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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 1/11/2010, 15:13 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Tindareo

Re di Sparta, figlio di Ebalo o di Periere e della naiade Batia o di Gorgofone.
Alla morte di Ebalo, Ippocoonte, fratellastro di Tindareo, lo scacciò da Sparta insieme col fratello Icario, benché taluni dicano che Icario fosse d'accordo con Ippocoonte. Tindareo riparò presso il re Testio in Etolia, del quale sposò più tardi la figlia Leda; lo aiutò in alcune imprese di guerra; infine partecipò a una spedizione di Eracle contro Ippocoonte e i suoi dodici figli. Dopo la conclusione vittoriosa di questa impresa, Tindareo riconquistò il trono di Sparta. Leda gli diede molti figli: Elena era figlia di Zeus e lo erano anche i Dioscuri, Castore e Polideuce; le altre figlie, Clitemnestra, Timandra, Filonoe e Febe, erano figlie di Tindareo.
Quando Tieste uccise Atreo, Agamennone e Menelao si rifugiarono a Sparta dove Tindareo diede loro in spose rispettivamente Clitemnestra ed Elena e li aiutò a riconquistare il regno di Micene per Agamennone, il maggiore dei fratelli. Clitemnestra era in realtà già sposata a Tantalo, re di Pisa e figlio di Brotea, ma Agamennone lo uccise insieme al figlio e la sposò. La mano di Elena era stata chiesta, a causa della sua grande bellezza, da tutti i più importanti principi greci. In verità Teseo di Atene l'aveva già portata via da Sparta con l'intenzione di sposarla, ma non era ancora in età da marito (aveva infatti dodici anni appena) e l'eroe l'aveva affidata a sua madre Etra nel villaggio attico di Afidna. I fratelli di Elena, i Dioscuri, erano però giunti a salvarla. Ora tutti i pretendenti alla sua mano giunsero a Sparta e Tindareo si trovò nella grave difficoltà di fare la sua scelta. Consigliato da Odisseo sacrificò un cavallo e chiese a tutti i pretendenti di giurare che avrebbero accettato l'uomo scelto, chiunque egli fosse, e che avrebbero protetto i suoi diritti coniugali. Fu proprio questo giuramento che più tardi spinse i principi greci a partecipare alla guerra di Troia per togliere Elena a Paride.
Tindareo diede Elena a Menelao, fratello di Agamennone, i cui doni si dimostrarono i più ricchi e premiò Odisseo aiutandolo a conquistare la mano di sua nipote, Penelope, figlia di Icario.
Un triste fato tuttavia incombeva sul matrimonio di Elena e Menelao: anni prima mentre stava sacrificando agli dèi, Tindareo si era stupidamente scordato di Afrodite che si vendicò giurando di rendere famose per i loro adulteri le tre figlie del re. Infatti, Clitemnestra tradì il consorte con Egisto, Elena con Paride e Deifobo e Timandra, la quale aveva sposato Echemo, re dell'Arcadia, con Fileo figlio di Augia.
Tindareo aveva perduto i suoi figli, i Dioscuri, nella battaglia contro Ida e Linceo, chiamò Menelao a Sparta e gli affidò il regno. Secondo Euripide visse abbastanza a lungo da accusare Oreste, figlio e uccisore di Clitemnestra, davanti all'Areopago di Atene del delitto di matricidio, o nella stessa Argo, davanti al tribunale del popolo.
Fu uno di coloro che Asclepio risuscitò da morte ed era onorato come eroe a Sparta.

Tindaro

Tindaro (o Tindareo) è una figura della mitologia greca, figlio di Ebalo e della ninfa Bateia (da altre versioni, di Periere e di Gorgofone).

Era il re di Sparta che, destituito insieme al fratello Icario dal fratellastro Ippocoonte, fuggì presso re Testio di Calidone. Testio aveva due figlie: Altea che sposò Oineo e Leda che, per quanto amata da Zeus, sposò Tindaro e dal quale ebbe quattro figli: Castore, Polluce, Elena e Clitennestra. Secondo il mito, solo Clitennestra era in realtà figlia di Tindaro, mentre Zeus, che aveva sedotto Leda sotto le spoglie di un maestoso cigno, era il vero padre di Elena, Castore e Polluce.

Organizzò poi con Eracle un attacco vittorioso contro Sparta per riconquistare il trono.

Elena era una magnifica fanciulla e in breve la corte fu assalita dai pretendenti. Spaventato dal numero, Tindaro fece giurare a tutti, su suggerimento di Ulisse, anch'egli in un primo momento fra i pretendenti alla mano della ragazza, che chiunque fosse stato il fortunato sposo, tutti loro avrebbero dovuto correre in suo aiuto in caso di necessità.

Elena sposò Menelao. Quando Paride rapì Elena e la portò a Troia, dando inizio alla guerra, Tindaro fece appello al suo giuramento e chiese agli ex pretendenti il loro aiuto.

Tiresia

Tiresia è una figura della mitologia greca. Il celebre indovino era figlio di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Tiresia ebbe una figlia, Manto, anche lei indovina.

Il mito racconta che passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), vide due serpenti che copulavano, ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo.

Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: chi potesse provare in amore più piacere: l’uomo o la donna. Non riuscendo a giungere ad una conclusione, dato che Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l’uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo che donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere sessuale si compone di dieci parti: l’uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché l’indovino aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni.

In altre versioni del mito fu la stessa madre a chiedere il dono della profezia, dopo che la dea Atena lo aveva accecato per punirlo di averla vista nuda mentre si faceva il bagno.

Nel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfussa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.

La storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle metamorfosi (per quanto riguarda l'episodio di "transessualità") e da Stazio nella Tebaide.

Dante Alighieri lo citò vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino però non fa accenno alle sue arti divinatorie ma cita solo il prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito due serpentelli, che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Forse all'Alighieri qui interessava solo deprecare come i maghi talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere "preveggente" in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.

Tiro
(mitologia)
Tiro è una figura della mitologia greca, figlia di Salmoneo e di Alcidice.

Nel libro XI dell'Odissea, si narra del suo amore impossibile per il dio fluviale Enipeo in quanto, oltre a non essere ricambiato da Enipeo, era osteggiato da Sidero seconda moglie di Salmoneo. La cosa non sfuggì a Poseidone che per sedurla ne assunse le sembianze.

Dall'unione tra Poseidone e Tiro nacquero due gemelli. Quando si accorse però che i nascituri non erano figli avuti con Enipeo, per la vergogna Tiro li mise al mondo segretamente e poi li abbandonò su una montagna.

Furono salvati da un guardiano di cavalli che ne aveva udito i loro gemiti, in quanto uno dei due era stato inavvertitamente scalciato da uno dei suoi cavalli. Il guardiano chiamò costui Pelia, per il livido che portava sulla fronte, e l'altro Neleo. Divenuti adulti, i due vollero vendicarsi contro Sidero, e Pelia l'uccise presso l'altare del tempio di Era dove s'era rifugiata.

Finalmente libera dalle angherie della matrigna Tiro si sposò con Creteo, fratello di Salmoneo, e dal quale ebbe tre figli. Il più noto fu Esone, che sarà padre di Giasone, l'eroe del vello d'oro, gli altri due Fere e Amitaone.

La vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei.

Tirreno

Figlio del re della Lidia Ati e di Callitea, eroe eponimo dei Tirreni (Etruschi). A seguito di una carestia, guidò gli emigranti Lidi fino all'Etruria, dove presero il nome di Tirreni. Secondo un'altra tradizione, figlio di Eracle e Onfale. Era ritenuto l'inventore della tromba e diede il suo nome al mare occidentale italico.

Tisameno

Tisameno, nella mitologia greca, era il figlio di Oreste e di Ermione.

Aveva come figli: Daimene, Spartone, Telle, Leontomene e Cometa.

Aveva ereditato il titolo di re di Argo dal padre, dovette poi cederlo agli eraclidi Euristene e Procle (oppure al loro padre Aristodemo).

Un altro Tisameno era re di Tebe, figlio di Tersandro e Demonassa, figlia di Anfiarao. Quando Tersandro morì in Misia nella guerra di Troia, Peneleo diventò reggente di Tisameno fino a maggiore età. Suo successore fu il figlio Autesione.

Tisifone 1

Una delle tre Erinni, innamorata del bell'eroe Citerone, ma questi disprezzava il suo amore. Allora Tisifone trasformò uno dei suoi capelli in un serpente che con un morso uccise Citerone. Il suo nome venne dato alla montagna che, prima, si chiamava Asterione.

Tisifone 2

Figlia di Alcmeone e di Manto e sorella di Anfiloco. Alcmeone affidò i suoi figli a Creonte, re di Corinto, perché li allevasse. Anni dopo la moglie di Creonte, invidiosa della straordinaria bellezza di Tisifone, la vendette come schiava, temendo che il re ne facesse sua moglie. La ragazza fu acquistata dal proprio padre, Alcmeone, che non la riconobbe. Quando Alcmeone ritornò a Corinto, richiese i suoi figli. Il re non potè rendergli che il figlio Anfiloco e, a quel punto, ci si accorse che la schiava acquistata era Tisifone. Così Alcmeone ritrovò i suoi due figli.

Titone


Nella mitologia greca Titone, detto anche Titono era figlio di Laomedonte e della figlia del dio fluviale Scamandro, chiamata Strimo. È fratello di Podarce, che in seguito sarà chiamato Priamo e che diverrà re di Troia. Gli altri suoi fratelli sono Clitio, Icetaone, Lampo e le tre sorelle, Esione, Astioca e Cilla.

Fu amato da Eos (l'aurora), con la quale ebbe un figlio, Memnone, che partecipò alla Guerra di Troia.

La leggenda narra che Eos chiese a Zeus di donargli l'immortalità, dimenticando di richiedere anche l'eterna giovinezza. Vedendo il suo amato diventare sempre più vecchio e privo di forze, Eos ottenne che fosse mutato in cicala.

Tizio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Nella mitologia greca, Tizio (o Titio) era uno dei Giganti, figlio di Zeus ed Elara.

Nascita


Zeus, timoroso della vendetta di Era, decise di nascondere l'amante Elara, figlia di Orcomeno, nelle viscere della terra della Beozia: qui nacque il gigante Tizio. Secondo Omero, invece, quest'ultimo sarebbe stato figlio di Gea; Apollonio Rodio cerca di mediare tra le due tradizioni, facendo di quest'ultima la balia del Gigante.

Morte


Era, per punire Latona, che aveva dato alla luce i figli di Zeus Apollo ed Artemide, ispirò un violento desiderio al gigante. Tizio andò, così, alla ricerca di Latona. Ella si trovava nel bosco di Panopeo dove adempieva ad un rito, quando il gigante Tizio irruppe, cercando di violentarla. Le sue grida furono udite da Artemide e Apollo, che, subito giunti, uccisero il gigante con una moltitudine di frecce. Secondo Pindaro e Callimaco, fu la sola Artemide a ammazzarlo; secondo Apollonio Rodio e Quinto Smirneo, Apollo. Zeus considerò quest'uccisione, nonostante Tizio fosse suo figlio, un atto di giustizia dovuta. Secondo un'altra versione, del resto, fu lo stesso Zeus ad ucciderlo.

Supplizio nel Tartaro

Giunto nel Tartaro, Tizio fu condannato ad un'orribile tortura: le sue braccia e le sue gambe furono fissate con forza al suolo, tanto che il suo gigantesco corpo copriva due (o piuttosto nove, secondo Properzio) acri, mentre due avvoltoi, due aquile o un serpente avrebbero per l'eternità divorato il suo fegato.

Progenie


Secondo una versione del mito, Tizio ebbe per figlio Taso, mentre dalla figlia Europa[9] nacque Eufemo, uno degli Argonauti.

Tlepolemo

Tlepolemo era un eroe della mitologia greca, figlio di Eracle e di Astioche (oppure di Astidamia).

Genealogia

Secondo Omero, Tlepolemo era figlio di Eracle e di Astioche, a sua volta figlia del re di Efira, Filante, che, per sfuggire a una vendetta familiare per aver ucciso lo zio Licinnio, si sarebbe rifugiato nell'isola di Rodi, dove avrebbe fondato le città di Lindo, Ialiso e Camiro. Secondo Pindaro, invece, Tlepolemo era figlio di Astidamia, a sua volta figlia del re di Dolopia Amintore, e sarebbe partito per l'isola di Rodi in seguito al responso di un oracolo.

Biografia


Tlepolemo uccise Licinio, anziano zio materno del padre, e per sfuggire alla vendetta dei parenti si trasferì da Argo, città di cui era re, in una zona disabitata dell'isola di Rodi dove fondò le tre città di cui divenne automaticamente il sovrano; Tlepolemo compare nel secondo canto dell'Iliade come comandante delle truppe di Rodi. La morte di Tlepolemo è narrata nel quinto canto dell'Iliade: Tlepolemo sfida il capo dei Lici Sarpedonte. Nel duello Tlepolemo muore ma ferisce gravemente l'avversario.

Igino cita Tlepolemo anche fra i pretendenti di Elena[5], e in quanto tale avrebbe partecipato alla guerra di Troia. Dopo la sua morte, la regina Polisso, sua moglie, lo avrebbe vendicato uccidendo Elena.

Tlepolemo Damastoride


Tlepolemo, personaggio dell'Iliade, era figlio di Damastore e fu un guerriero troiano.

Tlepolemo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Tmolo

Re della Lidia, figlio di Ares e di Teogone. Mentre cacciava sul monte Carmanorio, s'innamorò della cacciatrice Arippe, una casta sacerdotessa di Artemide. Arippe, sorda alle minacce e alle lusinghe di Tmolo, si rifugiò nel tempio della sua signora dove, incurante della santità del luogo, il re la violentò sul giaciglio della dea stessa. Arippe s'impiccò a una trave, dopo aver invocato Artemide che subito scatenò la furia di un toro; Tmolo fu lanciato in aria, ricadde su una palizzata appuntita e su ciottoli taglienti e morì tra atroci sofferenze. Il figlio Teoclimeno lo seppellì là dove l'aveva trovato, e chiamò "Tmolo" il monte. Una città dello stesso nome, costruita sulle sue pendici, fu distrutta da un grande terremoto durante il regno dell'imperatore Tiberio.

Toante

Nella mitologia greca, Toante era il nome di diversi personaggi.

Sotto tale nome troviamo:

* Toante, re di Calidone e Aleurone, nell’Etolia;

* Toante, figlio di Dioniso;

* Toante, figlio di Boristene;

* Toante il giovane, uno dei nomi del figlio di Giasone e Ipsipile;

* Toante, uno dei Giganti, che parteciparono alla rivolta contro Zeus e furono sconfitti dalle Moire.

Toante, re di Calidone e Aleurone


Toante figlio di Andremone e Gorge, uno dei pretendenti di Elena, partecipò alla guerra di Troia, schierato con Achille e i suoi compagni, al comando di una flotta composta da cinquanta navi.

Toante, figlio di Dioniso

Toante, figlio del dio Dioniso e di Arianna, divenne re di Lemno e sposò Mirina dalla quale ebbe due figli, Ipsipile e Sicino. Quando le donne dell’isola, stanche del comportamento degli uomini, li uccisero tutti, sua figlia gli risparmiò la vita, facendolo fuggire su una piccola nave.

Toante, figlio di Boristene


Toante, re della Tauride, in questo regno Artemide salvò Ifigenia portandola con sé.

Tosseo 1

Figlio di Eneo, re di Calidone in Etolia, e di Altea, fratello di Meleagro. Il padre lo uccise con le proprie mani perché il ragazzo saltò irriverente il fossato scavato a difesa della città.

Tosseo2

Figlio di Eurito, re d'Ecalia, e fratello di Ifito, Deione, Clizio e Iole.
Eracle, saputo che il suo amico Eurito aveva offerto la propria figlia Iole in sposa all'arciere che fosse stato capace di superare in una gara lui stesso e i suoi quattro figli, subito partì per quella sfida. Eracle vinse la gara senza difficoltà. Eurito ne fu assai amareggiato, e quando seppe che Eracle aveva ripudiato Megara dopo averne ucciso i figli, rifiutò di concedergli Iole in isposa e cacciò Eracle dal palazzo, ma l'eroe giurò di vendicarsi in seguito. Più tardi infatti, Eracle intraprese una spedizione contro Ecalia, conquistò la città, uccise Eurito con i figli e s'impadronì di Iole, che portò via come schiava.

Toote


Nella mitologia greca, Toote è il nome di un araldo acheo che accompagnò gli eserciti di Agamennone e Menelao alla guerra di Troia, sorta in seguito al rapimento di Elena ad opera del troiano Paride. È menzionato da Omero nel libro XII dell'Iliade.

Toote era il portavoce dell'esercito acheo al tempo dell'assedio di Troia. Sciolto dall'obbligo militare, era tuttavia sottoposto ai comandi dei condottieri greci e aveva l'obbligo di recapitare i messaggi assegnatili, indipendentemente dalla lontananza del destinatario.

Araldo di Menesteo


L'episodio omerico che lo vede protagonista si colloca nel libro XII dell'Iliade. Osservando la netta avanzata dei Lici, popolo alleato di Troia, contro la torre da lui difesa, Menesteo, re di Atene, temette per l'incolumità del suo contingente e tentò di richiamare l'attenzione di Aiace Telamonio, Aiace d'Oileo e Teucro con alte grida, soffocate tra l'altro dalle urla e dal suono metallico delle armi.

L'eroe si rivolse allora all'araldo Toote e lo supplicò di recare un messaggio ai due Aiaci con l'invito a raggiungerlo sulla sua torre. Toote riferì testualmente il comando ad Aiace Telamonio, il quale, accompagnato dal fratello Teucro e dal servo Pandione, si apprestò ad accorrere in aiuto.

Tossechine


Nella mitologia greca, Tossechine è il nome di un leggendario compagno di Filottete, menzionato da Quinto Smirneo nel libro XI della Posthomerica (poema epico che narra i fatti successivi all'Iliade di Omero).

Dotato di un nome inconsueto, Tossechine è descritto come un fedele amico dell'arciere Filottete, con cui partecipò alla guerra di Troia; Quinto Smirneo non fornisce altri dettagli su questa figura, ma ne tramanda la bontà d'animo.

Morte


Nell'ultimo scontro aperto tra Troiani e Achei, Filottete cercò di impedire la furiosa avanzata di Enea, scagliando una freccia contro un suo compagno, Medonte, che uccise sul colpo. L'eroe troiano, accecato dal dolore per la sua morte, afferrò un sasso e lo scagliò con violenza contro Tossechine, fracassandogli le ossa del capo all'interno dell'elmo, che rese vana ogni difesa. Stranamente, Filottete, pur avendo assistito alla morte dell'amico, non cercò di vendicarlo.

Trace (mitologia)

Trace era un figlio di Ares da una madre sconosciuta.

Probabilmente il mitico capostitipe dei Traci, guidò il suo esercito Edone in una campagna marittima contro le isole dell'Egeo, saccheggiò Lemno e altre isole circostanti.

Ma quando attaccò il santuario di Apollo a Delo, il Dio inflisse a lui e ai suoi uomini una "orribile malattia" (probabilmente lebbra).

Quando tornarono in Tracia non erano i benvenuti e fondarono una colonia nella piccola isola di Icaria.

Trambello

Figlio di Telamone e di Teanira. Fu allevato, a Mileto, dal re Arione, il quale ne aveva accolto la madre, fuggitiva. In seguito, Arione elesse Trambelo re dei parenti asiatici di Telamone, i Lelegi o, altri dicono, i Lesbi. Trambelo era innamorato di Apriate, un'eroina di Lesbo, ma lei non lo ricambiava. Allora il giovane decise di rapirla mentre ella passeggiava con le sue accompagnatrici. La ragazza si oppose e Trambelo la buttò in mare. Alcuni dicono che vi si gettò lei stessa, e morì annegata.
Quando, nel corso della guerra di Troia, Achille conquistò Mileto, Trambelo combattè contro di lui, e fu ucciso. Ma Achille, ammirando il valore del giovane, s'informò sulla sua identità e, venendo a sapere che era figlio di Telamone e perciò suo parente, provò grande dolore e gli innalzò una tomba sulla spiaggia.


Trasimede


Nella mitologia greca, Trasimede era uno dei figli di Nestore, re di Pilo, e di Anassibia.

Partecipò alla guerra di Troia insieme al fratello Antiloco, conducendo una flotta composta da quindici navi. Nel corso dei combattimenti, egli si distinse uccidendo Maride, un giovane e valoroso guerriero alleato dei Troiani, compagno di Sarpedone. Trasimede fu poi uno degli Achei ad entrare nel cavallo di legno.

Trasio


Trasio, (in greco Θρασίοσ), personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Trasio fu ucciso da Achille nell'azione bellica descritta nel libro XXI dell'Iliade relativo alla Battaglia del fiume.

Treco


Nella mitologia greca, Treco, era un provetto guerriero, proveniente dall’ Etolia, che si distinse durante la guerra di Troia.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone ci fu Treco, abilissimo guerriero esperto con la lancia.

Durante una delle tante battaglie trovò Ettore sulla sua strada, il greco non arretrò e combatté contro un uomo aiutato da Ares, il dio della guerra, che gli faceva compagnia.

Tritone

Figlio di Poseidone e di Anfitrite, fratello di Roda e Bentesicina. Viene rappresentato come una creatura con la testa e il corpo di uomo e una coda di pesce. Benché la sua dimora sia, generalmente, l'intero mare, Tritone è ritenuto talvolta il dio del lago Tritonio, in Libia.
Quando il terribile vento di nord-est si abbattè sugli Argonauti e in nove giorni li spinse verso le più remote spiagge della Libia, e laggiù un'enorme ondata sollevò l'Argo oltre le insidiose rocce che si sgranano lungo la costa e portò la nave all'asciutto a un miglio circa nell'entroterra, Giasone, confortato in sogno dalla triplice dea Libia, posta l'Argo su dei rulli, indusse gli Argonauti a spingerla a forza di spalle fino al lago salato Tritonio. Qui Tritone apparve sotto le sembianze di un bel giovane chiamato Euripilo e indicò loro quale direzione dovevano prendere per raggiungere il Mediterraneo. In cambio del dono ricevuto dai Greci (un massiccio tripode di bronzo), donò a Eufemo una zolla di terra magica, presagio della venuta in Cirenaica dei suoi discendenti. E infatti Batto, il fondatore della colonia di Cirene, passa per essere un discendente d'Eufemo. Proprio lui gettò nel mare quella sacra zolla da cui spuntò l'isola di Tera.
Tritone era ambiguo, spesso soccorrevole, ma talvolta anche maligno e ostile. In una locale leggenda beota, a Tanagra, si raccontava che, durante una festa di Dioniso, le donne del paese si bagnassero nel lago. E, mentre nuotavano, Tritone le aveva attaccate. Ma Dioniso, rispondendo alle loro preghiere, era giunto in aiuto e aveva messo Tritone in fuga. In un'altra occasione Tritone, avendo cercato di impossessarsi degli armenti, era caduto in trappola: gli abitanti del lago deposero sulla riva una brocca di vino, e Tritone, attirato dall'odore, si avvicinò e bevve. Poi si addormentò sul posto, ciò che permise di ucciderlo a colpi di scure.
Tritone viene associato alla conchiglia del buccino che usava come tromba per sollevare o placare le tempeste. Nella battaglia tra gli dèi e i Giganti, portava anche un tridente come suo padre Poseidone. In un mito che riguarda l'infanzia di Atena si narra che Tritone avesse una figlia, Pallade, con cui la dea giocava e che, durante un accesso d'ira, la dea uccise accidentalmente. La tradizione conosce un'altra figlia di Tritone, una sacerdotessa d'Atena chiamata Triteia, la quale fu amata da Ares dal quale ebbe un figlio, Melanippo, che fondò in Acaia la città di Triteia, attribuendole il nome della madre.

Trittolemo

Trittolemo è un eroe della mitologia greca legato alla dea Demetra ed ai misteri eleusini.

Trittolemo era figlio di Celeo, re di Eleusi, e di Metanira, mentre secondo altre fonti era figlio di Oceano e Gea.

Secondo la tradizione, Demetra mentre cercava la figlia Persefone giunse ad Eleusi nelle sembianze di una vecchia di nome Doso e fu accolta come ospite da Celeo, che le chiese di badare ai suoi due figli, Demofoonte e Trittolemo. Per ringraziare Celeo della sua ospitalità, Demetra decise di fargli il dono di trasformare Demofoonte in un dio. Ma mentre si accingeva a compiere il rituale fu interrotta da Metanira entrata nella stanza.

Demetra decise allora di insegnare a Trittolemo l’arte dell’agricoltura, cosicché potesse trasmettere la sua conoscenza ed insegnare ai Greci a piantare e mietere i raccolti. Sotto la protezione di Demetra e Persefone volò per tutta la regione su di un carro alato per compiere la sua missione di insegnare ciò che aveva appreso a tutta la Grecia.

Tempo dopo Trittolemo insegnò l’agricoltura anche a Linco, re della Scizia, ma costui rifiutò di insegnarla a sua volta ai suoi sudditi e tentò di uccidere Trittolemo: Demetra per punirlo lo trasformò allora in una lince.

Trofonio

Figlio di Apollo e di Epicasta, ma talvolta è ritenuto uno dei figli d'Ergino. Suo fratello Agamede era come lui un famoso architetto. Entrambi progettarono e costruirono a Delfi, il tempio di Apollo; il tempio di Poseidone, in Arcadia, sulla strada da Mantinea a Tegea; la casa d'Anfitrione, a Tebe; il tesoro d'Augia, a Elide; quello di re Irieo, a Iria. Nel costruire quest'ultimo edificio, avevano disposto una pietra in modo tanto scaltro che era facile per loro spostarla e, la notte, i due s'introfulavano nella tesoreria e rubavano del denaro. Irieo, vedendo diminuire il denaro senza che le porte fossero aperte, pensò di tendere una trappola intorno all'edificio, in cui Agamede restò imprigionato. Trofonio, non riuscendo a liberarlo, lo decapitò, affinché non svelasse il nome del complice, ma la terra si socchiuse e inghiottì Trofonio. Nel bosco sacro di Lebadea, sul posto dov'egli era stato inghiottito, fu innalzata una stele.
Il suo sepolcro fu dimenticato per qualche tempo; ma essendo sopraggiunta una carestia ad affliggere la Beozia, si andò a consultare l'oracolo di Delfi, il quale, per mezzo della Pizia, rispose che dovevasi ricorrere a Trofonio, e andare a cercarlo a Lebadea. I messi vi si recarono, ed ottennero la risposta, che indicò loro il modo come far cessar la carestia. Dopo quel fatto a Trofonio venne innalzato un tempio dove riceveva sacrifici in cambio di oracoli. I riti da effettuare per ottenere gli oracoli da Trofonio erano molto laboriosi e complessi. Il supplice doveva purificarsi con parecchi giorni d'anticipo, alloggiare in un edificio dedicato alla Buona Foruna e a un certo Buon Genio, bagnarsi soltanto nel fiume Ercina e sacrificare a Trofonio, alla sua nutrice Demetra e ad altre divinità. In quel periodo il supplice doveva nutrirsi di carni sacre, specialmente delle carni dell'ariete offerto in sacrificio all'ombra di Agamede, fratello di Trofonio, che lo aiutò a costruire il tempio di Apollo a Delfi.
Secondo un'altra leggenda, Trofonio e Agamede che avevano costruito il tempio di Apollo, richiesero al dio il loro salario, questi promise di pagarli al termine di sette giorni. Nell'attesa consigliò loro di vivere allegramente e abbandonarsi a ogni piacere per sei giorni. Al settimo giorno ambedue furono trovati morti nei loro letti. Era la migliore paga che il dio potesse dare loro.

Troilo

Troilo è un personaggio leggendario associato alla storia della guerra di Troia. Il primo riferimento a lui si trova nell' Iliade, la quale venne messa per iscritto nel VII o VIII secolo a.C.

Nella mitologia classica, Troilo è un giovane principe Troiano, uno dei figli del re Priamo (o talvolta di Apollo) e di Ecuba. Le profezie legate al destino di Troilo erano legate a quelle di Troia: una affermava che egli sarebbe stato catturato e ucciso da Achille, un'altra diceva che se egli fosse morto prima dei vent'anni la città sarebbe caduta. Sofocle era uno degli scrittori che si interessarono a questa storia. Essa era anche un tema molto diffuso tra gli artisti del tempo. Egli era anche considerato come un paragone della giovane bellezza maschile.

Nell'Europa Occidentale del Medioevo e nelle versioni rinascimentali della leggenda, Troilo appare come il più giovane dei cinque figli legittimi di Priamo, avuti da Ecuba. Malgrado la sua giovinezza, egli è uno dei più forti capitani troiani nella guerra di Troia. Il giovane morì poi in battaglia per mano di Achille. In un'aggiunta popolare della vicenda, avuta origine nel XII secolo, Troilo s'innamora di Cressida, il cui padre ha disertato i Greci. Cressida garantisce il suo amore a Troilo ma presto trasferisce il suo affetto all'eroe greco Diomede, per ottenere la libertà del padre, preso in ostaggio dai Greci. Chaucer e Shakespeare sono tra gli autori che scrissero opere incentrate sulla vicenda di Troilo e Cressida. Sin dalla tradizione medievale, Troilo era considerato un paragone del fedele amante cortese e anche del virtuoso cavaliere pagano.

Poca attenzione venne rivolta al personaggio durante il XVIII e il XIX secolo. Comunque, Troilo venne riconsiderato nel XX e XXI secolo da autori che scelsero elementi dalla versione classica e medievale della leggenda.

Troo

Secondo la mitologia greca Troo, fu un Re della Dardania figlio di Erittonio, da cui ereditò il trono, e padre di tre figli: Ilo, Assaraco e Ganimede. È l'eponimo di Troia, città che venne chiamata anche Ilio dal nome di suo figlio. Secondo due diverse versioni della leggenda sua moglie fu Calliroe, figlia del dio del fiume Scamandro, oppure Acallaride, figlia di Eumede.

Quando Zeus rapì Ganimede, Troo si addolorò per il destino del figlio: commosso, Zeus inviò da lui Ermes con due cavalli così veloci da poter correre sull'acqua. Ermes rassicurò Troo, dicendogli che Ganimede era diventato immortale e sarebbe stato il coppiere degli dei, un ruolo di assoluto riguardo.

Secondo una variante della leggenda Ganimede è invece figlio di Laomedonte, nipote di Troo.

È da Troo che la stirpe dei Dardanidi prese il nome di Troiani e la loro terra venne chiamata Troade. Nell' Iliade Troo è anche il nome di un guerriero troiano, figlio di Alastore.

Troo
(figlio di Alastore)

Troo è un personaggio citato nel ventesimo libro dell'Iliade.

Troo era un giovane troiano figlio di Alastore (omonimo di un guerriero licio).

La morte


Troo fu il guerriero troiano che più di ogni altro si arrese al grande nemico Achille, che era ritornato in battaglia dopo che l'antagonista del poema Ettore, figlio del re Priamo, gli ebbe ucciso l'amico che aveva mandato al soccorso dei Greci Patroclo, acconsentendogli di prestargli le sue armi perché, credendolo Achille, i Troiani avessero cessato di assediare il campo acheo, tuttavia dopo che Ettore ebbe bruciato una delle navi appartenente a Protesilao, l'eroe greco che per primo, messo piede sul suolo troiano, era stato ucciso da Ettore stesso, all'inizio della guerra di Troia. Achille rientrò in battaglia facendo strage di troiani, cercando Ettore. Non ebbe pietà nemmeno di Troo figlio di Alastore che gli abbracciò le ginocchia sperando che il Pelide non lo ammazzasse; Achille lo colpì con la spada corta al fegato facendolo schizzare fuori; lasciò quindi il nemico a terra, disteso in un lago di sangue. La morte sopraggiunse dopo una breve agonia.


U



Turno

Leggendario re dei Rutuli, figlio del re Dauno e della ninfa Venilia, fratello di Giuturna. La sua leggenda viene compiutamente svolta da Virgilio, nell'Eneide. Qui Turno è presentato come il principale antagonista dell'eroe troiano contro il quale combatte e per istigazione della dea Giunone, e in difesa della sua candidatura alle nozze con Lavinia, figlia di Latino, già a lui promessa dalla regina Amata prima dell'arrivo di Enea. Ma un oracolo aveva detto che Lavinia doveva sposare un uomo che giungeva da lontano. Latino riconobbe in Enea il candidato e lo accolse con cordialità, Giunone però intervenne ancora mandando l'Erinni Aletto a suscitare la guerra fra Troiani e Latini, a ispirare nel cuore della regina Amata un'invincibile avversione per Enea e a destare nel cuore di Turno, re dei Rutuli, viva gelosia. Turno riunì i suoi alleati tra cui Camilla dei Volsci e l'esiliato etrusco Mezenzio. Enea ebbe l'appoggio di Tarconte, re degli Etruschi, i quali odiavano Mezenzio per la sua crudeltà, e di Evandro l'arcade, che era imparentato con i Troiani e aveva da poco fondato la sua colonia a Pallanteo (sul colle Palatino).
Durante l'assenza di Enea, recatosi in Etruria in cerca di altri alleati, Turno attaccò il campo troiano e cercò di bruciare le navi che vennero da Cibele trasformate in Ninfe marine e nuotarono lontano. Quando Enea ritornò, la battaglia stava volgendo al peggio. Pallante, il giovane figlio di Evandro, e molti altri degli uomini di Enea furono uccisi, ma Enea uccise Mezenzio e suo figlio Lauso e mutò le sorti della battaglia. Venne stabilito un armistizio e si giunse all'accordo di risolvere la questione con un combattimento singolo tra due campioni. Ma Giunone fece in modo che i Latini rompessero il patto, e nella battaglia che seguì Enea venne ferito. Venere lo curò ed egli attaccò Laurento, la città di Latino, con tale violenza che Amata, credendo Turno morto, si tolse la vita. Ancora una volta Turno accettò la tregua e il combattimento singolo, ma sua sorella Giuturna, una ninfa d'acqua che l'aveva aiutato a resistere a Enea, abbandonò la sua causa ed Enea lo sconfisse. Turno gli chiese di risparmiargli la vita e l'eroe troiano, compassionevole come sempre, avrebbe voluto salvarlo, ma alla vista del balteo di Pallante, di cui l'eroe rutulo era fregiato, fu preso dall'ira e lo trafisse.

Ucalegonte

Nella mitologia greca, Ucalegonte appare come uno degli anziani compagni di Priamo, a Troia, insieme ai tre fratelli del re e ad altri anziani, quali Antenore, Antimaco, Pantoo e Timete.

Il ruolo di Ucalegonte è sommariamente descritto nell'Iliade; insieme ad altri troiani dalla veneranda età, faceva parte del consiglio degli anziani che si radunava periodicamente presso le Porte Scee per discutere di guerra o per fornire sagge informazioni al re.

Nell'Iliade, Ucalegonte e gli altri anziani appaiono radunati per discutere su una possibile trattativa tra Achei e Troiani, che si sarebbe conclusa con un leale duello tra Paride, il provocatore della guerra, e Menelao, il re di Sparta.

La morte

La fine del vegliardo è raccontata brevemente da Virgilio nell'Eneide; la notte della caduta di Troia la casa di Ucalegonte, che si trova vicino a quella di Enea, viene icnediata dal fuoco delle fiaccole nemiche e rasa al suolo.

Virgilio non allude esplicitamente anche alla morte dell'anziano troiano, ma sicuramente la nota frase "Già arde lì accanto Ucalegonte" fa capire che Ucalegonte è perito nel rogo della sua abitazione (intossicato o divorato dal fuoco).

Udeo

Nella mitologia greca, Udeo era il nome dei uno degli Sparti, la sua fama era dovuta al fatto che si credeva che da lui discendesse l'indovino Tiresia.

Di lui si racconta in occasione delle avventure di Cadmo: quando durante il suo lungo viaggio si fermò con l'intenzione di fondare una città (poi fu Tebe), egli decise di effettuare un sacrificio ad Atena ma un drago, figlio di Ares o comunque a lui sacro, apparve e l'eroe riuscì ad ucciderlo. La stessa dea gli consigliò di seminare i denti strappati alla bestia. Da ognuno dei denti sorse un soldato armato,formando il battaglione degli Sparti.Cadmo riuscì a metterli l'uno contro l'altro e dalla battaglia che seguì sopravvissero solo cinque soldati.Oltre a Udeo , gli altri furono:Echione, Pelore, Ctonio e Ipsenore. Udeo insieme ai suoi compagni aiutò l'eroe nella costruzione della città. Da allora fu uno dei capostipiti delle famiglie nobili della città.


V



Urano

Divinità primigenia, figlio e sposo di Gea (la Terra), con essa generò per primi gli Ecatonchiri o Centimani: Briareo, Gige e Cotto. Seguirono i tre feroci Ciclopi monocoli: Bronte, Sterope e Arge. Ma Urano incatenò questi suoi figli e li gettò nel Tartaro. Nacquero poi i Titani: Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Crono; e le loro sorelle Titanidi: Teti, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Tia. Gea soffriva molto per la perdita dei suoi figli scaraventati nel Tartaro, e indusse i Titani ad assalire il loro padre; e così essi fecero, guidati da Crono, il più giovane dei sei, al quale essa diede come arma un falcetto di selce. Lo assalirono tutti, tranne Oceano: Crono tagliò i genitali del padre e li gettò in mare presso Capo Drepano, dal sangue uscito Gea concepì le tre Erinni (Aletto, Tisifone e Megera), i Giganti e le Ninfe del frassino, chianate Melie, mentre dai genitali caduti in mare nacque la dea Afrodite. Altri ritengono che Zeus generò Afrodite in Dione.
I Titani in seguito liberarono i Ciclopi dal Tartaro e affidarono a Crono la sovranità sulla terra. Non appena ebbe il supremo potere, Crono esiliò nel Tartaro Ciclopi e Titani, unitamente agli Ecatonchiri, e presa in moglie sua sorella Rea governò sull'Elide. Ma era stato profetizzato sia dalla Madre Terra, sia da Urano morente, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato.


X



Venere

Dea italica simbolo della primavera, dei fiori e dei giardini. Il suo culto coincide con quello della greca Afrodite. La storia del figlio di Enea, dei suoi vagabondaggi e della nuova città che fondò in Italia la rese molto importante per i Romani e divenne la protettrice della gente Giulia a cui appartenevano Augusto e i suoi successori, perché discendevano da Giulio, figlio di Enea e quindi nipote della dea. Fu Venere ad aiutare Enea nella fuga da Troia in fiamme e a proteggerlo da Giunone. Fece in modo che Didone, regina di Cartagine, si innamorasse di lui e gli desse rifugio. Lo aiutò anche nella battaglia finale contro Turno, rimettendo la lancia che era finita su un albero nelle sue mani perché potesse combattere.

Vertumno

Nome latinizzato della principale divinità etrusca, Voltumna, particolarmente venerata nel cosiddetto fanum Voltumnae, presso Volsinii (Orvieto), considerato come il centro religioso, e in molti casi anche politico, della dodecapoli. Le caratteristiche di Vertumno sono incerte: talora appare come spirito malefico, talora come dio della vegetazione, talora della guerra; pare che in origine fosse una divinità sotterranea. Anche la sua iconografia è dubbia, nonostante vari tentativi di identificazione con tipi statuari conosciuti. Nel 264 a. C. il suo culto fu introdotto in Roma, dove ebbe un tempio sull'Aventino. Ovidio ne fa lo sposo della ninfa Pomona, probabilmente perché Vertumno era protettore della vegetazione e, particolarmente, degli alberi da frutto.

Vesta

Una delle più importanti divinità romane antiche, dea del focolare domestico. Il suo nome è derivato da quello della greca Estia, e sembra sia stato introdotto attraverso la colonia calcidese di Cuma. Il culto di Vesta era diffuso anche nelle città del Lazio; era privo di immagini, e solo in età tarda se ne ebbero delle immagini in aspetto di matrona. Consisteva soprattutto nel mantenimento del fuoco sacro, che veniva spento per essere immediatamente riacceso soltanto il 1° marzo, il giorno iniziale dell'anno secondo il più antico calendario romano. Lo spegnimento in altre occasioni era considerato presagio di gravissime sciagure: la riaccensione non poteva avvenire se non mediante l'uso di un'arbor felix. Il tempio di Vesta, nel Foro, conservò, nonostante successive ricostruzioni, la forma circolare tradizionale della capanna primitiva del Lazio. In esso potevano entrare solo le Vestali e il Pontefice Massimo e, nella ricorrenza delle Vestalia, che si svolgevano dal 7 al 15 giugno e culminavano il 9, le donne. Il penus Vestae, poi, che conteneva i Penati dello Stato e il Palladio, poteva essere visitato solo dalle sacerdotesse.
A Roma era considerata protettrice dello Stato; le Vestali, sue sacerdotesse, custodivano il fuoco sacro, simbolo appunto dello Stato.

Virbio

Antica divinità laziale, venerata nel santuario di Diana nel bosco sacro di Aricia (oggi Ariccia), sulle rive del lago di Nemi. Dopo l'introduzione in Roma della mitologia greca, Virbio venne considerato come il figlio di Teseo, Ippolito. I Latini, infatti, narrano che Artemide, dopo aver chiesto ad Asclepio di risuscitare il corpo di Ippolito, lo avvolse in una fitta nube e gli fece assumere le sembianze di un vecchio e decise di nasconderlo nel bosco a lei sacro ad Aricia, in Italia. Colà, col consenso di Artemide, Ippolito sposò la ninfa Egeria. Affinché nulla gli ricordasse la sua morte, Artemide gli diede il nuovo nome di Virbio, che significa vir bis due volte uomo; e nessun cavallo può avvicinarlo. Soltanto gli schiavi fuggiaschi possono divenire sacerdoti di Artemide Aricina. Nel bosco a lei sacro sorge un'antica quercia, i cui rami non si debbono spezzare; ma qualora uno schiavo osi compiere questo gesto, il sacerdote, che ha a sua volta ucciso il proprio predecessore e vive in un costante timore della morte, deve duellare con lui, spada contro spada, per la carica sacerdotale. Gli Arici dicono che Teseo supplicò Ippolito di rimanere con lui ad Atene, ma che Ippolito rifiutò.
Pare che Virbio fosse raffigurato in aspetto di vecchio.

Virginia

Eroina romana. Secondo la leggenda, durante la tirannia dei decemviri (sec. V a. C.), uno di questi, Appio Claudio, non essendo riuscito a sedurre Virginia, la bella figlia di un centurione a nome Virginio, che si trovava con l'esercito sul monte Algido, la fece dichiarare dal tribunale schiava di un suo cliente, Marco Claudio. Approfittando dell'assenza del padre di Virginia, Appio affidò la ragazza alla custodia di Marco Claudio, ma Icilio, il giovane a cui era stata promessa in matrimonio, apparve con lo zio Numitorio e impedirono che cadesse nelle mani di Marco Claudio, in attesa dell'arrivo del padre. Appio inviò messaggi ai comandanti dell'esercito perché impedissero all'uomo di partire, ma Virginio riuscì ugualmente a tornare e condusse la figlia al foro, vestita a lutto. Appio dichiarò che Virginia era una schiava e doveva essere consegnata al suo legittimo proprietario e Marco Claudio cercò di toglierla dalle braccia del padre. Virginio cercò di resistere ma vide avvicinarsi un gruppo di uomini armati. Allora fece mostra di obbedienza e chiese qualche minuto da trascorrere con la figlia. Rapidamente la portò in una macelleria che si trovava nei pressi e la uccise colpendola al cuore, maledicendo Appio, e dichiarando che la morte era preferibile al disonore. Il suo gesto disperato sollevò il furore del popolo, che rovesciò il governo decemvirale ricostituendo la repubblica.

Vulcano

Divinità romana del fuoco, particolarmente venerata a Ostia, ove esisteva un sacerdozio detto del pontifex Volcani et aedium sacrarum. La sua identificazione con il greco Efesto appare piuttosto tardiva. Non è da escludersi una sua derivazione dall'etrusco Velchan, meno plausibile una sua identificazione con il cretese Velchanos, attributo o forse secondo nome di Zeus. Oltre a Ostia, Vulcano aveva un luogo sacro, il Volcanale, nel Foro, e un tempio presso il circo Flaminio. Le sue feste, dette Volcanalia, si svolgevano il 23 agosto. Alle feste di Vulcano, si usava gettare nel fuoco dei piccoli pesci, e talvolta altri animali. Si riteneva che queste offerte rappresentassero vite umane, per la conservazione delle quali esse venivano sacrificate al dio.

Xanto 1

Xanto e Baio erano i cavalli immortali di Achille, nati sulle rive dell'Oceano, e dati da Poseidone a Peleo come dono di nozze. I loro nomi significano "baio" e "pezzato" ed erano figli del vento occidentale Zefiro e dell'arpia Podarge. Achille li condusse a Troia e li prestò a Patroclo quando questi condusse i Mirmidoni in battaglia. Alla morte di Patroclo i due cavalli piansero amaramente e Zeus ebbe pietà di loro, rimpianse di averli donati a un mortale costringendoli a restare coinvolti nelle sofferenze di quelle miserabili creature. Diede loro la forza di sfuggire a Ettore e così fecero ritorno alle linee greche.
Quando Achille tornò in battaglia criticò i due cavalli per non aver riportato Patroclo sano e salvo, e Xanto ricordò ad Achille che Patroclo non era morto a causa loro ma perché Apollo aveva decretato la sua fine per dare gloria a Ettore, e aggiunse anche che la morte dello stesso Achille era prossima. Le Erinni lo ammutolirono improvvisamente e da allora Xanto non parlò più. Achille dichiarò che la profezia della sua morte non gli era nuova poiché l'aveva già udita in gioventù.

Xanto 2

Altro nome del fiume di Troia, Scamandro, e del suo dio. Xanto, insieme col torrente Simoenta che confluiva nello Scamandro, si oppose ai greci, e sollevò le sue onde contro Achille. L'eroe era sul punto di soccombere, allorché Era inviò in suo soccorso Efesto armato di fuoco. Questo dio accese tutta la pianura costringendo il fiume a rientrare nel suo corso, e per non seccarlo gli fece giurare che non avrebbe dato mai più soccorso ai Troiani.

Xanto 3

Nome di uno dei quattro stalloni del re tracio Diomede, che Euristeo ordinò ad Eracle di catturare, come sua ottava Fatica. Diomede teneva le sue cavalle legate con catene di ferro a mangiatoie di bronzo, e le nutriva con la carne dei suoi ospiti ignari. Un'altra leggenda vuole che si trattasse di stalloni e non di cavalle, ed elenca i loro nomi: Podargo, Lampone, Xanto e Dino.

Xuto

Xuto o Suto è un personaggio della mitologia greca, secondogenito di Elleno e della ninfa Orseide, nonché fratello di Eolo e di Doro.

Cacciato dalla Tessaglia dai suoi due fratelli, si trasferì ad Atene, in Attica, dove prese in sposa Creusa, figlia di Eretteo, da cui ebbe Ione e Acheo. Quando gli fu chiesto di indicare un successore per Eretteo, scelse Cecrope, il più anziano dei fratelli della moglie, scatenando così le ire degli altri pretendenti.

Scacciato ancora una volta dalla terra d'adozione, giunse in Peloponneso dove divenne re.

In altre versioni sono Eolo e Iono i figli di Suto. Euripide, nella tragedia Ione, fa di Iono il fratello maggiore di Doro e Acheo.


Z




Zacinto

Eroe eponimo dell'isola di Zacinto (oggi Zante), nel Mar Ionio. Secondo le tradizioni, questo eroe è ritenuto figlio di Dardano, o un Arcade venuto dalla città di Psofi.

Zagreo

Originariamente divinita sotterranea e agreste cretese, divenne nei misteri orfici una manifestazione del dio Dionìso.
Il mito di Zagreo, quale si desume dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli (libro VI), lo faceva figlio di Zeus e Persefone. Il sommo dio affidò ai Cureti cretesi figli di Rea, o secondo altri ai Coribanti, il compito di custodire la culla di Zagreo nella grotta Idea e colà essi gli danzavano attorno, battendo le loro armi l'una contro l'altra, come già avevano fatto attorno alla culla di Zeus sul Ditte. Ma i Titani, nemici di Zeus e istigati da Era, sbiancandosi il volto col gesso per rendersi irriconoscibili, attesero finché i Cureti furono addormentati e a mezzanotte indussero Zagreo a seguirli, offrendogli dei giocattoli: un cono, un rombo, mele d'oro, uno specchio, un astragalo e un batuffolo i lana. Zagreo diede prova di grande coraggio quando poi i Titani gli balzarono addosso minacciosi e si sottopose a varie metamorfosi per trarli in inganno: divenne successivamente Zeus avvolto in pelle di capra, Crono che fa cadere la pioggia, un leone, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre e un toro. A questo punto i Titani lo afferrarono saldamente per le corna, gli affondarono i denti nella carne e lo divorarono vivo.
Atena interruppe l'orrendo banchetto poco prima della fine e, impadronitasi del cuore di Zagreo, lo portò a Zeus. Dal cuore Zeus rigenerò suo figlio nel corpo di Semele, e punì i Titani per il loro delitto colpendoli con la sua folgore che li ridusse in cenere. Da queste ceneri nacque il genero umano. Quando il figlio di Semele creato dal cuore di Zagreo nacque, Zeus lo chiamò Dioniso. Il mito orfico a questo punto aderì al mito dionisiaco.

Zefiro

Dio del vento occidentale; uno dei figli di Astreo e di Eos, sposo di Clori, da cui ebbe un figlio, Carpos. Si innamorò del giovane Zacinto di Amicle, nei pressi di Sparta. Ma anche Apollo corteggiava Zacinto e ne ottenne i favori, allora Zefiro si vendicò deviando un disco che il dio aveva lanciato in modo che colpisse il giovane alla testa uccidendolo. Zefiro era il padre dei cavalli immortali Xanto e Balio. Aveva ingravidato la loro madre, un'Arpia, mentre pascolava in forma di puledra nei prati lungo le rive dell'oceano. Zefiro era considerato un vento gentile, ben diverso dal duro vento del nord, Borea. Fu Zefiro a sospingere Psiche nel castello di Cupido (Eros). Secondo alcuni sua sposa era Iride, l'arcobaleno.
Nell'Attica gli era dedicato un altare sulla via sacra di Eleusi. Nella mitologia romana a Zefiro corrispondeva Favonio.

Zete

Figlio di Borea e Orizia, gemello di Calaide. Ai due gemelli, quando raggiunsero la maturità spuntarono le ali; Orizia ebbe da Borea anche due figlie: Chione che generò Eumolpo a Poseidone, e Cleopatra, che sposò Fineo, vittima delle Arpie. Zete e Calaide presero parte con Giasone alla spedizione degli Argonauti per la conquista del Vello d'oro. Quando la nave Argo fece scalo a Sarmidesso, capitale della Tinia in Tracia, il re Fineo, veggente, ospitò gli Argonauti, li informò sul futuro del loro viaggio, quindi li pregò di aiutarlo, sapendo che due di loro, i suoi alati cognati Calaide e Zete, sarebbero riusciti a cacciare le Arpie. Queste odiose creature entravano svolazzando nel palazzo all'ora dei pasti e rubavano cibo alla tavole del re, insozzando il poco che rimaneva coi loro escrementi. Fu dunque preparato un banchetto per gli Argonauti e subito le Arpie piombarono sulle tavole. Calaide e Zete si levarono con la spada in mano e inseguirono le Arpie nell'aria facendole fuggire lontano, al di là del mare. Alcuni dicono che essi raggiunsero le Arpie alle isole Strofadi, ma risparmiarono le loro vite quando i mostri implorarono pietà; infatti Iride, messaggera di Era, intervenne e promise che le Arpie sarebbero ritornate alla loro caverna del Ditte in Creta e mai più avrebbero molestato Fineo.
I boreadi parteciparono ai giochi funebri per le esequie di Pelia, Zete vinse la corsa podistica più breve e suo fratello Calaide la più lunga. Ma, ben presto, furono uccisi da Eracle, che non perdonava loro d'aver consigliato agli Argonauti di abbandonarlo in Misia, allorché si era attardato nella ricerca dell'amato Ila. Mentre tornavano dai funerali di Pelia, l'eroe li scoprì nell'isola di Teno, e li uccise. Innalzò loro due stele che vibravano ogni volta che il Vento del nord soffiava sull'isola.

Zeto

Zeto è una figura della mitologia greca, figlio di Zeus e Antiope (a sua volta figlia di Nitteo di Tebe), fu sposo di Aedona.

Quando Nitteo seppe che la figlia Antiope era incinta, la cacciò. Ella si recò a Sicione, presso lo zio Lico, che la trattenne alla stregua di una prigioniera.
Nacquero due gemelli, Anfione e Zeto. Il re ordinò che venissero abbandonati sul monte Citerone, affinché morissero. I neonati furono trovati da un pastore, che li allevò come propri figli.

Antiope fu riportata alla Cadmea, da Lico e da sua moglie, Dirce, in quanto erano appena succeduti a Nitteo. Dirce trattò Antiope crudelmente, tanto da costringerla a fuggire e trovare rifugio presso i figli.

Divenuti adulti, i figli vendicarono la madre, uccidendo Lico e facendo trascinare Dirce da un toro. I fratelli si impossessarono del regno tebano e costruirono una nuova città ai piedi della Cadmea. Zeto portava le pietre, mentre Anfione suonava la lira, il cui suono faceva disporre le pietre nel punto voluto magicamente.

Una volta che la città fu costruita, i due fratelli la governarono in pieno accordo.

Zeus

Divinità suprema dell'antica religione ellenica. La tradizione informa che Crono sposò sua sorella Rea, ma era stato profetizzato sia dalla Madre Terra, sia da Urano morente, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, Crono divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Rea era furibonda e partorì Zeus, il suo terzo figlio maschio, a notte fonda sul monte Licia in Arcadia, e lo affidò alla Madre Terra. Costei portò Zeus a Litto, in Creta e lo nascose nella grotta Dittea sulla collina Egea. Colà Zeus fu custodito dalla ninfa dei frassini Adrastea e da sua sorella Io, ambedue figlie di Melisseo, e nutrito con il latte della ninfa (o capra) Amaltea. Attorno alla dorata culla di Zeus bambino, montavano la guardia i Cureti figli di Rea. Essi danzavano battendo le spade contro gli scudi e gridando per coprire i vagiti del piccolo, perché Crono non potesse udirli nemmeno da lontano. Rea infatti, dopo il parto, aveva avvolto una pietra nelle fasce e l'aveva data a Crono che la inghiottì, convinto di divorare il suo figliolo Zeus. Col passare del tempo tuttavia, Crono cominciò a sospettare la verità e si mise a inseguire Zeus, che trasformò se stesso in serpente e le sue nutrici in orse: ecco perché brillano in cielo le costellazioni del Serpente e delle Orse.
Divenuto adulto, Zeus volle impadronirsi del potere detenuto dal tirannico padre e convinse la titanessa Meti a mettere un emetico nella bevanda di Crono. Crono vomitò i cinque figli che aveva inghiottiti insieme alla grossa pietra che era stata sostituita a Zeus. Tale pietra venne successivamente posta dallo stesso Zeus a Delfi, dove divenne oggetto di venerazione come omphalos, ombelico o centro della terra e del mondo. In segno di gratitudine, i fratelli e le sorelle riportati in vita chiesero a Zeus di guidarli nella guerra contro i Titani, che si erano scelti il gigantesco Atlante come capo.
La guerra durò dieci anni (Titanomachia), ma infine la Madre Terra profetizzò la vittoria di suo nipote Zeus, se egli si fosse alleato a coloro che Crono aveva esiliato nel Tartaro. Uccise perciò la loro carceriera, Campe, e liberò i giganti centimani (Ecatonchiri) e i Ciclopi, che diedero a Zeus la folgore, arma invincibile, ad Ade un elmo che rendeva invisibili, e a Poseidone un tridente. I tre fratelli tennero poi un consiglio di guerra; Ade si introdusse segretamente nella dimora di Crono per rubargli le armi e, mentre Poseidone lo minacciava col tridente per sviare la sua attenzione, Zeus lo colpì con la folgore. I tre giganti centimani stritolarono sotto una pioggia di sassi i Titani superstiti e un improvviso urlo del dio Pan li mise in fuga. Gli dèi si lanciarono all'inseguimento. Crono e tutti i Titani sconfitti, a eccezione di Atlante, furono esiliati nelle isole britanniche all'estremo occidente (oppure, come altri dicono, nel Tartaro) sotto la sorveglianza degli Ecatonchiri, e non turbarono più la pace dell'Ellade. Ad Atlante, come loro capo, fu riservata una punizione esemplare: doveva infatti sostenere sulle sue spalle il peso del cielo; ma le Titanesse furono risparmiate, per intercessione di Meti e di Rea. Dopo la vittoria, i tre fratelli divini Zeus, Poseidone e Ade decisero quindi di dividersi l'universo in tre regni. Zeus ebbe in sorte il Cielo, mentre ai fratelli Poseidone e Ade andarono rispettivamente il Mare e il regno dei morti; la terra rimase dominio comune.

Zeus lotta contro i Giganti Tuttavia, la vittoria di Zeus e degli Olimpi fu ben presto contestata loro, ed essi dovettero lottare contro i Giganti, sobillati dalla Madre Terra, irritata nel sapere i propri figli, i Titani, rinchiusi nel Tartaro. Era profetizzò che i Giganti non sarebbero mai stati uccisi da un dio, ma soltanto da un mortale che vestiva pelle di leone, e che anche costui non sarebbe riuscito nell'intento se non avesse trovato, prima dei Giganti, una certa erba che rendeva invulnerabili e cresceva in un luogo segreto sulla terra. Zeus subito si consigliò con Atena e la mandò ad informare Eracle (il mortale vestito di pelle di leone cui Era voleva chiaramente alludere) di come stavano le cose; poi proibì a Eos (l'Aurora), a Selene (la Luna) e a Elio (il Sole) di brillare per qualche tempo. Alla debole luce delle stelle, Zeus vagò in una regione indicatagli da Atena, trovò l'erba magica e la portò in cielo. Gli Olimpi poterono allora affrontare in battaglia i Giganti. Alcioneo fu ucciso da Eracle, aiutato da Atena, la quale consigliò all'eroe di trasportarlo lontano da Pallene, suo paese natale, perché ogni volta che cadeva al suolo, subito riprendeva forza toccando la sua terra. Eracle si caricò Alcioneo sulle spalle e lo portò oltre il confine della Tracia, eliminandolo poi a colpi di clava. Porfirione si precipitò su Era, ma ferito al fegato da una freccia di Eros, la sua furia omicida si trasformò in brama lussuriosa e lacerò la vesta di Era. Zeus, vedendo che il gigante stava per oltraggiare sua moglie, abbattè Porfirione con una folgore. Il gigante si rialzò subito, ma Eracle lo ferì mortalmente con una freccia. Frattanto Efialte aveva impegnato Ares in battaglia e l'aveva costretto a piegare le ginocchia; ma venne ucciso da una freccia di Apollo nell'occhio sinistro e da un'altra d'Eracle nell'occhio destro. Dioniso abbattè Eurito con un colpo di tirso, Ecate bruciacchiò Clizio con le sue torce, Efesto ustionò Mimante con proiettili di ferro rovente, Atena colpì Pallante con una pietra, ma sempre, in questi casi, Eracle dovette vibrare il colpo mortale. Scoraggiati, i Giganti superstiti si rifugiarono sulla terra e gli Olimpi li inseguirono. Encelado fuggì, ma Atena gli scagliò addosso un gran masso, che si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Polibote fu inseguito da Poseidone attraverso i flutti e giunse nell'isola di Cos. Il dio spezzò una parte dell'isola, chiamata Nisiro e la lanciò sul gigante. Ermete, preso in prestito l'elmo di Ade, che rendeva invisibili, uccise Ippolito, mentre Artemide uccideva Grazione con una freccia. Le Moire, con i loro proiettili infuocati bruciarono le teste di Agrio e di Toante. In quanto agli altri Giganti, Zeus li fulminò ed Eracle li finì con le sue frecce.

Zeus scaglia dardi contro Tifone Dopo questo tentativo fallito di sconfiggere Zeus, Gea (la Terra) non si rassegnò; si giacque col Tartaro nella grotta di Coricia in Cilicia e generò il più giovane dei suoi figli, Tifone: il mostro più grande che mai vedesse la luce del sole. Quando Tifone si lanciò all'assalto dell'Olimpo, gli dèi fuggirono terrorizzati in Egitto dove si travestirono da animali. Soltanto Atena non si mosse e rimproverò Zeus per la sua codardia finché il sommo dio, riassumendo le sue vere sembianze, scagliò da lontano dei fulmini contro Tifone e, lottando a corpo a corpo, l'abbattè con il medesimo falcetto di cui s'era servito per castrare Urano. Ferito e ululante, Tifone si rifugiò sul monte Casio e colà il mostro, che era soltanto ferito, avvolse Zeus nelle sue mille spire, gli strappò il falcetto e dopo aver tagliato i tendini delle sue mani e dei suoi piedi lo trascinò nella grotta di Coricia. Nascose i tendini di Zeus in una pelle d'orso e li affidò alla custodia di Delfine, sua sorella, un mostro per metà donna e per metà serpente. La notizia della sconfitta di Zeus sparse il panico tra gli dèi, ma Ermete e Pan si recarono segretamente alla grotta di Coricia, dove Pan terrorizzò Delfine con un improvviso orribile urlo, mentre Ermete abilmente sottraeva i tendini per rimetterli nelle membra di Zeus che ritornò sull'Olimpo e, salito su un carro trainato da cavalli alati, inseguì di nuovo Tifone scagliando folgori. Tifone era andato sul monte Nisa, dove le tre Moire gli offrirono frutti effimeri facendogli credere che gli avrebbero ridonato forza, mentre invece lo predisponevano a sicura morte. Tifone raggiunse poi il monte Emo in Tracia e, accatastando le montagne l'una sull'altra, le fece rotolare verso Zeus che, protetto da una cortina di folgori, riuscì a salvarsi mentre le montagne rimbalzavano indietro su Tifone, ferendolo in modo spaventoso. I fiumi di sangue sgorgati dal corpo di Tifone diedero al monte Emo il suo nome. Il mostro volò poi in Sicilia, dove Zeus pose fine alla sua fuga schiacciandolo sotto il monte Etna, che da quel giorno sputa fuoco.
Zeus non si lasciava trasportare dai propri capricci come gli altri dèi dell'Olimpo, a meno che non si trattasse di capricci amorosi. Dalle sue unioni divine nacquero dèi e dee che sedettero nel gran consesso degli Olimpi; i suoi amori con donne mortali generarono altri dèi o stirpi di eroi. La prima delle spose di Zeus in ordine di tempo fu Meti, figlia d'Oceano, che per sfuggire alle voglie del dio assunse diverse forme, ma infine fu raggiunta e fecondata. Un oracolo della Madre Terra disse che sarebbe nata una figlia e che, se Meti avesse concepito una seconda volta, sarebbe nato un figlio destinato a detronizzare Zeus. Questi allora inghiottì Meti. A tempo debito, Zeus fu colto da un terribile dolore di capo e subito accorse Ermete, che indovinò la causa della pena di Zeus. Egli indusse dunque Efesto o, come altri dicono, Prometeo, a munirsi di ascia e di maglio per aprire una fessura nel cranio di Zeus, ed ecco balzar fuori, tutta armata, la dea Atena. Zeus sposò poi Temi, una delle Titanidi, e da lei ebbe le tre Ore: Eunomia, Diche e Irene; le tre Moire (le Parche), Cloto, Lachesi e Atropo; la Vergine Astrea, personificazione della Giustizia. Una tradizione vuole Zeus unito a Dione che gli avrebbe partorito Afrodite. Zeus lasciò Temi per Eurinome, un'altra oceanide che generò le Cariti (cioè, le Grazie: Aglae, Eufrosine e Talia); poi sposò sua sorella Demetra che gli generò Persefone. Si unì alla titanessa Mnemosine ("memoria") che generò le nove Muse e, secondo alcuni, giacque con Latona e in lei generò Apollo e Artemide. Soltanto a questo punto si pose il matrimonio sacro di Zeus con la sorella Era, la sposa ufficiale. Da questo matrimonio nacquero Ares, Ebe e Ilizia. Era diede alla luce Efesto senza intervento maschile, per vendicarsi della nascita di Atena dalla testa di Zeus. Un'altra sposa divina fu Maia, figlia di Atlante, che generò Ermete. Di lei Era non fu gelosa, mentre nei confronti di tutte le altre mogli e amanti, ninfe o mortali, mostrava un'implacabile furia vendicativa. Vedendo la bellissima nereide Teti sia Zeus sia Poseidone furono incantati dal suo fascino e cercarono di sedurla, ma appena Zeus seppe dal titano Prometeo che il figlio di Teti era destinato a diventare più grande di suo padre, la costrinse a sposare il mortale Peleo.

Zeus seduce Leda La prima donna mortale sedotta da Zeus fu Niobe, figlia di Foroneo, re di Argo. Sedusse anche un'altra donna argiva, Io, figlia di Inaco, a lungo perseguitata da Era, e in lei generò Epafo, antenato dei re d'Egitto. Vide Europa sulla spiaggia di Tiro e, infiammato d'amore per la sua bellezza, si trasformò in un toro d'un candore abbagliante, la portò in groppa fino a Creta dove, vicino a una fonte nei pressi di Gortina, si trasformò in aquila e la violentò. Europa gli generò tre figli: Minosse, Radamanto e Sarpedone, i quali nacquero nella casa di Asterione, re di Creta, poiché a lui, già incinta, Zeus la maritò. Generalmente Zeus appariva alle donne mortali nella forma d'un animale. Quando Semele, figlia di Cadmo, venne sedotta, Era la convinse a chiedere al dio di provare la sua identità apparendole nella sua vera forma e a quella vista Semele incenerì. Zeus allora portò il feto di Dioniso nella sua coscia fino a quando non fu pronto per nascere. Visitò Danae, madre di Perseo, e si unì a lei in forma di pioggia d'oro poiché suo padre Acrisio l'aveva rinchiusa in una torre. Sedusse Leda, moglie di Tindaro e madre di Elena e dei Dioscuri, in forma di cigno. In Antiope Zeus generò Anfione e Zeto, re di Tebe; la compagna mortale a cui apparve con le sembianze del consorte Anfitrione fu Alcmena, madre di Eracle, l'eroe predestinato a salvare gli dèi nella guerra decisiva contro i Giganti (Gigantomachia).
Non vi era regione del mondo ellenico che non si vantasse di avere come eponimo un figlio nato dagli amori di Zeus. Così i Lacedemoni si dicevano discendenti del dio e della ninfa Taigeta; gli Argivi si riconoscevano in Argo, nato da Zeus e dalla Niobe argiva; i Cretesi vantavano la loro origine dai figli di Europa. Allo stesso modo i grandi protagonisti delle leggende e molti degli eroi si ricollegavano a Zeus: è il caso di Agamennone e Menelao che discendevano da Tantalo, o di Achille e Aiace discendenti da Zeus attraverso la ninfa Egina. Il padrone del mondo spesso sceglieva a capriccio le sue amanti e le prendeva con grande malizia e furbizia, cambiando aspetto o forma, lasciando poi le sue vittime esposte alla vendetta della gelosa Era. È quanto accadde alla tenera Io, a Callisto, o a Europa; accadde anche a Semele che pure gli concepì il divino Dioniso. Altre volte, nella volontà di Zeus di dare figli a donne mortali, i poeti e i mitografi hanno voluto ricercare un atto provvidenziale: Leda che egli fecondò sotto forma di cigno, doveva partorire Elena affinché provocasse un conflitto sanguinoso che facesse diminuire la popolazione troppo numerosa della Grecia e dell'Asia; dall'inganno perpetrato nei riguardi di Alcmena nascerà Eracle, l'eroe destinato a portare pace, ordine e sicurezza tra gli uomini, distruggendo mostri e briganti.
Zeus volle punire con il diluvio la razza umana abbrutita dai vizi e l'empietà di Licaone, re dell'Arcadia, che aveva cercato di servire carne umana agli dèi. Più tardi, confinò Tantalo nel Tartaro per lo stesso delitto e anche per aver rivelato i segreti degli dèi agli uomini. Issione venne punito perché si era mostrato di un'estrema ingratitudine nei riguardi di Zeus che l'aveva purificato e salvato dalla follia in seguito all'uccisione del suocero, ma anche perché osò innamorarsi di Era e tentare d'usarle violenza. Zeus punì anche Asclepio per aver disobbedito alle sue leggi resuscitando i morti, e in risposta Apollo cercò di vendicare suo figlio uccidendo i Ciclopi che avevano creato la folgore di Zeus. Zeus avrebbe voluto precipitare Apollo nel Tartaro, ma Latona intervenne ottenendo che Apollo per punizione servisse per un anno intero, come bovaro, Admeto, re di Fere in Tessaglia.
Zeus ebbe a volte scontri con gli dèi e punì severamente le loro trasgressioni. Quando Era, Poseidone, Apollo e tutti gli altri dèi, a eccezione di Estia, si ribellarono e cercarono d'incatenarlo con corde di cuoio, venne salvato da Teti e dal centimane Briareo. Poiché la congiura contro di lui era stata organizzata da Era, Zeus la sospese alla volta celeste fissandole due bracciali d'oro ai polsi e legandole un'incudine a ogni caviglia. Efesto, che si era del tutto riconciliato con Era, quando vide la madre appesa al cielo, osò rimproverare Zeus che, infuriato, lo scagliò giù dall'Olimpo rendendolo per sempre zoppo. Zeus punì poi Apollo e Poseidone costringendoli a servire il re Laomedonte, per il quale costruirono le mura di Troia; ma perdonò tutti gli altri Olimpi, perché avevano agito istigati dai primi. Fu anche spietato con gli errori degli uomini mortali, soprattutto verso quelli che si arrogavano la sua maestà, come Salmoneo e Ceice.
Zeus intervenne anche nelle dispute che sorgevano un po' dappertutto: fra Apollo ed Eracle, a proposito del tripode di Delfi, che Eracle voleva portare via e fissare un suo oracolo in altro luogo. Apollo ingaggiò una lotta che rimase incerta, poiché Zeus separò i due combattenti lanciando fra di loro un colpo di fulmine, e l'oracolo restò a Delfi. Poi intervenne fra Apollo e Ida, a proposito di Marpessa che Apollo cercò di sottrarre a suo marito, ma essa rimase fedele a Ida; fra Pallade e Atena, provocando così, involontariamente, la morte di Pallade; fra Atena e Poseidone, i quali si disputarono il possesso dell'Attica; fra Afrodite e Persefone, innamorate entrambe del bell'Adone, il quale, per decisione di Zeus, venne costretto a vivere un terzo dell'anno con Afrodite, un terzo con Persefone e un terzo dove voleva lui. Zeus passava per aver rapito il giovane Ganimede, nella Troade, e per averlo fatto suo coppiere personale in sostituzione di Ebe.
L'iconografia ci presenta il dio in vari atteggiamenti: nudo mentre scaglia la folgore; tranquillo mentre impugna la folgore e si appoggia allo scettro; eretto col corpo parzialmente avvolto nelle vesti; seduto, impugnante con la destra lo scettro sormontato da un'aquila e recante con la sinistra protesa una Nike. A Roma Zeus fu identificato con Giove, come lui dio del cielo luminoso e dio protettore della città, nel suo tempio del Campidoglio.

Edited by demon quaid - 7/12/2014, 16:02
 
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