Un Mondo Accanto

Distruzioni del patrimonio artistico

« Older   Newer »
  Share  
Nimue
view post Posted on 11/6/2013, 07:40     +1   -1




Ponte Sublicio





Ponte Sublicio, noto anche come ponte Aventino o ponte Marmoreo, è un ponte che collega piazza dell'Emporio a piazza di Porta Portese, a Roma, nei rioni Ripa, Trastevere e Testaccio e nel quartiere Portuense.

Il più antico ponte di Roma oltrepassava il fiume Tevere poco a valle dell'Isola Tiberina, in corrispondenza dell'antico guado che rappresentava una tappa obbligata del percorso nord-sud in epoca protostorica, ai piedi dell'Aventino. La sua costruzione è attribuita al re Anco Marzio (642 - 617 a.C.) da Tito Livio e da Dionigi di Alicarnasso.

Origine del nome

Il nome deriva dal termine sublica, attribuito alla lingua volsca, con il significato di "tavole di legno". Il ponte era infatti costruito originariamente interamente in legno e vi è legato il mitico episodio di Orazio Coclite, nei primi anni della Repubblica romana.

L'attuale ponte

Dello scomparso ponte romano porta la stessa denominazione il ponte - costruito nel 1918 su progetto di Marcello Piacentini - che congiunge le due rive del Tevere all'altezza di Piazza di Porta Portese con Piazza dell'Emporio.

L'antico ponte


Dell'antico ponte non resta oggi alcuna traccia, ma la sua ubicazione era all'altezza dell'odierna via del Porto, all'estremità settentrionale del complesso del San Michele.

La tradizione religiosa (originata dalla necessità di poterlo smontare facilmente per esigenze di difesa) prescriveva che non fosse utilizzato altro materiale che il legno. Il ponte era considerato sacro (dal termine pons deriva la designazione di "pontefice" o pontifex) e vi si svolgevano cerimonie arcaiche, tra cui quella del lancio nel fiume degli Argei, o pupazzi di paglia (forse in sostituzione di più antichi sacrifici umani), durante il cerimoniale dei Lemuria.

Il ponte subì frequenti restauri e ricostruzioni (60 a.C., 32 a.C., 23 a.C., 5 d.C., 69 d.C., sotto Antonino Pio e forse sotto gli imperatori Traiano, Marco Aurelio e Settimio Severo). Sulle raffigurazioni monetali di epoca imperiale compaiono alle estremità archi con statue.

Cospicue tracce del ponte sono state visibili nell'alveo del Tevere fino al 1890 circa, quando i resti furono completamente demoliti, nell'ambito delle misure di risistemazione del corso urbano del fiume, come misura di prevenzione delle piene.


Porticus absidata





La Porticus absidata era un portico di Roma ricordato nei Cataloghi regionari dell'epoca di Costantino.

La sua individuazione non è certa, ma si è supposto che fosse la grande esedra a ferro di cavallo alle spalle del muro perimetrale del Foro Transitorio, collocata in posizione concava rispetto al foro stesso. Era dotata di colonnato.



Porticus Aemilia



La Porticus Aemilia era un portico commerciale di Roma antica utilizzato come magazzino e situato all'Emporium, il porto fluviale cittadino a sud dell'Aventino. I suoi resti si trovano oggi tra via Beniamino Franklin e via Marmorata. Alcuni muri superstiti, in opera incerta di tufo, sono tuttora visibili in via Branca, in via Rubattino e in via Florio. Di recente è stata suggerita un'identificazione alternativa con i Navalia repubblicani, destinati ad ospitare le navi da guerra della flotta romana.

La porticus venne edificata nel 193 a.C. dagli edili Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo (da cui il nome legato alla Gens Aemilia), e venne completata nel 174 a.C. dai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore.

L'edificio era molto grande, lungo ben 487 metri, largo 60 e suddiviso in più ambienti da 294 pilastri, che creavano sette file (nel senso della profondità) e 50 navate, ciascuna coperta da un serie di volticelle sovrapposte e larghe 8,30 metri, per una superficie coperta di 25000 m²..

L'edificio era in strettissima relazione col porto dell'Urbe: era distante circa 90 metri dal fiume e qui venivano immagazzinate le merci scaricate dalle imbarcazioni che rifornivano tutta la città. A livello architettonico la tipologia di edifici utilitari rientrava in un campo molto ambito dagli architetti romani poiché in questa classe di edifici potevano largamente sperimentare i materiali da costruzione cercando anche di scoprirne nuove applicazioni.

In epoca traianea o più tarda altri edifici si interposero tra il fiume e la porticus.



Porticus Vipsania




La Porticus Vipsania erano dei portici fatti edificare dalla sorella di Marco Vipsanio Agrippa, Polla, e poi terminati da Augusto. Si trovavano nella VII regio augustea alle pendici del Pincio, lungo le arcate dell'Acqua Virgo. Probabilmente si tratta dei resti scoperti durante la costruzione della Galleria Sciarra.
 
Top
Nimue
view post Posted on 26/6/2013, 10:30     +1   -1




Sacello di Venere Cloacina





Il sacello di Venere Cloacina era un piccolo luogo sacro situato nel Foro Romano, del quale oggi resta solo un basamento circolare in marmo a ovest della gradinata della basilica Emilia.

La costruzione era dedicata a Venere protettrice della Cloaca Massima, la più importante delle fognature dell'antica Roma. La divinità venia infatti identificata come la dea Cloacina, di origine etrusca. Il sacello era inoltre creduto l'ingresso del sistema fognario.


Il sacello

Il sacello venne costruito sulla Via Sacra nei pressi dell'area della Tabernae Novae, che venne rimossa successivamente per far spazio alla Basilica Emilia. Si credeva che il sacello fosse l'ingresso al sistema delle fognature, ma tale prova non è stata confermata poiché attualmente rimangono solo le fondamenta dell'edificio. Gli archeologi hanno comunque sviluppato un'idea dell'aspetto del sacello poiché esso è riportato sul retro di una moneta emessa durante il secondo triumvirato.

Raffigurato su monete, era un piccolo edificio a cielo aperto, con un basso recinto circolare metallico che conteneva due statue di culto, citate per esempio dal commentatore di Virgilio, Servio.

Probabilmente raffiguravano l'antica divinità latina Cloacina e Venere, ma alla fine entrambe vennero identificate con la dea della bellezza.

Venere Cloacina

Cloacina veniva adorata dai romani come la dea della Cloaca Massima e dell'intero sistema fognario. I romani credevano infatti che un buon sistema di deflusso delle fognature fosse importante per un futuro successo di Roma, poiché permetteva di mantenere una certa igiene della città, al fine di prevenire eventuali epidemie. Oltre a queste funzioni, Cloacina era adorata anche come dea della pulizia e della sporcizia.

Il nome Cloacina deriva probabilmente dal verbo latino 'cloare', che significa 'purificare', 'pulire' o probabilmente deriva dalla parola latina 'cloaca' che significa appunto fognatura. In seguito venne identificata con Venere, titolare della statua vicina.

Leggenda

Presso il sacello di Venere Cloacina si sarebbero svolti alcuni episodi della mitologia romana delle origini. Secondo quanto sostenuto da Plinio il Vecchio, quando i romani e le sabine decisero di instaurare la pace entrambi depositarono le armi presso il sacello e si purificarono con rametti di mirto. Inoltre qui si sarebbe svolta l'uccisione di Verginia da parte del padre, per salvarne la virtù dalle mire del decemviro Appio Claudio.


Santuario di Cerere, Libero e Libera



Il santuario di Cerere, Libero e Libera era un tempio dell'antica Roma, situato sul colle Aventino.

Era stato votato nel 496 a.C., ad opera del dittatore Aulo Postumio, in seguito al responso dei Libri sibillini. In realtà il voto di tale tempio, alla vigilia dell'importante Battaglia del Lago Regillo doveva spingere la classe plebea a partecipare al conflitto. Il tempio infatti assunse fin dalla sua dedica, avvenuta nel 494 ad opera di Spurio Cassio Vecellino, connotazioni fortemente plebee. Può essere considerato a ragione, la risposta plebea al tempio"aristocratico" della triade capitolina, da cui appunto il tipo di culto triadico. Vi si adoravano appunto Cerere, Libero e Libera (corrispondenti a Demetra, Dioniso e Kore), divinità che avevano avuto vasto seguito nella Magna Grecia. Cicerone ci informa che le sacerdotesse dedite al culto triadico provenissero solo ed esclusivamente dal sud, ma è un'informazione non riscontrabile se non a livello di fonte letteraria.

Forme architettoniche

Non possedendo, ad oggi, riscontri archeologici validi, dobbiamo fidarci delle parole di Marco Vitruvio Pollione. Nel terzo libro del suo trattato De architectura ci parla del tempio come di un tempio aereostilo che presuppone l'impiego di intercolumni molto ampi. Da tale informazione si può dedurre che la trabeazione dovesse essere lignea per allegerirne il peso sulle colonne. Aggiunge inoltre che il tempio era "schiacciato" ossia largo e basso, tipico di un genere di tempio di Ordine tuscanico. La decorazione del frontone era di tipo etrusco con terrecotte. I muri della cella erano state decorate successivamente da pitture di Damophilos e Gorgasos, artisti magnogreci molto apprezzati.

Intrecci politici

Come già detto, fin dalla nascita il tempio assunse valenze fortemente plebee, e durante la sua lunga vita ebbe diversi punti di contatto con tale classe sociale.

Il tempio può essere considerato il centro dell'organizzazione politica ed economica della plebe, che proprio sull'Aventino aveva la sua storica roccaforte. Qui trovavano espressione gli editti della plebe.

Un interessante episodio dimostra le implicazioni politiche del tempio: nel 485 fu dedicato un simulacrum bronzeo (forse una statua) grazie ai beni confiscati al democratico filo-plebeo Spurio Cassio Vecellino. In questo caso la classe politica romana di stampo aristocratico volle dimostrare la sconfitta delle ambizioni democratiche del Cassio proprio nella sua roccaforte.


Santuario di Diana Planciana



Il santuario di Diana Planciana era un tempio di Roma, situato tra il Quirinale e il Viminale, all'inizio del Vicus Longus, come documentato su un'epigrafe..

Venne edificato dall'edile curile Gneo Plancius (da cui l'apellativo della dea) dopo il 55 a.C. Alla dea era anche stata eretta una statua in prossimità del santuario.


Santuario di Giove Dolicheno




Il santuario di Giove Dolicheno (in latino Dolocenum) era un tempio di Roma, situato sul colle Aventino.

Risaliva al tempo di Antonino Pio e i mattoni bollati testimoniano una data di costruzione posteriore al 138 d.C., mentre un'iscrizione è datata 150. Nella seconda metà del II secolo venne dotato di copertura (inizialmente era all'aperto), come segnalano i bolli delle tegole. Fu restaurato più volte, soprattutto nel III secolo, quando il culto di Giove Dolicheno, divinità originaria dell'Asia Minore, raggiunse il suo apogeo.

Il tempio era segnalato sui Cataloghi Regionari e grazie a vari ritrovamenti è stato collocato nell'area vicnino alle chiese la di Sant'Alessio e di Santa Sabina. Venne rinvenuto nel 1935 in occasione dell'apertura di via San Domenico, scavando lungo il lato settentrionale e parte dei lati brevi, dove è stato rinvenuto un cortile e tracce di una fase più antica, probabilmente augustea. La pianta totale del complesso misurava 22,60 x 12 metri. Era presente una sala più vasta, preceduta da atrio e seguita da un terzo vano quasi quadrato.

L'ambiente centrale era il più importante e qui vennero rinvenuti i resti di un altare e una grande iscrizione a Giove Dolicheno da parte di tali Annius Iulianus e Annius Victor. Nell'edificio vennero scoperte numerose statue, rilievi e iscrizioni, che evidenziavano un culto sincretico, che tendeva a aggregare le divinità più varie, in particolar modo quelle di edifici sacri vicini sull'Aventino: Diana, Iside, Serapide, Mitra, i Dioscuri, il Sole e la Luna. Questi oggetti oggi sono esposti nei Musei Capitolini.


Santuario di Semo Sancus Dius Fidius




L'antichissimo santuario di Semo Sancus Dius Fidius era un tempio antico di Roma, situato sul colle Quirinale.

Si trovava sulla sommità del Collis Mucialis (un sotto-rilievo del Quirinale), detto anche Sanqualis dalla vicina Porta Sanqualis, che a sua volta prendeva il nome proprio da questo santuario.

Secondo la leggenda era stato fondato dallo stesso Tito Tazio, re dei Sabini stanziati sul colle e dedicato alla divinità Sanco di origine sabina (il nome infatti non è di retaggio latino). Il tempio venne rifatto da Tarquinio il Superbo e inaugurato nel 466 a.C.

L'edificio conservava una statua bronzea che si riteneva raffigurasse la moglie di Tarquinio Prisco, Tanaquil, raffigurata nell'atto di filare con fuso e canocchia.

Attraverso scavi e iscrizioni è stato localizzato come nelle immediate vicinanze della chiesa di San Silvestro al Quirinale.



Scalae Caci



Le Scalae Caci ("scale di Caco", gigante avversario di Ercole) erano una scalinata dell'antica Roma.

Mettevano in comunicazione il Palatino (prima che divenisse residenza imperiale) con il Foro Boario.

Delle scale restano solo scarsi resti, posti nel sito delle Capanne del Palatino su uno strato repubblicano vicino ai resti del teatro di Cassio Longino del 154 a.C. Si racconta che nei loro pressi vi era la residenza di Romolo.


Sepolcro dei Domizi




Il Sepolcro dei Domizi, anche detto Mausoleo dei Domizi Enobarbi, è un'antica tomba della prima età imperiale, le cui vestigia sono situate a Roma, al di sotto della basilica di Santa Maria del Popolo, alle pendici del Pincio.

Qui vennero sepolte le ceneri di Nerone, che erano conservate in un'urna di porfido, sormontata da un altare di marmo lunense.

La distruzione del sepolcro

La distruzione del mausoleo avvenne, agli inizi del XII secolo, per volere di Papa Pasquale II, allo scopo di eliminare la memoria popolare di Nerone che ancora sopravviveva ad oltre un millennio dalla morte . Pasquale II era uomo particolarmente superstizioso, ossessionato dai corvi che volteggiavano sul noce secolare piantato nelle adiacenze della tomba dei Domizi Enobarbi. Egli era terrorizzato dall'idea che quei corvi fossero demoni in attesa della reincarnazione dell'imperatore Nerone, da secoli identificato come l'anticristo.

La convinzione di Pasquale era nata dallo strampalato sillogismo di alcuni autori cristiani come Vittorino, Commodiano e Sulpicio Severo, che avevano messo in relazione il passo 13-15 dell'Apocalisse di Giovanni "Bestia il cui numero è 666" con il fatto che sommando il valore numerico delle lettere che compongono le parole "Nerone Cesare" in lingua ebraica, si ottiene il numero 666.

Per nulla impressionato da tali colte sciocchezze, il popolino di Roma continuava, nella ricorrenza della morte (9 giugno), a portare fiori sulla tomba di Nerone: l'imperatore forse più amato e maggiormente rimpianto.

Per timore dei demoni o, più credibilmente, per impedire l'omaggio popolare a colui che la Chiesa aveva bollato come anticristo, il Papa fece radere al suolo il mausoleo dei Domizi Enobarbi e tagliare il noce secolare. Al loro posto, fu eretta una cappella: nucleo originario di quella che oggi, dopo varie trasformazioni e ampliamenti, è la basilica di Santa Maria del Popolo, in Piazza del Popolo a Roma. Le ceneri di Nerone, con tutta probabilità, furono invece gettate nel fiume Tevere.

Al fine di placare il malcontento popolare per la profanazione, venne diffusa la voce che i resti di Nerone fossero stati traslati in un mausoleo sulla via Cassia, fuori dalle mura cittadine. Forse le autorità speravano nella distanza per scoraggiare l'annuale pellegrinaggio che, al contrario, continuò. Tant'è che a tutt'oggi la zona è denominata Tomba di Nerone, sebbene l'epigrafe latina indichi chiaramente essere il sepolcro del prefetto Publio Vibio Mariano.



Settizonio




Il Settizonio o Settizodio (latino: Septizodium o Septizonium o Septisolium) era una facciata monumentale di un ninfeo, dall'aspetto di scena teatrale vitruviana, a più piani di colonne, fatta innalzare dall'imperatore Settimio Severo nel 203 ai piedi del colle Palatino, a Roma. Esso sorgeva sul lato sud-orientale del Palatino e costituiva la facciata della Domus Severiana su questo lato, affacciato sulla via Appia. La Domus e il Settizonio costituivano un'ala aggiunta alla Domus Augustana da Settimio Severo, a sud dello Stadio palatino, nell'ambito della sistemazione delle pendici meridionali e sud-orientali del colle, dove vennero completati gli edifici termali avviati circa un secolo prima da Domiziano.



Etimologia

L'etimologia del nome è incerta: nonostante siano state fatte varie congetture sull'interpretazione del termine in senso letterale, come una struttura divisa in sette sezioni, su tutte le stampe, anche le più antiche, ne sono visibili soltanto tre.

Una interessante ipotesi identifica il settizonio come una struttura idrica monumentale, che conteneva le statue delle sette divinità planetarie (nell'ordine): Saturno, Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere. Sono noti altri esemplari di settizonio, che però sono tutti (con l'eccezione di quello di Roma, quindi) in Africa: Henschir Bedd, Lambaesis, Lilybeum e Cincari.

Nel Medioevo ci si riferiva all'edificio e alla zona adiacente con i termini Septemsolium, Septasolis e Septem Solia.

Storia

Le fonti parlano di un primo septizonium, costruito prima del 40, in cui nacque l'imperatore Tito.

L'imponente edificio severiano lungo quasi 100 metri, sorgeva nella valle tra Celio e Palatino, accanto al Circo Massimo, lungo la via Appia. Secondo le fonti, l'imperatore volle con quest'opera monumentalizzare questo lato del colle, ma soprattutto impressionare coloro che da sud, percorrendo la via Appia, giungevano a Roma, in particolare i suoi conterranei dell'Africa. Verosimilmente costituiva una sorta di quinta scenografica dell'agglomerato sud dei palazzi severiani. Per breve tempo ospitò la tomba dell'imperatore Geta, figlio di Settimio Severo.

L'edificio era già in rovina alla fine dell'VIII secolo e quel che ne restava divenne una delle fortezze baronali da cui nel medioevo si dominava quel che restava di Roma. Crollata la sezione centrale, le due parti delle rovine erano dette Septem solia maior e Septem solia minor. I resti della struttura dovettero entrare nel sistema di fortificazioni dei Frangipane, se la vedova di Graziano Frangipane - che nel 1223 ospitò lì presso, nella Torre della Moletta, il suo amico e maestro Francesco d'Assisi - era detta Jacopa de' Settesoli.

L'8 gennaio 1198 vi si tenne il primo conclave della storia, che elesse papa Innocenzo III.

La distruzione e il prelievo di materiali proseguirono nei secoli. La demolizione definitiva si dovette a Sisto V, e Rodolfo Lanciani descrisse dettagliatamente come le antiche pietre andarono a rivestire mezza Roma:

« Il rimanente venne distrutto da papa Sisto V nell'inverno 1588-89 per mano del suo architetto Domenico Fontana. I lavori costarono al papa 905 scudi, abbondantemente compensati dal ricavato in peperino, travertino, marmi rari e colonne.
Trentatré blocchi di pietra furono usati nella fondazione dell'obelisco di Piazza del Popolo; 104 blocchi di marmo nel restauro della Colonna Antonina, includendo la base della statua di San Paolo che la corona; 15 nella tomba del Papa nella Cappella del Presepio in Santa Maria Maggiore, e altrettanti nella tomba di Pio V; la scalinata della Casa dei Mendicanti presso Ponte Sisto, il «lavatore» delle Terme di Diocleziano, la porta del Palazzo della Cancelleria, la facciata nord di San Giovanni in Laterano, con il cortile e la scalinata, infine la chiesa di San Giacomo degli Schiavoni, usufruirono delle spoglie del Septizodium »



Descrizione

L'edificio è noto dalla pianta sulla Forma Urbis severiana e da disegni rinascimentali. Il prospetto era lungo 89 metri e simile alle frontescena teatrali: vi si aprivano tre nicchioni semicircolari e alle estremità si trovavano due avancorpi a base quadrata, movimentando con spigoli retti e ampie curvature il fronte, che era composto di tre piani colonnati di altezza decrescente verso l'alto. Nelle nicchie si trovavano altrettante fontane a base circolare, con un'unica vasca che ne raccoglieva le acque, in basso.

L'ispirazione generale è da mettere in correlazione con il gusto asiano "barocco", mentre non possediamo sicuri frammenti architettonici che permettano di verificare se anche la decorazione fosse di gusto analogo. Come modelli si possono citare il ninfeo di Mileto, di epoca traianea, e il ninfeo di Aspendos, di epoca adrianea, che a loro volta si ispiravano alle scene degli edifici teatrali che inizialmente erano dotate di giochi d'acqua: non a caso fu proprio in quest'epoca che si diffusero gli spettacoli di mimo acquatico entro vasche (colimbétre), adattate nell'iposcenio o nell'orchestra.
 
Top
Nimue
view post Posted on 4/7/2013, 17:18     +1   -1




Tempio della Fortuna equestre




Il tempio della Fortuna equestre (latino: aedes Fortunae Equestris) era un tempio di Roma antica dedicato alla fortuna degli equites.

Fu eretto a seguito del voto di Quinto Fulvio Flacco nel 180 a.C., in memoria di una vittoria della cavalleria romana sui Celtiberi durante la sua campagna in Spagna, e dedicato il 13 agosto 173 a.C..

Edificato nei pressi del teatro di Pompeo, Flacco volle farne il più grande e più splendido tempio di Roma: prelevò persino alcune tegole di marmo dal tempio di Giunone Lacinia a Crotone, ma il Senato romano gli ordinò di ricollocarle al loro posto.

Il tempio, ricordato da Vitruvio come esempio "sistilo" (con l'intercolumnio pari a due volte il diametro delle colonne), scomparve prima del 22: probabilmente fu distrutto nell'incendio della scena del teatro di Pompeo, nel 21.


Tempio della Fortuna Primigenia (Roma)






Il Tempio di Fortuna Publica Populi Romani Quiritium Primigenia (in breve tempio della Fortuna Primigenia) era un tempio di Roma antica, situato sul colle Quirinale al di fuori di Porta Collina.

Si tratta di uno dei tre templi di Fortuna sul Quirinale, dove si adorava la Fortuna Primigenia, divinità protettrice di Preneste (oggi Palestrina).

Il tempio era stato votato nel 204 a.C. dal console Publio Sempronio Tuditano, prima della battaglia di Crotone contro Annibale (Livio XXIX, 36,8) e dedicato il 25 maggio 184 a.C. da Quinto Marcio Ralla (Livio XXXIV, 53). Si tratta probabilmente del tempio dove venne riportato un prodigio nel 169 a.C.: sempre Livio (XLIII, 13) riporta come un custode del tempio di Fortuna sul Quirinale avesse assistito a un albero di palma nascere miracolosamente nel tempio e a una goccia di sangue cadere in pieno giorno, mentre in un altro tempio di Fortuna un diverso custode aveva osservato l'apparizione prodigiosa di un serpente crestato.


Tempio della Gens Flavia





Il tempio della gens Flavia (in latino Templum Gentis Flaviae) era un tempio dell'antica Roma situato sul colle Quirinale in posizione ancora non del tutto certa.




Storia e descrizione

Era stato costruito da Domiziano, sul sito della casa di suo padre, Vespasiano, in cui egli stesso era nato, nel 51 d.C. e consisteva nel mausoleo dove furono sepolti i membri della famiglia imperiale e in un tempio, inseriti in un recinto sacro.

In passato era stata avanzata l'ipotesi che si trovasse sotto la Caserma dei corazzieri del palazzo del Quirinale, dove sono stati scavati vari resti: un tratto di Mura serviane, un podio di un tempio e un edificio templare dell'età flavia.

Quest'ultimo edificio, dotato di ninfeo con mosaici parietali di quarto stile era forse la casa privata di Vespasiano, mentre il podio potrebbe essere pertinente al tempio della gens Flavia, come sembra avvalorare anche una fistula trovata nelle vicinanze con il nome di Flavio Sabino, fratello di Vespasiano.

Una più recente ipotesi, secondo la quale la casa di Vespasiano era prossima, ma non identica a quella del fratello, identifica il tempio con resti rinvenuti sotto le terme di Diocleziano (tra l'aula ottagona, un tempo utilizzata come planetario, e la chiesa di San Bernardo), eliminati in occasione della costruzione del complesso, ad eccezione dell'edificio centrale, rimasto in vista nel recinto delle stesse terme. I resti permettono di ipotizzare un esteso recinto porticato sui quattro lati, con esedre alternativamente circolari e rettangolari sporgenti dal muro di fondo. Al centro un amplio podio che doveva sorreggere un edificio di forma oggi sconosciuta. Dalla decorazione del complesso provengono una testa colossale di Tito oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli, rinvenuta nelle vicinanze, e i frammenti di rilievi del cosiddetto "dono Hartwig", rinvenuti durante la costruzione dei portici dell'attuale piazza della Repubblica (che ripetono la pianta della grande esedra delle terme di Diocleziano).


Tempio della Luna (Italia)




Il tempio della Luna (in latino: templum o aedes Lunae) era un tempio dell'antica Roma, dedicato sul colle Aventino alla Luna. La sua dedica era celebrata il 31 marzo.

Secondo Tacito (Annales, xv.41), il tempio fu costruito dal re Servio Tullio, ma la prima menzione del tempio della Luna si trova in occasione di un prodigio avvenuto nel 182 a.C., quando un colpo d'aria impetuoso scardinò una delle sue porte e la mandò a sbattere contro il retro del tempio di Cerere. Questo racconto rende probabile la localizzazione del tempio sulla estremità settentrionale del colle, proprio sopra la porta Trigemina. Il tempio fu poi colpito da un fulmine all'epoca della morte di Cinna; inoltre, dopo la distruzione di Corinto, Mummio dedicò alcune delle spoglie della città greca in questo tempio. Il tempio della Luna fu poi distrutto nel grande incendio di Roma del 64, e non venne successivamente riedificato.

Nel 123 a.C. cercarono inutilmente rifugio in questo tempio Gaio Sempronio Gracco e i suoi sostenitori, durante la fuga da Roma: Gracco, saltando giù dal podio (che doveva essere alto due o tre metri), si lussò una caviglia.


Tempio della Magna Mater




Storia

Il difficilissimo periodo della seconda guerra punica aveva indotto i Romani a sentirsi perseguitati dagli dèi, per cui, tra i vari episodi per riconquistare la grazia divina, ci fu quello dell'introduzione in città del culto della Grande Madre, Cibele, deciso nel 204 a.C. dopo la consultazione del libri sibillini.

La divinità era venerata in Asia Minore, a Pessinunte, dove era simboleggiata da una pietra nera a forma di cono allungato, probabilmente un pezzo di meteorite. Venne inviata un'ambasceria al santuario e il simulacro venne inviato a Roma, tramite nave, dove fu temporaneamente alloggiato nel tempio della Vittoria sul Palatino.

Un nuovo tempio venne subito costruito sullo stesso colle: poiché la dea era originaria della Troade, mitica patria dei Romani, il culto poté essere instaurato direttamente nel pomerio cittadino. L'11 aprile del 191 a.C. il tempio venne dedicato a costruzione conclusa. In onore della dea si tennero per la prima volta i Ludi Megalensi, celebrati con spettacoli teatrali per i quali scrissero alcune delle loro migliori opere Plauto e Terenzio.

Il tempio bruciò due volte: nel 111 a.C., dopo un incendio, quando venne restaurato da un Metello (probabilmente il già console Gaio Cecilio Metello Caprario) e nel 3 d.C. quando venne fatto ricostruire da Ottaviano Augusto.

Descrizione

I resti del tempio sono stati identificati con sicurezza tra le capanne arcaiche e la Domus Tiberiana, nelle vicinanze della Casa di Augusto: qui è stata ritrovata anche la statua della dea e l'iscrizione sul lato destro della facciata: M(ater) D(eum) M(agna) I(daea).

Esiste una raffigurazione dell'edificio in un rilievo dell'età di Claudio, murato nella facciata posteriore di Villa Medici, dove il tempio è raffigurato corinzio e esastilo, con alta scalinata; non aveva colonne sui lati (prostilo).

Il basamento superstite del tempio è molto probabilmente relativo alla prima costruzione, in opera incerta molto rozza, con restauri in opera quasi reticolata relativi al riparo dei danni del 111 a.C. Risalgono a questa fase anche alcune colonne in peperino oggi giacenti vicino al podio, mentre i capitelli corinzi e i frammenti di frontone risalgono all'età augustea.

Templi vicini

Accanto al tempio si trova un sacello di età augustea, interpretato come un Auguraculum o, più probabilmente, il tempio di Giunone Sospita. Un terzo edificio religioso, subito a nord delle Scalae Caci era forse il tempio di Vesta costruito da Ottaviano Augusto nei paraggi della sua casa.

Infine ai piedi della terrazza sul lato ovest dovrebbe essere stato, secondo le fonti, il Lupercale.


Tempio della Pudicizia Patrizia




Il Tempio della Pudicitia Patrizia era un sacello di Roma antica, situato nel Foro Boario, citato da Livio in contrapposizione col sacello della Pudicitia Plebeia, sul colle Quirinale.

Il piccolo luogo di culto, che doveva disporre di statua e altare, è descritto nei pressi del tempio di Ercole dell'Emiliano, ovvero il tempio di Ercole Invitto. Oltre che da Livio (10.23.3-5) il tempio è citato anche da Festo (282L), anche se c'è chi ne ha negato l'esistenza, affermando che Livio si sarebbe sbagliato a interpretate una statua di Fortuna in maniera da costruire una valida contrapposizione con il tempio della Pudicizia Plebea, la cui fondatrice Virginia sarebbe stata scacciata da questo tempio per il suo matrimonio in seconde nozze con il futuro console Lucio Volumnio: l'accesso al tempio della Pudicizia Patrizia era infatti consentito solo alle donne che si erano maritate una volta sola


Tempio della Pudicizia Plebea







Il Tempio della Pudicitia Plebeia era un sacello di Roma antica, situato sul colle Quirinale, lungo il Vicus Longus, equivalente all'attuale via Nazionale.

Fu eretto nel 296 a.C. da Virginia, moglie del plebeo diventato console Lucio Volumnio, in una sezione della loro casa. Secondo Livio (10.23.6-10) il sacello era sorto in contrapposizione con il sacello della Pudicitia Patricia (del quale l'esistenza non è certa, forse si trattava di uno dei templi di Fortuna nel Foro Boario), quando Virginia, di nascita patrizia, ne era stata esclusa per via del suo matrimonio con un plebeo. Livio racconta come il culto decadde e poi venne dimenticato per via dell'estrema apertura a qualsiasi donna, in contrapposizione col principio di "pudicizia"; Festo però nel II secolo d.C. citava il culto come ancora esistente ai suoi tempi.
 
Top
32 replies since 22/4/2013, 07:07   2643 views
  Share