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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 24/8/2010, 15:06 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Epicasta

Nella mitologia greca, Epicasta era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Epicasta, chiamata più comunemente Giocasta la madre di Edipo;
* Epicasta, figlia di Augia, fu una delle compagne di Eracle da cui ebbe un figlio, Testalo.
* Epicasta, figlia di Calidone e di Eolia.

Epicasta (Calidone)

Nella mitologia greca, Epicasta era il nome di una delle figlie di Calidone e di Eolia

Si trattava della sorella di Protogenia, Epicasta si unì ad un suo parente, il cugino Agenore. Il legame parantela vi era per mezzo di Pleurone, fratello di Calidone e padre del ragazzo.

Da tale unione nacquero due figli: Portaone e Demonice.

Epicle

Nella mitologia greca, Epicle è il nome di un combattente licio che faceva parte del contingente filotroiano guidato da Sarpedone sotto le mura di Troia. È menzionato nel libro XII dell'Iliade.

Epicle era un giovane guerriero licio pervenuto a Troia al seguito di re Sarpedone, figlio di Zeus, per combattere gli eserciti achei schierati da Agamennone lungo le coste della Troade.

La morte


L'uccisione di Epicle si consumò tragicamente nel decimo anno di guerra durante il combattimento presso la cerchia muraria che cingeva l'accampamento acheo. Il licio avanzò eroicamente al fianco del suo comandante verso la torre fortificata protetta dal re Menesteo e s'arrampicò alle piccole sporgenze delle mura nel tentativo di scalare l'accampamento. Il gigantesco Aiace Telamonio, vistolo in procinto di raggiungere la sommità della muraglia, afferrò un enorme masso che sporgeva sul parapetto della torre, che, tiene a precisare Omero, un solo uomo a stento riuscirebbe a portare nel pieno delle forze, e lo scagliò con violenza contro l'avversario, sfondandogli l'elmo e le ossa del capo. Epicle abbandonò l'appiglio e rotolò morto a terra tra i suoi compagni, simile a un tuffatore.

Epidauro (mitologia)

Nella mitologia greca, Epidauro era il nome di uno dei figli di Argo e Evadne

Di lui racconta Apollodoro, che rimane fra le varie versioni la più importante, racconta di sua madre la figlia del dio mare Strimone e dei suoi fratelli: Ecbaso, Pira e Criaso. Pausania racconta che gli Elei si discostavano da questa interpretazione, tipica degli Argivi, vedendo in Epidauro un figlio di Pelope.

Epigeo

Nella mitologia greca, Epigeo era il nome di uno dei figli di Agacle.

Epigeo viveva tranquillamente nella grande città di Budeo, (situata forse in Tessaglia, forse in Epiro o Magnesia) fin quando uccise un suo cugino. Pentendosi del gesto, dopo un esilio forzato chiese consiglio ad Achille che lo costrinse a venire con lui ed a partecipare alla guerra di Troia, scaturita per colpa di Paride figlio di Priamo che prese con se Elena moglie di Menelao. In una battaglia prima rimase ferito e poi Ettore lo uccise con una pietra. Patroclo al vederlo si infuriò e cercò di vendicarlo.

Epigoni

Sono i discendenti diretti dei Sette Campioni che parteciparono alla prima sfortunata spedizione contro Tebe. Dieci anni dopo il disastro, i figli dei Sette rinnovarono l'attacco contro Tebe dietro suggerimento dell'oracolo di Delfi, per vendicare i padri e reclamare il trono di Polinice. L'oracolo di Delfi promise loro la vittoria se Alcmeone, figlio di Anfiarao, avesse assunto il comando. Ma egli non provava desiderio di attaccare Tebe e si accalorò a discutere dell'opportunità di quella guerra col fratello Anfiloco. Poiché non riuscivano ad accordarsi, rimisero la decisione nelle mani della loro madre Erifile. Tersandro, figlio di Polinice, corruppe Erifile con il magico manto che Atena aveva donato alla sua ava Armonia in occasione delle nozze. Erifile decise perla guerra e Alcmeone assunse di malavoglia il comando.
Parteciparono alla guerra: i due figli di Anfiarao, Alcmeone e Anfiloco; il figlio di Adrasto, Egialeo; il figlio di Tideo, Diomede; il figlio di Partenopeo, Promaco; il figlio di Capaneo, Stenelo; il figlio di Polinice, Tersandro; il figlio di Mecisteo, Eurialo. Gli Epigoni iniziarono le operazioni saccheggiando i villaggi attorno a Tebe. Poi a Glissa avvenne lo scontro con i Tebani comandati da Laodamante, figlio d'Eteocle. Nella battaglia, gli Epigoni perdettero Egialeo, ucciso da Laodamante, ma questi venne ucciso da Alcmeone e i Tebani furono sbaragliati.
Il veggente Tiresia predisse allora ai Tebani che la loro città sarebbe stata distrutta allorché l'ultimo dei Sette antichi eroi fosse rimasto in vita. Adrasto, l'ultimo superstite, morì di dolore alla notizia della fine di Egialeo. Era dunque opportuno che i Tebani fuggissero dalla città quella notte stessa. Col favore delle tenebre, i Tebani fuggirono al Nord portando seco le mogli, i figli, le armi e poche suppellettili, e si rifugiarono nella terra degli Enchelei. All'alba Tiresia, che era andato con loro, si dissetò alla fonte Tilfussa e all'improvviso spirò.
Quel medesimo giorno, gli Argivi, trovando Tebe deserta, vi irruppero, rasero al suolo le mura e raccolsero il bottino. Ne mandarono la parte migliore ad Apollo a Delfi, compresa la figlia di Tiresia, Manto, che era rimasta in città; ed essa divenne la Pizia del dio. Gli Epigoni ristabilirono sul trono Tersandro, figlio di Polinice, il quale invitò i Tebani a tornare, e poi tornarono ad Argo.

Epimeteo

Figlio di Giapeto e d'Asia (o di Climene, secondo Igino), della stirpe dei Titani, era fratello di Prometeo del quale era l'esatto opposto: tanto preveggente questi, quanto improvvido quegli. Così quando Zeus gli mandò per mezzo di Ermete Pandora, la donna fornita di tutti i doni dagli dèi, bellezza, astuzia incantatrice, abilità, coraggio, egli, ammonito dal fratello di non ricevere nessun dono dagli dèi irati contro la stirpe di Giapeto per il furto del fuoco compiuto da Prometeo, cortesemente rifiutò. Zeus, sempre più infuriato, fece incatenare Prometeo a una vetta del Caucaso, dove un avido avvoltoio gli divorava il fegato tutto il giorno; e il suo tormento non aveva fine, poiché ogni notte il fegato gli ricresceva.
Epimeteo, angosciato per la sorte di suo fratello, si affrettò a sposare la bella Pandora, che per volontà di Zeus era stata resa stupida, malvagia e pigra: la prima di una lunga serie di donne come lei. Subito Pandora, divorata dalla curiosità, aprì il vaso che Prometeo aveva raccomandato a Epimeteo di tenere chiuso, e nel quale si trovavano tutte le Pene che possono affliggere l'umanità: la Vecchiaia, la Fatica, la Malattia, la Pazzia, il Vizio e la Passione. Esse allora volarono via a stormo e attaccarono i mortali. Restò solo la Speranza, la più lenta a uscire, che era in fondo e non potè scappare, perché Pandora aveva richiuso prima il coperchio.
Altre versioni dicono che il vaso rinchiudesse non i mali, ma i beni, e che fosse stato portato a Epimeteo come dono di nozze da Pandora, da parte di Zeus. Aprendolo, Pandora lasciò che i beni volassero via e ritornassero alle divine dimore, invece di restare fra gli uomini. Così l'umanità fu afflitta da tutti i mali; solo la Speranza restò a consolare i nortali.
Da Epimeteo e Pandora nacque Pirra, che fu poi sposa di Deucalione, figlio di Prometeo.

Epipola

Epipola è un personaggio della mitologia greca, figlia di Trachione. Il padre ricevette l'ordine di recarsi in Aulide per partecipare alla guerra di Troia. Era però troppo anziano per combattere e non aveva figli maschi da mandare in guerra. Prima che partisse però sua figlia Epipola radunò gli schieramenti del padre e si recò al porto di Aulide, mascherata da uomo.

Palamede, che già aveva scoperto l'inganno di Ulisse, riuscì a svelare l'identità di Epipola e, nonostante le proteste di Achille, presso il quale la giovane aveva chiesto aiuto, la fece uccidere a sassate dall'esercito acheo.

Epistrofo

Nella mitologia greca, Epistrofo era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Epistrofo, forte alleato dei troiani capo degli Alizoni.
* Epistrofo, figlio di Ifito e di Ippolita, nipote di Naubolo, del contingente focese, abitava a Crisa. Fu ucciso da Ettore.
* Epistrofo, figlio di Eveno e fratello di Minete, viveva a Lirnesso in tranquillità. In tale città era stata portata in segreto Briseide per farla salva dalle grinfie dell’acheo figlio di Teti che la desiderava. La furia di Achille la raggiunse riprendendosela dopo aver distrutto la città intera e aver ucciso lo stesso Epistrofo.

Epistrofo, figlio di Ifito


Figlio di Ifito e Ippolita e nipote di Naubolo, era capitano del contingente focese nella guerra di Troia, insieme al fratello Schedio. Omero spiega che i due fratelli portarono in guerra quaranta navi, dieci delle quali appartenevano a Schedio, le restanti ad Epistrofo. Nel corso della guerra, Epistrofo non si distinse nei combattimenti, né tantomeno sembrava deciso a vendicare la morte del fratello, ucciso per mano di Ettore. Secondo alcun leggende, cadde egli stesso per mano di Ettore, contemporaneamente al fratello.

Epistrofo, capo degli Alizoni


Epistrofo era anche un capitano dell'Alizonia, nominato da Omero come un alleato dei Troiani insieme al gigantesco fratello Odio. Era figlio di Mecisteo, e possedeva nel suo vasto esercito di Alizoni, anche un considerevole contingente di Amazzoni. Omero lo menziona al libro II dell'Iliade, insieme al fratello.

Epitide

Epitide è il patronimico di Perifante, figlio di Epito e araldo di Anchise. Compare al saggio 323 del libro XVII dell'Iliade come nome proprio, ai saggi 546 e 578 del libro V dell'Eneide come patronimico ed al saggio 476 del secondo come epiteto. Ma se in Omero l'eroe viene ucciso da Ares; Virgilio, a conferma dei rapporti di emulazione e continuazione dei romanzi omerici che opera nell'Eneide, cita per allusione un personaggio con il medesimo nome, ma nuovo e diverso dal primo.

Epito

Epito è un personaggio della mitologia greca, figlio di Cresfonte e di Merope. Ricordato come giusto governante, grazie all'aiuto degli Arcadi e dei Dori riuscì a riconquistare la città di Messene e lo scettro paterno che Polifonte aveva strappato a suo padre.

Epopeo


Epopeo re di Sicione, figlio di Posidone e di Canace.

Alla morte di Bruno divenne anche il re di Corinto. Accolse e poi sposò Antiope sfuggita alle ire del padre Nitteo che incaricò il proprio fratello Lico di riportare a casa la fuggiasca. Lico mosse guerra contro Epopeo, lo uccise, conquistò Sicione e riportò la nipote prigioniera a Tebe.

Era

Antica divinità lunare di origine micenea, ebbe il centro del suo culto ad Argo, da dove si diffuse per tutto il Peloponneso, poi nella Beozia, nell'Eubea e a Samo. Figlia di Crono e di Rea, regina del cielo e legittima sposa di Zeus, e quindi simbolo della fedeltà coniugale.
Vi sono molte versioni sul mito della nascita e del matrimonio di Era. Come tutti i suoi fratelli e sorelle, fuorché Zeus, Era venne inghiottita alla nascita dal padre, che temeva che uno dei suoi figli si rivelasse più potente di lui. Grazie all'astuzia di Rea e di Meti, venne restituita alla vita. Secondo alcuni dopo essere stata vomitata dallo stomaco di Crono, venne allevata da Oceano e da Teti, durante la lotta fra gli dèi e i Titani. Secondo altri, venne cresciuta in Arcadia dall'eroe Temeno, figlio di Pelasgo, o dalle Ore in Eubea, oppure dalle figlie del fiume Asterione nell'Argolide. Secondo alcuni, Zeus trovò Era in Eubea, fuggì con lei sul monte Citerone e la prese in una caverna. Secondo una versione celebre della loro storia matrimoniale, Zeus raggiunse Era sul monte Tornace (ora chiamato Montagna del Cuculo), in Argolide, dove la corteggiò, dapprima senza successo. Era ebbe pietà di lui soltanto quando egli si trasformò in un cuculo infreddolito, e teneramente lo riscaldò sul proprio seno. Ma Zeus subito riassunse il proprio vero aspetto e la violentò, ed Era fu così costretta a sposarlo.
Tutti gli dèi recarono doni agli sposi; la Madre Terra diede a Era un albero dalle mele d'oro che fu poi custodito dalle Esperidi nell'orto di Era sul monte Atlante. La dea trascorse la sua prima notte di nozze con Zeus a Samo. Come legittima moglie del primo fra gli dèi, Era è la protettrice delle spose. Molti luoghi di culto (Creta, Samo, Eubea e Nasso) reclamarono per sé la consacrazione di queste divine nozze e infatti in tutta la Grecia l'istituzione del sacro matrimonio venne mantenuta in memoria di questa unione. Le melagrane e le mele erano sacre a Era: le melagrane venivano date alle spose di Atene e i matrimoni venivano celebrati nel mese di Era (Gamelion). Da Era e Zeus nacquero gli dèi Ares, Efesto, Ilizia ed Ebe, benché taluni dicano che Efesto nacque da Era per partenogenesi, cioè senza alcun aiuto maschile. Quando Zeus nello stesso modo partorì Atena dalla testa, con l'aiuto dell'ascia di Efesto, Era, per gelosia diede alla luce Tifone che sarebbe poi diventato il più pericoloso nemico di Zeus (il mostro viene a volte considerato figlio di Gea).
Temi più sfruttati dai mitografi e dai poeti erano la collera e la gelosia di Era per le infedeltà di Zeus. Accecata dalla gelosia, cercava sempre di vendicarsi delle creature amate da Zeus e dei figli nati da quelle unioni. Uno degli esempi più eclatanti del suo spirito vendicativo fu la persecuzione nei confronti di Alcmena e di suo figlio Eracle (anche se il nome dell'eroe significa "la Gloria di Era"). In odio ad Alcmena ritardò la nascita di Eracle, affrettando invece il parto della moglie di Stenelo e la nascita di Euristeo. Con questa astuzia Era ottenne che Euristeo, secondo la promessa di Zeus, avesse il regno di Micene, ed Eracle fosse costretto a servire Euristeo. Inoltre, non paga, pensò di liberarsi del bambino mandando dal cielo due serpenti perché lo strozzassero; ma Eracle li afferrò uno per mano e li uccise. Eracle dovette soffrire ancora per la collera di Era, poiché si attribuisce alla dea l'idea primigenia delle "dodici fatiche". Ella lo perseguitò incessantemente fino all'apoteosi finale. Tuttavia, ciò le costò, dato che Zeus la punì talvolta crudelmente. Così, dopo aver conquistato la città di Troia, sulla strada del ritorno, Era suscitò una violenta tempesta che scagliò la nave d'Eracle sulla costa di Cos. Irritato, Zeus appese allora la dea al cielo fissandole due bracciali d'oro ai polsi, e le legò un'incudine a ogni caviglia. Per liberare la madre da questa incresciosa posizione, Efesto si attirò la collera di Zeus che lo fece precipitare nel vuoto.
Era perseguitò anche Latona, madre di Apollo e di Artemide. Aveva infatti proibito a tutti i luoghi della terra di offrirle asilo, affinché non potesse partorire. Così Latona errava senza poter fermarsi mai. Infine giunse a Ortigia presso Delo, dove mise alla luce Artemide, che appena nata aiutò sua madre ad attraversare lo stretto e a Delo, Latona si sgravò di Apollo. Alla sua sacerdotessa Io, Era fece rapire il figlio Epafo, e lo affidò ai Cureti perché lo nascondessero. Ella fu la causa della tragica fine di Semele, amata da Zeus e al quale generò Dioniso; fece poi impazzire Atamante e Ino, colpevoli d'aver allevato il bambino. Convinse Artemide ad uccidere con una freccia Callisto, figlia di Licaone, sedotta da Zeus. Belo ebbe una bellissima figlia, Lamia, che generò a Zeus alcuni figli, ma tutti, salvo Scilla, furono uccisi da Era ingelosita.
Era, protettrice del matrimonio monogamico, fu un vero modello di fedeltà. Nella battaglia tra gli dèi e i Giganti, Zeus, forse per metterla alla prova, spinse il gigante Porfirione a desiderare il suo corpo, ma quando questi lacerò la veste di Era e cercò di sedurla, Zeus divenne pazzo di gelosia e lo abbattè con una folgore ed Eracle lo ferì mortalmente con una freccia. Anche Efialte fece un tentativo di sedurre Era; ma Apollo scoccò una freccia nell'occhio sinistro del malvagio e chiamò Eracle, che subito gli scoccò un'altra freccia nell'occhio destro, e così lo finì. Quando anche Issione tentò di sedurre la dea, venendo meno alle leggi di ospitalità (poiché era ospite di Zeus sull'Olimpo), Zeus, indovinando le intenzioni dell'ospite, modellò una nuvola con la forma di Era, e con essa Issione si prese il suo piacere. Zeus ordinò ad Ermete di fustigarlo senza pietà finché egli avesse ripetuto le parole: "I benefattori devono essere onorati"; poi lo legò a una ruota di fuoco che rotola senza posa nel cielo.
Presto Era smise di essere soltanto protettrice delle donne e giocò un ruolo molto importante nei miti di guerre e battaglie e fu onorata da guerrieri e re. Era svolse una parte molto importante nella storia della guerra di Troia narrata da Omero nell'Iliade, anche se il suo tentativo di corrompere Paride con l'offerta di molte ricchezze venne risolto brevemente. Fu proprio perché Paride non le assegnò la mela d'oro, il premio di bellezza, che Era perseguitò Troia con furia implacabile. Il poeta Stesicoro dice che Era salvò Elena dal disonore sostituendola con un fantasma che Paride portò con sé a Troia, mentre Ermete, dietro sue precise istruzioni, portò la vera Elena in salvo in Egitto. Più tardi, Era estese la sua protezione a Menelao, ch'ella rese immortale. Spesso Era rischiò d'essere punita per aver aiutato i Greci contro gli ordini di Zeus, e un giorno sedusse il dio e lo portò con sé dietro una nube d'oro per lasciar libero Poseidone di spronare i Greci alla battaglia.
Nell'Eneide, Era è rappresentata come persecutrice irriducibile di Enea, che cerca in tutti i modi di respingere lontano dall'Italia finché non è costretta a cedere per volere di Zeus e dei fati. Giasone, nella sua spedizione alla conquista del Vello d'Oro, ottiene l'aiuto di Era nell'oltrepassare indenne le Rocce Cianee e i passi marini di Cariddi e Scilla, soltanto perché grazie a lui può vendicarsi del re Pelia di Iolco, colpevole d'aver profanato il suo altare con l'uccisione di Sidero, sua matrigna. Più tardi Medea convince le figlie di Pelia a tagliare il padre a pezzi e a bollirlo in un calderone.
Una leggenda, che ha origini a Pletea, narra che vi fu una disputa fra Zeus ed Era; questa abbandonò Zeus a causa della sua infedeltà e fuggì in Eubea. Zeus, assai avvilito, si rifugiò a Platea, presso il re Citerone. Questi, assai saggiò, consigliò al dio di costruire una statua di legno rappresentante una donna, di avvolgerla in un grande mantello e di porla nel suo cocchio, e poi spargere in giro la voce che si trattasse della sua nuova sposa, Platea, figlia di Citerone. Quando Era venne a saperlo, furiosa si precipitò sul luogo, strappò via il mantello e vide che si trattava soltanto di una statua di legno. Comprese lo scherzo e si riconciliò con il consorte.
Un giorno Era e Zeus ebbero un'accesa discussione sull'argomento del piacere sessuale. Zeus sosteneva che le donne assaporano nell'atto sessuale un piacere molto maggiore che gli uomini, mentre Era gli rispose che accade esattamente il contrario. Decisero di consultare Tiresia che, in base alla sua esperienza personale, rispose che il piacere di una donna è nove volte superiore a quello di un uomo. Era fu così esasperata dal sogghigno di trionfo di Zeus che accecò Tiresia. Ma Zeus lo ricompensò con il dono della chiaroveggenza e della longevità.
Era veniva venerata dalle donne di tutta la Grecia (anche se la funzione di protettrice della nascita passò alla figlia Ilizia, su cui Era continuò comunque a esercitare una grande influenza). Ad Argo si narrava che ogni anno Era riconquistasse la sua verginità bagnandosi nella fonte di Canato. Le erano sacri il pavone, la cornacchia e il melograno; aveva come messaggeri Iride e le Ore.
A Roma fu identificata con Giunone.

Eracle

Èracle è un eroe della mitologia greca, corrispondente alla figura della mitologia romana Ercole. Figlio di Alcmena e di Zeus, egli nacque a Tebe ed era dotato di una forza sovrumana. Il patronimico poetico che lo definisce è Alcide, derivante da Alceo, suo nonno paterno putativo.

La vicenda di questo eroe non è raccontata in una sola opera, ma ne sono state scritte molte che lo vedono protagonista, marginalmente o particolarmente. Celebri le sue incredibili imprese, quali ad esempio le dodici fatiche che lo vedono affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni dalla pelle impossibile da scalfire, uccelli in grado di sparare piume affilate come lame e molti altri mostri che l'eroe, sia per coraggio che per astuzia, riuscì sempre a sconfiggere.

Sempre imbattuto perse la vita di propria mano, dandosi fuoco presso un rogo, dilaniato dal dolore che Deianira, sua moglie, ignara del tradimento del centauro Nesso, aveva causato intingendo la sua tunica in un veleno mortale. Salito nell'Olimpo sposò Ebe, la coppiera degli dei e divenne il dio guardiano, ricongiungendosi perfino con Era, sua eterna nemica.

Maggiore eroe greco, divinità olimpica dopo la morte, Eracle fu venerato come simbolo di coraggio e forza, ma anche di umanità e generosità, anche presso i Romani. Era ritenuto protettore degli sport e delle palestre. Fu onorato in numerosi santuari sparsi in tutta la Grecia e le sue tante imprese, espressione dell'altruismo e della forza fisica, lo fecero credere il fondatore dei Giochi olimpici. In alcuni casi, mettendo in luce la generosità con la quale affrontava avversari temibili, si rese dell'eroe un'immagine dall'intensa forza morale, oltre che puramente fisica.

La sua complessa personalità, l'ambientazione di certe sue imprese e il fatto che la maggior parte di esse sia legata ad animali, assimilano talvolta l'immagine di Eracle agli antichi sciamani, dotati di poteri soprannaturali, e una certa comunanza di aspetti si rintraccia anche in eroi fenici come Melqart.

Le dodici fatiche, poi, possono avere qualche correlazione con i segni dello zodiaco, molti dei quali sono appunto rappresentati da animali.

Nel mondo romano Ercole presiedeva alle palestre e a tutti i luoghi in cui si faceva attività fisica; considerato anche una divinità propizia, gli si rivolgevano invocazioni in caso di disgrazie, chiamandolo Hercules Defensor o Salutaris.

È inoltre da ricordare che fin quasi all'età moderna lo Stretto di Gibilterra era noto come "Colonne d'Ercole", con espressione chiaramente evocativa: un ricordo dei viaggi e degli spostamenti dell'eroe che, nel corso delle sue imprese, toccò paesi dell'Asia Minore e del Caucaso e raggiunse l'Estremo Oriente e il Grande Oceano, che delimitava le "terre dei vivi". La leggenda era d'origine fenicia: il dio tirio Melqart (identificato poi dai Romani con Ercole e detto Hercules Gaditanus, per il famoso tempio di Gades a lui dedicato) avrebbe posto ai lati dello Stretto due colonne, che furono poi considerate l'estremo limite raggiunto da Ercole e, soprattutto nel Medioevo, il confine posto dal dio affinché gli uomini non si spingessero nell'Oceano Atlantico.

Nascita

Elettrione, re di Micene, discendente di Perseo, aveva una figlia, chiamata Alcmena, di straordinaria bellezza. Anfitrione, giovane re di Tirinto, si invaghì di lei e decise di prenderla in sposa. Elettrione decise di dare il proprio consenso a patto che il pretendente sconfiggesse in guerra la popolazione dei Tafii che, alcuni anni prima, avevano sterminato i figli del re. Anfitrione accettò la sfida ma, durante una battaglia, uccise a causa di un incidente lo stesso Elettrione. Sconfitto da Stenelo, fratello del defunto re, Anfitrione fu costretto a trovare rifugio presso Tebe dove il re locale, Creonte, gli diede in dono un magnifico palazzo, degno di un ospite tanto nobile.

Anfitrione riprese, dopo qualche tempo, la guerra contro i Tafii, riuscendo così a compiere la vendetta promessa. Durante la sua assenza Zeus, invaghitosi di Alcmena, prese le forme del marito e si unì a lei, facendo persino in modo che la notte durasse ben tre volte di più. Frutto di questa relazione fu appunto Eracle, il futuro eroe greco. Hermes, che aveva accompagnato il padre presso il palazzo di Tebe, rimase fuori, facendo in modo che nessuno potesse mai disturbare i due amanti. Anfitrione, tornato dalla guerra proprio in quel momento, mandò il proprio servitore, Sosia, ad avvertire la moglie del suo ritorno. Questi però si trovò davanti Hermes, sotto le sembianze dello stesso Sosia, che, tra un pugno e l'altro, lo convinse di non essere in realtà quello che lui crede. Questa serie di equivoci fu fonte d'ispirazione per Plauto, che scrisse appunto una commedia chiamata "Anfitrione".

Anfitrione, rientrato nelle proprie stanze, ignaro di tutto, si unisce alla propria sposa. Da questo incontro sarebbe nato Ificlo, futuro guerriero e compagno del fratello in molte avventure.

Poco prima che Eracle nascesse, Zeus si vantò di questo suo imminente figlio che avrebbe regnato sulla casa di Tirinto. Era, gelosa, ritardò allora il parto di Alcmena e accelerò quello di Nicippe, moglie di Stenelo, zio di Alcmena. Il figlio di quest'ultimi, Euristeo, nacque perciò un'ora prima di Eracle e ottenne così la primogenitura. Eracle nacque dunque insieme ad Ificlo e Anfitrione, ancora ignaro della relazione segreta, così come ignara era anche Alcmena, credeva di aver generato due gemelli. Fu Tiresia, il grande indovino, a rivelare alla donna la straordinaria origine del figlio.

Alcmena capì dunque che il piccolo sarebbe stato perseguitato dai famigerati furori della regina dei cieli, e non osando allevarlo con le sue sole forze lo portò all'aperto, in un campo, confidando che Zeus non avrebbe negato al frutto del suo seme la divina protezione. Il padre degli dei ordinò dunque al fedele Hermes di attuare un astuto stratagemma. Mentre Era dormiva il celere messaggero divino, portando in braccio il bambino lo avvicinò al seno della dea, facendogli così succhiare un po' del suo latte che, essendo divino, rendeva il fortunato un invincibile eroe. Era però, svegliatasi a causa di un morso del bambino, ebbe un moto di terrore. Quel repentino movimento fece cadere, dal seno della dea, una piccola parte del suo latte che fu dunque origine della Via Lattea, denominata così proprio in ricordo di tale evento.

La gioventù


Era non accettò un simile affronto e covò contro il piccolo, frutto del tradimento del marito, propositi omicidi: qualche mese più tardi mise due serpenti velenosi nella camera dove dormivano Eracle ed Ificlo. Quando Ificlo si svegliò, con il pianto fece sopraggiungere i suoi genitori, che giunsero in tempo per vedere il piccolo Eracle strangolare i serpenti, uno per mano. Secondo un'altra versione del mito, i serpenti non erano velenosi, ma furono messi nella camera dei gemelli da Anfitrione, che voleva sapere quale dei due fosse suo figlio, poiché aveva saputo anche lui dall'indovino Tiresia che uno dei due gemelli non era figlio suo.

Anfitrione non risparmiò comunque nessuna cura nell'allevare quello straordinario figlio adottivo. Egli stesso insegnò al bambino a domare i cavalli e a guidare il cocchio. Da ogni angolo della Grecia vennero convocati i più rinomati maestri: Chirone, primo fra tutti, gli insegnò l'arte della medicina e della chirurgia, Eurito fu maestro di tiro con l'arco, Castore lo allenò nell'utilizzo della spada e delle armi, Autolico nello sforzo fisico e nel pugilato, materia che il giovane Eracle apprezzò grandemente. Non ebbero la stessa sorte però arti quali ad esempio la musica.

Lino, discendente del divino Apollo, era suo maestro di musica. Il giovane allievo, rude nei movimenti, non riusciva per nulla a trattenere la propria forza fisica, distruggendo, letteralmente, la lira che avrebbe dovuto suonare. Lino, un giorno, non riuscendo a sopportare l'incredibile insensibilità musicale dell'allievo, lo rimproverò aspramente e lo costrinse a un severo castigo. Eracle, di carattere piuttosto focoso, sebbene inconsapevolmente, non riuscendo a trattenere la propria forza, colpì con la lira il maestro, che cadde morto a causa dell'urto.

A causa di ciò Anfitrione fu costretto a mandarlo a vivere fra i guardiani dei suoi greggi, in montagna: qui Eracle si riconciliò col maestro Chirone e imparò dal saggio mentore non solo leggi scientifiche ma anche, e soprattutto, leggi morali. Cresciuto forte e bello, rimase presso le greggi del monte Citerone fino all'età di diciotto anni. Prima di ritirarsi da questa vita faticosa ma felice, durante una meditazione, Eracle incontrò sulla via due donne affascinanti, ognuna delle quali lo invitava a raggiungerla sul proprio cammino. La prima, di aspetto florido e stupendamente vestita, rappresentava il piacere e mostrava al giovane un sentiero erboso e idilliaco. La seconda donna, in abiti solenni, era invece il Dovere, che avrebbe condotto l'eroe presso un sentiero sassoso e terribile. Eracle, benché affascinato dalle proposte del Piacere, preferì seguire il Dovere, segnando tutta la sua vita al servizio dei più deboli.

Simbolo di virilità, Eracle diede esempio di grande prestanza fisica durante questo periodo di ritiro. Il re Tespio aveva cinquanta figlie e, desiderando che avessero un figlio da Eracle, mentre questi era ospite presso il suo palazzo, ne inviò una ogni notte dall'eroe a iniziare dalla primogenita Procri e facendo credere all'eroe che fosse sempre la stessa. Secondi alcuni una sola, desiderando restare vergine, rifiutò. Ogni notte, per quarantanove notti Eracle si unì alle figlie di Tespio: in tutto loro ebbero cinquanta figli, poiché la primogenita partorì due gemelli. Secondo alcuni autori raggiunse la statura di 4 cubiti e 1 piede (2,33 m), ma viene raffigurato dagli artisti come un uomo di statura normale.

Prime imprese di Eracle


In seguito alla scelta del Dovere, Eracle cominciò a prodigarsi per il bene altrui, sconfiggendo banditi e ladruncoli che imperversavano nelle pianure. Eracle si vantava di non aver mai iniziato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.

Sul monte Citerone misurò la sua forza sconfiggendo un terribile leone che faceva stragi di pecore. Durante la sua ricerca egli si fermò presso il re Tespio e, come detto prima, si unì alle sue figlie.

Al ritorno incontrò per strada i messi del re di Orcomeno, Ergino, che si recavano a Tebe per riscuotere il tributo di cento buoi che la città gli doveva. Durante una festa infatti un tebano, tale Periere, uccise il padre del re, Climeno, scatenando così una guerra fra i Mini di Orcomeno e gli abitanti della città di Tebe. Questi ultimi persero e furono dunque costretti a pagare tributo ai vincitori. Gli araldi, mandati in città, trattavano però con brutale superiorità gli sconfitti. Questo accese il furore del giovane Eracle che, di carattere piuttosto impetuoso, li assalì e tagliò loro naso e orecchie. Gli araldi, orribilmente mutilati, tornarono presso il loro re chiedendo vendetta.

Ergino, accesosi d'ira, preparò il proprio esercito e marciò verso Tebe. I tebani, fra i quali figuravano Anfitrione, Ificlo e lo stesso Eracle, non erano però disposti a cedere. Nello scontro che ne seguì l'eroe, dotato di invincibili armi, dono degli dei (frecce da Apollo, una spada da Hermes, uno scudo da Efesto), e soprattutto dalla protezione della dea Atena, dimostrò tutto il proprio coraggio e la propria tenacia, uccidendo con le proprie mani l'invasore Ergino. Tebe riuscì dunque a vincere la guerra ma gravi furono le perdite. Fra i caduti vi era anche Anfitrione, il padre adottivo di Eracle, che si era dimostrato tanto affettuoso nei suoi confronti. Creonte re di Tebe diede dunque ad Eracle come segno di riconoscenza sua figlia Megara in sposa.

Matrimonio con Megara


Eracle poteva dunque vivere felice con la cara Megara, dalla cui unione nacquero ben otto figli. Durante un'assenza dell'eroe, però, Lico, figlio di Poseidone e marito di Dirce, decise di prendere in pugno la città di Tebe. Questi uccise il vecchio re Creonte e divenne un sovrano dispotico e arrogante. Lico inoltre, affascinato dall'eccezionale bellezza di Megara, volle stuprarla. Eracle, tornato in tempo per fermare questo oltraggio, aggredì l'usurpatore e lo uccise, dando giusta vendetta al suocero.

Era non intendeva tuttavia concludere le persecuzioni contro il figliastro. In combutta con Lissa, la pazzia, fece sconvolgere la mente dell'eroe e questi, in preda al furore, uccise di propria mano moglie e figli. Tornato in sé e resosi conto dell'accaduto, l'eroe decise di suicidarsi per porre fine alle proprie sofferenze. Fu Teseo, il giovane ateniese, a farlo desistere dal suo gesto disperato, mentre il re Tespio, che celebrò un minimo rito di purificazione, gli consigliò invece di recarsi a Delfi per chiedere al celebre oracolo un modo per cancellare dal proprio animo tutto quel sangue versato. Questa storia diede spunto per la trama della celebre tragedia Eracle di Euripide.

Le dodici fatiche presso Euristeo

La risposta dell'oracolo lo costrinse a mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Questi gli ordinò di affrontare dodici incredibili fatiche, simbolo della lotta fra l'uomo e la natura nella sua forma più selvaggia e terribile.

Il Leone Nemeo


Prima fatica fu l'uccisione di un terribile leone, figlio di Tifone e di Echidna, che terrorizzava la zona fra Micene e Nemea.

Nella sua ricerca, giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a offrire un capro a Era come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero sacrificato il capro a Zeus Salvatore.

Il leone viveva in una grotta nei pressi della zona di Nemea. Non appena Eracle vide comparirsi dinanzi la belva mostruosa tentò di colpirla con il proprio arco ma questi, dotato di una pelle invulnerabile, non venne nemmeno scalfito.

Deciso a non arrendersi, l'eroe sradicò un enorme ulivo usandolo come clava contro l'animalesco avversario. Anche questo tentativo fu però inutile. Le sue stesse braccia sarebbero divenute armi invincibili. L'eroe riuscì infatti a soffocare il terribile mostro utilizzando semplicemente le proprie mani. Il cadavere della belva venne condotto festosamente alla presenza di Euristeo che, stupefatto, decise di affidargli una seconda prova ben più difficile della prima.

Con la pelle invulnerabile del leone nemeo, Eracle si fece un mantello che l'avrebbe dunque protetto dalle armi degli altri uomini.

L'Idra di Lerna


Viveva in una palude a Lerna, in Argolide, un serpente enorme, figlio anche lui, come il leone nemeo, di Tifone ed Echidna. Questo mostro era immortale e aveva sette (o nove) teste, di cui una immortale, mentre le altre rinascevano appena recise. Divorava chiunque capitasse, impestava l'aria e isteriliva le terre con il suo fiato pestilenziale.

Eracle, giunto presso la tana del mostro con il proprio carro, guidato dal nipote Iolao, cominciò a colpire l'entrata della caverna con le proprie frecce, al fine di far uscire dal suo covo la terribile idra. Non appena vide apparirsi dinanzi il mostro, Eracle cominciò a decapitare le sue molteplici teste con la sua spada, ma queste ricrescevano in numero doppio non appena tagliate. L'eroe ebbe però una geniale intuizione e, grazie all'aiuto di Iolao, riuscì a bruciare i tronconi prima che le teste potessero riformarsi, impedendone così la ricrescita. L'ultima testa, immortale, venne schiacciata sotto un gigantesco masso. Per rendere nulla la vittoria di Eracle, Era mandò contro di lui un granchio gigante, che l'eroe riuscì comunque a sconfiggere schiacciandogli il guscio. La regina degli dei fece in modo che il granchio sconfitto divenisse una costellazione, quella che gli antichi denominarono "Cancro".

Vincitore anche in questa seconda fatica, l'eroe intinse le proprie frecce nel sangue dell'idra, rendendo le ferite causate da esse inguaribili. A causa del veleno di queste frecce sarebbero morti in seguito Chirone e Paride, figlio del re di Troia Priamo.

La cerva di Cerinea

Euristeo, ancor più stupito per l'eccezionale efficacia di Eracle, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo(o di argento,secondo una variante) che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno.

Eracle non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per riportarla in patria.

Lungo la strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire, ed ottenne da lei il permesso di portare la cerva ad Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.

Il cinghiale d'Erimanto

La quarta fatica fu quella di catturare un feroce cinghiale selvatico che devastava le alture di Erimanto, fra l'Attica e l'Elide. Riuscì a stanarlo fuori dalla foresta fino alla nuda cima del monte, dove lo sfinì con serrati inseguimenti nei profondi cumuli di neve, fino a che fu in grado di legarlo con delle corde robuste e portarlo vivo al suo signore Euristeo che, per la paura, si rinchiuse dentro una botte.

Lo scontro con i centauri

Lungo la strada che l'avrebbe portato a Erimanto, Eracle incontrò un suo amico centauro, Folo, che decise di imbandire un banchetto in suo onore. Il pasto non poteva però essere coronato con del vino, poiché l'unico disponibile era quello donato dal dio Dioniso alla comunità dei centauri che non poteva essere utilizzato senza il permesso dei compagni di Folo.

Eracle riuscì a convincere il suo ospite a trasgredire il patto: ma non appena il fortissimo aroma del vino raggiunse i boschi vicini, un'orda di centauri, armati con sassi e rami d'abete, saltò fuori da ogni cespuglio. Rabbiosi per la perdita del prezioso liquido, essi assalirono l'eroe, il quale prese a difendersi scagliando contro di loro le sue frecce mortali,costringendoli a rifugiarsi nella grotta di Chirone, suo antico precettore.

Nella mischia che ne seguì il saggio e anziano centauro venne colpito da una freccia vagante: il sangue velenoso dell'Idra nel quale era stata intrisa da Eracle condusse Chirone ad una lenta agonia, senza che le sue arti di guaritore potessero arrestare il fatale processo. Anche Folo, l'ospite gentile, messosi al fianco dell'amico, morì nello scontro.

Gli uccelli della palude di Stinfalo


Quinta (o sesta secondo alcuni) prova per Eracle, fu quella di eliminare i mostruosi uccelli che devastavano la zona adiacente alla palude di Stinfalo, in Arcadia. Questi micidiali volatili avevano penne, ali, artigli e becco di bronzo, uccidevano lanciando le loro penne come frecce e si nutrivano di carne umana.

Erano allevati da Ares ed erano così numerosi che quando prendevano il volo oscuravano il cielo. La palude da loro abitata inoltre emanava un odore nauseabondo a causa dei cadaveri di coloro che avevano tentato di eliminare questi feroci avversari.

Atena consegnò ad Eracle, prima di cominciare lo scontro, delle nacchere di bronzo, dono di Efesto, che avrebbero spaventato gli uccelli facendoli volare via e rendendoli quindi facilmente raggiungibili dalle frecce dell'eroe. Quest'ultimo fece quanto gli aveva consigliato la dea e, non appena suonò le nacchere, i mostruosi volatili si librarono nell'aria spaventati, diventando così suo facile bersaglio. Alcuni di loro vennero uccisi, altri riuscirono a fuggire nell'isola di Aretias, vicino alla Colchide, da dove poi furono cacciati via da Giasone e dai suoi Argonauti.

Le stalle del re Augia

Le immense stalle del re dell'Elide, Augia, non erano mai state ripulite dal letame ed erano circa trent'anni che vi si accumulavano escrementi al suo interno. Euristeo ordinò dunque ad Eracle di recarsi nell'Elide e ripulire in un solo giorno le stalle del re Augia. L'eroe, recatosi presso il sovrano, ricevette da questi una solenne proposta: se fosse riuscito a compiere una fatica simile avrebbe ricevuto in cambio metà delle sue ricchezze.

Eracle, che di certo era molto furbo oltre che forte, deviò le acque dei fiumi Alfeo e Penteo, riversandole all'interno delle stalle che, in un baleno, furono totalmente ripulite. Fiero della propria impresa l'eroe tornò da Augia che non volle però rispettare i patti accusandolo di aver agito con l'astuzia e non compiendo una fatica vera e propria. A parer di ciò, intentò un processo contro Eracle prendendo quali testimoni i principi d'Elide suoi figli. Tutti testimoniarono a favore del padre, solo Fileo, uno di essi, osò difendere l'eroe, causando così l'ira di Augia, che lo cacciò dal suo regno insieme all'eroe. Quest'ultimo, prima di andarsene, giurò che si sarebbe presto vendicato sul re e sui suoi figli.

Durante il viaggio di ritorno difese la giovane Desamene dalle grinfie di un brutale centauro che venne prontamente sconfitto dall'eroe. Questi tornato da Euristeo ricevette una terribile risposta: poiché avrebbe infatti ricevuto metà delle ricchezze di Augia, se questi avesse rispettato i patti, la fatica non era più valida.

Le cavalle di Diomede

Diomede, figlio di Ares, era re dei Bistoni, popolo di guerrieri, provenienti dalla Tracia. Questo sanguinario sovrano allevava con cura quattro cavalle, che nutrì, dapprima, con la carne di soldati caduti in battaglia, in seguito con la carne degli ospiti che gli invitava periodicamente nel proprio palazzo. Euristeo ordinò ad Eracle di portare a Micene queste mitiche giumente, non rivelandogli però le loro terribili abitudini alimentari, sicuro che l'eroe sarebbe caduto nel tranello.

In compagnia di un gruppo di giovani compagni, fra i quali figurava Abdero, Eracle affrontò il terribile Diomede e, mentre teneva occupato quest'ultimo, ordinò ai suoi di catturare le cavalle. Abdero, che tentò per primo di catturarle, venne divorato dalle mostruose giumente. Furente, Eracle sconfisse Diomede e lo costrinse a condividere il destino delle sue vittime: anche lui divenne pasto delle sue belve. In onore del defunto amico Abdero, egli fondò, nel luogo della sua morte una città. Tornato da Euristeo gli presentò le mitiche cavalle e il sovrano, spaventato da tali animali, ordinò che venissero portati via.

Secondo la leggenda, Bucefalo, cavallo di Alessandro Magno, era discendente da tali giumente.

La resurrezione di Alcesti


Benché fosse impegnato nelle fatiche impostegli da Euristeo, Eracle non era però deciso a smettere di aiutare il prossimo e a seguire il sentiero del Dovere, così come aveva scelto in gioventù.

Durante un viaggio l'eroe trovò rifugio nel palazzo del re di Fere, Admeto, che lo accolse con tutti gli onori. Questi però nascondeva al nobile ospite un triste segreto: Apollo gli aveva infatti detto che, se qualcuno della sua famiglia si fosse sacrificato per lui, sarebbe vissuto più a lungo. Né il padre né la madre del re, benché anziani, avevano accolto questa richiesta, solo Alcesti, la moglie, era pronta a sacrificarsi pur di rendere felice il marito e, a tale scopo, era scesa agli Inferi poco prima dell'arrivo di Eracle.

L'eroe ignaro dell'accaduto, cominciò a gozzovigliare mentre gli abitanti della casa piangevano nelle proprie stanze. Un servo, furioso per un simile comportamento, rimproverò l'ospite per la propria maleducazione, raccontandogli tutto l'accaduto. Vergognatosi per il proprio atteggiamento, Eracle decise allora di ripagare la gentilezza dell'ospite. Sceso ancora una volta negli inferi, narrò ad Ade e a Persefone la struggente storia di Alcesti. I due sovrani, commossi, concessero all'eroe di ricondurre la donna nel mondo dei vivi. E così avvenne.

Il Toro di Creta

Euristeo ordinò ad Eracle di catturare un terribile toro, che in quel tempo devastava i domini di Minosse, sovrano di Creta. Poseidone aveva infatti mandato al re un toro possente perché lo offrisse a lui in sacrificio. Poiché Minosse non lo fece, il dio del mare rese furiosa la bestia che prese così a devastare tutta l'isola di Creta. Secondo alcune interpretazioni fu proprio questo il toro con cui si unì Pasifae, moglie di Minosse, che generò il Minotauro, per una maledizione dello stesso Poseidone.

Eracle catturò la belva, richiudendola in una rete, e la riportò presso Euristeo che ordinò di liberarla. Il toro finì i suoi giorni presso la piana di Maratona.

Il cinto di Ippolita

Su richiesta di Admeta, figlia di Euristeo, desiderosa di avere la stupenda cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, dono di suo padre Ares, Eracle dovette recarsi nel regno di queste temibili donne guerriere per compiere così la nona fatica. Insieme a un nutrito gruppo di eroi, fra i quali figurava anche Teseo, Eracle partì verso Temiscira, capitale del regno di Ippolita.

Durante una sosta, presso l'isola di Paro, uno dei guerrieri venne ucciso per ordine di alcuni figli del re Minosse, che dimoravano in quella zona. Eracle, indignato per tale comportamento, si scontrò con questi e, grazie all'aiuto dei suoi compagni, riuscì ad eliminare i principi inospitali. Il viaggio però era ancora lungo e pieno di pericoli: ospite presso il re Lico, in Misia, difese questi dall'esercito dei Bembrici, guidato da Migdone, uccidendone il comandante e costringendo i soldati nemici alla fuga.
Eracle affronta un'amazzone

Giunti a Temiscira, gli eroi vennero accolti calorosamente da Ippolita, disposta a cedere pacificamente il proprio cinto ai suoi nobili ospiti. Era però suscitò alcune amazzoni che, convinte che Eracle volesse rapire la propria regina, si armarono, decise ad uccidere lui e i suoi compagni. Nello scontro che ne seguì la stessa regina Ippolita trovò la morte (secondo un'altra versione essa fuggì insieme a Teseo e divenne madre di Ippolito).

Durante il viaggio di ritorno, con il prezioso cinto ben conservato, Eracle e i suoi uomini giunsero presso il lido di Troia, dove un terribile mostro marino, divoratore di uomini, stava per cibarsi della principessa Esione, figlia del re Laomedonte. Eracle, mosso a compassione, affrontò la terribile creatura e la uccise. Laomedonte, che aveva promesso all'eroe una giusta ricompensa, non rispettò i patti, scatenando così l'ira dell'eroe, pronto a ritornare a Troia dopo aver concluso le fatiche.

Nel suo tragitto Eracle incontrò ancora terribili avversari, quali ad esempio Sarpedonte, figlio di Poseidone, un brigante assettato di sangue. Presso Torone, fu invece ospitato da due figli di Proteo, Poligono e Telegono, abili pugili e atleti che, felici di avere nel proprio regno un simile concorrente, lo sfidarono in alcune gare. Eracle però, che spesso non riusciva a trattenere la propria forza, li uccise inconsapevolmente durante un incontro di lotta.

I buoi di Gerione

Decima fatica per Eracle fu quella di catturare i leggendari buoi rossi di Gerione. Quest'ultimo era un mostro che dalla cintura in su aveva tre tronchi, tre teste e tre paia di braccia. Geloso dei suoi splendidi animali, il gigante aveva posto come custodi delle sue mandie un mostruoso cane, Ortro, figlio di Echidna, e il terribile vaccaro, Eurizione, figlio di Ares.
Gerione e il cane Ortro

I possedimeti di Gerione erano posti agli estremi confini della terra allora conosciuta. Eracle separò così i due monti Abila e Calipe, in Europa e in Libia, e vi piantò due colonne, le cosiddette "Colonne d'Ercole" (il moderno Stretto di Gibilterra). Mentre le attraversava osò lanciare le sue frecce contro il cocente Helios, il Sole. Il dio, ammirato per il suo coraggio, gli consentì di usare il suo battello d'oro a forma di coppa per raggiungere il nemico.

Nell'isola di Erythia vi fu lo scontro con Gerione, sia lui che i suoi due fedeli, vennero sconfitti dai terribili colpi di Eracle che non esitò a colpire perfino la dea Era, accorsa in aiuto del mostro contro l'odiato figliastro.

Avendo ora possesso sulle mandrie del defunto gigante, Eracle partì alla volta della Grecia, percorrendo la terra italica, colma di terribili briganti. Nella zona del Lazio viveva il gigante Caco che esalava fumo e fiamme dalle fauci. Questi rubò le bestie migliori della mandria approfittando del suo sonno. Per non lasciare tracce del furto, egli trascinò per la coda gli animali verso la caverna che gli serviva da rifugio. Ingannato dal trucco del gigante, Eracle cercò invano gli animali. Dandoli per dispersi si apprestava a riprendere il viaggio quando sentì le bestie dal fondo di una grotta. Per liberarli Eracle dovette affrontare il gigante, il quale si rese conto troppo tardi di chi aveva osato derubare.

In Sicilia si scontrò con il terribile despota Erice, figlio di Afrodite, il cui luogo di sepoltura diede nome all'omonima cittadina. Non contenta, Era mandò contro le mandrie un tafano che causò la loro dispersione. Eracle le seguì freneticamente fino alle distese selvagge della Scizia. Nonostante queste disavventure riuscì comunque a portare le bestie sane e salve in Grecia, dove Euristeo voleva usarle per sacrificio, ma Era non volle per non riconoscere la gloria di Eracle. Così l'eroe tenne per sé i buoi.

I pomi delle Esperidi


Ad Eracle venne ora ordinato di prendere tre mele d'oro dal giardino delle Esperidi, che era stato donato da Gea, la madre terra, a Zeus ed Era come dono di nozze. Il nome del giardino derivava dalle quattro ninfe, figlie della Notte, che lo abitavano, insieme al dragone Ladone, dalle cento teste, che aveva l'incarico di vigilare sul giardino. Nessuno sapeva però in quale remoto angolo si trovasse il giardino delle Esperidi.

Eracle uccide Busiride


Lo cercò dapprima nelle zone più sperdute della Grecia, dove si scontrò con il terribile Cicno, un brigante sanguinario deciso ad edificare un tempio al padre Ares con le ossa degli stranieri che passavano per il suo territorio. Eracle lo uccise, scontrandosi così anche con Ares che fu costretto a ritirarsi su comando dello stesso Zeus.

Presso il fiume Euridiano incontrò le splendide ninfe che lì abitavano e che gli consigliarono di recarsi presso il vegliardo Nereo, divinità marina, che aveva il dono dell'onniscienza. E così fece Eracle, il quale piombò addosso a Nereo mentre questi dormiva e lo tenne saldamente legato, nonostante questi cercasse di sfuggire utilizzando i suoi poteri di metamorfosi, così come gli avevano narrato le ninfe. Nereo infine si arrese e acconsentì a soddisfare le richieste di Eracle, indicandogli la strada per raggiungere l'isola dove si trovava il giardino delle Esperidi.

Eracle contro Anteo


Durante il viaggio egli ottenne poi altre informazioni da Prometeo, che già da trenta lunghi anni si trovava incatenato sulla roccia del Caucaso, esposto alle angherie di un'aquila. Eracle eliminò il rapace con le sue frecce e, raggiunto il luogo dove Prometeo stava incatenato, lo liberò senza difficoltà. Il condannato, grato per la recuperata libertà, si sdebitò con l'eroe fornendogli preziosi consigli per la sua impresa. Gli disse di cercare Atlante, il gigante padre delle Esperidi, e di far cogliere a lui stesso i preziosi pomi d'oro.

Giunto in Africa, Eracle attraversò dapprima l'Egitto, dove incappò nell'odio del re Busiride per gli stranieri. Anni prima infatti la sua terra era stata devastata da una terribile carestia, e un indovino di Cipro aveva profetizzato che l'ira degli dei poteva essere placata soltanto col sacrificio di uomini nati in altre terre. Busiride aveva compiuto il primo sacrificio utilizzando proprio il malcapitato indovino, e da allora ogni anno uno straniero cadeva vittima di questo crudele rito propiziatorio. Eracle stesso, catturato per tale bisogno, ebbe però gioco facile a spezzare le catene, uccidere il re sul suo stesso altare ed allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati della popolazione egiziana.

Sempre in Africa egli si scontrò con un avversario più temibile, il gigante Anteo, che aspettava al varco tutti i viaggiatori per sfidarli ad una lotta all'ultimo sangue. Anteo, essendo figlio di Gea, aveva la possibilità di riprendere forza ogni volta che veniva a contatto con il terreno. L'eroe greco però, abile quanto forte, trovò il modo di impedire all'avversario di servirsi di questo vantaggio tenendolo ben alto con le poderose braccia e strangolandolo così.

Dopo un lungo viaggio, egli raggiunse finalmente il gigante Atlante, il quale reggeva sulle poderose spalle il peso della volta celeste. Eracle si offrì di sostituirlo nel gravoso compito per qualche tempo, se questi avesse acconsentito a raccogliere per lui le mele d'oro del giardino delle Esperidi, e Atlante acconsentì. Ma quando questi fece ritorno con le tre mele rubate, affatto voglioso di riprendere l'immane fardello, cercò di lasciarne per sempre la responsabilità ad Eracle, e quest'ultimo riuscì a sottrarsi soltanto con la sua astuzia. Fingendosi onorato del delicato incarico egli chiese ad Atlante di riprendere solo per un momento la volta celeste sulle spalle, in modo da consentirgli di intrecciare una stuoia di corde che allegerisse la pressione sulla sua schiena. Il gigante riprese dunque il fardello, ma prima che potesse rendersi conto di essere stato giocato con i suoi stessi mezzi il furbo Eracle era già fuggito lontano, portando con sè il bottino delle mele d'oro.

La cattura del Cerbero


Euristeo scelse come ultima prova un'impresa che sembrava impossibile per ogni essere mortale, catturare Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste, guardiano delle regioni infernali. Eracle si preparò a questa prova con un pellegrinaggio iniziatico presso Eleusi, dove partecipò ai misteri detti appunto eleusini, mondandosi della colpa dello sterminio dei centauri. Indi egli raggiunse Tenaro laddove una buia spelonca introduceva ad una delle porte dell'Ade. Sotto l'autorevole guida di Hermes egli si addentrò in quel gelido mondo sotterraneo.

Eracle presenta Cerbero ad Euristeo


Solo la terribile Medusa, fra tutti gli spiriti incontrati, osò affrontarlo, ed Eracle stava già per colpirla quando Hermes gli fermò la mano, ricordandogli che le ombre dell'Ade sono solo fantasmi. Anche l'ombra di Meleagro, celebre eroe vincitore del cinghiale calidonio, si apprestò con una pacifica proposta: pregava il nuovo arrivato di proteggere, una volta tornato nel mondo dei vivi, sua sorella Deianira.

Presso le porte dell'Ade Eracle trovò inoltre due uomini legati, che riconobbe molto presto. Erano Teseo, suo compagno in svariate avventure, e Piritoo, il re dei Lapiti. Entrambi erano scesi nel mondo sotterraneo per rapire Persefone, ma erano stati scoperti dal dio Ade e condannati a restare eternamente prigionieri nel mondo dei morti. L'eroe riuscì a salvare l'amico Teseo ma, quando si apprestò a recuperare anche Piritoo, fu costretto ad allontanarsi per colpa di un terremoto.

Ade, conoscendo personalmente l'arditezza dell'eroe, che l'aveva già ferito poco prima e che aveva steso con pochi colpi il suo mandriano, si convinse che valeva la pena di ascoltare le sue ragioni. Acconsentì così a dargli il cane Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza usare armi.Così,dopo una lotta disperata,il mostruoso guardiano fu costretto ad arrendersi quando l'eroe riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base dei tre colli.

Euristeo, vedendo Eracle tornare con il mostro infernale sulle spalle, si sentì morire per la paura e ordinò che Cerbero venisse rimandato presso il proprio padrone. Il re, avendo visto come l'eroico cugino era riuscito a vincere su tutte le prove che gli aveva commissionato, si diede per vinto e lo liberò dalla sua prigionia, ponendo così fine alle sue dodici fatiche.

Le ultime imprese

Eracle decise adesso, essendo passato molto tempo dalla morte di Megara, di trovarsi una nuova compagna. Si invaghì così di Iole, figlia di Eurito, che durante la sua fanciullezza era stato il suo maestro di tiro con l'arco. Il rinomato arciere offriva la figlia in sposa a chi avesse superato in una gara lui e i suoi tre figli. Eracle, partecipando alla contesa, sconfisse il suo antico maestro, ma quando egli pretese Iole in premio, Eurite cercò di impedire il matrimonio fra la sua adorata figlia e un uomo che non aveva esitato ad uccidere la propria moglie.

Fra i figli del re solo Ifito prese le parti dell'eroe, da lui grandemente stimato; dal canto suo Eracle, quando si vide negare la sposa regolarmente conquistata, andò su tutte le furie.

Accadde intanto che certi buoi appartenenti ad Eurito venissero rubati dal noto ladro Autolico. Il re fece credere a tutti che il furto fosse stato attuato da Eracle per vendetta, ma Ifito non accettò nemmeno adesso l'ipotesi che l'amico potesse aver compiuto un'azione così meschina.

Unitosi ad Eracle, si mise sulle tracce del vero responsabile dell'azione. Durante il percorso, mentre costruivano una torretta per avvistare il bestiame rubato, Eracle venne però ripreso dalla furia, scagliatagli ancora dalla matrigna Era, e fece pagare al giovane lo sgarbo di Eurito scagliandolo giù dalla torre. Quando ritornò in sè e si accorse di aver ucciso il suo migliore amico, Eracle cadde in una profonda prostrazione.

Eracle aveva commesso uno degli atti più spregevoli: aveva ucciso un ospite nella propria casa. Questa volta, però nessuno volle compiere il rito di purificazione ed Eracle preferì tornare a Delfi per avere la punizione per il suo delitto.

La pitonessa, tuttavia, non aveva intenzione di compiere il rito per un essere impuro: di nuovo in preda alla rabbia, Eracle riportò lo scompiglio nel tempio, impadronendosi del tripode sacro e minacciando di compiere il rito da sé. La Pizia, allora, invocò Apollo, che decise di affrontare Eracle. Lo scontro fu tanto cruento, che Zeus fu costretto ad intervenire, separando i duellanti e imponendo alla Pizia di dire a Eracle come potesse purificarsi dall'omicidio di Ifito e dalla profanazione dell'oracolo.

La schiavitù presso Onfale


Sotto la guida di Hermes, Eracle si imbarcò verso l'Asia, dove quasi nessuno lo conosceva, e si fece vendere per tre talenti a Onfale, regina della Lidia. Ella capì ben presto che razza di schiavo eccezionale avesse acquistato. Ma quando seppe che quello schiavo portentoso altri non era che il famoso Eracle, pensò di utilizzarlo come compagno di vita invece che come servitore.

Sotto il suo comando, egli riuscì a liberare Efesto dai Cercopi, dei mostruosi uomini scimmia che importunavano i viandanti, talmente bizzarri e simpatici, che l'eroe alla fine liberò sorridendo. Stessa sorte non toccò a Sileo, re dell'Aulide, che catturava i viaggiatori e li uccideva dopo averli obbligati a lavorare nella sua vigna.

Ma il lusso e le mollezze della vita orientale riuscirono a sopraffare l'eroe, che oblio se stesso e divenne il passatempo preferito della regina, che giocava con la sua clava e la sua pelle di leone e si divertiva a vestirlo con abiti femminili e ad impiegarlo nella filatura della lana.

Dopo tre anni trascorsi in questo modo, Eracle decise di dire addio a questa vita così poco adatta a un eroe che aveva scelto il Dovere come propria ragione di vita, e lasciò per sempre Onfale e la sua corte.

La vendetta contro i trasgressori


Tornato a compiere le proprie imprese eroiche, Eracle decise di vendicarsi su coloro che, durante la schiavitù presso Euristeo, avevano trasgredito i patti stabiliti.

Eracle e il piccolo Telefo


A Tirinto, l'eroe radunò un drappello di compagni eroici, fra i quali figuravano Iolao, Oicle re di Argo, Peleo e Telamone per muovere guerra, con solo sei navi, contro Laomedonte, il primo trasgressore, colui che, benché Eracle avesse salvato sua figlia, non aveva voluto dare il compenso promesso, e anzi aveva scacciato l'eroe in malo modo dal proprio regno, sotto insulti e imprecazioni.

L'esercito di Eracle sconfisse Laomedonte uccidendo lui e i suoi figli, risparmiando solo Podarce ed Esione, il primo perché aveva denunciato l'imbroglio del padre, la seconda perché aveva riscattato dalla schiavitù il fratello. Oltre a questi, vennero risparmiate anche le altre figlie del re, Etilla, Cilla, Astioca, Procleia e Clitodora. Il giovane Titone, figlio di Laomedonte, scampò alla morte, perché venne reso immortale grazie all'intervento di Eos, l'Aurora, sua amante.
Eracle uccise infatti Lampo, Clitio, Icetaone e Timete, gli altri figli del re.

Esione sposò poi Telamone e dall'unione con lui nacque Teucro, valoroso guerriero durante l'assedio di Troia. Podarce divenne re di Troia e, in ricordo del riscatto pagato dalla sorella per liberarlo, decise di cambiare il suo nome in Priamo (che significa "il riscattato").

Ma la vendetta personale dell'eroe non era ancora conclusa, vi era infatti un altro impostore da punire: Augia. Questi venne ucciso insieme a tutto il suo esercito, i suoi domini ceduti al figlio, Fileo, l'unico che aveva professato il vero e difeso Eracle in presenza del padre. La morte di Augia e dei suoi uomini scatenò le ire dei suoi alleati, che mossero così contro l'eroe.

Eracle invase i loro territori e li sterminò, uno per uno, a partire da Neleo, re di Pilo, che non avevo voluto purificarlo dopo l'uccisione di Ifito. Questo sovrano venne ucciso insieme ai suoi figli, unico sopravvissuto fu Nestore, che in quel tempo era lontano dalla propria patria. Stessa sorte toccò ad Attore, uno degli Argonauti, a Ippocoonte e ai suoi dodici figli, che avevano cacciato dal regno ingiustamente i fratelli Icareo e Tindaro (quest'ultimo prenderà in seguito il posto di Ippocoonte, divenendo re di Sparta e futuro padre adottivo di Elena, la donna che fu causa della famosa guerra di Troia), e a molti altri usurpatori e trasgressori dei patti, alleati di Augia, tutti caddero sotto l'avanzata di Eracle, pagando con la stessa vita le loro nefandezze.

Durante questa serie di massacri, Eracle si invaghì della figlia di Cefeo, uno dei suoi alleati, la sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe Telefo, futuro re di Misia e valoroso guerriero a Troia.

La morte


Eracle uccide il centauro Nesso


Eracle capitò in Calidonia per vedere Deianira, figlia del Eneo, alla quale doveva riferire un messaggio che il fratello Meleagro le inviava dal regno dei morti. Eracle, che già sapeva della bellezza della fanciulla, si innamorò di lei e la portò con sé come sposa, dopo un'ardua contesa con un rivale, il dio fluviale Acheloo.

Quest'ultimo era capace di assumere le forme più disparate, mutandosi in serpente e poi in toro durante lo scontro con l'eroe. Vinto da questi però fu costretto a fuggire con un corno spezzato, gettandosi poi nel fiume Toante. Dalle gocce di sangue del corno reciso nacquero le Sirene.

I due decisero di trasferirsi a Trachis, in Tessaglia, per vivere lì insieme. Arrivati però ad un corso d'acqua in piena, Eracle e la nuova moglie incontrarono il centauro Nesso, che si offrì di traghettarli sulla riva opposta portandoli sulla schiena. Dal canto suo Eracle non aveva bisogno di un tale aiuto, e dopo aver gettato sull'altra riva la clava e la pelle di leone, si gettò a nuotare agilmente nel fiume in piena; la moglie però l'affidò a Nesso.

Subito quel rude centauro, infiammato dalla bellezza della donna, avrebbe voluta rapirla, ma Eracle sentì le grida della moglie e con una delle sue frecce avvelenate abbatté il centauro. Negli spasimi dell'agonia, il vendicativo essere sussurrò a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell'abito magico avrebbe rinverdito alla bisogna l'amore di Eracle per lei.

La tunica fatale

Come trasgressore dei patti anche Eurito, re d'Ecalia e maestro d'arco, che in precedenza non aveva voluto cedere in sposa Iole ad Eracle, venne sconfitto dall'eroe e ucciso insieme ai suoi familiari. Questa la sua ultima impresa, secondo un decreto dell'Oracolo di Dodona.

Deianira, vedendo tornare lo sposo vincitore, notò che, fra gli ostaggi catturati, vi era anche Iole, antica fiamma di Eracle, e venne così presa dalla gelosia. Decisa di mettere in pratica l'incantesimo che le aveva rivelato il centauro Nesso, senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla freccia che Eracle stesso aveva scagliato.

Deianira gli inviò un vestito che era stato immerso in quel veleno e l'eroe l'indossò per celebrare i riti di ringraziamento per la vittoria. Non appena il fuoco acceso sull'altare ebbe riscaldato il veleno con cui era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin nelle vene, ed egli, impotente per la prima volta nella sua vita, non poté far altro che subire l'agonia, uccidendo nella disperazione il servo che, ignaro, gli aveva portato la veste fatale.

Con le sue ultime forze, Eracle sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il coraggio di accenderlo, ed Eracle fu costretto a chiedere ad un pastore di nome Filottete di farlo. Questi ubbidì, ed Eracle gli donò le sue armi, che si renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri. Mentre Eracle cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse, e lo portò con sé nell'Olimpo, dove l'eroe si riconciliò con Era e sposò Ebe, la coppiera divina.

Iolao, dopo aver osservato tale prodigio, costruì un tempio in onore dello zio, e Illo, su ordine dello stesso Eracle, sposò Iole. Deianira, quando seppe ciò che era successo, in preda ai sensi di colpa si uccise.

Eracle nella tradizione letteraria

I poemi omerici


Le prime attestazioni letterarie su Eracle sono contenute nei poemi omerici. Omero, citando di passaggio alcuni episodi delle sue imprese, sembra conoscere puntualmente le vicende narrate da testi letterari che oggi non ci sono pervenuti.

L'aspetto caratteristico che traspare subito dall'immagine omerica di Eracle è la sua straordinaria forza fisica, l'eroe è infatti rappresentato nell'atto di distruggere Pilo o di ferire gli dei in battaglia. In Omero Eracle non indossa ancora il suo abbigliamento tradizionale, la pelle di leone, e non è armato di clava, ma veste schinieri, corazza, elmo, scudo ed adopera tutte le armi tipiche di un guerriero miceneo.

Nel testo dell'Iliade di lui parla Nestore a Patroclo, raccontando delle guerre della sua gioventù, Eracle era stato anche per Pilo dove uccise i migliori guerrieri della sua generazione.

Tlepolemo, re di Rodi è un figlio di Eracle, ricordato con questo patronimico già nel libro III meglio conosciuto come "Catalogo delle navi". Nel libro V, il guerriero rodese ingaggia un duello con Sarpedonte di Lidia, figlio di Zeus. Durante il combattimento disprezza l'avversario ritenendolo poco potente rispetto al padre, anch'egli prole di Zeus, ma a suo dire di tutt'altra forza.

Nel XV libro il poeta invece, raccontando le gesta degli eroi principali, sofferma il suo sguardo su Ettore, che uccide Perifete, nunzio di Euristeo presso Eracle, citato anche in questo caso per la sua possanza fisica, che, è evidente, in questo contesto non appare aver un ruolo significativo.

Sempre nell'Iliade vi è inoltre il racconto dell'inganno che Era tesse alle spalle di Zeus a proposito della nascita di Eracle ed Euristeo.

Nell'Odissea invece minori sono i riferimenti ad Eracle ma il connotato principale dell'eroe rimane comunque la forza fisica.

Eracle è spesso presentato come figura brutale e dedita alla violenza, in particolar modo nel XXI libro, dove si trova un passo relativo alla morte di Eurito.

I testi di Esiodo


Nella Teogonia di Esiodo abbondano i riferimenti alle vicende di Eracle, ma non troviamo nel poema una trattazione continua delle sue imprese. Il Galinsky osserva come egli ne celebri le imprese, le fatiche, la vita di sofferenze che gli guadagnarono l'accesso all'Olimpo. Questa immagine di Eracle è solitamente considerata come paradigma dell'eroe 'culturale', portatore cioè della civiltà contro la barbarie.

Tale immagine positiva e 'morale' di Eracle si afferma anche in uno dei poemi pseudoesiodei, lo "Scutum", poemetto di 480 esametri che narra la storia dello scontro tra Eracle e Cicno figlio di Ares. In questo caso Eracle si fa portavoce non solo di un valore culturale di fronte alla barbarie, ma addirittura gioca un ruolo etico nella difesa della pietas religiosa verso il dio Apollo, i cui fedeli venivano uccisi dal mostruoso brigante.

Anche in questo poemetto l'eroe veste ancora l'armatura del guerriero omerico: indizi cronologici interni ed esterni al testo suggeriscono che l'opera appartiene ad epoca anteriore alla rivoluzione iconografica dovuta a Stesicoro, il quale lo descrisse con la celebre pelle del leone nemeo sulle spalle e la clava.

Le tragedie


Il quinto secolo è la grande stagione della tragedia attica: tra le opere sopravvissute fino ai nostri giorni Eracle è protagonista di quattro di esse, Le Trachinie e il Filottete di Sofocle, l'Alcesti e l'Eracle di Euripide.

Dalle testimonianze antiche sappiamo, però, che l'eroe aveva una parte ampia anche nella produzione di Eschilo. L'Holt[18]. dedica molto spazio all'analisi dei presunti frammenti degli Eraclidi di Eschilo e suppone che ci fossero riferimenti alla morte dell'eroe ed alla sua apoteosi.

L'eroe aveva certamente spazio nella terza tragedia della trilogia prometeica, il Prometeo Liberato. Egli è rappresentato nell'atto di liberare il titano che, in segno di riconoscenza gli dona una profezia sui suoi futuri vagabondaggi in Occidente e le sue fatiche successive. L'eroe assume l'immagine tradizionale di benefattore dell'umanità (come già in Esiodo e Pindaro), caricandosi di un significato altamente religioso. Eracle ha la funzione di esempio morale, in quanto rappresenta il rovescio della figura tracotante di Prometeo: come il titano si era mostrato ribelle alla volontà divina e motivo di ira per il padre degli dei, così l'eroe figlio di Alcmena è l'immagine dell'obbedienza alla divinità e strumento di riconciliazione tra il dio e l'umanità.

Sofocle si è spesso ispirato nella sua produzione ad episodi della vita di Eracle. Nelle due tragedie superstiti, il Filottete e le Trachinie, abbiamo due immagini differenti dell'eroe: nella prima assume il ruolo del deus ex machina, che dopo la morte viene a dirimere la contesa che oppone lo sfortunato eroe abbandonato a Lemno e i capi greci; nella seconda offre al pubblico un'immagine decisamente più umana, di eroe al termine della vita di fronte all'inevitabilità della morte. Nel dramma di Filottete Eracle è, dunque, assunto nel ruolo di strumento della volontà divina, simile a quello giocato nel Prometeo liberato di Eschilo, ed è posto sullo stesso piano di qualsiasi altra divinità olimpica che ex machina soprattutto nei drammi euripidei viene a risolvere le vicende. Egli ha conquistato tale ruolo divino attraverso le sofferenze e le fatiche compiute durante la vita terrena al servizio di Zeus e a favore dell'umanità.

Più problematico è, invece, l'Eracle delle Trachinie, che sembra segnare un passo indietro rispetto all'evoluzione che la sua figura aveva assunto nel corso del VI e del V secolo a.C. Egli è raffigurato, infatti, come un eroe violento e brutale, schiavo di passione ed ira, indotto alla distruzione di una città solo per conquistarne la figlia del re. L'eroe pare soccombere al suo destino a causa di un errore della dolce sposa, da lui poco considerata, che tenta di mantenerlo legato a sé con l'impiego di quello che crede un filtro d'amore. La morte causata accidentalmente dalla donna, che gli invia una tunica intrisa del sangue avvelenato del Centauro Nesso, è in realtà voluta dal destino: l'eroe deve espiare le sue mancanze e pagare le azioni superbe di cui si è reso colpevole. L'intento di Sofocle è di dimostrare come nelle vicende umane sia sempre presente lo sguardo divino, di fronte al quale neppure il più forte degli eroi può nulla. Nel corso dell'opera il protagonista è oggetto di una evoluzione, una presa di coscienza delle sue colpe e giunge ad ammettere tutto il peso delle sue azioni, riconoscendo la superiorità e la giustizia della volontà divina. Al termine del dramma, infatti, sostiene che è meglio ubbidire al padre Zeus, accettando serenamente la morte destinatagli.

Euripide fornisce un'interpretazione alquanto originale anche della figura di Eracle. La prima opera in cui appare l'eroe è l'Alcesti, tragedia problematica per la sua stessa struttura e posizione all'interno della tetralogia: occupa, infatti, il quarto posto - quello tradizionalmente riservato al dramma satiresco - ed è originale per il suo lieto fine. Tra i personaggi, Eracle è quello più discusso: non appare un eroe tragico, anzi, per la sua ingordigia nel mangiare e nel bere che lo apparenta all'immagine di lui diffusa nella commedia attica, sembra un buffone da dramma satiresco. Nonostante tutto si inserisce nel dramma in un momento centrale. Dopo aver conosciuto la verità si sveste infatti dei panni del beone per assumere quelli tradizionali di benefattore, adoperandosi per il suo ospite Admeto.

L'Eracle di Euripide è una tragedia tipica del grande poeta, problematica validità della religione olimpica e la precarietà dell'uomo di fronte al divino. Eracle è al termine delle sue fatiche, di ritorno presso la moglie Megara e i figli, insidiati dal tiranno Lico. L'arrivo dell'eroe garantisce l'immediata liberazione dei perseguitati, ma segna anche la loro fine. Euripide ha inteso creare intorno all'eroe il vuoto totale: al culmine della gloria, egli diviene oggetto della peggiore delle catastrofi per sua stessa mano, l'uccisione della moglie e dei figli. Euripide modifica alcuni particolari della storia - nel racconto tradizionale le fatiche erano imposte ad Eracle in qualità di espiazione dell'assassinio di Megara e dei figli - per fare di Eracle l'eroe di fronte alla tragedia della vita. Il doloroso rimprovero agli dei, in particolare ad Era, che per gelosia di una mortale ha permesso tanta sofferenza, è il grido dell'uomo impotente di fronte al fato. L'umanizzazione dell'eroe dinanzi al dolore è disarmante e ancora più sconvolgenti sono le motivazioni addotte da Teseo per consolare l'amico, secondo cui "Nessuno è senza colpa, né uomo né Dio". Euripide ha inteso modificare il ruolo di Eracle rispetto alla tradizione che va da Pindaro in poi, secondo una idealizzazione etica nuova e umana.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:29
 
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