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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 21/9/2010, 16:26 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Laogono

Nella mitologia greca, Laogono era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto il nome di Laogono ritroviamo:

* Laogono, figlio di Onetore ucciso da Merione
* Laogono, fratello di Dardano e figlio di Biante ucciso da Achille quando egli non riuscì ad affrontare come voleva Ettore per vendicare la morte del suo amico Patroclo. Laogono e Dardano stavano ritti sopra al loro carro, quando vennero assaliti da Achille da poco tornato a combattere dopo essersi ritirato per qualche tempo dalla guerra a causa di una discordia scoppiata nel campo Greco tra il comandante dei Greci Agamennone ed il grande eroe acheo. Infuriato per la fine dell'amico, Achille si scagliò contro i due fratelli e li uccise: colpì prima Laogono di lancia facendolo precipitare morto giù dal cocchio; poi ferì mortalmente Dardano con la spada.

Laomedonte


Laomedonte è una figura della mitologia greca, re di Troia, figlio di Ilo nipote di Troo padre di Priamo e di Esione.

Per edificare le mura della cittadella chiese l'aiuto di Zeus, che ordinò a Poseidone e Apollo di aiutarlo per punizione all'essersi ribellati al re degli dei (Pindaro indica che insieme ai due dei lavorò anche il mortale Eaco).

In cambio del lavoro, Laomedonte promise loro alcuni cavalli avuti in dono da Zeus ma quando il lavoro fu terminato, Laomedonte si rifiutò di consegnare quanto pattuito.

Il re dei mari inviò un mostro marino. Invece Apollo inviò una pestilenza sulla città con un arco d'oro. Un oracolo disse che Laomedonte sarebbe stato libero dal mostro se questo avesse offerto in pasto al mostro sua figlia Esione che, mentre era incatenata alle rocce, venne salvata casualmente da Eracle.

Laomedonte chiese ad Eracle di liberarlo dal mostro, e gli promise in cambio i cavalli di Zeus (per i cavalli, vedi Ganimede). Eracle riuscì nell'impresa di uccidere il mostro, ma anche questa volta Laomedonte non mantenne la promessa di consegnare i cavalli e gli diede cavalli comuni. Eracle espugnò Troia, uccise Laomedonte insieme a tutti i suoi figli, eccetto Esione la quale chiese di salvare anche suo fratello Priamo. Esione fu data in sposa a Telamone, un amico di Eracle, da quel matrimonio nacque Teucro.

Laotoe


Laotoe è una figura mitologica greca.

Laotoe era figlia del re dei Lelegi. Fu moglie, come Ecuba, di Priamo, e divenne madre di Licaone e Polidoro (da non confondere con l'omonimo figlio di Priamo ed Ecuba).

Lapiti

Popolazione mitica della Tessaglia, stanziata in origine sui massicci del Pindo, del Pelio e dell'Ossa, da dove avevano cacciato i Pelasgi, primi abitanti della regione. La leggenda narra di una lotta da essi combattuta coi Centauri. I Centauri erano stati invitati dai Lapiti alle nozze del loro re Piritoo, figlio di Issione, con Ippodamia. Poiché i convitati erano più di quanti il palazzo potesse ospitarne, i Centauri, cugini di Piritoo, sedettero a tavola con Nestore, Ceneo e altri principi tessalici in una vasta grotta. I Centauri tuttavia non erano avvezzi a bere vino e, quando ne fiutarono l'aroma, corsero con i loro corni d'argento ad attingere vino dagli otri, e si ubriacarono in tal modo che quando la sposa apparve sulla soglia della caverna per salutare gli ospiti, Eurizione balzò dallo sgabello, rovesciò il tavolo e la trascinò via per i capelli. Subito gli altri Centauri seguirono il suo vergognoso esempio, agguantando bramosi le donne che capitavano loro a tiro.
Piritoo e il suo compagno Teseo accorsero in aiuto di Ippodamia, amputarono il naso e le orecchie di Eurizione e, con l'aiuto dei Lapiti, gettarono i Centauri fuori della caverna. Si scatenò allora una lotta furibonda che costò la vita al lapita Ceneo e si prolungò fino al cadere della notte; così ebbe origine l'antica inimicizia tra i Centauri e i loro vicini Lapiti.
In quell'occasione i Centauri subirono un grave rovescio e Teseo li scacciò dal loro territorio di caccia sul monte Pelio, spingendoli nella terra degli Etici presso il monte Pindo. Ma non fu facile sottomettere i Centauri che, riunendo le loro forze, invasero il territorio del Lapiti. Essi colsero di sorpresa il grosso delle forze lapite e le decimarono, e quando i superstiti fuggirono a Foloe in Elide, i vendicativi Centauri li cacciarono anche di là e trasformarono Foloe in una loro roccaforte. I Lapiti si stabilirono poi a Malea.
Anche Eracle combattè i Lapiti per conto del loro nemico Egimio. I Lapiti, guidati da Corono, figlio di Ceneo, minacciavano Egimio e lo incalzavano così da vicino che egli fu costretto a far appello all'alleanza d'Eracle, promettendogli un terzo del regno in caso di vittoria. Eracle sbaragliò i Lapiti; ma rifiutò la ricompensa, chiedendo soltanto a Egimio di riservarla per gli Eraclidi. Si fa menzione della presenza di Lapiti fra i cacciatori di Calidone (Meleagro, Piritoo) e gli Argonauti (Ceneo, Corono, Mopso, Piritoo).

Lara

Una delle Naiadi, figlia del fiume Almone. Rifiutò di aiutare Giove a catturare la ninfa Giuturna, della quale era innamorato, mettendola in guardia contro di lui, e arrivando persino a raccontare tutto alla stessa Giunone. Irritato, Giove le strappò la lingua in punizione della sua petulanza. Essendo condotta, per ordine di Giove, agl'Inferi da Mercurio, questi si innamorò di lei e la rese madre dei gemelli Lari, dèi del culto familiare dei Romani.

Lari

La mitologia romana fra le molte divinità indigene maggiori e minori che presiedevano a tutti gli eventi della vita ci presenta come genii del campi e della casa i Lari, che hanno caratteristiche comuni coi Penati. Quanto alla natura i Lari furono considerati divinità dei vici e delle vie, o custodi delle case. Il Lar familiaris, onorato presso il focolare domestico, è considerato come lo spirito del capostipite della famiglia, rappresentante la continuità di essa e perciò anche la casa degli antenati in cui la famiglia risiede. I Romani li veneravano in particolare nel culto privato insieme con altre divinità della casa come Vesta, i Penati, i Manes. Ma alcuni ritengono che in origine furono divinità protettrici dei campi e dei singoli poderi, e quindi venerati nei crocicchi delle strade campestri (compita), dove veniva innalzata una cappella, presso la quale si celebrava ogni anno una festa popolare (Compitalia, Laralia), certamente antichissima.
Il culto pubblico dei Lari era attribuito a Servio Tullio, e si riferiva che l'idea di esso era stata concepita dalla madre di lui Ocrisia mentre stava offrendo un sacrificio. Le tradizioni relative ai Lari, pur così varie, si accordano nell'indicarli come dèi che presiedevano all'esistenza familiare e le loro immagini erano collocate insieme con quelle dei Penati presso il focolare domestico, in un Lararium, una specie di modesto tabernacolo. Alla casa erano strettamente legati, e non l'abbandonavano anche se la famiglia ne emigrava. In loro onore il focolare veniva adornato di corone tutti i giorni; alle calende, alle none, alle idi e in altri giorni festivi si facevano offerte votive di vino, focacce, favi di miele, frutta e, talvolta, incenso e animali, un porcello, un agnello. I grandi avvenimenti della vita di famiglia offrivano l'occasione di una devozione particolare ai Lari. La sposa entrando nella casa del marito offriva un sacrificio; i giovinetti, quando indossavano la toga, dedicavano ai Lari le loro bullae, e le fanciulle le loro bambole; il soldato che aveva terminato il servizio militare le sue armi; lo schiavo liberato, le sue catene.
Non mancarono altri aspetti del culto dei Lari. Infatti oltre i crocicchi anche le vie in generale godevano della loro protezione. Si invocava la loro assistenza al momento di intraprendere un viaggio, e si rendevano loro grazie per il ritorno felicemente compiutò.
I Lari erano raffigurati come adolescenti, che tenevano in mano un corno dell'abbondanza e volteggiavano leggermente sulle punte dei piedi. I loro abiti erano corti, come si conviene a dèi agili.

Latino

Nella tradizione romana compare come eroe eponimo dei Latini. Un re di questo nome si incontra per la prima volta nella Teogonia di Esiodo, che menziona, come figli di Odisseo e di Circe, Latino e Agrio, signori di una regione dell'estremo Occidente, che regnarono su tutti i Tirreni. Questa testimonianza associava le origini di Roma e del suo eponimo al mito di Odisseo e di Circe, anziché a quello di Enea che divenne poi predominante nella storia leggendaria dell'Occidente. La saga posteriore, riferita da alcuni storici greci, come Timeo, presenta Latino come figlio di Telemaco e di Circe, re dei Borigoni (Aborigeni), abitanti del Lazio, che dal nome del loro re si chiamarono Latini. Una tradizione oscura racconta che Eracle, ritornando dai luoghi di Gerione, giunto sulle rive dell'Albula, in seguito chiamato Tevere, fu accolto da re Evandro, un'esule dall'Arcadia, e generò Latino dalla vedova di Fauno, oppure dalla di lui figlia. Ma i Greci sostengono che Latino era figlio di Circe e di Odisseo.
La leggenda già elaborata dai Greci venne accolta dai poeti Nevio ed Ennio, e così pure dagli annalisti e dagli antiquari romani, fra cui Catone, e fu ulteriormente sviluppata. Latino re degli Aborigeni accolse Enea sbarcato nel Lazio e gli diede la figlia Lavinia in sposa; ma, scoppiata discordia fra i due popoli, Latino si alleò con Turno, re dei Rutuli, e venuto a battaglia con Enea cadde sul campo. Enea vittorioso unì i Troiani e gli Aborigeni in un unico popolo, dando origine al popolo dei Latini, sui quali regnò, e tramandò il regno ai suoi discendenti finché dalla stirpe di Enea nacquero i gemelli fondatori di Roma.
Un'elaborazione diversa della leggenda diede Virgilio eliminando la condotta incerta di Latino. All'arrivo di Enea nel Lazio vi si trovava il popolo reale e autoctono dei Latini; Latino non è discendente di Ulisse ma del latino Fauno e delle ninfa indigete Marica. La guerra fra Troiani e Latini non è dovuta a violazione di un patto giurato, ma è voluta da Giunone sempre avversa ad Enea, e all'amore di Turno per Lavinia.
Latino e la sua sposa Amata, avevano promesso la loro unica figlia Lavinia in sposa a Turno re dei Rutuli. Ma prima dell'arrivo di Enea, un oracolo aveva detto che Lavinia doveva sposare un uomo che giungeva da lontano. Latino riconobbe in Enea il candidato e lo accolse con cordialità, ma Giunone intervenne ancora mandando la furia Aletto a suscitare la guerra fra Troiani e Latini, a ispirare nel cuore della regina Amata un'invincibile avversione per Enea e a destare nel cuore di Turno, re dei Rutuli, viva gelosia. Infine Aletto provocò un incidente. Durante una battuta di caccia, Ascanio, figlio di Enea, colpì con un dardo, in modo da ferirlo soltanto, un cervo addomesticato particolarmente caro a Silvia, figlia di Tirro, custode degli armenti di Latino. Alle grida di Silvia accorsero in gran numero pastori e contadini con pertiche, pali, mazze, forche. Inaspriti gli animi, accorsero altri pastori ed altri Troiani, e così la zuffa si trasformò presto in battaglia. Amata e lo stesso Turno spinsero Latino alla guerra contro i Troiani; ma Latino si rifiutò e restò fermo nel suo proposito, e quando alfine vide che nulla poteva contro la follia e la cecità di tutto il popolo, abbandonò le redini del regno. Tuttavia rifiutò di aprire le porte del tempio di Giano, senza il quale rito la guerra non poteva essere dichiarata. Ma a questo provvide la stessa Giunone, sicché in breve Turno riunì i suoi alleati tra cui Camilla dei Volsci e l'esiliato etrusco Mezenzio. Enea ebbe l'appoggio di Tarconte, re degli Etruschi i quali odiavano Mezenzio per la sua crudeltà, e di Evandro l'arcade, che era imparentato con i Troiani e aveva da poco fondato la sua colonia a Pallanteo (sul colle Palatino). Turno attaccò il campo troiano e cercò di bruciare le navi che vennero da Cibele trasformate in Ninfe marine. La battaglia stava volgendo al peggio; Pallante, il giovane figlio di Evandro, e molti altri dei suoi uomini furono uccisi, ma Enea uccise Mezenzio e suo figlio Lauso e mutò le sorti della battaglia. Venne stabilito un armistizio e si giunse all'accordo di risolvere la questione con un combattimento singolo tra due campioni. Ma Giunone fece in modo che i Latini rompessero il patto, e nella battaglia che seguì Enea venne ferito. Venere lo curò ed egli attaccò Laurenzio, la città di Latino, con tale violenza che Amata, credendo Turno morto, si tolse la vita. Ancora una volta Turno accettò la tregua e il combattimento singolo, ma sua sorella Giuturna, una ninfa d'acqua che l'aveva aiutato a resistere a Enea, ora abbandonò la sua causa ed Enea lo sconfisse. Turno gli chiese di risparmiargli la vita ed Enea, compassionevole come sempre, vorrebbe salvarlo, ma alla vista del cinturone di Pallante che Turno indossava come un trofeo, fu preso dall'ira e lo trafisse. Dopo la morte di Turno, Latino concluse la pace coi Troiani; Enea sposò Lavinia e governò sui Latini e i Troiani. Fondò un nuova città chiamandola Lavinium, dal nome di sua moglie.

Latona

Figlia del titano Ceo e della titanide Febe, sorella di Asteria e Ortigia, e madre di Apollo e di Artemide.
La sua figura si arricchisce di varie leggende che ebbero il loro centro in Delo. Resa madre da Zeus, fu perseguitata dalla gelosia di Era che incaricò il serpente Pitone di inseguire Latona tutt'attorno al mondo, e decretò che essa non avrebbe potuto partorire in alcun luogo dove brillasse il sole. Quando giunse il tempo per Latona di partorire, Zeus ordinò al vento Borea di portarla da Poseidone il quale, a sua volta, la condusse a Ortigia. Poseidone generò una grande onda perché coprisse tutta l'isola e la nascondesse al sole. Qui Latona mise alla luce Artemide che, appena nata, aiutò la madre ad attraversare lo stretto e a Delo, tra un olivo e una palma, Latona si sgravò di Apollo dopo nove giorni di travaglio. Dopo la nascita della coppia divina, Poseidone fissò l'isola di Delo, che fino a quel momento era stata un'isola vagante, al fondo del mare con quattro colonne. Tutte le dee dell'Olimpo, eccettuata Era, diedero assistenza alla Titanessa durante tutto il travaglio e infine mandarono Iride a chiamare Ilizia perché Apollo potesse nascere all'insaputa di Era.
Latona portò i due bambini in Licia per lavarli nel fiume Xanto, ma alcuni pastori gielo vietarono facendola allontanare dai lupi. Leto chiamò il paese Licia per via dei lupi, e trasformò i pastori in rane.
Nella leggenda di Latona si inseriscono altri tre episodi, di Pitone, di Tizio e di Niobe. Partito da Delo, Apollo si diresse senza indugio verso il monte Parnaso, dove si celava il serpente Pitone, nemico di sua madre, e lo ferì gravemente con le sue frecce. Pitone si rifugiò presso l'oracolo della Madre Terra a Delfi; ma Apollo osò inseguirlo anche nel tempio e lo finì dinanzi al sacro crepaccio. Il gigante Tizio, nato dalla Terra, cadde sotto i colpi di Apollo e di Artemide avendo tentato di usare violenza alla loro madre. Nel Tartaro fu condannato alla tortura con le braccia e le gambe solidamente fissate al suolo e due avvoltoi gli mangiavano il fegato che rinasceva secondo le fasi della luna. Niobe, madre di sette figli e sette figlie, volle, nel suo orgoglio materno, paragonarsi a Latona, che si vendicò facendo uccidere tutti i suoi figli. Apollo trovò i ragazzi che cacciavano sul monte Citerone e li uccise a uno a uno, risparmiando il solo Amicla, che aveva saggiamente innalzato una preghiera propiziatoria a Latona. Artemide trovò le fanciulle intente a filare in una sala del palazzo e con una manciata di frecce le sterminò tutte, salvo Melibea, che aveva imitato l'esempio di Amicla.
Nel mondo greco, il culto di Latona era molto diffuso nell'Asia Minore; nell'isola di Delo invece è strettamente connesso con quello dei figli Apollo e Artemide. A Delo si trovava uno dei santuari sacri a Latona, con una statua arcaica di legno e una palma di bronzo che ricordava la palma a cui Latona si era aggrappata al momento del parto. A Delo la nascita dei due gemelli era ricordata da due feste che vi si celebravano il 6 e 17 Targelione. Anche i Romani onorarono Latona, ma di lei si hanno poche testimonianze nelle iscrizioni. Una festa in onore di Latona era celebrata in un giorno incerto, che si suppone possa essere il 5 settembre. Se ne ha notizia nei Fasti Urbinati, dai quali risulta che era onorata insieme al figlio Apollo in un tempio presso il teatro di Marcello.

Lavinia

Figlia del re Latino e di Amata. Era già stata chiesta in matrimonio da molti principi italici, fra i quali la regina madre, Amata, aveva da tempo volto la sua preferenza su Turno, re dei Rutuli e figlio della ninfa Venilia, sua sorella. Ma il re Latino si era rivolto all'oracolo del padre Fauno, e da questo era stato esplicitamente avvertito di non dare la figlia ad un uomo latino, perché il Destino aveva già scelto per lui un genero che sarebbe venuto da lontano. Quando Enea approdò nel Lazio, Latino riconobbe nell'eroe troiano il candidato, lo accolse con cordialità e gli diede in moglie Lavinia. Ne nacque la guerra fra Turno, aiutato da Mezenzio re di Cere, da una parte, ed Enea e Latino dall'altra: morti in battaglia Turno e Latino, Enea sposò Lavinia e governò sui Latini e i Troiani. Fondò un nuova città chiamandola Lavinium, dal nome di sua moglie. Dopo la morte di Enea, Lavinia per sfuggire all'odio del figliastro Ascanio, si rifugiò in un bosco presso il pastore Tirro, dove diede alla luce Silvio, figlio postumo di Enea. Qualche tempo dopo Ascanio, che era malvisto dal popolo per la sua crudeltà verso la matrigna, si riconciliò con Lavinia cedendole la città di Lavinio e fondando per sé la città di Alba. Ma quando Ascanio morì senza figli, chiamò Silvio a succedergli.
Il mito è narrato da Catone nelle Origini, e da Dionigi d'Alicarnasso; un'altra versione, ripresa da Livio, fa invece Ascanio figlio di Lavinia, e naturalmente omette il raccoanto della persecuzione. Nell'Eneide virgiliana Lavinia compare solo marginalmente, pur avendo tanta parte, come causa involontaria nel susseguirsi degli eventi.

Leandro

Un giovane d'Abido innamorato di Ero, sacerdotessa di Afrodite, che abitava a Sesto, la città sull'altra riva dell'Ellesponto di fronte ad Abido.
I due giovani s'incontrarono e si innamorarono, ma Ero, al servizio della dea, non era libera di sposarsi e, per mantenere segreta la loro relazione, decisero d'incontrarsi ogni notte. Leandro andava a visitarla attraversando a nuoto l'Ellesponto sotto la guida di una fiaccola che la fanciulla teneva accesa in cima alla torre dove viveva, e ritornava a casa al mattino. Una notte, durante l'inverno, il vento spense la fiaccola e Leandro, spinto dai flutti contro gli scogli, annegò. Il mattino successivo la ragazza vide il corpo dell'amato sulla spiaggia e, sconvolta dal dolore, si gettò dall'alto della torre. La storia viene narrata dal poeta greco Museo, vissuto probabilmente nella seconda metà del secolo V d.C.

Learco

Learco nella mitologia greca era figlio di Atamante e di Ino.

La sua storia fa parte del ciclo di Tebe narrata per esempio nelle Metamorfosi di Ovidio. Fu ucciso ancora fanciullo dal padre che era stato fatto impazzire da Giunone come punizione di aver accolto e allevato Bacco, figlio illegittimo di Zeus avuto dalla sorella di Ino, Semele.

Il padre, accecato dalla pazzia, scambiò il piccolo Learco per un leoncino (o secondo altre versioni per un cerbiatto) e lo uccise, mentre la madre si gettò da una rupe con l'altro figlio Melicerte. Ovidio insiste su alcuni particolari patetici della sua storia, come quello che il bambino aveva spontaneamente allungato le braccia verso il padre per abbracciarlo, non sapendo che egli era impazzito e voleva ucciderlo.

Leda

Nella mitologia greca Leda era figlia di Testio e moglie di Tindaro, re di Sparta.

La leggenda narra che Zeus, innamoratosi di lei, si trasformò in un cigno e si accoppiò con Leda, che generò due uova. Da un uovo sarebbero usciti i Dioscuri, Castore e Polluce, mentre dall'altro Elena e Clitennestra.

La tradizione mitica è discordante riguardo a quale fosse la progenie divina; secondo alcune versioni i figli immortali di Zeus non sarebbero stati i Dioscuri ("figli di Zeus"), ma Polluce ed Elena, mentre gli altri due sarebbero figli di Tindaro.[1]

Secondo un'altra versione del mito, Leda trovò l'uovo, frutto dell'unione tra Zeus e Nemesi, dal quale sarebbe uscita Elena.

Leimone

Nella mitologia greca, Leimone era il nome di uno dei figli di Tegeate e di Mera, la figlia di Atlante.

Aveva diversi fratelli: Scefro e Archedio e secondo altre versioni a questo elenco si aggiungevano Cidone, Catreo e Gorti che forse era il figlio di Radamanto).

Di lui si parla anche in un'altra occasione: quando vide il suo fratello Scefro parlare con il dio Apollo fraintese le sue parole, e pensò che lo stesse calunniando pesantemente. Trovò allora giusto intervenire uccidendolo, in realtà stava parlando serenamente con la divinità. Artemide che si trovava con il fratello vendicò immediatamente la morte del ragazzo uccidendo lo stesso Leimone. La furia della divinità colpì l'intero regno.

In ricordo di ciò il popolo degli Tegeati istituirono una festa dove una sacerdotessa della dea dava simbolicamente la caccia ad un ragazzo proprio per ricordare tale avvenimento).

Leiocrito


Nella mitologia greca, Leiòcrito (o più comunemente Leocrito) era il nome di uno dei guerrieri achei che prese parte alla guerra di Troia, per vendicare il rapimento di Elena, regina di Sparta, per opera di Paride, il troiano suo amante. Menelao, re di Sparta, marito tradito, volle vendicare questo oltraggio e partì con un innumerevole esercito guidato da suo fratello Agamennone, alla volta della città di Troia. Le vicende più interessanti di questo conflitto sono raccontate da Omero nell'Iliade.

Genealogia e origini


Leiòcrito, figlio di un certo Arisbante, era conosciuto per essere amico di Licomede, un valoroso guerriero acheo, figlio di Creonte, che partecipò anch'egli alla guerra di Troia, distinguendosi tra i più forti. Null'altro, tuttavia, si conosce su questo personaggio, la cui presenza letteraria è limitata a solo due versi dell'Iliade.

Nella guerra di Troia


Il ruolo di Leiocrito nella guerra di Troia è assolutamente secondario. L'unica volta in cui viene nominato è in riferimento alla sua morte, avvenuta nel libro XVII dell'Iliade.
Durante i combattimenti che si svolsero dopo la morte di Patroclo, il fedele compagno di Achille, caduto per mano dell'eroe troiano Ettore, gli Achei e i Troiani si affrontarono con immensa crudeltà per impossesarsi del corpo del morto. I Greci, spinti dal loro coraggio e dal loro affetto per il giovane si dimostrarono molto più audaci dei Troiani, cosicché quest'ultimi a causa della loro violenta pressione furono costretti ad arretrare. Tuttavia il dio Apollo in persona, assunto l'aspetto di Perifante, araldo dei Teucri, incitò l'eroe troiano Enea alla battaglia;

Quest'ultimo intervenne tempestivamente per salvare le sorti del suo popolo, e con un balzo scagliò la sua lancia mortale, trafiggendo il giovane Leiòcrito che si apprestava ad avanzare per abbattere qualcuno dei suoi nemici. Ma Licomede, afflitto per la perdita del fedele compagno si vendicò uccidendo a sua volta Apisaone, un guerriero troiano.

Leipefilene


Nella mitologia greca, Leipefilene era il nome di una delle figlie di Iolao e di Megara.

Fu sposa di Filante, il figlio di Antioco. A seconda delle versioni ebbe 1 o 2 figli, secondo Apollodoro ebbe soltanto Ippote[1] mentre a lui Pausania aggiunge Tero.

Leito

Nella mitologia greca, Leito era il nome di uno dei figli di Alettrione, mentre secondo altre leggende i suoi genitori erano Lacrito e Teobula. Secondo altre versioni, egli sarebbe addirittura nato da Gea, la Terra e sarebbe dunque fratello dei Giganti.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone vi era Leito. Nel catalogo delle navi, chiamato anche Boiotia lo troviamo a capo dei beoti. Durante la guerra si distinse in più occasioni, ad esempio riuscì a ferire un avversario forte come Filaco, esortava il proprio esercito quando il timore di non riuscire a vincere la lunga guerra si faceva strada. Leito non aveva paura di sfidare avversari forti come Ettore, anzi fu uno dei pochi a cavarsela in uno scontro contro di lui venendo ferito alla mano, rimanendo vivo nella confusa battaglia fra Ettore e Idomeneo.

La ferita riportata per mano dell'eroe troiano si rivelò fatale per il giovane beota, il quale fu costretto ad abbandonare la guerra contro Troia e a tornare in patria, portando con sé le ceneri di Arcesilao, suo sfortunato compagno, morto per mano di Ettore.

Fu l'unico dei duci beoti a sopravvivere alla guerra di Troia. Clonio, Protoenore, Arcesilao e Peneleo morirono infatti durante i combattimenti.

Leito figlio di Alettore

Uno dei figli di Alettore che partecipò senza distinguersi, secondo Pseudo-Apollodoro, alle imprese degli Argonauti per la conquista del vello d'oro.

Lelego

Lelego era il nome di diversi personaggi della mitologia greca:

* Lelego, figlio di Poseidone e di Libia
* Lelego, famoso eroe dell'isola di Leucade. Da lui discende Teleboante
* Lelego, figlio di Cleocaria e padre di Milete e Policaone.

Lelego (Cleocaria)

Nella mitologia greca, Lelego era il nome di uno dei figli di Cleocaria e della terra.

Anche se il rapporto con Cleocaria è discusso fra i mitografi, Apollodoro afferma che la ninfa sia in realtà sua sposa, era un eroe della popolazione chiamata lelegi e fu il primo re della Laconia. Ebbe due figli (forse anche tre) che si chiamarono Milete e Policaone. IL primo gli succedette al trono di Laconia, che a sua volta lo trasmise al proprio figlio Eurota, chiamato anche il dio-fiume. Policaone era il figlio minore e sposò Messene figlia del re di Argo, Triopa, ed ottenne il regno della Messenia, che chiamò così ispirandosi al nome della moglie.

Lelego (Poseidone)

Nella mitologia greca, Lelego era il nome di uno dei figli di Poseidone e di Libia.

Re di Megara ebbe due figli, dal primo chiamato Clesone ebbe 2 nipoti: Cleso e Teuropoli che poi trovarono il corpo di Ino che si gettò in mare, e un altro Biante.

Lemniadi

Le Lemniadi sono le abitanti dell’isola greca di Lemno. Nel mito greco sono ricordate per aver trascurato gli obblighi cultuali nei confronti di Afrodite e perciò condannate dalla dea ad essere respinte dai mariti.

La punizione di Afrodite

Non è chiaro il motivo per cui Afrodite decide di punire le donne di Lemno. Si ipotizza una dimenticanza, una negligenza o addirittura un disamore nei confronti della dea. La separazione che viene a crearsi tra le Lemniadi e Afrodite, dea dell’amore e custode dei legami matrimoniali, ha come conseguenza l’allontanamento delle Lemniadi da parte dei loro mariti. La dea infatti avrebbe inflitto loro un odore ripugnante non rendendole più desiderabili agli uomini, che presero con sé delle concubine tracie, catturate come schiave nel corso di spedizioni di guerra. Per vendetta allora le Lemniadi nel corso di una notte fecero strage dei loro mariti infedeli e dei figli di sesso maschile che avevano avuto da quelli.

Le Lemniadi e gli Argonauti


Quando gli Argonauti giungono nell’isola di Lemno le Lemniadi idossano armi e sono piene di frenesia guerriera, spaventose quanto le Tiadi "divoratrici di carne cruda." Lentamente tuttavia sembrano voler riacquistare la loro condizione femminile di mogli e madri. Iniziano a cedere alle richieste di un araldo inviato dagli Argonauti e fanno avere agli stranieri vino e cibo, a condizione che non entrino in città. In seguito decidono di dare loro il benvenuto portando sulla spiagga gli xenia, doni che si fanno per salutare gli stranieri. Questi doni dell’ospitalità stabiliscono un vincolo con gli Argonauti. Infine, gli Argonauti riescono ad unirsi alle donne di Lemno al termine di giochi e gare, dove i premi sono costituiti da abiti tessuti dalle donne stesse, e in occasione di una festa nella quale i sacrifici più belli vengono offerti in onore di Efesto di Lemno e della sua sposa Afrodite.

Apollonio Rodio

Nella sua versione, Apollonio Rodio sottolinea due particolari che indicano il ritorno delle Lemniadi alla condizione femminile. Innanzitutto, il matrimonio collettivo con gli Argonauti è provocato da Afrodite stessa, per riportare la specie umana a Lemno: si dice infatti che questi matrimoni siano unioni feconde. Inoltre, mentre la città in festa di riempie di banchetti e danze, Lemno esala un odore gradevole, dove il fumo delle carni sacrificali si mescola al profumo degli aromi bruciati in onore di Afrodite. In questo modo è ristabilita la comunicazione tra la terra di Lemno e gli dei e dall’altro lato il puzzo delle donne è allontanato definitivamente dall’odore profumato che fa rinascere il favore della dea del desiderio amoroso.

Eschilo

Nella versione eschilea gli Argonauti si presentano a Lemno per svernare sull’isola ma le Lemniadi impediscono loro di sbarcare finché non giurano di unirsi a loro.

Nozze e guerra


Le nozze e la guerra costituiscono i due poli entro cui si sviluppa questo racconto mitico. Nella società antica il matrimonio per la giovane donna e la guerra per il giovane uomo sono le due istituzioni che, come spiega Jean-Pierre Vernant, segnano per l’uno e per l’altra la realizzazione della loro rispettiva natura, uscendo da uno stato nel quale ciascuno partecipa ancora dell’altro.

La dysosmìa

Nel mito delle Lemniadi la negazione del matrimonio è espressa in due termini. Da un lato la condizione guerriera delle donne e dall’altro il cattivo odore da loro emanato (dysosmìa). Questo odore infetto verrebbe secondo alcuni dalla bocca delle Lemniadi, secondo altri dal loro sesso. Una terza versione lo localizza nelle ascelle, in quella parte del corpo della quale l’autore dei Problemi aristotelici giustifica il cattivo odore con l’assenza di aerazione, che genera una sorta di putrefazione (sepsis). Nella versione di Mirsilo di Metimna, la responsabile del cattivo odore sarebbe la maga Medea che, passando al largo di Lemno con Giasone, avrebbe gettato in mare dei phàrmaka, forse a base di ruta, considerata una pianta anafrodisiaca.

La festa di Lemno

Ogni anno a Lemno le donne sono separate dagli uomini e dai ragazzi, a causa del cattivo odore che diffondono intorno. Secondo Mirsilo di Metimna la separazione dura un giorno, ma secondo Antigono di Caristo si prolungherebbe per parecchi giorni. Che la dysosmìa delle donne sia provocata dall’ingestione di spicchi d’aglio, come nelle Sciroforie, o che sia una finzione, voluta dalla festa, la distanza rituale tra le donne e gli uomini si inserisce in una cerimonia più vasta, durante la quale tutti i fuochi di Lemno sono spenti per diversi giorni.

Alle due sequenze del mito (separazione delle donne dai mariti; rinnovamento della vita con il matrimonio collettivo degli Argonauti) corrispondono i due tempi del rito.

* Prima fase: la scomparsa del fuoco, del calore, della cucina e dei sacrifici comporta l’abolizione di ogni vita normale.
* Seconda fase: il ritorno del fuoco puro, portato dalla nave che va a prelevarlo da Delo, comporta la nascita di una nuova vita a Lemno.

Leneo

Nella mitologia greca Leneo era un satiro, figlio di Sileno. Fu uno dei progenitori della propria razza.

Di lui ci riferisce solo Nonno. Leneo era un giovane "dai piedi di vento" al seguito di Dioniso in Lidia, nel periodo della giovinezza del dio. Fu coinvolto in una gara di corsa con un altro satiro, Cisso, e con l'amante di Dioniso, Ampelo, cui il dio assegnò la vittoria. Leneo fu l'unico dei tre a rendersi conto di aver perso solo a causa dell'intervento divino.
In seguito, quando Rea invitò le divinità greche ad aiutare Dioniso nella sua guerra contro gli Indiani, Sileno andò alla battaglia portando con sé Leneo e altri due dei propri figli Marone e Astraio, ciascuno dei quali recava un bastone per sostenere l'anziano padre. Leneo si fece valere nel combattimento presso il lago Astakid, scagliando la cima di una montagna contro i nemici.

Diodoro Siculo cita Leneo come una delle epiclesi di Dioniso.

In greco antico il λένος era il tino in cui veniva pigiata l'uva per produrre il mosto; Leneo (λένεος) significa dunque "del tino".

Leodoco

Nella mitologia greca, Leodoco (o Leodico) era il nome di uno dei figli di Briante e di Preto

Secondo Apollonio Rodio, quando Giasone, un eroe greco, chiamò a raccolta tutti gli uomini valorosi per unirsi a lui nella spedizione per la raccolta del vello d’oro Leodoco fu uno dei tanti che rispose all’appello, anche se durante il viaggio non si distinse per le sue imprese.

Leodoco aveva due fratelli chiamati Taleo e Areo.

Edited by demon quaid - 28/12/2014, 16:00
 
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