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| | Duomo di Torino
Duomo longobardo L'attuale Duomo sorge in uno dei punti più ricchi di storia della città di Torino, a pochi passi dall'area archeologica e pressoché adiacente al Teatro Romano dell'antica Julia Augusta Taurinorum,. L'area sacra, anticamente, era costituita da ben tre chiese paleocristiane in stile romanico, probabilmente edificate sulla base di edifici pubblici o templi pagani preesesitenti, dedicate a San Salvatore, a Santa Maria di Dompno e, appunto, a San Giovanni Battista. Principale fra le tre, si pensa, a tal ragione, che la consacrazione dell'edificio al Battista sia da far risalire ai Longobardi e con precisione ad Agilulfo (re dal 591 al 615), la cui moglie, Teodolinda, fece proclamare san Giovanni patrono del regno.
La chiesa fu teatro di un fatto che particolarmente scosse la città del tempo, esattamente alla morte del re Rodoaldo, quando re Ariperto I prese il trono. Duca di Asti, Ariperto I volle a succedergli i figli Pertarito e Godeperto, tra i quali scoppiò una cruenta lotta per il potere. Garibaldo, duca di Torino, appoggiatosi a Grimoaldo, duca di Benevento, decise di sostentere Godeperto, almeno in apparenza: lo scopo era, evidentemente, il trono. Giunto a Pavia, nel 662, Grimoaldo assassinò Godeperto, mentre Pertarito scappava. Convinto di non aver lasciato, così, tracce, Garibaldo si recò in San Giovanni, nella domenica di Pasqua di quello stesso anno, per assistere alla funzione: venne colpito alla schiena da un "homunculus" della cerchia di Godeperto che, così, vendicava il suo padrone. A succedere al duca assassinato fu Ragimperto. La ricostruzione rinascimentale Le tre chiese principali della città vennero abbattute tra il 1490 e il 1492; Il campanile o Torre campanaria, costruito precedentemente e terminato solo nel 1469, come opera voluta dal vescovo Giovanni di Compeys e dedicato a Sant'Andrea, non venne invece toccato, e resta ancor oggi visibile a fianco del duomo nei sui primi 48 metri di altezza. Il 22 luglio 1491 la reggente di Savoia, vedova di Carlo I, Bianca di Monferrato, posò la prima pietra del nascente duomo, sempre dedicato a San Giovanni: la costruzione, voluta fortemente sia dal duca sia dal vescovo, Domenico della Rovere, venne affidata ad Amedeo de Francisco di Settignano, detto anche Meo del Caprino, che la portò a termine in sette anni, concludendo i lavori nel 1505; il 21 settembre di quell'anno si ebbe la consacrazione, con una messa solenne tenuta dall'arcivescovo di Laodicea, Baldassarre Bernezzo, poiché il nuovo vescovo della città, Giovanni Ludovico della Rovere, era in quel momento a Roma a perorare la sua causa contro l'abate di San Mauro Torinese che minacciava di staccarsi dalla diocesi di Torino.
Se la realizzazione della struttura fu affidata al Caprino, non è ben chiaro chi avesse curato il progetto. Alcuni fanno il nome di Baccio Pontelli, che lavorò anche per Papa Sisto IV; altri accreditano anche il disegno dell'opera allo stesso Caprino. Nel 1515, Leone X, parente del vescovo, elevava a sede metropolitana la oramai terminata chiesa di San Giovanni. L'ampliamento secentesco Il progetto per un ingrandimento del duomo, col fine di creare un degno ambiente per la conservazione della Sindone, risale al 1649, quando Bernardino Quadri, in seguito a screzi con Francesco Borromini avvenuti sul cantiere della Basilica di San Giovanni in Laterano, giunge a Torino, alla corte di Carlo Emanuele II.
L'idea del Quadri si basava sulla correzione del precedente progetto di Carlo di Castellamonte, che prevedeva una cappella ovale posta alle spalle del coro dell'edificio, erigendo così un ambiente a pianta circolare, ma nella pratica, la cupola dell'architetto luganese non superava, per altezza e per imponenza, la mole del Duomo.
Nel 1667 venne così chiamato a concludere l'opera Guarino Guarini, dal 1666 già attivo nella Real Chiesa di San Lorenzo, poco lontano dal duomo. La cupola, i cui lavori durarono ventotto anni, venne terminata nel 1694, con messa solenne. Il visitatore doveva essere certamente impressionato dall'eleganza della struttura, dai marmi che, da neri nella parte bassa, andavano sempre più schiarendosi verso la sommità.
Per volere di re Carlo Alberto il duomo venne ulteriormente impreziosito da una copia su tela dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Questa fu realizzata da Luigi Cagna nel 1835 e venne ancorata alla controfacciata della chiesa, unico punto in grado di reggere gli oltre 900 chili dell'opera.
Come ricordano alcune lapidi, in cattedrale vennero sepolti anche tre nunzi pontificii a Torino. Si tratta di: Francesco Bacod, vescovo di Ginevra, morto il 1º luglio 1568; Corrado Tartarini di Città di Castello, vescovo di Forlì, morto nel 1602, e Giambatista Lando, morto nel 1648.
Il campanile esterno, o Torre campanaria, dedicato a Sant'Andrea visibile oggi risente di alcune modifiche del 1720 specie nell'altezza, che vennero affidate dal regnante Vittorio Amedeo II all'architetto Juvarra. Quest'ultimo lo sopraelevò di 12 metri, in stile barocco, portando la torre ad un'altezza complessiva di metri 60 . Il Duomo oggi Il prezioso monumento della Sindone venne gravemente danneggiato nella notte tra l'11 e il 12 aprile 1997, quando un incendio distrusse gran parte dell'opera guariniana. La Sacra Reliquia, invece, venne portata in salvo grazie all'operato dei vigili del fuoco. Dopo l'incendio la chiesa ha subito il restauro della facciata e degli interni sotto la supervisione dell'architetto Maurizio Momo. Nel contempo è stata realizzata la nuova teca della Sindone in cui il Sacro Lino è conservato disteso e in atmosfera controllata. Sotto la chiesa principale il restauro ha riportato allo stato primitivo la chiesa sotterranea, di pari dimensioni, dove è stato realizzato il Museo diocesano di Torino
Architettura Il Duomo di Torino è inconfondibile nel panorama cittadino: è l'unico esempio ancora visibile dell'arte rinascimentale in città. All'esterno si presenta con una facciata rinascimentale in marmo bianco, con tre portoni di cui, quello centrale, principale, sormontata da un timpano e affiancata da due volute.
Sul lato sinistro vi è la torre campanaria in forme romaniche, realizzata verso il 1470 e ulteriormente sopraelevata nel 1720 da Filippo Juvarra.
Visibile, oggi non più coperta da ponteggi, la Cupola del Guarini, dietro la già presente cupola di San Giovanni. I lavori di restauro proseguono all'interno della Cappella.
Al visitatore l'edificio si presenta austero, diviso in tre navate e costruito su pianta a croce latina. Arricchito un po' in ogni secolo, l'interno del Duomo si presenta oggi decorato, ai lati, da numerose cappelle, nelle quali lavorarono svariati artisti e decoratori, quali i torinesi Gonin e Vacca, gli architetti Martinez e Talucchi, Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, Dauphin e molti altri. La sontuosa Tribuna Reale si deve alla volontà di Carlo Emanuele III di Savoia; sotto di essa, in una teca, è custodita provvisoriamente, dal 1998, la Sindone, mostrata ai fedeli in occasione delle grandi ostensioni.
Monastero di San Pietro in Ciel d'Oro
Il Monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia, situato accanto alla omonima Basilica, fu uno dei più importanti monasteri maschili di Pavia.
Accanto alla Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dopo che essa aveva accolto le spoglie di Sant'Agostino, fu fondato un monastero maschile.
La tradizione vuole che la basilica sia stata fondata dal re longobardo Liutprando per ospitare le spoglie di sant'Agostino, comprate in Sardegna da pirati saraceni, che le avevano trafugate da Ippona, attualmente in Algeria.
Il monastero fu dato ai monaci colombaniani di San Colombano, fondatore a Bobbio nel 614 della potente Abbazia di San Colombano collegata attraverso la Via Francigena. Ma collegata anche con la Liguria sulle direttrici Pavia, Bobbio, Val Trebbia, Genova o Val Trebbia, Val d'Aveto, Rezzoaglio, Chiavari.
Il monastero controllava ampi territori sia nel pavese che in Piemonte ed in Liguria.
Nella scuola del monastero famosa per il suo prestigio vi si formò come monaco Paolo Diacono, che divenne storico e poeta dei Longobardi, scrivendone la storia; ma anche Carlo Magno si avvarrà dello storico.
Dopo il 1000, in epoca comunale i monaci colombaniani lasciarono il cenobio pavese a causa dei disordini e si trasferirono sull'Appennino ligure, dando vita al monastero di Pietramartina di Rezzoaglio; a Pavia rimasero attive due chiese dedicate al santo irlandese Colombano fino al XVI secolo, di cui solo di una ne è rimasta traccia. Non si è al corrente se alcuni monaci in seguito vi fecero ritorno ripopolando il monastero.
Esso sorgeva sul lato sinistro della basilica, affacciandosi anche sul lato settentrionale della piazza antistante. Era un complesso imponente, dove trovarono ospitalità Re e Imperatori quando risiedevano a Pavia. Era esente dalla giurisdizione vescovile, e possedeva (grazie a cospicue donazioni da parte di molti Imperatori) la proprietà e i diritti signorili su molte terre, a Lardirago e Villanterio (località su cui il monastero esercitava la giurisdizione signorile), Pavone (Pietra Marazzi), Voghera e Casei Gerola, e altre nel Lodigiano, nel Milanese e persino in Toscana e nell'attuale Svizzera.
Nel 1213 avvenne un fatto increscioso: l'Abate del monastero fu ucciso da alcuni monaci; il papa Onorio III decise di sopprimere dunque il monastero, che fu trasformato in Canonica e affidato ai Canonici regolari di Mortara. La canonica ereditò le terre e i diritti signorili che aveva posseduto il monastero.
Poco più tardi il papa Giovanni XXII affiancò a questi i padri Eremitani di Sant'Agostino, o Agostiniani, com'era giusto per la chiesa che conteneva la preziosa reliquia del patrono di questo ordine. Inizialmente le due corporazioni religiose vissero nello stesso edificio, ma successivamente, per sanare i contrasti che questa situazione provocava, gli Agostininiani eressero un loro convento dal lato opposto della basilica (1332), affacciato sul lato orientale della piazza omonima. Questo convento, oltre a condividere la Basilica con i Canonici, aveva anche una propria chiesa dedicata alla Vergine.
Nel 1465 la carica di abate della canonica fu dato in commenda; nel 1509 i Canonici Regolari furono uniti all'ordine Lateranense. Tra Lateranensi ed Agostiniani esistevano ancora dei dissapori circa l'uso e l'officiatura della basilica: solo nel 1635 si giunse alla convenzione che gli Agostiniani utilizzassero la navata destra, i Lateranensi quella sinistra; l'altare maggiore e il coro rimanevano in comune e nell'officiatura i due ordini si alternavano mensilmente.
I Canonici Lateranensi furono soppressi nel 1781; per alcuni anni la Canonica, posta alla sinistra della Basilica, fu affidata ai Francescani, ma nel 1799 il locale fu confiscato, destinato ad usi diversi. Attualmente lo stabile appartiene al Genio militare. A loro volta gli Agostiniani furono allontanati dal loro convento nel 1785, e vi subentrarono i Domenicani, ma anche questo stabile nel 1799 fu confiscato, in parte demolito e in parte venduto a privati.
Dopo il riscatto, il restauro e la riconsacrazione della Basilica, attuati all'inizio del XX secolo, anche il convento agostiniano è ritornato all'antico uso, ed è sede dei Padri Agostiniani dell'Ordine di S.Agostino di Pavia.
Monastero di San Salvatore (Pavia)
Il Monastero di San Salvatore fu un antico e potente monastero di Pavia.
Esso sorgeva presso l'attuale chiesa di San Salvatore, comunemente detta di San Mauro, in Via della Riviera, e si estendeva nell'area oggi occupata dalla caserma del Genio militare. La chiesa fu fondata nel 657 dal re longobardo Ariperto I, probabilmente per celebrare la definitiva conversione dei Longobardi al cattolicesimo (Historia Langobardorum, IV 48); vi operarono i monaci di san Colombano di Bobbio che gestivano altri monasteri e chiese sia a Pavia che nei dintorni, come il Monastero di San Pietro in Ciel d'Oro. In essa furono seppelliti lo stesso Ariberto, il figlio Pertarito (il cui sepolcro ancora vi si trova) e il figlio di Pertarito Cunincperto.
Forse presto alla chiesa venne unito un monastero maschile, ma solo nel X secolo esso assurse a grande rinomanza, per impulso di San Maiolo di Cluny e dell'imperatrice Adelaide. Quest'ultima fu larghissima nel dotare il monastero di rendite terriere, che si trasformarono presto in vera signoria feudale: le corti regie di Corana e Corteolona, Monticelli Pavese, Valeggio, Garlasco, Borgo San Siro, Fresonara, Pasturana, Novi Ligure sono solo alcuni dei luoghi (situati per lo più nelle province di Pavia e Alessandria) che formarono, in parte fino al XVIII secolo, la principesca dotazione di questo monastero. Esso ebbe sempre la qualifica di Abbazia e dipendeva direttamente dal Papa. Successivi re e imperatori (Ottone II, Arduino, Enrico II, Corrado II, Enrico IV e Federico I) continueranno a confermare e ampliare le prerogative del monastero. Pur essendo fin dalle origini legato all'ambito cluniacense, non dipendeva dall'abbazia di Cluny.
L'edificio si trovava su una strada importantissima, che attraverso il porto di Santa Sofia proseguiva per la Lomellina, e costituiva un tratto della via Francigena. L'edificio era a sua volta tanto confortevole che fu spesso scelto per dare ospitalità a papi e imperatori. Fu anche sede provvisoria dell'amministrazione regia, quando i pavesi nel 1024 distrussero il palazzo reale situato in città.
Il monastero di San Salvatore, legato fin dalle origini ai sovrani longobardi e italici e agli imperatori, declinò insieme all'influenza di questi ultimi in Italia; così, sotto la pressione dei Comuni e delle Signorie, perse temporaneamente o definitivamente molte delle signorie feudali e dei beni terrieri.
Nel 1446 il papa Eugenio IV unì il monastero di San Salvatore alla congregazione cassinese di Santa Giustina in Padova. La chiesa fu ricostruita tra il 1497 e il 1511 in forme tardo-gotiche o protorinascimentali (su progetto forse di Giovanni Antonio Amadeo). Nel 1782 il monastero fu soppresso, e nel 1860 al suo posto venne installata una caserma dei Pontieri. La chiesa stessa allora fu sconsacrata, per essere riaperta al culto il 21 marzo 1901 come Parrocchia del Santissimo Salvatore (o San Mauro).
Monastero di Santa Maria delle Cacce
Il Monastero di Santa Maria delle Cacce si trova a Pavia.
Storia Fondato nell'VIII secolo da un re longobardo, Rachis o Desiderio, era abitato da monache benedettine. Inizialmente chiamata "Santa Maria foris portam" poiché si trovava appena fuori dalla più antica cinta della città, presso la porta all'estremità orientale del decumano massimo, assunse l'attuale denominazione dal XIV secolo, forse perché sorgeva presso un parco reale destinato alla caccia. La zona fu inclusa all'interno della città con l'ampliamento della cinta nel X secolo. Nello stesso periodo iniziò la grandezza del monastero, ad opera soprattutto dell'imperatrice Teofano, che ne fece ampliare e ricostruire gli edifici e concesse privilegi e terre. Queste si concentravano soprattutto nell'Oltrepò Pavese, a Montalto Pavese, Oliva Gessi e Casteggio; in particolare il possesso di Mairano presso Casteggio durò fino alla soppressione del monastero. In queste zone il monastero ebbe anche il giuspatronato su molte chiese.
Nel XVIII secolo il monastero, che rimase sempre nell'ordine benedettino, contava circa cinquanta monache, ed era uno dei principali della città. Nel 1799, come quasi tutti i monasteri pavesi, fu soppresso e i suoi beni incamerati. Architettura L'edificio del monastero e la chiesa esistono ancora: si trovano in Via Scopoli, in posizione aperta ed elevata. Il chiostro cinquecentesco, arioso e armonico, è utilizzato come edificio scolastico. La chiesa della fine del XVII secolo è un grazioso edificio barocco, che conserva una finestrella e una colonnina forse del primitivo edificio longobardo.
Monastero di Santa Maria Teodote
Il monastero di Santa Maria Teodote, detto anche di Santa Maria della Pusterla, fu uno dei più antichi e importanti monasteri femminili di Pavia. Fondato nel VII secolo, sorgeva nel luogo ove oggi si trova il seminario diocesano e fu soppresso nel XVIII secolo. Storia Fu fondato nel VII secolo, durante il regno del re longobardo Cuniperto, dal nobile Gregorio, probabilmente di stirpe romanica[senza fonte] e ospitava una cappella (od oratorio) intitolata a San Michele, l'angelo guerriero particolarmente venerato dai Longobardi. Il monastero era detto "della Pusterla" a causa della prossimità di una piccola porta della città o "di Teodote" perché legato alle vicende dell'amante di re Cuniperto, che fu accolta nel monastero; è stato tuttavia anche ipotizzato che lo stesso sovrano lo abbia fondato proprio per rinchiudervi la giovane.
Come gli altri antichi monasteri pavesi, ebbe grande prosperità nell'epoca in cui Pavia fu capitale: ricevette ampie donazioni e privilegi, anche da parte di numerosi re e imperatori da Lotario I (833) fino a Federico I. Aveva terre a Borgo San Donnino, a Villanova d'Ardenghi e soprattutto a Zenevredo, nell'Oltrepò Pavese, dove univa alla proprietà fondiaria dell'intero territorio la signoria feudale, che durarono entrambe dal Medioevo fino alla fine del XVIII secolo. Il paese stesso era detto perciò "Zenevredo della Pusterla".
Il monastero, che era un'abbazia benedettina nel 1473 fu unito alla congregazione cassinese. Nel 1778 vi dimoravano ben quarantatré monache, ma nel 1799, come gli altri grandi monasteri della città, fu soppresso dalle istituzioni della Repubblica Cisalpina e i suoi beni incamerati. A differenza però degli altri monasteri, ritornò ben presto a un utilizzo religioso, in quanto vi fu collocato il seminario vescovile, che ancora vi ha sede. Per questo è forse il meglio conservato degli antichi monasteri cittadini.
Architettura Dall'oratorio longobardo, perduto come l'intero complesso altomedievale, provengono i Plutei di Teodote, tra i più alti esemplari di scultura longobarda pervenuti fino ai nostri giorni.
Il monastero si trova in Via Menocchio, di fronte allo sbocco di via della Pusterla, accanto a quanto rimane di un altro importante cenobio, quello di San Bartolomeo in Strada. L'ampio chiostro, quattrocentesco e in parte più antico, è arioso ed elegante, con ampie arcate sorrette da sottili colonne di marmo. Tra gli archi si vedono i tondi a forma di conchiglia, con busti di monache oranti; varie decorazioni in cotto ornano gli archi e i portali. La chiesa principale, che si apre verso la strada, è del 1604.
Molto graziosa la chiesetta del Salvatore, anch'essa quattrocentesca, a croce greca, con cupolette centrale e angolari, coperte come le pareti di affreschi di Bernardino de' Rossi.
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