Un Mondo Accanto

Ancora Dinosauri, divisi per periodi in cui sono vissuti.

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Argentavis magnificens








L'argentavis (Argentavis magnificens Campbell & Tonni, 1980) è il più grande uccello volatore mai scoperto. Questo uccello ormai estinto il cui nome significa "magnifico uccello argentino", visse alla fine del Miocene (6 milioni di anni fa) nella parte centrale e meridionale del Sud America in particolare nei territori dell'attuale Argentina, dove un buon numero di fossili sono stati rinvenuti.
I fossili di argentavis finora rinvenuti sono incompleti e frammentari, un omero e parte del cranio sono le parti più complete, per ricostruire le sembianze e le dimensioni dell'animale, gli studiosi le hanno confrontate con uno dei suo parenti più prossimi, il Teratornis merriami, le stime indicano un'apertura alare di 7 m, quindi più grande dell'Harpagornis moorei vissuto dal Pleistocene all'Olocene in Nuova Zelanda, mentre l'uccello vivente con la maggiore apertura alare, è l'albatro urlatore che arriva a 3,5 m. La specie apparentemente era robusta, il peso stimato era di 70 kg, le gambe e i piedi erano grandi e gli hanno consentito di camminare con facilità. Il becco era grande e piuttosto sottile, e aveva una punta uncinata ricurva. Nonostante la grande apertura alare, la massa muscolare per sostenere un tipo di volo battente era troppo ridotta rispetto al peso totale, perciò si ritiene che si limitasse a spiccare il volo dalle alture per poi compiere un volo planato sfruttando le correnti ascensionali.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:39
 
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Brontotherium





Il brontoterio (Brontotherium, dal greco bestia tuonante) è un genere di mammifero preistorico che visse durante l'Eocene, fianco a fianco con i primi cavalli e cammelli.

Descrizione



Il brontoterio, che aveva bisogno di molto cibo per saziarsi, possedeva dei grandi denti quadrati con i quali recideva la vegetazione. Essi erano ricoperti da uno strato di smalto duro che li proteggeva, dal momento che dovevano lavorare duramente per sostenere un continuo rifornimento di cibo.
L'enorme corpo del brontoterio, munito di spalle forti, era sostenuto da quattro zampe robuste e "piedi" corti e larghi, ma mentre quelli anteriori terminavano con quattro "dita" a zoccolo, quelli posteriori ne avevano solo tre. Queste "dita", che si estendevano come piccole piattaforme, sostenevano il peso dell'animale e gli permettevano di mantenersi in equilibrio mentre si muoveva. Il brontoterio raggiungeva circa i 2,5 metri di altezza al garrese e sovrastava, con la testa e le spalle, la maggior parte dei suoi vicini.
Sul muso, possedeva un corno a forma di V, simile a una fionda, che nei maschi aveva dimensioni maggiori.

Biologia



Comportamento



Se spaventato, il brontoterio si lanciava probabilmente in una lenta corsa, per cui ci si può immaginare cosa poteva succedere quando un branco di questi enormi animali cominciavano a correre rumorosamente lungo una pianura, facendo tremare il terreno sottostante.
Gli esperti pensano che i brontoteri facessero uso del proprio corno a V durante i combattimenti per la conquista delle femmine. I maschi combattevano fra loro per conquistare il controllo del branco o il diritto di scegliere la compagna. I combattenti serravano le corna e lottavano trascinandosi da una parte all'altra, fino a quando uno dei due non si arrendeva. Oppure, forse, si lanciavano in un combattimento testa a testa. Il brontoterio sfruttava la propria potenza puntando con forza le zampe e spingendo forte.

Estinzione



Quando nell'America del Nord si diffusero le praterie, per il brontoterio, trovare cibo divenne più difficile. La nuova vegetazione era dura e poco digeribile e, in questo modo, l'animale finì con l'estinguersi. Difatti, la maggior parte di resti di Brontotherium, risalenti a 30 milioni di anni fa (nell'Oligocene), sono stati ritrovati soprattutto nel Dakota, Stati Uniti.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:40
 
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Carcharodon megalodon





Il megalodonte (Carcharodon megalodon o Carcharocles megalodon Louis Agassiz, 1843) è una specie estinta di squalo di notevoli dimensioni, noto per i grandi denti fossili, alcuni dei quali ritrovati anche in Sardegna. Il nome scientifico megalodon deriva dal greco e significa appunto "grande dente". I fossili di C. megalodon si trovano in sedimenti dall'Eocene al Pliocene (tra 55 e 1,8 milioni di anni fa).

Tassonomia



La classificazione è oggetto di dibattito scientifico tra gli esperti. In passato questo animale è stato classificato nel genere Carcharodon, come l'attuale squalo bianco. Nel 1995 il nuovo genere Carcharocles (appartenente alla famiglia Otodontidae) fu proposto per classificare l'animale. Molti paleontologi ora appoggiano quest'ultima teoria.
È stato considerato un parente stretto del più noto, e tutt'ora vivente, grande Squalo bianco (Carcharodon carcharias), soprattutto per la grande somiglianza nella forma e nella struttura dei denti. Tuttavia, un numero crescente di ricercatori sta mettendo in discussione questo legame, abbracciando l'ipotesi che sia invece l'evoluzione convergente il motivo per cui squalo bianco e C. megalodon hanno una dentatura tanto simile. In ogni caso, l'aspetto e le dimensioni del C. megalodon sono ricostruiti proprio a partire da questa somiglianza.

Morfologia



Le dimensioni dei fossili ritrovati (per lo più denti lunghi fino a 17 cm, anche se pare siano stati ritrovati denti di 20 cm) fanno pensare ad un animale la cui lunghezza avrebbe potuto superare i 17 metri. Le stime sul peso indicano che poteva raggiungere le 45 tonnellate. Basandosi sul metabolismo dello squalo bianco, si pensa che il C. megalodon avesse bisogno di mangiare in media un quinto del suo peso ogni giorno, cioè 8 tonnellate di carne. Possedeva un’apertura della mascella superiore ai 2 metri e pare che la sua dieta potesse includere anche le grandi balene.

Diffusione, abitudini e alimentazione



Vertebra fossile di balena, ritenuta stata tagliata in due da un morso di C. megalodon, i solchi visibili sarebbero tracce del morso
Da alcuni siti anomali di ritrovamento sulle coste orientali degli Stati Uniti d'America e nei Caraibi si è ipotizzato che le femmine di C. megalodon partorissero le loro "uova" in baie protette, con acque particolarmente basse; solo quando i piccoli raggiungevano dimensioni ragguardevoli si avventuravano in mare aperto.
Il C. megalodon era un predatore diffuso in tutti gli oceani dalle latitudini più meridionali a quelle più settentrionali; adatto a più ambienti e più climi (ma tendenzialmente prediligendo quelli caldi e temperati), probabilmente preferiva le zone relativamente costiere, in cui era facile incontrare i grossi mammiferi marini di cui certamente si nutriva (impronte di morsi, rinvenute su resti ossei fossilizzati, anche rimarginate, tenderebbero a confermare questa teoria).
Reperti di questo grosso squalo sono però stati rinvenuti anche in zone all'epoca di mare aperto, oppure in giacimenti situati in piccole isole remote dell'oceano pacifico e dell'Oceano Indiano, che testimoniano come l'animale vivesse anche in ambienti di mare aperto. Va però aggiunto che era, con ogni probabilità, un predatore specializzato nella caccia a poca profondità.
Il miocene è stato il periodo di massima diversificazione dei cetacei di grossa taglia (20 generi di balene contro i 6 attuali), ed ha conosciuto anche una grande diffusione di altre possibili prede (dugonghi e grossi sirenidi, tartarughe marine, pinnipedi di grossa taglia, pinguini di grossa taglia, altri squali predatori, squali balena, tonni); nelle acque fredde abbondavano gli antenati dell'attuale orca, in quelle calde invece regnavano i C. megalodon.

Il C. megalodon e la criptozoologia





Dente di C. megalodon (AGASSIZ, 1843) rinvenuto nel deserto di Atacama (Miocene)
Alcuni criptozoologi affermano che il C. megalodon potrebbe essersi estinto più di recente, o essere addirittura sopravvissuto fino ai giorni nostri. Mentre la maggior parte degli esperti è concorde sul fatto che le prove disponibili dimostrino che il C. megalodon si è estinto, l'idea di una popolazione di questi squali sopravvissuta sembra aver stimolato l'opinione pubblica, ma gli indizi a supporto di questa teoria sono generalmente scarsi e ambigui.
Alcuni denti di Megalodonte sono stati classificati come fossili appartenenti ad un'epoca compresa tra i 10.000 e i 15.000 anni fa. Questa affermazione è stata fatta sulla base del ritrovamento di due denti da parte dell'HMS Challenger, la cui età è stata determinata attraverso la stima del tempo impiegato dall'accumulazione del manganese sugli stessi. Tuttavia è possibile che i denti si siano fossilizzati molto tempo prima di incrostarsi di manganese.
Altri esperti ritengono che queste stime siano sbagliate, ed affermano che l'ipotesi di un C. megalodon post-Pliocene sia errata, dal momento che si basano su test e metodologie datate e non più affidabili[1]. È stato fatto presente inoltre che il C. megalodon era un predatore che viveva lungo le coste, e che quindi pensare che ci siano esemplari sopravvissuti in acque profonde è veramente difficile. Alcuni avvistamenti relativamente recenti di grandi creature simili a squali sono stati interpretati come avvistamenti di C. megalodon sopravvissuti, ma queste testimonianze sono normalmente considerate abbagli dovuti all'avvistamento di squali elefante e squali balena, o di altri grandi animali. Un famoso esempio è quello riportato dallo scrittore Zane Grey (31-01-1872, Zanesville, Ohio – 23-10-1939, Altadena, California). È possibile, ma improbabile, che alcuni di questi avvistamenti siano dovuti a squali bianchi di dimensioni enormi.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:40
 
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Platybelodon





Il platibelodonte (gen. Platybelodon) era un parente preistorico dell'elefante vissuto nel Miocene superiore. I suoi resti sono stati rinvenuti in Europa orientale, in Asia, in Africa e forse in Nordamerica.

Una pala per dragare i fiumi



La caratteristica principale di questo strano proboscidato era rappresentata dal muso: esso era caratterizzato da un insolito sviluppo delle zanne inferiori, estremamente allargate. I due giganteschi denti, larghi e piatti, erano accostati l'uno all'altro e andavano a formare un vero e proprio “badile”. Le zanne superiori, invece, erano piuttosto corte e affiancavano probabilmente quella che doveva essere una proboscide corta e piatta.
Questa straordinaria struttura doveva servire probabilmente a raccogliere quanto più materiale vegetale possibile nelle zone fangose e paludose nei pressi degli specchi d'acqua. Il platibelodonte, quindi doveva passare gran parte del suo tempo "dragando" i fiumi bassi alla ricerca di alghe e di piante.

Parentele ed evoluzione



Il platibelodonte si è originato nel corso del Miocene da proboscidati poco specializzati come Gomphotherium. L'aumento delle dimensioni (il platibelodonte era grande come un elefante odierno) e la strana specializzazione della mandibola permisero a questo animale di raggiungere un successo evolutivo notevole e di prosperare per svariati milioni di anni.
Una specie primitiva, P. danovi, è conosciuta nella Russia europea, mentre la specie più famosa e più evoluta, P. grangeri, proviene dalla Mongolia. Da notare che altri animali simili, ma probabilmente non strettamente imparentati (ad esempio Gnathobelodon e Amebelodon) si diffusero in Nordamerica più o meno nello stesso periodo, segno che la specializzazione delle zanne "a pala" doveva essere davvero utile.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:42
 
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Thylacosmilus





Una "tigre dai denti a sciabola" col marsupio



Nonostante questo animale si fosse evoluto in Sudamerica, allora un continente isola, da animali simili ad opossum, le sue caratteristiche lo rendevano quasi identico alle famose tigri dai denti a sciabola del Nordamerica. Questo, infatti, è un chiaro esempio di evoluzione convergente. Il tilacosmilo era dotato di un paio di lunghissimi canini che, in posizione di riposo, venivano riposti lungo una flangia ossea probabilmente ricoperta di pelle, proprio come in alcuni parenti primitivi di Smilodon. Le spalle, inoltre, erano potentissime, come nei felidi dei continenti settentrionali, e probabilmente queste caratteristiche si combinavano insieme per garantire un metodo di caccia molto simile a quello delle sue controparti americane ed europee.
Le differenze riguardavano principalmente il fatto che, al contrario di quelli dei mammiferi placentali, i denti del tilacosmilo erano a crescita continua, e inoltre il tipo di muscolatura del collo, dedotta soprattutto dalla forma delle vertebre cervicali, che doveva essere meno potente di quella delle vere tigri dai denti a sciabola. Questa caratteristica "inferiore", insieme ad altre (ad esempio le zampe più corte nel tilacosmilo), deve aver determinato l'estinzione del tilacosmilo quando America Settentrionale e America Meridionale si riunirono, proprio nel corso del Pliocene, e le faune del Nord (inclusi i felidi dai denti a sciabola) invasero quelle del Sud, vincendo in molti casi la competizione. Del genere Thylacosmilus si conoscono principalmente due specie, T. atrox e T. lentis, molto simili tra loro.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:43
 
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Doedicurus clavicaudatus





Il dedicuro (Doedicurus clavicaudatus) è un grande mammifero estinto, imparentato alla lontana con gli attuali armadilli. I suoi resti sono stati rinvenuti in Sudamerica in terreni risalenti al Pleistocene.


Una coda - mazzafrusto



Al contrario degli armadilli, che hanno una corazza formata da elementi mobili che permettono all’animale di appallottolarsi, il dedicuro e i suoi parenti (i gliptodontidi) possedevano un vero e proprio scudo osseo formato da elementi fusi tra di loro, che lo rendevano rigido e totalmente impenetrabile. Anche la testa era fornita di una sorta di "elmo" osseo, mentre le zampe, prive di protezione, erano corte e potevano essere ripiegate sotto il corpo in caso di tentativi di predazione.
Ma l'aspetto più sorprendente dell'intero animale era costituito dalla coda: questa era sì corazzata, ma era anche dotata di una specie di "clava" munita di punte allungate, simile al mazzafrusto usato dai cavalieri medievali. Questa struttura veniva agitata come deterrente nei confronti dei predatori, ad esempio i branchi di lupi e le tigri dai denti a sciabola, molto comuni nelle pianure pleistoceniche. Il dedicuro poteva inoltre contare sulla sua mole: lungo oltre tre metri e pesante due tonnellate, questo animale era senza dubbio virtualmente impossibile da attaccare.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:43
 
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Mammuthus





Con il termine di mammut (gen. Mammuthus) si intendono varie specie di grossi proboscidati estinti, strettamente imparentati con gli odierni elefanti, caratterizzati da lunghe zanne ricurve e, nelle specie settentrionali, da un lungo vello che ne ricopriva il corpo. Vissero dal Pliocene (circa 4,8 milioni di anni fa) fino a circa 3.500 anni fa. La parola mammut deriva dal russo мамонт, mamont, probabilmente a sua volta derivato da una parola Khanty. I mammut e i loro parenti mastodonti sono spesso considerati un esempio iconico di animale estinto.

Storia evolutiva



Resti di mammut sono stati rinvenuti in Europa, Africa, Asia e Nordamerica. Si pensa che questi animali si fossero sviluppati in Africa del Nord circa 4,8 milioni di anni fa, nel Pliocene; i resti della specie primitiva Mammuthus africanavus sono stati rinvenuti in Ciad, Libia, Marocco e Tunisia. Mammuthus subplanifrons, del Sudafrica e del Kenya, è anch'esso considerato una delle specie più antiche e primitive (età: circa 4 milioni di anni). Nonostante la loro origine africana, i mammut sono più strettamente imparentati con gli odierni elefanti asiatici che con le due specie di elefanti africani. L'antenato comune di mammut ed elefanti asiatici si separò dalla linea degli elefanti africani tra i 7 e i 6 milioni di anni fa. Gli elefanti asiatici e i mammut si differenziarono in seguito, circa mezzo milione di anni dopo.
I mammut africani, in poco tempo, migrarono a nord verso l'Europa e diedero origine a una nuova specie, il mammut meridionale (Mammuthus meridionalis), che si diffuse attraverso l'Europa e l'Asia e attraversò il ponte di Bering, ora sommerso, fino ad arrivare in Nordamerica. Circa 700.000 anni fa, il clima peggiorò sensibilmente e le pianure e le savane di Europa, Asia e Nordamerica divennero steppe freddissime e decisamente meno fertili. Il mammut meridionale, di conseguenza, scomparve, sostituito in gran parte del suo areale dal mammut delle steppe (Mammuthus trogontherii). Questa specie, poi, diede origine al mammut lanoso, Mammuthus primigenius, circa 300.000 anni fa. I mammut lanosi erano eccezionalmente adatti a fronteggiare il freddo estremo dell'Era glaciale.
Questa specie di mammut ebbe un successo davvero notevole: visse dalla Spagna fino al Nordamerica, e si pensa sia esistita in grandi quantità di individui. Il ricercatore russo Sergei Zimov ha stimato che durante l'ultima Era Glaciale, parti della Siberia potrebbero aver avuto una densità media di popolazione di sessanta animali per cento chilometri quadrati - l'equivalente degli elefanti africani al giorno d'oggi. In Nordamerica, invece, si svilupparono due specie di mammut, Mammuthus jeffersonii e Mammuthus columbi.

Estinzione



La maggior parte dei mammut si estinse alla fine del Pleistocene. Fanno eccezione i mammut nani dell'isola di Wrangel, che si estinsero solo intorno al 1500 a.C. Una spiegazione condivisa per la loro estinzione non è ancora stata raggiunta. Le principali spiegazioni si rifanno a ragioni climatiche o alla eccessiva caccia da parte dell'uomo; il dibattito è tuttora aperto.
Nuovi dati derivati da studi fatti su elefanti viventi e diffusi dall'American Institute of Biological Sciences (BioScience, aprile 2006, vol. 56, n. 4, pp. 292–298) suggeriscono che anche se la caccia potrebbe non essere stata la prima causa dell'estinzione finale dei mammut, è probabile che sia stata comunque un fattore fondamentale. Si sa che Homo erectus consumava carne di mammut già 1,8 milioni di anni fa.
Comunque, l'American Institute of Biological Sciences fa anche notare che ossa di elefanti morti, lasciate sul terreno e in seguito calpestate da altri elefanti, tendono a riportare scalfitture simili a segni di macellazione, precedentemente male interpretati da noti archeologi.
La sopravvivenza dei mammut nani (Mammuthus primigenius vrangeliensis) nell'isola di Wrangel in Russia è dovuta al fatto che l'isola era molto remota, e completamente disabitata fino all'Olocene inoltrato. L'isola non fu scoperta dalla civiltà odierna fino al 1820, da una nave baleniera americana. I mammut di Wrangel non erano però di piccolissima taglia, con un'altezza al garrese di circa 2-2,5 metri, paragonabile a quella di alcune vairetà di elefanti asiatici (es: Borneo), ed infatti non sono considerati una specie a se stante del genere Mammuthus, ma una semplice variazione geografica del mammut lanoso. Un molto più marcato nanismo insulare è stato riconosciuto nei mammut delle isole Channel della California (Mammuthus exilis), che sono considerate una specie distinta ed originatesi in un periodo precedente. Là, gli animali sono stati probabilmente sterminati quando i nativi americani iniziarono a navigare fino alle isole Channel, che sono prospicienti alla costa, e/o dalla perdita dell'habitat. Un'altra specie nana (Mammuthus lamarmorae) è vissuta in Sardegna e presumibilmente in Corsica (le due isole erano all'epoca collegate), estinguendosi circa 500.000 anni fa, grossomodo in concomitanza con le più antiche tracce di occupazione umana in Sardegna e Corsica.

Taglia




Come gli odierni elefanti, i loro parenti più prossimi, anche i mammut potevano raggiungere dimensioni ragguardevoli. La specie più grande conosciuta, il Mammuthus sungari che viveva tra la Cina e la Mongolia, raggiungeva l'altezza di 5 metri al garrese. Probabilmente i mammut pesavano circa 6 - 8 tonnellate, ma eccezionalmente i grandi maschi potrebbero aver superato le 12 tonnellate. La maggior parte delle specie, in ogni caso, erano grandi solo quanto un elefante asiatico attuale, e si conoscono fossili di forme nane (i già citati Mammuthus exilis e Mammuthus lamarmorae).

Adattamenti



I mammut possedevano alcuni adattamenti per resistere al freddo, il più noto dei quali è lo spesso strato di pelo, lungo fino a 50 centimetri, per il quale è stata data anche la denominazione di "mammut lanoso". Questi animali, inoltre, avevano orecchie più piccole rispetto a quelle degli elefanti attuali; il più grande orecchio di mammut mai trovato era lungo solo 30 centimetri, una minuzia in confronto al metro e ottanta di un grosso elefante africano. I mammut possedevano anche una membrana di pelle ricoperta di pelo che copriva l'ano, proteggendolo dal freddo.
Anche i denti di questi proboscidati erano adattati per la dieta di erbe di tundra, con più placche e corone più alte dei loro parenti meridionali. La loro pelle non era più spessa di quella degli odierni elefanti, ma a differenza di questi ultimi possedevano numerose ghiandole sebacee nella loro pelle, che secernevano grasso oleoso all'interno della loro pelliccia, migliorando le sue qualità di isolante. I mammut avevano uno strato di grasso spesso fino a otto centimetri sotto la pelle, simile a quello delle balene, che aiutava a tenere il loro corpo al caldo.
Infine, i mammut possedevano zanne estremamente allungate (fino a 5 metri), molto ritorte in alcune specie, la cui taglia era ben maggiore di quelle degli elefanti attuali. Non è chiaro se le zanne fossero un adattamento specifico al loro ambiente, ma è stato suggerito che i mammut potrebbero aver usato le loro zanne per rimuovere la neve dal terreno e raggiungere la vegetazione sottostante.

Clonazione



A partire dal 1999, alcuni scienziati russi e giapponesi lavorano ad un ambizioso progetto che ha come scopo la clonazione del mammut, in particolare l'equipe guidata dal professor Akira Intani, della School of Biology-Oriented Science and Technology della Kinki University di Osaka, spera di riuscire a clonare il mammut lanoso prelevando del DNA intatto dagli esemplari rinvenuti congelati nel permafrost nel corso degli ultimi anni.
Per riuscire nel loro intento, gli scienziati devono tuttavia risolvere delle difficilissime problematiche, prima di tutto è necessario disporre di tessuti muscolari o sperma di questi animali in buono stato di conservazione, solo in questo modo si può sperare di estrarre delle cellule intatte. Perciò, questo è possibile esclusivamente su mammut che una volta morti sono rimasti ricoperti e congelati immediatamente, senza poi aver subito processi di scongelamento nel corso dei millenni. I tentativi svolti finora sui tessuti muscolari di alcuni esemplari di mammut ritrovati nel permafrost in Siberia, come la cucciola di mammut di pochi mesi di vita soprannominata Ljuba (amore in russo) scoperta nel 2007, non hanno dato i risultati sperati, le cellule risultano troppo danneggiate per cui il DNA non è completo, gli scienziati hanno estratto circa il 70/80 % del DNA di mammut.
L'eventuale estrazione di una cellula sana, permetterebbe il suo inserimento nell'ovocita di elefante indiano, la specie vivente più simile al mammut, dal quale si svilupperebbe poi un embrione che posto nell'utero di una elefantessa attraverso un'inseminazione artificiale, porterebbe alla nascita, salvo complicazioni e dopo una gestazione di 22 mesi, di un piccolo mammut.
Tuttavia, l'eventuale mammut generato sarebbe comunque geneticamente un ibrido fra due specie, poiché, nonostante la differenza genetica fra mammut ed elefante indiano sia solo del 5%, l'animale clonato con questa tecnica avrebbe un patrimonio genetico costituito dal DNA nucleare degli antichi Mammut, e il DNA mitocondriale dell'elefante indiano. Questo tuttavia non comporterà alcuna differenza fenotipica con i Mammut antichi, in quanto il DNA mitocondriale codifica esclusivamente per geni coinvolti nel metabolismo.
Alcuni scienziati si spingono persino ad individuare l'habitat ideale per "mammut rinati" ipotizzando zone della Siberia e del Canada i luoghi con il clima più adatto, creando parchi tematici o rendendoli attrazioni da zoo.

Edited by demon quaid - 30/1/2015, 12:44
 
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