infelice nocchiero, dopo deboli e vani tentativi di resistenza, vinto dal sonno, cadde in mare spinto con urto tremendo dal dio ingannatore. Poco dopo Enea si accorse dell'incerto vagare della nave e, vista la sparizione del caro e fedele amico, si sostituì a lui piangendo la sua indegna e immatura fine. Ma lo rivide quando, accompagnato dalla Sibilla di Cuma, scese agli Inferi e sulle rive dello Stige, tra la folla dei morti rimasti senza sepoltura, scorse Palinuro, il quale ancora inconsapevole della sorte che gli era toccata, raccontò che mentre stava appoggiato al timone per regolare la rotta, questo si staccò di colpo ed egli, caduto in mare, per tre giorni e tre notti nuotò disperatamente tra i flutti. All'alba del quarto giorno riuscì a mettere piede sul suolo italico, ma la selvaggia popolazione del luogo lo assalì lasciando il suo cadavere insepolto sul lido, in balia dei flutti e dei venti. Palinuro chiese ad Enea, quando sarebbe tornato sulla terra, di recarsi al porto di Velia e di gettare un po' di terra sul suo corpo. La Sibilla lo confortò assicurandogli che quelli stessi che l'uccisero, spinti da prodigi terribili, avrebbero dato ben presto sepoltura alla sua spoglia, e che avrebbero eretto un tempio sul promontorio, detto capo Palinuro, estrema sporgenza della pseudopenisola del Cilento, fra i due golfi di Salerno e di Policastro. Si calmò allora l'angoscia nella pallida faccia di Palinuro, confortato dal pensiero di quella terra che avrebbe eternato il suo nome.

Pallade (Licaone)

Pallante o Pallade, nella mitologia greca, fu figlio di Licaone l'empio.

Pochi miti raccontano di lui. Inoltre la sua storia è fortemente adombrata da altri "Pallante" più famosi, come il titano patrono della Saggezza, il gigante padre di Atena e l'eroe attico.

Il fatto che fosse un pelasgo giustifica l'assimilazione al titano Pallade. I titani erano infatti le divinità greche preelleniche, che, come racconta il mito della Titanomachia, furono estromessi dal pantheon greco per essere sostituiti dagli Olimpi, le divinità degli elleni vincitori.

Di questo Pallante si sa solo che fu figlio di Licaone, fondò la città di Pallanzio in Arcadia e generò Crise.
(La storia si incrocia con due dei suoi omonimi: si dice che qui generò una stirpe di Giganti. Ma lo stesso si racconta anche dell'eroe attico Pallade! Si dice inoltre che fu questi, successivamente, dopo esser stato esiliato da Atene, a fondare Pallanzio.)

Crise sposò Dardano e visse in Arcadia. I loro figli vissero nella regione che fu governata dal titano Atlante.
Dopo il diluvio di Deucalione, Dardano e Crise migrarono in Dardania, dove Dardano divenne capostipite dei Troiani. Questa però è solo una propaganda politica raccontata dagli Ateniesi: in tal modo si fa dello stretto dei Dardanelli, oggetto della guerra di Troia, "proprietà" degli Achei (che lo ribattezzarono Ellesponto, cioè "mare di Elle", altro nome di Elena).
Era un modo per giustificare col mito l'assedio alla prosperosa città di Troia, additata così come illegittima esattrice del commercio attraverso lo stretto.

Crise, nel viaggio, portò i propri idoli con sè, cioè il culto della dea Pallade Atena.
Infatti anche Troia aveva il suo Palladio, come la città di Atene. Questo può significare semplicemente che anche i troiani adoravano la Dea, così come anch'essi avevano un collegio di cinquanta pallas, "giovani" dediti al servizio della Dea: "i cinquanta figli di Priamo", poteva essere un epiteto dei sacerdoti di Atena, e il re troiano ne era officiante supremo.

Pallade (Tritone)

Pallade, nella mitologia greca, era la libica compagna di giochi di Atena.

Si racconta che, ancora fanciulla, Atena uccise incidentalmente la sua amica Pallade, mentre era impegnata con lei in uno scherzoso combattimento, armate di lancia e di scudo. In segno di lutto, Atena aggiunse il nome di Pallade al proprio.

Il racconto che invece ci tramanda lo Pseudo-Apollodoro è una tarda versione. Egli ci dice che Atena, nata da Zeus e allevata dal dio-fiume Tritone, uccise la figlia di questi, la sua sorellastra Pallade, poiché lo volle Zeus, che intenzionalmente distrasse la ragazza.

Esegesi

Un altro Pallade generò i cinquanta Pallantidi, nemici di Teseo, che pare fossero in origine delle sacerdotesse guerriere di Atena. Platone identificò Atena patrona di Atene con la dea libica Neith, ed Erodoto ci dice che le sacerdotesse vergini di questa annualmente si impegnavano in un combattimento per disputarsi il titolo di "Gran Sacerdotessa" della Dea.
Tritona potrebbe significare "terza regina", cioè il membro più anziano della Triade sacra: Kore, Persefone, Demetra.

Il Palladio


Atena, in segno di lutto, fece costruire un'immagine della compianta amica Pallade, e pose tale simulacro sull'Olimpo a fianco del trono di Zeus.

Era una statua di legno, senza gambe, alto tre cubiti, che ritraeva Pallade reggente una lancia nella mano destra e una rocca e un fuso nella sinistra; il suo petto era coperto dall'egida.

Il Palladio a Troia


Elettra, la nonna di Ilo, il fondatore di Troia, venne violentata da Zeus, e le capitò di sporcare del sangue vaginale la statua della vergine Pallade.
Atena, infuriata, scaraventò Elettra e il Palladio sulla terra.

Ilo aveva chiesto un segno a Zeus, mentre segnava i confini della città, e lo ottenne. Apollo Sminteo consigliò a Ilo:
« Abbi cura della dea che cadde dal cielo e avrai così cura della tua città, poiché la forza e il potere accompagnano la dea, dovunque essa vada »

Alcuni affermano che il tempio di Atena fosse già in costruzione, quando l'immagine cadde dal cielo. Altri invece suppongono che fu Elettra stessa a donare il Palladio a Dardano.

Si dice che, nell'occorrenza di un incendio, Ilo si tuffò tra le fiamme per recuperare il Palladio, ma Atena, irritata dal fatto che un mortale potesse avvicinarsi incauto al suo simulacro, accecò Ilo. Questi, tuttavia, riuscì a placare la dea e riottenne la vista.

Pallante (eroe)

Pallade o Pallante, nella mitologia greca, era uno dei figli di Pandione e fu eroe attico e padre dei cinquanta Pallantidi uccisi da Teseo.

Vi è una certa confusione tra questo Pallade e la figura di Pallade il gigante. Infatti si dice che Pallade figlio di Pandione si stabilì nell'Attica e ivi generò una stirpe di Giganti. Ma in realtà secondo alcuni i Pallantidi erano uomini.

Pandione, re di Atene, ne fu scacciato con un colpo di stato e fuggì a Megara dove si sposò con Pilia e generò Egeo.
Ebbe quattro figli, Egeo, Pallade, Niso e Lico, benché Egeo mise in giro la voce di esser figlio di un certo Sciro, poiché era geloso degli altri suoi fratelli.

Dopo la morte di Pandione, i suoi figli marciarono su Atene, scacciarono i rivali e si divisero l'Attica: Egeo ebbe la sovranità su Atene, mentre a Pallade toccò l'Attica meridionale. Non gradì comunque questa spartizione.

Egeo generò Teseo in circostanze piuttosto confuse: alcuni dicono fosse figlio di Poseidone. Teseo fu poi riconosciuto come legittimo figlio ed erede da parte di Egeo e questo riconoscimento fece svanire nei figli di Pallante le speranze di salire al trono di Egeo.

I suoi figli, detti Pallantidi, erano cinquanta. Essi sostenevano che Egeo, non essendo un Pandionide, non poteva avanzare pretese sul trono. Pallade con venticinque suoi figli marciò sulla città, mentre gli altri venticinque prepararono un'imboscata. Ma Teseo, il figlio di Egeo, che avrebbe ereditato il trono, seppe dell'imboscata da un tale chiamato Leo, e sterminò i Pallantidi.
Plutarco racconta che i loro successori non permettono che gli araldi diano inizio a un proclama con le parole "Akouete leoi" (ascoltate cittadini), per via dell'assonanza tra leoi e "Leo".

Questo episodio, assieme alla negazione da parte dei Pallantidi della legittima discendenza di Egeo e Teseo, rispecchia forse una protesta degli Ateniesi contro chi usurpò le prerogative degli indigeni Pandionidi: Teseo infatti fu un re solare che soppresse il culto della Dea Madre nel suo aspetto di pallas, "fanciulla", officiato dai Pallantidi.

Teseo fece salvi i venticinque Pallantidi sopravvissuti, tuttavia li uccise successivamente per misura precauzionale. Secondo Euripide (nel suo Ippolito) Teseo viene bandito da Atene, poiché, secondo le leggi dell'epoca, chi commetteva omicidio, doveva esser bandito dalla città. Ma Teseo uccise tutto il clan dei Pallantidi, così bastò l'anno di esilio a Trezene, e poté rimanere in Atene e governarla.

Alcuni dicono che Pallade, sopravvissuto ai suoi figli, andò in esilio e fondò Pallanzio in Arcadia. Qui generò una stirpe di Giganti. Ma altri sostengono fosse un altro Pallade, figlio di Licaone, che fondò tale città dopo il Diluvio di Deucalione, oppure il Pallade fratellastro di Teseo, o nipote, secondo altre genealogie: fu Neleo, figlio di Poseidone e di Tiro (e quindi fratellastro di Teseo) a generare Pallante.

Secondo alcuni, una figlia di Pallade, Crise, sposò Dardano, che fu il capostipite dei troiani: in tal modo si fa dei Troiani dei diretti discendenti degli ateniesi. Ma questa fu solo una propaganda politica e, per tal ragione, informazione falsa. Crise e Dardano, infatti, si dice fossero scappati in Dardania dopo il diluvio di Deucalione (così si tratterebbe di Crise nipote di Licaone il pelasgo).
Crise portò i suoi idoli con sè, e infatti anche Troia aveva il suo Palladio, come Atene, ma questo può significare semplicemente che anche i troiani adoravano Pallade Atena, che anche qui si poteva fregiare di un collegio di cinquanta sacerdotesse. "I cinquanta figli di Priamo", poteva essere un epiteto dei sacerdoti di Atena, e il re troiano ne era officiante massimo.

Pallantidi

I Pallantidi sono i cinquanta figli di Pallade che Teseo sterminò durante le lotte di successione al trono di Atene.

Pandione, re di Atene, ebbe quattro figli: Egeo, Pallade, Niso e Lico, benché Egeo mise in giro la voce di esser figlio di un certo Sciro, poiché era geloso degli altri suoi fratelli.

Dopo la morte di Pandione, Egeo ebbe la sovranità su Atene, mentre a Pallade toccò l'Attica meridionale. Non gradì comunque questa spartizione.

Egeo generò Teseo, che fu poi riconosciuto come legittimo figlio ed erede da parte di Egeo e questo riconoscimento fece svanire nei figli di Pallante le speranze di salire al trono di Egeo.
Erano cinquanta figli, detti Pallantidi. Essi sostenevano che Egeo, non essendo un Pandionide, non poteva avanzare pretese sul trono.

Pallade con venticinque suoi figli marciò sulla città, mentre gli altri venticinque prepararono un'imboscata.
Ma Teseo seppe dell'imboscata da un tale chiamato Leo, e uccise i Pallantidi.
Plutarco racconta che i loro successori non permettono che gli araldi diano inizio a un proclama con le parole Akouete leoi, "ascoltate cittadini", per via dell'assonanza tra leoi e "Leo".

Teseo fece salvi i venticinque Pallantidi sopravvissuti, tuttavia li uccise successivamente per misura precauzionale. Secondo Euripide (nel suo Ippolito) Teseo venne bandito da Atene, poiché, secondo le leggi dell'epoca, chi commetteva omicidio, doveva esser bandito dalla città. Ma Teseo sterminò tutto il clan dei Pallantidi, così bastò l'anno di esilio a Trezene, e poté rimanere in Atene e governarla.

Esegesi


Si racconta che ancora fanciulla, Atena uccise incidentalmente la sua compagna di giochi Pallade, figlia di Tritone, mentre si era impegnata con lei in uno scherzoso combattimento, armate di lancia e di scudo.
Tritona potrebbe significare "terza regina", cioè il membro più anziano della Triade sacra: Kore, Persefone, Demetra.

Platone identificò Atena patrona di Atene con la dea libica Neith, ed Erodoto ci dice che le sue cinquanta sacerdotesse vergini (pallas) annualmente si impegnavano in un combattimento per disputarsi il titolo di "Gran Sacerdotessa" della Dea.

I Pallantidi probabilmente erano cinquanta sacerdoti o sacerdotesse (pallas significa "giovane", come in italiano sia maschio che femmina) dediti al culto di Atena.
O, ancora, potrebbero essere un clan o una tribù di pelasgi il cui titano tutelare era Pallade. Con le successive invasioni elleniche il posto di Pallade nel pantheon greco fu preso a forza da Atena. La dea, infatti scuoiò vivo il gigante, uccidendolo, e per giustificarsi disse che lui aveva tentato di violentarla. Della sua pelle ne fece un'egida.

Morta la propria divinità, i Pallantidi comunque rimasero un clan influente in Atene, fino al sorgere di un governatore potente come fu Teseo.
Gli episodi di lotta alla successione del trono ateniese rispecchiano forse una protesta degli Ateniesi contro chi usurpò le prerogative degli indigeni Pandionidi: Teseo infatti fu un re solare che soppresse il culto della Dea Madre nel suo aspetto di pallas, "fanciulla", officiato dai Pallantidi.

Secondo alcuni, una figlia di Pallade, (o di un altro Pallante, il figlio di Licaone) chiamata Crise, sposò Dardano, che fu il capostipite dei troiani. Questa però è solo una propaganda politica raccontata dagli Ateniesi: in tal modo si fa dello stretto dei Dardanelli, oggetto della guerra di Troia, "proprietà" degli Achei (che lo ribattezzarono Ellesponto, cioè "mare di Elle", altro nome di Elena).
Era un modo per giustificare col mito l'assedio alla prosperosa città di Troia, additata così come illegittima esattrice del commercio attraverso lo stretto.

Anche Troia aveva come dio tutelare Atena, e i "cinquanta figli di Priamo" poteva essere il nome di un collegio di sacerdoti di Atena, di cui il re di Troia era officiante supremo.

Pammone

Nella mitologia greca, Pammone era uno dei diciannove figli di Priamo e di Ecuba, sua moglie, menzionato da Omero nell'Iliade, e dal noto mitografo Pseudo-Apollodoro nella sua Biblioteca. Pur essendo una figura secondaria nella vicenda della guerra di Troia, essa è stata oggetto di un'interpretazione successiva, in particolar modo di Quinto Smirneo, un poeta tardo vissuto tra il III e il IV secolo, il qual s'impegnò a delineare bene la figura di questo personaggio e a fornirgli un ruolo preciso nella guerra.

Secondo la tradizione, Priamo, il re di Troia ebbe alcuni rapporti con molte delle sue concubine, oltre che con le sue moglie legittime, tra le quali Arisbe, Castianira, Laotoe e la stessa Ecuba. Da tali unioni egli ebbe cinquanta figli, o, più precisamente, cinquantaquattro. Pammone era uno dei diciannove figli che egli generò con la sua seconda e legittima moglie, Ecuba. I suoi fratelli maggiori erano Ettore, Paride, Deifobo, Eleno e Polite, mentre quelli che gli succedettero furono Polite, Antifo, Ipponoo, Polidoro e Troilo.

Nella guerra di Troia


Quando Paride figlio di Priamo fratello di Pammone prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Pammone era uno dei diciannove figli di Priamo e di Ecuba, che combatté insieme ai suoi fratelli contro le pretese dei sovrani achei. Nell' Iliade non viene ricordato in battaglia, quanto nell'ultimo libro, in cui è severamente sgridato dal padre, dopo la morte del fratello maggiore Ettore. Il che fa pensare al fatto che non eccelleva poi molto in guerra, oppure che non obbediva sempre agli ordini di Priamo.

La morte


La sua fine è sconosciuta: non si sa se sia morto in guerra dopo la morte di Ettore, oppure ucciso insieme ai suoi concittadini il giorno della caduta di Troia.
Fonti non ben specificate raccontano che egli venne ucciso in battaglia da Neottolemo, figlio di Achille.

Pan

E' un dio particolare, è infatti l'unico a non essere immortale. Dio dei pastori e delle greggi, divinità dei boschi, dei campi e della fertilità. Certuni dicono che Ermete generò Pan in Driope; o nella ninfa Enide; o in Penelope, moglie di Odisseo, che egli coprì sotto forma di ariete; oppure nella capra Amaltea. Si dice che Pan appena nato fosse così brutto a vedersi, munito di corna, di barba e di piedi caprini. La madre fuggì atterrita, ma il padre lo portò sull'Olimpo, dove fu chiamato Pan perché il suo strano aspetto aveva rallegrato tutti gli dèi. Altri ancora vogliono che Pan fosse figlio di Crono e di Rea o di Zeus e di Ibris, benché qusta sia la versione più improbabile.
Cresciuto in Arcadia, egli si compiaceva della vita dei boschi, dove abitava insieme con le ninfe Oreadi, i Satiri e i suoi figli chiamati Pani o Panischi. Egli era, in complesso, pigro e di buon carattere, aiutava chiunque avesse bisogno di lui. Nulla gli piaceva più della siesta pomeridiana e si vendicava di chi veniva a disturbarlo lanciando dal fondo di una grotta o dal folto di un bosco un urlo tale da creare il timore panico. Si narra anche che Pan avesse spaventato i Giganti durante la battaglia contro gli dèi con un grande urlo che li terrorizzò. Si compiaceva inoltre della danza e del suono della zampogna, strumento musicale dei pastori, del quale gli si attribuiva l'invenzione. Si raccontava anzi che, invaghito di una ninfa. chiamata Siringa, la inseguisse per i monti; quando già stava per essere raggiunta, la ninfa giunta al fiume Ladone si accorse disperata di non poterlo attraversare e invocò l'aiuto di Gea, che la tramutò in una canna palustre: il suono che da essa usciva al soffiar del vento suggerì al Nume l'idea di formarne uno strumento musicale. Pan allora tagliò la canna in pezzi di diverse lunghezze che legò insieme e, dal nome della ninfa, chiamò Siringa (in greco = zanpogna).
Grande amante del sesso ebbe numerose avventure con diverse ninfe tra le quali Eco, che gli generò Iunce, ed Eufeme, nutrice delle Muse, che gli generò Croto, il Sagittario dello Zodiaco. Ebbe un infelice amore per Narciso. Pan si vantava inoltre di essersi accoppiato con tutte le Menadi ubriache di Dioniso. Un giorno tentò di sedurre la casta Piti, che riuscì a sfuggirgli soltanto trasformandosi in un albero di fico; e Pan se ne appese al collo un ramo a guisa di scapolare. Il suo più grande amore fu rivolto a Selene, ma la dea non gradiva quel dio sporco e peloso, allora Pan nascose la sua figura sotto un vello bianco e profumato, Selene non riconoscendolo accettò di cavalcarlo e lasciò che egli godesse di lei a suo piacimento.
Gli dèi dell'Olimpo, pur disprezzando Pan per i suoi modi rozzi, ne sfruttavano le capacità. Apollo imparò da lui l'arte della profezia ed Ermete copiò lo zufolo che Pan aveva lasciato cadere: si vantò poi di averlo inventato e lo vendette ad Apollo. Un mito narra che quando gli dèi inseguiti da Tifone si rifugiarono in Egitto, si mutarono in animali per nascondersi. Soltanto Atena non si mosse e rimproverò Zeus per la sua codardia finché costui, riassumendo le sue vere sembianze, affrontò Tifone. Il mostro però lo avvolse nelle sue mille spire e gli tagliò i tendini delle mani e dei piedi e li nascose nella grotta di Coricia, in una pelle d'orso presso la quale montava la guardia Delfine, su sorella. Ermete e Pan si recarono segretamente alla grotta, dove Pan terrorizzo Delfine con un improvviso orribile urlo, mentre Ermete abilmente sottraeva i tendini per rimetterli nelle membra di Zeus.
Il culto di Pan sarebbe entrato in Attica solo dopo la battaglia di Maratona. Si narra, infatti, che quando Fedippide corse da Atene a Sparta a chiedere aiuti al tempo della battaglia di Maratona (490 a. C.), mentre attraversava il monte Pertenio in Arcadia, venisse chiamato per nome dal dio e interrogato sul motivo per cui gli Ateniesi non lo veneravano, nonostante fosse stato sempre generoso con loro. Quindi, dopo la vittoria di Maratona, da cui i Persiani fuggirono in preda al "timor panico", ad Atene gli venne eretto un altare e in onore di Pan vennero svolti sacrifici e feste. Come dio degli armenti, era responsabile della loro fertilità e per questo quando gli armenti non si riproducevano in modo soddisfacente, una statua del dio veniva frustata con della scilla. Gli attributi ordinari di Pan sono una siringa, un bastone da pastore, una corona di pino o un ramoscello di pino in mano.
Presso i Romani si fuse con il dio Fauno anch'egli protettore dei pascoli e del bestiame, oppure col dio dei "boschetti", Silvano. Sua paredra fu Fauna assimilata alla Bona Dea. A Pan venne più tardi riannodata la festa dei Lupercali.


Pandareo


Pandareo è una figura della mitologia greca. Era figlio di Merope ed amico di Tantalo. Esistono varie versioni dei miti che lo vedono come protagonista.

Secondo alcune fonti rubò, su richiesta dell'amico Tantalo, il cane d'oro (o di bronzo) che custodiva il recinto del tempio di Zeus a Mileto (o a Creta). Per punizione venne tramutato in sasso.
Secondo altre fonti rubò il cane di Zeus per vendicare la morte di Giasone. Demetra lo protesse dall'ira del dio e gli diede il dono di non soffrire mai di male al ventre. Da Armotoe ebbe tre figlie: Edone, Cleotera e Chelidonia, che vennero allevate, dopo la morte del padre, da Afrodite, Era ed Atena. Vennero poi rapite dalle Arpie e consegnate alle Erinni, che ne fecero le ancelle di Proserpina nell'Ade.

Pandaro


Pandaro è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licaone e di Licia.

Principe di Zelea, ai piedi del monte Ida, era un abile arciere, premiato dal dio Apollo con il dono di un bellissimo arco, derivato dalle corna di uno stambecco, ornato da borchie d’oro.

La morte

Il IV e V canto dell’Iliade tracciano di questo personaggio un ritratto non molto edificante. Dopo il duello fra Menelao e Paride, venne stabilita la pace fra i due schieramenti. Pandaro però, sotto inganno di Atena, violò i patti colpendo con una freccia al fianco Menelao. Durante la battaglia che ne seguì ferì Diomede a una spalla. L’eroe acheo pregò allora la dea Atena, sua protettrice, di poter vendicarsi uccidendo il suo feritore. Assistito da Enea, che gli prestò il suo carro, Pandaro funse per lui da auriga (non vi erano infatti molti cavalli a Zelea e Pandaro aveva preferito lasciare a casa i pochi posseduti). Insieme i due troiani mossero contro Diomede. Pandaro, scoraggiato dal fatto di non avere ucciso il re di Argo col suo arco, scagliò il suo giavellotto contro il figlio di Tideo che colpì a sua volta il nemico in pieno volto, uccidendolo. Dopo la sua morte vi fu un combattimento presso il suo cadavere, nel quale Enea venne quasi ucciso da Diomede, ma, salvato dalla madre Afrodite, fu portato in salvo da Apollo.

Pandia


Pandia è una figura della mitologia greca. Figlia di Zeus e di Selene, era la personificazione del plenilunio e quindi dea della luna piena. Viene ricordata tra gli altri dei immortali, dai quali si distingue soprattutto per la sua avvenenza.

Veniva celebrata con il padre Zeus in una festa ateniese nel mese di Elafebolione.

Pandione 1

Figlio di Erittonio e della Naiade Prassitea, successe al padre nel regno ed ebbe dalla ninfa Zeusippe due gemelli, Eretteo e Bute, e le due figlie Procne e Filomela.
Tra Pandione e il suo vicino Labdaco, re di Tebe, era sorta una contesa per una questione di frontiere, che fu risolta a favore di Pandione da Tereo, re di Tracia. Pandione diede allora all'alleato la figlia Procne in isposa, e ben presto dal loro matrimonio nacque un figlio, che fu chiamato Iti. Sventuratamente Tereo s'innamorò della cognata, la giovane Filomela; e un anno dopo rinchiuse Procne in una capanna presso il palazzo e annunciò a Pandione la notizia della sua morte. Pandione associandosi al dolore di Tereo, generosamente gli offrì in isposa Filomela perché sostituisse Procne e la fece scortare fino a Daulide da guardie del corpo ateniesi. Tereo uccise le guardie e prima ancora che Filomela giungesse al palazzo dove si dovevano celebrare le nozze, l'aveva già costretta a giacersi con lui. Procne fu ben presto a conoscenza dell'accaduto, ma, per misura di precauzione, Tereo le fece tagliare la lingua e la segregò nel quartiere degli schiavi. Procne tuttavia riuscì ad inviare un segreto messaggio a Filomela intessendolo nel manto nuziale a lei destinato. Il messaggio diceva che Procne si trovava tra gli schiavi.
Frattanto Tereo era stato avvertito da un oracolo che Iti sarebbe morto per mano di un congiunto e, sospettando che suo fratello Driante tramasse per impadronirsi del trono, Tereo lo uccise a tradimento con un colpo d'ascia. Quello stesso giorno Filomela lesse il messaggio e si precipitò nel quartiere degli schiavi; ma trovò la porta sbarrata, la fece abbattere e liberò Procne. Questa subito si impadronì di Iti, lo uccise e lo fece bollire in un calderone per darlo in pasto a Tereo al suo ritorno.
Quando Tereo si rese conto d'aver mangiato la carne di suo figlio, afferrò l'ascia con la quale aveva ucciso Driante e inseguì le due sorelle che erano fuggite dal palazzo. Ben presto le raggiunse a Dauli, in Focide, e le due sventurate implorarono gli dèi di salvarle. Gli dèi ebbero pietà di loro e trasformarono tutti e tre in uccelli: Procne divenne una rondine; Filomela un usignolo e Tereo un'upupa. Altri dicono che Tereo fu trasformato in sparviero.
Pandione morì di dolore quando conobbe la sorte di Procne, Filomela e Iti. I suoi figli gemelli se ne divisero l'eredità: Eretteo divenne re di Atene, mentre Bute officiava come sacerdote di Atena e di Poseidone.

Pandione 2

Figlio di Cecrope e di Metiadusa, divenuto alla morte del padre re di Atene, fu spodestato dai suoi cugini, i figli di Metione e cacciato a Megara, dove sposò Pilia, la figlia del re Pila, ottenendo la signoria della città. I suoi quattro figli Egeo, Pallante, Niso e Lico marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo, che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante; a Lico toccò l'Eubea e a Pallante l'Attica meridionale.
Pandione non ritornò mai più ad Atene. Egli ha ora un santuario eroico a Megara, dove si mostra la sua tomba sul promontorio di Atena la Tuffatrice, come prova che quel territorio apparteneva un tempo ad Atene. Una sua statua sorgeva nell'Acropoli di Atene fra quelle degli eroi eponimi.

Pandora


Nella mitologia greca, Pandora è la prima donna, creata per ordine di Zeus, per punire l’umanità.

Il mito di Pandora


Zeus, infuriato per il furto del fuoco divino commesso da Prometeo, decise di punire questi e la sua amata creazione: il genere umano. Prometeo venne incatenato ad una roccia ed ogni giorno un’aquila gli divorava il fegato: l’organo ricresceva durante la notte e così, la mattina successiva, il tormento riprendeva. Per punire gli uomini, Zeus ordinò ad Efesto di creare una bellissima fanciulla, Pandora (dal greco "pan doron" = "Tutti I Doni"), alla quale gli dei offrirono grazia e ogni sorta di virtù.

Ermes, che aveva dotato la giovane di astuzia e curiosità, venne incaricato di condurre Pandora dal fratello di Prometeo, Epimeteo. Questi, nonostante l’avvertimento del fratello di non accettare doni dagli dei (non è un caso che il suo nome, in greco, significhi "colui che riflette tardi"), sposò Pandora, da cui ebbe Pirra. Ella recava con sé un vaso regalatole da Zeus, che però le aveva ordinato di lasciare sempre chiuso. Ma, spinta dalla curiosità, Pandora disobbedì: aprì il vaso e da esso uscirono tutti i mali del mondo (la vecchiaia, la gelosia, la malattia, la pazzia, ecc.) che si abbatterono sull’umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la speranza, l’ultima a morire. Secondo un’altra versione il vaso, aperto da Epimeteo, conteneva tutti i beni, che volarono verso gli dei, lasciandone sprovvisti gli uomini.

Pandroso

Pandroso è un personaggio della mitologia greca. Il suo nome significa tutta rugiada. Era una delle tre figlie di Cecrope, il primo re mitico di Atene, e di Agraulo. Con le sorelle Erse e Agraulo (omonima della madre) aprì la cesta che conteneva il piccolo Erittonio che Atena aveva affidato loro con il divieto assoluto di aprirla. All'ultimo momento, Pandroso evitò di guardare all'interno e venne per questo risparmiata dalla vendetta della dea, a differenza delle sorelle, che furono rese pazze e spinte a gettarsi dalla rocca di Atene.
Pandroso fu venerata in Atene come la dea della rugiada e come la prima donna ad aver filato.
Avrebbe inoltre avuto una relazione amorosa con Ermes, dando alla luce Cerice.

Panopeo

Nella mitologia greca, Panopeo ai tempi della guerra di Troia, era sia il nome di una città che quello di uno dei personaggi citati nell’ Iliade da Omero.

Panopeo la città

Citata per la prima volta nel secondo libro, era una delle città da dove provenivano i focesi di cui a capo erano Schedio, un abitante proprio di Panopeo e Epistrofo.

Panopeo

Tale personaggio, fratello di Criso, figlio di Foco, era il padre di Enopeo, ma si discute se tale sia colui che abbia poi progettato il cavallo di legno oppure sia stato un altro, anche per via del fatto che durante il racconto non abbia mostrato una grande intelligenza.

Pantoo

Nella mitologia greca, Pantoo era il nome di uno dei personaggi presenti nella guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. La guerra fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Nell'Iliade

Secondo Omero, Pantoo non prese parte alla guerra di Troia, essendo già avanti negli anni, ma vi combatterono diversi suoi figli fra cui Polidamante (il primogenito), Megete, Euforbo e Iperenore. Si presuppone che sua moglie fosse Frontide. Il suo nome viene pronunciato più volte nel discorso fra Euforbo e Menelao prima del loro combattimento nel libro XVII dell’Iliade. Per discendenza spesso ai nomi dei figli viene affiancato il patronimico “Pantoide".

Nell'Eneide

Pantoo compare in carne e ossa nell' Eneide di Virgilio. Nella notte della caduta di Troia è tra i concittadini che Enea cerca di mettere in salvo. Imbattutisi in un gruppo di soldati achei, molti di loro soccombono, Pantoo compreso.

Parche

Divinità che presiedono al destino dell'uomo (Tria Fata), dalla nascita alla morte. I nomi delle Parche negli scrittori latini che di frequente le nominano sono gli stessi delle greche Moire: Cloto che tiene la conocchia, Lachesi che fila lo stame, Atropo che recide il filo. L'arte figurativa le rappresenta alla maniera delle Moire. I Romani non dedicarono a esse un culto vero e proprio. (vedi MOIRE).

Paride

Paride è una figura della mitologia greca, figlio secondogenito di Priamo, re di Troia, e di Ecuba.
Principe troiano, esposto ancora neonato sul monte Ida a causa delle profezie funeste che lo accompagnarono sin dalla nascita, visse da pastore fino a quando non fu scelto dagli dèi affinché desse il suo giudizio sulla più bella fra le dee Era, Athena e Afrodite.

Riconosciuto dal padre, rientrò a corte e partì in missione diplomatica per Sparta, dove conobbe Elena, moglie di Menelao, la donna più bella del mondo: Afrodite per rispettare la promessa fattagli per ottenere il pomo d’oro fece innamorare la donna perdutamente dell'eroe. Paride rapì quindi Elena e la portò con sé a Troia.

Nel corso della guerra che ne seguì, affrontò Menelao in duello e fu salvato dalla morte per intervento di Afrodite; in battaglia si distinse tra i migliori nel tiro con l'arco e fu destinato a uccidere Achille.

Secondo la tradizione più accettata, Priamo, re di Troia, all’indomani della sua salita al trono, aveva cinquanta figli, la maggior parte dei quali illegittimi. Come afferma lui stesso nell’Iliade, diciannove di essi erano frutto di una sola donna, riconosciuta come la regina Ecuba.

Nei poemi successivi, Paride appare come il secondo e legittimo figlio del re e di Ecuba, sua moglie. Il troiano aveva dunque nove fratelli (il maggiore, Ettore, seguito da Deifobo, Eleno, Pammone, Polite, Antifo, Ipponoo, Polidoro e forse anche Troilo) e quattro sorelle (Creusa, Laodice, Polissena e la profetessa Cassandra).

La predizione di Ecuba, l'abbandono e il riconoscimento di Cassandra.


La profetessa Cassandra, al centro, predice la caduta di Troia di fronte a Priamo, che stringe tra le braccia il piccolo Paride con il pomo della discordia; sulla destra, Ettore, in piedi, assiste alla scena. Affresco su intonaco, 20–30, Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Dopo il parto Ecuba aveva sognato di aver partorito una fiaccola che avrebbe incendiato la città. La stessa visione la aveva avuto poco tempo prima anche Cassandra, figlia di Priamo. Per questo motivo il neonato fu abbandonato sui monti in balia delle fiere e salvato da un pastore e cresciuto da questo come un figlio. Apollodoro ci dice che Priamo, consultato il primo figlio Esaco che era un interprete di sogni, mandò il suo servo sul monte Ida per esporre il bambino, ma fu allevato per cinque giorni da un'orsa e lo stesso schiavo, meravigliato dalla vicenda, decise di accoglierlo come figlio proprio e crebbe come un pastore. Divenne un giovane di straordinaria bellezza. Partecipando ad una gara a Troia fu riconosciuto da Cassandra e Priamo lo accolse restituendogli il posto di principe di Troia.

Giudizio di Paride

La spedizione a Sparta


Paride accompagnò a Sparta il fratello Ettore, e qui furono ospitati dal re Menelao. Menelao aveva una bellissima moglie Elena, Paride se ne innamorò e fu ricambiato da questa. Insieme fuggirono a Troia e scatenarono la guerra. Dalla loro unione nacquero quattro figli, Agano, Bugono, Corito e Ideo, e una figlia, Elena.

Allo scoppio della guerra di Troia, Corito, figlio di Paride ed Enone, omonimo del figlio di Elena, giunse in città per difenderla dagli assalti degli Achei. Elena, colpita dalla sua raggiante bellezza, lo ospitò nel suo talamo suscitando l'ira di Paride il quale, geloso, uccise senza pietà il figlio.

La Guerra di Troia


Nel corso della guerra Paride si dimostrò più volte vile e incapace di sostenere un duello con Menelao. Durante un combattimento contro il marito di Elena, Paride fu salvato dalla dea Afrodite. Paride era però un ottimo arciere, non mancava mai il bersaglio: quando Achille aveva ucciso Memnone e i Troiani erano in fuga verso le mura dalla città, Paride scoccò una freccia che, guidata da Apollo, andò a conficcarsi nel tallone di Achille uccidendolo.

La morte di Paride


Dopo aver ucciso Achille, mentre Paride entrava in città attraverso le porte Scee, fu colpito più volte dalle frecce scagliate da Filottete. Morente, il giovane chiese aiuto alla ninfa Enone, madre dello stesso Corito ucciso da lui in impeto di gelosia ed esperta in erbe curative, che pero' si rifiutò d' aiutarlo; quando ella infine s'impietosì, la morte l'aveva già colto.

Vittime di Paride


Sul numero di avversari uccisi da Paride l'unica fonte esplicita afferma che il figlio di Priamo pose fine alla vita di tre guerrieri. Per riferire il detto, Igino in realtà ha compiuto un calcolo molto essenziale delle imprese da lui compiute nell'Iliade. I vari testi ci hanno tramandato una lista più completa:

1. Cleodoro, guerriero acheo originario di Rodi, figlio di Lerno e Anfiale.
2. Cleolao, guerriero acheo, scudiero di Mege, capo degli Epei.
3. Menestio, guerriero acheo abitante di Arne, figlio di Areitoo e Filomedusa.
4. Euchenore, guerriero acheo, figlio dell'indovino Poliido.
5. Deioco, guerriero acheo.
6. Eetione, guerriero acheo.
7. Mosino, guerriero acheo al seguito di Aiace Telamonio, fratello di Forci.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:22
 
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Vampiro di dracula

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Partenope (mitologia)

Il mito della sirena Partenope nasce dalla tradizione del popolo, di origine greca, dei rodii, residente sulle coste del golfo napoletano nel lontano III secolo a.C.
Le poche notizie che ci sono giunte al riguardo concernono soltanto una corsa con le fiaccole che ogni anno si compiva in suo onore; tuttavia il nome di quella che pare fosse la più bella sirena del golfo, sepolta secondo la leggenda sempre nelle vicinanze di Napoli, rimane oggi utilizzato per definire la regione napoletana. Pare che la sirena in questione sia morta nel luogo in cui oggi sorge Castel dell'Ovo e proprio lì sia stata sepolta una dei patroni di Napoli, santa Patrizia.

Molte sono le leggende che la riguardano: secondo alcune, morì dopo un rifiuto da parte di Ulisse; altre raccontano, invece, che Partenope ebbe una storia con un uomo greco e con questi fuggì su un’isola del tutto sconosciuta.

Da fonti leggendarie e definibili antropologiche, sembra che proprio da queste due figure nasca la città di Napoli, fondata dapprima sull’isola di Megaride ed estesa poi al monte Echia, nel IX-VIII secolo a.C.

Partenopeo

Partenopeo è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Melanione e di Atalanta, o secondo altri di Meleagro e della stessa Atalanta, deve il suo nome al lungo periodo di verginità osservato dalla madre (parthenos significa vergine in greco). Partecipò, come eroe più giovane, alla spedizione dei Sette contro Tebe organizzata da Adrasto. Artemide, innamorata di lui, gli donò delle frecce infallibili e lo unse di ambrosia per preservarlo in vita il più a lungo possibile. Afrodite, protettrice dei Tebani, si infuriò per la strage compiuta da Partenopeo e pregò Ares di allontanare Artemide, che lo proteggeva, dal campo. Artemide, consapevole di quanto sarebbe avvenuto, assunse l'aspetto di Dorceo, vecchio guerriero molto caro a Partenopeo, e cercò di convincerlo a tornare a casa. Anche Anfione, che pur combatteva nel campo nemico, lo esortò ad abbandonare la battaglia, ma fu tutto inutile. Lo uccise Dioreo (secondo alcune versioni sarebbe stato Periclimeno). La sua morte venne vendicata dal figlio Promaco (uno degli Epigoni), avuto dalle nozze con la ninfa Climene.

Pasifae

Pasifae è un personaggio della mitologia greca, figlia di Elio e di Perseide, una ninfa. È la madre del Minotauro.

Moglie di Minosse, re di Creta, da lui ebbe otto figli, di cui Androgeo, Fedra e Arianna sono i più ricordati.

Secondo la versione più comune del mito, Poseidone inviò a Minosse un bianchissimo toro affinché venisse sacrificato in suo nome. Il re di Creta però non obbedì al dio, ritenendo troppo bello quell'animale e ne sacrificò un altro: la vendetta di Poseidone non tardò ad arrivare. Infatti indusse in Pasifae una passione folle per l'animale e le fece desiderare ardentemente di accoppiarsi con esso. Accecata dal desiderio, chiese aiuto a Dedalo, rifugiatosi a Creta per sfuggire a una condanna per omicidio, che le costruì una vacca di legno cava nella quale entrare per poter soddisfare la sua cieca voglia. Così Pasifae riuscì a congiungersi al toro, e dalla loro unione nacque il Minotauro.

Patroclo

Figlio di Menezio, re di Opunte in Locride, e di Stenela. Fu uno dei pretendenti alla mano di Elena.
Ancora giovinetto, durante una lite sorta a proposito di una partita a dadi, Patroclo uccise accidentalmente Clitonimo, figlio di Anfidamante. Costretto all'esilio, si recò con il padre a Ftia dove re Peleo lo purificò. Divenne amico e fedele compagno di Achille. Così grande era l'amicizia che lo legava ad Achille, che lo seguì a Troia. Quando Achille, privato da Agamennone della sua amata Briseide, si ritirò nella sua tenda e fu sordo ad ogni richiamo alle armi, Patroclo rimase con lui, a condividere lo sdegnoso ritiro e il profondo dolore. E quando i messi di Agamennone giunsero ad offrire la conciliazione, lo trovarono solo con Patroclo che suonava la cetra e gli cantava le imprese degli eroi. Ma il richiamo della guerra divenne irresistibile per Patroclo; egli infatti preghò l'amico di concedergli di tornare alla lotta, indossando le sue armi famose.
Nell'ultimo anno di guerra, quando Achille vide alzarsi le fiamme dalla nave di Protesilao incendiata dai Troiani, si scordò del suo rancore e incitò i Mirmidoni ad accorrere in aiuto di Patroclo. Questi aveva scagliato la lancia nel folto dei Troiani riuniti attorno alla nave di Protesilao e aveva trafitto Pirecmo, re dei Peoni. Allora i Troiani, scambiando Patroclo per Achille, fuggirono. Patroclo spense l'incendio, salvò la nave e abbattè Sarpedone; poi inseguì l'esercito nemico fino alle mura di Troia. Mentre tentava di dare la scalata, Apollo in gran fretta salì sulle mura respingendo per tre volte Patroclo con lo scudo. La battaglia si protrasse fino al calar della notte allorché Apollo, avvolto in una fitta nebbia, assalì Patroclo alle spalle e lo colpì con forza tra le scapole. Patroclo strabuzzò gli occhi, l'elmo cadde dal capo, la sua lancia andò in mille pezzi e lo scudo rotolò a terra; Apollo con un sorriso maligno gli slacciò la corazza. Euforbo, figlio di Pantoo, vedendo Patroclo ridotto in quello stato, lo ferì senza timore che egli reagisse, e mentre Patroclo si allontanava barcollando, Ettore, ritornato sul campo di battaglia, lo finì con un solo colpo di lancia.
Accorse Menelao e uccise Euforbo; poi ritornò alla sua tenda con le spoglie del nemico morto, lasciando che Ettore levasse a Patroclo l'armatura. Menelao e il Grande Aiace ritornarono sul posto e insieme difesero il cadavere di Patroclo fino al crepuscolo, quando riuscirono a portarlo in salvo presso le navi. Achille, avuta la triste notizia, si rotolò tra la polvere abbandonandosi a una crisi di disperazione. Teti entrò nella tenda del figlio recandogli una nuova armatura. Achille diè subito di piglio alle armi, si riconciliò con Agamennone e uscì dalla tenda per vendicare Patroclo. Nessuno potè resistere alla sua furia e giurò che non avrebbe sepolto il corpo dell'amico fino a quando non fosse riuscito a vendicarsi dei Troiani. E fu dunque proprio la morte di Patroclo a spingere Achille a tornare nella mischia e a uccidere Ettore.
Ai funerali di Patroclo, quando fu cremato il suo corpo che Teti aveva conservato intatto fino a quel giorno con l'ambrosia, Achille sacrificò non soltanto alcuni cavalli e due dei nove cani della muta di Patroclo, ma anche dodici nobili prigionieri troiani tra i quali alcuni figli di Priamo che uccise sgozzandoli. Quando anche Achille fu ucciso, le sue ceneri, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto; quest'urna fu sepolta sul promontorio Sigeo che domina l'Ellesponto, e i Greci vi innalzarono sopra un tumulo a cono.

Pattolo

Nella mitologia greca, Pattolo è la divinità che abitava il fiume omonimo, nella regione dell'Asia Minore. Questo dio fluviale era, secondo alcuni autori, nato dagli amori di Zeus e della ninfa Leucotea.

Zeus, una volta che la mortale Ino venne accolta tra gli dei assumendo il nome della divinità marina Leucotea, tentò di approfittarsi del suo amore e riuscì a sedurla; da questa unione nacque un figlio, Pattolo, che inizialmente era mortale.

Il giovane, sposatosi, generò una figlia, Eurianassa, secondo alcuni moglie di Tantalo e madre di Pelope. Per questo Pattolo era spesso ricordato come il nonno di quest'ultimo.

La trasformazione


Un giorno in cui si celebravano i misteri sacri di Afrodite, Pattolo, in un momento di forte ebbrezza, raggiunse il letto di sua sorella Demodice per unirsi a lei. Quando la donna rimase incinta e il giovane si accorse dell'incesto che aveva appena consumato si gettò in un fiume, chiamato Crisorroa (cioè il "fiume d'oro" a causa della presenza di alcune pagliuzze d'oro che venivano trasportate dalle sue correnti.
Da allora quel fiume prese il nome di Pattolo.

Il fiume

Il fiume Pattolo nasce dal Monte Tmolo, scorre tra le rovine dell'antica capitale della Lidia, Sardi, si avvicina alla costa turca dell'Egeo, e si getta nel fiume Gediz, l'antico fiume Ermo (Hermus, in latino). Un tempo, il Pattolo era ricco di sabbie aurifere, sabbie che si presentavano sotto forma di Elettro, una lega naturale di Oro ed Argento. L'Elettro costituì la base dell'economia del Regno di Lidia e la lega con cui fu coniata - attorno al 570 a.C., sotto il regno di Creso, la prima moneta della storia, lo Statere. In base ad un'antica leggenda greca, le sabbie aurifere del fiume furono generate dall'abluizione che il re di Frigia, Mida, compì per rinunciare al dono di tramutare in oro ogni oggetto da lui toccato.

Peante

Figlio di Taumaco o di Filaco e padre di Filottete. Figura tra gli Argonauti, ma vi ha una parte secondaria. Una tradizione gli attribuisce tuttavia la vittoria su Talo, onore di solito riservato a Medea.
Quando gli Argonauti raggiunsero Creta, non riuscirono a sbarcare per colpa di Talo, la sentinella di bronzo, opera di Efesto, che bersagliò l'Argo con delle pietre. Medea blandì il mostro con voce soave e gli promise l'immortalità se beveva una certa pozione; si trattava in verità di un soporifero e, mentre il mostro dormiva, Medea estrasse il chiodo di bronzo che turava l'unica vena di Talo (una vena che gli correva dalla nuca alle caviglie), e il mostro morì dissanguato. Altri dicono, che Pallante lo uccise scoccandogli una freccia nel tallone.
Peante accompagnò Eracle nei suoi ultimi istanti sul monte Eta. Secondo certi nitografi, allorché Eracle saliva sul rogo funebre e dava ordine che vi fosse appiccato il fuoco, nessuno osò obbedire, finché Peante che passava di lì per caso ordinò a Filottete, il figlio che aveva avuto da Demonassa, di fare ciò che Eracle gli chiedeva. Filottete accese la pira e, in segno di gratitudine, Eracle gli lasciò la sua faretra, il suo arco e le sue frecce.
Anni dopo, quando Calcante profetizzò che Troia non sarebbe caduta senza l'aiuto dell'arco e delle frecce di Eracle, Odisseo e Diomede furono incaricati di salpare per Lemno e di andarli a chiedere a Filottete, che ne era il possessore. Odisseo riuscì con l'inganno a strappare a Filottete l'arco e le frecce dell'eroe, ma Diomede non volle essere implicato in quel furto e consigliò Filottete di pretendere la restituzione del maltolto. A questo punto intervenne il dio Eracle che disse a Filottete di andare con loro a Troia, dove avrebbe ucciso Paride, preso parte al saccheggio della città e portato in patria un ricco bottino, riservando però la parte migliore al padre Peante. Gli raccomandò inoltre: "Non potrai entrare in Troia senza Neottolemo figlio di Achille né egli potrà entrarvi senza di te!".

Pedaso (mitologia)

Nella mitologia greca, Pedaso (Πήδασος) era il nome di diversi personaggi presenti nella guerra di Troia e di alcune città citate nell’Iliade di Omero.

I personaggi

Sotto tale nome ritroviamo:

* Pedaso, uno dei cavalli di Achille, conquistato nella città di Eetione; a discapito della sua mortalità che lo rendeva inferiore rispetto agli altri animali legati al carro di Achille aveva la stessa velocità degli altri. In battaglia lo uccise per sbaglio Sarpedonte quando combatteva contro Patroclo.

* Pedaso, fratello gemello di Esepo, figlio di Bucolione e di una ninfa Abarbarea. Suo nonno era Laomedonte, durante la guerra venne ucciso in combattimento da Mecisteo.

Pedeo

Nella mitologia greca, Pedeo era il nome di uno dei personaggi presenti nella guerra di Troia, scaturita a causa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, per mano di Paride figlio di Priamo re di Troia. La guerra fra i due regni viene raccontata da Omero nell’Iliade.

Figlio di Antenore, sua madre era invece ignota. Teano, la moglie legittima crebbe Pedeo come fosse uno dei suoi figli.

La morte


Pedeo fu assalito in combattimento da Megete, che lo uccise con un colpo di lancia alla testa.

I luoghi


* Pedaso, città della Troade, patria di Elato. La città, che si trovava sul fiume Satnioenta, venne saccheggiata da Achille. Licaone proveniva da quei luoghi.
* Pedaso, città del Peloponneso sul mare, ricca di vigne. Era una delle città che furono promesse ad Achille se fosse rientrato a combattere per gli Achei.

Pegaso

Figlio di Poseidone e di Medusa.
Perseo volò verso occidente, fino alla terra degli Iperborei, dove trovò le Gorgoni addormentate. L'eroe fissò lo sguardo sull'immagine di Medusa riflessa nello scudo, Atena guidò la sua mano ed egli con un solo colpo di falcetto decapitò il mostro; allora, con sua grande sorpresa, vide balzar fuori dal cadavere il cavallo alato Pegaso e il guerriero Crisaore, con una falce dorata in mano. Pegaso viveva sul monte Elicona, e colà, battendo al suolo il suo zoccolo lunato, aveva fatto sgorgare per le Muse la fonte Ippocrene, le cui acque donavano l'estro poetico.
Sull'incontro di Bellerofonte con Pegaso le tradizioni variano. Pegaso in quel periodo non si trovava in Elicona, ma Bellerofonte lo rintracciò sull'Acropoli presso un'altra delle sue fonti, la fonte Pirene, e gli passò sopra il capo una briglia d'oro, dono di Atena. Ma altri dicono che Atena consegnò a Bellerofonte il cavallo già imbrigliato, e altri ancora che fu il padre suo Poseidone a consegnarglielo. Grazie a questo cavallo alato, Bellerofonte potè compiere diverse imprese. Riuscì a sopraffare la Chimera piombandole addosso a cavallo di Pegaso, trafiggendola con le frecce e poi conficcandole tra le mascelle un pezzo di piombo che aveva infilato sulla punta della lancia. L'alito infuocato della Chimera fece sciogliere il piombo che le scivolò giù per la gola bruciandole gli organi vitali. Riportò la vittoria, da solo, contro i bellicosi Solimi e le loro alleate, le Amazzoni, volando alto, fuori portata dal tiro delle frecce, e lasciando cadere grosse pietre sulle loro teste.
Bellerofonte, secondo la tragedia di Euripide andata perduta e che portava il suo nome, avrebbe voluto competere con gli dèi raggiungendo il cielo in groppa a Pegaso; ma Zeus incollerito mandò un tafano a pungere il cavallo che lo disarcionò. Bellerofonte cadde ingloriosamente sulla terra. Pegaso raggiunse tuttavia l'Olimpo, e Zeus si servì di lui come bestia da soma per trasportare i tuoni e i lampi; quanto a Bellerofonte, precipitato in un roveto, vagò a lungo sulla terra, zoppo, cieco, solo e maledetto, sempre evitando le strade battute dagli uomini, finché la morte lo colse.

Pelagonte


Nella mitologia greca, Pelagonte è il nome di diversi personaggi che parteciparono alla guerra di Troia.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Pelagonte, guerriero di Pilo, al fianco di Nestore, mentre incitava con discorsi di guerra l’esercito e lo distribuiva con il suo aiuto
* Pelagonte, guerriero della Licia. Amico di Sarpedonte, quando questi fu ferito in guerra colpito da una lancia, Pelagonte gli prestò soccorso aiutandolo ad estrarla.

Pelasgo

Pelasgo, capostipite dei Pelasgi, è figlio di Zeus e Niobe e padre di Licaone o figlio di Poseidone e di Larista e padre di Emone.

Fu re di Argo al tempo in cui vi giunse Danao con le sue figlie.

Proprio in relazione a questo episodio, Pelasgo è protagonista di una tragedia di Eschilo, Le Supplici, che erano, appunto, le cinquanta figlie di Danao che, per evitare di andare in spose ai figli del re d'Egitto, chiedono al re di Argo asilo e protezione.

Pelasgo appare nella tragedia combattuto tra la decisione di difendere le giovani costringendo la sua città ad una guerra con gli Egizi, oppure ignorare le loro suppliche e rendersi colpevole di matrimoni incestuosi, sottoponendosi alla vendetta di Zeus. Decide di rimettere la questione alla decisione del popolo, che sceglie di accogliere le giovani.

Insegnò agli uomini a fabbricare capanne, a nutrirsi di ghiande e a coprirsi con pelli di suino.

Peleo


Peleo è una figura della mitologia greca. Fu re di Ftia, in Tessaglia, ed è ricordato soprattutto per essere stato padre d'Achille. Era figlio di Eaco, re dell'isola di Egina, e di Endeide.

Giovinezza

Peleo e Telamone erano i fratellastri di Foco, a cui andavano le simpatie del padre Eaco, a causa della sua bellezza e della sua bravura nelle gare atletiche.

Endeide, temendo che il re scegliesse Foco come erede al trono, convinse i figli ad ucciderlo. Costoro sfidarono quindi Foco a una gara di pentathlon, e il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone. I due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi da Egina. Peleo e Telamone dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.

Stando a Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccide Foco fu lanciato da Peleo, ma per il primo il colpo è accidentalde, per il secondo intenzionale.

Esilio

Telamone si rifugiò a Salamina e Peleo riparò presso Attore, re di Ftia, il cui figlio, Euritione, lo purificò dall'empio fratricidio. In seguito sposò Antigone, figlia del re.

Durante la caccia al cinghiale calidonio Peleo colpì accidentalmente Euritione e lo uccise. Costretto nuovamente a fuggire arrivò a Iolco e si rifugiò presso il re Acasto. Qui la regina Astidamia si innamorò di Peleo, che però la respinse. Per vendicarsi la donna lo accusò di averla sedotta. Acasto allora lo invitò a caccia presso il monte Pelio, frequentato dai centauri, e, mentre Peleo dormiva, gli sottrasse la spada. Una volta svegliatosi, Peleo si ritrovò disarmato di fronte ai mostri, ma grazie all'intervento di Ermes inviato da Zeus (o di Chirone secondo altre versioni) il quale gli consegnò una spada con poteri divini, riuscì a fuggire. Tornato in città, si vendicò assassinando Acasto e la moglie.

Nozze


Dopo aver sposato Antigone, figlia di Attore, ed aver partecipato alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, conobbe una nereide di nome Tetide, o Teti, e il cui matrimonio fu celebrato con solennità alla presenza di tutti gli dei, tranne Eris. La dea della discordia, infuriata per essere stata esclusa, intervenne alle nozze lasciando il pomo d'oro, oggetto del giudizio di Paride e origine della guerra di Troia.

Da Teti ebbe sei figli, tra cui Achille.


Le nozze di Peleo con Tetide sono state un tema figurativo interessante e frequente della iconografia greca. Crateri, coppe e vasi in ceramica sparsi nei vari musei del mondo celebrano questo evento. Un cratere a calice proveniente da Spina, ora al Museo Archeologico di Ferrara, e in cui viene raffigurata una scena di questo matrimonio, ha dato il nome a un pittore vascolare della II metà del V secolo a.C., conosciuto appunto come Pittore di Peleo.

È denominato anche Gelanore.

Pelia

Pelia è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Tiro e fratello gemello di Neleo.

Ancora neonato, venne abbandonato con suo fratello su una montagna dalla madre Tiro spaventata dalle angherie della suocera Sidero. Allevato da un pastore e divenuto adulto, volle vendicarsi della crudeltà subita e uccise Sidero presso l'altare del tempio di Era ov'ella s'era rifugiata.

Neleo lo scacciò a causa del sacrilegio e Pelia si stabilì in Tessaglia, dove divenne re di Iolco. Sposò Anassibia, dalla quale ebbe un figlio, Acasto e tre figlie, note collettivamente come Peliadi, ossia Alcesti, la futura moglie del re di Fere Admeto, Anfinome ed Evadne.

Un giorno indisse dei giochi in onore di Poseidone ai quali invitò anche Giasone. Questi arrivò in città senza un calzare, perso attraversando un fiume. Pelia, ricordandosi d'una profezia in cui si dice di diffidare dell'uomo dal piede scalzo, lo inviò alla ricerca del vello d'oro, con l'intento di sbarazzarsi di lui.

Nel frattempo Pelia uccise il proprio fratellastro Esone (padre di Giasone), per consolidare il proprio potere nel regno.

Giasone riuscì nell'impresa di tornare in patria con il vello d'oro e, con l'aiuto della moglie Medea, trovò il modo di uccidere Pelia. Entrata a Iolco mentre gli Argonauti erano ancora al largo del porto, Medea si presentò a palazzo sotto mentite spoglie, come vecchia mendicante, dopodiché, una volta accolta, cambiò magicamente aspetto e si mostrò qual era in realtà, una giovane e bellissima donna. Poi, rivelatasi così come maga, mostrò a Pelia un metodo per ringiovanire magicamente: prese un ariete, lo fece a pezzi e lo mise in un pentolone bollente da cui uscì un agnello. Pelia entusiasta volle sottoporsi allo stesso trattamento. Medea lo fece addormentare e convinse quindi le figlie presenti al palazzo, Evadne e Anfinome, a farlo a pezzi e metterlo a bollire nel calderone. Queste convinte eseguirono risolutamente la procedura; una volta fatto a pezzi Pelia, Medea disse loro di andare in cima al palazzo a invocare la divinità agitando delle fiaccole, per propiziare il buon esito dell'incantesimo. Questo gesto servì in realtà come segnale per Giasone, che aspettava ancora al largo, che la nave potesse entrare in porto, perché Pelia era morto. Medea infatti fece in modo che Pelia non resuscitasse.

Acasto sostituì il padre Pelia sul trono, organizzò in suo onore dei giochi ginnici e bandì Giasone e Medea, nonché le sorelle parricide da Iolco.

La vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei.

Pelope

Pelope è una figura della mitologia greca.

Il suo dominio si estese a tutta la penisola, che da lui prese il nome di Peloponneso (Pélopos + nésos, l'isola di Pelope), nonché fondatore dei giochi olimpici e signore della città greca di Pisa. Era figlio di Tantalo e Dione.

Tantalo, figlio di Zeus, per provare l'onniscienza degli dei li invitò ad un banchetto in cui offrì loro le carni del giovane figlio Pelope. Essendosi accorti del macabro inganno, tutti i celesti allontanarono i piatti, eccetto Demetra che, sconvolta dalla perdita della figlia Kore, non vi badò e divorò una spalla. Dopo aver punito Tantalo gli dei resuscitarono Pelope, fornendogli una spalla d'avorio, creata da Efesto. Secondo altri autori Pelope era nato con quella malformazione e dopo essere stato assassinato, Rea, la divinità della terra gli diede con un soffio nuovamente la vita. Secondo un'altra versione, al banchetto indetto dal padre Tantalo, al quale partecipavano anche gli dei, Poseidone vedendo Pelope se ne innamorò, portandolo con sé sull'Olimpo. A causa della colpa del padre (l'aver offerto a degli uomini nettare e ambrosia, colpa per la quale fu condannato a sopportare eternamente la fame e la sete nel Tartaro) venne però rispedito sulla terra.

La gara

Pelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia dove governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione di barbari, intraprese un viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao. Questi era il re di Pisa (in Elide), figlio del dio Ares, e non aveva mai acconsentito a concedere la mano della figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano del proprio genero. Enomao possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice), perciò, sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero sposato Ippodamia, in caso contrario sarebbero stati uccisi. Già tredici giovani avevano perso la vita, sicché quando Pelope arrivò a Pisa con un carro leggerissimo e cavalli alati datigli da Poseidone e s'innamorò d'Ippodamia, fu terrorizzato dalla vista delle teste degli sfortunati pretendenti, inchiodate alle porte del palazzo d'Enomao. Decise quindi di vincere la gara slealmente: corruppe l'auriga Mirtilo, figlio di Hermes anch'egli infatuato della figlia del re, promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli avrebbe permesso di passare una notte con la principessa Ippodamia. Mirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i perni degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera. Durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò ed Enomao morì. Successivamente Pelope, certamente geloso dell'amore d'Ippodamia, annegò l'auriga che, in punto di morte, invocando Ermes, maledisse lui e tutta la sua discendenza. Ne conseguì che Pelope, diventato re, accumulò ricchezze ed onori ma, fu causa della rovina dei suoi figli Atreo e Tieste, e della sua intera stirpe, nonostante avesse tentato di procurarsi i favori di Zeus istituendo le Olimpiadi.

I figli di Pelope

Per placare l'ira di Hermes Pelope eresse subito un tempio per onorarlo e per placare il rimorso della propria coscienza tributò onori eroici a Mirtilo, e infine diede onori anche ai tanti morti che sfidarono Enomao e persero.

Dalla moglie Ippodamia ebbe venti figli tra cui Pitteo, Alcatoo, Atreo, Tieste, Ippalco, Copreo, Scirone, Ippalcimo, Cleonte e Lisidice. Dalla ninfa Astioche ebbe Crisippo.

Il culto di Pelope

Le sue ossa sono conservate in un santuario, il suo culto fu conservato a lungo, infatti ogni anno sacrificano un ariete nero, e i giovani che si radunavano si flagellavano offrendogli il proprio sangue.

Pelopia

Pelopia, figlia di Tieste, è una figura della mitologica greca. Pelopia è il mezzo attraverso cui si realizza un momento della maledizione diretta da Mirtilo al nonno di lei, Pelope, e i cui discendenti saranno artefici di una vera e propria faida. Pelopia, unica figlia scampata alla strage perpetrata da Atreo, fratello di Tieste, era diventata sacerdotessa della dea Atena nella città di Sicione dove regnava Tesproto. Un oracolo aveva intanto predetto a Tieste che dall'unione incestuosa con la figlia sarebbe nato colui che lo avrebbe vendicato uccidendo Atreo. Tieste si accoppia con la figlia e dall'unione nasce Egisto.

Peloro

Nella mitologia greca, Peloro era il nome di uno degli Sparti nati dai denti del drago seminati da Cadmo.

Durante il viaggio di Cadmo egli si fermò con l'intenzione di fondare una città (detta poi Tebe); prima di iniziare tale impresa volle fare un sacrificio ad Atena ma un drago, figlio di Ares o comunque a lui sacro, apparve e riuscì ad ucciderlo. La stessa dea gli consigliò di seminarne i denti strappati alla bestia. i denti furono come semi da cui nacquero tanti soldati formando alla fine una falange ostile, tutti si uccisero a vicenda e fra loro soltanto 5 rimasero in vita, oltre a Peloro, gli altri furono:

* Echione
* Udeo
* Ctonio
* Iperenore


Peloro insieme ai suoi compagni aiutò l'eroe nella fondazione della città. Da allora fu uno dei capostipiti delle famiglie nobili della città.

Penati

Divinità romane delle dispense che contenevano le riserve (penus) ed erano oggetti di un culto familiare da tempi molto antichi. Finché la vita romana si svolse nella capanna o nell'umile abitazione, i Penati furono venerati insieme con Vesta e con i Lari; e anche quando l'architettura civile si sviluppò, l'atrio (compluvium) resto sempre collegato ai Penati, perfino nella casa di Augusto, come a essi rimase sempre in modo particolare dedicata la cucina. Il culto che si presta ai Penati è simile a quello prestato ai Lari. A ogni pasto viene loro fatta un'offerta di sale, l'elemento che purifica e conserva, e di farro, il primo cereale che i Romani abbiano coltivato.
Più tardi, con lo sviluppo della vita politica di Roma si costituirono i Penati per tutelare la vita dello Stato. I Penati pubblici furonp venerati nel tempio di Vesta nel Foro, il quale aveva un penus, dove erano conservate le offerte libatorie, che una volta all'anno nell'apposita festa veniva solennemente purificato e rinnovato e dove a nessuno, salvo al pontefice massimo e alle vestali, era lecito porre il piede.
V'era in Lavinio un famoso santuario dei Penati, dove si recavano ufficialmente all'entrare in carica gli alti magistrati delo Stato. L'importanza dei Penati di Lavinio oscurò quella dei Penati di Alba, che pure era la città madre della confederazione latina e quella dalla quale, dopo la distruzione, i Penati sarebbero stati trasportati in Roma. E la leggenda troiana diceva che quando Ascanio, fondata Alba Longa, vi trasferì da Lavinio i Penati, questi per ben due volte abbandonarono la nuova sede e ritornarono nottetempo a Lavinio.
I Penati della nazione erano raffigurati come due guerrieri seduti, lancia in pugno, in origine contenuti in giare che restarono a Lavinio. Venivano a volte identificati con i Dioscuri e i Cabiri.

Peneleo

Nella mitologia greca, Peneleo (o Penelo), figlio di Ippalcimo, era uno degli Argonauti, che in seguito prese parte alla Guerra di Troia, come comandante dei Beoti (è presente nellIliade e nellEneide).

Eroe tra gli Argonauti


Quando Giasone, incaricato del recupero del vello d'oro, inviò gli araldi a chiedere aiuto a tutti gli eroi dell'epoca, per salpare con lui con la nave Argo per la Colchide, uno degli eroi che rispose all'appello fu il prode Peneleo. Egli non si distinse nelle varie avventure, ma riuscì a finirle in vita, ritornando vittorioso.

La morte a Troia


Essendo stato tra i pretendenti alla mano di Elena, Peneleo partecipò all'assedio di Troia dopo che la donna venne rapita dal principe troiano Paride. Dopo la morte di Tersandro per mano di Telefo, il comando di tutte le truppe Beote passò nelle sue mani. Nei combattimenti, Peneleo si distinse uccidendo barbaramente Ilioneo e Licone, ma venne lui stesso ferito da Polidamante. Durante la presa di Troia, Peneleo colpì a morte il giovane principe frigio Corebo, ma fu a sua volta ucciso da Euripilo, il figlio di quel Telefo che era stato ferito da Achille all'inizio del conflitto contro i Troiani.

Penelope
(mitologia)

Penelope è una figura della mitologia greca, figlia di Icario e di Policaste (o di Peribea), moglie di Ulisse, madre di Telemaco e cugina di Elena. Prende il nome da un mito riguardante la sua infanzia: quando nacque fu gettata in mare per ordine del padre e fu salvata da alcune anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la spiaggia più vicina. Dopo questo evento, i genitori la ripresero con loro e le diedero il nome di Penelope (che significa appunto "anatra").

Attese per vent'anni il ritorno del marito, partito per la guerra a Troia, evitando di scegliere uno tra i proci, nobili pretendenti alla sua mano, anche grazie al famoso stratagemma della tela: di giorno tesseva il sudario per Laerte, padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito il momento della scelta. L'astuzia di Penelope, tuttavia, durò "solo" per poco meno di quattro anni a causa di un'ancella traditrice che riferì ai proci l'inganno della regina. Alla fine, Ulisse tornò, uccise i proci e si ricongiunse con la moglie. Penelope è il simbolo per antonomasia della fedeltà coniugale femminile.
Tornato nuovamente a casa dopo l'estremo viaggio, Ulisse poté nuovamente godere della moglie e la rese incinta di altri due figli, oltre a Telemaco: Arcesilao e Poliporte.

Tela


La tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, creato da Penelope, che per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il sudario di Laerte, padre di Ulisse. Per impedire che ciò accadesse la notte disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Tutt'oggi si cita la tela di Penelope per riferirsi ad un lavoro buono nelle intenzioni ma "impossibile", che non potrà mai avere termine perché ogni volta ricomincia daccapo. per non celebrare le nozze quindi, penelope non termina il sudario per il vecchio Laerte, preferisce rimanere fedele ad Odisseo.

L'infedeltà

Non tutte le versioni sostengono la castità e la fedeltà di Penelope verso il marito; secondo alcune leggende la donna amò il dio Ermes, con il quale condivise il suo letto e dalla quale fu addirittura resa incinta, concependo il dio Pan.

Caratteristiche di Penelope


Penelope rappresenta, all'interno dell'Odissea, l'ideale di donna del mondo omerico, un vero e proprio modello di comportamento. Ella è la sintesi di bellezza, regalità, pudore, fedeltà e astuzia. Infatti, viene definita alter ego di Odisseo/Ulisse, come per il figlio Telemaco.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:29
 
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Penfredo

Nella mitologia greca, Penfredo o Pefredo era il nome di una delle figlie di Forco e di Ceto. faceva parte del gruppo delle Graie ed aveva come sorelle anchele Gorgoni.
Le altre due si chiamavano Enio e Deino, insieme erano chiamate anche Forcidi per via della discendenza dal padre. Di lei racconta Esiodo nella sua Teogonia che insieme a Enio erano calve dalla loro nascita e che indossava un bel vestito.

Penteo

Figlio di Agave e di Echione che era uno degli Sparti nati dai denti del drago ucciso da Cadmo.
Agave, madre di Penteo, era sorella di Semele madre di Dioniso, quindi i due erano cugini. Dioniso, dopo aver conquistato l'Asia, decise di tornare nella natia Tebe per imporvi il suo culto e punire le sorelle della madre, particolarmente Agave, per le calunnie che avevano proferito un tempo contro Semele. Vinta ogni opposizione in Tracia, Dioniso passò in Beozia, dove visitò Tebe e invitò le donne a unirsi alle sue feste notturne sul monte Citerone. Penteo, re di Tebe, senza ascoltare i prudenti consigli del nonno Cadmo e tutti gli ammonimenti dell'indovino Tiresia, si oppose tenacemente ai riti orgiastici di Dioniso, che riteneva molto scomvenienti, lo arrestò unitamente alle Menadi, ma improvvisamente impazzito, invece di mettere in ceppi Dioniso mise in ceppi un toro. Le Menadi fuggirono di nuovo e si dispersero furibonde lungo le pendici del monte. Penteo allora si recò di persona sul monte Citerone per spiare le donne di Tebe ed essere testimone degli eccessi ai quali esse si abbandonavano, e si nascose in un pino. Ma le donne lo scorsero nascosto tra i rami e, accese dal vino e dalla frenesia bacchica, lo fecero a brani. Agave, guidava le forsennate, e fu lei che lo scambiò per un cinghiale e lo uccise facendo poi strazio del suo cadavere insieme con le sorelle Ino e Antonoe. Impadronitasi della testa, la conficcò in cima ad un tirso, poi ritornò a Tebe portando fieramente quella che credeva fosse la testa di una bestia feroce. In città fu disingannata da Cadmo, e si accorse che colui ch'ella aveva ucciso non era una belva ma il proprio figlio.
La leggenda di Penteo, che adombra forse le ostilità incontrate dal culto bacchico nella sua diffusione in Grecia, è narrata da Euripide nella tragedia Le Baccanti, e da Ovidio nelle Metamorfosi e si trova illustrata nella pittura pompeiana.

Pentesilea

Figlia di Ares e di Otrera, fu regina delle Amazzoni.
Aveva cercato scampo in Troia fuggendo alle Erinni di sua sorella Ippolita che essa aveva ucciso per errore con una freccia durante una battuta di caccia, oppure, come sostengono gli Ateniesi, nel corso della rissa che seguì alle nozze di Teseo e Fedra. Purificata da Priamo, nacque un legame di solidarietà, per cui nella guerra dei Greci contro Troia, Pentesilea parteggiò per i Troiani alla testa di un contingente di Amazzoni. Essa si distinse in battaglia uccidendo molti Greci. Più di una volta respinse Achille dalle mura di Troia. Si narrava che, scontratasi in battaglia con Achille, fu da questo colpita a morte; ma l'eroe, dopo averle strappato l'armatura, vide il suo corpo e, colpito dalla sua bellezza, se ne innamorò e la pianse dolorosamente; anzi uccise Tersite che irrideva al suo dolore e insultava il cadavere.
In un mito più tardo, ad Achille e Pentesilea venne attribuito un figlio, Caistro.

Pentilo

Nella mitologia greca, Pentilo era il nome dato a diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Con tale nome ritroviamo:

* Pentilo, figlio di Oreste e di Erigone.
* Pentilo, figlio di Periclimeno, re di Pilo nella Messenia, discendeva dall'eroe Nestore.

Pentilo (Oreste)

Nella mitologia greca, Pentilo era il nome di uno dei figli di Oreste e di sua sorella Erigone, la figlia di Clitemestra e di Egisto.

Egli fu uno dei conquistatori e colonizzatori dell'isola di Lesbo, viaggiò con il figlio Echela. Aveva anche un altro figlio chiamato Damasio.

Peone


Nella mitologia greca, Peone era il nome di diversi personaggi presenti nel mito, fra di essi vi era anche una divinità.

Sotto tale nome ritroviamo:

Peone, medico degli dei, anche lui di discendenza divina
Peone, figlio di Endimione, aveva diversi fratelli fra cui Epeo ed Etolo, i suoi discendenti presero il nome di Peoni. Igino Astronomo racconta un'altra versione del mito, qui Elle, la sorella di Frisso, fu salvata, a discapito di quanto affermarono gli altri autori, dal re dei mari ed ebbe un figlio chiamato Peone o Edono.
Peone, figlio di Antiloco e nipote di Nestore, da tale ateniese discesero i Peonidi.

Pereo

Nella mitologia greca, Pereo era il nome di uno dei figli di Elato e di Laodice la figlia di Cinira.

Fratello di Stinfalo, famoso eroe re degli Arcadi. Altri suoi fratelli erano Epito, Cillene ed Ischi.

Ebbe una figlia, tale Neera che andò in sposa ad Aleo.

Periclimene


Periclimene è una figura della mitologia greca. Figlio di Neleo e di Clori, aveva ricevuto da Poseidone la capacità di assumere la forma di qualsiasi animale. Quando Eracle devastò Pilo, Periclimene si trasformò in ape, formica, mosca, montone, serpente ed aquila per sfuggire alla sua ira, ma Eracle lo colpì con una freccia e lo uccise.

Periclimeno


Periclimeno è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Poseidone, partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe. Fu lui, secondo alcune fonti, ad uccidere Partenopeo. Inseguì inoltre Anfiarao che però, per volere di Zeus, fu inghiottito dalla terra.

Periere

Periere era un personaggio della mitologia greca figlio di Eolo, re di Orcomeno, e di Enareta. Ebbe sei fratelli: Atamante, Creteo, Sisifo, Salmoneo, Deioneo, Magnete. Periere aveva sposato Gorgofone, una figlia di Andromeda e Perseo, da cui ebbe Afareo, Tindareo, Leucippo, e Icario.

Perifante

Nella mitologia greca, Perifante era il nome di diversi personaggi presenti nella guerra di Troia, epopea raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Perifante, figlio di Ochesio, un guerriero Acheo ricordato come il più forte degli Etoli, Ares quando in compagnia di Atena scese in guerra, vedendolo prima lo portò in fin di vita e poi gli tolse le armi. Lo lasciò morire scegliendo di abbandonarlo giacente di dolore
* Perifante, alleato di Troia e figlio di Epito. Apollo, il dio figlio di Zeus prese le sue sembianze quando parlò ad Enea esortandolo di continuare a combattere. Il figlio di Anchise lo riconobbe e gli prestò ascolto.

Altri personaggi


Perifante è un leggendario re di Atene. Zeus invidioso della sua saggezza e dal rispetto tributato dagli ateniesi, che lo veneravano come una divinità, decise di fulminarlo. Grazie all'intercessione di Apollo si limitò a trasformarlo in un'aquila dopo la sua morte ed a porlo al suo servizio. Apollo lo prese sotto la sua protezione e lo rese sovrano di tutti gli uccelli.

Perifete (Iliade)

Nella mitologia greca, Perifete è il nome di un valido guerriero acheo che prese parte alla guerra di Troia e vi trovò la morte per mano di Ettore durante il decimo anno. È citato nel libro XV dell'Iliade di Omero.

Omero presenta Perifete nell'Iliade soffermandosi su dettagli biografici insoliti. Nato a Micene, era figlio di Copreo, l'araldo che fungeva da intermediario del re Euristeo presso Eracle, allorché quest'ultimo gli si sottomise per espiare l'omicidio dei suoi figli. Pare infatti che Euristeo temesse i frequenti scatti d'ira dell'eroe e che quindi volle assicurarsi comunicandogli le sue decisioni attraverso un fidato messaggero, il quale non era da meno in codardia. Perifete crebbe a Micene, rivelando doti che senza dubbio non erano eredità del padre: le sue eccellenti abilità di combattente e corridore, nonché il suo ottimo intuito e buonsenso ne fecero uno dei più acclamati cittadini micenei.

La capacità di superare il padre in pregi era una caratteristica rarissima nel mondo greco, poiché solitamente la regola funzionava all'inverso; lo stesso Omero, in altri casi (Odissea, libro II, versi 276-277), sostiene la superiorità paterna su ogni figlio.

Morte


Quando Agamennone, sovrano di Micene, per compiacere il fratello Menelao, dichiarò guerra a Troia, resasi colpevole dell'ingrato rapimento di Elena, Perifete entrò nell'esercito greco per combattere in nome dei suoi re, oltre che per lavare il sopruso del ratto, che era considerato un'onta per la Grecia intera ed un affronto al valore dell'ospitalità. Sebbene non esplicitato dall'Iliade, Perifete era cugino degli Atridi poiché il padre Copreo era uno degli innumerevoli figli di Pelope e Ippodamia.

Guerriero prezioso nell'esercito acheo, si trovò coinvolto nello sfortunato scontro presso le navi nel quale i Troiani, sostenuti da Apollo, misero in fuga gli avversari scompigliandone le file. Perifete stesso, confuso in mezzo all'esercito, fu uno dei pochi che ebbe il coraggio di voltarsi contro il nemico; quando, spinto dai nemici, indietreggiò, il guerriero inciampò sull'orlo dell'ingombrante scudo che l'aveva sempre protetto dai dardi avversari, cadendo supino nella polvere: il suo elmo sonò cupamente all'impatto. Ettore, vedendolo sconvolto nella turba, gli fu subito sopra e lo trafisse al petto con la lancia, strappandogli il fiato e la vita. Omero afferma che Perifete, una volta ucciso, "diede ad Ettore altissima gloria".

I compagni di Perifete che avevano assistito alla sua uccisione, pur provando un immenso dolore per la sua perdita, non ebbero il coraggio di andare ad assisterlo poiché temevano la furia di Ettore; il cadavere del guerriero fu così abbandonato armato come preda delle intemperie e di animali rapaci. Perifete va incluso nel gruppo dei trentuno guerrieri massacrati da Ettore.

Perifete (Poseidone)
.
Perifete, personaggio della mitologia greca, figlio di Efesto o di Poseidone era anche detto Corunete per la sua grossa clava di bronzo che utilizzava per uccidere le sue vittime, che il più delle volte aggrediva alle spalle.

Nei dintorni di Epidauro incontra Teseo, che lo uccide con la sua stessa clava che poi conserverà e diventerà anche una delle sue armi preferite.

Perifete
(Troia)

Perifete, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Perifete fu ucciso da Teucro nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.

Perillo


Perillo di Atene è stato un inventore greco antico, leggendario ideatore del Toro di Falaride.

Egli, quale fonditore di ottone, presentò al tiranno di Agrigento Falaride, un sistema per giustiziare i criminali traendone divertimento. La sua invenzione era un toro di ottone cavo, nel quale si potessero inserire i condannati a morte. Una volta arroventato sotto una pira, il toro aveva la bocca congegnata in modo che i lamenti del malcapitato venissero trasformati in muggiti, che facevano sembrare la bestia vera.

Falaride venne ammaliato dallo strumento di tortura e morte e lodando l'inventore dispose che esso venisse provato su Perillo stesso: egli venne rinchiuso, ma tirato fuori prima di morire, anche se poi il perfido tiranno lo fece gettare da una rupe facendolo morire comunque. La leggenda vuole che anche Falaride però avesse provato l'esperienza di venire rinchiuso nel toro, quando il suo spodestatore Telemaco lo fece giustiziare proprio con questo sistema.

Perimeda

Nella mitologia greca, Perimeda era il nome della sorella di Creonte.

Perimeda fu sposa, per ordine del fratello, di Licimnio o Licinnio, l’unico fra i figli di Elettrone ad essere sopravvissuto allo scontro con i figli di Pterelao, per una questione di bestiame.

Perimede

Perimede è un personaggio dell'Odissea (canto XI e XII) di Omero. Compagno di Ulisse, accompagnò il suo capitano nelle molte peripezie. Fu uno dei più fedeli compagni del re di Itaca. Perimede legò Ulisse insieme a Euriloco all'albero maestro della nave quando la flotta incontrò le Sirene. Questo giovane accompagnò Ulisse nell'Ade e sgozzò una capra in sacrificio all'indovino cieco Tiresia. Perimede morì risucchiato dalla bocca di Cariddi dopo aver mangiato le vacche del Sole. Nel film di Andrei Michalkov-Konchalovsky (1997) interpretato da Andoni Anastasse, Perimede viene rappresentato come un forte guerriero sicuro di sé.

Peristene

Peristene è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Elettra, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Persefone

Figlia di Zeus e Demetra, appare già in Omero come la sposa di Ade, dio dell'Averno, e quindi signora delle ombre e dei mostri infernali. Una tradizione ne fa la figlia di Zeus e di Stige, la ninfa del fiume infernale.
Si narrava che, mentre la dea con le ninfe del suo seguito coglieva fiori presso Enna in Sicilia, Ade, ottenuto il consenso di Zeus, la rapisse e la trasportasse nell'Oltretomba con il suo cocchio. La madre Demetra desolata per l'improvvisa sparizione della figlia Core, in seguito chiamata Persefone, si appartò dall'Olimpo e dalla Terra, in regioni deserte; cessò pertanto la fertilità della terra e i mortali morivano di fame. Allora Zeus, per consolare la dea addolorata, ordinò a Ermete di scendere agli Inferi per riportare Persefone alla madre; ma ciò non era più possibile, poiché la giovane aveva rotto il digiuno. Infatti, per disattenzione o perché tentata da Ade, aveva mangiato un chicco di melagrana, e questo bastava a legarla per sempre agli Inferi. Si giunse allora a un compromesso davanti al trono di Zeus: Core avrebbe trascorso ogni anno tre mesi in compagnia di Ade, come regina del Tartaro e col titolo di Persefone, e gli altri nove mesi in compagnia di Demetra che acconsentì finalmente a risalire sull'Olimpo.
Si racconta che Zeus generò in segreto suo figlio Zagreo in Persefone, prima che essa fosse condotta nell'Oltretomba da suo zio Ade. Come sposa di Ade ha una parte nella leggenda di Eracle. Quando l'eroe, per ordine di Euristeo, discese nel Tartaro per catturare il cane Cerbero, trovò Teseo che aveva accompagnato agli Inferi l'amico Piritoo per portar via Persefone; ma, per la loro sacrilega impresa, Ade li teneva prigionieri da ben quattro anni sulla Sedia dell'Oblio. Persefone che aveva accolto Eracle come un fratello, gli concesse di liberare i due imprudenti e di ricondurli sulla terra. L'eroe afferrò allora Teseo per le mani e con uno strappo lacerante lo liberò, ma buona parte della sua carne rimase attaccata alla sedia. Afferrò anche le mani di Piritoo, ma la terra tremò e l'eroe abbandonò l'impresa. Poi, per ingraziarsi le ombre con un dono di sangue, sgozzò un capo della mandria di Ade. Il mandriano Menete lo sfidò a una gara di lotta; ma ne uscì con le costole rotte, e avrebbe subito una sorte peggiore se Persefone non fosse intervenuta e non avesse chiesto a Eracle di lasciarlo andare.
Oltre la bellezza, Persefone possedeva un animo gentile e molto sensibile. Infatti, allorché Alcesti, moglie di Admeto re di Fere, accondiscese a morire al posto del marito, Persefone rimandò la giovane sulla terra, commossa dalla abnegazione che questa dimostrò verso lo sposo. Alla dea sono legati diversi miti fra i quali quello di Adone. Si narra che quando nacque Adone, era tanto bello che Afrodite lo mise ancora in fasce dentro una cesta e lo affidò segretamente a Persefone perché lo nascondesse. Persefone, quando lo vide, s'invaghì del bel bambino e non volle più ridarlo ad Afrodite. Zeus dovette dirimere la questione nata tra le due dee. Si conoscono due versioni del giudizio: secondo la prima, Zeus decise che Adone avrebbe passato un terzo dell'anno con ciascuna dea e il resto a suo piacimento. Ma Adone trascorse anche quest'ultimo terzo con Afrodite. Nella seconda versione è la musa Calliope a fare da giudice, decidendo di affidare Adone a ciascuna dea per metà anno. La seconda versione sostiene inoltre che Afrodite avrebbe punito Calliope causando la morte di suo figlio Orfeo. Ma il mito più celebre di Orfeo è quello della sua discesa agli Inferi per amore della moglie Euridice. Ade e Persefone acconsentirono a restituire Euridice a suo marito, ma posero una condizione, che cioè Orfeo dovesse risalire alla luce, seguito dalla moglie, senza voltarsi per vederla prima di aver lasciato il loro regno. Orfeo accettò, e si mise in cammino. Era già quasi risalito alla luce del giorno quando un dubbio terribile gli venne in mente: Persefone non si era forse fatta beffe di lui? Euridice era veramente dietro di lui? Immediatamente si voltò. Ma Euridice svenne e morì una seconda volta. Orfeo tentò di ritornare a cercarla; ma, questa volta, Caronte fu inflessibile e gli negò l'accesso al mondo infernale.
Persefone come sposa di Ade ha anche una parte nella leggenda di Sisifo. Questi riuscì a trarre in inganno Persefone, ma mal gliene incolse. Appena varcata la soglia del palazzo di Ade, si recò immediatamente dinanzi a Persefone e le disse che, poiché il suo corpo non era stato sepolto, egli sarebbe dovuto ritornare nel mondo dei vivi allo scopo di provvedere al suo funerale e per punire l'incuria dei suoi familiari, e promise di ritornare entro tre giorni. Persefone si lasciò ingannare e concesse a Sisifo ciò che egli chiedeva. Ma appena fu tornato alla luce del sole, Sisifo non mantenne la promessa fatta a Persefone e Ade fu costretto a ricondurlo al Tartaro con la forza.
A Persefone e alla madre Demetra era sacra la città di Eleusi dove ogni anno si celebravano solenni processioni e teorie di vergini. In questa occasione agli iniziati erano rappresentati dei misteri nei quali si mostrava la vita d'oltretomba. Nella mitologia romana Persefone prese il nome di Proserpina.
L'arte rappresenta Persefone ora come moglie di Ade, ora come figlia di Demetra, coronata di edera e con una fiaccola in mano.


Perseide


Nella mitologia greca, Perseide era il nome di una delle figlie del titano Oceano e della consorte Teti della stessa specie, per questo era un oceanina, una ninfa delle acque.

Fu sposa di Elio, e da lui ebbe numerosi figli:

* Perse;
* Eete, re della città di Eea sul Fasi, nella Colchide
* Pasifae, moglie di Minosse, regina di Creta e madre del Minotauro.
* Circe, la maga che ingannò Ulisse[2]

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:34
 
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Vampiro di dracula

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Perseo (mitologia)

Pèrseo (latino: Perseus) è un eroe argivo della mitologia greca, figlio di Zeus e di Danae, quest'ultima figlia del re di Argo Acrisio. Attraverso la madre discende da Linceo e Ipermestra, perciò da Danao e da Egitto.

Il bisnonno Abante, re dell'Argolide, nella sua giovinezza, era stato un guerriero così temuto che, dopo aver avuto la meglio sui tanti nemici, anche negli ultimi anni di vita riusciva a terrorizzare gli avversari solo mostrando le proprie armi custodite nel palazzo.

Abante sposò Aglaia e dalla loro unione nacquero due gemelli: Preto e Acrisio. Ma i due fratelli non si amavano ed erano sempre in lotta fra loro. Si dice anzi che l'invenzione dello scudo sia dovuta a questi due irriducibili nemici che avevano iniziato le contese fin da quando si trovavano ancora nel grembo materno. Infine, dopo una lunga lotta, Acrisio ebbe la meglio e cacciò il fratello, il quale partì per la Licia, dove sposò Antea, la figlia del re Iobate. Quest'ultimo riportò Preto in Argolide, e lo insediò a Tirinto.

Così Preto e Acrisio, eredi del regno dell'Argolide, si disputarono il diritto di regnare: Abante in un primo tempo riuscì a stabilire dei turni, ma poiché le contese per la supremazia continuavano, si addivenne alla spartizione del regno: Acrisio avrebbe avuto Argo e Preto Tirinto.

Preto, temendo un attacco del nemico, e soprattutto del fratello, fece realizzare dai Ciclopi un'opera di fortificazione immane: essi circondarono la città con un muro di pietre grandissime, che nessun mortale sarebbe mai riuscito a muovere.

Nascita e infanzia

Ad Argo, Acrisio, nonno di Perseo, temeva per le sorti del proprio regno perché, avendo avuto dalla moglie Euridice una sola figlia femmina, Danae, in assenza di eredi maschi non sapeva a chi avrebbe trasmesso il titolo di sovrano. Spinto dal desiderio di conoscere il destino della sua città, aveva chiesto all'oracolo come avrebbe potuto avere figli. Il dio gli rispose che sua figlia Danae avrebbe avuto un figlio che lo avrebbe ucciso. Preso dal più grande sconforto e anche dal terrore, rinchiuse la figlia in una torre ben fortificata, con porte di bronzo guardate da cani ferocissimi.

Egli pensò che in questo modo non avrebbe avuto più nulla da temere, ma si sbagliava; il suo destino era già stato stabilito dagli dèi. Infatti, nonostante queste precauzioni, Danae concepì un figlio. Gli uni sostengono che questo bambino era nato per opera di Preto, fratello d'Acrisio, e che qui è da ricercare l'origine della disputa sorta fra i due fratelli; ma, per lo più, si racconta che il seduttore fu lo stesso Zeus, il quale, trasformato in pioggia d'oro, penetrò attraverso una fessura del letto e ottenne l'amore della ragazza. Molto spesso, questa versione del mito era invocata per simboleggiare l'onnipotenza del danaro sui cuori, tanto che apriva le porte custodite più solidamente.

Danae era rinchiusa nella prigione con la propria nutrice, e poté avere il figlio di nascosto e allevarlo per vari mesi. Ma un giorno il bambino, giocando, emise un grido, e Acrisio lo udì. Non sapendo chi fosse il responsabile di questa nascita misteriosa, pensò che lo stesso Preto, per fargli dispetto, gli avesse sedotto la figlia. Danae insisteva nel dire che il padre del bambino non era un mortale, ma Acrisio non le credette e, terrorizzato dalla rivelazione dell'oracolo, cominciò con l'uccidere la nutrice, come complice, e fece chiudere Danae e il figlioletto in una cassa di legno che mise su una nave lasciata alla deriva.

La cassa navigò così, a caso, con la madre e il bambino e fu gettata sulla riva dell'isola di Serifo. L'imbarcazione fu fermata da un pescatore di nome Ditti, fratello del tiranno dell'isola, Polidette che, vedendo la cassa e credendo che contenesse qualcosa di prezioso, la portò a riva. Apertala, vi trovò Danae e Perseo ancora miracolosamente vivi. Il pescatore li aiutò a riprendere le forze e li condusse al cospetto del re che, preso da pietà per i due naufraghi, offrì loro ospitalità.

Passarono gli anni e Perseo, circondato dall'amore della madre, cresceva forte e valoroso divenendo ben presto un giovane bellissimo e fortissimo. Danae, che la maturità aveva reso ancora più bella, era oggetto dei desideri del re Polidette che cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo; ma Danae, il cui unico pensiero era il figlio Perseo, non ricambiava il suo amore.

La proposta e l'impresa di Perseo

Allora Polidette pensò di eliminare Perseo con un piano astuto: disse di aspirare alle nozze con Ippodamia per il bene del regno e, dopo aver radunato gli amici confinanti e lo stesso Perseo, annunciò i suoi propositi di nozze e chiese a tutti un regalo: da ognuno dei presenti avrebbe gradito un cavallo. Perseo, mortificato perché non possedeva nulla di simile da donargli, affermò che se il re non avesse più insidiato sua madre Danae, gli avrebbe procurato qualunque cosa avesse chiesto. Polidette fu molto lieto in cuor suo pensando che questo fosse il mezzo per liberarsi di lui. Espresse pertanto l'estroso desiderio di avere come dono di nozze la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni.

Per poter raggiungere Medusa, Perseo doveva assolutamente procurarsi tre cose: dei sandali alati per spostarsi a gran velocità, una sacca magica per riporvi la testa recisa e l'elmo di Ade che rende invisibili. Intanto Atena gli aveva fornito uno scudo lucido come uno specchio, raccomandando all'eroe di guardare Medusa solo di riflesso. Ermes gli regalò un falcetto di diamante affilatissimo, col quale l'eroe avrebbe decapitato il mostro. Quegli oggetti erano custoditi dalle ninfe dello Stige che abitavano in un luogo noto solo alle Graie, sorelle di Medusa: nate già decrepite e grinzose, esse erano in tre, ma disponevano di un solo occhio e di un solo dente che usavano a turno, e abitavano in un palazzo custodito da Atlante.

Allorché Perseo le raggiunse, attese il momento dello scambio di questi due vitali strumenti e li rubò entrambi. Così le Graie, prive dei loro organi, si trovarono in grande difficoltà e accettarono lo scambio loro proposto da Perseo: avrebbe restituito il maltolto se esse gli avessero indicato dove risiedevano le ninfe Stigie.

Dopo essersi rifiutato di rendere l'occhio e il dente alle Graie, e quando le Ninfe consegnarono i sandali, la sacca e l'elmo, Perseo si diresse verso il paese degli Iperborei, una popolazione che abitava nelle regioni fredde e spoglie del Nord. Quel luogo sembrava dominato dalla più grande desolazione e dalla più profonda tristezza: la terra, le erbe, il cielo e la natura in generale avevano un colore grigio e sinistro. La foresta nella quale si incamminò per giungere presso Medusa era pietrificata e cosparsa di strane statue color piombo rappresentanti uomini e donne in diversi atteggiamenti. Perseo si accorse subito che quelle non erano statue, ma esseri che avevano avuto la sventura di guardare il volto di Medusa.

Resosi invisibile grazie all'elmo di Ade, avanzò camminando all'indietro, guardando nello scudo sorretto da Atena; quando fu abbastanza vicino al mostro da sentirne sibilare i serpenti che gli si agitavano sul capo, lo decapitò col falcetto mentre dormiva. Dal collo mutilato della Medusa scaturirono un cavallo alato, Pegaso e un gigante, Crisaore. Perseo sollevò la pesante testa e la mise nella sacca, poi si alzò in volo con i suoi sandali alati per allontanarsi il più in fretta che poteva da quel luogo sinistro. Perseo raccolse pure il sangue che colò dalla ferita. Questo sangue aveva proprietà magiche: quello che era colato dalla sinistra era un veleno mortale, mentre quello colato dalla sua vena destra era un rimedio capace di resuscitare i morti. Inoltre, un solo ricciolo dei suoi capelli, mostrato a un esercito assalitore, aveva il potere di sconfiggerlo.

La liberazione di Andromeda

Forte della testa del mostro, ora nelle sue mani, si recò da Atlante che non aveva voluto aiutarlo nell'impresa: estratta la testa micidiale dalla sacca, lo trasformò in montagna. Sulla via del ritorno, deviò sopra il deserto libico, dove fece cadere il dente e l'occhio delle Graie e alcune gocce del sangue di Medusa, popolando in tal modo il deserto di serpenti, scorpioni e orribili animali dotati di un veleno micidiale.

Mentre volteggiava sul territorio della Filistia, vide incatenata a uno scoglio una fanciulla, nuda e bellissima: Andromeda, figlia del re di Etiopia Cefeo e di Cassiopea. Era condannata a essere divorata da un mostro marino perché sua madre, orgogliosa dell'avvenenza di sua figlia, aveva affermato che superava in bellezza tutte le Nereidi: le ninfe del mare si erano offese e Poseidone, oltre ad avere mandato sulle coste una forte mareggiata che aveva spazzato via l'abitato, aveva inviato un orribile mostro che faceva stragi e terrorizzava gli abitanti: l'integerrimo Cefeo, per salvare il suo popolo, consultato l'oracolo, fu costretto a offrirgli la propria figlia per placarne l'ira. E quando Perseo giunse, Andromeda era ormai rassegnata alla sua terribile sorte. Perseo si offrì di liberare la fanciulla e il luogo da quella calamità purché il re gli consentisse di sposare Andromeda. Cefeo e Cassiopea sulle prime non erano favorevoli: avrebbero preferito maritarla a un pretendente più ricco e più potente, ma furono costretti dagli eventi ad acconsentire.

Perseo, grazie alle armi magiche che possedeva, non fece alcuna fatica a uccidere il mostro marino che doveva divorare Andromeda, e riportò la giovane dai genitori. Tuttavia l'uccisione del mostro fu ben poca cosa, a paragone di quel che successe dopo: durante i festeggiamenti di nozze, Agenore, un ex pretendente alla mano di Andromeda, giunse alla reggia accompagnato da uomini armati, pronto a tutto pur di averla. Fu Cassiopea, che non gradiva Perseo come genero, a dare il segnale della battaglia. L'eroe, per difendersi, estrasse ancora una volta la testa di Medusa ottenendo l'effetto voluto: Cassiopea divenne una statua inerte come del resto tutti quelli che avevano assalito Perseo per ucciderlo.

Secondo una diversa tradizione, accolta anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi fu invece Fineo, zio e aspirante sposo di Andromeda, a fomentare disordini; scontento del matrimonio con Perseo, ordì un complotto contro di lui, avendo contro anche Cassiopea oltre che Cefeo. La reggia divenne così un grande campo di battaglia, finché Perseo, mostrando la testa della Gorgone a Fineo e ai suoi amici ancora in vita, li trasformò in altrettante statue di pietra. Il vincitore, presa per mano Andromeda, grazie ai sandali alati fece rotta verso la Grecia atterrando a Serifo.

La vendetta di Perseo a Serifo e il ritorno ad Argo

Nell'isola, Perseo trovò la situazione cambiata. Presso un tempio, trovò la madre Danae nascosta insieme a Ditti, come in un asilo inviolabile. La causa di ciò era infatti Polidette che, non avendo nessuna intenzione di sposare Ippodamia, non aveva smesso di insidiarla. Perseo allora fu preso da un'ira incontenibile, e dopo aver nascosto Andromeda, si avviò alla reggia di Polidette: giunto al palazzo e portando il dono di nozze, venne deriso ed insultato dal sovrano. Per vendicarsi dei torti subiti, Perseo tirò fuori ancora una volta dalla sacca magica la testa della Medusa pietrificando il re. Perseo consegnò allora al padre adottivo Ditti il potere sull'isola di Serifo. Restituì poi i sandali, la bisaccia e l'elmo di Ade ad Ermes. Questi li rese alle Ninfe, loro legittime padrone, mentre Atena poneva la testa di Medusa in mezzo al proprio scudo.

Poi Perseo, insieme alla moglie Andromeda e alla madre Danae ritornò ad Argo, volendo rivedere suo nonno Acrisio. Ma questi, venendo a sapere le intenzioni dell'eroe e temendo sempre l'oracolo che gli aveva predetto la morte per mano di un figlio di Danae, partì per Larissa, nel paese dei Pelasgi, all'altra estremità della Grecia. Perseo, raggiuntolo, lo rassicurò perché non gli portava rancore e riuscì a farlo tornare ad Argo. Ora, a Larissa il re Teutamide dava giochi in onore di suo padre, e Perseo vi giunse come competitore. Al momento di lanciare il disco, s'innalzò un vento violento, e il disco lanciato da Perseo, deviato malauguratamente, colpì Acrisio, che assisteva allo spettacolo, alla testa e lo uccise. Cosicché il verdetto dell'oracolo si era compiuto. Pieno di dolore, Perseo gli tributò onori funebri e lo fece seppellire fuori dalla città di Larissa. Egli, divenuto signore di Argo, non se la sentì di regnare su quella terra e, recatosi a Tirinto, propose a Megapente succeduto a Preto, di scambiarsi i regni. Poi fondò Micene, facendo costruire ai Ciclopi delle mura invincibili come quelle di Tirinto. A Tirinto, Perseo ebbe da Andromeda molti figli maschi e una femmina: Perse, Alceo, Stenelo, Eleio, Mestore, Elettrione e Gorgofone.

Alla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione cui pose a fianco la sua amata Andromeda, Cefeo e Cassiopea, la cui vanità aveva fatto sì che i due giovani si incontrassero. Ancor oggi queste costellazioni portano i loro nomi.

Persepolis (mitologia)

Nella mitologia greca Persepolis è in certe tradizioni il figlio di Ulisse e di Nausicaa o secondo altre di Telemaco e di ques'ultima. Altre tradizioni lo ritengono figlio di Telemaco e di Policasta, figlia di Nestore.

Peteoo


Nella mitologia greca, Peteoo era un re Acheo dei tempi del mito e padre di Menesteo, uno dei combattenti achei che si distinse nella guerra di Troia.

Peteoo era il nipote di Eretteo e per tale caratteristica venne chiamato Erettide, ed Erettidi vennerò chiamati anche i suoi discendenti.

Piche

Le Piche sono le figlie del re di Tessaglia Pierio; esse ebbero la presunzione di sfidare la Musa Calliope in una gara di canto. Esse perdettero questa gara e furono trasformate in gazze dalla Musa, secondo la mitologia greca.

Il racconto mitologico


Pierios ebbe nove figlie che chiamò con il nome delle nove muse. Divenute in grado di leggere e scrivere Pierios convocò i migliori maestri delle arti delle muse. Quando il padre organizzava i banchetti le ragazze si esibivano e ricevevano complimenti da tutti e con il tempo si insuperbirono e si spinsero ad arrivare fino al monte Elicona, la sede delle muse, per sfidarle in una gara di canto; come giudici erano state convocate le ninfe dei fiumi. Alla fine della gara vennero decretate vincitrici le muse; le piche allora lanciarono ingiurie contro le muse e gli Dei trasformarono le nove ragazze in gazze.

Pico

Antico dio italico, fondatore di Laurentum. Era venerato specialmente in Umbria e nel Piceno. Marito di Pomona o della Ninfa Canente, sarebbe stato mutato in picchio verde dalla maga Circe, sdegnata per aver Picco respinto le sue profferte amorose.
Secondo un'altra versione del mito, Pico era un dio rurale e passava per essere stato padre di Fauno e nonno del re Latino. Gli si attribuiva talvolta come padre Sterce o Stercolo, il cui nome evoca quello del "letamaio". Possedeva la virtù di mutare forma e preferiva quella dell'uccello sacro a Marte, il picchio. Possedeva doni profetici e li usava per dare oracoli all'altare di Marte, seduto su una colonna lignea. Un giorno Numa Pompilio tese una trappola a Pico e Fauno, mescolando del vino alla loro acqua. Completamente ubriachi si lasciarono facilmente catturare; cambiarono sembianze per confonderlo ma alla fine accondiscesero a spiegargli come fare per far scendere Giove dal cielo. Pico guidò i Piceni verso nuove terre; forse aiutò la lupa a nutrire Romolo e Remo.

Pieria


Nella mitologia greca, Pieria (greco Πιερία) è il nome di due personaggi.

Pieria moglie di Ossilo

La prima Pieria era moglie di Ossilo. Dalla loro unione nacquero due figli: Etolo e Laia. Il primo morì giovane mentre il secondo successe al padre.

Pieria moglie di Danao
La seconda Pieria era moglie di Danao. Secondo Pseudo-Apollodoro, Danao ebbe cinquanta figlie note come Danaidi, di cui dodici da Polisso e le restanti fra cui Ipermnestra da Pieria (o da altre donne). Costrette a sposare i cinquanta cugini, figli di Egitto, su ordine del padre le Danaidi assassinarono i loro mariti, tranne Ipermnestra. In seguito il marito di Ipermnestra, Linceo, vendicò i suoi fratelli uccidendo le 49 Danaidi assassine, che nell'Ade vennero poi condannate a riempire una botte dal fondo bucato.

Pieridi

Le Pieridi erano le nove figlie di Pierio di Pella e di Evippa. I loro nomi sono Colimba, Iunce, Cencride, Cissa, Cloride, Acalantide, Nessa, Pipo, Dracontide. Abilissime nel canto, si recarono sul monte Elicona, la sede delle Muse per sfidarle in una gara di canto; ma le Pieridi persero grazie al canto melodico di Calliope, e le Muse per punirle le trasformarono in uccelli, secondo Ovidio in piche, secondo Nicandro in vari uccelli. Pausania invece afferma che le pieridi portassero gli stessi nomi delle Muse e che per questa ragione i figli attribuiti alle Muse siano invece figli delle pieridi, mentre le dee rimasero sempre vergini.

Pigmalione

Pigmalione, re di Cipro, secondo Arnobio, si sarebbe innamorato di una statua della dea Afrodite.

Arnobio, scrittore convertitosi al cristianesimo alla fine del III secolo, nel riprendere il mito di Pigmalione mira semplicemente a polemizzare con la mitologia pagana e a ridicolizzare il culto degli idoli. Tuttavia il precedente racconto di Ovidio (Le metamorfosi, X, 243), ha un significato più complesso: Pigmalione, re di Cipro, era anche uno scultore e aveva modellato una statua femminile, nuda e d’avorio, che egli stesso aveva chiamato Galatea (dal greco gala, galaktos, latte), della quale si era innamorato considerandola, come tutti gli innamorati, il proprio ideale femminile, superiore a qualunque donna, anche in carne e ossa, tanto da dormire accanto ad essa sperando che un giorno si animasse.

A questo scopo, nel periodo delle feste rituali in onore di Afrodite, Pigmalione si recò al tempio della dea, pregandola di concedergli per sposa l’essere creato dalle sue mani, rendendola una creatura umana: la dea acconsentì. Egli stesso vide la statua animarsi lentamente, respirare e aprire gli occhi.

Pigmalione e Galatea si sposarono ed ebbero un figlio di nome Pafo, che fu poi nome di una città di Cipro, famosa per un tempio dedicato alla dea dell’amore e altro nome della stessa Afrodite.

Ovidio descrisse così, secondo il tema del suo scritto, la metamorfosi di un essere inanimato, ma alla base del mito non vi è, come credeva Arnobio, la banale adorazione di un idolo, ma la dedizione dell’artista al prodotto della sua arte che si spinge fino alla immedesimazione e al congiungimento con esso, ottenuto attraverso la ricerca di Afrodite, cioè della bellezza e dell’amore.

Pigmalione di Tiro

Pigmalione fu un leggendario re di Tiro, figlio di Belo e fratello di Didone. Viene identificato con il personaggio storico di Pumayyaton, figlio del re di Tiro Mattan I (829-821 a.C.), e re a sua volta dall'820 al 774 a.C.

Secondo la leggenda, Didone aveva sposato un sacerdote di Ercole, Sicheo (o Sicarbas/Acerbas), il più ricco di tutti i fenici. Pigmalione, accecato dall'avidità di ricchezze, avrebbe sorpreso un giorno Sicheo nel tempio, mentre sacrificava agli dei, e lo avrebbe assassinato ai piedi del'altare. Per molto tempo tenne celato l'assassinio, inducendo la sorella a nutrire vane speranze. Ma l'ombra di Sicheo, privato degli onori di una sepoltura, apparve in sogno a Didone mostrandole l'altare ai piedi del quale era stato immolato e consigliandole di fuggire portando con sé i tesori che da tempo aveva nascosto in un luogo segreto. Da qui la nascita di Cartagine.

Secondo una versione di Fénelon[4] Pigmalione avrebbe sposato Astarbea (Astarbé), donna empia e malvagia ancora più di lui. Questa, innamorata del ricco Joazar, desiderosa di vedere salire al trono quest'ultimo, decise di far morire sia Pigmalione che i figli da lui avuti. Con false accuse di tradimento fece mettere a morte il primogenito, Fadael, e allontanare il secondogenito, Baleazarre (Baléazar), incaricando di ucciderlo i marinai che dovevano portarlo a Samo. In seguito, uccise anche il marito, prima avvelenandolo e poi strangolandolo mentre già era moribondo. Ma Baleazarre, che, gettato in mare, si era salvato, tornò e fece giustizia.

Pilade


Pilade è un personaggio della mitologia greca. Il padre, Strofio, era Re della Fòcide e la madre, Anassibia, era figlia di Atreo e sorella di Agamennone e Menelao. Pilade crebbe con il cugino Oreste, con cui era legato da un'amicizia profonda. Lo affiancò infatti nella vendetta su Clitennestra ed Egisto per l'uccisione di Agamennone e lo accompagnò nelle successive peregrinazioni in Tauride dalle quali riportarono a casa Ifigenia. Alla fine sposò la cugina Elettra, sorella di Oreste.

Pilemene

Nella mitologia greca, Pilemene è il nome di uno dei comandanti alleati dell’esercito troiano che iniziò la sua guerra contro gli Achei. Queste vicende sono narrate nell' Iliade.

Pilemene, figlio di Bilsate, re degli Eneti, proveniente da un paese famoso per i suoi muli selvatici, guidava il contingente dei Paflagoni. Quando combatteva veniva paragonato al dio della guerra Ares per le sue capacità. Fu ucciso in combattimento da Menelao. Il suo giovane scudiero e auriga, Midone, tentò di fuggire, ma su di lui piombò Antiloco, che lo colpì di spada alla tempia dopo averlo stordito al braccio con una grossa pietra.

Pilemene ebbe un figlio chiamato Arpalione, anche lui partecipò alla guerra e non fece più ritorno.

Pileo (mitologia)

Nella mitologia greca, Pileo era il nome di un capitano pelasgo, figlio di Leto e fratello di Ippotoo, insieme al quale intervenne a favore dei Troiani nel conflitto scatenatosi per la contesa di Elena.

Sorgono dubbi sull'identità del padre di Pileo; Omero lo cita esplicitamente col nome di Leto, figlio di Teutamo, mentre Pseudo-Apollodoro lo chiama Pelasgo.

Piraicme

Nella mitologia greca, Piraicme era il nome di uno dei comandanti dell'esercito che aiutò i troiani durante la guerra di Troia; era a capo di tutti i Peoni.

Quando Paride prese con sé Elena moglie di Menelao, fuggendo dalla Grecia verso Troia, ebbe inizio una guerra che coinvolse la Grecia e il regno di Troia. Tra i molti popoli che prestarono aiuto al re Priamo vi erano i Peoni, famosi per i loro archi ricurvi, con il loro capo Piraicme.

Patroclo, durante una delle battaglie, fingeva di essere Achille usandone le armi. Fu allora che colpì Piraicme scaraventandogli contro la sua lancia; Piraicme cadde a terra morto gettando nello sconforto i Troiani.

Secondo altre leggende, Piraicme venne ucciso da Diomede.

Piramo

Piramo e Tisbe erano una coppia di amanti assira, poco nota agli scrittori antichi, ma divenuta celebre per la narrazione che ne fa Ovidio nelle Metamorfosi (libro IV).
Contrariati dai parenti che erano avversi al loro matrimonio, i due giovani, che erano vicini di casa, riuscirono a parlarsi attraverso le fenditure di un muro e combinarono di incontrarsi vicino a una fonte presso la quale sorgeva un gelso. Tisbe, giunta per prima, spaventata dalla vista di una leonessa, fuggì lasciando cadere un velo che fu lacerato ed insanguinato dalla fiera. Quando Piramo arrivò, vedendo quel velo insanguinato, fu indotto a credere che Tisbe fosse stata sbranata e disperato si trafisse col pugnale. Poco dopo la fanciulla ritornò nel luogo fissato per l'incontro e, constatato la tragedia, non ebbe la forza di sopravvivere all'amato e preso il pugnale si tolse la vita sul corpo di lui. Da quel momento, in segno di lutto, i frutti del gelso, fino ad allora bianchi, quando maturano si colorano di scuro.
I genitori posero le loro ceneri in un'unica urna. Due fiumi della Cilicia presero i nomi da Piramo e Tisbe.

Pirecme


Nella mitologia greca, Pirecme. o Pirecmo era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Pirecme, uno dei condottieri, capo dei peoni, che si alleo con Troia durante la guerra contro gli Achei. Durante i combattimenti uccise Eudoro, lo scudiero o come altri dicono consigliere di Patroclo;
* Pirecme, re dell'Eubea citato in un racconto che riguardava Eracle. Quando egli era ancora giovane combatté contro Pirecme uccidendolo sulle rive di un fiume. Tale fiume fu chiamato Eracleio;
* Pirecme, soldato esperto fromboliere grazie al suo coraggio Ossilo ottenne la vittoria sui nemici, gli Epei. Combatté contro Digmeno, soldato dell’esercito nemico.

Piri

Piri, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Piri fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Piritoo

Eroe tessalo figlio di Zeus e Dia, re dei Lapiti.
Succedette al padre putativo Issione sul trono dei Lapiti, ma venne presto coinvolto in una contesa con i Centauri i quali, figli anch'essi di Issione, pretendevano una parte dell'eredità. Dopo una dura lotta giunsero ad un accordo amichevole e i Centauri si stabilirono sul monte Pelio.
Piritoo aveva sentito parlare delle imprese di Teseo d'Atene e volle metterlo alla prova sottraendogli una mandria nella regione di Maratona. I due giovani s'incontrarono, ma subito rimasero colpiti dal loro nobile aspetto, si scordarono della mandria contesa e si giurarono eterna amicizia. Parteciparono entrambi alla caccia al cinghiale calidonio. Si recarono in compagnia di altri amici al paese delle Amazzoni e la regina Antiope volle offrire dei doni a Teseo, ma non appena ebbe messo piede sulla nave, egli ordinò di salpare l'ancora e la rapì.
Piritoo sposò Ippodamia, figlia di Bute, e invitò alle nozze tutti gli olimpi, salvo Ares ed Eris, e molti ospiti tra cui Teseo e Nestore di Pilo, insieme ai Centauri suoi "fratellastri". I Centauri non avvezzi al vino, durante il banchetto si ubriacarono e cercarono di violentare la sposa e di rapire le donne presenti. Si scatenò una lotta furibonda fra i Centauri e i Lapiti, nel corso della quale furono uccisi molti Centauri. In quell'occasione, Teseo scacciò i Centauri dal loro territorio sul monte Pelio ed essi trovarono rifugio nel Peloponneso, con la sola eccezione di Chirone che non aveva preso parte al combattimento e restò a vivere sul monte Pelio fino al giorno della sua morte. Così ebbe origine l'antica inimicizia tra i Centauri e i loro vicini Lapiti, voluta da Ares ed Eris che si vendicarono per l'offesa loro arrecata.
Ippodamia diede a Piritoo un figlio, Polipete, che guidò un contingente di quaranta navi a Troia. Quando Ippodamia e Fedra morirono, Piritoo e Teseo, entrambi vedovi, giurarono di aiutarsi a vicenda nel cercare come sposa una figlia di Zeus. Teseo scelse Elena e Piritoo lo aiutò a rapirla mentre stava offrendo un sacrificio nel tempio di Artemide; ma poiché era ancora troppo giovane per le nozze, venne nascosta nel villaggio attico di Afidna, dove fu affidata alle cure di Etra, madre di Teseo. Poi, Teseo accompagnò l'amico agli Inferi per portarvi via Persefone, moglie di Ade, la qiale era figlia di Zeus e Demetra. Preferirono scendere nel Tartaro attraverso il passaggio secondario di Tenaro in Laconia, e ben presto bussarono alla porta del palazzo di Ade. Ade ascoltò la loro impudente richiesta e simulando cordialità ospitale li invitò a sedersi su due sedie da cui non riuscirono più ad alzarsi, le sedie dell'oblio. Tempo dopo, Eracle liberò Teseo e lo riportò sulla terra; ma, quando tentò di liberare anche Piritoo, la terra si mise a tremare, ed Eracle, comprendendo che Zeus era contrario a tale liberazione, abbandonò l'impresa.

Piroo


Nella mitologia greca, Piroo (o Pireo) figlio di Imbraso è il nome di uno dei comandanti dell’esercito che aiutò i troiani durante la guerra, egli era a capo dei Traci insieme ai più famosi Acamante e Reso. Queste vicende sono narrate nell' Iliade.

Quando Paride, figlio di Priamo re di Troia rapì Elena moglie di Menelao dalla Grecia fuggendo, scoppiò una guerra fra i due popoli. Piroo, l’eroe di Eno, fu ben felice di rispondere all’appello del re di Troia. Egli si distinse riuscendo a uccidere il figlio di Amarinceo Diore. Quando questi gli venne incontro, gli scagliò contro un sasso che gli sfracellò il malleolo e lo fece cadere agonizzante sul terreno; poi gli immerse la lancia nel ventre e lo uccise facendo sparpagliare tutte le sue viscere sul terreno. Ma lo vendicò Toante, figlio di Andremone, che colse Piroo al petto con la lancia, finendolo poi con la spada al ventre.

Piroo era padre di Rigmo, che morì anche lui combattendo in difesa di Troia (colpito dalla lancia di Achille).

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:41
 
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Pirra

Pirra è una figura della mitologia greca.

Era figlia di Epimeteo e di Pandora, e moglie di Deucalione.

Quando Zeus decise di porre fine all'età dell'oro con il grande diluvio, Deucalione e Pirra furono gli unici sopravvissuti, grazie all'arca che Prometeo, padre di Deucalione, aveva suggerito al figlio di costruire. Si arenarono sul Monte Parnaso, l'unico luogo risparmiato dall'inondazione.

Dopo il diluvio, Deucalione chiese all'oracolo di Temi come ripopolare la terra. Gli fu detto di lanciare le ossa di sua madre dietro le sue spalle. Deucalione e Pirra capirono che la madre era Gea, la madre di tutti i viventi, e che le ossa erano le pietre. Lanciarono perciò sassi alle loro spalle, che presto iniziarono a cambiare forma. La loro massa aumentava, e cominciava ad emergere una forma umana. Le parti tenere ed umide divennero pelle e carne, le venature della roccia divennero vasi sanguigni, e le parti più dure divennero ossa. I sassi lanciati da Pirra divennero donne, quelli tirati da Deucalione uomini.

Deucalione e Pirra ebbero due figli, di nome Elleno e Anfizione, ed una figlia di nome Protogenia.

Pirra era anche il nome usato da Achille mentre si nascondeva sotto false spoglie femminili.

Pirro

Figlio di Achille e di Deidamia. Quando Achille venne nascosto dalla madre Teti nell'isola di Sciro presso la corte di re Licomede, per sottrarlo al suo destino, l'eroe, che in abiti femminili viveva negli appartamenti delle donne, ebbe rapporti amorosi con la principessina Deidamia, figlia del re, che lo rese padre di un figlio. Il bambino fu chiamato Pirro ("rosso di pelo") per via dei capelli rossi o forse perché Achille alla corte di Licomede veniva chiamato Pirra. Dopo la morte del padre, l'indovino Eleno predisse che la città di Troia non sarebbe mai caduta se, tra le altre condizioni, Pirro, figlio di Achille, non avesse combattuto con i Greci. Odisseo e Fenice andarono a prendere Pirro a Sciro, e Fenice gli diede il nome di Neottolemo ("giovane guerriero") per la sua giovane età, mentre Odisseo gli donò le armi di Achille.

Pisandro e Ippoloco

Pisandro e Ippoloco sono due personaggi dell'Iliade, citati nell'undicesimo libro del poema.

Pisandro e Ippoloco erano due giovani fratelli troiani, appartenenti a una stirpe importante: il padre Antimaco era tra i consiglieri di Priamo, e quando Elena venne rapita da Paride egli fu tra coloro che si opposero a una soluzione pacifica tra Achei e Troiani.

La morte

Pisandro e Ippoloco parteciparono alla guerra di Troia con la benedizione del loro padre Antimaco il quale, all'assemblea in cui erano presenti Ulisse e Menelao, aveva convinto il troiano Paride, rapitore della spartana Elena moglie del re greco Menelao, di non restituirla ma anzi di lasciare che la guerra scoppiata avesse pure il suo effetto convinto com'era che la vittoria fosse sempre dalla parte dei Troiani, a suo giudizio più forti e protetti dagli dei rispetto ai Greci. Pisandro e Ippoloco combatterono insieme sopra un carro fin dall'inizio del conflitto senza mai esporsi al pericolo; ma al decimo anno in una battaglia i due giovani furono assaliti da Agamennone che si rivolse per primo a Pisandro deciso a colpirlo. Dopo che i due fratelli ebbero rivelato al re la loro natura vile egli, infuriato per l'infausto ricordo del nefasto consigliere Antimaco, colpì Pisandro al petto di lancia facendolo cadere morto al suolo, poi afferrò Ippoloco che era saltato giù dal carro nel tentativo di fuggire e gli tagliò entrambe le braccia con la spada ed infine la testa che fece volare come una trottola girevole lanciata dalle mani di un bambino.

Pisenore

Pisenore, è citato nell'Iliade per essere stato il padre del guerriero troiano Clito.

Clito fu ucciso da Teucro nell'azione bellica descritta nel libro XV dell'Iliade, relativo al Contrattacco dalle navi, ai versi 445 e seguenti.

Pitone

Serpente mostruoso figlio di Gea, la madre Terra. Era un serpente di sesso femminile che proteggeva l'oracolo all'inizio affidato a Gea, poi a Temi e a Febe. La dea Era, quando seppe della nuova infedeltà di Zeus, incaricò Pitone di seguire Latona tutt'attorno al mondo, e decretò che essa non avrebbe potuto partorire in alcun luogo dove brillasse il sole. Poseidone, pregato da Zeus, accolse Latona e la nascose nell'isola di Ortigia, che era allora coperta dal mare, e qui ella partorì Apollo, sotto una volta formata di onde, al riparo dal sole, secondo la volontà di Era. Tre giorni dopo la sua nascita, Apollo uccise Pitone con una delle sue infallibili frecce, dinanzi al sacro crepaccio presso l'oracolo della Madre Terra a Delfi; ne rinchiuse le ceneri in un sarcofago e istituì, in suo onore i Giochi Pitici. Apollo si impossessò dell'oracolo, da cui prese il nome di Apollo Pizio. In memoria dell'antico protettore dell'oracolo, il sacerdote di Apollo a Delfi continuò ad essere una donna e venne sempre chiamata Pizia.

Pitteo

Nella mitologia greca Pitteo era uno dei figli di Pelope e padre di Etra. Fu uno dei re di Trezene. Era un uomo molto saggio e per questo fu in grado di comprendere le parole della profezia che Egeo aveva ricevuto dall'oracolo di Delfi, quando nessun altro vi era prima riuscito. Egeo rimase presso la sua corte e amò la figlia di Pitteo, Etra, dalla quale ne ebbe un figlio: Teseo. Pitteo educò personalmente il nipote, che rimase col nonno fino all'età di 16 anni.

Pizia

O Pitonessa, sacerdotessa di Apollo Pitio (così detto per aver ucciso il serpente Pitone), sedeva nel tempio di Delfi sopra un tripode posto all'ingresso di una grotta sacra (adyton), donde emanavano vapori dalle proprietà estatiche. Inebriata da queste esalazioni, la Pizia pronunciava nel delirio parole sconnesse che i sacerdoti raccoglievano come responsi del dio, cercando di interpretarli. In principio (quando i responsi li davano una volta all'anno) ve n'era una sola, poi tre; tenute alla verginità perpetua esse erano scelte fra le abitatrici di Delfi, con preferenza alle povere ma oneste.
Gli oracoli di Delfi e quello di Dodona furono tra i più celebri.

Pleiadi

Figlie di Atlante e della ninfa oceanina Pleione. Erano in numero di sette e si chiamavano: Alcione, Merope, Celeno, Elettra, Sterope, Taigete e Maia; la più bella era Maia, che unitasi a Zeus, generò Ermete; la meno splendente, Merope, per la vergogna d'essere la sola fra le sorelle ad avere amato un mortale.
Secondo il mito, esse vennero tramutate nella costellazione omonima, che sorge con l'inizio del periodo favorevole alla navigazione e tramonta quando cominciano le tempeste. Secondo una tradizione, esse subirono questa metamorfosi essendosi uccise per il dolore di aver perduto le sorelle Iadi; secondo un'altra, mentre stavano per cadere nelle mani del gigante Orione che le inseguiva per le campagne della Beozia, Zeus le tramutò in colombe e poi in astri, insieme con l'inseguitore e il suo cane. Le Pleiadi non erano vergini, infatti tre di loro si giacquero con Zeus: Maia che fu madre di Ermete, Elettra che gli diede Dardano e Iasione, e Taigete che gli diede Lacedemone; due si unirono in amore con Poseidone, prima Celeno che generò Lico e poi Alcione che generò Irieo, Iperenore ed Aretusa; una si giacque con Ares, che generò Enomao; la settima, Merope, sposò il mortale Sisifo, re di di Corinto, dal quale ebbe un figlio, Glauco. Di tutte le Pleiadi, Merope, la sola ad avere sposato un mortale, è la stella che, nella costellazione, brilla di uno splendore minore di quello degli astri che rappresentano le sue sorelle.
In latino esse erano dette Vergiliae, con riferimento forse alla primavera. Pleiadi erano pure dette le sacerdotesse del tempio di Zeus a Dodona.

Plessippo


Plessippo, è un personaggio della mitologia greca, fratello di Altea, ucciso insieme ad un altro fratello dal nipote Meleagro dopo che gli contestò l'assegnazione delle spoglie del cinghiale calidonio ad Atalanta.

Pleurone

Nella mitologia greca, Pleurone era il nome di uno dei figli di Etolo e di Pronoe, la figlia di Forbo.

Era il fratello di Calidone fu sposo della figlia di Doro, Santippe da cui ebbe numerosi figli: un maschio Agenore e 3 femmine, Sterope, Laofonte e Stratonice.

Per la sua discendenza era considerato nell'intera Laconia, infatti da lui discenderanno i Dioscuri.

Plistene

Nella mitologia greca, Plistene era il nome di diverse figure del mito.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Plistene figlio di Tieste detto anche Plistene II
* Plistene figlio di Atreo
* Plistene figlio di Menelao ed Elena, figlio che in seguito preferì ad Ermione, portandoselo con se nei suoi viaggi.
* Plistene figlio di Pelope e Ippodamia

Plistene figlio di Atreo


Tale Plistene figlio di Atreo divenne poi secondo alcune fonti padre di Agamennone, Menelao e Anassibia, mentre Omero indica Atreo stesso come padre dei tre.

Sua madre invece era Cleola, prima moglie di Atreo.

La morte

Creola era morta dando alla luce Plistene, nato malato per colpa di Artemide, Venne in seguito ucciso dai sicari che lo stesso Atreo aveva mandato per uccidere un altro Plistene, quello avuto da Erope, sua seconda moglie, da Tieste il suo amante precedente.

Atreo però non demorse nella sua ricerca di vendetta, alla fine trovò lui stesso quel Plistene II insieme a Tantalo II, li uccise, li tagliò a pezzi, e li porse come pietanza a Tieste che prima mangiò di gran lena e poi vomitò maledicendo Atreo.

Pluto (mitologia)

Pluto, spesso confuso e identificato con il fratello di Zeus Plutone (divinità degli inferi corrispondente ad Ade), è una figura della mitologia greco-romana, dio della ricchezza. Da esso deriva anche la parola plutomania ovvero la bramosia della ricchezza o dell'oro. Era figlio di Demetra e Iasione, nipote di Dardano fondatore di Troia. Gli antichi lo rappresentavano: obeso per l'intrinseca abbondanza; bendato per l'imparzialità e la casualità nel distribuire le ricchezze; zoppicante per la lentezza dell'accumulo; alato per la rapidità del dispendio.
Pluto, illustrazione di Gustave Doré.

Divina commedia


Nella Divina Commedia, Dante lo pone come guardiano del IV cerchio dell'Inferno (Canto VII), in cui vengono puniti avari e prodighi. La sua descrizione è molto vaga (non si sa nemmeno se il poeta si confondesse con Plutone), ma gli fa recitare uno dei versi più famosi dell'intero poema: "Pape Satàn, pape Satàn aleppe".

Plutone

Figlio di Crono e di Rea, fratello di Zeus e di Poseidone e quindi uno dei tre padroni che si divisero il comando dell'Universo dopo la vittoria sui Titani. Mentre Zeus otteneva il Cielo e Poseidone il Mare, Plutone diveniva signore del mondo infernale e chiamato perciò Ade. Il nome Ade significa l'"Invisibile" e veniva usato il meno possibile, poiché era considerato poco augurale. Si usavano invece eufemismi come Plouton, Plutone (il "Ricco"), alludendo alla ricchezza della terra, sia della terra coltivata, sia delle miniere ch'essa cela. Plutone è spesso rappresentato mentre tiene un corno dell'abbondanza, simbolo di quella ricchezza. In Omero va famoso per i cavalli del suo cocchio, sul quale trasporta le anime dal mondo nell'Erebo. Come dio delle profondità e degli abissi, lo si considerava benefico, perché dalle profondità della terra proviene la ricchezza, e talora veniva identificato con Pluto.
Tuttavia non fu mai una divinità popolare presso i Greci: intorno a lui si formò, relativamente tardi, un solo mito, ed è quello del rapimento di Persefone; scarsamente diffuso era il suo culto e scarsissime le rappresentazioni artistiche. Plutone è conosciuto dai Romani col nome di Dite (da dives = ricco).

Podalirio

Podalirio è un personaggio della mitologia greca, figlio di Asclepio ed Epione. Celebre medico imparò le sue arti guaritrici dal padre e dal maestro Chirone. Era tra i pretendenti di Elena. Giunse al porto di Aulide insieme al fratello Macaone, portando con sé 30 navi.
« E poi le genti di Tricca, quelli di Itome rocciosa, di Ecalia, la città di Eurito: li guidano i due figli di Asclepio, Podalirio e Macaone, medici illustri. Schierano trenta navi ricurve. »

Liberò gli Achei da una violenta epidemia sotto le mura di Troia. Insieme al fratello curò l'ulcera di Filottete, portato via dal suo isolamento nell'isola di Lesbo. Macaone veniva considerato un chirurgo, Podalirio un medico generico. Vendicò la morte del fratello uccidendo l'amazzone che l'aveva trafitto (secondo un'altra tradizione fu Euripilo, figlio di Telefo, ad ucciderlo. Quest'ultimo venne poi ucciso a sua volta da Neottolemo. Dopo la guerra si stabilì a Sirno, in Caria, perché un oracolo gli aveva predetto di stabilirsi in un paese dove il cielo cade sulla terra. Sirno ha montagne così alte che sembra sostengano il cielo. Qui sposò Sirna, la figlia del re.

Podarce

Nella mitologia greca, Podarce era il nome di diversi personaggi di cui si racconta nel mito.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Podarce, figlio di Ificlo;
* Podarce, figlio di Laomedonte.

Podarce figlio di Ificlo

Quando Paride, uno dei principi di Troia, prese con sé Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i Troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone Podarce era fra questi. Fratello di Protesilao, venne a Troia con quaranta navi, dove dimostrò coraggio e forza in battaglia.

Nei combattimenti presso Troia, si distinse soprattutto durante la battaglia contro le Amazzoni. Colpì mortalmente l'amazzone Clonia, con la sua lancia, ma Pentesilea, regina delle Amazzoni, per vendicarsi, lo uccise con un colpo di giavellotto.

Podarce figlio di Laomedonte

Secondo tale versione Eracle uccide tutti i suoi fratelli lasciando in vita soltanto Podarce, poi lo mette in vendita come schiavo e viene comprato da Esione. Da allora Podarce cambia nome diventando Priamo, colui che sarà re di troia.

Pode

Nella mitologia greca, Pode era il nome di un giovane guerriero troiano. La sua vicenda è narrata nel libro XVII dell' Iliade di Omero.

Quando Paride, figlio di Priamo re di Troia, prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Pode era un giovane abitante della città di Troia, che si ritrovò coinvolto nelle battaglie. Figlio di Ezione, era ricco e nobile, non solo di nascita ma anche di carattere. Egli era infatti fratello di Andromaca e dunque cognato di Ettore, che lo stimava molto ed era suo compagno quando si trattava di banchettare allegramente.

La morte

Il giovane fu ucciso in combattimento da Menelao, che poi trascinò via il cadavere suscitando l'ira e il dolore di Ettore.

Polibo 1

Re di Corinto, allevò Edipo bambino trovato da un pastore corinzio sul monte Citerone. Un'altra versione del mito racconta che Peribea, moglie di Polibo, raccolse Edipo sulla spiaggia e lo portò al palazzo, dove il re, essendo senza prole, fu ben lieto di adottarlo come suo figlio. Durante l'infanzia e l'adolescenza, Edipo visse alla corte di Polibo, del quale pensava di essere figlio. Divenuto adulto, si recò un giorno a Delfi a interrogare l'oracolo che gli rispose che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Spaventato, e credendo veramente di essere figlio di Polibo, decise di esiliarsi volontariamente. Anni dopo, la regina Peribea scrisse a Giocasta, madre e moglie di Edipo, che l'improvvisa morte di re Polibo l'autorizzava a rivelare in quali condizioni era stato adottato Edipo. Giocasta allora si impiccò per la vergogna e per il dolore, mentre Edipo si accecò con uno spillo tolto dalle vesti della madre.

Polibo 2

Re di Sicione, figlio di Ermete e di Ctonofile. Ereditò il trono del nonno; ebbe una figlia, Lisimaca, o Lisianassa, che andò sposa a Talao, re di Argo, da cui ebbe vari figli, fra cui Adrasto e Pronace. Dopo un lungo regno, non avendo figli maschi, gli succedette sul trono il nipote Adrasto, che si era rifugiato alla sua corte.

Polemone

Nella mitologia greca, Polemone era il nome di uno dei re dei Cari.

Ebbe un figlio Nasso che conquistò un'isola e le diede il proprio nome.

Policaone

Nella mitologia greca, Policaone era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Policaone, figlio di Bute, marito di Evacme la figlia di Illo e Iole
* Policaone, figlio di Lelego

Policaone figlio di Lelego

Fu il primo re della Laconia, ebbe come moglie Messene, figlia di Triopa. Si racconta che ai tempi in cui i due regnavano venne a farli visita Caucone figlio di Celeno, che lavorava alacramente alla diffusione del culto delle divinità Demetra e Persefone. Si racconta che Pausania stesso non riuscì a scoprire quanti figli avesse avuto Policaone, ma che seppe con certezza che la sua dinastia si estinse entro 5 generazioni.

Polidamante

Nella mitologia greca, Polidamante è il nome di tre differenti personaggi mitologici.

Il nome di Polidamante si riferisce a tre personaggi, entrambi legati al contesto della Troade.

* Polidamante, valoroso guerriero, figlio del troiano Pantoo, combatté nella guerra di Troia e si distinse come soldato ma soprattutto come consigliere.
* Polidamante, figlio di Priamo e di Ecuba, in una versione poco conosciuta.
* Polidamante, figlio di Antenore e di Teano.

Polidamante, figlio di Pantoo

Polidamante, figlio di Pantoo, consigliere e sacerdote di Apollo a Troia, era un troiano, amico di Ettore. Aveva un figlio, Leocrito, il quale partecipò con lui alla guerra benché ancora adolescente, venendo ucciso da Ulisse.

Polidette

Nella mitologia greca, Polidette, figlio di Magnes e di una naiade, fu il sovrano dell'isola di Serifo.

Quando Perseo e la madre Danae giunsero sull'isola furono trovati da un pescatore, Ditti, fratello di Polidette, che li accolse.

Il re si innamorò della bellissima Danae, che però non voleva sposarlo. Allora Polidette pensò di eliminare Perseo e per farlo disse di aspirare alle nozze con Ippodamia per il bene del regno e chiese a tutti di regalargli un cavallo.

Perseo, che non possedeva nulla, affermò che se il re non avesse più insidiato sua madre Danae, gli avrebbe procurato qualunque cosa avesse chiesto. Polidette fu molto lieto in cuor suo pensando che questo fosse il mezzo per liberarsi di lui. Espresse pertanto l'estroso desiderio di avere come dono di nozze la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni.

Dopo che Perseo riuscì a conquistare la testa della Gorgone, tornò sull'isola e presso un tempio, trovò la madre Danae nascosta insieme a Ditti. Polidette infatti, non avendo nessuna intenzione di sposare Ippodamia, non aveva smesso di insidiare la madre dell'eroe. Perseo allora fu preso da un'ira incontenibile, e dopo aver nascosto Andromeda, si avviò alla reggia di Polidette: giunto al palazzo e portando il dono di nozze, Perseo tirò fuori dalla sacca magica la testa di Medusa e pietrificò tutti. Dopodiché consegnò al padre adottivo Ditti il potere sull'isola di Serifo.

Nel dodicesimo libro dell'Iliade di Omero Polidamante trova il modo corretto di attraversare il largo e pericoloso fossato che faceva parte della difesa al porto acheo. In seguito interpreta il segno inviato da Zeus - un'aquila vola con un serpente tra gli artigli, ma questo le si ritorce contro e la morde - come un presagio funesto e consiglia Ettore di non continuare l'assedio. Nel poema, Polidamante si dimostra un illustre guerriero uccidendo numerosi greci come Protoenore, duce dei Beoti, Mecisteo e Oto del Cillene; nel libro XVII riesce a trafiggere il capitano Peneleo, trapassandogli la spalla con la lancia, anche se il colpo, tuttavia, non si rivela mortale.

Nel diciottesimo libro, dopo la morte di Patroclo, Ettore, nonostante l'avverso consiglio di Polidamante, impegna le truppe troiane nella battaglia presso le navi. Omero non riferisce la morte di Polidamante, la quale venne raccontata successivamente da autori posteriori, quali Ditti Cretese IV, 7. L'eroe venne infatti ucciso da Aiace Telamonio, con un colpo di lancia che gli trapassò l'inguine.

Polido

Nella mitologia greca Polido era un celebre indovino, figlio di Cerano, padre di Manto.

Minosse re di Creta lo consultò per sapere cosa fosse avvenuto al figlio Glauco che da alcuni giorni era scomparso; ed avendo scoperto che il bambino era morto soffocato in una botte di miele, Minosse lo rinchiuse, col figlio morto, in un giardino, dicendogli che l'avrebbe liberato solo quando avesse risuscitato il ragazzo. Polido operò con un'erba, con la quale aveva visto un serpente risuscitare un altro serpente.

Ebbe due figli, Euchenore e Clito, che presero parte alla guerra di Troia, nonostante le tetre predizioni che il padre rivolgeva al primo di questi.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:50
 
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Polidora

Nella mitologia greca, Polidora è il nome di due eroine:

* Polidora, figlia di Meleagro (e, forse, di Cleopatra), è menzionata dall'autore del Cypria come moglie dell'eroe Protesilao, noto per essere stato il primo acheo a cadere nella guerra di Troia. Secondo la tradizione, si uccise per il dolore della sua perdita. Solitamente, nella versione più nota, Polidora è sostituita da Laodamia, figlia di Acasto.
* Polidora, una delle Oceanine, figlie di Oceano e Teti.

Polidoro (mitologia)

Polidoro è nella mitologia greca il nome di due figli di Priamo (re di Troia).

Il primo Polidoro aveva per madre Ecuba, l'altro Laotoe.

Polidoro figlio di Laotoe


Polidoro figlio di Laotoe era in assoluto il più giovane dei figli di Priamo che proprio per questo gli aveva impedito di partecipare alla guerra.

Ma il ragazzo, che confidava molto nell'agilità delle sue gambe, per la quale era noto, gli disobbedì, e venne ucciso da Achille, che lo trafisse alla schiena durante uno scontro.

Omero narrò questa vicenda nel libro ventesimo dell'Iliade.

Polidoro figlio di Ecuba


Dell'altro Polidoro riferiscono Virgilio nell'Eneide ed Euripide nella tragedia Ecuba.

Al tempo della guerra di Troia Polidoro era stato mandato dal padre, con parte del tesoro della città, in Tracia presso Polimestore, re della regione. Quando in Tracia giunse la notizia della caduta di Troia, Polimestore trafisse proditoriamente Polidoro per impossessarsi del tesoro. Infine lo gettò dalle mura della sua città, ed il cadavere del giovane precipitò nel mare dove finì divorato dai pesci.

La moglie di Priamo, Ecuba, accecata dall'ira per la morte brutale del suo adorato figlio, si scagliò su Polimestore, uccise i suoi due figli e per finire lo accecò, compiendo così la sua vendetta.

Queste notizie sono raccontate da Enea nel terzo libro dell'Eneide, mentre narra le sue peregrinazioni a Didone. L'eroe troiano racconta di come giunto in Tracia avesse fondato Eneade, la sua nuova città e di come, strappando delle fronde per coprire l'area dell'altare appena eretto, vide colare sangue nero e sentì la voce del principe troiano, suo cugino, che gli raccontò la sua tragica fine invitandolo ad abbandonare quel luogo maledetto.

Riprese del mito

Il mito di Polidoro figlio di Priamo ed Ecuba è ripreso da vari autori, tra cui Dante che nel Canto XIII dell'Inferno prevede per la legge del contrappasso che i suicidi vengano trasformati in arbusti dai quali, se spezzati, fuoriesce sangue. Egli è citato esplicitamente anche al v. 115 del Canto XX del Purgatorio.

Polifemo 1

Un Lapita, figlio d'Elato e d'Ippe. Suo padre "divino" è Poseidone. Sposò Laonome che, in una tradizione oscura, passava per essere sorella di Eracle. Partecipò alla spedizione degli Argonauti; ma, quando Eracle perse l'amante diletto Ila, restò in Misia dove fondò la città di Cio, nella quale regnò finché i Calibi lo uccisero in battaglia.

Polifemo 2

Ciclope, figlio di Poseidone e della ninfa del mare Toosa. Era pastore, viveva del prodotto del suo gregge di pecore e capre selvatiche e abitava in una caverna. Conosceva l'uso del fuoco, ma preferiva divorare la carne cruda.
Quando Odisseo giunse nella sua isola identificata con la Sicilia, scorse l'ingresso di una caverna e con dodici uomini vi si addentrò, ignaro di trovarsi nella proprietà di Polifemo. Sedettero attorno al focolare e si rifocillarono; Verso sera apparve Polifemo che spinse il suo gregge nella caverna e ne chiuse l'ingresso con un'enorme pietra. Il Ciclope li vide e cominciò a divorarli a coppie. Odisseo gli offrì del vino che, per precauzione, aveva portato con sé e Polifemo lo trovò buono e ne bevve fino a sentirsi di umore migliore. Chiese allora il suo nome a Odisseo che gli rispose: "Nessuno". Il Ciclope gli promise, come ricompensa per un vino tanto eccellente, di divorarlo per ultimo; poi, dopo aver bevuto un'ultima coppa, s'addormentò. Odisseo escogitò dunque uno stratagemma: per mezzo di un palo arroventato sulla punta trafisse l'unico occhio del gigante. Quando Polifemo cercò di chiedere aiuto, gridò che "Nessuno" stava cercando di ucciderlo e quindi i suoi fratelli Ciclopi non intervennero. Giunto il mattino, il Ciclope aprì l'entrata e i Greci fuggirono legati al ventre degli arieti. In salvo sulla sua nave Odisseo non riuscì a trattenersi dal lanciare un ironico saluto a Polifemo. Per tutta risposta il Ciclope, irato, scagliò in mare un enorme masso che cadde a poca distanza dalla prua della nave. Odisseo rise e gridò: "Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Nessuno, ma Odisseo d'Itaca!" Polifemo pregò allora il padre Poseidone di far sì che il suo nemico Odisseo - se mai fosse ritornato in patria - vi giungesse tardi e su una nave non sua, dopo aver perso tutti i suoi compagni, e venisse colpito da nuove sciagure oltre la soglia della sua casa.
Prima di essere accecato Polifemo ebbe un'avventura amorosa con la ninfa Galatea. Infatti, quando l'indovino Tèlemo gli predisse che avrebbe perso la luce dei suoi occhi per mano di un uomo chiamato Odisseo, lui ridendo rispose: "O stupidissimo indovino, ti sbagli: un'altra creatura mi ha già accecato".

Polifete


Polifete , personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Polifete partecipò all'azione bellica descritta nel libro VI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Polifonte

Nella mitologia greca, Polifonte era il nome della figlia di Ipponoo e di Trassa figlia di di Ares (o di Artemide).

Dedita al culto di Artemide di cui faceva parte del suo seguito di vergini, odiava gli uomini ed il matrimonio e, per non essere costretta alle nozze, fuggì in un bosco. Afrodite, dea della quale sdegnava il culto, la punì facendola innamorare di un orso. Il frutto di quell'amore furono Agrio e Orico, entrambi selvaggi come il loro padre. La stessa Artemide per punire la ragazza per aver perso la verginità la fece uccidere dagli animali del bosco.

Un'altra versione narra che Zeus avrebbe voluto ucciderne i figli, ma che Ares li salvò tramutandoli, insieme alla madre Polifonte, in uccelli da preda.

Nelle Metamorfosi di Antonino Liberale si racconta che Polifonte e i suoi figli praticassero il cannibalismo e per punizione vennero trasformati in strigi.

Polido

Figlio di Cerano, fu un famoso indovino e guaritore. Sposò una nipote di Augia, la figlia di Fileo, Euridamia. Da lei ebbe due figli, Euchenore e Clito, i quali parteciparono alla spedizione degli Epigoni e poi accompagnarono Agamennone contro Troia. Poliido aveva predetto al maggiore dei figli che la sorte gli riserbava due destini: o morire a casa sua di malattia, o cadere in battaglia, a Troia. Euchenore scelse il secondo destino, e fu ucciso da una freccia di Paride.
Quando Bellerofonte ebbe da Iobate, re di Licia, l'ordine di uccidere la mostruosa Chimera che devastava la regione, fu proprio Poliido che gli consigliò di catturare e domare l'alato cavallo Pegaso. Il giovane trovò Pegaso presso la fonte Pirene, gli saltò in groppa e riuscì a sopraffare il mostro piombandogli addosso e trafiggendolo con le frecce e poi conficcandogli tra le mascelle un pezzo di piombo che aveva infilato sulla punta della lancia. L'alito infuocato della Chimera fece sciogliere il piombo che le scivolò giù per la gola bruciandole gli organi vitali.
E fu ancora Poliido che liberò dalla pazzia Teutra, re di Misia. Egli aveva ucciso sulla montagna un cinghiale che si era rifugiato nel santuario d'Artemide Ortosia, e implorava con voce umana: "Risparmiami!" Per punirlo la dea l'aveva fatto impazzire e colpito con una specie di lebbra. La madre Lisippa, con l'aiuto di Poliido, riuscì a calmare la collera d'Artemide, e Teutra recuperò la salute. La montagna sulla quale Teutra aveva ucciso il cinghiale si chiamò, in ricordo di ciò, Teutrania.
Ma la storia più celebre del suo intervento è la resurrezione di Glauco, figlio di Minosse e di Pasifae. Essendo ancora fanciullo e dando la caccia a un topo, cadde in una giara di miele e annegò. Minosse lo cercò ovunque e non riuscendo a trovarlo ricorse all'oracolo di Delfi. L'oracolo rispose che chiunque fosse riuscito a stabilire la migliore similitudine con una nascita portentosa avvenuta recentemente in Creta avrebbe trovato ciò che era stato perduto. Minosse fece delle indagini e venne a sapere che in una delle sue mandrie era nata una vitella la quale cambiava colore tre volte al giorno, passando dal bianco al rosso e dal rosso al nero. Egli convocò allora i veggenti a palazzo, ma nessuno riuscì a trovare una buona similitudine finché Poliido disse che quella vitella assomigliava assai a una mora di rovo (o di gelso). Questo frutto, infatti, dapprima è bianco, poi rosso e quando è al colmo della maturazione diviene nero. Minosse subito gli ordinò di andare in cerca di Glauco.
Poliido vagò nel labirintico palazzo finché trovò nella cantina Glauco affogato in una grande giara dove si conservava il miele. Minosse, appena avuta la notizia di tale ritrovamento, si consultò con i Cureti e seguendo il loro consiglio ordinò a Poliido di restituire la vita a Glauco, e lo imprigionò con il cadavere e una spada. L'indovino era assai perplesso e, quando vide un serpente che si avvicinava al cadavere del fanciullo, temendo per la sua vita afferrò la spada e lo uccise. Ma subito arrivò un secondo serpente che vedendo l'altro morto se ne andò via; ritornò poco dopo con un'erba in bocca, che appoggiò sul corpo del compagno morto. Non appena quell'erba lo toccò, il serpente riprese a vivere. Poliido, stupefatto di quanto aveva visto, immediatamente prese quell'erba, la pose sul corpo di Glauco e il bambino tornò in vita.
Minosse fu felicissimo e colmò Poliido di doni, ma non volle permettergli di ritornare ad Argo se non avesse insegnato la sua arte a Glauco. Poliido obbedì contro voglia, ma quando fu sul punto di salpare disse a Glauco di sputare nella sua bocca aperta. Il fanciullo obbedì e subito si scordò di quello che aveva imparato.

Polimela

Nella mitologia greca, Polimela era il nome di diversi personaggi del mito.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Polimela figlia del re di Ftia Attore
* Polimela sposa di Esone
* Polimela ninfa della Tessaglia, figlia di Filante amata da Ermes e madre di Eudoro , successivamente andò in sposa ad Echele, un discendente di Attore.
* Polimela figlia di Eolo la divinità dei venti, Odisseo si innamorò di lei durante il suo viaggio. L’eroe chiamato anche Ulisse stava per essere condannato ma fu salvato dal fratello di Polimela, Diore, che decisa di sposarla come si usava in quella famiglia.

Polimela sposa di Esone


Polimela ebbe un figlio dal consorte chiamato Giasone. Lei insieme al marito ed al secondo figlio Promaco fu rinchiusa da Pelia che aspirava al trono del regno legittimamente spettante ad Esone e suo figlio. Giasone tornò per liberare la sua famiglia ma il re con abili scuse lo inviò a recuperare il vello d'oro come condizione per la loro libertà. Subito il ragazzo organizzo una spedizione con tanti eroi denominati gli argonauti. Alla fine il re non aspettò il ritorno degli argonauti ed uccise Polimela e la sua famiglia. Anche se la ragazza decise di togliersi la vita da sola, solo dopo aver maledetto Pelia per aver ucciso suo figlio davanti ai propri occhi.

Polimela (Attore)

Nella mitologia greca, Polimela era il nome di una delle figlie del re di Ftia Attore.

Fu la prima moglie di Peleo, avendo dei dubbi sul fatto che il marito la volesse abbandonare per un'altra decise di impiccarsi. La colpa fu tutta dei continui riferimenti ad allusioni da parte di Cretide moglie di Acasto. Cretide saputa della morta di Polimela subito accorse da suo marito accusando Peleo dell’omicidio.

Polimela (Filante)

Nella mitologia greca Polimela era il nome di una ninfa della Tessaglia, figlia di Filante.

Venne amata da Ermes, innamoratosi della ninfa quando la vide danzare. Dal dio ebbe Eudoro famoso per aver poi combattuto nella guerra di Troia, successivamente andò in sposa ad Echele (o Echeclo), un discendente di Attore. Filante si prese cura di Eudoro.

Polimelo Argeade

Polimelo Argeade, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Polimelo Argeade fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Polimestore


Nella mitologia greca, Polimestore , detto anche Polimnestore, era il nome di uno dei re della Tracia.

Polimestore si imparentò con Priamo il re di Troia sposando Iliona una sua parente (figlia o cognata a seconda delle fonti). Il saggio re gli affidò il suo ultimogenito Polidoro per la protezione del parente acquisito durante la guerra di Troia. Agamennone prima che questa iniziasse cercando di corromperlo e di farlo schierare dalla propria parte gli offre oro e sua figlia, la bella Elettra, per moglie. Polimestore allora cercò di uccidere il suo servo ma finì per uccidere il suo amato figlio, Deipilo. Quando Polidoro comprese la realtà delle cose prima rese cieco il traditore e poi lo uccise.

In realtà altri miti raccontano che sia stata Iliona stessa ad uccidere Polimestore.

Polinice

Figlio di Edipo e di Giocasta o, secondo altri, di Eurigania.
Quando Edipo ebbe il regno di Tebe, senza saperlo sposò sua madre Giocasta, ed ebbe da lei due figli maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Ismene e Antigone. Dopo la scoperta dell'incesto d'Edipo, i suoi due figli lo cacciarono da Tebe; Edipo li maledisse predicendo che avrebbero guerreggiato fra loro per l'eredità e che avrebbero trovato la morte l'uno per mano dell'altro. Secondo Sofocle, invece, fu Creonte, contrario alla presenza dell'incestuoso re a Tebe, che lo mandò in esilio ed Edipo maledisse i suoi figli che non avevano fatto nulla per difenderlo.
Quando giunsero in età di governare, Polinice ed Eteocle, per evitare gli effetti della maledizione paterna, decisero di regnare un anno ciascuno. Taluni dicono che il primo a prendere il potere fu Polinice, e che dopo un anno passò il regno a Eteocle; altri che il primo fu Eteocle, il quale allo scadere del termine, rifiutò di cedere il regno al fratello. Cacciato così dalla patria, Polinice si rifugiò presso Adrasto, re di Argo, portando con sé la veste e la collana d'Armonia. Si Presentò al suo palazzo contemporaneamente a Tideo, figlio d'Eneo, il quale era fuggito da Calidone. I due eroi cominciarono a disputare sulle ricchezze e sulle glorie delle loro rispettive città nel cortile del palazzo e il rumore attirò Adrasto, il quale li riconciliò, li accolse e diede loro le sue due figlie in spose. Così Polinice sposò Argia e gli promise che l'avrebbe aiutato a riconquistare il regno.
Adrasto, raccolto un vasto esercito, mosse alla conquista del trono nella spedizione dei Sette contro Tebe. Vi partecipò pure Anfiarao che, dotato di facoltà divinatorie, aveva tentato di sottrarsi alla guerra, di cui prevedeval'esito infelice. Ma inutilmente, poiché la moglie Erifile, sedotta dalla collana di Armonia donatale da Polinice, dopo aver svelato il suo nascondiglio agli eroi, lo convinse a partire. Gli inizi dell'impresa furono funestati dalla morte del piccolo Ofelte, figlio di re Licurgo, soffocato da un serpente vicino a una fonte nella valle di Nemea. Polinice vinse nella lotta durante i giochi funebri organizzati in onore di Ofelte, ch'essi chiamarono Archemoro che significa "Inizio del Destino". La battaglia davanti a Tebe si rivelò disastrosa per l'esercito di Polinice; egli, per evitare un'ulteriore strage, si offrì di stabilire la successione al trono in un duello con Eteocle. Eteocle accettò la sfida e nel corso di un'aspra battaglia i due contendenti si ferirono mortalmente a vicenda, realizzando la maledizione d'Edipo. Creonte, loro zio, assunse allora il comando dell'esercito tebano e mise in rotta i disanimati Argivi. Ordinò che i Tebani morti fossero sepolti con tutti gli onori e che a Eteocle venisse riservato il rito funebre regale. I nemici, e soprattutto Polinice, dovevano invece essere lasciati all'esterno della città, senza alcuna sepoltura. Ma Antigone, che era tornata in patria dopo la morte del padre Edipo, sparse sul cadavere di Polinice una manciata di polvere. Per quest'atto di pietà fu condannata a morte da Creonte e rinchiusa viva nella tomba dei Labdacidi da cui discendeva. Ella s'inpicco nella prigione.

Polipete


Polipete, figlio di Piritoo e di Ippodamia, è un personaggio della mitologia greca.

Fu fra i pretendenti di Elena e partecipò alla guerra di Troia, nella quale uccise il giovane eroe troiano Damaso (Iliade) e due nemici minori, Pilone, Astialo e Ormeno.

Polissena

Polissena è una delle figlie di Priamo e di Ecuba.

Polissena era la figlia più giovane di Priamo e di Ecuba, sovrani di Troia al tempo del celebre conflitto. Apollodoro sembra non accettare questa tradizione.

Polissena nell'arte


La storia di Polissena viene indirettamente citata da Dante nella Divina Commedia (Inferno, V 65-66), quale causa della morte di Achille, per questo condannato tra i lussuriosi.

Una delle leggende sulla morte di Achille racconta come l'eroe, innamorato della figlia di Priamo, Polissena, si sarebbe recato al Tempio di Apollo a Timbra per averla in sposa; qui avrebbe trovato la morte per mano di Paride. Il figlio di Achille, Neottolemo, immolò sulla sua tomba Polissena per onorare la memoria del padre.

La figura di Polissena ha un ruolo di spicco nella tragedia per musica in tre atti di Nicola Manfroce musicata su libretto di Jean-Baptiste-Gabriel-Marie Milcent e messa in scena per la prima volta al teatro San Carlo di Napoli il 13 dicembre 1812.

Il Ratto di Polissena è una scultura di Pio Fedi collocata nella Loggia dei Lanzi a Firenze.

Polisseno

Nella mitologia greca, Polisseno era il nome di un capitano epeo, figlio di Agastene, proprietario di un vasto contingente di alleati achei al tempo della guerra di Troia. Figura nel libro II dell'Iliade accanto ai condottieri epei Anfimaco, Talpio e Diore.

Figlio di Agastene e Peloride, era nipote di Augia dal lato paterno, il leggendario re dell'Elide punito da Eracle per la sua insolenza. Reso orfano da Eracle, il quale, intrapresa una campagna militare contro Augia, lo aveva ucciso insieme a tutti i suoi figli, Polisseno fu riposto sul trono d'Elide solo grazie alla mediazione dello zio superstite, Fileo.
Al tempo della guerra di Troia, Polisseno condivideva il suo trono con i cugini Anfimaco e Talpio, figli dei Molionidi, e con Diore, figlio di Amarinceo.

Nella guerra di Troia


Le liste mitologiche tramandano che Polisseno era uno degli innumerevoli pretendenti alla mano di Elena. In quanto legato al giuramento imposto da Tindaro, partecipò alla guerra di Troia allo scopo di strappare la donna alle grinfie dei Troiani. La figura di Polisseno è descritta nel II libro dell'Iliade nella parte relativa al Catalogo delle navi.

Le milizie di Epei nel conflitto consistevano in quaranta navi alleate, ed, essendo quattro i capitani, dieci di esse vennero guidate da un rispettivo comandante. Polisseno, ultimo di questi ad essere citato nell'Iliade, è presentato come un guerriero dall'aspetto divino. C'è chi sostiene che Polisseno fosse al comando di tutte e quaranta le navi degli Epei e che la sua patria non era l'Elide, bensì l'Etolia.

Omero tace delle imprese di Polisseno, escludendolo totalmente dalla cerchia degli eroi maggiori. Più di un autore ha cercato di colmare questa lacuna, arricchendo la biografia dell'eroe con notizie di sua invenzione. Secondo una tradizione non omerica, Polisseno cadde in combattimento per mano di Ettore insieme al compagno epeo Diore (versione ignota all'Iliade che afferma tra l'altro la morte di quest'ultimo per mano di Piroo). Probabilmente ancora meno credito va concesso ad un'ulteriore variante che vuole Polisseno massacrato dallo stesso Ettore in una tremenda carneficina che mieté migliaia di vittime di parte achea.

Il ritorno

La tradizione più autorevole è forse quella che attesta il ritorno di Polisseno in patria dopo una lontananza di dieci anni; dopo aver ripreso il posto sul trono d'Elide, l'eroe fu rincuorato dalla nascita di un figlio, che egli chiamò Anfimaco in memoria dell'omonimo compagno, figlio di Cteato, morto in guerra per mano di Ettore. Superstite del conflitto insieme a Talpio, gli Epei avevano infatti assistito alla morte di Diore, per mano del tracio Piroo, e a quella di Anfimaco, durante la battaglia presso le navi.

Durante i suoi anni di regno, Polisseno accolse presso di sé Ulisse, fresco dell'uccisione dei Proci ad Itaca, e lo riempì di doni preziosi, tra cui un cratere di ottima fattura raffigurante la storia di Augia e degli architetti Agamede e Trofonio. La tradizione vuole che Polisseno sia morto in Elide, dove sarebbe ancora visibile la sua tomba.

Polisso

Polisso è il nome di due personaggi della mitologia greca.

Polisso moglie di Tlepolemo

La regina Polisso era la moglie dell'eraclide Tlepolemo, morto davanti a Troia durante la guerra per la liberazione di Elena (che tra l'altro risultava essere sua lontana parente). Dopo la morte del marito, Polisso fece assassinare Elena nell'isola di Rodi, che considerava la causa della guerra di Troia e indirettamente della fine di suo marito Tlepolemo. Più precisamente il mito narra che Polisso accolse Elena con una gentilezza ipocrita, successivamente fece travestire alcune sue ancelle da Erinni che, dopo averla prelevata nuda dall'acqua dove era solita fare il bagno, la impiccarono ad un albero.

Polisso moglie di Danao


Un'altra Polisso era una ninfa naiade del fiume Nilo, probabilmente una delle figlie del dio-fiume Nilo. Egli fu una delle mogli di Danao, da cui ebbe dodici figlie: Autonoe, Teano, Elettra, Cleopatra, Euridice, Glaucippe, Antelia, Cleodore (o Cleodora), Evippe, Erato, Stigne e Brice. Queste sposarono i dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne, sorella di Polisso, e, durante la prima notte di notte, assassinarono i loro rispettivi mariti su ordine del padre.

Polite (mitologia)

Polite, è il nome di alcuni personaggi della mitologia greca.

Il nome Polite identifica due personalità diverse della mitologia greca:

* Polite, uno dei diciannove figli di Priamo e di Ecuba.
* Polite, uno dei compagni di Ulisse, che accompagnò durante il viaggio di ritorno ad Itaca.

Polite, figlio di Priamo

Polite fu uno dei figli di Priamo e di Ecuba, citato in diversi passi dell'Iliade. Si racconta che ebbe un figlio, che chiamò Priamo come suo padre. Nei combattimenti che si susseguirono presso Troia nel decimo anno di guerra, aiutò Deifobo, suo fratello, ad abbandonare la battaglia, essendo stato ferito da Merione. Durante l'assalto alle navi achee uccise un guerriero acheo, Echio.

La morte del principe troiano è narrata da Virgilio nel secondo libro dell'Eneide. In seguito alla caduta di Troia, Polite, rimasto ferito, cerca di raggiungere Priamo per salvargli la vita, ma inseguito da Neottolemo viene da lui ucciso sotto gli occhi del padre.

Polite, compagno di Ulisse


Polite era anche il nome di uno dei compagni di viaggio di Ulisse trasformati in porci dalla maga Circe, e poi, grazie all'intervento di Ulisse stesso, ad essere ritrasformato in uomo. Come narra l'Odissea, fu proprio Polite ad incitare i compagni a varcare le mura della casa di Circe a sentirla cantare.

In seguito, come narra Pausania, Ulisse, dopo la presa di Ilio, vagabondava per le città dell'Italia meridionale, e giunti a Temesa, sembra che fu proprio Polite, ubriaco, a violentare una giovane vergine del posto. Gli abitanti, inferociti, lo lapidarono e Ulisse se ne andò e proseguì il viaggio. Il demone dell'uomo lapidato cominciò, per vendetta, ad uccidere gli abitanti del villaggio che, su consiglio della Pizia, costruirono al demone un luogo ove, ogni anno, portavano in sacrificio la vergine più bella del paese per placare la sua furia.

Ciò accadde finché Eutimo il pugilatore non passò da quelle parti, sfidò il demone, che aveva preso il nome di Alibante ed era terribilmente nero e tremendo in tutto il suo aspetto, lo batté e lo cacciò in mare per sempre.

Polittore

Polittore è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Stigne, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Pomona

Divinità italica protettrice di giardini e frutteti: aveva in Roma un sacerdote particolare (flamen Pomonalis) e un luogo speciale di culto sulla via Ostiense (Pomonal) che ne attestano l'antichità. Fu moglie di Pico o, secondo Ovidio, di Vertunno, il dio delle stagioni. Questi, acceso di lei più di ogni altro pretendente, le comparve innanzi sotto mille aspetti, ma ne fu sempre respinto; sinché, tramutatosi in una vecchierella, potè entrare nei suoi giardini e, acquistatane la fiducia, assunse improvvisamente il suo vero aspetto e ottenne i favori di Pomona, facendola sua sposa. Un'analoga divinità, ma di sesso maschile, si trovava in Sabina (Poimuni) e nell'Umbria (Poemune).

Pompilo


Pompilo nella mitologia greca era il nome di un marinaio che cercò di aiutare la ninfa Ocirroe dalle voglie di Apollo.

Ocirroe era una ninfa, figlia di Chesia e Imbrano. Data la sua bellezza suscitò il desiderio del dio Apollo, figlio di Zeus. Lei per sfuggirgli si recò in un porto chiedendo aiuto a Pompilo. La ragazza venne sapendo di incontrarlo e di poter contare su di lui, infatti era un caro amico di suo padre. Pompilo dunque cercò di fare il possibile anche sapendo di andare contro un dio: si imbarcarono da Mileto su una nave e riuscirono ad arrivare fino a Samo.

La furia di Apollo

I due credevano di essere al sicuro lontani dagli occhi del dio, ma non era così, infatti egli apparve subito innanzi a loro come se volesse interrompere i festeggiamenti. Prese con se la ragazza come era sua intenzione non avendo alcuna pietà per Pompilo: trasformò la sua nave in un enorme roccia, mentre il marinario venne tranutato in un pesce.

Porfirione


Nella mitologia greca, Porfirione era uno dei Giganti, e figlio di Urano e di Gea.

Insieme ai suoi fratelli, venne istigato dalla madre, Gea, ad attaccare Zeus e quindi tutti gli Olimpi, nel corso della Gigantomachia. Cadde trafitto, insieme al fratello mostro Tifone, sotto le frecce del dio Apollo.

La versione più comune racconta che Porfirione, uno dei Giganti più potenti della Gigantomachia, combatté con ferocia al fianco del fratello Alcioneo. Morto questo, attaccò violentemente Era, riuscendo a strangolarla, ma una freccia scagliata da Eros, lo ferì al diaframma.

Indignato, si accanì sulla dea, tentando di violentarla, ma, mentre le strappava di dosso i vestiti, Zeus irato intervenne scagliando un enorme folgore sul nemico. Colpito a morte, Porfirione indietreggiò, quando all'improvviso Eracle, alleato di Zeus, balzò su di lui finendolo con una freccia e a colpi di clava.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 18:58
 
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Vampiro di dracula

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Portaone

Nella mitologia greca, Portaone era il nome di uno dei figli di Agenore e di Epicasta. Omero nell'Iliade lo chiama Porteo.

Egli da parte di madre discendeva da Calidone mentre da parte del padre discendeva da Pleurone, entrambi i nonni avevano una caratteristica in comune: avevano dato il nome alla propria città, e di entrambe fu sovrano Portaone. Ebbe dalla figlia di Ippodamante Eurite diversi figli:

* Eneo
* Agrio
* Alcatoo
* Mela
* Leucopeo
* Sterope, l'unica figlia, che alcuni dicono fosse la madre delle sirene.


A tale elenco altri autori aggiungono:

* Alcatoo
* Eneo


Porteo

Nella mitologia greca, Porteo era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Portaone, che veniva chiamato Porteo da Omero.

* Porteo, il padre di Echione colui che per primo uscì dal cavallo di Troia, tale evento e lo stesso Porteo non vengono nominati nel corso dell'Iliade.

Potamone

Potamone è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Glaucippe, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Poseidone

Figlio di Crono e di Rea, fratello di Zeus e di Ade. A lui spettò la signoria del mare, comprese le coste e le isole.
Subì come gli altri fratelli (escluso Zeus) la sorte d'essere inghiottito dal padre che temeva la loro futura rivalità. Alcuni dicono che Rea fece divorare a Crono un puledro in vece di Poseidone, che nascose tra un branco di cavalli; altri, che Rea affidò Poseidone bambino alle cure di Cafira, figlia d'Oceano, e delle Telchine nell'isola di Rodi. Quando grazie all'emetico di Meti Crono restituì i figli, Poseidone aiutò Zeus a sconfiggere i Titani e a rinchiuderli nel Tartaro sotto la sorveglianza dei giganti centimani. Allora i tre figli di Crono si spartirono l'universo, lasciando la terra e l'Olimpo come territorio comune. Zeus ebbe il comando supremo e Poseidone spesso cercò di ribellarsi; partecipò con Era, Atena, Apollo e tutti gli altri olimpi, ad eccezione di Estia, alla congiura contro Zeus. Insieme lo legarono, ma la nereide Teti, con l'aiuto del centimane Briareo, lo liberò. Zeus appese al cielo Era, la vera organizzatrice della congiura, e punì Apollo e Poseidone costringendoli a servire il re Laomedonte.
Poiché gli occorreva una moglie che si trovasse a suo agio negli abissi marini, Poseidone pensò subito alla nereide Teti, ma quando seppe che il figlio nato da lei sarebbe stato più famoso di suo padre, rinunciò a sposarla. Pose allora gli occhi su Anfitrite, figlia di Nereo o di Oceano. La corteggiò e Anfitrite, sgomenta, si rifugiò sul monte Atlante, ma un certo Delfino la trovò e la convinse ad accettare il dio come consorte. Come premio per questa sua azione, Delfino venne posto in cielo in una costellazione.
Anfitrite gli generò tre figli: Tritone, Roda e Bentesicima; ma Poseidone ebbe numerosi amori con dee, ninfe e donne mortali, tutti fecondi. Anfitrite si ingelosì soprattutto di Scilla, figlia di Forcide, e la trasformò in un mostro dalle sei teste e dodici zampe. Demetra per sfuggire alle molestie di Poseidone si tramutò in giumenta e il dio, trasformatosi a sua volta in stallone, la coprì generando il cavallo Arione e la ninfa Despena. Poseidone amò anche la gorgone Medusa, a quel tempo ancora una bellissima fanciulla, e giacque con lei nel tempio di Atena, crimine per cui Medusa venne trasformata dalla dea in un orribile mostro alato che Perseo uccise. Dal cadavere della Medusa gravida nacquero il gigante Crisaore e il cavallo alato Pegaso. Poseidone generò anche il gigante Anteo insieme a Gea, sua nonna; fu padre di molti Giganti tra cui Oto ed Efialte, avuti da Ifimedia, che cercarono di prendere d'assalto l'Olimpo; del gigantesco cacciatore Orione che fu ucciso da Artemide; di Polifemo che, accecato da Odisseo, gli chiese di vendicarlo. Ebbe anche figli di dimensioni umane, ma tutti d'indole violenta: i briganti Cercione e Scirone che vennero uccisi da un altro dei suoi figli, Teseo; Amico, re dei Bebrici, ucciso da Polideuce, figlio di Zeus; Busiride, re d'Egitto, ucciso da Eracle; i sei figli avuti da Alia, che fatti impazzire da Afrodite tentarono di violentare la propria madre, ma Poseidone, con un colpo di tridente, li fece inghiottire dalla terra per sottrarli al castigo.
Tra i suoi figli mortali ricordiamo anche i gemelli Belo e Agenore, figli di Libia; Teseo, il più celebre di tutti, figlio di Etra moglie di Egeo; il grande navigatore Nauplio, figlio di Amimone; Pelia e Neleo, figli di Tiro; Cicno, figlio di Calice re di Colone, e molti altri ancora.
Il suo odio per i Troiani aveva origine nell'anno di servitù che Poseidone e Apollo dovettero trascorrere presso re Laomedonte, padre di Priamo. Avevano stabilito col re di costruire le mura della città di Troia in cambio di una certa somma e quando ebbero compiuto l'opera Laomedonte rifiutò di pagare il salario pattuito. Apollo si ritenne pago della pestilenza che inviò alla città e infatti aiutò i Troiani durante la guerra, ma Poseidone non si sentiva sufficientemente vendicato nemmeno dal mostro marino che aveva inviato e che era stato sul punto di divorare Esione, figlia di Laomedonte, perciò continuò a perseguitarli durante tutti i lunghi anni della guerra. La sua ira non risparmiò neppure i combattenti greci e aiutò infatti Atena a punirli per il sacrilegio compiuto da Aiace figlio d'Oileo che aveva violato Cassandra nel tempio della dea. Poseidone inoltre, mentre Aiace si vantava d'essere riuscito a salvarsi dal naufragio, spezzò con un colpo di tridente lo scoglio sul quale il naufrago si era rifugiato, e lo annegò; tutti gli altri comandanti greci smarrirono la rotta a causa d'una tempesta, perché ritenuti colpevoli di non aver punito il suo crimine. Odisseo fu invece risparmiato poiché aveva proposto che Aiace fosse lapidato, ma riuscì poi ad attirarsi l'odio di Poseidone accecando suo figlio Polifemo. Da quell'episodio il suo viaggio di ritorno si svolse in mezzo a mille difficoltà che gli procurarono la perdita di tutti i suoi compagni. Poseidone punì anche i Feaci che l'avevano aiutato, bloccando l'accesso al loro porto con una montagna e trasformando in pietra la nave con la quale avevano accompagnato Odisseo a Itaca.
Poseidone abitava un palazzo subacqueo al largo di Egea, in Eubea. Percorreva il mare col suo aureo cocchio capace di velocità incredibili. Il dio si mostrò avido di assicurarsi regni sulla terra e in queste sue pretese fu in genere sfortunato. Così sfidò Atena avanzando pretese su Atene e Trezene, e i due dèi furono invitati a un confronto. Poseidone giunse in Attica e, con un sol colpo del suo tridente, fece scaturire in mezzo all'Acropoli una sorgente d'acqua salmastra. Poi arrivò Atena che, prendendo il re Cecrope a testimone, piantò un olivo sulla collina. Per decidere, Zeus nominò arbitri: ora si dice che gli arbitri fossero Cecrope e Cranao, e ora i dodici dèi. La decisione fu favorevole ad Atena, poiché Cecrope testimoniò che la dea era stata la prima a piantare l'olivo ad Atene. Poseidone, adirato, inviò un'inondazione che ricoprì la pianura d'Eleusi. Per Trezene, Zeus impose un'equa divisione tra i due, ma né l'uno né l'altra ne furono soddisfatti. In seguito Poseidone cercò invano di strappare Egina a Zeus e Nasso a Dioniso; a Delfi, fu Apollo a spuntarla. Quando vantò pretese su Corinto, la città di Elio, il gigante Briareo, preso come giudice, decise di assegnare soltanto l'istmo a Poseidone. mentre Elio ebbe l'acropoli della città. Per Argo, fu Foroneo ad avere l'incarico d'arbitrare la contesa tra Poseidone ed Era; anche in questo caso, la decisione fu favorevole alla dea. Nel suo furore, Poseidone colpì l'Argolide prosciugando tutte le sorgenti del paese. Poco tempo dopo, Danao e le sue cinquanta figlie arrivarono in Argolide e non trovarono acqua da bere. Grazie ad Amimone, una delle Danaidi, di cui Poseidone s'innamorò, l'Argolide recuperò le sorgenti.
Poseidone si mostrò in alcuni casi anche capace di pietà. Trasformò la Tessaglia in una terra fertile provocando un grosso terremoto che scavò la valle di Tempe attraverso cui scorreva il fiume Penelo. Salvò Ino e il figlio Melicerte che si erano gettati in mare trasformandoli nelle divinità marine Leucotea e Palemone. Nominò Castore e Polideuce (i Dioscuri) protettori dei naviganti, dando loro il potere di placare le tempeste. Veniva invocato il suo aiuto per evitare i terremoti e perciò i Greci lo chiamavano Asphalios, "colui che previene le scosse".
In quanto dio dei cavalli era conosciuto anche col nome Hippios ("signore dei cavalli"). Donò cavalli a molti dei suoi protetti: a Pelope che amava diede cavalli alati con cui potè ottenere in sposa Ippodamia. A Ida quelli che gli permisero di portare con sé la figlia di Eveno, Marpessa; al tracio Reso cavalli bianchi come neve e veloci come il vento, che poi Odisseo e Diomede rubarono; a Peleo per le sue nozze con Teti la coppia di cavalli immortali Xanto e Balio che vennero poi ereditati da Achille. Poseidone veniva anche associato con gli arieti perché quando rapì Teofane, per evitare i pretendenti che si erano gettati all'inseguimento, si trasformò in ariete e trasformò la giovane in una pecora bellissima. Teofane generò un ariete alato con il Vello d'Oro che Nefele donò a suo figlio Frisso per salvarlo da Atamante.
Tutti gli dèi del mare possedevano la virtù di mutare forma, ma Poseidone trasformò oltre a sé anche molti esseri umani. Dopo aver violato Cenide, dietro sua richiesta la trasformò in uomo e mutò Alope in una sorgente d'acqua. Donò a suo figlio Periclimeno il potere di mutare forma a volontà e lo stesso fece per Mestra da lui sedotta. Rese il figlio Cicno invulnerabile.
Il culto di Poseidone era assai diffuso, dalla Beozia e dalla Tessaglia a Corinto, ove in suo onore si celebravano i giochi istmici e nella Magna Grecia, a Taranto e, ovviamente, a Poseidonia (Paestum).

Presbone


Nella mitologia greca, Presbone era il nome di uno dei figli di Frisso avuti con Iofassa.

Presbone, nipote da parte di madre di Eeto re della colchide, non fu uno dei 4 figli di Frisso che cercò di aiutare gli argonauti nelle loro avventure, essi erano Citisoro, Argeo, Frontide e Melanine.

Sposò in seguito Buzige, figlia di Lico e da lei ebbe un figlio chiamato Climeno. Presbone fu l’ultimo re della famosa stirpe di Atamante a regnare su Orcomeno.

Pretidi

Pretidi è il nome patronimico di Lisippe (o Lisippa), Ifinoe, Ifianassa, figlie di Preto. Insuperbite della loro bellezza, offesero gli dei, che le punirono rendendole pazze. Furono guarite dal vate Melampo, che sposò una di esse, Ifianassa.

Preto, figlio di Abante re di Argo, e di Aglea, figlia di Mantineo, si spartì l'Argolide con il fratello gemello Acrisio, col quale aveva una contesa da lungo tempo. Ma Acrisio scacciò Preto che trovò rifugio da Iobate, re di Licia, con l'aiuto del quale occupò Tirinto. I due fratelli allora si spartirono il regno: Acrisio regnò su Argo e Preto su Tirinto. Dalla moglie Stenebea, figlia di Iobate, che nell'Iliade è chiamata Antea, Preto ebbe le Pretidi e, molti anni dopo, Megapente.

La follia

Quando Preto si trovava ancora ad Argo, le Pretidi impazzirono. All'origine della follia vi sarebbe un'offesa arrecata a Era sulla cui natura esistono differenti versioni:

* le Pretidi avrebbero affermato di essere più belle della dea
* avrebbero detto che il palazzo del loro padre conteneva più ricchezze del tempio della dea
* avrebbero rubato l'oro che adornava una veste di Era


Secondo altre narrazioni, l'invasamento delle Pretidi sarebbe causato da Dioniso; esse, dopo averlo insultato, si sarebbero ubriacate con il vino. In un'anfora a figure rosse del Museo Nazionale di Napoli, le Pretidi sono rappresentate nel tempio di Artemide, dopo la purificazione, intente ad ascoltare le esortazioni di Melampo, alla presenza di Dioniso e di un satiro.

Alcuni autori sostengono che non soltanto le Pretidi furono colte da follia ma anche molte donne argive. Erodoto, ad esempio, non nomina né Preto né le figlie, ma parla di donne in generale; così anche Pausania, che però in un luogo della Periegesi riporta l'episodio come avvenuto sotto il regno di Anassagora e in un altro sotto il regno di Preto.

Nell'Epinicio X di Bacchilide, in onore di Alessidamo da Metaponto, le Pretidi costituiscono un motivo centrale. Vengono descritte in fuga dalla casa del padre, mentre si dirigono verso i monti in preda a terribili urla, a causa della follia suscitata in loro da Era. Preto supplica Artemide di guarirle e per questo fa edificare un tempio a Tirinto in onore della dea.

Melampo e la guarigione


Sempre Erodoto[5] riferisce che Melampo esigeva un compenso molto elevato per l'esercizio della sua mantis. Agli Argivi, che cercavano di convincerlo col denaro a guarire le donne di Argo, rispose di volere metà del regno. Allora essi, stupiti per l'esosa richiesta, se ne andarono. Ma siccome il numero delle donne che diventavano folli continuava a crescere, decisero di accondiscendere alle condizioni di Melampo. Melampo, dal canto suo, ne approfittò per rilanciare la richiesta, e disse che se non avessero assegnato anche a suo fratello Biante un terzo del regno, non si sarebbe deciso a guarire le donne. Sembra che nella follia le Pretidi credessero di essere delle vacche, imitandone il muggito, e che vagassero per i monti (fenomeno dell'oribasia o oreibasia) e i boschi dell'Argolide e dell'Arcadia. Andata a buon fine la trattativa e guarite le donne, Melampo sposò Ifianassa, Biante sua sorella Lisippa, mentre Ifinoe morì.

Il fiume Anigro


Pausania racconta che, secondo alcuni, il fiume Anigro, in Elide, emanava cattivo odore perché Melampo vi avrebbe gettato gli oggetti sacri utilizzati per la purificazione delle Pretidi. È probabile che questo dato sia da mettersi in relazione con la natura solforosa delle acque, da cui solitamente emana un forte sgradevole odore. Anche Strabone riferisce la leggenda di Melampo e ci informa che vicino al fiume Anigro si trova una grotta abitata dalle ninfe Anigridi dalla quale sgorga una sorgente di acque curative.

Preto

Mitico re di Tirinto, figlio di Abante e di Aglea, e fratello gemello di Acrisio. I due fratelli furono nemici così irriducibili che già nel seno materno presero a contendere. Abante lasciò in eredità il regno ai suoi due figli gemelli, raccomandando loro di regnare alternativamente. I loro costanti litigi si inasprirono allorché Preto si giacque con la figlia di Acrisio, Danae, e riuscì a stento a salvare la vita. Poiché Acrisio rifiutò di cedergli il trono allo scadere del suo termine, Preto si rifugiò alla corte di Iobate, re di Licia, e ne sposò la figlia Stenebea o Antea. Poi ritornò in Argolide alla testa di un esercito licio per sostenere il suo diritto alla successione. Ne seguì una sanguinosa battaglia, ma poiché né l'una né l'altra parte riuscì a prevalere, Preto e Acrisio acconsentirono, sia pure a malincuore, a dividersi il regno. Ad Acrisio toccarono Argo e i dintorni; a Preto toccarono Tirinto, Midea a la costa dell'Argolide. In possesso di Tirinto, Preto ne fortificò la cittadella, servendosi di sette Ciclopi, chiamati Gasterochiri perché si guadagnavano da vivere facendo i muratori. Essi costruirono mura massicce, utilizzando grandi blocchi di pietra.
A questo punto, il mito di Preto si intreccia strettamente con quello di Bellerofonte, figlio di Glauco. Bellerofonte si rifugiò come supplice presso Preto per farsi purificare da un delitto involontario che aveva commesso. Srenebea s'innamorò di lui a prima vista e poiché l'eroe rifiutò le sue profferte, essa lo accusò di aver tentato di sedurla e Preto, non volendo attirare su di sé la vendetta delle Moire uccidendo con le proprie mani un supplice, mandò Bellerofonte da suo suocero Iobate, affinché lo mettesse a morte.
Da Stenebea, Preto ebbe dapprima tre figlie: Lisippa, Ifianassa e Ifinoe, le quali furono fatte impazzire da Era (o Dioniso) e guarite da Melampo, indovino e medico. Ma la loro guarigione obbligò Preto a dividere il regno in tre parti, una delle quali conservò egli stesso; le altre due dovette consegnarle a Melampo e a suo fratello Biante. Preto diede poi in sposa la figlia Lisippa a Melampo e Ifianassa a Biante (la cui moglie Pero era morta di recente).
Durante la follia delle sue figlie, Preto ebbe un altro figlio da Stenebea, Megapente. Più tardi Megapente succedette a Preto sul trono di Tirinto, ma con Perseo scambiò il suo regno con quello di Argo, che Perseo non voleva avere a causa dell'uccisione accidentale del nonno Acrisio.

Priamo

Nella mitologia greca Priamo, figlio più giovane di Laomedonte, è re di Troia durante la guerra di Troia. Nella cosiddetta Prima guerra di Troia, espugnata la città da Eracle e ucciso Laomedonte il giovinetto Priamo fu salvato dall'intercessione di sua sorella Esione al momento della divisone del bottino. Da allora venne chiamato Priamo, vale a dire il riscattato (dal verbo greco Πρίαμαι), mentre fino allora il suo nome era Podarce (il pié veloce).

Non ci sono molte fonti che si riferiscano alle attività di Priamo prima della Guerra di Troia; si sa (Omero, Iliade III, 84) che il re aveva un rispettabile passato militare, accumulato nelle campagne dei Frigi contro le Amazzoni e vediamo che è un esperto guidatore di carri (attività decisamente militare all'epoca) quando si presenta, unica volta in tutta l'Iliade sul campo di battaglia per giurare i patti del duello fra Paride e Menelao.

La sua morte, non narrata dai poemi omerici ci è nota da altri scrittori, soprattutto nel II canto dell'Eneide di Virgilio e nella tragedia di Euripide Le troiane. Quando i Greci penetrano infine nella città riveste la sua vecchia armatura e vorrebbe cercare la morte nella mischia, ma la moglie in lacrime lo convince a rifugiarsi con le donne sull'altare di Zeus Erceo. Così deve assistere allo spettacolo della morte del figlio Polite, inseguito da Pirro Neottolemo fin sui gradini dell'altare. Priamo in preda alla furia gli fionda con estrema potenza l'asta ma il colpo va decisamente a vuoto, ferendo ad un braccio Pirro, dopo essere passata per il suo scudo; Neottolemo lo afferra e lo trafigge al fianco con la spada, causandone la morte. Virgilio poi accenna a una successiva decapitazione del cadavere, senza però fare il nome dell'esecutore,

Matrimoni e figli

Priamo ebbe numerose mogli e concubine; la prima moglie fu Arisbe da cui ebbe un figlio, Esaco, che morì prima dell'inizio della seconda guerra di Troia. Priamo in seguito divorziò da lei in favore di Ecabe (o Ecuba), figlia del re della Frigia Dimante da cui ebbe Ettore, l'eroe dell'Iliade ed erede al trono, Paride, il bellissimo giovane causa della seconda guerra di Troia, Deifobo, Eleno, noto indovino, Pammone, Polite, Antifo, Hipponoo, Polidoro, Troilo, ucciso giovanissimo da Achille in un agguato, Creusa, moglie di Enea, Iliona, Medesicaste, Laodice, Polissena, e Cassandra, amata da Apollo e punita per il suo rifiuto con il dono della profezia destinata a non essere mai creduta. Tra le figlie di Priamo secondo alcuni vi è anche Ilia sposa di Idamante re di Creta. Priamo elevò al rango di regina anche Laotoe, figlia del re dei Lelegi, senza però ripudiare Ecuba; da lei ebbe due figli, Licaone e il secondo Polidoro, che fu il suo ultimogenito. Il re generò molti altri figli da varie concubine o schiave. Secondo la versione più diffusa il numero totale dei suoi figli arriverebbe al numero tondo di cinquanta. Altre fonti parlano di cinquanta figli e cinquanta figlie.

Priapo

Figlio di Afrodite e di Dioniso, dio dei giardini giunto tardi nel mondo greco, probabilmente di provenienza frigia.
Nato deforme con corpo piccolo, pancia enorme e membro mostruosamente smisurato. Nascendo così brutto Afrodite lo rinnegò e lo abbandonò. Lo allevarono dei pastori che dalla sua mostruosità fallica ne avevano tratto dei buoni auspici per la fertilità dei campi e delle greggi. Così Priapo divenne il dio dell'istinto sessuale e della forza generativa maschile e della fertilità delle campagne.
S'innamorò della ninfa Lotide che rifiutava ostinatamente l'amore del dio; più di una volta egli era stato sul punto di raggiungerla, ma lei era sempre riuscita a scappare. Una notte in cui ella dormiva fra le Menadi, compagne di Dioniso, Priapo, che era dello stesso gruppo, cercò di avvicinarsi a lei e di prenderla di sorpresa. Stava per raggiungere il suo scopo allorché l'asino di Sileno si mise a ragliare così forte che tutti si svegliarono; Lotide fuggì, lasciando Priapo molto confuso, mentre le Baccanti presenti ridevano della sua disavventura. Più tardi Lotide chiese di essere trasformata in una pianta, e diventò un arbusto dai fiori rossi, chiamato loto.
Come nume della generazione, Priapo trovò fedeli presso gli iniziati ai misteri e i contadini. I primi lo consideravano non solo dio della nascita, ma anche della morte, cioè di tutta la vita e di tutta la natura. Più semplice e ingenuo era il culto che gli rendevano i contadini: per essi Priapo era venerato come protettore degli armenti, della pesca, delle api, delle vigne e dei giardini. Gli si offrivano le primizie e gli si sacrificava un asino. Gli si innalzavano nei campi degli spaventapasseri in posizioni oscene e grottesche. La roncola nel pugno e il fascio di canne mosse dal vento sul capo, giovavano a incutere terrore ai ladri e agli uccelli. Talvolta era invece rappresentato sotto l'aspetto di Satiro con il berretto frigio e carico di frutta.
Gli era sacro l'asino ed era figurato come vecchio barbuto seminudo munito di falce e con un enorme membro eretto. In Italia si identificò con il dio Mutinus Tutinus, antica e oscura divinità romana a carattere fallico.

Procle

Nella mitologia greca, Procle era uno degli eraclidi di terza generazione, figlio di Aristodemo e nipote di Aristomaco.

Assieme al fratello gemello Euristene ricevette in eredità da Aristodemo il trono di Sparta (secondo altre versioni del mito i due gemelli lo avrebbero strappato a Tisameno).

È considerato il fondatore della casa regnante di Sparta degli Euripontidi.

Procleia

Nella mitologia greca, Procleia o Proclea era il nome di una delle figlie di Laomedonte.

Procleia fu la prima moglie di Cicno al tempo in cui era re di Colone. da tale unione nacquero due figli, Tenete o Tenedo e Emitea. In seguito alla morte di Procleia Cicno si sposò con Filonome.

Procne


Nella mitologia greca Procne, o Progne, (greco Πρόκνη, pron. Pròcne) è figlia di Pandione, re mitico di Atene.

La sua leggenda è legata a quella di sua sorella Filomela, violentata dal marito di Procne Tereo, re della Tracia. Filomela, sebbene Tereo l'avesse privata della lingua affiché nessuno conoscesse il suo gesto, riesce a comunicare l'accaduto alla sorella tessendone le immagini su di una tela. Procne, per vendetta, fa a pezzi suo figlio Iti e lo dà in pasto a Tereo. Tereo va su tutte le furie e minaccia di morte Filomela e Procne. Secondo il mito furono tramutate dagli dei rispettivamente in usignolo e rondine, mentre Tereo in un'upupa.

Nel Purgatorio dantesco Procne compare nel canto diciassettesimo tra gli iracondi.

A Procne è intitolato l'asteroide 194 Prokne.

Procri

Procri è una figura della mitologia greca, era figlia di Eretteo re di Atene, e sorella di Creusa, Orizia e Ctonia.

Procri sposò Cefalo, dal quale ebbe Arcesio, padre di Laerte e nonno di Ulisse. Ma la bellezza del marito attrasse Eos, la dea dell'aurora, condannata da Afrodite ad innamorarsi di continuo per aver condiviso il talamo con Ares.
L'aurora cercò di attirare con generose profferte d'amore Cefalo, ma lui dichiarò che era fedele a Procri ed anche se era Afrodite in persona, non avrebbe consentito a diventare il suo amante.

Eos, non rinunciando a lui, gli chiese di mettere alla prova la fedeltà della moglie, poi sparì.
Cefalo, turbato dal pensiero che Procri lo tradisse in sua assenza, sotto mentite spoglie si presentò alla moglie e le offrì molti monili d'oro, in cambio di una notte con lei. Sulle prime Procri non cedette né all'oro, né al marito travestito, poi vinta dalla sua insistenza, accettò. Allora il marito si rivelò e lei, piena di vergogna, travestitasi da giovinetto, fuggì a Creta, dove divenne l'amante di Minosse. Il re di Creta donò a Procri una lancia magica che non mancava mai il bersaglio ed un cane che riusciva sempre a catturare le prede, doni avuti da Artemide, che si irritò molto.

In seguito Procri tornò da Creta e rincontrò Cefalo che, notando i regali fatti da Minosse a Procri, le chiese cosa volesse in cambio della lancia e di Lelope e questa gli disse che li avrebbe avuti, in cambio di una notte d'amore. I due sposi si riconobbero nell'intimità e si riconciliarono. Vissero ancora dei momenti di felicità insieme, ma Artemide, che non aveva mai tollerato che i suoi regali venissero passati di mano in mano per le gioie del sesso, decise di vendicarsi.

Un giorno Procri, pensando che Cefalo fosse ancora innamorato di Eos, durante una battuta di caccia si nascose in un cespuglio per osservare l'amato. Cefalo, sentendo un fruscio nel cespuglio e pensando che in quel cespuglio si nascondesse una fiera in agguato, afferrò la lancia che non mancava mai il bersaglio e la lanciò contro il cespuglio, uccidendo accidentalmente la moglie.

Procuste

Nella mitologia greca classica Procuste è il soprannome di un brigante greco di nome Damaste (o anche Polipèmone) che, appostato sul monte Coridallo, nell'Attica, lungo la via sacra tra Eleusi e Atene, aggrediva i viandanti e li straziava battendoli con un martello su di un'incudine a forma di letto scavata nella roccia o metallica.

I malcapitati venivano infatti stirati a forza se troppo corti, o amputati qualora sporgessero dal letto. Ulteriori interpretazioni del mito (che divennero predominanti) affermavano invece che Damaste possedesse due letti, uno molto corto e uno molto lungo: egli tormentava e uccideva i viandanti stirando quelli di bassa statura sul letto lungo e amputando le membra di quelli di alta statura avanzanti dal letto corto.

Damaste fu sconfitto e ucciso da Teseo che lo incontrò mentre si recava da Atene a Trezene; egli lo costrinse allo stesso supplizio che imponeva alle sue vittime.

Con la locuzione "letto di Procuste" o "letto di Damaste", derivata da questo mito, si indica il tentativo di ridurre le persone a un solo modello, un solo modo di pensare e di agire, o più genericamente una situazione difficile e intollerabile o una condizione di spirito tormentosa.

Promaco

Promaco è il nome di differenti personaggi della mitologia greca.

Figure mitiche

* Promaco, fratello di Giasone, figlio di Esone e di Alcimede (o Polimela o Anfinome). Era ancora un bambino quando fu ucciso da Pelia, assieme ai suoi familiari, mentre Giasone aveva intrapreso la spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro.
* Promaco, figlio di Partenopeo, fece parte degli degli Epigoni, il gruppo di protagonisti dell'aggressione della città di Tebe, un'impresa concepita allo scopo di vendicare i loro padri, morti nella spedizione dei Sette contro Tebe. Tutti gli Epigoni morirono nel tentativo di compiere dell'impresa e Promaco, ucciso in battaglia, fu sepolto a sette stadi da Temesso, sulla strada che da Tebe conduce verso l'Euripe. Pausania, nel ricordare le loro statue presenti ad Argo, afferma invece che il gruppo sarebbe riuscito nel conquistare Tebe. Altro gruppo statuario viene ricordato nel recinto sacro di Delfi.
* Promaco, fratello di Echefrone, entrambi figli di Eracle e della siciliana Psofide (Psophis), figlia del tiranno Erice, ucciso da Eracle. Insieme al fratello, diede il nome della madre a una città dell'Arcadia, poi minacciata dal cinghiale di Erimanto.
* Promaco, da Itaca, fu uno dei Proci che aspiravano al matrimonio con Penelope.
* Promaco, figlio di Alegenore (o Alegenorre), discendente di Anfizione e Deucalione, fu un guerriero della Beozia, menzionato tra gli Achei nell'Iliade. Fu ucciso da Acamante. Viene ricordato nell'Iliade come un capitano beota, al servizio del re supremo della Beozia. Omero accenna al fatto che fosse sposato ma, oltre a questa piccola informazione, null'altro si conosce su questo personaggio, la cui presenza letteraria è limitata ad alcuni versi del celebre poema epico.
* Promaco, amante del giovane Leucocama. La figura dell'erastes Promaco è associata a quella del suo eromenos Leucocama, in un mito le cui vicende sono ambientate a Cnosso. Il mito di Promaco e Leucocama è attestato unicamente nelle Narrationes (Διηγήσεις) di Conone di Atene, andate perdute ma epitomate in modo molto dettagliato da Fozio. Il giovane cretese Promaco, innamorato del coetaneo Leucocama, si sottoponeva a prove durissime per conquistare l'amato. Quest'ultimo, tuttavia, ne proponeva sempre di nuove negandosi ogni volta. Così, avendo recuperato con molte difficoltà un elmo, Promaco, al cospetto di Leucocama, lo offrì a un altro giovane. Leucocama, indispettito dal gesto, si suicidò trafiggendosi con una spada.

Prometeo

Prometeo, è una figura della mitologia greca, titano, figlio di Giapeto e di Climene. A questo eroe amico del genere umano sono legati alcuni antichissimi miti che ebbero fortuna e diffusione in Grecia. Egli è anche "cugino" di Zeus, essendo anche quest'ultimo figlio di un titano, Crono. Le tradizioni differiscono talvolta sul nome della madre. Viene citata Asia, figlia di Oceano o Climene, anch'ella un Oceanina. Una leggenda più antica lo rendeva figlio di un Gigante, chiamato Eurimedonte, il quale lo aveva generato sin da bambino violentando Era, il che spiegherebbe l'avversione di Zeus verso Prometeo. Prometeo ha vari fratelli: Epimeteo, che è, in contrasto con lui, il "maldestro" per eccellenza, Atlante, Menezio. Prometeo si sposò a sua volta. Il nome di sua moglie varia egualmente secondo gli autori: il più delle volte è Celeno, o anche Climene. I suoi figli sono Deucalione, Lico e Chimereo, ai quali si aggiungono talvolta Etneo, Elleno e Tebe.

La sua azione, posta ai primordi dell'umanità, si esplicava in antitesi a Zeus, dando origine alla condizione esistenziale umana.

Il mito di Prometeo

I Greci dicono che Atlante fosse figlio di Era, e che le sue cinque coppie di fratelli gemelli giurassero lealtà sul sangue di un toro sacrificato. All'inizio i fratelli erano molto virtuosi e saggi, ma un giorno si lasciarono vincere dall'avidità e dalla crudeltà; per punirli gli dei scatenarono un diluvio che distrusse il loro regno. Atlante e Menezio, che sopravvissero al diluvio, si unirono a Crono e ad altri Titani per combattere gli dei dell'Olimpo. Zeus, però, uccise Menezio con una folgore e condannò Atlante a portare sulle spalle il Cielo per l'eternità.

Pur appartenendo ai ribelli Titani, Prometeo si schierò dalla parte di Zeus, inducendo a fare altrettanto anche il fratello Epimeteo; per questo fu presente alla nascita di Atena dalla testa di Zeus, che fu assai gentile e benevola con lui, insegnandogli le arti utilissime come l'architettura, l'astronomia, la matematica, la medicina, la metallurgia e la navigazione.

Dell'amicizia che prova per gli uomini dà testimonianza fin dalla prima volta in cui se ne deve occupare: quando riceve da Atena e dagli altri dei un numero limitato di "buone qualità" da distribuire saggiamente fra tutti gli esseri viventi. Epimeteo («colui che riflette dopo»), senza pensarci troppo, cominciò a distribuire le qualità agli animali ma si dimenticò degli uomini; Prometeo rimediò rubando dalla casa di Atena uno scrigno in cui erano riposte l'intelligenza e la memoria, e le donò alla specie umana.

Ma Zeus in quel momento non era favorevole al genere umano, anzi aveva deciso di distruggerlo: non approvava la benevolenza di Prometeo per le sue creature e considerava i doni del titano troppo pericolosi, perché gli uomini in tal modo sarebbero divenuti sempre più potenti e capaci.

Durante un sacrificio agli dei, nella piazza di Mecone, gli uomini si incontrarono e decisero di spartirsi di comune accordo gli animali immolati. Prometeo, convocato in qualità di arbitro per stabilire quali parti di un toro sacrificato spettassero agli dei e quali agli uomini, squartò l'animale, lo tagliò a pezzi e ne fece due parti. Agli uomini riservò i pezzi di carne migliori, nascondendoli però sotto la disgustosa pelle del ventre del toro. Agli dei riservò solo le ossa che celò in un lucido strato di grasso. Fatte le porzioni, invitò Zeus a scegliere la sua parte; il resto doveva andare agli uomini.

Zeus accettò l'invito e si servì della parte grassa, ma vedendo le ossa abilmente nascoste, si infuriò lanciando una terribile maledizione su costoro: da quel momento gli uomini sacrificheranno agli dei e offriranno loro le parti immangiabili dell'animale sacrificato, consumandone le carni, ma i mangiatori di carne diverranno per questo mortali mentre gli dei rimarranno i soli immortali. Lo sfrontato raggiro doveva comunque essere punito e Zeus, senza colpire direttamente Prometeo, tolse il fuoco agli uomini e lo nascose.

La punizione di Prometeo e degli uomini


Prometeo si recò da Atena affinché lo facesse entrare di notte nell'Olimpo e appena giunto, accese una torcia dal carro di Elio e si dileguò senza che nessuno lo vedesse. Secondo altre leggende, egli ritrovò la torcia nella Fucina di Efesto, ne rubò qualche favilla e, incurante delle conseguenze, la riportò agli uomini. Venutolo a sapere, Zeus promise di fargliela pagare. Così ordinò ad Efesto di costruire una donna bellissima, di nome Pandora, la prima del genere umano, alla quale gli dei del vento infusero lo spirito vitale e tutte le dee dell'Olimpo la dotarono di doni meravigliosi.

Si racconta che Zeus la inviò da Epimeteo affinché punisse la razza umana, alla quale Prometeo aveva dato il fuoco divino. Epimeteo, avvertito dal fratello di non accettare regali da Zeus, la rifiutò; cosicché Zeus, più indignato che mai per l'affronto subìto prima dall'uno poi dall'altro fratello, decise di punire ferocemente il Titano e tutti gli uomini che egli difendeva. Il padre degli dei fece incatenare Prometeo, nudo, con lacci d'acciaio nella zona più alta e più esposta alle intemperie del Caucaso e gli venne conficcata una colonna nel corpo. Inviò poi un'aquila perché gli squarciasse il petto e gli dilaniasse il fegato, che gli ricresceva durante la notte, giurando di non staccare mai Prometeo dalla roccia.

Epimeteo, dispiaciuto per la sorte del fratello, si rassegnò a sposare Pandora, ma essa si rivelò tanto stupida quanto bella, perché sventatamente e per pura curiosità aprì un vaso che Epimeteo teneva gelosamente custodito, nel quale Prometeo aveva chiuso tutti i mali che potessero tormentare l'uomo: la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte. Essi uscirono e immediatamente si sparsero tra gli uomini; solo la speranza, rimasta nel vaso tardivamente richiuso, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggior scoraggiamento.

La liberazione e l'immortalità del Titano


Come narrato nella tragedia perduta di Eschilo Prometeo liberato, dopo tremila anni, Eracle passò dalla regione del Caucaso, trafisse con una freccia l'aquila che lo tormentava e liberò Prometeo, spezzando le catene.

Secondo il racconto contenuto nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, durante un incontro tra Chirone ed Eracle, alcuni centauri attaccarono l'eroe. Questi per difendersi usò le frecce bagnate con il veleno dell'Idra, da cui non si poteva guarire. Chirone venne inavvertitamente graffiato da una delle frecce. Non potendo morire perché immortale, cominciò per lui una sofferenza atroce. Zeus quindi accettò la vita di Chirone che poté finalmente morire in cambio dell'immortalità di Prometeo.

Culto e devozioni

L'eroe benefattore dell'umanità godette di un culto molto diffuso ad Atene, tanto che la città gli dedicò delle feste pubbliche, dette «Prometheia», nelle quali si percorrevano le strade correndo con fiaccole accese per celebrare il più grande dono che Prometeo aveva fatto all'umanità: il fuoco.

Pronoe

Nella mitologia greca, Pronoe era il nome di una delle Nereidi. Essa, secondo alcune tradizioni, era la figlia di Forbo

Pronoe ebbe come marito Etolo, il famoso fondatore dell’Etolia, dalla loro unione nacquero Pleurone e Calidone.

Pronoo

Nella mitologia greca, Pronoo era il nome di uno dei figli di Fegeo fratello di Foroneo.

Pronoo (Iliade)

Pronoo, fu un guerriero troiano citato nell'Iliade nel libro relativo a Patroclo .

Pronoo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade.

Proserpina

Divinità romana degli Inferi, il cui nome è una probabile latinizzazione del nome della dea greca Persefone o Core con la quale va in ogni caso identificata. In origine fu una dea agreste, che presiedeva alla germinazione. Secondo una leggenda tramandataci da Valerio Massimo, il culto di Proserpina fu introdotto in Roma con quello di Dite per scongiurare una grave pestilenza. I figli di un certo Valerio furono colpiti dal morbo. Il loro padre, allarmato, chiese agli dèi che cosa doveva fare per salvarli, ed essi risposero che doveva seguire il corso del Tevere, con i figli, fino a "Tarentum", e qui dar loro da bere l'acqua dell'altare di Dis e di Proserpina. Valerio provò fastidio per dover intraprendere un sì lungo viaggio. Si mise tuttavia in marcia, e la prima sera, si accampò ai margini del fiume. L'indomani chiese agli abitanti del paese come si chiamasse quel luogo. Gli risposero "Tarentum". Comprese allora il vero significato dell'oracolo, colse l'acqua del Tevere e la diede da bere ai figli, i quali guarirono. Riconoscente volle innalzare in quel punto un altare a Dis e a Proserpina, ma scavando il suolo per fondarvi l'edificio, scoprì una pietra che recava già un'iscrizione in onore di queste due divinità: era l'altare di cui aveva parlato l'oracolo.
Da Varrone e Livio sappiamo che fin dal 249 a. C. a Roma si erano celebrati i ludi tarentini o saeculari in onore di tale dea, con sacrifici nel Tarentum. E proprio da Taranto sembra che Proserpina sia stata importata, in epoca molto anteriore alla conquista romana della Grecia. Identificata ben presto con Libera, non raggiunse mai tra i Romani molta popolarità.

Proteo
(mitologia)

Proteo è una divinità marina e profeta della religione greca, figlio di Oceano e Teti, capace di cambiare forma in ogni momento.

Il suo nome allude al "primo nato" e il personaggio è associato ad altri due "vecchi del mare", Nereo e Forco.

Secondo Omero, Proteo risedeva abitualmente nell'isola di Faro, prossima all'Egitto, a circa un giorno di distanza dal fiume Nilo. Nell'Odissea si racconta che Proteo soleva uscire dal mare a mezzogiorno per sdraiarsi a riposare all'ombra delle rocce, circondato dal gregge di foche di Posidone al quale accudiva. Chi anelava sapere dal dio la propria ventura, ricorrendo alle sue facoltà di veggente sincero e veritiero, doveva accostarglisi a quell'ora e coglierlo nel sonno, utilizzando anche la forza bruta per trattenerlo, poiché egli era in grado di trasformarsi per tentare di sfuggire al compito talvolta ingrato di vaticinare. Tuttavia, una volta tornato, magari anche per coercizione, alle sue fattezze naturali di vecchio, rispondeva con schiettezza a ogni quesito che gli veniva posto.

Nell'Odissea di Omero Proteo è padre di Idotea.


Dalla sua capacità di trasfigurarsi scaturisce il termine proteiforme, che sta a indicare un essere in grado di mutare la propria forma in ogni momento, oppure l'accezione proteo riferita a una persona che cambia spesso opinioni o parola, per cui di un uomo variabile si dice che è un Proteo.

Da questo personaggio mitologico deriva anche la cosiddetta sindrome di Proteo, una malattia rarissima che comporta deformazioni estese.

Protesilao

Protesilao (o Iolao) è una figura della mitologia greca, figlio di Ificlo e di Astioche. Principe di Tessaglia, era uno dei capi achei che accompagnarono gli eserciti di Agamennone e Menelao nella guerra di Troia. Fu il primo guerriero acheo a balzare sul suolo troiano, morendo eroicamente, dopo aver compiuto una grande strage, per mano di Ettore. La sua morte non è raccontata nell'Iliade, nel quale è solo citata, ma è riferita da svariati autori greci e latini.

Protesilao era uno dei pretendenti di Elena. Egli condusse 40 navi con sé a Troia, e fu il primo ad atterrare: "Il primo uomo che osò sbarcare quando la flotta greca toccò la Troade".

Un oracolo profetizzò che il primo Greco a toccare terra, sceso dalla nave, sarebbe stato il primo a morire nella guerra di Troia, e quindi, dopo aver ucciso quattro uomini, Protesilao venne ucciso da Ettore. Ma anche su questo punto, le fonti discordano; secondo altri l'uccisore sarebbe stato Euforbo, Acate, Enea o Cicno. Dopo la morte di Protesilao, suo fratello, Podarce, entrò in guerra al suo posto. Gli dei ebbero pietà di sua moglie, Laodamia, figlia di Acasto, e lo condussero fuori dall'Ade per vederla. Un'altra tradizione afferma che sua moglie era Polidora, figlia di Meleagro. Lei inizialmente era felicissima, credendo che egli sarebbe ritornato da Troia, ma dopo che gli dei lo condussero nell'oltretomba, trovò la perdita insopportabile. Costruì una statua di bronzo del marito perduto, e si dedicò ad essa. Come suo padre se ne accorse, preoccupato, la distrusse fondendola nel fuoco, ma Laodamia vi balzò dentro. Nell'Iliade fa una brevissima apparizione: è il primo eroe ucciso sul suolo troiano. La leggenda indica come non avesse compiuto i riti sacrificali prima della costruzione della sua casa nuziale. Perse così la protezione divina dopo il matrimonio con Laodamia.
Il suo nome contiene l'aggettivo Protos che significa primo.

Protoenore


Nella mitologia greca, Protoenore (o Protenore, nella versione più comune), era il nome di uno dei capitani achei, provenienti dalla Beozia, i quali presero parte alla guerra di Troia, per sostenere Menelao, re di Sparta, contro la ricca e fiorente città di Troia, rea di un oltraggio per opera del principe troiano Paride. Questi infatti, accolto benevolmente dal re spartano, approfittò della sua assenza per rapirne la moglie, la bellissima Elena, figlia di Zeus. Le vicende fondamentali di questa guerra furono raccontati da Omero nell'Iliade.

La partenza per Troia


Protoenore, illustre capitano originario della Beozia, partì alla volta della città insieme al fratello Arcesilao, figlio, come lui, di Areilico e di Teobula. Nell'Iliade, egli viene nominato nel "Catalogo delle navi", col ruolo di luogotenente, al servizio del supremo comandante beota, Peneleo;[1] oltre a Protoenore, altri comandanti rappresentavano il contingente beota: Clonio, Arcesilao ed Arpalione, quest'ultimo suo fedele amico. Protoenore giunse a Troia, conducendo con sé otto navi.[2]

La morte


Durante la battaglia contro le navi achee, il giovane eroe greco cercò di tuffarsi nei combattimenti armato di lancia e di spada e affrontò coraggiosamente il guerriero e sacerdote di Troia Polidamante che lo trafisse con la sua lancia alla spalla, e la vita del greco scese giù nella casa di Ade. Polidamante imprecò contro di lui, una volta ucciso, in modo così crudele che Aiace Telamonio, furioso per la morte di un compagno così caro dell'esercito acheo, gli fiondò contro la sua lancia e Polidamante riuscì ad evitare la morte e il colpo invece se lo prese il figlio di Antenore Archeloco in pieno collo, con tale violenza che venne decapitato di netto.

Protogenia

Nella mitologia greca, Protogenia, il cui significato del nome è «la Prima Nata», è una delle prime donne mortali, figlia di Deucalione e Pirra. Ha due fratelli, Elleno, il maggiore e Anfizione.

Stando alla leggenda, Protogenia era stata la seconda mortale, dopo Niobe, a cui Zeus si era unito d'amore nel talamo. Da questo amore con la divinità, essa ebbe due figli: Etlio ed Opo.
In questo stesso periodo, tuttavia, Protogenia aveva sposato un mortale, Locro, re dell'omonima città di Oponte. Uno dei figli "divini" di sua moglie Protogenia, Opo, gli venne affidato da Zeus stesso e in tal modo il re lo allevò come figlio suo.

Protoo

Nella mitologia greca, Protoo era il nome di alcuni personaggi, protagonisti di vicende molto diverse tra loro.

Sono quattro i personaggi che portano questo nome:

* Protoo, figlio di Tendredone, era il capitano dei Magneti, una popolazione della Tessaglia che abitava tra il monte Pelio e il fiume Peneo, ed era uno degli eroi greci nella guerra di Troia.
* Protoo, uno dei figli di Agrio, il quale partecipò col padre e i fratelli alla confisca del regno di Calidone a Eneo, loro zio. Venne ucciso da Diomede.
* Protoo, nominato da Apollodoro come uno dei cinquanta figli del malvagio Licaone. Venne fulminato da Zeus insieme al padre e ai fratelli.
* Protoo, figlio di Testio e fratello di Altea

Protoo, capo dei Magneti


Originario della Tessaglia, Protoo "il veloce" discendeva da Tendredone, un personaggio altrove sconosciuto. Egli era sovrano dei Magneti, un popolo che abitava la parte costiera della Tessaglia a sud-ovest del Monte Ossa. Pare fosse un pretendente di Elena, figlia di Zeus, anche se tale notizia è riportata dal solo Igino. In seguito al rapimento di quest'ultima da parte di Paride dovette partecipare alla guerra contro Troia per liberarla. Egli partì dalla sua patria conducendo con sé quaranta navi.

Protoone

Protoone, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Protoone fu ucciso da Teucro nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.

Psamate (figlia di Crotopo)

Psamate era figlia di Crotopo, re di Argo, e concepì un figlio ad Apollo, Lino. Non va confusa con un'altra Psamate, che era una delle nereidi.

Pausania riferisce che Apollo si innamorò di Psamate e la rese gravida di Lino. Quando il bambino nacque, Psamate, temendo l'ira del padre, lo abbandonò su una montagna. Dei mandriani al servizio di Crotopo raccolsero il bambino e lo allevarono; un giorno, però, Lino fu sbranato dai cani pastori, lasciati incustoditi. Il dolore di Psamate alla notizia della morte del bimbo non sfuggi a Crotopo, che intuì la colpa della figlia e la condannò a morte. Apollo, addolorato e furioso per la morte di Lino e della sua amante, volle punire Crotopo, e inviò ad Argo Pena («Punizione»), una creatura mostruosa che rapiva tutti i neonati del regno. Pena fu uccisa dall'eroe Corebo, ma subito sulla città si abbatté un'implacabile pestilenza. Infine, Corebo chiese all'Oracolo di Delfi come estinguere la rabbia del dio. La Pizia gli ordinò di prendere un tripode e di edificare un tempio ad Apollo nel luogo in cui gli sarebbe caduto di mano. Ciò accadde sul monte Gerania, laddove Corebo costruì il tempio e in seguito fondò la città di Tripodisco.

Psamate (nereide)

Psamate è una delle nereidi, semi-divinità della mitologia greca, e specificatamente la dea della sabbia. Figlia di Nereo e di Doride, generò con Eaco, re di Egina, il figlio Foco. Non va confusa con un'altra Psamate, che era invece figlia di Crotopo.

Quando Eaco decise di sedurla, Psamate si mutò in foca e cercò inutilmente di sfuggirgli. L'uomo la raggiunse e dal loro amplesso nacque Foco, che divenne il prediletto del re. In seguito, Foco fu ucciso dai suoi fratelli maggiori Telamone e Peleo, figli di primo letto di Eaco con Endeide. Il fratricidio fu però scoperto, e i due fuggirono da Egina.

Stando ad Antonino Liberale, Psamate volle vendicarsi e scatenò un lupo mostruoso contro Peleo, che frattanto aveva sposato un'altra nereide, Teti. L'animale incontrò fortuitamente sulla propria strada le mandrie di mucche che Teti aveva portato in dote al marito, e se ne saziò. Quando sopraggiunsero i due sposi, il lupo, satollo, tentò goffamente di lanciarsi contro Peleo. Teti allora trasformò l'animale in una pietra, che si troverebbe ancora in quel luogo, fra la Locride e la Focide.

Ovidio racconta invece che Peleo, quando si trovò di fronte il lupo, pregò Psamate per ottenerne il perdono, ma inutilmente. Fu allora Teti a intercedere per il suo sposo, placando l'ira della sorella. Il lupo tuttavia non si fermava e, dopo aver straziato la gola dell'ultima giovenca, sarebbe saltato addosso a Peleo, se non fosse stata la stessa Psamate a trasformarlo in una statua di marmo.

Stando a Euripide, in seguito Psamate sposò Proteo, re d'Egitto, cui diede due figli: un maschio, Teoclimeno, e una femmina, Eido, che ricevette in eredità dal nonno Nereo il dono della profezia e in seguito assunse per questo il nome di Teonoe.

Psiche

Il mito di Amore e Psiche, la cui elaborazione più raffinata e completa è nei libri quarto, quinto e sesto delle Metamorfosi di Apuleio narra che Psiche, figlia d'un re, aveva due sorelle. Tutte e tre erano bellissime, ma Psiche era di una bellezza tale che aveva reso gelosa perfino Afrodite. La dea, irata, decise di punirla e ordinò ad Amore di ferirla con le sue frecce e farle nascere in cuore un affetto indegno. Ma Amore, vistala, se ne innamorò, e la fece rapire da Zefiro e trasportare in un meraviglioso magico palazzo. La fanciulla penetrò nelle stanze che s'aprivano davanti a lei e fu accolta da voci che la guidarono e le rivelarono di essere altrettante schiave al suo servizio, una voce gentile le disse di non avere paura. La giornata trascorse di stupore in stupore e di meraviglia in meraviglia. La sera, Psiche avvertì vicino a lei una presenza che le disse d'essere il suo sposo e aggiunse che avrebbe potuto vivere la più felice delle vite se non si fosse lasciata tentare dallo scoprire chi egli fosse e se non avesse mai cercato di vederlo. Psiche si innamorò di lui profondamente. Di giorno, lei era sola nel suo palazzo pieno di voci. Di notte, era raggiunta dal suo sposo. Era felicissima, ma un giorno cominciò a sospirare la famiglia, il padre e la madre, e chiese all'amante il permesso di poter tornare per un po' di tempo presso i suoi. Dopo molte preghiere, Psiche finì per spuntarla. L'occidentale vento Zefiro la trasportò fino alla sommità della roccia e, da qui, fece ritorno a casa. Le furono fatte grandi feste e le sorelle vennero a trovarla. Queste, nel vederla così felice e nel ricevere i regali ch'ella aveva loro portato, furono prese da una grande gelosia. Riuscirono poi a scoprire che Psiche non aveva mai veduto in volto il suo sposo e le insinuarono il dubbio che un giorno si sarebbe trasformato in un serpente che risalendo fino al suo ventre avrebbe ucciso il bambino che portava.
Psiche ritornò al palazzo e, dilaniata dai dubbi, decise di soddisfare la sua curiosità. Nascose nella camera una lucerna e la notte, approfittando del sonno di Amore, l'accese; ma rimase tanto rapita nella contemplazione del suo sposo che dimenticando ogni prudenza, lasciò cadere sul dormiente una goccia d'olio caldo. Amore crucciato si svegliò e scomparve. Disperata, Psiche lo cercò in ogni dove vanamente, inseguita dalla collera di Afrodite. Non ricevendo aiuto da alcuna divinità, si recò infine al palazzo di Afrodite. La dea la lasciò entrare ma la ridusse in schiavitù e le ordinò di eseguire prove durissime e terribili: mondare semi che riempivano una stanza prima che scendesse la notte, raccogliere lana di montoni selvatici, riempire una giara con l'acqua del fiume Stige nella parte montagnosa dell'Arcadia, infine discendere agli Inferi. Qui doveva chiedere a Persefone uno scrigno che conteneva la bellezza. La dea le diede lo scrigno chiesto da Afrodite, accuratamente sigillato. Sulla via del ritono, Psiche si lasciò prendere dalla curiosità e dal grande desiderio di riconquistare l'amore del suo sposo e aprì lo scrigno che le era stato dato da Persefone. Cadde nel sonno mortale contenuto nello scrigno e così fu trovata da Amore che le restituì la vita e la portò con sé sull'Olimpo. Il matrimonio fu celebrato dagli dèi, Afrodite dimenticò la sua ira, e lo stesso Zeus le offrì una coppa di nettare che la rese immortale. Psiche generò ad Amore una figlia, Voluttà.
La favola di Amore e Psiche (l'anima) fu per la prima volta cantata dal poeta ellenistico Meleagro nel I secolo a. C., pur essendo certamente più antica, poi elaborata nel romanzo di Apuleio assunse un particolare valore morale e religioso, in relazione con le interpretazioni neoplatoniche, appunto in quanto appare il concetto che l'Amore delle cose divine apre la via all'immortalità. Psiche, personificazione dell'anima umana, tende a ricongiungersi con Amore, simbolo della bellezza immortale di Dio.

Psillo


Psillo era il sovrano di una tribù della Cirenaica, gli Psilli, i quali erano celeberrimi incantatori di serpenti.

Era figlio d'Anfitemi e di una ninfa nonché, stando a quanto riferito da Nonno di Panopoli, il padre di Categono.

Volle vendicarsi del Vento del sud, che con il suo soffio aveva spazzato via i suoi raccolti, ed armò una grande flotta per far vela alla volta dell'isola di Eolo e far pagare al vento infido il fio della sua colpa.

Sennonché lo colse una tremenda procella prima che riuscisse a raggiungere l'agognata méta. La tempesta fece colare a picco tutte le sue navi ed anch'egli defunse.

La sua tomba era ubicata presso la Grande Sirte.

Pterelao

Pterelao è un personaggio della mitologia greca, figlio di Tafio e re di Tafo.

Grazie ad un capello d'oro donatogli da Poseidone e celato nella sua folta capigliatura, era detentore dell'immortalità. Un giorno sua figlia Cometo, innamorata follemente di Anfitrione che aveva assediato la città, gli strappò il capello d'oro, uccidendolo.

Anfitrione conquistò la città ed uccise la figlia snaturata.

Ptoliporthus

Nella mitologia greca, Ptoliporthus o Ptoliporto, che significa «il Distruttore di Città» è un figlio di Telemaco e Nausicaa.

Dopo la morte del padre, Telemaco prese il suo posto come re ad Itaca e qui sposò Circe, che era stata in tempi passati amante del padre. Dopo che gli generò il figlio Latino, eponimo dei Latini, il giovane l'abbandonò per recarsi in terra dei Feaci, dove regnava il vecchio re Alcinoo e la sua bella figlia Nausicaa.

Telemaco prese in sposa la fanciulla e da lei ebbe due figli: Persepolis e Ptoliporthus (o Ptoliporto). Secondo la tradizione venne così battezzato dal nonno Ulisse che era ancora in vita al tempo della sua nascita. In effetti l'epiteto di "distruttore di rocche" è attribuito a più riprese a Ulisse nei poemi omerici.

Edited by demon quaid - 31/12/2014, 19:08
 
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view post Posted on 26/10/2010, 16:27     +1   -1
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Quirino

Antichissima divinità romana, di origini e di etimologia discusse. L'etimologia di Quirino da Cures, città dei Sabini al confine del Lazio, pare non abbia altro valore, data la somiglianza dei nomi, che di una spiegazione erudita accreditata da Terenzio Varrone, il quale per altro spiega il nome di Quirino anche con il sabino curis (lancia). Sono le etimologie accettate da tutti gli scrittori antichi posteriori e che Ovidio tenta di combinare. Si volle anche mettere il nome in relazione con Curia, divisione delle tribù primitive della popolazione romana, di cui Quirino sarebbe stato il protettore; altri pensarono, per gli etnici Quirinus e Quirites, a un nome locale Quirium poi dimenticato. Si suppose anche che Quirino fosse losdoppiamento di uno Juppiter Quirinus, di un Mars Quirinus, di un Ianus Quirinus, che probabilmente vanno invece considerati come tardivi accoppiamenti. Quirino è certamente in stretto rapporto con Quirites, un nome di popolo o di tribù che in età storica era equivalente a Romani; Quirino è da ritenersi cioè come l'eponimo fittizio di Quiriti e deriva perciò da quest'ultimo termine. I Romani nell'età repubblicana identificarono Quirino con Romolo. Che in età assai remota Quirino fosse considerato come una divinità è provato dal fatto che aveva in Roma un suo proprio flamine, il flamen Quirinalis, uno dei tre flamini maggiori accanto al Dialis e al Martialis. Inoltre, nell'antichissimo feriale ricorreva al 17 febbraio la festa delle Quirinalia, che secondo la tradizione risaliva al regno di Numa. Del resto sul Quirinale, che prese dal dio il nome, si trovava un suo antichissimo santuario; il console L. Papirio Cursore, vincitore dei Sanniti, gli dedicò nel 298 a. C. un tempio assai importante, ornandolo con i trofei delle guerre sannitiche e con la prima meridiana. Tito Livio parla di un'adunanza tenuta dal Senato nel 435 a. C. in aede Quirini, cioè nel vetusto sacello, ma è notizia senza valore storico.

R



Racio

Re della Caria, figlio di Lebe. Sposò Manto, figlia di Tiresia, la quale ereditò dal padre il dono della profezia. Racio emigrò da Creta a Colofone nella Ionia, dove incontrò Manto che, per ordine di Apollo, lasciò Tebe dopo la conquista della città da parte degli Epigoni, discendenti diretti dei Sette. Dalla loro unione nacque l'indovino Mopso (che certi mitografi sostengono essere d'Apollo), celebre per la sua rivalità con Calcante figlio di Testore.

Radamanto

Radamanto è il nome di un'antichissima divinità cretese, figlio di Zeus e di Europa, fratello di Minosse.

Secondo la mitologia greca, avendo ucciso suo fratello, Radamanto si recò a Calea, nella Beozia, dove sposò Alcmena, vedova di Anfitrione e si meritò la reputazione di legislatore sapientissimo.

Secondo Omero dimora nei Campi Elisi (Isole dei Beati) e per questo fu considerato Signore del mondo ultraterreno.

In Platone troviamo una tradizione che fa di Radamanto, assieme ad Eaco e Minosse, un giudice dei morti. Quando gli antichi volevano esprimere un giudizio giusto, quantunque severo, lo chiamavano "giudizio di Radamanto", proprio a significare la sua grande equità. Nel Tartaro esso inquisiva sui delitti e li puniva, obbligava i colpevoli a rivelare gli errori della loro vita ed a confessare i delitti la cui espiazione doveva avvenire dopo la morte. Radamantini erano i giuramenti che si facevano invocando a testimoni animali o cose inanimate: Socrate giurava per il cane o per il papero, Zenone per la capra.

Radamanto è rappresentato seduto su un trono, con lo scettro in mano, sulla porta dei Campi Elisi, a fianco di Saturno.

Ramnete

Figura nell'Eneide (IX, 466-472) come augure dell'esercito rutulo, agli ordini del re Turno. Fu ucciso da Niso mentre dormiva.
Così dice, e si tace; e d'improvviso
assale con la spada il tronfio Amnete
che su cumulo folto di tappeti
roco soffiava dai polmoni il sonno;
ed augure egli era, e a Turno caro,
ed egli stesso re; ma l'arte sua
non lo salvò da morte.

Rea

Titanide figlia di Urano e di Gea, sorella e sposa di Crono, fu madre di Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone e Zeus.
Era stato profetizzato sia da Urano morente, sia da Gaia, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, egli divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Giunto il momento di partorire Zeus, Rea si rifugiò in una caverna del monte Ditte in Creta, dove dette alla luce Zeus. I suoi vagiti vennero coperti dai Cureti battendo le loro armi sugli scudi, perché Crono non potesse udirli nemmeno da lontano. Rea compì l'inganno dando da ingoiare a Crono invece del bambino una pietra abilmente avvolta in pannolini. Così il Titano inghiottì la pietra convinto di divorare il suo figliolo Zeus. Taluni narrano che mentre stava partorendo Zeus, Rea premette le dita al suolo per alleviare la sofferenza delle doglie, e dal suolo balzarono fuori i Dattili: cinque femmine dalla mano sinistra della dea, cinque maschi dalla mano destra. Secondo un mito dell'Arcadia, Rea riuscì a gabbare Crono anche per il neonato Poseidone che nascose tra un branco di cavalli e al suo posto offrì a Crono in pasto un puledro. Rea affidò poi alle cure delle Telchine il bambino e per lui esse forgiarono il tridente.
Quando Rea, prevedendo i guai che la lussuria di Zeus avrebbe provocato, gli proibì di sposarsi, egli, infuriato, minacciò di usarle violenza. E benché subito Rea si trasformasse in un minaccioso serpente, Zeus non si lasciò ammansire, ma, trasformatosi a sua volta in un serpente maschio, si unì a Rea in un nodo indissolubile e fece quanto aveva minacciato di fare. Cominciò così la sua lunga serie di avventure amorose. Allorché i Titani, per ordine di Era, si impadronirono di Dioniso e lo fecero a brani, la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. In seguito Rea lo accolse e lo guarì dalla follia, lo purificò per i molti delitti commessi e gl'insegnò i riti estatici che poi il dio diffuse per il mondo.
Il culto di Rea era assai diffuso: avanzi di un suo tempio furono rilevati presso Cnosso; in Arcadia sul monte Taumasio era sacra a Rea una grotta accessibile soltanto alle sue sacerdotesse; a Cos e a Mileto era offerto a Rea un sacrificio particolare, un tempio era dedicato a Crono e a Rea in Atene, e in onore delle due divinità si celebrava la festa delle Cronie nell'Attica il giorno 12 del mese Ecatombeone (luglio). In epoca romana, il culto di Rea si fuse con quello della Grande Madre Cibele.

Rea Silvia

Nella tradizione leggendaria è fatta madre di Romolo e Remo. Nella versione rappresentata da Nevio e da Ennio, porta anche il nome di Ilia, cioè donna troiana. Questa versione credeva madre di Romolo una figlia di Enea, ed è da considerarsi una eleborazione adulatoria fatta per collegare con Troia le origini di Roma. Ma intorno alla madre di Romolo si svilupparono diverse versioni leggendarie.
La leggenda che riuscì a prevalere riferisce che Silvia, figlia di Numitore, re di Alba Longa, fu costretta dal fratello del re, Amulio, usurpatore del trono, a farsi vestale; così egli avrebbe potuto godersi la sovranità usurpata venendo a estinguersi la famiglia del fratello. Marte la sorprese mentre dormiva in un boschetto sulle rive del Tevere e la rese madre. Amulio la chiuse in carcere, e, avvenuto il parto dei gemelli Romolo e Remo, la fece uccidere. Secondo altri sarebbe morta in prigione, gettata nel Tevere e raccolta dal dio del fiume o dal dio dell'Aniene. Un'altra variante della leggenda riferiva che a Rea Silvia sarebbe stata lasciata la vita per intercessione della figlia di Amulio, chiamata Anto, ma sempre chiusa in carcere, da cui sarebbe stata liberata dai propri figli dopo l'uccisione di Amulio.
Sembra probabile che Rea Silvia fosse una divinità che fu venerata presso il Lago Albano, la cui voce si sentiva nelle selve. Suoi ministri erano i Silvi trasformati poi nei re di Alba Longa.

Recarano

Chiamato anche Carano o Garano, è un gigantesco mandriano alleato di Eracle.
Recarano, mentre attraversava il territorio della futura Roma con una mandria di buoi, il brigante Caco, uno schiavo del re Evandro, gli rubò due dei più bei tori della mandria e quattro manzi, che trascinò poi nella sua grotta. Recarano, disperando di trovare i buoi, abbandonò le ricerche, ma Evandro che conosceva bene la natura ladresca del suo schiavo, lo obbligò a restituire gli animali rubati. Recarano, contento, ringraziò il re Evandro e innalzò ai piedi dell'Aventino un altare a Zeus, cui sacrificò uno dei tori ricuperati: sarebbe l'Ara Maxima, generalmente attribuita a Eracle.

Remo

Figlio di Marte e di Rea Silvia, e fratello gemello di Romolo.
A causa del rapimento attuato dallo zio Amulio, re di Alba Longa, Remo fu portato da Numitore, fratello di Amulio, con l'accusa di aver rubato gli armenti. Numitore, ammirato del nobile aspetto del giovane, lo rimandò. Faustolo saputo del caso di Remo rivelò ai due fratelli la loro origine: essi, corsi coi loro seguaci ad Alba e ucciso Amulio, ristabilirono Numitore sul trono. Quando Romolo e Remo più tardi decisero di fondare una città, i due fratelli non riuscirono a mettersi d'accordo su chi dei due dovesse governarla e decisero di consultare il volere degli dèi osservando, secondo il rito sacro, il volo degli uccelli, per stabilire chi dei due dovesse considerarsi fondatore e dovesse dare il nome alla città. Remo salì sull'Aventino e vide sei avvoltoi mentre Romolo, dal Palatino, ne contò dodici. Il muricciolo provvisorio che delimitava la nuova città era costruito e Remo, geloso del fratello, lo saltò d'un balzo. Romolo, in un impeto d'ira, lo uccise. Se non lui fu Celere a colpirlo con la spada. Romolo, pur rendendosi conto dell'insulto del fratello, non potè non pentirsi del suo gesto e lo pianse a lungo. Secondo un'altra versione della morte di Remo questi fu ucciso durante uno scontro tra i seguaci dei due fratelli poiché entrambi sostenevano d'aver visto il numero più alto di uccelli sul colle.
Remo ebbe scarso svuluppo nella leggenda; di lui si ha ricordo solo in due nomi locali, la Remuria sull'Aventino, dove Remo avrebbe preso gli auspici, e l'agro Remurino. La leggenda dei gemelli Romolo e Remo deve risalire in Roma alla fine del IV secoilo a. C., ma in essa la figura di Remo ebbe scarso rilievo e modesta elaborazione. Raccontava che i pastori dei dintorni, notando le nobili qualità dei due fratelli, prestavano loro spontanea obbedienza: Fabii si chiamavano i seguaci di Remo, Quintilii quelli di Romolo. La leggenda di Remo finisce con la sua morte senz'altro sviluppo.

Reo (mitologia)

Nella mitologia greca, Reo era la figlia di Crisotemi e Stafilo, e divenne una delle amanti di Apollo.

Reo, senza dire nulla a suo padre venne amata in segreto dal divino Apollo. Una volta rimasta incinta di lui, non passò molto tempo prima che suo padre scoprì il misfatto, andando su tutte le furie. Stafilo, quindi, la prese la chiuse in un baule e lo gettò contro le onde del mare. Il mare ebbe pietà della ragazza facendola naufragare sulle spiagge dell’Eubea. Altri invece dicono che il cofano arrivò sino a Delo.

Chiamò suo figlio Anio, per ricordare le grandi sofferenze patite per lui.
Significati di interpretazione [modifica]

Reo in questa occasione, rappresenta la dea della fertilità nella sua piccola nave a forma di quarto di luna, la donna appare in seguito con le sue figlie, le vignaioile, facendo pensare che fosse una delle tante rappresentazioni di Demetra.

Vestigia di simile culto ancora oggi si trovano nel kernos a tre coppe, un contenitore di utilizzo frequente da parte di preti ortodossi greci per offrire olio, grano e vino in chiesa.

Reso

Reso è un personaggio della mitologia greca.

Reso era un giovane re della Tracia che, secondo l’Iliade, nel corso della guerra di Troia si alleò con i troiani di Priamo. Omero afferma che suo padre era Eioneo, un personaggio altrimenti sconosciuto, sebbene il suo nome sia evidentemente connesso con la città di Eione che si trova nella Tracia occidentale, alla foce dello Strimone. Scrittori di epoche successive attribuirono a Reso un’origine semidivina, sostenendo che fosse figlio di una delle Muse (Clio, Calliope, Euterpe o Tersicore), oppure che suo padre fosse la divinità che sovrintende al fiume Strimone e che fosse stato allevato da alcune Naiadi.

La morte

Reso salì ancora adolescente sul trono di Tracia. Era da poco diventato re quando giunse la notizia della guerra scoppiata tra greci e troiani, e allora inviò in aiuto del re Priamo un grande contingente di uomini guidati da Acamante e Piroo: se egli non poté subito intervenire direttamente in prima persona fu perché nel contempo si trovò a dover difendere il suo regno da un attacco degli abitanti della Scizia. Passarono così dieci anni, e finalmente Reso arrivò a Troia con due cavalli bianchi che gli erano stati donati da Ares, dotati di una grandissima velocità. Gli Achei, preoccupati di questo, inviarono Odisseo e Diomede per rubarglieli. I due eroi, penetrati nell’accampamento con il favore del buio, si introdussero nella tenda di Reso e uccisero lui e dodici suoi uomini mentre dormivano per poi allontanarsi con i preziosi animali. Ironia della sorte, il giovane condottiero in quel momento sognava di essere ucciso da Diomede. Alla strage sopravvisse Ippocoonte, cugino e coetaneo di Reso, nonché suo consigliere.

Questi fatti sono raccontati sia nel libro X dell’Iliade che nella tragedia Reso, la cui attribuzione ad Euripide è tuttora incerta e contestata.

Rigmo

Rigmo è un personaggio dell' Iliade, menzionato nel ventesimo libro.

Rigmo era un giovane signore trace, bellissimo d'aspetto, figlio di Piroo (o Pireo). I due accorsero in difesa dei troiani di Priamo alla testa di un grande contingente. Piroo trovò la morte per mano di Toante, come è detto nel quarto libro del poema.

La morte


Valoroso come suo padre, Rigmo non gli sopravvisse a lungo. Venne infatti ucciso in combattimento dall'eroe greco Achille che voleva vendicare la morte del suo intimo amico Patroclo ucciso dall'eroe troiano Ettore. Assalito da Achille, Rigmo, che si trovava a combattere sul suo carro insieme al suo scudiero e auriga Areitoo, avrebbe potuto fuggire mettendosi in salvo, ma intrepido com'era volle tentare il confronto. Il giovane fu colpito in pieno dall'asta, in mezzo al ventre, e fatto precipitare giù dal carro. Achille subito dopo ferì mortalmente Areitoo alla schiena con la lancia: anche costui cadde giù dal cocchio, e i cavalli scapparono via a zampe levate, essendosi imbizzarriti per la morte dei due eroi uccisi dal figlio di Peleo.

Roda

Figlia di Poseidone e della nereide Anfitrite, sorella di Tritone e di Bentesicima.
Anfitrite sdegnò le proposte del dio e si rifugiò sul monte Atlante, ma Poseidone le inviò dei messaggeri, e tra questi un certo Delfino, che riuscì a indurre la ninfa al consenso. Subito si fecero i preparativi per le nozze e Poseidone, grato a Delfino, ne immortalò l'immagine tra gli astri del firmamento. Roda fu sposata da Elio (il Sole).

Rodo

Rodo è una figura mitologica greca, figlia di Poseidone e di Afrodite (anche se altre versioni affermano di Anfitrite o di Alia).

Rodope
(mitologia)

Nella mitologia greca, Rodope era il nome di una delle figlie di Strimone, una divinità dei fiumi.

Moglie di Emo il figlio di Borea e Orizia diventato poi re della Tracia. Ebbe dal marito un figlio, Ebro. Superba della sua bellezza come il marito, lei finse di essere Giunone il marito Zeus; per questa loro azione Zeus tramutò entrambi in monti. In Tracia esiste un monte che porta questo nome.

Romolo

Mitico fondatore di Roma (753 a.C.). Il nome significa semplicemente "Romano". Le varie forme assunte dalle leggende che lo riguardano affondano le loro origini nella mitologia greca.
Romolo e Remo erano i gemelli nati da Rea Silvia, figlia di Numitore, ben presto scacciato dal suo regno di Alba Longa dal fratello minore Amulio. Per evitare che Numitore avesse un erede, Amulio costrinse Rea Silvia a diventare una vergine Vestale, ma nel bosco sacro di Marte le si presentò il dio e la vergine fu da lui resa madre di due gemelli. Quando Amulio venne a conoscenza del fatto condannò la nipote a essere affogata con i bambini; ma il dio Tiberino la sposò e la rese immortale, e la cesta in cui erano esposti i gemelli, ritirandosi le acque del fiume in piena, rimase in secco presso il Ficus Ruminalis. Gli animali sacri a Marte, la lupa e il picchio, si occuparono degli infanti e qualche tempo dopo vennero trovati da un mandriano del re, Faustolo che, senza avvisare il re Amulio, li portò alla sua capanna. Sua moglie Acca (o Acca Larenzia) allevò i due bambini e li chiamò l'uno Romolo e l'altro Remo. Cresciuti in età, diventarono due giovani forti e intelligenti, capi dei figli dei pastori che cacciavano i briganti del luogo, e a volte si spingevano fin nelle terre di Numitore. Un giorno Remo, che ritornava dalla festa dei Lupercali, dedicati a Pan, cadde in un'imboscata e rimase prigioniero dei pastori di Numitore che lo portarono davanti al re Amulio, il quale, sentendo che il giovane era accusato di furto ai danni degli armenti di Numitore, lo consegnò per la punizione a Numitore. Questi, ammirato del nobile aspetto del giovane, lo rimandò. Faustolo, saputo del caso di Remo, rivelò ai due fratelli la loro origine: essi, corsi coi loro seguaci ad Alba e ucciso Amulio, ristabilirono Numitore sul trono. Romolo e Remo non s'accontentarono di vivere ad Alba Longa con il nonno e decisero di fondare una nuova città. Scelsero una terra non molto distante dal luogo vicino al Tevere dov'erano stati abbandonati, ma nacque ben presto un dissidio quando si trattò di decidere chi dei due avrebbe dovuto diventare re. Decisero quindi di consultare il volere degli dèi osservando, secondo il rito sacro, il volo degli uccelli. Romolo andò sul colle Palatino e vide dodici avvoltoi, il doppio di quanti ne vide Remo dall'Aventino. I sostenitori di Remo pretesero la vittoria per il loro protetto che aveva ricevuto il segno per primo. Romolo ignorò la questione e sul Palatino tracciò i solchi delimitanti la città e incominciò a costruirvi un muro alle Parilia, la festa di Pale, il 21 aprile. Ma Remo, irato, insultò il fratello e in segno di scherno saltò il muro chiedendo come una barriera tanto fragile potesse difendere la città. Allora Romolo (secondo altri Celere) lo uccise con un colpo di vanga.
Fondata la città, Romolo si preoccupò di popolarla dando asilo ai fuggiaschi e agli esiliati dei villaggi vicini, accogliendo liberi e schiavi. Così, Roma si popolò di uomini, ma non vi erano donne. Fu allora che Romolo pensò di rapire quelle dei suoi vicini, i Sabini. Organizzò una grande festa a cui parteciparono i Sabini e altre popolazioni, e durante i giochi e le esibizioni i Romani fecero prigioniere tutte le giovani donne (il Ratto delle Sabine) e scacciarono gli uomini. Le donne, dapprima terrorizzate, alle persuasive parole di Romolo accettarono la nuova situazione. Poco tempo dopo però le popolazioni alle quali erano state rapite le ragazze si raggrupparono attorno al re dei Sabini, Tito Tazio. Si formò ben presto un esercito che marciò contro Roma. Le truppe sabine attaccarono la città e, per il tradimento di Tarpea, custode della rocca capitolina, riuscirono anche a conquistare la cima occidentale del Campidoglio ed attaccarono i Romani in quel pezzo di pianura chiamato più tardi Foro Romano. I Sabini stavano per avere la meglio, quando Romolo si rivolse a Giove e lo implorò di ribaltare la situazione, dedicandogli in quel luogo un tempio con il titolo di Stator. Giove lo esaudì e i Romani non indietreggiarono più, fronteggiarono i nemici e la battaglia riprese più violenta, ma le donne sabine si gettarono fra i due eserciti avversari implorando la pace. Romani e Sabini stipularono allora un trattato di alleanza, che univa i due popoli. Così Romolo e Tazio decisero di governare insieme, ambedue col titolo di re, quel nuovo popolo nato dalla fusione delle due tribù, di cui portò congiuntamente il nome: romani quiriti. Tazio avrebbe abitato la cittadella del Campidoglio, Romolo il Palatino. Questo regno congiunto durò cinque anni. Durante un sacrificio che i due re offrivano a Lavinio, Tazio venne ucciso, e Romolo riportò a Roma il suo cadavere, gli accordò grandi onori e lo fece seppellire sull'Aventino.
Dopo quarant'anni di pacifico regno Romolo terminava la sua vita terrena. Durante una rassegna militare al Campo di Marte presso la palude Caprea, nel giorno delle None Caprotine si levò improvviso un temporale e Romolo scomparve avvolto tra i nembi e i tuoni.
Fu considerato divino da tutti gli uomini presenti a quel prodigio e poco dopo apparve in sogno a tale Giulio Proculo e gli rivelò di essere stato assunto fra gli dèi e gli impose di dire ai Romani che lo onorassero con il nome di dio Quirino e gli erigessero un santuario sul monte Quirinale.

Ropalo

Figlio di Festo e padre di Ippolito re di Sicione.
Festo, figlio d'Eracle, dovette abbandonare il trono di Sicione in seguito ad un oracolo e si recò a Creta, dove fondò la città che portò il suo nome. Ebbe per figlio e successore Ippolito che, preda della paura, si arrese davanti ad un esercito miceneo guidato da Agamennone, e consegnò Sicione ai Micenei.

Rutuli

Piccolo popolo stanziato nel Lazio meridionale, sulla costa tirrenica a Sud di Roma. Il suo nome, come quello del suo principe Turno, è noto soltanto perché Virgilio nell'Eneide ne canta la lotta tenace contro Enea e i Troiani. Peraltro in età storica il nome di Rutulus viene applicato agli abitanti di Ardea: Ardeatis Rutulus, ma non si può affermare che gli Ardeati fossero i Rutuli dell'età leggendaria.

Edited by demon quaid - 1/1/2015, 20:49
 
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Vampiro di dracula

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Sabazio

Dio, originario della Tracia e della Frigia, figlio di Zeus e di Persefone, affine a Dioniso. Il suo cilto, orgiastico e misterico, fu introdotto in Grecia, e in Atena dagli schiavi originari delle regioni orientali dell'Egeo. Aristofane ironizza spesso nelle sue commedie (tra cui una Sabazia ora perduta) sulle cerimonie di Sabazio, consistenti per lo più in processioni scomposte al grido di euoi saboi. Si sa che Glaucotea, madre di Eschine, ne aveva guidata una. Gli si attribuiva l'idea di addomesticare i buoi e di sottometterli al giogo. Era rappresentato con corna sulla fronte.

Sagari

Figlio di Migdone e d'Alessirroe. La Madre degli Dèi, Cibele, lo aveva fatto impazzire perché si era preso gioco dei suoi Misteri, insultando i suoi sacerdoti eunuchi, e Sagari si annegò nelle acque del fiume Xerabate che, in suo ricordo, venne poi chiamato Sagari o Sangario.

Sagariti

Nome di un'Amadriade. Ovidio racconta che nei boschi nella Frigia viveva Atti, un giovane così bello da essere amato da Cibele di casta passione. La dea lo pose come guardiano del proprio tempio, ma gl'impose di conservarsi vergine. Atti non potè resistere alle profferte d'amore della ninfa Sagariti. Cibele, irritata, abbattè l'albero alla cui vita era legata quella della ninfa, e fece impazzire Atti che, nel corso di una crisi violenta, si evirò. Dopo la sua mutilazione, sembra che la dea l'abbia di nuovo accolto al suo servizio.

Salamina

Figlia del fiume Asopo, rapita dal dio Poseidone, il quale le diede un figlio, Cicreo. Questi riuscì ad uccidere un serpente che infestava la zona. Gli abitanti dell'isola, in segno di riconoscenza, lo elessero loro re. Tuttavia egli allevò un serpente della stessa specie che fece grandi stragi finché fu scacciato dall'isola da Euriloco, un compagno di Odisseo. L'animale si rifugiò allora ad Eleusi, presso Demetra che ne fece uno dei suoi servitori.

Salmoneo

Salmoneo è una figura della mitologia greca. Figlio di Eolo ed Enareta, fu re dell'Elide.

Inizialmente abitava in Tessaglia, ma si trasferì nell'Elide, dove fondò la città di Salmonia. Sua prima moglie fu Alcidice, dalla quale ebbe una figlia, Tiro; in seguito sposò Sidero. Considerandosi pari a Zeus, volle che gli fossero tributati onori divini: pretese quindi sacrifici e la costruzione di un tempio in suo onore. Giunse persino ad imitare Zeus, procedendo per le vie della città su un carro trainato da quattro cavalli, tenendo in mano una fiaccola e imitando con la sua voce il rombo del tuono. Per tale motivo la sua città fu distrutta ed egli venne mandato negli Inferi, dove, secondo Virgilio, lo incontrò Enea.

Samone (mitologia)

Nella mitologia greca, Samone era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Samone, uno dei figlio di Ermes e di una ninfa chiamata Rene, considerato come l'eroe di Samotracia, originario dell'Arcadia da dove si mosse in compagnia di Dardano alla volta dell'isola, decidendo una volta giunto di rimanervi.

* Samone, cretese, sposo di Dada, con cui andò in battaglia al fianco di Scamandro. Durante uno degli scontri rimase ucciso.

Sangaride

Nella mitologia greca, Sangaride o Sagaritide era una delle ninfe figlia di Sangario.

Sangaride era una delle Amadriadi, ninfe degli alberi, si innamorò perdutamente di Attis riuscendo a conquistare il suo cuore ma la dea Cibele per avergli sottratto quel bel giovane la punì facendo morire l’albero alla cui vita era legata quella di Sangaride.

Alla sua morte Attis impazzì.

Sangario

Nella mitologia greca, Sangario era il nome di una divinità fluviale, collegata al corso d'acqua del Sangarius, l'odierno Sakarya.

Sangario figlio di Oceano, e Teti era una delle tante divinità dei fiumi dell’Asia minore.

Discendenza


Secondo una delle fonti Sangario era insieme a Metopa, il padre di Ecuba (o Ecabe), secondo altre fonti invece come figlio ebbe Alfeo un abilissimo suonatore di flauto, secondo altre fonti ancora ebbe una figlia chiamata Sangaride o Sagaritide. Sarebbe anche il padre di Nicea.

Sarpedonte (Europa)

Sarpedonte era figlio di Zeus e di Europa, e fratello di Radamanto e di Minosse.

Entrò in conflitto con Minosse, o per la successione al trono di Creta alla morte del padre putativo Asterione o a causa della contesa per l'amore del giovinetto Mileto.

Sarpedonte emigrò in Caria, dove fondò la città di Mileto, secondo altre fonti fondata dal giovane eroe eponimo fuggito insieme all'amante. Secondo la genealogia tramandata da Diodoro, in Asia Sarpedonte generò Evandro, il quale si unì a Deidamia o Laodamia, figlia di Bellerofonte, dalla quale nacque l'omonimo Sarpedonte, l'eroe licio ucciso da Patroclo sotto le mura di Troia, in Omero detto figlio Zeus.

Sarpedonte (figlio di Laodamia)

Sarpedonte è un semidio alleato di Troia durante la famosa guerra della mitologia greca, figlio di Zeus e di Laodamia, a sua volta figlia di Bellerofonte, e sorella di Isandro e Ippoloco.

Nascita e infanzia

Ancora giovane, Laodamia fu amata da Zeus, e da lui generò un figlio, il piccolo Sarpedonte. Gli zii del piccolo, Isandro e Ippoloco, quando egli era ancora un bambino stabilirono di disputare una gara per vedere chi di loro sarebbe salito al trono. Insieme proposero di appendere al petto di un bambino un anello d'oro e di scoccare una freccia attraverso quel difficile bersaglio. Sorse tuttavia una lite a proposito del bambino da utilizzare come vittima; ciascuno di loro infatti reclamò il figlio dell'altro.

Per impedire una lotta fratricida, Laodamia intervenne, offrendosi di legare al collo del figlio Sarpedonte il fatidico anello. Di fronte a questo gesto di puro coraggio, i due fratelli rinunciarono alle loro pretese e affidarono il regno al giovane Sarpedonte, il quale, cresciuto, regnò sul suo popolo insieme al cugino Glauco, figlio di Ippoloco.

Nella guerra di Troia


Quando Paride, figlio di Priamo, rapì da Sparta la regina Elena, moglie di Menelao e sorellastra di Sarpedonte, provocando una dichiarazione di guerra da parte di Agamennone e di tutti i capi achei, il figlio di Zeus, pur avanti negli anni, abbandonò la moglie e il figlio ancora neonato nella sua terra per accorrere in aiuto dei Troiani, insieme al figlio illegittimo Antifate (avuto da una schiava) e a Glauco (che gli fu sempre fedelissimo compagno) con grandi truppe di guerrieri della Licia, provenienti dall'intera regione dell'Asia Minore.

Combattimento contro Tlepolemo


Nel bel mezzo della battaglia, quando Pandaro venne ucciso ed Enea fu colpito gravemente da Diomede, Sarpedonte avanzò verso Ettore e lo rimproverò aspramente per il suo comportamento privo di ferocia e foga nei confronti dei nemici; le sue parole provocatorie irritarono particolarmente l'eroe troiano, il quale tornò in battaglia e continuò a fare vittime. Ad un certo punto Tlepolemo, il valoroso guerriero acheo, figlio di Eracle, quasi spinto dalla Moira, si apprestò a raggiungere Sarpedonte e lo oltraggiò, criticandolo per la sua vigliaccheria e il timore della battaglia.

Furente, Sarpedonte replicò duramente in risposta. Poi scagliò l'asta di frassino contro di lui, nello stesso momento in cui Tlepolemo ricambiava il colpo. Sarpedonte colse il nemico in pieno collo, coprendogli gli occhi con la morte tenebrosa; l'asta scagliata da Tlepolemo non fu comunque vana, ma colpì l'avversario alla coscia, penetrando fino all'osso, tanto che la Moira passò davanti al giovane eroe, ma venne subito allontanata dal padre Zeus, che molto teneva alla vita del figlio.

Quando i compagni di Sarpedonte videro il loro comandante caduto e ferito gravemente, accorsero e lo condussero fuori dalla battaglia per farlo riprendere; tuttavia, a causa della violenza della lotta, non ebbero il tempo di strappargli la mortale lancia dalla ferita e si accontentarono solo di metterlo in salvo.

Sarpedonte, accortosi ben presto che molti dei suoi uomini cadevano uccisi per mano di Ulisse, invocò Ettore, chiedendo al colmo delle lacrime il suo aiuto; ma l'eroe troiano rifiutò duramente, scavalcando il suo corpo e procedendo nei combattimenti. Ben presto il capo licio venne portato in salvo dai compagni e disteso sotto la sacra quercia del padre; qui, il fedele amico Pelagonte gli trasse fuori l'arma, facendolo per un attimo spirare, ma, grazie al soffio di Borea, egli poté riacquistare i sensi.

Partecipò allo scontro presso le navi, dove brillò per coraggio ed eroicità. Protetto dal padre Zeus, incitò i guerrieri lici a superare le mura di cinta greche e uccidendo il guerriero greco Alcmaone, figlio di Testore, mentre cercava di fermarlo ad ogni costo. Infine riuscì addirittura a respinger, senza uccidere, Aiace Telamonio e suo fratello Teucro. Insieme agli altri comandanti troiani portò soccorso ad Ettore ferito a causa di un macigno.

Contro l'accampamento acheo

Nonostante i presagi e le condizioni fossero perlopiù sfavorevoli ai Troiani, Ettore contò solo sul suo valore in battaglia e sulla paura che incuteva nei nemici e stabilì di attaccare direttamente l'accampamento acheo, per giungere sino alle loro navi. Il suo consigliere Polidamante lo convinse ad essere più cauto nelle sue mosse, invitandolo a dividere in gruppi l'esercito e a posizionarne ciascuno di fronte alle varie porte della muraglia.

La morte

Affrontò Patroclo, che indossava le armi d’Achille, ma riuscì soltanto a uccidere l’unico cavallo mortale del Pelide, Pedaso, finendo però egli stesso trafitto dalla lancia dell’eroe greco. Quando i greci iniziarono ad infierire sul corpo senza vita, intervenne Zeus che lo fece sottrarre dal Sonno e dalla Morte, che lo portarono in Licia dove ricevette gli onori funebri, come era stato stabilito dagli dei.

Satnio

Nella mitologia greca, Satnio era un combattente troiano, figlio di Enope, il quale prese parte alla guerra di Troia per combattere gli Achei. Il conflitto ebbe origine dal rapimento di Elena, regina spartana, figlia di Zeus, da parte del principe troiano Paride; Menelao, re di Sparta e marito della giovane, infatti, si vendicò di tale oltraggio riunendo un considerevole esercito e dichiarando guerra alla città asiatica. I momenti cruciali di questa guerra sono raccontati da Omero nell' Iliade.

Origini e nascita


Satnio aveva origini semidivine, dato che suo padre, un pastore di buoi chiamato Enope aveva avuto una relazione amorosa con una ninfa Naiade, di cui non è specificato il nome. Enope infatti, mentre era intento al suo lavoro sulle rive del Satnioento, un fiume della Troade, aveva intravisto la fanciulla che, come racconta Omero, era di una straordinaria avvenenza. Innamoratosene, Enope non pensò ad altro che a stuprarla sul posto, cosicché la ninfa si ritrovò dopo alcuni mesi incinta di Satnio.

La morte in guerra

Scoppiata la guerra che oppose per ben dieci anni Troiani e Achei, Satnio decise di prendervi parte, intenzionato a difendere la sua patria. Nel corso dei combattimenti nel decimo anno di guerra, il giovane venne preso di mira dal veloce e crudele Aiace d'Oileo, il quale aveva deciso di approfittare della mancanza di Ettore, capitano troiano, ferito dal grande Aiace, per seminare strage nelle file troiane. Il figlio di Oileo balzò dunque contro di loro e trafisse per primo Satnio, al fianco, con la sua lancia. Colpito mortalmente, il giovane guerriero cadde a terra.

Satiri

Divinità maschili di ordine inferiore nella mitologia greca simboleggianti le forze della natura. Vivevano sui monti e nei boschi, inseguivano le Menadi e le Ninfe con le quali speravano di soddisfare la loro lascivia; parte cospicua del corteo di Dioniso, dediti al vino, procaci e licenziosi, erano immaginati sotto forma di capro, poi, smessa questa figura, conservarono orecchie e gambe caprine, una breve coda e piccole corna sulla fronte. Nelle rappresentazioni artistiche perdettero a poco a poco la forma animalesca e mostruosa loro attribuita nell'arcaismo ed ebbero aspetto grazioso, fattezze giovanili da cui traspariva arguzia e piacevole malizia. Nell'età ellenistica se ne moltiplicarono i tipi e gli atteggiamenti, per lo più con intenti idillici. Nella letteratura greca, attori travestiti da Satiri costituirono il coro delle più antiche tragedie: di qui il sorgere del dramma satiresco.

Saturno

Antichissimo dio italico, protettore delle seminagioni, da cui probabilmente prende nome dell'abbondanza e, con la moglie Ops, identificata con la greca Rea, della nascita e dell'allevamento della prole. Popolarissimo a Roma, con il diffondersi della mitologia greca, Saturno venne identificato con Crono e allora si formò la sua leggenda.
Cacciato dal trono dal figlio Giove (Zeus), il vecchio nume avrebbe trovato, dopo lunghe peregrinazioni, riposo in Italia e si sarebbe fermato in quella regione che prese nome di Lazio perché là Saturno si era nascosto. Accolto da Giano, avrebbe fondato città per gli uomini errabondi e, regnando su essi, instaurato quell'era felice di pace, di concordia e di modestia, che venne chiamata età dell'oro. In suo onore i poeti latini ricordano spesso l'Italia come terra di Saturno (saturnia tellus).
Durante l'Impero il culto di Saturno appare diffuso, fuori di Roma, solo nell'Africa settentrionale, dove s'identifica col punico Baal, divinità già equivalente, nel mondo ellenistico, a Crono.
Il tempio di Saturno che sorgeva nel Foro ai piedi del Campidoglio, si faceva risalire al 498 avanti Cristo. Conteneva l'erario e le insegne delle legioni. Il culto di Saturno avvenina graeco ritu, col sacerdote a capo scoperto. La festa del dio era detta Saturnalia. I Saturnali, istituiti dal mitico Giano o da Romolo, da principio si esaurivano in un sol giorno, quasi a chiusura delle feste campestri cominciate con la semina nel solstizio d'inverno. Nel 217 a. C., l'anno della battaglia al Trasimeno, furono riorganizzati e compresero un sacrifizio a Saturno, un lettisternio, un banchetto pubblico e una serie di divertimenti popolari della durata di due giorni. Sotto Domiziano il periodo dei Saturnali si estese dal 17 al 23 dicembre, includendo i giorni cosiddetti sigillari perché si usava in essi scambiare doni: piccole immagini degli dèi, fiaccole simboleggianti il fuoco solare e altri oggetti.

Scamandrio

Nella mitologia greca, Scamandrio (forma affettuosa derivante dal nome Scamandro, il fiume che bagnava la pianura di Troia) è il nome di due differenti personaggi citati nell'Iliade di Omero.

* Il figlio unigenito di Ettore e Andromaca, altrimenti noto come Astianatte («il difensore della città»), sebbene ques'ultimo nome, meno canonico, ha finito per sostituire quello ufficiale (Scamandrio per l'appunto, assegnatogli teneramente dal padre.)
* Un abile cacciatore troiano, figlio di Strofio e beniamino di Artemide, morto nei combattimenti in difesa della città.


Scamandrio, guerriero troiano

Eccellente cacciatore, Scamandrio fu così chiamato dal padre in onore dell'omonimo fiume della Troade che percorreva la pianura su cui sorgeva Troia. Venne istruito nell'arte della caccia dalla stessa Artemide, che lo educò di persona nel tendere l'arco contro le fiere e i cervi dei monti.

Partecipò come fante alla guerra di Troia, in cui non mostrò valore eguale alle sue doti di cacciatore. Di lui si parla nel libro V, dove è presentato in fuga di fronte ai nemici: Menelao, raggiuntolo, gli conficcò l'asta nella schiena, attraverso le spalle e il petto, e abbandonò poi il suo cadavere armato. Omero si dilunga nel compiangere la sorte del troiano, che né la dea Artemide, né le sue doti di cacciatore riuscirono a mutare.

Scamandro
(mitologia)

Nella mitologia greca, Scamandro era il nome di diversi personaggi, uno era un dio di un fiume, l'altro era suo nipote.

Scamandro: divinità del fiume


Scamandro (o Xanto) è un dio fluviale, figlio di Zeus e di Doride. Suo padre gli diede l'onore di festeggiare le giovani donne che in seguito al matrimonio andavano a bagnarsi nelle sue acque. Appena uscite dall'acqua, Scamandro usciva dal suo letto e le accompagnava nel suo palazzo.

Durante la guerra di Troia, quando morì Patroclo, l'intimo amico di Achille, ucciso da una lancia scagliata contro di lui da Ettore, Achille, rientrato nel campo di battaglia, fece strage di Troiani e di alleati di Troia e, dopo aver ucciso tantissimi giovani nella pianura di Troia, non essendo riuscito ad attaccare ed uccidere il suo più grande ed odiato rivale Ettore, si rivolse contro i nemici che tentavano, per sfuggire alla sua furia, di rifugiarsi nella sponda opposta del fiume Scamandro, per trovare riparo e salvarsi dalla spada del furibondo eroe greco. Achille, ardendo ancora di rabbia e di ansia di vendetta si gettò nel fiume e prese ad inseguire i fuggiaschi all'interno dell'acqua, facendone strage, lasciando armi, scudi, corazze ad ingombrare la riva e l'acqua dello stesso fiume contenente anche cadaveri con teste mozzate e lasciate con gli elmi a galleggiare in superficie; in breve sorgono agghiaccianti isole di cadaveri ed il dio delle acque del fiume, sdegnato per la carneficina, getta le sue acque contro l'eroe greco, cercando di travolgerlo, togliendogli la vista ed il respiro. Achille, appesantito dall'armatura, lotta con tutte le sue forze arrivando a capire alla fine di essere sul punto di annegare; viene infine salvato dall'intervento di Vulcano che prosciuga le acque del fiume con una tremenda pioggia di fuoco che permette all'eroe di salvarsi la vita e di fuggire per sempre sano e salvo alla furia del dio Scamandro che tentava di ucciderlo per vendicare a sua volta la morte degli infiniti uccisi dalla furia e dall ferro del giovane eroe greco che era rientrato in battaglia per vendicare i feritori e l'uccisore del suo caro amico e compagno di armi Patroclo.

Generazioni


Ebbe una figlia, chiamata Glaucia, diventata l'amante di Dimaco uno degli amici di Eracle in battaglia.

La donna in seguito partorì un bimbo e gli diede come nome Scamandro.

Scamandro: Figlio di Dimaco

Dietro la richiesta di Eracle, Scamandro fu eletto re di Beozia. Lui diede il proprio nome al fiume Inaco, mentre donò il nome di sua madre Glaucia ad un altro corso d'acqua che scorreva vicino al primo e il nome di sua moglie Acidusa ad una sorgente. Con lei aveva avuto tre figlie.

La fondazione di Troia


In una delle varie leggende della creazione della mitica città vede Scamandro guidare un terzo della popolazione di Creta prigioniera di una carestia dell'epoca alla ricerca di terre più felici. Ricordandosi del consiglio di Apollo di fermarsi dove dei nemici li avrebbero attaccati di notte, così egli fece e si sposò con la ninfa Idea, con il quale ebbe un figlio, Teucro.

In seguito Scamandro morì, il suo corpo cadde in un fiume e il suo posto fu preso dal figlio.

Scefro

Nella mitologia greca, Scefro era il nome di uno dei figli di Tegeate e di Mera, la figlia di Atlante.

Aveva diversi fratelli: Leimone e Archedio e secondo altre versioni a questo elenco si aggiungevano Cidone, Catreo e Gorti che forse era il figlio di Radamanto)

Era diventato amico del dio Apollo, con cui parlava tranquillamente in occasione di uan sua venuta con la sorella Artemide in quei luoghi. Durante l'amabile conversazione venne brutalmente interrotto da un suo fratello, Leimone, che credendo stesse calunniando la divinità trovò opportuno ucciderlo. A questo evento l'ira delle due divinità si abbatte prima sull'assassino uccidendolo e poi sul paese intero. Mera e Tegeate non sapevano come riuscire a calmare le divinità a nulla valsero tutti i sacrifici che ordinavano, la carestia si era abbattuta sul paese. Alla fine si rivolserò all'oracolo di Delfi che suggerì di rendere gli onori funebri al giovane. Fu fatto e gli dei si calmarono.

Schedio

Schedio era un nome attribuito a quattro figure della mitologia greca.

* Schedio era figlio di Ifito e di Ippolita, e fratello di Epistrofo. Nell' Iliade, lui e suo fratello condussero i Focesi dalla parte degli Achei nella guerra di Troia. Schedio venne ucciso quando Ettore scagliò la sua lancia in direzione di Aiace, ma lo sbagliò, colpendo egli stesso.
* Schedio, figlio di Perimede, era un capitano dei Focesi. Venne ucciso da Ettore.
* Schedio, era uno dei pretendenti di Penelope. Egli venne ucciso da Odisseo.
* Schedio era un guerriero Troiano il quale venne ucciso da Neottolemo.

Schedio, figlio di Ifito


Schedio di Crisa, città della Focide, era il fratello di Epistrofo, ed uno de tanti che chiese la mano della bella Elena, partì nella grande spedizione alla conquista di Troia e durante la guerra affrontò Ettore e da lui venne ucciso.

Le sue ceneri vennero sparse in una città del suo regno, tale Anticitera. I suoi soldati durante il ritorno fecero approdo alle spiagge italiane e fondarono Temesa.

Scilaceo


Nella mitologia greca, Scilaceo è stato un eroe della Licia, coinvolto nella guerra di Troia assieme al suo sodale amico Glauco, prestò assieme a quest'ultimo il suo mestiere ai Troiani.

Fu l'unico degli abitanti della Lidia, che intervennero nel conflitto, a sopravvivere, e pur ferito da Aiace d'Oileo, tornò in patria.

Al suo ritorno dovette annunciare alle donne la terribile sciagura avvenuta, cioè che tutti i loro congiunti erano morti o dispersi durante le battaglie.

Le donne, infuriate e disperate, lo lapidarono senza pietà uccidendolo nei pressi del santuario del culto di Bellerofonte.

Scilla (Niso)

Scilla, figlia di Niso, re di Megara aveva ricevuto un dono da Apollo, grazie al quale quando gettava dei sassolini dalla torre più alta della città e toccavano terra, sentiva delle note musicali.

Quando vide Minosse che assediava la sua città, se ne innamorò.

Suo padre Niso, aveva un capello d’oro (secondo Ovidio, rosso) che lo rendeva immortale. Scilla, per favorire Minosse, una notte glielo tagliò e lo portò al suo amato con le chiavi della città, che così venne conquistata. Minosse, però, non la portò con sé a Creta.

Nella tradizione tramandata da Ovidio (Metamorfosi, Libro VIII) Scilla morì quando, dopo essersi avvinghiata alla poppa della nave di Minosse, vide suo padre Niso trasformato in aquila marina, che stava per beccarla, lasciò la presa e si trasformò durante la caduta in Ciris, un airone. Invece in Apollodoro (Biblioteca III), Scilla morì perché Minosse la legò alla prua della sua nave (e venne ugualmente trasformata dagli dei in Ciris).

Scirone

Eroe della mitologia greca. Stava su uno scoglio chiamato Scironico, sul confine fra la Megaride e l'Attica, ed era considerato dai Megaresi come un benefattore, protettore del loro territorio e della strada più breve che conduceva al Peloponneso. Aveva sposato Cariclo, figlia di Cicreo, che gli generò una figlia, Endeide, la quale fu moglie di Eaco e madre di Telamone e di Peleo. I Megaresi sostengono che Teseo uccise Scirone durante la spedizione per la conquista di Eleusi e, per espiare il delitto, celebrò in suo onore i Giochi Istmici sotto il patronato di Poseidone.
Secondo la tradizione ellenica, invece, Scirone era un corinzio, figlio di Pelope o di Poseidone, il quale soleva sedersi su una roccia e costringeva i passanti a lavargli i piedi; e, quando essi avevano finito di lavarglieli, con un calcio li scaraventava in mare o in un precipizio, in fondo al quale questi divenivano pasto di una gigantesca testuggine. Teseo si rifiutò di lavare i piedi di Scirone e lo sottopose, con altri quattro facinorosi, ai medesimi tormenti cui esso sottoponeva i passanti, e lo buttò in mare. La tradizione ateniese distingueva da questo brigante altri due omonimi: uno indovino passato da Dodona a Eleusi, l'altro eponimo dell'isola di Salamina e del suo promontorio Skiradeion.
Da ultimo, Scirone era anche presentato come figlio di Pila re di Megara, che aveva sposato una delle figlie del re di Atene, Pandione. Egli entrò in conflitto con Niso per la sovranità di Megara, ed Eaco, chiamato a dirimere la contesa, assegnò il trono a Niso, e il comando degli eserciti a Scirone.

Selene

Nelle religioni dell'Antica Grecia Selene è la dea della Luna, figlia di Iperione e Teia, sorella di Elio (il Sole) ed Eos (l'Aurora).
Sebastiano Ricci, Selene e Endimione, Londra, Chiswick House

Selene è la personificazione della Luna piena, insieme ad Artemide (la Luna crescente), alla quale è a volte assimilata, ed ad Ecate (la Luna nuova). La dea viene generalmente descritta come una bella donna con il viso pallido, che indossa lunghe vesti fluide bianche od argentate e che reca sulla testa una luna crescente ed in mano una torcia. Molte rappresentazioni la raffigurano su un carro trainato da buoi o su una biga tirata da cavalli, che insegue quella solare. Le si attribuì una relazione con Zeus, dal quale ebbe Pandia ed Erse (la rugiada)ed un'altra con Pan, che per sedurla si travestì con un vello di pecora bianca e Selene vi salì sopra.

Un altro mito che la riguarda è quello dell'amore per Endimione, re dell'Elide. Selene si innamorò del bellissimo giovane ed ogni notte lo andava a trovare mentre dormiva in una grotta del monte Latmo, in Asia Minore. Pur di poterlo andare a trovare ogni notte, Selene gli diede un sonno eterno e dalla relazione nacquero cinquanta figlie.

Nella mitologia romana fu associata a Luna; il tempio della Luna si trovava a Roma sull'Aventino.

Edited by demon quaid - 2/1/2015, 15:01
 
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Vampiro di dracula

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Semele

Nella mitologia greca Semèle era figlia di Cadmo e di Armonia ed amante di Zeus.

Il culto di Semèle potrebbe avere origini tracio-frigie ed essere connesso ad una divinità ctonia.

Secondo il mito, Era, gelosa della relazione del suo sposo divino con Semèle, si trasformò in Beroe, nutrice della giovane, e la convinse a chiedere a Zeus di apparirle come dio e non come mortale.

Zeus, conscio del pericolo che Semèle correva, tentò di dissuaderla, ma Semèle insistette per vederlo in tutto il suo splendore. Così il dio, che le aveva promesso di accontentare ogni sua richiesta, si trasformò e Semèle morì folgorata dal fulmine.

Zeus riuscì a salvare il bambino che Semèle aveva in grembo e nascose il piccolo Dioniso nella sua coscia. Diventato immortale grazie al fuoco divino, Dioniso discese negli Inferi e portò la madre sull'Olimpo, dove fu resa immortale con il nome di Tione.

Un'altra tradizione narra che Semèle fu amata da Atteone, per questo punito da Zeus, che lo fece sbranare dai suoi cani.

Senodoce

Nella mitologia greca, Senodoce o Senodice era la figlia di Sileo.

Secondo il racconto Sileo viveva insieme a Diceo, suo fratello e con sua figlia Senodoce, (il cui nome significa "ospitale"). Eracle, il grande eroe, durante il suo vagabondare vide la figlia dell'uomo e si innamorò subito di lei. I due si unirono come caldi amanti per alcuni giorni, ma dopo il semidio dovette partire e la ragazza in seguito morì di dolore per la separazione. Al ritorno Eracle appena comprese cosa era accaduto, dandosi la colpa per l'accaduto per la sorte della ragazza arrivò al punto di volersi uccidere ma fu fermato a stento dai suoi amici.

Servio Tullio

Sesto re di Roma. La sua storia è puro mito e ne esistono due versioni. La leggenda etrusca, riportata dall'imperatore Claudio, lo collega a Mastarna. Il mito romano, narrato da Livio e da altri autori, racconta che nella corte del re Tarquinio Prisco viveva una schiava, Ocrisia, che diede alla luce un bambino. Secondo alcuni suo padre era Servio Tullio, principe di Cornicolo, una città conquistata di recente da Tarquinio e dai Romani. Sua madre, ora ridotta in schiavitù, era stata un tempo la sposa del principe. L'altra versione narrava invece che Ocrisia generò il figlio con il dio Vulcano che in forma di fallo uscì dalla terra. Un giorno, mentre l'infante era nella culla, sul suo capo si vide brillare una fiamma. La regina Tanaquilla, moglie di Tarquinio, ordinò che il bimbo non fosse disturbato e, quando si svegliò, la fiamma svanì. La coppia reale, interpretò l'evento come un presagio di gloria, e decise di allevare il bambino con le massime cure. Quando fu adulto, Tarquinio lo diede in sposa alla figlia e lo designò suo successore. Allorché Tarquinio venne assassinato dai figli del suo predecessore Anco Marzio, la regina fece in modo che Servio potesse ottenere il potere con facilità. Più tardi, Servio fece ratificare la sua elevazione al potere attraverso una vera elezione popolare.
Secondo la tradizione romana il regno di Servio fu florido e pacifico. Sconfisse Veii (Veio) e divise i cittadini in classi e centurie basate sulla proprietà; ampliò la città costruendo le celebri mura serviane. Introdusse il culto di Diana e confermò la sua posizione di regnante grazie a un grande consenso popolare. I patrizi comunque non lo amarono. Ma furono, secondo Livio, i figli del suo predecessore Tarquinio Prisco, fatti sposare dallo stesso Servio alle sue figlie, che provocarono la sua rovina e la sua morte. Secondo Livio la prima delle figlie di Servio, Tullia, particolarmente ambiziosa, aveva collaborato all'assassinio della sorella e del primogenito di Tarquinio, Arunte, poi aveva sposato il cognato Lucio Tarquinio che più tardi prese il nome di Superbo. I due insieme assassinarono Servio, che aveva regnato per quarantaquattro anni. Il cadavere di Servio fu gettato nella pubblica via, e Tullia passò con il suo cocchio sul corpo del padre che giaceva, sanguinante, in mezzo alla via alla quale rimase il nome di vicus sceleratus.

Sfinge

Mostro femminile con corpo di leone alato e petto e testa di donna, figlia di Echidna e di Tifone (o di Ortro). Fu inviata da Era a Tebe per vendicare il rapimento del fanciullo Crisippo, figlio di Pelope, perpetrato da re Laio. Secondo un'altra versione del mito furono Apollo o Dioniso a inviare la Sfinge, forse per punire i Tebani che avevano trascurato i sacrifici.
La Sfinge, accovacciata su un muro o sul monte Ficio, nei pressi della città, poneva enigmi ai Tebani, e li divorava quando non sapevano rispondere. Molte persone furono divorate e, infine, uno dei figli di Creonte, forse Emone, fu ucciso. Allora Creonte, reggente a Tebe dopo la morte di re Laio, offrì il regno e la mano di Giocasta a chiunque fosse riuscito a risolvere l'enigma della Sfinge e a liberare il paese da quella costante minaccia. L'enigma era questo: "Quale essere, con una sola voce, ha talvolta due gambe, talvolta tre, talvolta quattro, ed è tanto più debole quante più ne ha?" Edipo si presentò e rispose esattamente. "L'uomo", disse, "perché va carponi da bambino, cammina saldo sulle due gambe in gioventù e si appoggia a un bastone quando è vecchio". La Sfinge, per la disperazione, si gettò giù dal monte Ficio sfracellandosi nella vallata sottostante. Al che i Tebani, grati ed esultanti, acclamarono Edipo re ed egli sposò Giocasta, ignaro che fosse sua madre.

Sibilla

Nome di famose donne indovine dell'antica Grecia, ritenute in comunicazione con la divinità. Il loro modo di vaticinare, forse originariamente connesso con i riti orfici e dionisiaci, si accostò col tempo all'ambiente delfico; Apollo infatti era il dio da cui esse fossero invasate, mentre i loro responsi erano scritti, dice la leggenda, su foglie che poi ammucchiavano a caso, sì che era difficilissimo interpretarli. Le fonti antiche non concordano circa il numero e il nome delle Sibille; tutte però sarebbero vissute nelle età mitiche.
La più celebre e la più antica era l'Eritrea, di nome Erófile, vissuta per ben dieci generazioni fino alla guerra di Troia. Le altre appaiono come derivazioni da questa, divenute a poco a poco autonome. Così, a un certo momento si vengono a distinguere dall'Eritrea la Troiana, originaria di Marpesso, in Troade, figlia d'una ninfa e d'un pastore dell'Ida. Aveva predetto che la rovina di Troia sarebbe venuta da una donna nata a Sparta (Elena). Seguono la Samia, la Frigia, l'Efesia o di Sardi e la Rodia. La medesima Sibilla, recatasi a Delfi, dopo un periodo di ostilità con il dio Apollo, sarebbe divenuta la Delfica: da lei sarebbero poi derivate la Tessalica e la Tesprozia. Queste nove Sibille formano il gruppo, detto dai moderni, greco-ionico.
Ma l'Eritrea, venendo in Italia, avrebbe originato un secondo gruppo, il greco-italico. Essa avrebbe cioè assunto l'aspetto della Sibilla Cumana, Demófile ( la virgiliana Deífobe, accompagnatrice di Enea nel regno degli Inferi). Con lei si potrebbero identificare la Cimmeria, l'Italica, la Tiburtina, la Libica (quest'ultima, anzi, secondo Pausania, sarebbe stata la più antica). Un terzo gruppo, l'orientale, comprendeva poi la Caldea, o Ebraica, l'Egizia e la Persica.
La Sibilla di Cuma, in Campania, profetizzava in una grotta e Apollo le offrì di realizzare qualsiasi suo desiderio se l'avesse accettato come amante. Deifobe chiese di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che essa poteva tenere in un pugno. Ma sfortunatamente aveva trascurato di chiedergli contemporaneamente l'eterna giovinezza. Il dio gliela offrì in cambio della sua verginità. Ella rifiutò. Così, cominciò a invecchiare e a diventare più piccola e rinsecchita. Alla fine, era tanto decrepita che viveva appesa al soffitto della sua caverna, tutta arrotolata in una gabbia, come un uccello. E ai bambini che le chiedevano cos'avrebbe desiderato, ella rispondeva semplicemente: "Voglio morire".
Una tradizione romana antichissima narrava che proprio la Sibilla cumana avesse offerto in vendita nove raccolte di oracoli a Tarquinio (chi dice Prisco e chi il Superbo); avendo questi rifiutato, la Sibilla ne distrusse tre e offrì i rimanenti al re, per lo stesso prezzo. A un nuovo rifiuto, ne distrusse altri tre, poi offrì gli ultimi, sempre allo stesso prezzo. Consultati i sacerdoti, costoro consigliarono di comprare i misteriosi libri, i quali furono deposti in Campidoglio, nel tempio di Giove Capitolino. Compiuta la propria missione, la Sibilla scomparve. Durante la Repubblica, e fino al tempo di Augusto, questi "libri sibillini" esercitarono una grande influenza sulla religione romana. Bruciarono nell'incendio che distrusse il tempio nell'84 a. C.

Sicheo

Figlio di Plistene e sacerdote dell' Eracle di Tiro, sposò Didone, figlia di Belo, re della Fenicia, e sorella di Pigmalione. Questi, desideroso di impadronirsi delle immense ricchezze del cognato, lo uccise a tradimento e lasciò il cadavere senza sepoltura. Sicheo, apparso in sogno alla moglie, la invitò a fuggire lontano dalla patria se voleva salvare la vita e il tesoro. Didone si rifugiò a Cipro e poi in Africa, dove fondò Cartagine. Qui viveva nel ricordo del marito morto e della giurata fedeltà a colui che era stato il primo ed unico amore della sua vita. Solo Enea, col favore di Venere, riuscì ad ottenere i suoi favori. Quando però l'eroe lasciò Cartagine per compiere la missione affidatagli dal Fato, Didone si uccise per il rimorso dell'infedeltà commessa verso la memoria di Sicheo. Agli Inferi, ella ritrovò il marito.

Sidero

Seconda moglie di Salmoneo e matrigna di Tiro. Sidero trattò con grande crudeltà la figliastra perché la considerava la causa dell'espulsione della sua famiglia dalla Tessaglia: infatti Tiro era stata condannata per aver ucciso i due figli concepiti dal suo malvagio zio Sisifo. Più tardi, Pelia e Neleo, figli di Tiro, liberarono la loro madre dalla crudele matrigna e, dato che Sidero si era rifugiata presso l'altare di Era, Pelia la inseguì sin nel recinto sacro, dove la uccise.

Sileo

Nella mitologia greca, Sileo era un abitante dell'Aulide reso celebre grazie ad un racconto che coinvolgeva Eracle.

Sileo, il cui nome significa "il saccheggiatore" possessore di terre nella fertile Aulide obbligava chiunque passasse nei suoi possedimenti, in una stretta gola, ad arare per lui il terreno gratuitamente dove crescevano splendide viti.

Eracle a quei tempi era schiavo di Onfale, per colpa di Ermes. Durante quel periodo incontrò Sileo, prima bruciò tutte le viti a cui teneva tanto, poi uccise la figlia di lui Senodoce (il cui nome significa "ospitale") e infine uccise anche lo stesso Sileo.

Sileno

Figlio di Ermete (o Pan) e di una ninfa, educatore di Dioniso e suo compagno inseparabile. Pingue, calvo, con il naso camuso e grosse labbra, sempre ebbro, seguìva il tiaso bacchico a cavallo di un asino o sostenuto dai Satiri; si dilettava del vino, della musica e del canto. Si vantava di aver preso parte alla lotta contro i Giganti a fianco del suo pupillo Dioniso, uccidendo Encelado e spargendo il panico tra gli avversari col raglio del suo vecchio asino.
Gli Orfici videro in lui un saggio, sprezzatore di beni terreni: fu anche ritenuto un veggente che rivelava il futuro solo se costretto, legato con catene di fiori. Un giorno il vecchio satiro Sileno si allontanò dal disordinato esercito dionisiaco che marciava dalla Tracia verso la Beozia e si addormentò, ubriaco fradicio, nel giardino di rose di re Mida. I giardinieri lo inghirlandarono di fiori e lo condussero dinanzi a Mida, cui egli narrò storie meravigliose e gli insegnò il profondo segreto della vita umana: ovverosia che la cosa migliore per un uomo è di non nascere affatto, e la meno grave è di morire al più presto possibile. Mida, deliziato dalla fantasia e dalla saggezza di Sileno, lo trattenne per cinque giorni e cinque notti e poi ordinò a una guida di scortarlo fino al quartier generale di Dioniso. Virgilio narra di come un giorno due pastori catturassero Sileno e si facessero raccontare storie fantastiche.
Sileno generò molti figli con le ninfe e gli si attribuiva la paternità del centauro Folo, ch'egli avrebbe avuto da una ninfa dei frassini.
Si conobbero anche i Sileni, che pare fossero di origine asiatica, quali geni delle sorgenti, profeti e musici. Perdettero la primitiva natura quando furono aggregati nel corteggio dionisiaco, e furono allora birbaccioni allegri e spensierati come i Satiri; ebbero forma umana e coda di cavallo. Loro padre fu immaginato Papposileno, dalla figura esclusivamente animalesca e spesso con il corpo coperto di peli.

Silvano

Divinità latina, il cui nome fu in origine epiteto di un dio delle selve, il Faunus silvicola citato da Virgilio, poi divenuto protettore delle campagne e delle greggi. Non ebbe mai un culto determinato né ufficiale; era venerato in cappelle e altari eretti da privati. Era la divinità più onorata nelle regioni dalmatiche e illiriche, ove aveva sostituito un nume locale. I poeti lo rappresentarono come un vecchio vigoroso, forte e gaio, innamorato di Pomona: lo si vede spesso raffigurato con l'attributo di un falcetto ricurvo.

Silvio

Fondatore della dinastia dei monarchi di Alba Longa, i Silvi, che regnarono per 300 anni, fino a Numitore e Amulio. Leggende diverse fiorirono sui suoi natali. Livio lo considera figlio di Ascanio e quini nipote di Enea; Virgilio, invece, designa Enea stesso e Lavinia come suoi genitori e spiega il suo nome ricordando che nacque in una selva; secondo Diodoro suo padre fu Enea, ma sua madre fu Silvia, prima moglie di Latino. Successe ad Ascanio nel governo di Alba. Secondo Diodoro i Silvi avevano il potere di provocare il fulmine e la pioggia. La lista dei leggendari Silvi Albani fu escogitata, per collegare la leggenda della venuta di Enea in Italia, al principio del secolo XII a. C. con la più antica tradizione indigena che fissava una serie di sette re di Roma con Romolo fondatore della città, verso la metà del secolo VIII avanti Cristo. La lista dei Silvi fu accresciuta di nomi per ottenere il collegamento cronologico fra Alba e Roma, fra Enea e Romolo, e si inventarono anche per i Silvi notizie leggendarie, come per Tiberinus e Aremulus.

Simoesio

Simoesio è il nome di un guerriero menzionato nel quarto libro dell' Iliade.

Alto e di bell'aspetto, Simoesio era un giovinetto troiano figlio di Antemione. Lo avevano così chiamato da un fiume che scorreva nei pressi di Troia, il Simoenta. Infatti la madre di Simoesio lo aveva partorito proprio agli argini del fiume, dove aveva portato il gregge a pascolare.

La morte in guerra


Simoesio non ha ruoli particolarmente rilevanti nelle vicende dell' Iliade, anche se è comunque presentato come guerriero valoroso nel suo unico e fatale scontro: egli infatti tentò di affrontare Aiace Telamonio, che però lo colpì con la lancia al petto. Il giovane eroe rimase infilzato e crollò morto al suolo come un pioppo abbattuto, facendo grande fragore.

Sini (Piziocante)

Sini (o Sinis, o Siris), figura della mitologia greca, era detto anche “Piziocante” (colui che piega i pini) per come uccideva le sue vittime. Infatti legava un malcapitato passante alle cime di due alberi di pino ancorate a terra da delle corde, che, una volta tagliate, mentre gli alberi tornavano nella loro posizione originale, ne straziavano il corpo; in alternativa, dopo aver piegato un pino, chiedeva aiuto ad un viandante e improvvisamente, fingendo di venir chiamato, ne liberava la cima così l’albero, catapultandolo, lo uccideva.

Era figlio di Polipèmone e Sylea. Sull’istmo di Corinto, si imbatté in Teseo, che ebbe la meglio su di lui, usando questa stessa tecnica. Sua figlia, Perigune, fu sedotta dall’omicida del padre dal cui ebbe un figlio, Melanippo.

Sinone

Figlio d'Esimo, cugino germano e uno dei complici di Odisseo nell'inganno del cavallo che portò alla caduta di Troia.
I Greci erano ormai sconfitti e scoraggiati dalla resistenza dei Troiani. Fingendo di salpare per il ritorno in patria, si nascosero dietro l'isola di Tenedo, lasciando presso le mura di Troia l'enorme cavallo di legno pieno di soldati. Sinone, rimasto a terra, venne catturato e trascinato in ceppi da un paio di soldati troiani davanti al re Priamo. Interrogato, egli disse che Odisseo aveva tentato di ucciderlo perché conosceva il segreto della morte di Palamede. I Greci, continuò, erano stanchi di combattere e sarebbero salpati molti mesi prima se non ne fossero stati impediti dal persistente maltempo. Apollo li aveva consigliati di placare i venti con un sacrificio cruento. Odisseo aveva spinto Calcante ad eleggerlo come vittima. Tutti i presenti accolsero con acclamazioni il suo verdetto ed egli fu messo in ceppi; ma ecco che un vento favorevole cominciò a spirare, in gran fretta vennero spinti in mare i vascelli e nella confusione generale egli riuscì a fuggire.
Priamo, tratto in inganno dalle parole di Sinone, lo accolse come supplice e ordinò che gli fossero tolti i ceppi. Poi chiese cortesemente di sapere perché i Greci, prima d'imbarcarsi, avessero lasciato sulla riva un cavallo di legno così enorme. Sinone spiegò che i Greci si erano alienati il favore di Atena quando Odisseo e Diomede avevano rubato il Palladio dal suo tempio. Calcante allora consigliò Agamennone di lasciare il cavallo dinanzi a Troia come un dono propiziatorio per Atena e in segno d'espiazione per il sacrilegio commesso da Odisseo. Priamo chiese ancora perché l'avessero costruito così grande, e Sinone replicò: "Per impedire che voi lo trascinaste dentro le mura della città. Calcante ha predetto che se voi profanerete questo simulacro, Atena distruggerà Troia; ma se si ergerà sulla cittàdella, il potere di Troia si estenderà sulla Grecia e su tutta l'Asia". Tali pretese rivelazioni di Sinone fecero decidere i Troiani.
Ben presto, il presagio ch'essi ricavarono dalla morte di Laocoonte e di due suoi figlioletti gemelli confermò la loro decisione. Venne aperta una breccia nelle mura attraverso la quale il cavallo fu trainato nella città. Calata la notte, Sinone sgusciò fuori della città per accendere un falò e Agamennone rispose a tale segnale; l'intera flotta drizzò la prua verso la spiaggia. Antenore, avvicinatosi cautamente al cavallo, sussurrò che tutto andava bene e Odisseo ordinò a Epeo di fare scattare la porticina.
Dante ricorda Sinone in un episodio dell'Inferno, collocandolo tra i falsari (XXX, 98 e sgg.).
"l'altr' è il falso Sinòn greco da Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo".

Siringa

Ninfa dell'Arcadia che trascorreva il tempo a caccia con Artemide. Un giorno Pan s'innamorò di lei e la inseguì dal monte Liceo fino al fiume Ladone. Siringa, per poter preservare la sua verginità intatta, pregò le ninfe del fiume, che non poteva attraversare, d'aiutarla, e le ninfe la trasformarono in giunco. Pan allora, poiché non riusciva a distinguerla da tutti gli altri giunchi che crescevano lungo la riva, ne recise molti a caso e costruì il flauto e lo chiamò Sirynx per ricordare il suo amore.

Sisifo

Sisifo (in greco: Σίσυφος; in latino: Sisyphus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eolo e di Enarete. È, almeno nella versione più comune, il fondatore e il primo re di Corinto, che al tempo della sua nascita aveva assunto il nome di Efira.

Era fratello di Deioneo, Salmoneo, Macareo, Creteo e Canace, ovvero gli Eoliani, e apparteneva, attraverso i genitori, alla stirpe di Deucalione, nato da Prometeo e dalla moglie Celeno. Era sposo di Merope dalla quale aveva avuto due figli, Glauco e Almo. Per mezzo di tali progenie, Sisifo era anche il nonno di Bellerofonte.

In tutti i miti che lo riguardano, Sisifo appare come il più scaltro dei mortali e il meno scrupoloso. La sua leggenda infatti comprende numerosissimi episodi, ognuno dei quali è la storia di una sua astuzia.

Sminteo


Nella mitologia greca, Sminteo era il nome dato a diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Soco


Nella mitologia greca, Soco è il nome di un valoroso guerriero troiano, che prese parte al conflitto della guerra di Troia, scoppiato in seguito al rapimento di Elena, la donna più bella del mondo e regina di Sparta, per opera di Paride, principe, figlio del re di Troia, Priamo. Le vicende di questa guerra sono raccontate da Omero nell'Iliade.

Origini e stirpe

Soco, ritenuto da Omero «mortale divino» e uno dei migliori tra i combattenti schierati dalla parte dei Troiani, era figlio di Ippaso, un personaggio di cui tuttavia non si conosce null'altro se non il nome. Soco aveva anche un fratello germano, chiamato Caropo, il quale, come lui, primeggiava nei combattimenti ed era considerato uno dei guerrieri più forti dell'esercito troiano.

Combattimento con Odisseo


Nel corso dei combattimenti che si tennero a Troia nel decimo anno di guerra, Caropo affrontò il feroce eroe acheo, Odisseo, figlio di Laerte, insuperabile nei combattimenti per forza ed astuzia. Il duello durò a lungo, ma alla fine Odisseo ebbe la meglio e trafisse il forte rivale con la sua lancia. Alla vista del fratello morto, Soco, indignato, si precipitò sul suo assassino per vendicarlo, rivolgendo feroci insulti.

Sparti

Gli Sparti sono una figura della mitologia greca.

La leggenda narra che Cadmo abbia dovuto uccidere uno spaventoso drago per poter iniziare ad edificare la città di Tebe. Atena, per aiutarlo, gli suggerì di seminare i denti del drago ucciso e di attendere. Dalla terra uscirono testé uomini armati, gli Sparti, che si gettarono ferocemente gli uni contro gli altri, fino a che non ne sopravvissero cinque: Ctonio, Echione, Ipsenore, Pelore e Udeo.

Cadmo chiese a questi di aiutarlo nella costruzione della cittadella di Tebe: la Cadmea. In seguito concesse in sposa sua figlia Agave a uno di loro, Echione.

Stafilo 1

Figlio di Dioniso e di Arianna, fratello di Enopione, Toante, Latramide, Evante e Tauropoli.
Sposò Crisotemi dalla quale ebbe tre figlie, Molpadia, Reo e Parteno. Stafilo aveva affidato a Molpadia e a Parteno la cura di vigilare sul suo vino, ma le due ragazze s'addormentarono. Mentre dormivano, alcuni porci penetrarono nella cantina e ruppero i vasi di terra cotta contenenti tutta la scorta. Svegliandosi, notarono il disastro e, temendo la collera del padre, fuggirono verso la spiaggia e si buttarono in mare dall'alto delle rocce. Apollo, per pietà, le raccolse mentre cadevano e le trasportò entrambe in città del Chersoneso: Parteno a Bubasto, dove le furono tributati onori divini, e Molpadia a Castabo, dove fu onorata sotto il nome d'Emitea.
Reo, la terza figlia di Stafilo, si giacque segretamente con Apollo, e Stafilo, quando si accorse che era incinta, la chiuse in un cofano che abbandonò alle onde marine. Spinta dalle correnti, approdò sulle spiagge dell'Eubea, dove Reo diede alla luce un bimbo che chiamò Anio in ricordo delle pene sofferte per lui. Apollo in seguito lo elesse suo sacerdote a Delo.
Stafilo figura tra gli Argonauti.

Stafilo 2

Uno dei pastori del re etolo Eneo. Stafilo aveva notato che uno dei montoni del gregge si allontanava spesso e andava a brucare i frutti di una pianta ch'egli stesso non conosceva, e ritornava più vivace. Il pastore raccontò il fatto al re, il quale ebbe l'idea di spremere i grappoli e mescolare il succo con l'acqua del fiume Acheloo. A questo nuovo liquido fu dato il nome del re; il frutto invece prese il nome di "stafilo".
Così fu inventato il vino.

Stenebea


Stenebea è una figura della mitologia greca, moglie di Preto, re di Tirinto, e figlia di Iobate, re di Licia.

Innamoratasi di Bellerofonte, ospite del marito, fu da lui ripudiata. Per vendicarsi accusò l'eroe di aver cercato di sedurla e convinse Preto ad ucciderlo. Le leggi greche dell'ospitalità impedivano però l'uccisione di un commensale e quindi Preto inviò Bellerofonte da Iobate, con la scusa di consegnargli una lettera (che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione). Anche Iobate però ospitò Bellerofonte, e per le solite leggi, non se la sentì di assassinarlo direttamente richiedendo, invece, al giovane di uccidere la Chimera, un mostro che sputava fiamme, con la testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente.

Le tre figlie di Preto e Antea Lisippa, Ifinoe e Ifianassa erano diventate folli, a causa di una maledizione divina, e condannate a vagare allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve gli sfortunati viandanti.

Stenebea è la protagonista delle tragedie perdute di Euripide Stheneboia e Bellerophon.

Stenelao

Stenelao è il nome di un personaggio della mitologia greca, menzionato nel libro XV dell' Iliade di Omero.

Stenelao era un giovane troiano figlio di Itemene (o Itemeneo). Come molti suoi coetanei partecipò alla difesa di Troia quando questa venne assediata dagli Achei, in seguito al rapimento di Elena, moglie del re spartano Menelao, ad opera del principe troiano Paride.

La morte

L'eroe morì in uno scontro per mano di Patroclo, che scagliò una grossa pietra contro il suo collo, recidendone i tendini. Così Stenelao rimase decapitato, e la sua testa rotolò nella polvere.

Stenelo 1

Figlio di Capaneo e di Evadne, partecipò alla seconda spedizione tebana (guerra degli Epigoni). Figura fra i pretendenti alla mano di Elena, e, a questo titolo, partecipò in seguito alla guerra di Troia insieme con Diomede. Fu uno dei Greci che si introdussero nel cavallo di legno. Più tardi, dopo il ritorno, accompagnò Diomede in Etolia per rimettere sul trono il re Eneo. Il figlio Comete si unì a Egialea, moglie di Diomede.

Stenelo 2

Stenelo re di Argo è una figura della mitologia greca, figlio di Capaneo, suo figlio è Cilarabo.

Fu uno degli Epigoni che presero parte alla seconda spedizione contro Tebe. Partecipò anche alla guerra di Troia come auriga di Diomede.

Esistono anche altri due Stenelo: il primo era re di Argo e discendente di Argos, padre del Gelanore che fu detronizzato da Danao; l'altro, citato nel dodicesimo libro dell' Eneide, è un guerriero troiano compagno di Enea, e viene ucciso da Turno nella guerra tra troiani e italici.

Stenelo 3

Figlio d'Androgeo, nipote di Minosse e fratello di Alceo.
Al tempo in cui Eracle partì alla ricerca della cintura d'Ippolita, regina delle Amazzoni, si fermò all'isola di Paro che il re Radamanto aveva lasciato in eredità ad Alceo, figlio di Androgeo; ma vi si erano stabiliti anche quattro dei figli di Minosse. Due degli uomini di Eracle furono assassinati da uno dei figli di Minosse e l'eroe allora, furente, li uccise tutti e quattro e prese con sé Stenelo e Alceo. Al ritorno, l'eroe conquistò l'isola di Taso, ne cacciò i Traci, e la diede come regno a Stenelo e Alceo, che aveva portato con sé da Paro.

Steno (mitologia)

Steno è una delle Gorgoni della mitologia greca.

Sorella di Medusa e Euriale, era figlia di Forco (Forcide), una divinità marina, e di Ceto, un mostro oceanico.

Steno ed Euriale, contrariamente a Medusa, erano immortali. I mitografi sono discordi nell'indicare il luogo dove vivesse, secondo Esiodo si trovava vicino alle esperidi. Mentre Erodoto suppone che vivesse nella Libia.

Stentore

Uno dei Greci, che partecipò alla guerra di Troia. E' designato da Omero con l'epitetto "dalla voce di bronzo", perché gridava tanto forte da superare cinquanta uomini messi insieme. La sua voce serviva da tromba all'armata ma, dopo aver osato sfidare Ermete a chi urlava più forte, fu sconfitto e ucciso. Dal suo nome trae origine l'espressione "voce stentorea".

Sterope 1

Figlia di Atlante e di Pleione, sposò Ares dal quale ebbe un figlio, Enomao, che altri invece lo dicono figlio dell'eroe Iperoco. Ma un'altra tradizione voleva ch'ella avesse sposato lo stesso Enomao, dal quale avrebbe avuto tre figli, Leucippo, ippodamo e Disponteto, fondatore di Disponzio; e una figlia, Ippodamia, la quale sposò Pelope.

Sterope 2

Uno dei tre Ciclopi, figlio di Urano e di Gea, e fratello di Arge e Bronte. Urano li imprigionò nel Tartaro. Crono li liberò per qualche tempo, ma poi li reimprigionò nel Tartaro. Infine Zeus sconfisse Crono e liberò i Ciclopi che divennero i suoi fabbri e realizzarono per lui le folgori, il tridente per Poseidone e l'elmo dell'invisibilità per Ade. Apollo li uccise per vendicare la morte di suo figlio Asclepio, poiché erano responsabili d'aver forgiato la folgore che Zeus usò per togliergli la vita. Le loro ombre vagano nelle caverne del vulcano Etna.

Sterope 3

Figlia di Portaone e d'Eurite, era sorella di Eneo, Agrio, Alcatoo, Mela e Leucopeo. Sterope sposò il dio-fiume Acheloo, al quale generò le Sirene. Esse erano: Pisinoe, Aglaope e Telsiepia, una suonava la lira, l'altra cantava e l'ultima suonava il flauto; con il loro canto inducevano i naviganti a sfracellarsi contro gli scogli. Secondo un'antica profezia se una nave fosse riuscita a passare accanto alla loro isola senza soccombere, le Sirene avrebbero dovuto tuffarsi nel mare e annegare, ma stranamente questa condizione si verificò due volte. La prima volta Orfeo, sulla nave Argo, passò coprendo il loro canto con la sua musica e solo Bute le udì e si tuffò, ma Afrodite gli salvò la vita. Poi toccò a Odisseo di passare accanto all'isola delle Sirene, ma grazie al consiglio di Circe aveva tappato le orecchie dei suoi marinai con la cera e si era fatto legare all'albero della nave.

Sterope 4

Figlia di Cefeo re di Tegea. Allorché Eracle decise di organizzare una spedizione contro il figlio d'Ippocoonte, a Sparta, chiese alleanza a Cefeo che aveva venti figli. Ma Cefeo temeva che, lasciando la città, gli uomini di Argo ne approfittassero per invadere il suo territorio. Per convincerlo, Eracle gli affidò una ciocca dei capelli della Gorgone, rinchiusa in un vaso di bronzo. Era un regalo d'Atena. Eracle gl'insegnò che, durante la sua assenza, se i nemici avessero attaccato la città, sua figlia Sterope avrebbe dovuto sollevare in alto e agitare per tre volte la ciocca magica sulle mura della città. Se lei avesse avuto la precauzione di non guardare alle sue spalle, il nemico si sarebbe dato alla fuga. Cefeo si lasciò convincere e partì in guerra contro Sparta.

Sterope 5

Figlia di Acasto, re di Iolco, e d'Astidamia. Allorché Peleo uccise accidentalmente, nella caccia al cinghiale calidonio, il suocero Eurizione, si recò da Acasto per farsi purificare. Astidamia, moglie d'Acasto, che s'era innamorata dell'eroe, inviò ad Antigone, moglie di Peleo, un messaggio informandola che Peleo voleva sposare la giovane Sterope, figlia di Acasto. Disperata, Antigone s'impiccò.


Stichio


Nella mitologia greca, Stichio di Atene era il nome di uno dei valorosi greci che si distinsero durante la guerra di Troia, partì insieme al suo amico Menesteo con cinquanta navi provenienti dal loro regno .

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone Stichio era presente. L’eroe greco, grande comandante degli ateniesi, si fa notare in guerra portando in salvo i feriti e recuperando i morti fra cui Anfimaco. Riuscì con il suo esercito dapprima a resistere fino a respingere l’attacco che Ettore portò alle navi. In seguito, durante una battaglia nella quale Apollo mandò una nebbia che faceva fuggire tutti i greci, si ritrovò davanti Ettore e per mano sua trovò la morte.

Edited by demon quaid - 2/1/2015, 15:11
 
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