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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 7/9/2010, 12:02 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Galantide

Galantide è la figlia del tebano Proteo ed è amica o ancella di Alcmena. Si ritrova Galantide nel mito della nascita di Alcide, che verrà in seguito chiamato Eracle. Alcmena, ormai giunta in prossimità del parto del figlio di Zeus, era ostacolata da Era, che aveva impedito alla figlia Ilizia e alle Moire di lasciar partorire Alcmena. Galantide inganna con astuzia Ilizia e Moire dicendo che il parto era già avvenuto nonostante il loro restare a gambe incrociate per impedire la nascita del bambino. Le quattro, stupite che il sortilegio non avesse funzionato, entrarono nella stanza di Alcmena, dove scoprirono che erano state truffate da Galantide. Era, irata dalla nascita del figlio di Zeus e dall'imbroglio di Galantide, tramutò quest'ultima in donnola condannandola a partorire i figli dalla bocca.

Galatea 1

Ninfa marina, figlia di Nereo e di Doride, personifica il mare tranquillo e rilucente.
Secondo una versione Galatea, protettrice delle greggi, fu amata dal pastore Polifemo, ed ebbe da lui, che essa pure amava, dei figli, Gala, Celto e Illirio, eponimi rispettivamente dei Galati, dei Celti e degli Illiri.
Secondo leggende posteriori, il ciclope Polifemo, pascolando le sue greggi, la vide e se ne invaghì, ma Galatea respinse le sue profferte perché amava il giovane e bellissimo pastore Aci, figlio di Pan e della ninfa Simaeti. Polifemo odiava Aci, e un giorno scorse Galatea che riposava, in riva al mare, sul petto dell'amante. Folle di gelosia uccise Aci con un masso, e Galatea per il dolore si trasformò in fonte.

Galatea 2

Lampro e sua moglie Galatea erano una coppia di sposi tranquilla ma povera. Quando la donna rimase incinta, il marito le dichiarò che avrebbe allevato il figlio solo se fosse stato maschio; se avesse partorito una figlia avrebbe dovuto esporla. Mentre Lampro era sulla montagna a custodire gli armenti, Galatea mise alla luce una bambina. La madre, non volendo abbandonare la neonata, la vestì in abiti maschili e la chiamò Leucippo.
Col trascorrere degli anni, Leucippo divenne sempre più bella e il trucco divenne impossibile da sostenere. Galatea fu assalita dalla paura e supplicò Latona di cambiare il sesso alla figlia. La dea l'esaudì, mutando la fanciulla in fanciullo.

Galatea 3

Pigmalione, figlio di Belo, si innamorò di Afrodite e, non potendo giacersi con lei, fece una statua d'avorio a somiglianza della dea e la pose nel suo letto, implorandone la pietà. Entrata nel simulacro, Afrodite gli diede vita e lo trasformò in Galatea, che generò a Pigmalione Pafo e Metarme. Pafo, successore di Pigmalione, fu il padre di Cinira, che fondò a Cipro la città di Pafo e vi costruì il famoso tempio di Afrodite.

Galinzia

Vergine figlia del tebano Prèto, amica di Alcmena.
La dea Era non scese dall'Olimpo per ritardare il parto ad Alcmena, ma affidò quel compito alle Moire e ad Ilizia, le divinità del parto. Queste stettero con le gambe e le mani incrociate sulla soglia della casa per nove giorni e per nove notti, impedendo la nascita con i loro incantesimi. Galinzia, avendo notato la sgradevole presenza, lasciò la camera del parto e lanciò un grido di gioia per annunciare, mentendo, che Alcmena aveva partorito un figlio. Frastornate da questa notizia, le dee balzarono in piedi abbandonando in tal modo la posizione che "legava" Alcmena. Questa diede immediatamente alla luce Eracle e Galinzia rise per la buona riuscita del suo inganno. Le dee ne provarono dispetto e la tramutarono in donnola perché, pur essendo mortale, aveva preso in giro gli dèi. Galinzia continuò a frequentare la casa di Alcmena, ma Era la punì per aver mentito: fu condannata per sempre a partorire dalla bocca.
Eracle divenuto adulto si ricordò di colei che gli aveva permesso di nascere e le innalzò un santuario presso il quale era solito offrire dei sacrifici. I Tebani quando tributano a Eracle onori divini, offrono sacrifici preliminari a Galinzia; dicono che essa fu la nutrice di Eracle.

Ganimede (mitologia)

Ganimede è una figura della mitologia greca, figlio di Troo.

Il tema mitico di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono Minosse, Tantalo o Eos, o Zeus, come si racconta in una versione posteriore della leggenda.
Nell'Iliade di Omero, Diomede racconta che Zeus, affascinato dalla bellezza del ragazzo, lo rapì, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro. Zeus per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da aquila; sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando un gregge sul monte Ida, lo portò sull'Olimpo, dove ne fece il suo amante. Per questo motivo nelle opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila, abbracciato ad essa, o in volo su di essa.
Nell'Olimpo Ganimede divenne il coppiere degli dei, sostituendo Ebe, e in varie opere d'arte è quindi raffigurato con la coppa in mano.

La leggenda di Ganimede fu menzionata per la prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica.

Di essa parla anche il poeta romano Publio Ovidio Nasone nella sua opera Metamorfosi, ma anche Virgilio nell'Eneide, all'interno del proemio.

Garamante

Nella mitologia greca Garamante detto anche Anfitemi è uno dei figli di Apollo e Acacallide e dunque nipote di Minosse, re di Creta.

Fratello di Nasso e Mileto, la madre partorì Garamante al tempo in cui era esiliata nella Libia, da lui che divenne pastore discesero poi le genti dei Garamanti. Apollonio Rodio precisò che all'epoca dell'esilio era già incinta.

Da una ninfa, Garamante ebbe il figlio Psillo, sovrano ed eponimo di una tribù della Cirenaica.

Gargaso

Nella mitologia greca, Gargaso è il nome di un guerriero troiano che combatté in difesa della sua città nel conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena da parte di Paride.

Non menzionato nell'Iliade, Gargaso è un personaggio noto solo ad Igino, se non un frutto della sua invenzione. Si distinse in guerra uccidendo due avversari, ma cadde sotto i colpi di Aiace d'Oileo.

Gea o Gaia

Dea primigenia della Terra emerse dal Caos e generò da sola Urano (il Cielo), le Montagne, e anche il Ponto (il Flutto), personificazione dell'elemento marino. Dalla sua unione con Urano i primi figli della dea con aspetto quasi umano furono gli Ecatonchiri (giganti dalle cento braccia): Briareo, Gige e Cotto. Poi apparvero i tre feroci Ciclopi monocoli, costruttori di mura e fabbri ferrai: Bronte, Sterope e Arge. Urano, dopo aver cacciato i Ciclopi, suoi figli ribelli, nel remoto Tartaro, generò dalla Madre Terra i sei Titani: Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e Crono, e le sei Titanidi: Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Teti.
Gea, addolorata per la sorte dei figli rinchiusi nel Tartaro, indusse i Titani ad assalire il padre loro; e così essi fecero, guidati da Crono, il più giovane dei sei che si era armato di un falcetto di selce. Colsero Urano nel sonno e Crono spietatamente lo castrò col falcetto, afferrandogli i genitali con la sinistra (che da quel giorno fu sempre la mano del malaugurio) e gettandoli poi assieme al falcetto in mare presso Capo Drepano. Gocce di sangue sgorgate dalla ferita caddero sulla Madre Terra, ed essa generò le tre Erinni, furie che puniscono i crimini di parricidio e di spergiuro; esse sono chiamate Aletto, Tisifone e Megera. Da quel sangue nacquero anche i Giganti e le Ninfe del frassino, chiamate Melie.
Dopo la mutilazione di Urano, Gea si unì all'altro dei figli che aveva avuto un tempo, Ponto ("il Flutto"), e generò con lui cinque divinità marine: Nereo, Taumante, Forcide, Ceto ed Euribia. I Titani in seguito liberarono i Ciclopi dal Tartaro e affidarono a Crono la sovranità sulla terra. Non appena ebbe il supremo potere, Crono si mostrò tiranno crudele quanto il padre. Anche lui esiliò nel Tartaro Ciclopi e Titani, unitamente ai Giganti dalle cento braccia, e presa in moglie sua sorella Rea governò sull'Elide. Ma era stato profetizzato sia da Gea, sia da Urano, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, egli divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Rea era furibonda e allorché fu incinta di Zeus andò a chiedere consiglio a Gea e Urano per sapere come poter salvare il bambino che stava per nascere. Gea e Urano le rivelarono allora il segreto dei Destini e le insegnarono a ingannare Crono. Quando Rea partorì Zeus, lo affidò alla Madre Terra che portò il bimbo a Litto, in Creta, e lo nascose nella grotta Dittea sulla collina Egea. Colà Zeus fu custodito dalla ninfa dei frassini Adrastea e da sua sorella Io, ambedue figlie di Melisseo, e dalla capra Amaltea. Al posto del figlio, Rea dette a Crono una pietra avvolta in pannolini che il dio divorò.
Quando Zeus giunse alla maturità preparò il suo attacco contro il padre Crono e alcuni Titani divennero suoi alleati. Gea (o forse Meti) diede a Crono un emetico che mescolato alle bevande gli fece vomitare dapprima la pietra, poi i fratelli e le sorelle maggiori di Zeus. Zeus liberò i Ciclopi e i Giganti Centimani dal Tartaro, li rianimò col cibo e le bevande degli dèi. I Ciclopi diedero a Zeus la folgore, arma invincibile; ad Ade un elmo che rende invisibile, e a Poseidone un tridente. I tre fratelli diedero allora inizio a una guerra che durò dieci anni. Infine Zeus uscì vittorioso, imprigionò Crono e tutti i Titani sconfitti nel Tartaro. Ma ciò offese Gea che considerava l'imprigionamento dei Titani un gesto eccessivo. Irata si accoppiò con Tartaro e generò il terrificante Tifone, e cercò di incitare i Giganti (non gli Ecatonchiri) guidati da Eurimedonte, Alcioneo e Porfirione a ribellarsi contro Zeus: la guerra che si svolse è nota con il nome di Gigantomachia.
Gea generò tanti altri esseri, spesso mostruosi: Echidna da un'unione con Tartaro, Erittonio dal seme di Efesto, il serpente Pitone ucciso da Apollo, il drago che custodiva il Vello d'oro nel paese di Eete e, secondo alcuni, Trittolemo avuto da Oceano. Creò lo scorpione che attaccò il gigantesco Orione quando cercava di distruggere tutte le bestie selvagge della terra e lo uccise.
Nella vecchia concezione, Gea esplicava attività profetica, tante storie lo testimoniano. Basta ricordare che l'oracolo delfico appartenne dapprima alla Madre Terra, che nominò Dafni sua profetessa. Taluni dicono che Gea più tardi cedette i suoi diritti alla Titanessa Febe o Temi, e che costei li cedette ad Apollo. Ma altri sostengono che Apollo si impadronì con la forza dell'oracolo della Madre Terra dopo aver ucciso Pitone; ma dovette ricompensare Gea per quell'assassinio fondando i Giochi Pitici e facendo in modo che fosse sempre una sacerdotessa, la Pizia appunto, a servire il suo oracolo. A Olimpia aveva sede un celebre oracolo di Gea.
Fu adorata dai Greci sotto nomi diversi, soprattutto come Gea O Gaia e come Madre Terra; in questa forma il suo culto ebbe generale sviluppo. Le era sacrificato un agnello nero, come si vede nell'Iliade, nella quale Gaia insieme con Zeus, con Elio e con Ade era invocata nei giuramenti: ciò è anche una prova dell'alta antichità della dea.


Gelanore


Gelanore è il figlio di Stenelo, re di Argo.

Quando vi giunse Danao con le sue cinquanta figlie il popolo fu indeciso su chi dovesse regnare ma, poiché durante la discussione un lupo assaltò l'armento di tori del re, il regno venne affidato a Danao, interpretando l'evento come un segno divino.

Gerione

Il nome Gerione si applica a diverse figure immaginarie:

Gerione è una figura della mitologia greca, figlio di Crisaore e di Calliroe. Era un fortissimo gigante con tre teste, tre busti e due sole braccia, proprietario d'un regno esteso fino ai confini della mitica Tartesso. Possedeva dei bellissimi buoi e Euristeo ordinò a Eracle di catturarlo. Eracle partì e vide la barca dorata di Helios e se la fece dare in prestito. Arrivò nell'isola di Gerione e uccidendo il mostro si prese i buoi. Era arrabbiata mandò uno sciame di mosche a uccidere i buoi ma Eracle affrontò pure loro e vinse.

Divina Commedia


Nella Divina Commedia Dante introduce Gerione come mostro demoniaco dal volto di uomo, zampe di leone, corpo di serpente e coda di scorpione, che lo conduce in Malebolge.

In araldica, il gerione (nome comune) è una figura immaginaria rappresentata da una testa con tre volti umani, uno di fronte, gli altri due di profilo sui lati destro e sinistro del primo. Lo si trova blasonato, talvolta, come testa di gerione, espressione errata, in quanto il gerione è di per sé una testa.

Archeologia

Nelle prossimità di Casacalenda è collocata Gerione. Fondata circa nel 500 a.c., ne parlano geografi antichi perché attraversata dal raccordo trasversale fra la via Latina e la Traiana-Frentana. Inoltre annalisti e storici, sia greci che romani, (Polibio, Livio…) raccontano che qui Annibale si acquartierò nell'inverno del 217 A. C. ed ebbe un duro scontro con l'esercito romano guidato da Minucio Rufo. Rimasero sul campo 5000 romani e 6000 cartaginesi. Da Livio apprendiamo che Annibale, occupata e incendiata la città, ne aveva lasciato poche case per adibirle a granai. E Gerione rispondeva alla strategia del momento, infatti Annibale era informato sulle provviste di grano lì contenute e custodite in grandi fosse scavate in zone asciutte. Certamente Gerione, dopo questo tragico episodio, venne ricostruita. Il terremoto del 1456 la devastò e disperse gli abitanti superstiti nei vicini Castelli di Montorio nei Frentani, Casacalenda, Provvidenti, Morrone del Sannio e Ripabottoni. Il Masciotta scrive che nel 1523 il territorio, ormai desolato, per diverse compravendite, arrivò alla famiglia Di Sangro. Con l'eversione della feudalità (1806), l'ex feudo Di Sangro fu smembrato e destinato ai diversi Comuni confinanti. È auspicabile che le tante attese storiche, le mille leggende popolari fiorite intorno a questo sito trovino finalmente risposte certe da studiosi contemporanei e da seri scavi archeologici.

Giacintidi

Nell'antica Atene era l'offerta di fanciulle in sacrificio agli déi per liberare la città dalla peste, dalla carestia (durante la guerra contro Minosse) e per salvare Atene dall'attacco di Eleusi.
Al riguardo esistono due tradizioni. Secondo la prima, durante la guerra condotta da Minosse contro l'Attica, una peste e una carestia sconvolsero il paese. Conformemente a un antico oracolo, gli Ateniesi sacrificarono le figlie del lacedemone Giacinto, che si era stabilito ad Atene, ed erano quattro: Anteide, Egleide, Litea e Ortea. Ma il loro sacrificio non produsse alcun risultato e gli Ateniesi consultarono di nuovo l'oracolo delfico, e fu loro detto che dovevano dare a Minosse la soddisfazione che egli avesse chiesta; e Minosse volle che ogni anno (altri dicono ogni tre anni, oppure ogni nove anni) gli fosse pagato un tributo di sette giovani e sette ragazze, che dovevano giungere a Creta per essere dati in pasto al figlio mostruoso di Pasifae, il Minotauro. Teseo libererà l'Attica da questo tributo.
La seconda versione identificava le Giacintidi con le figlie di Eretteo, offerte come vittime espiatorie nella guerra tra Atene ed Eleusi. Allorché l'esercito degli Eleusini, guidato da Eumolpo, figlio di Poseidone, si avvicinava ad Atene, un oracolo consigliò a Eretteo di sacrificare la figlia più giovane, Ozionia, se voleva sperare nella vittoria. Ozionia si lasciò guidare all'altare del sacrificio dove le sue sorelle Protogenia e Pandora si uccisero, avendo un tempo fatto voto che se una di loro fosse morta di morte violenta, le altre sarebbero morte accanto a lei. Vennero chiamate Giacintidi poiché il sacrificio si era svolto su una collina chiamata Giacinto.
In ricordo del sacrificio delle tre figlie di Eretteo, ancor oggi si offrono loro libagioni senza vino.

Giacinto (mitologia)

Giacinto, figlio di Amicla e Diomeda o, secondo altri, di Pierio e di Clio fu amato da Zefiro e da Apollo. L'amore di Apollo era tanto grande che pur di stare insieme a Giacinto tralasciava tutte le sue principali attività, accompagnando l'inseparabile amante ovunque egli si recasse. Un giorno i due iniziarono una gara di lancio del disco. Apollo lanciò per primo il disco, che deviato dal geloso Zefiro, colpì alla tempia Giacinto, ferendolo a morte. Apollo cercò di salvare il giovane adoperando ogni arte medica, ma non poté nulla contro il destino. Decise, a quel punto, di trasformare l'amato in un fiore dall'intenso colore rosso porpora, il colore del sangue che Giacinto aveva versato.
Apollo, prima di tornarsene in Cielo, chinato sul fiore appena creato scrisse di proprio pugno sui petali le sillabe "AI", "AI", come imperituro monumento del cordoglio provato per tanta sventura, che lo aveva privato dell'amore e dell'amicizia del giovane. Tale espressione di dolore, tuttora, si vuol ravvisare nei segni che sembrano incisi sulle foglie del Giacinto e che sono simili alle lettere A e I.
L'episodio è narrato nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio.

Giano

Dio romano raffigurato in arte con due volti (che guardano in direzioni opposte) o a volte con quattro. Compare raramente nel mito. Ovidio narra la storia della ninfa Carna, la quale ingannava i suoi spasimanti inducendoli a entrare in una caverna con la promessa di raggiungerli poco dopo e di giacere con loro: fuggiva invece rapidamente. Quando tentò questo trucco con Giano, fu scoperta perché la vide con l'altro volto; costretta a concedergli i suoi favori ebbe in cambio da lui il dono di allontanare tutti gli incubi della notte, potere che si trovò ad usare per salvare il figlio Proca, più tardi re di Alba Longa. Quando Tarpea tradì i Romani durante la guerra contro i Sabini, Giano fermò il nemico allagando il passaggio con un caldo getto solforoso. Secondo alcuni fu anche uno dei primi re del Lazio, il quale diede asilo a Saturno (Crono) quando Zeus lo scacciò da Creta. Aveva una moglie, Camise, e un figlio, Tiberino, il quale annegato in un fiume, gli diede il suo nome.

Giapeto

Figlio di Urano e di Gea, era uno dei Titani, e da Climene, una delle figlie d'Oceano e di Teti, generò quattro figli: Prometeo, Epimeteo, Atlante e Menezio. È figura di scarso rilievo nella mitologia greca, nella quale è anche fatto sposo di Asia, un'altra delle figlie d'Oceano, o di Asopide, figlia di Asopo, oppure di Libia. In punizione per aver preso parte alla rivolta contro Zeus, Giapeto fu gettato nel Tartaro insieme agli altri Titani.

Giasone (mitologia)

Giàsone è una figura della mitologia greca conosciuto anche nella mitologia etrusca con il nome di Easun. Giasone era figlio di Esone re di Iolco in Tessaglia. Altre fonti lo indicano figlio di Zeus e di Elettra, una Pleiade figlia di Atlante e di Pleione.

La vita

La vita di Giasone è legata alla favolosa impresa degli Argonauti ed alla ricerca del vello d'oro. Quando nacque Giasone, al padre Esone era stato tolto il trono di Iolco dallo zio Pelia. Ancora fanciullo Giasone venne affidato al centauro Chirone che lo istruì nell'uso delle armi, nelle arti e soprattutto nel comando.

Divenuto adulto pensò di riconquistare il regno usurpato al padre. Ma per ottenere ciò gli venne imposto dallo zio Pelia di riconquistare il vello d'oro dell'ariete che aveva salvato i fratelli Frisso e Elle e che era tenuto dal re della Colchide, Eete.

Con la nave Argo ed i più valorosi eroi del tempo inizia questa impresa che lo porterà nella Colchide. Qui riconquista il vello d'oro con l'aiuto della figlia di Eeta Medea. Giasone quindi sposa Medea e ritorna a Iolco. Pelia gli rifiuta il trono e Medea, con uno dei suoi artifizi magici, produce la morte di Pelia. Proscritti dalla città di Iolco i due giungono a Corinto dove vengono accolti dal re Creonte. Giasone si innamora della figlia di questo, Glauce, e dopo qualche anno abbandona Medea per sposarla. Allora Medea si vendica sui due figli nati da Giasone, Tessalo e Alcimene, uccidendoli. Giasone, invece, si sarebbe suicidato. Un'altra versione vuole che, invecchiato, morì trafitto da una trave della nave Argo.

La leggenda di Giasone è stata raccontata da vari autori greci: Euripide nella sua Medea; Apollonio Rodio nelle Argonautiche e Pindaro nelle Pitiche.

Giganti

Figli di Gea, fecondata dal sangue di Urano che era stato evirato da Crono, spesso confusi o identificati coi Titani. Esseri di straordinaria statura, di forza sovrumana e d'aspetto terrificante. Hanno folta capigliatura, barba irsuta e le loro gambe sono corpi di serpenti.
Quando Zeus offese Gea imprigionando i Titani nel Tartaro, ella convinse i suoi figli, i Giganti, a muovere guerra agli dèi, la celebre Gigantomachia. Guidati da Eurimedonte, Alcioneo e Porfirione, i migliori campioni, i Giganti diedero l'assalto al Cielo. All'improvviso, essi agguantarono massi e tizzoni ardenti e li scagliarono verso l'alto, dalle vette delle loro montagne, cosicché gli olimpi si trovarono a mal partito. Era, con aria cupa, profetizzò che i Giganti non sarebbero mai stati uccisi da un dio, ma soltanto da un mortale che vestiva pelle di leone, e che anche costui non sarebbe riuscito nell'intento se non avesse trovato, prima dei Giganti stessi, una certa erba che rendeva invulnerabili e cresceva in un luogo segreto sulla terra. Zeus non si lasciò cogliere di sorpresa, subito si consigliò con Atena e la mandò a informare Eracle (il mortale vestito di pelle di leone cui Era voleva chiaramente alludere) di come stavano le cose; poi, proibì a Eos, a Selene e ad Elio di brillare per qualche tempo. Alla debole luce delle stelle, vagò in una regione indicatagli da Atena, trovò l'erba magica e la portò in cielo.
Gli olimpi poterono allora affrontare in battaglia i Giganti. Eracle scoccò la sua prima freccia contro Alcioneo, il capo dei nemici. Egli cadde al suolo e subito si rialzò, redivivo, poiché era immortale nella sua terra natale di Flegra. Eracle si caricò Alcioneo sulle spalle e lo portò oltre il confine della Tracia, eliminandolo poi a colpi di clava. Porfirione si precipitò su Era e cercò di strangolarla; ma ferito al fegato da una freccia di Eros, la sua furia omicida si trasformò in brama di lussuria e lacerò la veste di Era. Zeus, vedendo che il gigante stava per oltraggiare sua moglie, divenne pazzo di gelosia e abbattè Porfirione con una folgore. Porfirione si rialzò subito, ma Eracle lo ferì mortalmente con una freccia avvelenata. Frattanto, Efialte aveva impegnato Ares in battaglia e l'aveva costretto a piegare le ginocchia; ma Apollo scoccò una freccia nell'occhio sinistro del malvagio e chiamò Eracle, che subito gli scoccò un'altra freccia nell'occhio destro. E così morì Efialte. Mimante fu seppellito da Efesto sotto una calotta di metallo incandescente e ancora giace sotto il vulcano Vesuvio. Atena scorticò Pallante e si servì della sua pelle come d'una corazza durante il resto del combattimento.
Demetra e la dea Estia, amanti della pace, non presero parte alla battaglia. Le Moire, invece, scagliavano pestelli di rame cogliendo spesso nel segno. Scoraggiati, i Giganti superstiti si rifugiarono sulla terra e gli olimpi li inseguirono. Atena scagliò un gran masso contro Encelado che, colpito in pieno, si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Poseidone tagliò via un pezzo dell'isola di Cos con il suo tridente e lo scagliò verso Polibote: e quel pezzo di carne divenne l'isoletta di Nisiro, presso la quale egli giace sepolto.
Gli altri Giganti tentarono di organizzare l'ultima resistenza a Bato, presso Trapezunte in Arcadia, dove il suolo ancora brucia e ossa di Giganti vengono spesso alla luce tra le zolle smosse dagli aratri. Ermete, preso in prestito l'elmo di Ade che dava l'invisibilità, abbattè Ippolito, e Artemide trapassò Grazione con una freccia. Dioniso colpì con il suo tirso Eurito, ed Efesto uccise Clizio colpendolo con una mazza di ferro arroventata; mentre i proiettili infuocati delle Moire bruciavano le teste di Agrio e di Toante. Ares con una lancia e Zeus con la sua folgore si sbarazzarono degli altri, benché toccasse a Eracle di dare il colpo di grazia a ogni Gigante caduto.
Il luogo di questa lotta è situato generalmente nella penisola di Pallene, in Tracia; ma altri dicono che la battaglia si svolse nei campi Flegrei, presso Cuma, in Italia.

Giocasta (mitologia)

Nella mitologia greca, Giocasta era la figlia di Meneceo e la madre di Edipo. Omero si riferisce a lei con il nome di Epigaste.

Giocasta sposò Laio, re di Tebe. L'Oracolo di Delfi predisse che il figlio di Laio avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Per impedire che la profezia si avverasse, Giocasta abbandonò il proprio figlio su una montagna, con i piedi legati, e annunciò la sua morte. Il bambino fu salvato e condotto alla corte del re di Corinto, dove gli fu dato il nome di Edipo. L'Oracolo di Delfi fece anche a lui una profezia, predicendo che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre.

Edipo, che non conosceva suo padre, lo uccise senza riconoscerlo, ed entrò a Tebe in trionfo dopo aver sconfitto la Sfinge. Giocasta, riconoscente nei confronti dello sconosciuto eroe, lo sposò; in tal modo i due portarono inconsapevolmente a compimento la profezia. Edipo e Giocasta ebbero quattro figli.

Quando Edipo raccontò a Giocasta del suo passato, e della profezia che gli era stata fatta, Giocasta comprese la verità e si impiccò.

Giorno (mitologia)

Giorno è una figura mitologica presente in varie culture.

Giorno nella mitologia greca, figlio di Erebo e della Notte.

Viene descritto da Esiodo nella Teogonia come la rappresentazione del giorno, fratello di Erebo.

Igino Astronomo racconta invece che fosse figlio della dea Caligine e Caos.

Giove

Divinità romana corrispondente al greco Zeus. Giove aveva a Roma il primo posto fra gli dèi, come Zeus fra i Greci; ma il Giove romano è in una posizione più elevata, come il dio principale del popolo romano e in tutto l'ambito dello Stato, in tutte le città come Juppiter Optimus Maximus ("Giove Ottimo Massimo").
Le attribuzioni di Giove corrispondono in buona parte a quelle dello Zeus greco, anche se non sempre derivano da queste. Egli era anzitutto il dio dei fenomeni celesti, della pioggia, del fulmine, della tempesta. Come dio celeste e apportatore di luce, Juppiter Lucetius ("Giove Lucezio"), che i Salii invocavano nei loro canti, gli erano sacre le idi di ciascun mese, cioè i giorni di luna piena. Grande era la venerazione verso il dio del cielo che dava il buono e il cattivo tempo. A Giove divinità celeste erano riferiti i presagi che si ricavavano dal volo degli uccelli o dai segni apparsi in cielo, ed era venerato per tutta Italia sui colli e sui monti. Erano collegati con questo aspetto di Giove importanti poteri a lui attribuiti nell'agricoltura. Fu probabilmente dio degli alberi: sull'Esquilino (Oppio) un boschetto di faggi era consacrato da età remota a Juppiter Fagutal, e forse anche sul Celio, sul Viminale e sul Campidoglio. Era il dio che distribuiva liberalmente i beni prodotti dalla terra. Al momento della semina i contadini festeggiavano Juppiter Dapalis offrendogli un pasto; gli corrispondeva nella città Juppiter Epulus a cui si consacrava un pasto solenne. Gli erano dedicate del pari le principali feste della vendemmia e del vino: le feste Vinalia altera o rustica, il 19 agosto, giorno nel quale avvicinandosi la vendemmia il Flamen dialis, pio sacerdote particolare, rivolgeva a Giove supplicazioni e preghiere perché fosse abbondante; le feste Meditrinalia, l'11 ottobre, nel qual giorno si assaggiava il vino nuovo; a primavera dell'anno seguente le Vinalia priora, il 23 aprile, ancora in relazione con operazioni riguardanti il vino. Il dio dell'agricoltura proteggeva anche i confini dei campi, e Juppiter Terminus o Terminalis compare anche sulle monete coniate da Terenzio Varrone reatino e nelle epigrafi. L'altra manifestazione di Giove è quella del fulmine (Juppiter Fulgur, e più tardi Fulgurator e Fulminator). Juppiter Tonans fu introdotto da Augusto che gli dedicò un tempio.
Giove, nume tutelare della città e dell'Impero assicurava l'ordine all'interno e la vittoria all'esterno, le guerre e le vittorie erano regolate dal dio celeste che dava fermezza e costanza nel resistere e conduceva alla vittoria; talvolta il suo culto si accompagnava con quello di Marte e di Quirino. Inoltre era custode del giuramento e della fede, e quindi dell'ospitalità, della santità del matrimonio; nella confarreatio, la forma più solenne del matrimonio, il pontefice e il flamine offrivano a Giove una capra in sacrificio. Un sacrificio familiare gli era offerto quando un figlio entrava nell'età della pubertà. Similmente era protettore dei trattati internazionali (Juppiter Feretrius).
Il centro dello Stato romano e del culto di Giove era il Campidoglio. Qui al tempo dei Tarquini, con concorso degli aruspici, seguendo il rito etrusco fu collocata nel tempio a tre celle la triade capitolina: Giove, Giunone, Minerva. Giove era la divinità più importante, e a lui spettavano l'altare dei sacrifici, il tesoro, gli ex-voto. Il culto di Giove a Roma si mantenne vigoroso nelle forme fissate dal feriale e dall'antico rituale anche nel capitolium vetus del Quirinale, nelle antiche are a lui dedicate e nei nuovi templi eretti in suo onore dalla devozione di magistrati e di imperatori. Nel 295 a.C. il console Quinto Fabio Massimo votò un santuario a Juppiter Victor ("Giove Vittorioso"), in sostituzione forse di sacello più antico, forse eretto sul Palatino. Due templi furono dedicati a Juppiter Stator ("Giove Statore"), l'uno nel 294 a.C. da Attilio Regolo sulle pendici del Palatino presso la porta Mugonia, l'altro da Cecilio Metello Macedonico nel 146 a.C. presso il circo Flaminio. Un'ara a Giove sorgeva anche sul Quirinale; un'altra ara o un sacello si pensò che sorgesse pure sul Campidoglio.
Il culto di Giove si celebrava normalmente su luoghi elevati; sull'arce a Roma si trovava l'auguraculum; un sacerdote speciale era addetto a Giove, il Flamen dialis. Molti templi di Giove furono restaurati da Augusto, il quale credeva di essere stato salvato da morte in grazia di Juppiter Tonans ("Giove Tonante") nella guerra Cantabrica; a lui innalzò un tempio sulle pendici meridionali del Campidoglio (22 a.C.). Domiziano manifestò la sua riconoscenza a Giove per essere stato salvato, sfuggendo ai Vitelliani, nel tempio del Campidoglio; votò un tempio a Juppiter Custos ("Giove Custode") e nell'anno 86 d.C. istituì l'agone Capitolino in onore di Giove.
Fuori di Roma Giove ebbe molta importanza in tutte le città Osche, e così tra i Frentani; e Giove Libero era la maggiore divinità di Capua e forse di Pompei. Presso gli Umbri è testimoniato dalle Tavole Eugubine, dalle quali risulta che nel grande numero delle divinità locali Giove teneva il primo posto. In diverse località ebbe sotto nomi diversi culti che appaiono indipendenti dal culto romano. Così a Preneste era detto Arcanus, Maius a Tuscolo, Praestes a Tivoli, Indiges a Lavinio, Anxurus presso i Volsci. Come custode della confederazione delle città latine era venerato sotto il nome di Juppiter Latiaris ("Giove Laziale") con un tempio sul monte Albano. Le Feriae Latinae che si celebravano in Roma per quattro giorni, erano le più solenni.

Giunone

Antica divinità latina e romana, il cui culto è antichissimo e diffuso fra le genti di stirpe italica come i Sabini, gli Umbri, gli Osci e presso gli Etruschi.
Fatta compagna e sposa di Giove, potè facilmente essere considerata sotto l'aspetto di dea dell'atmosfera e della pioggia. Come tale le erano sacri la cornacchia, la capra, il cane. Nel Lazio assai presto era identificata con l'astro lunare, onde gli epiteti di Lucina o di Lucetia coi quali era invocata. Dalle antiche testimonianze risulta che l'antica Iuno-Lucina era considerata come inseparabile compagna di Giove. Mentre in Grecia Dione tendeva a scomparire cedendo il posto a Era, in Italia Giunone acquistò un campo di azione determinato, sia nell'ordine naturale, sia in quello sociale, prendendo il suo posto accanto a Giove, sebbene, sotto il rispetto religioso e in quello culturale, pur essendo la seconda divinità della Triade Capitolina, sia rimasta sempre inferiore a Giove.
Già in età assai remota, sotto l'influenza della mitologia greca, Giunone fu assimilata alla greca Era; e come i Greci avevano creato una genealogia degli dèi facendo di Era la sorella e la sposa di Zeus, figli di Crono e di Rea, così anche Giunone ebbe la sua genealogia e fu fatta figlia di Saturno e di Opi e sorella di Giove.
Identificata, come sposa del dio del cielo, con la dea del cielo notturno, la Luna, Giunone entrò per questa via in relazione col calendario e con la vita e la natura femminile. Per questa natura lunare di Giunone, la sua attività si estese a quei fatti che erano connessi con la luna, come il calendario che era regolato dalle fasi della luna, e fu sacro a Giunone il giorno delle Kalendae, primo giorno per tutti i mesi dell'anno. Come divinità delle calende Giunone ebbe l'epiteto di Kalendaris.
Quale sposa di Giove, Giunone madre e matrona per eccellenza aveva in sua cura tutte le manifestazioni proprie della fisiologia femminile e la propagazione della specie, stringeva i matrimoni, proteggeva la fecondità muliebre, la invocavano le donne nelle difficili contingenze del parto col nome di Giunone Lucina, epiteto interpretato come la dea che porta alla luce il bambino, o lo aiuta a uscire alla luce. Da queste molteplici funzioni deriva il notevole numero di epiteti di Giunone. Come tutrice del matrimonio e della castità muliebre le era dedicata la festa delle Matronalia, il giorno delle calende di marzo (il 1° marzo).
Nessuno dei santuari a lei dedicati in Roma raggiunse la celebrità di quello di Lanuvio, dove era venerata come Iuno Sispes (o Sospita) Mater Regina. Quando Lanuvio entrò a far parte dello Stato romano (338 a.C.), anche il culto di essa fu accolto fra i culti ufficiali di Roma. Con l'epiteto di Regina, Giunone assurse in Roma al grado di divinità politica quando fu parte, insieme con Minerva, a fianco di Juppiter Optimus Maximus, della Triade Capitolina che prese il posto dell'antica triade: Giove, Marte, Quirino.
Un aspetto particolare di Giunone in Roma quale divinità politica fu quello di Giunone Moneta, cioè "la dea che avverte" o "quella che fa ricordare" e che riceveva un culto sulla Cittadella, l'Arx (la sommità nord-est del Campidoglio). E proprio a Giunone Moneta si attribuisce la salvezza di Roma durante l'invasione dei Galli, nel 390 a.C. Furono le oche sacre a Giunone che cominciarono a stridere risvegliando così Manlio Capitolino che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco dei Galli.

Giuturna

Ninfa romana delle fonti e delle sorgenti, amata da Giove che le concesse l'immortalità. Ovidio racconta come la ninfa si trasformava in mille modi per sfuggire all'amore del dio, ma Giove riunì tutte le ninfe del Lazio e chiese loro di aiutarlo a prendere la fuggitiva. Secondo Virgilio era figlia del re mitico Dauno e sorella di Turno, il nemico di Enea. Inviata da Giunone per rompere il duello che doveva finire con la morte di Turno, fu spaventata dall'arrivo di una Furia mandata da Giove: copertosi il capo con un velo azzurro, si gettò gemendo nel fiume Numicio, e fu mutata in fonte. Si invocava specialmente nei periodi di siccità, e ne erano devoti gli operai addetti a lavori idraulici. L'antico culto che ebbe presso Lavinio fu trasferito a Roma presso il lago di Giuturna nel Foro Romano; il console Lutazio Catulo nel 241 a.C. le eresse un tempio nel Campo di Marte. Fu considerata anche moglie del dio Giano e madre di Fons, il dio delle fonti.

Glauce 1

Sfortunata figlia di Creonte re Corinto, sposò Giasone dopo che questi aveva abbandonato Medea. Medea così si vide oltraggiata da Giasone, uomo che lei tanto aveva aiutato, e protetto. Quindi, fingendosi rassegnata, mandò a Giasone un dono di nozze per mano dei suoi figli (poiché aveva avuto da Giasone sette maschi e sette femmine); e cioè una corona d'oro e un lungo manto bianco. Non appena Glauce li ebbe indossati, subito si levarono fiamme indomabili che non soltanto divorarono Glauce, benché essa si gettasse a capofitto nella fontana del cortile, ma anche re Creonte, un gruppo di nobili ospiti tebani e chiunque altro si trovasse nel palazzo, eccettuato Giasone che fuggì saltando da una finestra.
Quando Medea vide la reggia in fiamme, uccise i figli che aveva avuto da Giasone, salì sul cocchio trainato da draghi alati che il nonno Elio le aveva imprestato e si rifugiò presso Egeo re di Atene. Un'altra versione del mito narra che Medea lasciò i figli come supplici presso l'altare di Era Acrea, ma il popolo di Corinto, furibondo per l'assassinio di Glauce e di Creonte, li prese tutti e li lapidò a morte.

Glauce 2

Glauce, figlia di Cicreo re di Salamina, sposò Telamone. Questi, alla morte di Cicreo che non aveva figli, ne ereditò il regno.

Glaucia

Figlia del fiume Scamandro. Dopo aver distrutto Troia con un incendio, Eracle salpò dalla Troade portando con sé Glaucia. Durante l'assedio della città essa era stata l'amante di Dimaco, figlio d'Eleone, e quando Dimaco cadde in battaglia, si rivolse a Eracle per avere protezione. L'eroe la prese a bordo della sua nave, lieto che la progenie di un così valoroso amico gli sopravvivesse; perché Glaucia era incinta, e in seguito diede alla luce un figlio che sua madre chiamò Scamandro, in ricordo del nonno. Eracle raccolse Glaucia e suo figlio e li riportò in Grecia e li affidò a Eleone.
Eracle, guidato da Atena a Flegra, dove aiutò gli dèi a vincere la battaglia contro i Giganti, passò in Beozia dove, dietro sua insistenza, Scamandro fu eletto re. Scamandro diede il proprio nome al fiume Inaco, il nome di sua madre Glaucia a un vicino corso d'acqua e il nome di Acidusa, sua moglie, a una sorgente. Da Acidusa egli ebbe tre figlie che ancora si onorano in quella località col nome di "Vergini".





Glauco (Antenore)

Glauco è una figura della mitologia greca, figlio del troiano Antenore e di Teano.

Quando Paride, figlio di Priamo, partì per Sparta intenzionato a rapire la moglie di Menelao, Elena, Glauco si offrì di accompagnarlo nel tragitto. Tuttavia suo padre, sdegnato per questa azione ingrata, rifiutò di accoglierlo nuovamente nella sua casa e lo cacciò via.

Quando scoppiò a causa di questo rapimento la guerra di Troia, Glauco si schierò dalla parte dei Troiani, per restare fedele a Paride e alla sua patria. Stando a una fonte non omerica, nel corso dei combattimenti fu ucciso da Agamennone.

Secondo altre versioni Glauco sopravvisse alla caduta della città. Fatto prigioniero da Ulisse, questi ordinò che fosse risparmiato. Partì allora col padre e la madre Teano, insieme ai fratelli superstiti Elicaone, Polidamante ed Eurimaco (?), trasferendosi fino nel nord Italia, alla valle del Po, dove avrebbero fondato la città di Padova.

Glauco (Licia)

Glauco è una figura della mitologia greca, nipote di Bellerofonte.

Fu uno degli eroi della guerra di Troia. Nell'Iliade di Omero è descritto a capo dei guerrieri di Licia (alleata di Troia) con Sarpedonte, di cui era cugino. Egli viene descritto come eroe valoroso e d'animo nobile.

Imprese in guerra

In guerra si ritrovò faccia a faccia con Diomede ma, scoperto un antico legame di ospitalità, entrambi rifiutarono di battersi e si scambiarono dei doni: Glauco (offuscato temporaneamente da Zeus) offrì a Diomede le sue armi d'oro del valore di cento buoi, ricevendo in cambio l'armatura in bronzo - meno preziosa - che valeva nove buoi.

L'episodio omerico di Glauco e Diomede, assieme a quello di Achille e Priamo, è uno dei più importanti per comprendere il concetto di ospitalità (xenia) presso gli antichi Greci.

Alla morte del cugino Sarpedonte, Glauco volle vendicarlo e incitò i capi troiani alla battaglia. Nel combattimento uccise un nemico: Baticle, figlio di Calcone, e abitante dell'Ellade. Finiscono qui le vicende di Glauco nel poema omerico.

La morte

Secondo diverse fonti, quando Achille cadde in battaglia, trafitto mortalmente da una freccia scagliata da Paride, Glauco cercò di impossessarsi del suo cadavere. Sperando di uccidere qualche nemico, egli scagliò la lancia contro Aiace Telamonio, il quale proteggeva il corpo di Achille, ma essa riuscì solo a scalfire lo scudo, senza che gli penetrasse nella pelle.

Aiace, alla vista del nemico, lo rimbrottò con dure parole. Infine gli scagliò addosso una lancia e lo uccise nel bel mezzo della mischia.

Glauco (Minosse)

Glauco è una figura della mitologia greca, figlio di Minosse re di Creta e di Pasifae.

Ancora bambino rincorrendo una palla o un topo, cadde in un pithos di miele e morì. Minosse consultò un oracolo (dei Cureti o di Apollo). Questo propose un enigma e disse che la persona che fosse stata in grado di risolverlo, avrebbe ritrovato Glauco. Poliido lo trovò, morto, e Minosse lo obbligò a resuscitarlo, chiedendolo dentro un antro con il cadavere del piccolo.

In quel mentre Poliido scorse un serpente che si stava approssimando al cadavere di Glauco e lo uccise; un secondo serpente, visto il suo simile morto, si dileguò tornando poco dopo con dell'erba che cosparse sul corpo del rettile che dopo alcuni sussulti, si rianimò. Alla vista di questa scena Poliido prese quell'erba e la applicò sul corpo del bambino, che di lì a poco riprese a vivere. Minosse - non contento - volle che Poliido insegnasse a Glauco l'arte mantica, compito al quale il saggio adempì, onde poi fargliela dimenticare prima di tornare in patria.

Glauco (Poseidone)

Glauco è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e di una Naiade.

Come il padre fu una divinità del mare. La sua figura appare ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio e nelle Metamorfosi (libro XIII) di Ovidio.

Secondo la leggenda, nacque umano, praticò l'attività di pescatore, la sua immortalità e la sua natura di divinità marina derivarono da un'erba magica. Il suo corpo mutò sembianze, assumendo una forma di coda di pesce nella parte inferiore.

Si ricordano i suoi amori, da quello per Scilla fino al tentativo di circuire Arianna.

Glauco cercò di sedurre Scilla senza successo, impedito da Circe che lo coprì di ridicolo.

Glauco (Sisifo)

Glauco, figlio di Sisifo.

Padre di Bellerofonte e bisnonno di Glauco, Glauco possedeva dei cavalli che nutriva con carne umana e preservava da qualsiasi accoppiamento perché risultassero sempre i più veloci nelle corse coi carri.
In occasione dei giochi funebri in onore di Pelia, la dea Afrodite, irritata per il trattamento che Glauco riservava ai suoi animali, li fece scappare dalla stalla il giorno precedente alla gara. Condotti ad un pozzo sacro, essi mangiarono di un'erba che dava follia, quindi tornarono alla scuderia.
Il giorno della gara, Glauco salì sulla biga, ma ne fu sbalzato poiché i cavalli si imbizzarrirono. Imbrigliato nelle redini, i cavalli lo trascinarono per tutto lo stadio, quindi gli si gettarono addosso e lo divorarono.

La statua di Glauco


Jean-Jacques Rousseau nel Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini parla della statua di Glauco che, stando sotto il mare, si è riempita di incrostazioni fino a farlo assomigliare più a una belva mostruosa che a un dio. Questo esempio serve da metafora per l'uomo moderno il quale (come l'immagine di colui che è diventato un dio per mezzo di un'erba magica ma appare più simile a una bestia) evolvendosi nelle scienze e nelle arti, ha creduto di elevarsi ma in realtà, sostiene Rousseau, si è solo depravato.

Gordio

Re frigio, padre di Mida. Quando era soltanto un povero contadino, Gordio rimase molto sorpreso vedendo un giorno un'aquila reale appollaiarsi sul timone del suo carro trainato dai buoi. Poiché pareva che l'uccello non avesse intenzione di muoversi, Gordio guidò il carro verso Telmisso in Frigia, dove si trovava un oracolo; alle porte della città si imbattè in una giovane profetessa che, quando vide l'aquila appollaiata sul timone del carro, volle che Gordio subito facesse sacrifici a Zeus re, e lo accompagnò per accertarsi che scegliesse vittime acconce. Gordio si fece accompagnare e le chiese se fosse disposta a sposarlo. La giovane rispose di sì, ma dopo aver offerto i sacrifici.
Frattanto il re di Frigia era morto all'improvviso senza discendenti e un oracolo annunciò al popolo frigio che il nuovo re stava arrivando con la sua sposa, seduto su un carro di buoi. Quando il carro entrò nella piazza del mercato di Telmisso, l'aquila attirò subito l'attenzione popolare e Gordio fu acclamato re all'unanimità. In segno di gratitudine, Gordio consacrò a Zeus il carro unitamente al giogo dei buoi, che egli aveva annodato al timone in un modo particolare. Un oracolo dichiarò allora che chiunque fosse stato capace di sciogliere quel nodo sarebbe divenuto signore dell'intera Asia. Giogo e timone furono riposti nell'Acropoli di Gordio, una città fondata da Gordio stesso, dove i sacerdoti di Zeus li custodirono gelosamente, finché Alessandro il Grande, arrivato nella città durante i preparativi per la sua spedizione asiatica (334 a.C.), volle sciogliere il nodo; non riuscendogli, sguainò la spada e lo recise.
Dopo la morte di Gordio, Mida gli succedette al trono, promosse il culto di Dioniso e fondò la città di Ancira.
L'espressione nodo gordiano è divenuta un modo figurato per significare una difficoltà insuperabile con i mezzi ordinari.

Gorga (mitologia)

Nella mitologia greca, Gorga (o Gorge) è il nome di due eroine:

1. Gorga, figlia di Eneo, re di Calidone, e di Altea e sorella di Meleagro e Deianira. Sposò Andremone che le diede il figlio Toante.
2. Gorga, figlia di Megareo e moglie dell'eroe Corinto, fondatore dell'omonima città.

Gorga, figlia di Eneo

Figlia di Eneo e di Altea, sovrani di Calidone, Gorga era sorella di Tosseo, Meleagro e Deianira. Alcune tradizioni riportano che, per volontà di Zeus, Eneo si giacque segretamente con la sua stessa figlia, la quale generò Tideo. Gorga compianse, insieme alle sue sorelle, la morte del fratello Meleagro al punto da commuovere Artemide la quale, impietosita, le tramutò tutte in galline faraone; Deianira e la stessa Gorga furono però le uniche a non subire la metamorfosi. Secondo un'altra versione anche le due sorelle vennero trasformate in volatili ma Dioniso indusse Artemide a deporre la sua ira contro la casa di Eneo e a restituire loro la forma umana.

In seguito, Eneo diede Gorga in sposa ad Andremone, cui assegnò il regno una volta invecchiato. Dalla loro unione nacque Toante, l'eroe che in seguito partecipò alla guerra di Troia.

Gorgitione


Nella mitologia greca, Gorgitione, in greco Γοργυθίωνα, era il nome di uno dei figli di Priamo, uno dei 54 avuti da numerose donne, infatti la madre dell’eroe greco non era Ecuba, legittima regina e moglie del re, ma Castianira, di Esima.
Il mito [modifica]
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Elenco dei figli di Priamo.

Quando Paride figlio di Priamo e fratellastro di Gorgitione, prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Gorgitione per l’onore di Troia combatteva fin quando in una battaglia Teucro, abile arciere intestardito su un unico bersaglio, il valoroso Ettore, mancò il nemico colpendo invece Gorgitione, uccidendolo.

Gorgofone

Gorgofone è un personaggio della mitologia greca. Era nata dall'unione tra Perseo e Andromeda ed era sorella di Alceo, Elettrione, Perse e Stenelo.

Pare sia stata la prima donna greca a risposarsi dopo la morte del marito. Aveva infatti sposato in prime nozze Periere e con il quale aveva generato due figli Afareo e Leucippo. Poi sposò Ebalo, re di Sparta, e da questi ebbe Icario e Tindaro.

Gorgoneion

Nell'antica Grecia, il gorgoneian era, in origine, un pendente orrorifico apotropaico che rappresentava la testa di una Gorgone. Il gorgoneion è associato sia a Zeus che ad Athena, che secondo il mito lo hanno entrambi indossato come pendente. Era anche frequentemente presente sulle egide reali, come esemplifica il Cammeo Gonzaga.

Evoluzione

Omero si riferisce alla Gorgone in quattro occasioni, ogni volta alludendo alla sola testa, come se la creatura fosse priva di corpo. La studiosa Jane Ellen Harrison scrive che "Medusa è una testa e nulla più... una maschera con un corpo aggiunto successivamente". Fino al V secolo a.C., la testa era raffigurata come particolarmente orribile, con una lingua sporgente, zanne di cinghiale, guance rigonfie, bulbi oculari fissi verso l'osservatore e serpenti attorcigliati intorno al volto.

Lo sguardo fisso frontale e diretto, "apparentemente rivolto fuori dal suo contesto iconografico e direttamente sfidante l'osservatore", era fortemente innaturale nell'antica arte greca. In alcuni casi una barba (simboleggiante probabilmente strisce di sangue) era aggiunta al suo mento, facendola apparire come una divinità orgiastica affine a Dioniso.

I gorgoneia che decorano gli scudi di guerrieri su vasi greci della metà del V secolo sono considerevolmente meno grotteschi e minacciosi. Entro quell'epoca, la Gorgone aveva perso le sue zanne ed i serpenti erano piuttosto stilizzati. Il marmo ellenistico noto come la Medusa Rondanini illustra la trasformazione finale della Gorgone in una bella donna.

Uso

I gorgoneia appaiono per la prima volta nell'arte greca al volgere dell'VIII secolo a.C. Una delle più antiche rappresentazioni è su uno statere di elettro scoperto durante degli scavi presso Pario. Altri esempi degli inizi dell'VIII secolo furono trovati a Tirinto. Se andiamo ancora più indietro nalla storia, c'è un'immagine simile proveniente dal palazzo di Cnosso, databile al XV secolo a.C. Marija Gimbutas sostiene addirittura che "la Gorgone risale almeno al 6000 a.C., come illustra una maschera in ceramica proveniente dalla cultura di Sesklo".

Nel VI secolo, i gorgoneia di tipo canonico "a maschera di leone" erano ubiquitari sui templi greci, specialmente a e intorno a Corinto. I gorgoneia sui frontoni erano comuni in Sicilia; la più antica occorrenza essendo probabilmente nel Tempio di Apollo a Siracusa. Intorno al 500 a.C., cessarono di essere usati per la decorazione di edifici monumentali, ma erano ancora presenti sulle antefisse di strutture più piccole per tutto il secolo successivo.

A parte i templi, le immagini della Gorgone sono presenti su vestiti, piatti, armi e monete ritrovate in tutta la regione mediterranea dall'Etruria alla costa del Mar Nero. Le monete con la Gorgone erano coniate in 37 città, rendendo la sua immagine sulle monete seconda come ubiquità numismatica soltanto ai vari principali dei dell'Olimpo. Sui pavimenti a mosaico, il gorgoneion era di solito raffigurato accanto alla soglia, come se la proteggesse da intrusi ostili; sulle fornaci attiche, il gorgoneion sopra la porta della fornace proteggeva dagli incidenti.

Le immagini della Gorgone rimasero popolari anche nei tempi cristiani, specialmente nell'Impero bizantino, compreso il Rus' di Kiev, e furono riportate in auge in Occidente dagli artisti del Rinascimento italiano. In tempi più recenti, il gorgoneion fu adottato da Gianni Versace come logo per la sua società di moda.

Origine

Secondo la Gimbutas, i gorgoneia rappresentano certi aspetti del culto della Dea Madre associato all'"energia dinamica della vita". Ella definisce il gorgoneion come un'immagine quintessenzialmente europea. Jane Ellen Harrison, d'altro canto, afferma che molte culture primitive usano maschere rituali simili per dissuadere il proprietario con la paura dal fare qualche cosa di sbagliato, o, come lo chiama lei, per fargli la faccia brutta: "Prima viene l'oggetto rituale; poi si genera il mostro per giustificarlo; poi si fornisce l'eroe per giustificare l'uccisione del mostro".

Gorgoni

Le Gorgoni sono figure della mitologia greca, erano figlie di Forco e di Ceto.

Erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa. Di aspetto mostruoso, avevano ali d'oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli e chiunque le guardasse direttamente negli occhi rimaneva pietrificato. La gorgone per antonomasia era Medusa, la più famosa delle tre e loro regina, che, per volere di Persefone, era la custode degli Inferi.

A differenza delle sorelle era mortale. Il mito narra che Perseo, avendo ricevuto l'ordine di consegnare la testa di Medusa a Polidette, signore dell'isola di Serifo, si recò prima presso le Graie, sorelle delle Gorgoni, costringendole a indicargli la via per raggiungere le Ninfe. Da queste ricevette sandali alati, una bisaccia e un elmo che rendeva invisibili, doni ai quali si aggiunsero, uno specchio da parte di Atena e un falcetto da parte di Ermes.

Così armato, Perseo volò contro le Gorgoni e, mentre erano addormentate, guardandone l'immagine nello specchio divino di Atena per evitare di rimanere pietrificato, tagliò la testa a Medusa e la chiuse subito nella bisaccia delle Graie. Dal tronco decapitato di Medusa uscirono, insieme ai fiotti di sangue, il cavallo alato Pegaso e Crisaore, padre di Gerione.

Perseo donò la testa della gorgone alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici.

Gorti

Nella mitologia greca, Gorti era il nome di un personaggio di cui si raccontano le gesta, la cui paternità è dubbia.

Suo padre è a seconda delle leggende:

* Stinfalo, figlio di Elato e di Laodice, in tal caso sarebeb stato fratello di Agelao e Partenope
* Tegeate avuta dalla figlia di Atlante Mera
* Radamanto.

Graie

Le "Vecchie Donne", figlie di Ceto e di Forco (da cui il nome di Forcidi che talvolta si dà loro). Nate vecchie, erano sorelle e custodi delle Gorgoni e vivevano nell'estremo Occidente, alle soglie del paese della notte, dove il Sole non brilla mai. Secondo Esiodo erano due: Enio e Pefredo; altri mitografi ne aggiungevano una terza, Dino. Possedevano un solo occhio e un solo dente, che si scambiavano a vicenda.
Perseo le costrinse a rivelargli il nascondiglio delle ninfe Stigie, il cui aiuto gli era indispensabile per uccidere Medusa. Di loro parla Esiodo, che mostra però di conoscere solo le prime due; nel Prometeo incatenato di Eschilo si dice che esse avevano forma di cigno, ma il loro nome significa "vecchie donne" poiché secondo la tradizione più accreditata avevano l'aspetto di vecchie con i capelli grigi e molte rughe, e vivevano in una caverna sul fianco della montagna di Atlante. Come le loro sorelle , le Gorgoni, acquistarono notorietà grazie alla vicenda di Perseo che con l'inganno rubò loro l'occhio e il dente e le costrinse a dirgli dov'era il nascondiglio delle Gorgoni sulla riva dell'Oceano; le sprofondò nel sonno tutte e tre contemporaneamente, e così potè passare senza impaccio e compiere l'impresa. Si dice che l'eroe lanciasse l'occhio nel lago Tritonio.

Grazie (mitologia)

Le Grazie (in latino Gratiae) erano figure della mitologia romana, le quali erano tuttavia solamente una replica latina delle Cariti greche (in greco antico Χάριτες). Questi nomi fanno riferimento alle tre divinità della bellezza e, probabilmente sin dall'origine, alle forze legate al culto della natura e della vegetazione. Sono infatti queste fanciulle a infondere la gioia della Natura nel cuore degli dèi e dei mortali.

Queste divinità benefiche erano ritenute figlie di Zeus e di Eurinome e sorelle del dio fluviale Asopo; secondo un'altra versione la madre sarebbe stata Era.
Ma anche queste leggende sono finite per dare spazio ad altre interpretazioni: secondo alcuni autori, le Cariti erano nate dall'unione del dio Elio (il Sole) con l'Oceanina Egle. Ma è altrettanto accettata la versione che vede come madre delle Grazie proprio la dea della bellezza e fertilità, Afrodite la quale le avrebbe generate insieme a Dioniso, dio della vite.

Le versioni che riguardano il numero delle Grazie non sono meno complesse; secondo Esiodo, esse sono tre:

* Aglaia lo splendore
* Eufrosine la gioia
* Talia la prosperità

Esse sono rappresentate come tre giovani nude, le quali incarnano, nella figurazione classica, la perfezione a cui l'uomo deve tendere nonché le tre qualità che una donna dovrebbe avere.

Nella letteratura, Ugo Foscolo, canta la loro figura nel suo carme intitolato, appunto, Le Grazie.

Nella pittura e nella scultura le Grazie sono state oggetto di numerose opere artistiche, tra le quali:

* Le tre Grazie, scultura di Antonio Canova.
* Le tre Grazie, dipinto di Raffaello Sanzio.
* Le tre Grazie, dipinto di Pieter Paul Rubens.

Guneo

Nella mitologia greca, Guneo fu uno dei capitani achei che corse in aiuto di Menelao, re di Sparta, quando sua moglie Elena venne rapita dal troiano Paride. Figlio di Ocito, Guneo proveniva dalla Tessaglia e giunse a Troia con un forte contingente di Enieni.

Vissuto in Tessaglia, sua patria, Guneo fu uno dei tanti eroi achei che aspirarono senza successo alla mano di Elena, andata poi in sposa a Menelao, e che furono, tra l'altro, soggetti al giuramento di Tindaro. In seguito al rapimento della figlia di Zeus, partì da Cifo, sua città natale, alla volta della Troade con un flotta di ventidue navi, conducendo un vasto esercito costituito da Enieni e dai bellicosi Perebi.

Figura misteriosa e mai ben definita, non viene poi più citata nell'Iliade, in cui funge solo da comparsa. Durante il viaggio di ritorno, Guneo fece naufragio lungo le coste della Libia e qui, raggiunte le sponde del fiume Cinipe, si stabilì insieme ai suoi compagni.

Edited by demon quaid - 20/12/2014, 20:12
 
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