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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 18/8/2010, 18:33 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Edipo

Edipo è un eroe della mitologia greca.

La nascita e il destino di Edipo

Laio, marito di Giocasta e re di Tebe, era afflitto dalla mancanza di un erede. Crucciato per questa insospettabile infertilità, consultò in segreto l'oracolo di Delfi, che gli spiegò come quella apparente disgrazia fosse in realtà una benedizione degli dèi, dato che il bambino destinato a nascere dalla loro unione non soltanto l'avrebbe ucciso, ma avrebbe anche sposato la madre, essendo la causa di un seguito spaventoso di disgrazie che avrebbero provocato la rovina della casa. Sperando di salvarsi, Laio ripudiò la moglie senza darle spiegazioni di sorta. Ma ubriacatolo, Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte che si rivelò fatale.

Quando nove mesi dopo la donna partorì un bambino, Laio, per evitare il compimento dell'oracolo, lo strappò dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo "espose" per mano di un suo servo. Venne poi trovato da Peribea, la moglie del re di Corinto Polibo, o da un pastore che lo portò da lui. Comunque il bambino venne allevato alla corte di Polibo, credendo di essere il figlio del re di Corinto. Al bambino venne dato il nome di "Edipo", che in greco vuol dire "piede gonfio" a causa delle ferite che aveva nelle caviglie. Anni dopo un nemico di Edipo, volendolo offendere, disse ad Edipo che lui non era il figlio di Polibo, ma un trovatello. Turbato, Edipo interrogò Polibo il quale, con molte reticenze, finì col dirgli quella che non era affatto la verità. Ma Edipo, ancora incerto, stabilì di partire per interrogare l'oracolo di Delfi e sapere chi erano davvero i suoi genitori. Quando si recò presso il santuario, la Pizia, inorridita, lo cacciò dal santuario, predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Atterrito dal vaticinio, Edipo, per evitare di uccidere Polibo e di sposare Peribea, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe.

Durante il cammino verso la Focide, non lontano da Delfi, si imbatté in un cocchio guidato da Laio e diretto al santuario delfico per tentare di chiedere alla Pizia la liberazione di Tebe dalle calamità che la tormentavano. Infatti a Tebe una sfinge imponeva indovinelli a chi passava e, se l'interrogato non riusciva a rispondere, lo divorava. Vedendo il giovane sulla strada, l'araldo di Laio, Polifonte (o Polipete), ordinò a Edipo di lasciare passare il re; ma poiché quest'ultimo non si affrettava ad obbedire, infuriato, uccise uno dei suoi cavalli ed avanzò col carro, ammaccando un piede dell'eroe. Incollerito, Edipo balzò sul cocchiere, uccidendolo con la sua lancia; Laio si trovò incastrato nelle redini dei cavalli per mano di Edipo che, gettatolo a terra e frustato i cavalli, lo trascinò nella polvere fino a ucciderlo. In tal modo, la prima profezia dell'oracolo si era compiuta.

Alla notizia della morte di Laio, i tebani elessero re Creonte, fratello di Giocasta. Anche Creonte non seppe come affrontare la Sfinge e quando il mostro rapì e divorò suo figlio Emone fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e dato in moglie Giocasta a colui che avrebbe risolto l'enigma.

L'indovinello della Sfinge

Proprio in questa occasione, Edipo giunse a Tebe dove incontrò la Sfinge. Accovacciata sul monte Ficio, presso Tebe, la creatura figlia di Tifone e di Echidna era un mostro con testa di donna, il corpo di leone, una coda di serpente e delle ali di rapace. Essa era stata inviata da Era per punire i Tebani irata contro Laio perché aveva rapito il fanciullo Crisippo di Pelope. Ad ogni passante, la creatura esponeva un enigma insegnatole dalle Muse: «Qual era l'essere che cammina ora a due gambe, ora a tre, ora a quattro e che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?». Esisteva anche un altro enigma: «Esistono due sorelle, delle quali l'una genera l'altra, e delle quali la seconda, a sua volta, è generata dalla prima?». Ma nessuno, fra i Tebani, aveva mai potuto risolvere questi enigmi, e la Sfinge li divorava uno dopo l'altro.

Una versione, forse più antica, raccontava che ogni giorno i Tebani si incontravano nella piazza della città, per cercare di risolvere in comune l'indovinello, ma senza riuscirvi mai, e ogni giorno, a conclusione di quella seduta, la Sfinge divorava uno di essi.

Ora Edipo, che era passato da lì, dopo aver ascoltato gli enigmi della creatura, comprese immediatamente quali erano le risposte; la risposta al primo indovinello era l'uomo, perché esso cammina durante l'infanzia, a quattro gambe, poi a due, e infine si appoggia ad un bastone nella vecchiaia; al secondo, era il Giorno e la Notte (il nome del giorno è femminile in greco; è dunque «sorella» della notte). La Sfinge, indispettita, si precipitò dall'alto della roccia sulla quale era appollaiata. Oppure, fu Edipo stesso a spingerla nell'abisso.

Creonte, soddisfatto dell'impresa del giovane eroe, e soprattutto di vedere vendicata la morte di suo figlio, cedette il trono ad Edipo il quale sposò Giocasta. La profezia si era avverata fino in fondo: il figlio aveva sposato la madre. Dalla loro unione nacquero due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene.

Dopo un lungo felice periodo di regno, una peste si abbatté sulla città di Tebe, ed Edipo inviò Creonte a chiedere all'oracolo di Delfi la ragione di quel flagello. Creonte ritornò riportando la risposta della Pizia: la peste sarebbe cessata soltanto se la morte di Laio fosse stata vendicata. Edipo pronunciò allora contro l'autore di quel delitto una maledizione - condannandolo all'esilio - la quale finirà per rivolgersi contro lui stesso. Interrogò poi l'indovino Tiresia per chiedergli chi fosse il colpevole. Tiresia, il quale, attraverso le sue facoltà divinatorie, conosceva tutto il dramma, tentò di evitare la risposta, dimodoché Edipo si immaginò che Tiresia e Creonte fossero gli autori del delitto. Si accese dunque una disputa fra Edipo e Creonte. Allora Giocasta mise in discussione la chiaroveggenza di Tiresia, e a prova di questo mise la profezia che lui stesso aveva fatto sul figlio di Laio e Giocasta, credendo che non si fosse avverata. Disse che invece Laio era morto ucciso dai briganti in un crocicchio. Alla parola "crocicchio" Edipo temette di essere lui stesso l'assassino di Laio e si fece descrivere Laio e la carovana che lo portava. Ma da Corinto arrivò un araldo, che informò Edipo della morte dell'uomo che lui credeva suo padre, Polibo. Giocasta e Edipo credettero così che la profezia fosse stata scongiurata, ma l'araldo disse ad Edipo che in realtà Polibo non era suo padre. Capita la situazione, Giocasta si uccise, ed Edipo si trafisse gli occhi con la spilla della moglie-madre.

L'esilio e la fine di Edipo


Per qualche tempo, Creonte, ridiventato re, tenne nascosta la vicenda ma ben presto i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, scoperta la storia dell'incesto, chiesero al re di cacciarlo da Tebe. Disgustato dal loro comportamento, Edipo li maledisse, predicendo loro che si sarebbero divisi e sarebbero morti l'uno per mano dell'altro. Così l'eroe cieco, vittima dell'imprecazione pronunciata da lui stesso contro l'uccisore di Laio, prima di sapere chi fosse, solo e accompagnato da Antigone e Ismene, cominciò a peregrinare per il paese, chiedendo l'elemosina.
Edipo a Colono, accompagnato da Antigone, dipinto di Fulchran-Jean Harriet, 1798.

Dopo lunghi anni, Edipo vagò per la Grecia, fino a giungere in Attica; con le figlie arrivò a Colono nelle cui vicinanze si estendeva un bosco dedicato alle Erinni (le tre terribili dee alate che punivano con il rimorso chi turbava l'ordine morale, ma che si trasformavano nelle tre benevole Eumenidi se il colpevole si pentiva, come nel caso di Edipo), nel quale si addentrò per attendere la morte.

Mentre vagava nelle vicinanze l'eroe trovò Teseo, il quale lo confortò e lo accolse ospitalmente con le due figlie nella sua reggia. Avendo un oracolo dichiarato che il paese che avrebbe accolto la tomba di Edipo sarebbe stato benedetto dagli dei, Creonte cercò di convincere Edipo, morente, a tornare a Tebe. Ma Edipo, che era stato accolto ospitalmente da Teseo, si rifiutò e volle che le sue ceneri rimanessero in Attica.

Poiché aveva saputo che la fine gli sarebbe stata annunciata da tuoni e da fulmini, al primo tuono fece chiamare Teseo, che lo raggiunse nel pieno del temporale scatenato da Zeus. Sotto la pioggia, Edipo giunse nei pressi di un abisso; qui alcuni gradini di bronzo conducevano agli Inferi. Edipo si sedette, si tolse gli abiti sporchi, si fece lavare e vestire dalle figlie e con loro intonò il lamento funebre. Appena terminato il canto, si sentì la voce di un dio che chiamava Edipo. Subito dopo risuonò un altro tuono, così forte che Teseo si coprì la faccia col mantello. Quando tolse le mani, Edipo era scomparso per sempre.

Eete

Eete (o Eeto o, ancora, Eeta) è una figura della mitologia greca. Fu figlio di Elio e di Perseide, nonché fratello della maga Circe e di Pasifae, moglie di Minosse e regina di Creta. Fu re della città di Eea sul Fasi, nella Colchide.

Da Idia, figlia di Oceano, Eeta ebbe due figlie e un figlio, la prima, Calciope, sposò Frisso, che, in segno di riconoscenza, donò ad Eeto il vello d'oro.

La seconda figlia, Medea, in possesso di poteri magici, aiutò Giasone a conquistare il vello d'oro, tradendo il padre. Il maschio, Apsirto, fu ucciso da Medea per poter fuggire a Corinto con gli Argonauti.

È citato da Apollonio Rodio e dal mitografo Apollodoro.

Eetione (mitologia)

Nella mitologia greca, Eetione era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Eetione o Ezìone, padre di Andromaca e di Pode
* Eetione, di Imbro, colui che riscattò comprando a caro prezzo Licaone, il figlio di Priamo che Achille aveva catturato e venduto come schiavo.

Eezìone

Eezìone è un personaggio della mitologia greca; era il padre di Andromaca, moglie di Ettore e madre di Astianatte (Scamandrio). Nel Canto VI dell'Iliade si parla di lui tramite le parole di Andromaca stessa.
Eezìone, mentre regnava su Tebe Ipoplacia, in Cilicia, fu ucciso da Achille, ma non fu spogliato delle sue armi (come era usanza fare quando si abbatteva un nemico). Achille infatti ne ebbe rispetto, come fosse un nemico valoroso, uno dei pochi che avesse mai temuto. Fu quindi fatto bruciare con le sue armi e gli venne dedicato un sepolcro con degli olmi intorno, piantati dalle ninfe montane.

Efesto

E' il dio artefice di opere mirabili, il fabbro divino, inventore e maestro della lavorazione dei metalli, generato da Era, secondo Esiodo, senza alcuna collaborazione maschile. Secondo altri autori era figlio di Zeus e di Era. Una tradizione cretese fa di Efesto non il figlio di Zeus, ma di Talo, figlio di Creso, eroe eponimo dell'isola. Efesto nacque così gracile e mingherlino che sua madre Era, disgustata, lo gettò giù dall'Olimpo per liberarsi dall'imbarazzo che il suo pietoso aspetto le ispirava. Efesto tuttavia sopravvisse al pauroso volo poiché cadde nel mare, dove le ninfe oceanine Teti ed Eurinome lo accolsero e tennero il bimbo con loro per nove anni in una grotta sottomarina. Qui Efesto installò la sua prima fucina e ricompensò le sue ospiti delle cortesie usategli forgiando e modellando per loro ogni sorta di oggetti utili e gioielli, che realizzava con grande maestria. Era, che apprezzava parecchio i gioielli e saputo che tali meraviglie erano opere del figlio, lo chiamò sull'Olimpo. Efesto vi andò, ma dopo qualche tempo per vendicarsi della madre che l'aveva gettato fuori dell'Olimpo, le costruì un magnifico trono d'oro fornito di invisibili lacci, in cui ella, sedendosi, rimase avvinta; nessuno era capace a scioglierla tranne Efesto che rifiutò di farlo. Solo Dioniso, che godeva della sua fiducia, lo fece ubriacare a puntino e, caricatolo sul dorso di un asino, lo portò sull'Olimpo e lo convinse a liberare Era. Benché ubriaco il dio aveva mantenuto una certa lucidità, difatti per liberare Era volle in cambio Afrodite per sposa. Ma il vero padre dei tre figli che Afrodite diede alla luce, Fobo, Deimo e Armonia, era Ares. Efesto non si accorse di essere ingannato finché gli amanti indugiarono a letto troppo a lungo nel palazzo di Ares in Tracia, ed Elio, sorgendo nel cielo li scoprì intenti ai loro piaceri, e andò a raccontare tutto a Efesto.
Efesto, furibondo, si ritirò nella sua fucina e forgiò una rete di bronzo, sottile come un velo ma solidissima, e la assicurò segretamente ai lati del suo talamo. Quando Afrodite ritornò dalla Tracia, Efesto le disse che doveva recarsi per una breve vacanza a Lemno, la sua isola favorita. Afrodite non si offrì di accompagnarlo, anzi, non appena Efesto fu partito, mandò a chiamare Ares che si precipitò al palazzo. Ambedue si coricarono nel talamo di Efesto, ma all'alba si trovarono imprigionati nella rete, completamente nudi e senza possibilità di scampo. Efesto, ritornato dal suo viaggio, li colse sul fatto e invitò tutti gli dèi a far da testimoni al suo disonore. Annunciò poi che non avrebbe liberato la moglie finché non gli fosse stata restituita la preziosa dote che aveva dovuto pagare a Zeus, padre adottivo della sposa.
Gli dèi accorsero subito per vedere Afrodite nell'imbarazzo, ma le dee, per un delicato senso di pudore , rimasero a casa. Apollo, Ermete e tutti gli dèi scoppiarono in una gran risata, ma Zeus era così disgustato che rifiutò di restituire la dote o di intromettersi in un litigio tanto volgare tra moglie e marito, dichiarando che Efesto era stato uno sciocco a mettere in piazza gli affari suoi. Poseidone si offrì di pagare il valore equivalente alla dote se Ares avesse rifiutato di pagare il debito. Così Ares fu rimesso in libertà e ritornò in Tracia, mentre Afrodite andò a Pafo, dove ricuperò la propria verginità bagnandosi nel mare.
Efesto si era riconciliato del tutto con Era, tanto che osò rimproverare Zeus per averla appesa al cielo perché essa tormentava Eracle. Ma gli sarebbe convenuto tacare, poiché Zeus infuriato lo scagliò giù dall'Olimpo una seconda volta. Precipitò e toccò terra sull'isola di Lemno fratturandosi ambedue le gambe. Ritornato sull'Olimpo col perdono di Zeus, potè camminare soltanto con l'aiuto di grucce d'oro.
Molti dèi, Titani o Giganti avrebbero volentieri sposato Atena, ma essa rifiutò le loro proposte. Ma un giorno, durante la guerra di Troia, non volendo chiedere in prestito le armi a Zeus che si era dichiarato neutrale, Atena pregò Efesto di fabbricarle un'armatura. Efesto rifiutò di essere pagato, dicendo astutamente che si sarebbe assunto l'incarico per amore; Atena non afferrò il significato di quella frase e, quando si recò nella fucina di Efesto, il dio all'improvviso si volse e cercò di usarle violenza. Quando Atena si divincolò da Efesto, questi eiaculò sulla sua coscia, un po' al disopra del ginocchio. La dea si ripulì con una manciata di lana, che gettò via disgustata: la lana caddè al suolo e casualmente fecondò la Madre Terra. Ribellandosi all'idea di avere un figlio che Efesto avrebbe voluto generare in Atena, la Madre Terra rifiutò ogni responsabilità per la sua educazione. Atena allora prese sotto la sua protezione il bimbo appena nato e lo chiamò Erittonio, lo celò in un cesto che affidò ad Aglauro, figlia maggiore del re di Atene, Cecrope, raccomandandole di averne cura.
Zeus ordinò a Efesto di fabbricare una donna, ai quattro Venti di soffiare in essa la vita, e a tutte le dee dell'Olimpo di adornarla. Codesta donna, Pandora, fu la più bella del mondo e Zeus la inviò a Epimeteo, il quale, dimenticando il consiglio del fratello, Prometeo, ne fece la propria moglie, sedotto dalla bellezza. Pandora era stupida, malvagia e pigra quanto bella: la prima di una lunga serie di donne come lei. Subito essa aprì il vaso che Prometeo aveva raccomandato a Epimeteo di tenere chiuso, e tutti i mali si riversarono sull'umanità. Rimase sul fondo solo la Speranza, che non potè scappare poiché Pandora aveva richiuso prima il coperchio.
Efesto si rivelò molto utile a tutti gli dei dell'Olimpo. Costruì splendide sale e palazzi, consentendo agli dei di vivere in mezzo al lusso. A Delfi si dice che Efesto costruì il quarto santuario in bronzo, con canori uccelli d'oro appollaiati sul tetto. La corona, che Dioniso regalò ad Arianna come dono di nozze, fu fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose. A Cheronea, lo scettro a forma di lancia è forse l'unica autentica opera di Efesto ancora esistente. Zeus lo inviò a Pelope, figlio di Tantalo, a mezzo di Ermete, e Pelope lo trasmise poi al re Atreo. I lucidi schinieri di bronzo, la corazza aurea e lo splendido scudo indossati da Eracle nel duello contro Cicno, figlio di Ares, erano opera di Efesto. Teti regalo ad Achille una nuova armatura comprendente anche un paio di preziosi schinieri forgiati da Efesto. Le ceneri di Achille, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto, dono di nozze di Dioniso a Teti. Efesto aveva costruito il palazzo reale di Eete, per ringraziare Elio che era accorso in suo aiuto quando egli stava per essere sopraffatto dai Giganti durante l'assalto all'Olimpo. Efesto avrebbe anche favorito la nascita di Atena calando un fendente sulla testa di Zeus, da dove uscì fuori la dea vergine, senza quindi l'aiuto di una donna.
Efesto, brutto e disgraziato, ebbe donne di grande bellezza: Omero gli attribuisce Carite, la Grazia per eccellenza, ed Esiodo la più giovane delle Cariti, Aglae. Tra i suoi figli, quasi tutti zoppi come lui, vi fu l'argonauta Palemone; Perifete, un brigante di Epidauro; e Ardalo, scultore leggendario.
Il culto di Efesto non era molto diffuso: il suo centro nel mondo greco era l'isola di Lemno, dove sorgeva la città di Efestia, a lui consacrata, e un tempio nel punto in cui, secondo il mito, era caduto e dove Prometeo aveva rapito il fuoco. Ad Atene il suo culto era legato con lo sviluppo delle industrie metallurgiche, ed era collegato con quello di Atena: in suo onore si celebravano le Efestie durante le quali si svolgeva una corsa di giovani con fiaccole accese nella quale riusciva vincitore chi conservava più a lungo accesa la fiamma. In occidente il suo culto era particolarmente diffuso nelle regioni vulcaniche della Magna Grecia. I Romani lo chiamarono Vulcano.

Efialte (mitologia)

Efialte o Fialte è un personaggio presente sia nella mitologia greca (figlio di Poseidone e di Efimedea), sia nella storia greca.

La leggenda dipinge lui ed il fratello Oto come giganti, conosciuti col nome di Aloadi. Con la brama di assurgere fino al cielo, un giorno misero il monte Ossa sopra all'Olimpo e sopra a questo il monte Pelio. Con questo gesto attirarono a sé l'ira degli dei e furono uccisi da Apollo.

Omero riporta questa leggenda sia nell'Iliade che nell''Odissea, narrando anche dei trattamenti subiti da Ares, incatenato, e rinchiuso in un vaso di bronzo, fino a che Ermes non giunse a liberarlo.

Dante lo collocò nel Pozzo dei Giganti nell'Inferno. Esso viene ritratto come uno tra i più pericolosi giganti che per la sua irruenza è ridotto alla più completa immobilità con un quintuplo giro di catene che legano il suo corpo. Quando Virgilio, passandogli vicino, spiega a Dante-pellegrino che Briareo era un gigante più pericoloso di lui, Fialte, o per un moto di gelosia o per semplice rabbia da impotenza, si scuote generando un fortissimo terremoto, che spaventa Dante a morte, anche se la visione delle pesanti catene che non vacillano lo riconfortano subito. Successivamente i due incontrano Anteo.

Egeo

Mitico re di Atene, figlio di Pandione, successore di Cecrope, e di Pilia. Dopo la morte di Pandione, i suoi figli Egeo, Pallante, Niso e Lico furono costretti a riconquistare l'Attica che Pandione aveva perduto. Marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo, che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante fino a ovest di Corinto; a Lico toccò l'Eubea e a Pallante l'Attica meridionale. La vita di Egeo era costantemente minacciata dalle congiure dei suoi parenti, e in special modo di Lico, che si diceva fosse stato cacciato dall'Eubea.
Egeo sposò dapprima Meta, figlia di Oplete; poi Calciope, figlia di Ressenore; ma nessuna delle due gli diede dei figli. Attribuendo tale sventura, come pure la triste fine delle sue sorelle Procne e Filomela, alla collera d'Afrodite, egli ne introdusse il culto in Atene e poi si recò a consultare l'oracolo di Delfi da cui ebbe questo oscuro responso: "La bocca che sporge dall'otre, o migliore fra gli uomini, non slegare, prima di giungere al sommo di Atene". Lungo la via del ritorno si fermò a Corinto; colà Medea gli fece giurare solennemente che egli l'avrebbe protetta dai suoi nemici semmai essa si fosse rifugiata ad Atene e si incaricò di procurargli un figlio con opera di magia. Egeo si recò poi a Trezene, dove i suoi vecchi compagmi Pitteo e Trezene, figli di Pelope, erano giunti recentemente per dividersi il regno con re Ezio.
Pitteo fece ubriacare Egeo e lo mandò a letto con la propria figlia Etra. Nel corso della medesima notte, anche Poseidone godette di lei poiché, obbedendo a un sogno provocato da Atena, Etra lasciò Egeo e raggiunse l'isola di Sferia, vicinissima a Trezene. Colà, con la connivenza di Atena, Poseidone si giacque con Etra. Poseidone tuttavia concesse generosamente a Egeo la paternità del bimbo che fosse nato da Etra. Egeo, quando si destò nel letto di Etra, le disse che se un figlio fosse nato dal loro amplesso non doveva essere esposto ma bensì allevato segretamente a Trezene. Poi ritornò ad Atene per celebrare le Panatenee, dopo aver nascosto la propria spada e i propri sandali sotto un masso noto col nome di Altare di Zeus il Forte, e che sorgeva lungo la strada da Trezene a Ermione. Se il ragazzo, raggiunta la maturità, avesse avuto la forza di spostare il masso e di recuperare la spada e i sandali, si sarebbe dovuto mandarlo ad Atene. Frattanto Etra doveva tenere la bocca chiusa, affinché i nipoti di Egeo, i cinquanta figli di Pallante, non congiurassero contro la sua vita. La spada era un pegno avuto da Cecrope.
In una località ora chiamata Genetlio, sulla strada che dalla città conduce al porto di Trezene, Etra diede alla luce un figlio. Taluni dicono che essa lo chiamò Teseo; altri sostengono che il giovane si meritò in seguito quel nome ad Atene. Egli fu allevato a Trezene, dove il suo tutore Pitteo prudentemente mise in giro la voce che il bimbo era figlio di Poseidone. Mentre Teseo cresceva a Trezene, Egeo aveva mantenuto la promessa fatta a Medea, ospitandola quando essa fuggì da Corinto. In seguito la sposò e lei gli diede un figlio, Medo.
Allorché Teseo divenne un giovanetto forte e saggio, Etra lo guidò al luogo dove Egeo aveva nascosto la spada e i sandali e gli narrò la storia della sua nascita. Egli spostò senza alcuna difficoltà il masso, chiamato poi "Roccia di Teseo", e ricuperò i pegni lasciati da suo padre. Poi raggiunse Atene, e Medea lo riconobbe e ne divenne gelosa per via di Medo, il figlio che aveva avuto da Egeo e che si supponeva gli sarebbe succeduto sul trono. Cercò quindi di convincere Egeo a mandare il giovane contro il toro di Maratona che aveva ucciso il figlio di Minosse, Androgeo. Contrariamente alle sue aspettative, Teseo uscì vittorioso dallo scontro e riportò ad Atene il toro vivo. Medea allora decise di sopprimerlo. Fece credere ad Egeo che Teseo fosse una spia o un assassino, e lo indusse a invitarlo alla festa nel Tempio del Delfino; Egeo, che si serviva del tempio come della propria residenza, si preparò a offrire a Teseo una coppa di vino affatturato da Medea. Taluni dicono che quando il bue arrostito fu servito nel Tempio del Delfino, Teseo estrasse la spada per trinciare la carne e così attrasse l'attenzione di suo padre; ma secondo altri, Teseo si era già portato la coppa alle labbra senza sospettare di nulla quando Egeo notò i serpenti Eretteidi incisi sull'elsa della spada e rovesciò la coppa di vino avvelenato per terra. Egeo abbracciò Teseo e lo riconobbe come figlio dinanzi al popolo radunato. Animato da propositi di vendetta, Teseo inseguì allora Medea; essa però riuscì a fuggire avvolgendo il proprio corpo in una magica nube e si allontanò da Atene con il figlio Medo. Pallante e i suoi cinquanta figli, quando videro le loro speranze di governare in Atene minacciate da uno straniero, si ribellarono apertamente; ma Teseo balzò sui guerrieri in agguato e li sterminò.
Egeo si rese colpevole, nei confronti di Minosse, della morte del figlio Androgeo ucciso dal toro di Maratona, e ben presto Minosse invase l'Attica, e attaccò Megara e Atene: Megara cadde e Atene venne colpita da una pestilenza. Il tributo imposto da Minosse alla città di Atene di sette fanciulli e sette fanciulle da inviare ogni anno (altri dicono ogni tre anni, oppure ogni nove anni) per nutrire il Minotauro, dette luogo alla spedizione di Teseo contro l'orrenda creatura. L'eroe, partendo alla volta di Creta, aveva convenuto col padre che se l'impresa fosse riuscita avrebbe issata al ritorno una vela bianca; ma se ne dimenticò, lasciando la vela nera issata quando era partito col suo tributo umano. Egeo che da uno scoglio spiava ansioso il ritorno del figlio, non appena la vide credette morto Teseo e si precipitò nel mare, che ebbe poi da lui il nome di Mar Egeo.

Egeria

Antichissima divinità latina delle sorgenti; nella mitologia romana era la ninfa della fonte omonima in un bosco presso il lago di Nemi, vicino ad Aricia; le era sacra anche un'altra fonte a Roma presso la Porta Capena, ai piedi della collina del Celio. Era detta una Camena "cantante" come la Musa dei Greci, e perciò "vaticinatrice". Presso la prima fonte ebbe culto a fianco di Diana Nemorense, e questo collegamento con Diana lascia supporre che un suo aspetto assai antico fosse quello di divinità protettrice delle nascite. Quindi era anche annoverata nel gruppo delle divinità che presiedono al parto, e anzi fra queste essa sola ebbe personalità. Era venerata come la divinità ispiratrice del re Numa nelle sue riforme per l'incivilimento del rozzo e primitivo suo popolo di pastori. Egeria passava per essere la consigliera del re Numa che la sposò o ne fece la sua amante, e i loro colloqui avvenivano di notte a Porta Capena o in una grotta situata nel bosco delle Camene. Seguendo i consigli di lei, Numa Pompilio diede ai Romani le istituzioni religiose. Secondo Ovidio si spostò ad Aricia alla morte di Numa Pompilio e Diana, per placare il suo dolore, la trasformò in una fonte.

Egesta

Egesta è un personaggio della mitologia greca.

Esistono varie leggende che ruotano attorno alla venuta di questa Troiana in Sicilia. Servio racconta che quando Laomedonte si rifiutò di pagare Apollo e Poseidone, poiché avevano costruito le mura di Troia, gli dei scagliarono sciagure contro il suo paese: Poseidone lo devastò con un mostro marino e Apollo con un'epidemia; quest'ultimo, interrogato, rivelò il rimedio contro il mostro di Poseidone. Egli disse che occorreva dare in pasto all'animale giovani nobili del paese. Così numerosi Troiani mandarono rapidamente i loro figli all'estero, e come tanti, Egesta venne affidata dal padre Ippote ad alcuni mercanti che la portarono in Sicilia. Qui Crimiso, un dio-fiume, la sposò e generò con lei Egeste, il fondatore della città di Segesta.

Secondo Licofrone, invece, Egesta fu figlia del Troiano Fenodamante, che aveva suggerito ai suoi compagni di dare in pasto al mostro la figlia di Laomedonte, Esione , che, per vendicarsi, diede ai marinai le tre figlie di Fenodamante, perché le esponessero alle belve in Sicilia. Le tre fanciulle sfuggirono il pericolo aiutate da Afrodite. Una di loro, Egesta, sposò Crimiso, con cui ebbe Egeste, il quale fondò tre città: Segesta, Erice ed Entella.

Un'altra tradizione racconte che Egesta, figlia di Ippostrato, ritornò dalla Sicilia a Troia, dove dal marito Capi aveva avuto il figlio Anchise.

Egialea

Egialea era un personaggio della mitologia greca, moglie di Diomede.

Orfana del proprio padre, raggiunta l'età dell'adolescenza, venne data in moglie al re di Argo.

Guerra di Troia


Quando giunse la guerra di Troia e Diomede dovette lasciarla, Egialea dopo anni di attesa di un suo ritorno dimenticò il marito e probabilmente entrò in uno stato di depressione tanto acuto da indurla a odiarlo. Per questo, terminata la guerra, quando Diomede tornò per riabbracciare felice la sua amata e bellissima moglie, ella lo rifiutò e cercò addirittura di ucciderlo. Diomede la trovò a commettere adulterio, scappando così da Argo.

Alcuni canti dicono che Egialea non lo amò più da quando aveva stretto un patto con la bella regina Clitennestra e altre le quali volevano eliminare i re dal trono per poter governare loro stesse.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:04
 
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