| Nimue |
| | Sacello di Venere Cloacina
Il sacello di Venere Cloacina era un piccolo luogo sacro situato nel Foro Romano, del quale oggi resta solo un basamento circolare in marmo a ovest della gradinata della basilica Emilia.
La costruzione era dedicata a Venere protettrice della Cloaca Massima, la più importante delle fognature dell'antica Roma. La divinità venia infatti identificata come la dea Cloacina, di origine etrusca. Il sacello era inoltre creduto l'ingresso del sistema fognario. Il sacello Il sacello venne costruito sulla Via Sacra nei pressi dell'area della Tabernae Novae, che venne rimossa successivamente per far spazio alla Basilica Emilia. Si credeva che il sacello fosse l'ingresso al sistema delle fognature, ma tale prova non è stata confermata poiché attualmente rimangono solo le fondamenta dell'edificio. Gli archeologi hanno comunque sviluppato un'idea dell'aspetto del sacello poiché esso è riportato sul retro di una moneta emessa durante il secondo triumvirato.
Raffigurato su monete, era un piccolo edificio a cielo aperto, con un basso recinto circolare metallico che conteneva due statue di culto, citate per esempio dal commentatore di Virgilio, Servio.
Probabilmente raffiguravano l'antica divinità latina Cloacina e Venere, ma alla fine entrambe vennero identificate con la dea della bellezza. Venere Cloacina
Cloacina veniva adorata dai romani come la dea della Cloaca Massima e dell'intero sistema fognario. I romani credevano infatti che un buon sistema di deflusso delle fognature fosse importante per un futuro successo di Roma, poiché permetteva di mantenere una certa igiene della città, al fine di prevenire eventuali epidemie. Oltre a queste funzioni, Cloacina era adorata anche come dea della pulizia e della sporcizia.
Il nome Cloacina deriva probabilmente dal verbo latino 'cloare', che significa 'purificare', 'pulire' o probabilmente deriva dalla parola latina 'cloaca' che significa appunto fognatura. In seguito venne identificata con Venere, titolare della statua vicina. Leggenda Presso il sacello di Venere Cloacina si sarebbero svolti alcuni episodi della mitologia romana delle origini. Secondo quanto sostenuto da Plinio il Vecchio, quando i romani e le sabine decisero di instaurare la pace entrambi depositarono le armi presso il sacello e si purificarono con rametti di mirto. Inoltre qui si sarebbe svolta l'uccisione di Verginia da parte del padre, per salvarne la virtù dalle mire del decemviro Appio Claudio.
Santuario di Cerere, Libero e Libera
Il santuario di Cerere, Libero e Libera era un tempio dell'antica Roma, situato sul colle Aventino. Era stato votato nel 496 a.C., ad opera del dittatore Aulo Postumio, in seguito al responso dei Libri sibillini. In realtà il voto di tale tempio, alla vigilia dell'importante Battaglia del Lago Regillo doveva spingere la classe plebea a partecipare al conflitto. Il tempio infatti assunse fin dalla sua dedica, avvenuta nel 494 ad opera di Spurio Cassio Vecellino, connotazioni fortemente plebee. Può essere considerato a ragione, la risposta plebea al tempio"aristocratico" della triade capitolina, da cui appunto il tipo di culto triadico. Vi si adoravano appunto Cerere, Libero e Libera (corrispondenti a Demetra, Dioniso e Kore), divinità che avevano avuto vasto seguito nella Magna Grecia. Cicerone ci informa che le sacerdotesse dedite al culto triadico provenissero solo ed esclusivamente dal sud, ma è un'informazione non riscontrabile se non a livello di fonte letteraria. Forme architettoniche Non possedendo, ad oggi, riscontri archeologici validi, dobbiamo fidarci delle parole di Marco Vitruvio Pollione. Nel terzo libro del suo trattato De architectura ci parla del tempio come di un tempio aereostilo che presuppone l'impiego di intercolumni molto ampi. Da tale informazione si può dedurre che la trabeazione dovesse essere lignea per allegerirne il peso sulle colonne. Aggiunge inoltre che il tempio era "schiacciato" ossia largo e basso, tipico di un genere di tempio di Ordine tuscanico. La decorazione del frontone era di tipo etrusco con terrecotte. I muri della cella erano state decorate successivamente da pitture di Damophilos e Gorgasos, artisti magnogreci molto apprezzati. Intrecci politici Come già detto, fin dalla nascita il tempio assunse valenze fortemente plebee, e durante la sua lunga vita ebbe diversi punti di contatto con tale classe sociale.
Il tempio può essere considerato il centro dell'organizzazione politica ed economica della plebe, che proprio sull'Aventino aveva la sua storica roccaforte. Qui trovavano espressione gli editti della plebe.
Un interessante episodio dimostra le implicazioni politiche del tempio: nel 485 fu dedicato un simulacrum bronzeo (forse una statua) grazie ai beni confiscati al democratico filo-plebeo Spurio Cassio Vecellino. In questo caso la classe politica romana di stampo aristocratico volle dimostrare la sconfitta delle ambizioni democratiche del Cassio proprio nella sua roccaforte. Santuario di Diana Planciana Il santuario di Diana Planciana era un tempio di Roma, situato tra il Quirinale e il Viminale, all'inizio del Vicus Longus, come documentato su un'epigrafe..
Venne edificato dall'edile curile Gneo Plancius (da cui l'apellativo della dea) dopo il 55 a.C. Alla dea era anche stata eretta una statua in prossimità del santuario.
Santuario di Giove Dolicheno
Il santuario di Giove Dolicheno (in latino Dolocenum) era un tempio di Roma, situato sul colle Aventino.
Risaliva al tempo di Antonino Pio e i mattoni bollati testimoniano una data di costruzione posteriore al 138 d.C., mentre un'iscrizione è datata 150. Nella seconda metà del II secolo venne dotato di copertura (inizialmente era all'aperto), come segnalano i bolli delle tegole. Fu restaurato più volte, soprattutto nel III secolo, quando il culto di Giove Dolicheno, divinità originaria dell'Asia Minore, raggiunse il suo apogeo.
Il tempio era segnalato sui Cataloghi Regionari e grazie a vari ritrovamenti è stato collocato nell'area vicnino alle chiese la di Sant'Alessio e di Santa Sabina. Venne rinvenuto nel 1935 in occasione dell'apertura di via San Domenico, scavando lungo il lato settentrionale e parte dei lati brevi, dove è stato rinvenuto un cortile e tracce di una fase più antica, probabilmente augustea. La pianta totale del complesso misurava 22,60 x 12 metri. Era presente una sala più vasta, preceduta da atrio e seguita da un terzo vano quasi quadrato. L'ambiente centrale era il più importante e qui vennero rinvenuti i resti di un altare e una grande iscrizione a Giove Dolicheno da parte di tali Annius Iulianus e Annius Victor. Nell'edificio vennero scoperte numerose statue, rilievi e iscrizioni, che evidenziavano un culto sincretico, che tendeva a aggregare le divinità più varie, in particolar modo quelle di edifici sacri vicini sull'Aventino: Diana, Iside, Serapide, Mitra, i Dioscuri, il Sole e la Luna. Questi oggetti oggi sono esposti nei Musei Capitolini.
Santuario di Semo Sancus Dius Fidius
L'antichissimo santuario di Semo Sancus Dius Fidius era un tempio antico di Roma, situato sul colle Quirinale.
Si trovava sulla sommità del Collis Mucialis (un sotto-rilievo del Quirinale), detto anche Sanqualis dalla vicina Porta Sanqualis, che a sua volta prendeva il nome proprio da questo santuario.
Secondo la leggenda era stato fondato dallo stesso Tito Tazio, re dei Sabini stanziati sul colle e dedicato alla divinità Sanco di origine sabina (il nome infatti non è di retaggio latino). Il tempio venne rifatto da Tarquinio il Superbo e inaugurato nel 466 a.C.
L'edificio conservava una statua bronzea che si riteneva raffigurasse la moglie di Tarquinio Prisco, Tanaquil, raffigurata nell'atto di filare con fuso e canocchia.
Attraverso scavi e iscrizioni è stato localizzato come nelle immediate vicinanze della chiesa di San Silvestro al Quirinale.
Scalae Caci
Le Scalae Caci ("scale di Caco", gigante avversario di Ercole) erano una scalinata dell'antica Roma.
Mettevano in comunicazione il Palatino (prima che divenisse residenza imperiale) con il Foro Boario.
Delle scale restano solo scarsi resti, posti nel sito delle Capanne del Palatino su uno strato repubblicano vicino ai resti del teatro di Cassio Longino del 154 a.C. Si racconta che nei loro pressi vi era la residenza di Romolo.
Sepolcro dei Domizi
Il Sepolcro dei Domizi, anche detto Mausoleo dei Domizi Enobarbi, è un'antica tomba della prima età imperiale, le cui vestigia sono situate a Roma, al di sotto della basilica di Santa Maria del Popolo, alle pendici del Pincio.
Qui vennero sepolte le ceneri di Nerone, che erano conservate in un'urna di porfido, sormontata da un altare di marmo lunense. La distruzione del sepolcro La distruzione del mausoleo avvenne, agli inizi del XII secolo, per volere di Papa Pasquale II, allo scopo di eliminare la memoria popolare di Nerone che ancora sopravviveva ad oltre un millennio dalla morte . Pasquale II era uomo particolarmente superstizioso, ossessionato dai corvi che volteggiavano sul noce secolare piantato nelle adiacenze della tomba dei Domizi Enobarbi. Egli era terrorizzato dall'idea che quei corvi fossero demoni in attesa della reincarnazione dell'imperatore Nerone, da secoli identificato come l'anticristo.
La convinzione di Pasquale era nata dallo strampalato sillogismo di alcuni autori cristiani come Vittorino, Commodiano e Sulpicio Severo, che avevano messo in relazione il passo 13-15 dell'Apocalisse di Giovanni "Bestia il cui numero è 666" con il fatto che sommando il valore numerico delle lettere che compongono le parole "Nerone Cesare" in lingua ebraica, si ottiene il numero 666.
Per nulla impressionato da tali colte sciocchezze, il popolino di Roma continuava, nella ricorrenza della morte (9 giugno), a portare fiori sulla tomba di Nerone: l'imperatore forse più amato e maggiormente rimpianto.
Per timore dei demoni o, più credibilmente, per impedire l'omaggio popolare a colui che la Chiesa aveva bollato come anticristo, il Papa fece radere al suolo il mausoleo dei Domizi Enobarbi e tagliare il noce secolare. Al loro posto, fu eretta una cappella: nucleo originario di quella che oggi, dopo varie trasformazioni e ampliamenti, è la basilica di Santa Maria del Popolo, in Piazza del Popolo a Roma. Le ceneri di Nerone, con tutta probabilità, furono invece gettate nel fiume Tevere.
Al fine di placare il malcontento popolare per la profanazione, venne diffusa la voce che i resti di Nerone fossero stati traslati in un mausoleo sulla via Cassia, fuori dalle mura cittadine. Forse le autorità speravano nella distanza per scoraggiare l'annuale pellegrinaggio che, al contrario, continuò. Tant'è che a tutt'oggi la zona è denominata Tomba di Nerone, sebbene l'epigrafe latina indichi chiaramente essere il sepolcro del prefetto Publio Vibio Mariano.
Settizonio
Il Settizonio o Settizodio (latino: Septizodium o Septizonium o Septisolium) era una facciata monumentale di un ninfeo, dall'aspetto di scena teatrale vitruviana, a più piani di colonne, fatta innalzare dall'imperatore Settimio Severo nel 203 ai piedi del colle Palatino, a Roma. Esso sorgeva sul lato sud-orientale del Palatino e costituiva la facciata della Domus Severiana su questo lato, affacciato sulla via Appia. La Domus e il Settizonio costituivano un'ala aggiunta alla Domus Augustana da Settimio Severo, a sud dello Stadio palatino, nell'ambito della sistemazione delle pendici meridionali e sud-orientali del colle, dove vennero completati gli edifici termali avviati circa un secolo prima da Domiziano. Etimologia L'etimologia del nome è incerta: nonostante siano state fatte varie congetture sull'interpretazione del termine in senso letterale, come una struttura divisa in sette sezioni, su tutte le stampe, anche le più antiche, ne sono visibili soltanto tre.
Una interessante ipotesi identifica il settizonio come una struttura idrica monumentale, che conteneva le statue delle sette divinità planetarie (nell'ordine): Saturno, Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere. Sono noti altri esemplari di settizonio, che però sono tutti (con l'eccezione di quello di Roma, quindi) in Africa: Henschir Bedd, Lambaesis, Lilybeum e Cincari.
Nel Medioevo ci si riferiva all'edificio e alla zona adiacente con i termini Septemsolium, Septasolis e Septem Solia. Storia Le fonti parlano di un primo septizonium, costruito prima del 40, in cui nacque l'imperatore Tito.
L'imponente edificio severiano lungo quasi 100 metri, sorgeva nella valle tra Celio e Palatino, accanto al Circo Massimo, lungo la via Appia. Secondo le fonti, l'imperatore volle con quest'opera monumentalizzare questo lato del colle, ma soprattutto impressionare coloro che da sud, percorrendo la via Appia, giungevano a Roma, in particolare i suoi conterranei dell'Africa. Verosimilmente costituiva una sorta di quinta scenografica dell'agglomerato sud dei palazzi severiani. Per breve tempo ospitò la tomba dell'imperatore Geta, figlio di Settimio Severo.
L'edificio era già in rovina alla fine dell'VIII secolo e quel che ne restava divenne una delle fortezze baronali da cui nel medioevo si dominava quel che restava di Roma. Crollata la sezione centrale, le due parti delle rovine erano dette Septem solia maior e Septem solia minor. I resti della struttura dovettero entrare nel sistema di fortificazioni dei Frangipane, se la vedova di Graziano Frangipane - che nel 1223 ospitò lì presso, nella Torre della Moletta, il suo amico e maestro Francesco d'Assisi - era detta Jacopa de' Settesoli.
L'8 gennaio 1198 vi si tenne il primo conclave della storia, che elesse papa Innocenzo III.
La distruzione e il prelievo di materiali proseguirono nei secoli. La demolizione definitiva si dovette a Sisto V, e Rodolfo Lanciani descrisse dettagliatamente come le antiche pietre andarono a rivestire mezza Roma:
« Il rimanente venne distrutto da papa Sisto V nell'inverno 1588-89 per mano del suo architetto Domenico Fontana. I lavori costarono al papa 905 scudi, abbondantemente compensati dal ricavato in peperino, travertino, marmi rari e colonne. Trentatré blocchi di pietra furono usati nella fondazione dell'obelisco di Piazza del Popolo; 104 blocchi di marmo nel restauro della Colonna Antonina, includendo la base della statua di San Paolo che la corona; 15 nella tomba del Papa nella Cappella del Presepio in Santa Maria Maggiore, e altrettanti nella tomba di Pio V; la scalinata della Casa dei Mendicanti presso Ponte Sisto, il «lavatore» delle Terme di Diocleziano, la porta del Palazzo della Cancelleria, la facciata nord di San Giovanni in Laterano, con il cortile e la scalinata, infine la chiesa di San Giacomo degli Schiavoni, usufruirono delle spoglie del Septizodium » Descrizione L'edificio è noto dalla pianta sulla Forma Urbis severiana e da disegni rinascimentali. Il prospetto era lungo 89 metri e simile alle frontescena teatrali: vi si aprivano tre nicchioni semicircolari e alle estremità si trovavano due avancorpi a base quadrata, movimentando con spigoli retti e ampie curvature il fronte, che era composto di tre piani colonnati di altezza decrescente verso l'alto. Nelle nicchie si trovavano altrettante fontane a base circolare, con un'unica vasca che ne raccoglieva le acque, in basso.
L'ispirazione generale è da mettere in correlazione con il gusto asiano "barocco", mentre non possediamo sicuri frammenti architettonici che permettano di verificare se anche la decorazione fosse di gusto analogo. Come modelli si possono citare il ninfeo di Mileto, di epoca traianea, e il ninfeo di Aspendos, di epoca adrianea, che a loro volta si ispiravano alle scene degli edifici teatrali che inizialmente erano dotate di giochi d'acqua: non a caso fu proprio in quest'epoca che si diffusero gli spettacoli di mimo acquatico entro vasche (colimbétre), adattate nell'iposcenio o nell'orchestra.
| | |
| |
|