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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 8/8/2010, 13:01 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Dia (mitologia)

Nella mitologia greca, Dia era la figlia di Deioneo e sposa terrena di Issione, col quale generò Piritoo.

Per Strabone Dia è un altro nome di Ebe, che era figlia di Zeus ed Era, essendo il significato di Dia "la celeste".

Diaforo

Nella mitologia greca, Diaforo era un giudice acheo che visse al tempo della guerra di Troia e vi partecipò con questo ruolo, senza, tuttavia, svolgere azioni determinanti.

Diaforo, un giudice, è una persona del tutto sconosciuta nella mitologia vendendo menzionato dal solo Igino, nelle sue Fabulae, che si limita a riportare il suo nome e il suo ruolo nel catalogo dei guerrieri achei che partirono alla volta della Troade.

Dimante

Nella mitologia greca, Dimante o Dimas è il nome di vari personaggi:

1. Un re di Frigia, padre di Ecuba, la sposa del re Priamo di Troia. Proprio Omero afferma che Dimante ebbe un figlio chiamato Asio, che morì combattendo nella guerra di Troia (da non confondere con il suo omonimo, ovvero il figlio di Irtaco, il quale ugualmente morì in battaglia a Troia). L'origine di questo re non appare in nessuna delle fonti storiche. Sua moglie era Eunoe, figlia del sacro fiume Sangario. In realtà, Dimante e i suoi motivi frigi sembrano strettamente relazionati a questo fiume (il terzo più grande dell'attuale Turchia, sfociante nel Mar Nero).
2. Segondo Quinto di Smirne, il padre di Megete, un troiano i cui figli combatterono a Troia. Questo secondo Dimante potrebbe a volte coincidere con il primo, secondo i diversi storiografi.
3. Un dorico antenato di Dimanes. Suo padre, Egimio, adottò il figlio di Eracle, Ilo. Dimante e suo fratello, Panfilo, si sottomisero a Ilo, il quale divenne in questo modo un re dorico.
4. Un capitano fenicio menzionato nell'Odissea di Omero, la cui figlia era amica della principessa Nausicaa.
5. Un giovane guerriero troiano, che morì ucciso per errore da un suo stesso concittadino nella notte della caduta della sua città, ingannato dal fatto che egli indossava l'armatura appartenuta al greco Androgeo.

Diana

Divinità italica fatta equivalente della greca Artemide, ma della quale nella sua natura originaria era del tutto indipendente.
Era venerata non solo nel Lazio, ma anche in molte regioni dell'Italia centrale e meridionale, tra gli Equi, i Sabini, gli Ernici. Il suo culto era celebrato in origine sui colli Albani, e localizzato in particolare nel territorio di Aricia sulle sponde del lago di Nemi in un luogo detto Speculum Dianae, dove le era dedicato un bosco, onde il nome di Diana Nemorensis, "la Diana dei Boschi". Sacerdote ne era il rex Nemorensis, il "Re dei Boschi", uno schiavo, che secondo la leggenda prendeva possesso del suo regno uccidendo, in certe circostanze, il suo predecessore. Questo santuario fu il centro di un culto praticato dalle città della lega latina, il che prova la sua remota antichità; di qui esso si diffuse, giungendo a Tuscolo e a Roma, dove fu particolarmente celebrato sul monte Aventino per iniziativa di Servio Tullio con feste che avevano luogo ogni anno alle Idi di agosto. Il tempio dell'Aventino divenne in seguito il santuario di tutto il Lazio. Altro santuario dedicato a Diana era quello di Capua, che portava il nome di Diana Tifatina. A Capua, esisteva la leggenda d'una cerbiatta consacrata a Diana, animale di una meravigliosa longevità, e la cui sorte era legata alla conservazione della città.
La dea aveva fra i suoi attributi la protezione dei boschi e delle selve, ed era direttamente collegata col mondo naturale-vegetale, e anche con quanto vive nei boschi e nelle selve; così Diana divenne protettrice anche degli animali, fra i quali le erano particolarmente sacri il cane e la cerva. Divinità protettrice della fertilità della natura, venne venerata dalle donne come dea della fecondità e dei parti col nome di Lucina. Più tardi fu pure identificata con la Luna. Alle Idi di agosto anche i servi e perfino gli schiavi fuggitivi partecipavano alla festa in onore di Diana e anche del re Servio, loro patrono, il quale si narrava avesse fatto dono al tempio di una statua della dea, copia dell'Artemide efesia. Questi particolari provano che Diana era pure considerata quale protettrice della plebe e che il suo culto aveva un carattere spiccatamente democratico e popolare.
Quando si compì l'identificazione di Diana con l'Artemide greca, furono attribuite alla dea italica tutte le proprietà di questa e furono assimilati i due culti. Di solito era rappresentata con il cane e la cerva: venerata sotto l'aspetto di divinità cacciatrice, ebbe per suoi ornamenti l'arco, la faretra, la fiaccola. L'identificazione con la dea greca provocò una più stretta parentela con Apollo. Nel tempio di Apollo Palatino era invocata sotto il nome di Diana Victrix; con lui ebbe parte nei ludi saeculares: nel Carmen saeculare di Orazio la Diana dell'Aventino è invocata subito dopo l'Apollo del Palatino.
Collegata con Diana era un'altra divinità, Egeria, fatta sposa di Numa Pompilio, dopo la cui morte fu convertita in fonte da Diana.

Didone

Elissa, figlia del re di Tiro Mutto, sposò lo zio Sicheo (o Sicarba), ricchissimo sacerdote di Eracle. Ma il fratello di lei, Pigmalione, divenuto re di Tiro, le uccise il marito per impadronirsi delle sue ricchezze; Elissa, con la sorella Anna e con pochi compagni, fuggì per mare giungendo dopo lunghe peregrinazioni in Libia, dove venne chiamata dagli idigeni Didone. Qui ottenne dal re Iarba per sé e per i suoi compagni tanto terreno quanto ne poteva comprendere una pelle di bue: Didone tagliò la pelle in sottilissime strisce e recinse con essa un ampio spazio su cui fondò una città che chiamò Cartagine. Chiesta in sposa da Iarba, che minacciò di distruggere la città se avesse rifiutato, piuttosto che tradire la memoria di Sicheo, Didone si uccise gettandosi su un rogo.
Sulla leggenda greca si inserisce l'ampia elaborazione letteraria romana, che si ritrova già in Nevio: Didone è posta in rapporto con Enea, che durante il suo viaggio verso l'Italia sarebbe sbarcato a Cartagine dove si sarebbe innamorato di Didone essendone ricambiato; secondo un'altra tradizione raccolta da Servio, Enea avrebbe invece amato la sorella di Didone, Anna. Da Nevio Virgilio deriva i tratti essenziali per l'episodio famoso dell'Eneide.
Enea, in seguito a una tempesta che disperse la sua flotta, venne gettato sulle coste dell'Africa, presso Cartagine; qui si rifugiò, in attesa di riparare le navi e di riprendere la navigazione. A Cartagine fu accolto da Didone di cui divenne ospite insieme con i compagni; durante un banchetto nella reggia, Venere, perché la regina fosse più benigna verso il figlio, inviò Amore che sotto le sembianze di Julo ispirò a Didone un amore appassionato per Enea; l'eroe, invitato dalla regina, narrò la distruzione di Troia e le sue avventure: Didone tentò invano di resistere al sentimento che sentiva sorgere in lei, per conservarsi fedele alla memoria di Sicheo, finché consigliata anche dalla sorella Anna, che pensò fosse necessaria la presenza di Enea per difendere la città contro i molti nemici esterni, Didone cedette alla passione.
Durante una caccia interrotta da una violenta tempesta, inviata da Giunone che sperava di trattenere con l'amore l'eroe lontano dall'Italia, in una grotta dove Didone ed Enea si erano rifugiati avvenne l'amplesso. Enea sarebbe stato deciso a fermarsi a Cartagine, se Giove non gli avesse inviato Mercurio a ordinargli di partire affinché si compissero i fati che lo volevano nel Lazio; l'eroe non osò annunciare la sua partenza a Didone e cercò di allontanarsi in segreto; ma la regina si accorse dei preparativi, pregò, minacciò, implorò Enea perché restasse, ma invano. La flotta di Enea si allontanò e Didone, disperata, dopo avere predetto odio eterno fra Cartagine e la città che Enea andava a fondare in Italia, salì sul rogo che si era fatto preparare e si trafisse con la spada donatale da Enea.

Dimete

Nella mitologia greca, Dimete è il nome dello sventurato fratello di Trezene, citato dal poeta Partenio di Nicea.

Dimete era fratello di Trezene, del quale sposò la figlia Euopi, sua nipote. Il matrimonio si rivelò tutt'altro che felice: quest'ultima, infatti, si era innamorata del suo stesso fratello. Dimete, accortosene, raccontò a Trezene dell'incestuosa passione di Euopi la quale, accecata dalla vergogna e dall'ira, s'impiccò, augurando ogni specie di calamità su colui che aveva messo al corrente suo padre della vicenda.

Poco tempo dopo, Dimete, che camminava sulla spiaggia, vide un bellissimo corpo di donna sospinto sulla sabbia dalle onde e, colpito da un perverso desiderio sessuale, si unì ad esso compiendo un esplicito atto di necrofilia. Quando il cadavere si decompose, l'uomo gli consacrò una grande tomba ma, non potendo sopportare l'idea di abbandonare l'oggetto del suo amore, si trafisse con la spada sul sepolcro dell'amata.

Diocle (personaggio omerico)

Diocle, figlio di Ortiloco, nipote di Alfeo, signore di Fere, località della Messenia.

I suoi figli, Cretone e Orsiloco, andarono con lui alla spedizione di Troia.

Diomede
(Ares)

Diomede è una figura della mitologia greca, figlio di Ares e della ninfa Cirene.

Diomede era re della Tracia e, secondo il mito, possedeva delle giumente che si nutrivano di carne umana; questi animali vengono citati nel mito delle dodici fatiche di Eracle.

Eracle tentò di catturare le cavalle, ma il trambusto lo fece scoprire da Diomede. Nel combattimento che ne seguì Diomede perse la vita. Le cavalle divorarono il suo cadavere e, domate, seguirono Eracle ad Argo.

Diomede
(Tideo)

Diomede è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Tideo e di Deipile, fu uno dei principali eroi achei della guerra degli Epigoni e della Guerra di Troia. Oltre all’importanza come guerriero, Diomede assume un ruolo rilevante come diffusore della civiltà, specie nell’Adriatico.

Diomede eroe della giustiza


La stirpe di Diomede regnava su Calidone, ma il nonno Eneo era stato spodestato da un usurpatore. Diomede così nacque in esilio, ad Argo. Rimase orfano sotto le mura di Tebe, città posta sotto assedio per riportare sul suo trono il legittimo regnante.

Diomede passò la giovinezza ad allenarsi nell’arte della guerra insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette Epigoni: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il re di Argo.

Dopo aver combattuto sotto le mura di Tebe, Diomede volle anche ridare il trono a suo nonno Eneo; con l'aiuto di un compagno ci riuscì e finalmente tornò a casa. Ad Argo Diomede si sposò con Egialea, la figlia ormai orfana del re, e diventò così re della città. Avrebbe voluto governare in pace e dedicarsi alle gioie familiari ma ben presto, però, dovette partire per la guerra di Troia.

Diomede guerriero acheo a Troia


Diomede era protetto dalla dea Atena. Omero afferma che, durante le battaglie, Diomede era simile ad un torrente in piena, che tutto travolge. Nel libro V dell'Iliade Diomede compie molte gesta eroiche, uccidendo diversi guerrieri, tra cui i fratelli Xanto e Toone. Memorabile il suo duello con Enea: l'eroe troiano stava per essre sconfitto da Diomede quando apparve Afrodite a proteggere suo figlio. Diomede allora ferì la dea ad una mano. Afrodite tornò sull’Olimpo, ma chiamò Ares a difendere Enea. Diomede ferì anche lui, costringendolo alla fuga. Ares chiamò a sua volta Apollo, che salvò Enea apostrofando Diomede con queste parole: “Tu, mortale, non tentare il confronto con gli dei!”. Diomede ascoltò Apollo e placò la sua furia.

Diomede non era però solo furia e impeto: egli diede nel pieno della lotta un'altissima prova di lealtà e di spirito cavalleresco, sul punto di intraprendere il duello con Glauco, il principe di Lidia, che si batteva a fianco dei Troiani. In uno degli episodi più toccanti dell’Iliade, Diomede si rende pian piano conto che il nemico che aveva di fronte era legato da un antico vincolo di amicizia e di ospitalità con la propria famiglia. Gettò allora la spada a terra e i due nemici, anziché scontrarsi, si strinsero la mano e si scambiarono le armi.

Con Ulisse compì varie imprese pericolose, tra le quali il furto del Palladio, la statua da cui dipendevano le sorti di Troia, e l'uccisione del giovane re tracio Reso, colpito nel suo accampamento mentre dormiva.
Assecondò spesso Ulisse, quando si trattò di condurre trattative delicate, sia presso Agamennone che presso Achille.

Dopo la caduta di Troia, tornò velocemente ad Argo, primo tra tutti gli Achei a tornare in patria. Il veloce ritorno però era opera di Afrodite, ansiosa di vendicarsi dell’offesa ricevuta durante la guerra. Ad Argo, infatti, né sua moglie Egialea, né i suoi sudditi lo ricordavano più: Afrodite aveva cancellato il ricordo di Diomede dalla loro memoria. Secondo una variante del mito, Egialea, ispirata da Afrodite, tradì Diomede con un altro uomo e gli tese molti agguati.

Diomede eroe della civilizzazione

Diomede decise di abbandonare la città, imbarcandosi per l'Italia. Entrando in Adriatico si fermò nei porti insegnando alle popolazioni locali la navigazione e l'allevamento del cavallo. La diffusione della navigazione, arte sotto la protezione di Afrodite, forse aveva l’intento di ottenere il perdono dalla dea nata dalla spuma del mare. In ogni caso si realizza così una straordinaria trasformazione: da campione della guerra Diomede diventa l’eroe del mare e della diffusione della civiltà greca. Era infatti venerato come benefattore ad Ancona, città nella quale è nota la presenza di un suo tempio, a Pola, in Dalmazia a Capo S. Salvatore (detto in lingua croata Planka), a Vasto, a Lucera e all'estremo limite dell'Adriatico: alle foci del Timavo. In questi luoghi il culto di Diomede si era sovrapposto a quello del Signore degli Animali, un'antichissima divinità dei boschi.

La caratteristica di civilizzatore viene rafforzata dalla fondazione di molte città italiane, tra cui Vasto (Histonium) Andria, Brindisi, Benevento, Argiripa (Arpi), Siponto presso l'attuale Manfredonia, Canusio (Canosa di Puglia), Equo Tutico, Drione (San Severo), Venafrum (Venafro) e infine Venusìa (Venosa). La fondazione di quest’ultima città coincide con il perdono ottenuto da Afrodite, in seguito al quale si stabilì in Italia meridionale e si sposò con una donna del popolo dei Dauni: Evippe.

Stretto il rapporto tra l'eroe e la Daunia. Infatti il primo contatto tra Diomede e la Daunia si ebbe con l'approdo alle isole che da lui avrebbero preso il nome di Insulae Diomedee (le isole Tremiti). Sbarcò quindi nell'odierna zona di Rodi, sul Gargano alla ricerca di un terreno più fecondo e si spostò a sud dove incontrò i Dauni, che prendevano il nome dal loro re eponimo, Dauno, figlio di Licaone e fratello di Enotrio, Peucezio e Japige.

Diomede si guadagnò le simpatie di Dauno il re che "pauper aquae agrestium regnavit populorum" e dopo avergli prestato valido aiuto nella guerra contro i Messapi, per il sua alto valore militare - victor Gargani - ebbe in sposa la figlia Evippe (secondo alcuni si chiamava Drionna, secondo altri Ecania) ed in dote parte della Puglia - "dotalia arva"-, i cosiddetti campi diomedei, "in divisione regni quam cum Dauno". Quindi fondò Siponto, dal nome greco SIPIUS, a motivo delle seppie sbalzate sulla riva dalle gigantesche onde; siamo nel 1182 a.C. - più di quattro secoli prima della fondazione di Roma. Il calcolo cronologico della fondazione di Siponto è desunto dall'opera di Dionisio Petavio, che comunque oscilla tra il 1184 e il 1182 a.C.

A tal proposito nel libro VI della Geografia di Strabone, il geografo storico fine conoscitore del territorio dauno, viene anche affermato che Siponto "a Diomede greco conditum". Virgilio nell'Eneide ci racconta che i Latini, bisognosi di alleati per scacciare Enea dalla loro terra, chiesero aiuto a Diomede, ricordando dell’antica inimicizia tra i due eroi. Diomede, però sorprende gli ambasciatori a lui pervenuti, rifiutando di combattere il suo antico nemico ed anzi invocando la pace tra i popoli.

Una spiaggia delle Isole Tremiti, l'isola di San Nicola, fu il luogo della sua sepoltura, e i suoi compagni vennero trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini, le diomedee, allo scopo di bagnare sempre la tomba dell'eroe.

Diomedea (mitologia)

Diomedea è una figura della mitologia greca, figlia di Xuto.

Sposò Deioneo re della Focide, dalla cui unione nacquerò vari figli, tra i quali Cefalo.

Diomo

Nella mitologia greca, Diomo era il nome di uno degli eroi dell'antichità, figlio di Colitto.

Si racconta di Diomo in occasione della vita di Eracle, che conobbe verso la sua morte. Quando il figlio di Zeus fu loro ospite ebbe occasione di conoscere il ragazzo e si innamorò di lui.

Dopo la morte del semidio gli offrì un sacrificio ma un animale disturbò l'evento, rubando l'animale in sacrificio e lasciandolo molto lontano. A quel punto Diomo decise di fondare, in quello stesso luogo, un santuario.

Dione 1

Divinità greca, figlia di Urano e di Gea o di Oceano e di Teti. Amata da Zeus, divenne la madre di Afrodite, che fu chiamata quindi Dionèa. Nel santuario di Dodona veniva venerata insieme a Zeus e teneva il posto di Era; anche in Atene e in altre città ebbe culto antichissimo. Oscuratasi la popolarità del santuario di Dodona, anche Dione fu presto dimenticata e perdette ogni culto in favore di Era.
Altra Dione generò con Tantalo la sfortunata Niobe e Pelope, che diede il nome al Peloponneso.

Dione 2

Re della Laconia ebbe da Anfitea tre figlie, Orfe, Lico e Caria. Quest'ultima fu amata da Dioniso, ma morì improvvisamente a Carie e il dio la trasformò in un albero di noce, mentre le sorelle di Caria, in quanto volevano impedergli di frequentare la giovane amata, furono mutate in rocce. Artemide portò questa notizia agli Spartani che costruirono un tempio in onore di Artemide Cariatide, da cui prendono il nome le Cariatidi, figure femminili che fungono da colonne. A Carie, inoltre, le donne danzano ogni anno in onore della dea una danza appresa dai Dioscuri.

Dioniso

L'origine di Dioniso è controversa, ma la versione più comune del mito lo dice figlio di Zeus e di Semele, figlia di Cadmo re di Tebe. Zeus, travestito da uomo mortale, ebbe un'avventura segreta con Semele e la gelosa Era, assunte le sembianze della vecchia nutrice Beroe, consigliò a Semele, già incinta di sei mesi, di esigere dal suo amante che si mostrasse nella sua vera forma e natura. Semele seguì quel consiglio e, quando Zeus rifiutò di accondiscendere, gli rifiutò il suo letto. Il dio allora, furibondo, le apparve fra tuoni e folgori e Semele ne morì. Ma Ermete salvò il bambino: lo cucì nella coscia di Zeus dove potè maturare per altri tre mesi, e a tempo debito venne alla luce. Ecco perché Dioniso e detto "nato due volte" o anche "il fanciullo della doppia porta".
Per ordine di Era, i Titani si impadronirono di Dioniso, e benché egli si trasformasse di continuo, lo fecero a brani, Poi ne bollirono i resti in un calderone, mentre un albero di melograno sorgeva dal suolo inzuppato del suo sangue. Ma la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. Zeus lo affidò allora a Persefone che lo condusse dal re di Orcomeno Atamante, e convinse la sua moglie Ino ad allevare Dioniso negli alloggi delle donne, travestito da fanciulla. Ma Era non si lasciò ingannare e punì la coppia regale con la pazzia, cosicché Atamante uccise suo figlio Learco scambiandolo per un cervo. Ino afferrò allora Melicerte, il suo figliolo più giovane, e fuggì; ma sarebbe scampata a stento alle frecce di Atamante se il giovane Dioniso non avesse temporaneamente accecato Atamante, cosicché egli uccise una capra invece di Ino.
Ermete allora, seguendo le istruzioni di Zeus, trasformò Dioniso in un capretto o in un ariete e lo portò dalle ninfe Macride, Nisa, Erato, Bromie e Bacche, che vivevano sul monte Nisa in Elicona. Esse celarono Dioniso in una grotta e lo nutrirono di miele. Zeus, in segno di gratitudine, pose poi la loro immagine tra gli astri, come costellazione delle Iadi. Fu sul monte Nisa che Dioniso inventò il vino, e tale invenzione gli procurò grandissima fama. Quando raggiunse la maturità, Era riconobbe in lui il figlio di Zeus, benché fosse molto effeminato per via dell'educazione ricevuta, e fece impazzire anche lui. Egli andò vagando per il mondo, accompagnato dal suo tutore Sileno e da un gruppo frenetico di Satiri e di Menadi, le cui armi erano bastoni ricoperti d'edera con una pigna sulla punta, chiamati tirso, e spade e serpenti e rombi (asticelle ronzanti). Egli navigò fino all'Egitto, portando il vino con sé; e a Faro il re Proteo lo accolse ospitalmente. Tra i Libi del delta del Nilo, di fronte all'isola di Faro, vi erano certe regine delle Amazzoni e Dioniso le invitò a marciare con lui contro i Titani che avevano scacciato re Ammone dal suo regno. La sconfitta dei Titani fu uno dei molti successi militari di Dioniso, che restituì ad Ammone il suo trono.
Egli si diresse poi a oriente, verso l'India. Giunto all'Eufrate si trovò di fronte un avversario, il re di Damasco, che Dioniso scorticò vivo; poi lanciò sul fiume un ponte d'edera e di vite; e una tigre, mandata dal padre suo Zeus, lo aiutò a passare sulla sponda opposta del Tigri. Raggiunse così l'India, dopo aver affrontato molti avversari lungo il cammino, e conquistò l'intera regione, insegnando agli abitanti l'arte della viticoltura, istituendo leggi e fondando città.
Al suo ritorno gli si opposero le Amazzoni, che egli aveva già respinto in precedenza sino a Efeso. Alcune si rifugiarono nel tempio di Artemide; altre fuggirono a Samo, dove Dioniso le inseguì con delle navi, facendone strage. In seguito Dioniso ritornò in Europa passando dalla Frigia, dove sua nonna Rea lo purificò per i molti delitti commessi durante la sua pazzia e lo iniziò ai Misteri. Dioniso poi invase la Tracia, ma non appena la sua gente fu sbarcata alla foce del fiume Strimone, Licurgo, figlio di Driante re degli Edoni, li attaccò selvaggiamente con un pungolo da bestiame e catturò l'intero esercito; Dioniso si tuffò sulle onde del mare e si rifugiò nella grotta di Teti. Rea, irritata per questa sconfitta, aiutò i prigionieri a fuggire e fece impazzire Licurgo: egli colpì con una scure il proprio figlio Driade, convinto di potare una vite. Quando Dioniso, riemerso dal mare, dichiarò che la terra sarebbe rimasta sterile finché Licurgo non fosse stato messo a morte, gli Edoni lo trascinarono sul monte Pangeo e cavalli selvaggi ne straziarono il corpo. Sempre in Tracia, Orfeo trascurò di onorarlo, iniziando invece i suoi fedeli ad altri misteri e condannando i sacrifici umani. Irritato, Dioniso incaricò le Menadi di far vendetta. Esse raggiunsero Orfeo a Deio, in Macedonia. Attesero che gli uomini fossero entrati nel tempio di Apollo e, impadronitesi delle armi, irruppero nel recinto sacro, uccisero tutti i fedeli e fecero a pezzi Orfeo, gettando nel fiume Ebro la sua testa.
Vinta ogni opposizione in Tracia, Dioniso passò in Beozia, dove visitò Tebe e invitò le donne a unirsi alle sue feste notturne sul monte Citerone. Penteo, figlio di Cadmo, re di Tebe, cui non garbava la vita dissoluta di Dioniso, lo arrestò unitamente alle Menadi, ma improvvisamente impazzito, invece di mettere in ceppi Dioniso mise in ceppi un toro. Le Menadi fuggirono di nuovo e si dispersero furibonde lungo le pendici del monte, dove fecero a brani i vitelli. Penteo cercò di fermarle, ma, accese dal vino e dalla frenesia religiosa, esse lo fecero a brani. La madre di Penteo, Agave, guidava le forsennate, e fu lei che gli staccò il capo dal busto.
A Orcomeno, le tre figlie di Minia chiamate Alcitoe, Leucippe e Arsippe o Aristippe o Arsinoe, avendo osato disprezzare Dioniso e rifiutato di partecipare alle feste notturne, furono rese folli e spinte a fare a brani i loro figli, e poi trasformate in pipistrelli. Ad Argo le figlie di re Preto si rifiutarono di unirsi alle Menadi. Anch'esse impazzirono e salirono sulle montagne credendo di essere vacche e mangiando i loro figli. Secondo un'oscura leggenda argiva, Perseo combattè contro Dioniso uccidendo molti dei suoi seguaci: Dioniso lo punì facendo impazzire le donne argive, che cominciarono a divorare crudi i loro bambini. Perseo si affrettò ad ammettere la propria colpa e placò Dioniso erigendogli un tempio.
Quando l'intera Beozia ebbe accettato il culto di Dioniso, il dio si recò nelle isole dell'Egeo, spargendo gioia e terrore ovunque passava. Giunto a Icaria, si accorse che la sua nave non teneva più il mare e ne noleggiò un'altra da certi marinai tirreni che dicevano di essere diretti a Nasso. Erano invece pirati e, ignari della divina natura del loro passeggero, fecero rotta per l'Asia, dove intendevano venderlo per schiavo. Dioniso fece allora crescere una vite attorno all'albero maestro, mentre l'edera avvolgeva il sartiame, trasformò i remi in serpenti e se stesso in leone, e la nave si colmò di fantasmi di animali feroci che si muovevano al suono di flauti, cosicché i pirati terrorizzati si gettarono in acqua e divennero delfini. A Icaria è legato il mito di Icario e di Erigone. Icario, eroe eponimo di Icaria, accolse benevolmente Dioniso, che in compenso gli diede la vite e gl'insegnò l'arte della sua coltivazione; ma quando Icario offrì il vino prodotto ai pastori e ai contadini vicini, questi si ubriacarono e credendo di essere stati avvelenati lo uccisero a bastonate. La figlia Erigone, all'oscuro di ciò che era accaduto al padre, lo cercò in ogni dove con l'aiuto della fedele cagna Mera, e allorché trovò il suo carpo esanime si impiccò per il dolore. Dioniso però intervenne, pose fra gli astri Icario ed Erigone, e per punirne gli abitanti devastò la regione di Icaria, finché non vennero istituite per placarlo feste e sacrifici in suo onore.
A Nasso, Dioniso incontrò la bella Arianna, che Teseo aveva abbandonata durante il sonno. Ella, lasciata sola sul lido deserto, al risveglio ruppe in disperati lamenti; ma ecco Dioniso con il suo gaio corteo di Satiri e Menadi giungere in aiuto e, senza por tempo in mezzo, la sposò, ponendole sul capo la corona di Teti, fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose. Arianna gli generò numerosi figli. In seguito Dioniso pose la corona nuziale di Arianna in cielo nella costellazione della Corona Boreale. Dioniso figura anche nella lotta degli Dei contro i Giganti, abbattendo Eurito con un colpo di tirso (che è un lungo fusto ornato d'edera) e gli asini cavalcati dai Satiri provocarono terrore nei Giganti con i loro ragli.
Infine, affermato il suo culto in tutto il mondo, Dioniso ascese al cielo e sedette alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi. La mite e umile dea Estia gli cedette il suo posto alla mensa, lieta di cogliere quell'occasione per sottrarsi alle continue dispute degli dèi, ben sapendo che sarebbe stata accolta con gioia in ogni città greca che le fosse piaciuta visitare. Dioniso poi discese al Tartaro passando da Lerna e, donandole del mirto, indusse Persefone a liberare la madre sua Semele. Semele salì con Dioniso nel tempio di Artemide a Trezene; ma per non ingelosire le altre ombre dei morti, Dioniso le cambiò nome e la presentò agli dèi olimpi come Tione. Zeus mise a sua disposizione un alloggio ed Era si chiuse in un indispettito ma rassegnato silenzio.

Diore

Nella mitologia greca, Diore è il nome di alcune figure, che compaiono in diversi miti.

Diore l'Epeo

Diore era uno dei capi degli Epei che parteciparono alla guerra di Troia, era figlio di Amarinceo. Venne ucciso da Piroo, capo tracio.

Diore figlio di Eolo

Diore, uno dei figli di Eolo, il dio dei venti. S'innamorò perdutamente della sorella Polimela, allorché essa venne abbandonata da Ulisse, suo amante.

Diore di Troia

Diore, nobile troiano della stirpe di Priamo, e fratello di Amico, è menzionato in due episodi dell'Eneide. Nel libro V prende parte ai giochi funebri in onore di Anchise. Nel libro XII Virgilio narra la sua morte e quella del fratello. I due giovani seguono Enea e combattono contro i Rutuli di Turno per cercare di ottenere una nuova terra in cui vivere essendo Troia stata distrutta ad opera degli achei dopo un assedio durato dieci anni. I due fratelli troiani affrontano a cavallo Turno, il capo principale dei Rutuli, ma questi li uccide entrambi, colpendo Amico con la lancia, Diore con la spada; non contento, il principe rutulo recide ad ambedue le teste, appendendole quindi al carro nemico, per consegnare la raccapricciante scena in mostra ai compagni dei due caduti in senso di disprezzo totale.

Dios

Dios è il nome di due figure della mitologia greca:

* Un figlio illegittimo di Priamo.
* Fratello di Meone, citato come padre di Esiodo e zio di Omero.

Dios, figlio di Priamo

Dios è uno dei cinquanta figli di Priamo, re di Troia, menzionato da Omero e da Igino; è, senza dubbio, il frutto di una delle innumerevoli unioni del re con concubine. La sua presenza nell'ultimo libro dell'Iliade insieme ad altri otto dei suoi fratelli lascia supporre che, dopo la morte di Ettore, facesse parte dell'esiguo numero di principi troiani sopravvissuti alla guerra di Troia.

Dios, padre di Esiodo

Una leggenda che vuole attribuire un legame di parentela tra Esiodo e Omero riferisce che i due poeti erano cugini perché figli rispettivamente dei fratelli Dios e Meone. In realtà, Dios non era altro che un commerciante marittimo originario di Cuma eolica, trasferitosi in Beozia per la fallita attività, sebbene l'autenticità di questo personaggio sia ancora discussa.

Dirce

Dirce è una figura della mitologia greca, moglie di Lico.

Un giorno lui accolse la sua nipote Antiope, cacciata dal fratello Nitteo.

Dirce trattò Antiope come una prigioniera. Qui Antiope diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto, ma quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul monte Citerone. Un pastore trovò i gemelli, e li allevò.

Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico e Dirce attaccandola ad un toro, che la trascinò via uccidendola.

Dioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in una fonte presso Tebe, in altre versioni, venne gettata in una fonte, che assunse il suo nome.

Lo scultore Lorenzo Bartolini, nel 1834, eseguì una magistrale raffigurazione di Dirce, ora conservata al Louvre. Altra rappresentazione è la scultura del Toro Farnese conservata nel Museo archeologico nazionale di Napoli.

Ditti

Nella mitologia greca, Ditti era il nome di uno dei figli di Magnete e di una Naiade fratello Polidette, famoso per essere stato il protettore di due personaggi quali Danae e Perseo.

Degno del suo nome nome (Ditti significa rete, infatti alcuni ritengono che in realtà fosse un pescatore) mentre si trovava sulle spiagge di Serifo (l'isola dove suo fratello regnava) trovò gallegiante un cofano e lo portò a riva, dentro ad esso vi erano Perseo con sua madre. Li portò a casa con sè e decise di allevare il figlio di Zeus, in seguito fu proprio grazie all'intervento di Perseo che pietrificò con la testa della Medusa il tiranno a mettere Ditti al trono al suo posto.

Diòscuri

Càstore e Pollùce o Polideuce sono due personaggi della mitologia greca e romana, figli gemelli di Zeus e di Leda, conosciuti soprattutto come i Diòscuri, ossia "figli di Zeus", ma anche come Càstori.

Vengono talvolta considerati come patroni dell'arte poetica, della danza e della musica.

Se alcuni autori riportano che i Diòscuri nacquero da Zeus e Leda, altri affermano che i due gemelli avrebbero avuto origine da Tindaro, re di Sparta, avendo come sorella Elena, oggetto della contesa a Troia. Altri raccontano che solamente Polluce e la sorella Elena fossero figli di Zeus, e dunque immortali; Castore sarebbe stato dunque figlio di Tindaro e destinato alla morte.

Castore e Polluce furono due degli Argonauti, gli eroi che parteciparono alla ricerca del Vello d'oro: Polluce - già celebrato come grande pugile - sconfisse in una gara di questa disciplina il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo i gemelli diedero vita alla città eponima di Dioscuria, collocata secondo il mito in Colchide.

Inoltre presero parte alla lotta contro Teseo, che aveva rapito la loro sorella Elena nascondendola ad Afidne; dopo quest'ultimo combattimento Zeus concesse loro l'immortalità.

Si narra inoltre che abbiano preso parte alla Battaglia della Sagra tra le file dei locresi (Locri Epizephiri) in battaglia contro i crotonesi (Crotone).

Il fratello di re Tindaro, Afareo, era a sua volta padre di due gemelli: Ida e Linceo. Castore e Polluce rapirono le promesse spose dei cugini e nell'imboscata che ne seguì, Castore fu ferito a morte. Polluce, volendo seguire il destino del fratello, ottenne di vivere come Castore un giorno sull'Olimpo e uno nell'Ade. Un altro mito, riportato da Euripide nella sua opera Elena (v. 140), ricorda invece che Zeus concesse - visto il loro profondo legame - di vivere per sempre nel cielo, sotto forma di costellazione.

Altre tradizioni


L'incontro di gemelli nella mitologia non è rara: anche nei Veda, il libro sacro degli Arii indiani, appare una coppia di gemelli, gli Aswin, che - al pari dei Diòscuri - vengono identificati con la costellazione dei Gemelli.

Culto

Il loro culto, nato a Sparta (erano infatti figli del re eponimo di questa città), si diffuse rapidamente in tutta la Magna Grecia, soprattutto in considerazione del fatto che venivano creduti protettori dei naviganti: il mito infatti racconta che Poseidone affidò loro il potere di dominare il vento insieme al mare.

A Roma i Diòscuri (con il nome di Càstori) venivano ricordati nel loro tempio collocato all'interno del Foro Romano, nelle vicinanze del Tempio di Vesta, costruito per un voto offerto dal dittatore Aulo Postumio durante la battaglia del Lago Regillo. Il risultato della battaglia, inizialmente sfavorevole ai guerrieri dell'Urbe, si dice sia stato deciso dall'apparizione dei mitologici Dioscuri, Castore e Polluce.

Il 15 luglio era tradizione che gli equites svolgessero una processione fastosa a cavallo verso il tempio, dato che ne venivano considerati i propri protettori.

Iconografia

Sono generalmente rappresentati in nudità eroica, con il pileo, un copricapo a forma di guscio che ricorda il mito secondo cui sarebbero nati da un uovo insieme alla sorella Elena, ed un mantello.

In genere vengono accompagnati da un cavallo e, a volte, recano con sé una lancia. Vennero rappresentati quasi ininterrottamente sul rovescio della principale moneta romana, il denario, dalla incerta data della sua emissione (che i più ritengono avvenuta nel 211 a.C.) fino alla seconda metà del II secolo a.C.

Dolio

Nella mitologia greca, Dolio era il nome di un servo di Penelope di cui si racconta nell'odissea.

Curava i giardini dei suoi padroni, di lui si parlava come padre sia di Melazio e Melantò, che saranno dalla parte dei Proci, ma come racconta lo stesso Omero, anche di altri 6 figli.

Dolone

Dolone è un personaggio della mitologia greca, menzionato nell' Iliade tra i troiani che combatterono contro i greci nella guerra seguita al ratto di Elena da parte di Paride.

Unico figlio maschio del ricco Eumede, Dolone era un araldo del re troiano Priamo, e il più brutto tra tutti coloro che presero parte alla difesa della città: nonostante l'età non più tanto giovane, era ancora in grado di correre agilmente.

Egli è protagonista del decimo canto dell'Iliade, definito appunto da alcuni studiosi "Doloneide"
« Vi era fra i troiani Dolone, figlio di Eumede nobile araldo, ricco di oro e di bronzo: era brutto di aspetto ma corridore veloce, unico maschio fra cinque sorelle. »

La morte

Quando Ettore ordinò di sistemare un accampamento durante la notte nel bel mezzo del campo di battaglia dopo aver sconfitto in battaglia i greci, costringendoli a rientrare all’interno dell’accampamento, chiese l’aiuto di un volontario per spiare le mosse degli achei infiltrandosi all’interno del loro campo. Dolone accettò la proposta, chiedendo però in ricompensa i cavalli di Achille. Ettore accettò. Dolone, con indosso una pelle di lupo e un copricapo di martora, entrò in ricognizione. Nello stesso momento però, Diomede e Ulisse si dirigevano nell’accampamento dei troiani come spie. Fermato dai due guerrieri greci Dolone fu costretto a rivelare la suddivisione del campo troiano. Rivelò tra l'altro che erano giunti da poco i guerrieri traci guidati dal giovane re Reso, che portava con sé degli splendidi cavalli bianchi. Dolone venne poi decapitato da Diomede dopo averlo invano supplicato che lo risparmiasse: la testa recisa del troiano rotolò nella polvere mentre ancora parlava. Quindi l'acheo entrò nella tenda di Reso, uccidendolo mentre dormiva. Gli indumenti e l'arco di Dolone furono portati al campo greco insieme ai cavalli di Reso, e consacrati ad Atena.

Dolone lasciò un figlio adolescente, Eumede (al quale aveva dato lo stesso nome di suo padre), destinato a morire in un altro conflitto, quello tra i profughi troiani guidati da Enea contro i Rutuli di Turno, in Italia; così secondo il dodicesimo libro dell' Eneide.

Il ruolo enciclopedico ed educativo del personaggio

In greco, δόλος significa "inganno" ed esso è proprio il sentimento che caratterizza Dolone. Si noti come Omero definisce il suo abbigliamento, infatti indossa una pella di lupo e un cappello di martora, che sono sinonimo di astuzia mista a fraudolenza, e, conseguentemente, di inganno. Omero conferma poi le caratteristiche peculiari del personaggio quando quest'ultimo tenta di salvarsi la vita indicando a Ulisse l'ubicazione dell'accampamento troiano. Stratagemma che poi non riesce e lo condanna a morire da traditore.

Dolone e la figura dell'antieroe

Dolone è la tipica figura dell'antieroe, in quanto non combatte per la gloria ma per arricchirsi. L'eroe omerico deve essere invece bello e buono e combatte valorosamente per ottenere la "bella morte"che gli procurerà la gloria imperitura; infatti l'eroe greco disprezza la ricchezza e accetta i premi solo perché sono la prova tangibile del suo coraggio e del suo valore in battaglia. Dolone però non è il solo antieroe presente nell'Iliade, infatti ne esiste un altro: Tersite. Entrambi sono brutti d'aspetto: per Omero la bellezza rispecchia l'animo dell'eroe; infatti gli eroi sono belli, forti, astuti e con meravigliose armature, invece l'antieroe è brutto, pauroso, meschino e con brutta armatura. Dolone quindi presenta già le sue caratteristiche di antieroe nell'abbigliamento e nelle armi scelte per la missione di spionaggio nel campo acheo; infatti si veste con la pelle di lupo (che simboleggia la malvagità e l'essere meschino) e con un copricapo di martora (che simboleggia invece la paura, il timore, e la furbizia). Egli si arma poi di arco e frecce, armi considerate dai greci ingloriose, perché uccidono da lontano e non provano il valore dell'eroe in battaglia. Infine nell'Iliade Dolone viene paragonato al coniglio e alla cerbiatta, evidenti sinonimi di disonore e paura. Egli, pur di tentare di salvare la propria vita, arriva a tradire i propri compagni, cosa improponibile all'integrità morale di un eroe.

Dolope

Nella mitologia greca, Dolope o Dòlopo era il nome di uno dei figli di Clitio.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello vi era Dolope. Nel corso della guerra Ettore come suggerito dagli dei aspettò che Agamennone venisse messo in difficoltà fino ad abbandonare il campo. Quando ciò avvenne il guerriero troiano scese in battaglia e fra i tanti nemici uccise il prode Dolope.

Dolopo è anche il nome di un eroe troiano, figlio di Lampo e nipote di Priamo.

Doro (mitologia greca)

Doro è un personaggio della mitologia greca, figlio di Elleno e di Orseide (anche se per alcuni autori è figlio di Apollo e di Pizia). Suoi fratelli furono Ione, Eolo, Acheo e Suto. In altre versioni è figlio di Suto. Suto è il secondogenito di Elleno, e ebbe Iono e Acheo come figli. Euripide invece fa Ione figlio di Apollo, adottato da Suto, e Doro figlio di Suto, fratello (minore o maggiore?) di Acheo.

Al termine di lunghe pergrinazioni, Doro si fermò nel Peloponneso, dove diede origine alla stirpe dei dori.

Driadi

Le driadi (o adriade) e le amadriadi sono figure della mitologia greca. In origine le driadi erano propriamente le ninfe delle querce, come rivela il loro nome (dryas, quercia). Le driadi erano ninfe che vivevano nei boschi e ne incarnavano la forza e il rigoglio vegetativo. A differenza delle amadriadi, non facevano corpo con gli alberi , né morivano con essi, ma potevano muoversi liberamente, danzare e unirsi anche con semplici mortali. Venivano raffigurate come belle e giovani donne, con la parte inferiore della persona terminante in una sorta di arabesco che imitava un tronco d'albero. La parte superiore evidenziava invece una certa bellezza e solarità.

Driante (Ares)

Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ares e Giapeto.

Partecipò alla caccia al cinghiale di Calidone e combatté a fianco dei Lapiti contro i Centauri. Il fratello Tereo, fraintendendo la risposta di un oracolo, lo uccise, temendo che fosse proprio il fratello Driante il colpevole che avrebbe assassinato suo figlioletto Iti.

Driante (Egitto)

Driante (o Dria) è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Euridice, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Driante (Licurgo)

Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licurgo re della Tracia.

Trovò la morte quando il padre, impazzito per il volere degli dei, lo colpì più volte con un'accetta scambiandolo per un ceppo di vite, pianta sacra al dio Dioniso, il cui culto Licurgo aveva cercato di estirpare. Dopo questo tragico evento le terre di Licurgo, inorridite per l'accaduto, divennero sterili.

Driope (Iliade)

Driope è un personaggio della mitologia greca.

Driope era un guerriero troiano che combatté contro Achille quando questi ritornò al combattimento infuriato per la morte dell'amico Patroclo ucciso da Ettore sotto le mura di Troia. Fu il primo guerriero a essere assalito da Achille (dopo che questi non era riuscito a colpire Ettore) che lo ferì mortalmente al mento con la lancia e lo lasciò disteso sul terreno cosparso di sangue.

Edited by demon quaid - 13/12/2014, 12:23
 
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