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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 22/9/2010, 20:30 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Leonteo

Nella mitologia greca, Leonteo era il nome di uno dei capi dei Lapiti che combatté durante la guerra di Troia, che vide contrapposte le città della Grecia al regno di Troia. L’eroe si schierò dalla parte degli achei.

Leonteo era figlio di Corono, che a sua volta era figlio di Ceneo e dunque discendente del dio della guerra Ares. Portava in guerra 40 navi con cui approdò sulle spiagge di Troia. Egli era esperto combattente, maestro con la lancia che combatteva sempre a fianco di un altro Lapita, Polipete. In una delle tante battaglie uccise con la spada quattro guerrieri troiani (Antifate, Menone, Iameno, Oreste (Troia)) e ne ferì un altro con la lancia (Ippomaco). Partecipò ai giochi funebri organizzati in onore di Patroclo, dove sfidò il suo amico e altri valorosi combattenti in una specie di getto del peso.

Lerno

Lerno è il nome di alcune figure della mitologia greca. Sono elencate di seguito in ordine cronologico:

* Lerno, figlio di Preto e discendente di Nauplio, ricordato da Igino (Fabula, 14) come padre adottivo di Palemone (in realtà figlio naturale di Efesto), uno degli eroi che affiancarono Giasone nella spedizione degli Argonauti.
* Lerno, un leggendario sovrano che regnava sulla città di Idra, considerata inespugnabile perché protetta da una schiera di cinquanta arcieri che andava a ricostituirsi ogni volta che uno di questi veniva ucciso. Fu attaccata da Eracle per ordine di Euristeo e conquistata nonostante i rinforzi portati dal capo militare Carcino alla città. Il mito è un'interpretazione in chiave evemeristica della terza della dodici fatiche compiute da Eracle.
* Lerno, un guerriero acheo al tempo della guerra di Troia, ucciso da Pentesilea. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, v. 228.)
* Lerno di Rodi, marito di Anfiale e padre di Cleodoro, un guerriero acheo che militò nella guerra di Troia dove morì per mano di Paride.

Lestrigoni

I Lestrigoni sono un popolo leggendario di giganti antropofagi, citati nell'Odissea come distruttori della flotta di Ulisse (della quale si salva solo la nave dell'eroe).

Secondo Omero, nella terra dei Lestrigoni la notte è così breve che il pastore che esce sul fare del mattino per portare il gregge al pascolo incontra il pastore che rientra perché sta calando la sera. Questo particolare ha portato qualcuno ad ipotizzare che si tratti di vaghi ricordi dell'estate nordica da parte di qualche viaggiatore.

La loro città è chiamata Lestrigonia, o anche Lamia da Lamo, suo fondatore, all'epoca della guerra di Troia.

Secondo altri autori antichi, il nome Lamia derivava invece da quello di una fanciulla libica che Giove, in occasione di una delle sue numerose infedeltà coniugali, aveva rapito e portato sul lido di Formia. L'identificazione dell'attuale Formia quale capitale dei Lestrigoni deriva dalla lettura di alcune fonti classiche come Plinio il Vecchio, che nel I secolo dell'era cristiana, scriveva: Formiae, Hormiae prius dictae olim, sedes antiqua Lestrigonum ("Formia, prima detta, un tempo, Hormiae, fu antica sede dei Lestrigoni").

Lo scomparso Albino Cece dichiarava di aver trovato in zona Campello d’Itri i resti di una civiltà talaiotica (i talaiot sono costruzioni simili a nuraghe) risalente a circa quattromila anni fa deducendone che questo altopiano fu proprio abitato dal popolo dei Lestrigoni, e che qui doveva sorgere la città di Telepilo fondata da Lamo, forse proveniente dalla città di Làmia in Tessaglia. I Lestrigoni potevano esser forse stati gli antenati degli Aurunci.

Lete

Nella mitologia greca designa ora una pianura (Aristofane, Rane, 185), ora un fiume (Platone, Repubbl., X) del mondo infernale, dove le anime dei trapassati perdevano il ricordo della vita terrena. Prevalse la figurazione del fiume, la cui acqua dava l'oblio alle anime destinate a entrare in nuovi corpi; così troviamo in Virgilio (Eneide, VI, 703-15). Pausania parla della libazione delle acque del Lete come di una cerimonia iniziatica dell'orfismo. Dante fece del Lete uno dei fiumi del Paradiso terrestre, entro al quale viene tuffato da Matelda, perché perda, prima di salire al cielo, perfino il ricordo di ogni male (Purg., XXXI).

Leuce 1

Ninfa, figlia di Oceano e di Teti, amata da Ade che la rapì portandola con sé nel regno delle ombre. Quando ella morì il dio infernale la fece rinascere sotto forma di pioppo bianco presso la fontana della Memoria, nei Campi Elisi. Sulla via del ritorno dagli Inferi, Eracle si intrecciò una corona con le fronde dell'albero che Ade aveva piantato presso i Campi Elisi in ricordo della sua amante, la bellissima ninfa Leuce. Le foglie marginali di tale corona rimasero nere, perché questo è il colore dell'Oltretomba; ma le foglie che aderivano alla fronte dell'eroe furono tinte in bianco-argento dal sudore dell'eroe. Ecco perché il pioppo bianco o tremula gli è sacro; il suo colore significa che Eracle ha compiuto le Fatiche in ambedue i mondi.

Leuce 2

Nome dell'Isola Bianca, nel Ponto Eusino, alla foce del Danubio, nella quale secondo le antiche leggende il corpo di Achille, sottratto al rogo, sarebbe stato trasportato dalla madre Teti. Alcuni credono che qui Achille abbia sposato Elena (o Ifigenia, o Medea) e viva regalmemnte una vita di feste e di combattimenti, circondato da un certo numero di eroi. Altri dicono che i naviganti che dal Bosforo si dirigono a nord spesso odono la voce di Achille che canta versi di Omero, e quel suono è accompagnato da zoccolìo di cavalli, grida di guerrieri e clangore di armi.

Leucippe 1

Moglie di Laomedonte e madre di Priamo, secondo alcune tradizioni.

Leucippe 2

Moglie di re Testio e madre di Ificlo. Questi partecipò alla caccia di Calidone e alla spedizione degli Argonauti.

Leucippe 3

Figlia di Testore e sorella di Calcante e di Teonoe.

Leucippe 4

Madre di Euristeo.

Leuco

Nella mitologia greca, Leuco era il nome di uno dei compagni di Odisseo (o Ulisse), i quali lo accompagnarono con una flotta verso Troia, per combattere nella guerra ivi scoppiata. Gli eventi principali di questa guerra sono raccontati ampiamente da Omero nell'Iliade.

La partenza

Leuco, descritto da Omero come uno dei più fedeli seguaci dell'eroe Odisseo, proveniva con molta probabilità dalla stessa patria di quest'ultimo, Itaca. Insieme a molti altri suoi compatrioti, egli aveva abbandonato la sua città per prendere parte alla guerra che oppose per ben dieci anni le fazioni dei Troiani e degli Achei.

La morte

Questo personaggio non svolge affatto un ruolo determinante durante la decennale guerra.
Nel libro IV dell'Iliade, dopo un vano tentativo di riappacificamento con un regolare duello tra gli autori della guerra, Paride e Menelao, le ostilità ripresero con una feroce battaglia che vide la morte di numerosi eroi.

Leuco, che si trovava durante quella mischia proprio nel mezzo della battaglia, alla ricerca di cadaveri da spogliare per ottenere bottino, venne intravisto dall'avversario Antifo, figlio di Priamo e di Ecuba, il quale riuscì a trafiggerlo con la sua lancia proprio in direzione del ventre.

Leucotoe


Leucotoe (o Leucotea) è una figura della mitologia greca.

La dea Venere, decisa a vendicarsi di Apollo che l’aveva sorpresa con Marte, lo fece innamorare di Leucotoe, figlia di Orcamo, re degli Achemenidi. Il dio, per poterla possedere, si tramutò nella madre delle ragazza. Entrato nella stanza dove Leucotoe stava tessendo insieme alle ancelle, riuscì a rimanere solo con lei.

Clizia, una ninfa innamorata di Apollo, per vendicarsi del dio che l'aveva disdegnata rivelò lo stratagemma al padre della rivale, che punì la figlia seppellendola viva in una fossa profonda. Il dio, tentando di resuscitarla, fece nascere sul luogo dov'era sepolta una pianta d'incenso.

Libero

Antica divinità romana e italica, che insieme con Libera formava una coppia di antiche divinità della fecondità della natura tanto vegetale, quanto animale, e quindi anche della vita familiare. Secondo Varrone in un mese di primavera non precisato si celebrava a Lanuvio in onore di Libero una festa agraria con una processione particolare. Data la forma arcaica del culto si doveva trattare di un'antica divinità indigena, anteriore all'assimilazione di Libero con Dioniso, distaccatasi da tempo da Giove che alla fecondità presiedeva col nome di Iuppiter Libertas o Iuppiter Liber. Per alcuni invece Libero non sarebbe altro che Dioniso pervenuto a Roma nel secolo VI a.C. da Cuma della Campania. Per altri sarebbe avvenuta l'assimilazione con Dioniso al principio del secolo V a.C. In conseguenza di una carestia (496 a.C.) i Libri Sybillini interrogati avrebbero ordinato di introdurre in Roma la triade greca eleusina Demetra, Dioniso e Core, importata nella forma latina di Cerere, Libero e Libera, in quanto divinità protettrici dell'agricoltura.
In onore di Libero si fissò già nel cosiddetto feriale di Numa al 17 marzo la festa delle Liberalia. Un'altra festa era celebrata anche al tempo della vendemmia. Queste feste mantennero sempre il loro carattere originario indigeno e popolare. Altre cerimonie in onore di Libero erano celebrate in vari luoghi d'Italia, accompagnate da una esaltazione orgiastica della fecondità. Differenziato da Dioniso e considerato come padre, Libero continuò ad avere venerazione in Roma ancora nel periodo di crisi della Repubblica.
Il giorno della festa delle Liberalia i giovinetti che avevano raggiunta l'età prescritta di 15 anni lasciavano la toga pretesta per assumere la toga virile, e probabilmente in questo giorno offrivano il loro sacrificio a Libero nel tempio sul Campidoglio dove si recavano processionalmente. Nel giorno delle Liberalia vecchie donne incoronate di edera stavano per le vie della città per vendere ai passanti piccole focacce fatte di farina, miele e olio; da quelle vendute si staccava un piccolo frammento e si gettava sul focolare portatile in onore di Libero a beneficio dell'acquirente.

Libia (mitologia)

Libia è una figura della mitologia greca, figlia di Epafo e di Menfi (ninfa del Nilo).

Dalla sua unione con Poseidone, nacquero Agenore e Belo.

Libitina


Libitina è una divinità della mitologia antica ed arcaica romana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti che si tributavano ai morti e che perciò presiedeva ai funerali. Aveva un proprio santuario nei pressi di un bosco sacro, situato verosimilmente nella zona del colle Aventino. Laggiù si riunivano gli impresari di pompe funebri (libitinarii). Questa dea presenta delle analogie con Proserpina e non possiede alcuna leggenda propria.

A causa di una falsa etimologia, essendo Libitina simile a Libido (la passione), nelle epoche romane successive questa arcaica divinità venne associata a Venere e quindi il nome Libitina divenne uno degli epiteti di quest'ultima.

Lica

Nella mitologia greca, Lica era il nome di uno degli araldi di Eracle.

Eracle inviò Lica a Trachis affinché recuperasse una veste prodigiosa. Ebbe da Deianira la veste intrisa dal sangue di Nesso, la donna in realtà pensava ad essa come un potente filtro d'amore, come le aveva raccontato lo stesso Nesso morente, ma si trattava invece di un veleno molto potente. Se ne accorse in ritardo, osservando la fine di una sola goccia caduta a terra, non riuscendo poi ad avvertire in tempo il suo amato del pericolo imminente.

Questo sangue era avvelenato con il velenoso sangue del mostro Idra di Lerna. dopo che Eracle indossa la veste si sente male e pensa che il giovane Lica lo avesse avvelenato. Così lo prende e lo scagliò giù dal promontorio.

Altri invece narravano una diversa fine di Lica, Ovidio ad esempio racconta di come egli venne scagliato nel mare d'Eubea, da li venne tramutato in roccia. Una leggenda dice che Lica si sia diviso in mille pezzi che hanno creato tutte le isole che si trovano sul mar Egeo.

Licaone (Pelasgo)

Licaone è un personaggio della mitologia greca, figlio di Pelasgo e sovrano dell'Arcadia, ritenuto in quasi tutte le versioni del mito come un uomo empio.

Desiderando Zeus accertarsi dell'empietà di Licaone andò, travestito da contadino, a chiedere ospitalità al sovrano. Il re per sapere se l'ospite fosse veramente una divinità decise di servire al banchetto in suo onore le carni del nipote Arcade, o in un'altra versione, quelle di un prigioniero. Il dio inorridito fulminò l'empio e tutti i suoi 49 figli, eccettuato Nittimo, salvato dalla dea Gea, il quale poté così succedere al padre.

Un'altra versione del mito, narrata da Publio Ovidio Nasone nelle Metamorfosi, racconta che per la sua empietà Licaone fu punito con la trasformazione in un "feroce lupo", destinato a cibarsi di carne umana.

Questa versione viene messa in rapporto con i sacrifici umani che si svolgevano in Arcadia in onore di Zeus Liceo, quando una vittima umana veniva immolata e i celebranti, che si erano cibati delle viscere, venivano trasformati in lupi per otto anni. Scaduto questo termine potevano ritornare umani, a patto che non avessero mangiato carne umana.

Licaone (Priamo)

Licaone era un figlio di Priamo e di Laotoe.

È citato nell'Iliade di Omero, precisamente nel 21° Canto, quando Achille per vendicare la morte del suo amico fraterno Patroclo, fa strage di troiani sul fiume Scamandro, che scorre vicino Troia. Il povero Licaone da bambino era stato rapito da Achille, che lo vendette come schiavo, per poi appunto rivederlo in armi ed ucciderlo con un colpo di spada alla clavicola. Nell' episodio possiamo notare un cambiamento da parte dell'eroe greco. Infatti non è più colmo di onore e di gloria, per aver ucciso un suo avversario, ma diventa un semplice assassino, lontano dai parametri di abile guerriero. Licaone con un gesto di supplica (ossia toccando i ginocchi di Achille e sottomettendosi) cerca di far provare pietà al suo nemico. Quest'ultimo sembra non essere scosso da alcuna pena, ma arriva addirittura ad ucciderlo con un colpo di spada alla clavicola; non contento, Achille afferra per un piede il nemico e lo trascina nella polvere fino a gettarlo nel fiume, impedendo per sempre alla sua anima il suo ingresso al cancello di Ade dove sarebbero giunti coloro che, dopo la morte, per pietà del nemico, avrebbero avuto l'onore di ricevere le esequie funebri da parte dei propri genitori e della patria, che è appunto la città di Troia, essendo un fratellastro dell'eroe troiano Ettore, l'assassino dell'amico di Achille Patroclo, ritornato nel campo di battaglia per vendicarlo e cominciando indiscriminatamente a spargere sangue.

Licinnio

Nella mitologia greca, Licimnio o Licinnio, era il nome di un fratellastro di Alcmena, figlio di Elettrione e di Media, imparentato con Eracle.

Licimnio era uno degli zii di Eracle, fu protagonista di una disputa che includeva lui e i suoi fratelli contro i figli di Pterelao. L'oggetto del contendere era il furto di una mandria ad opera dei discendenti di Pterelao. I figli di Elettrione possessori della mandria ingaggiarono feroce battaglia contro i colpevoli e alla fine soltanto Licimnio rimase in vita fra i suoi fratelli.

La morte


Fu ucciso, quando era anziano, dal nipote Tlepolemo; ma i motivi di quel gesto nei racconti del mito non furono chiariti, anche se secondo fonti minori si trattò di un incidente, perché Licinnio ormai quasi cieco cadde dinanzi a lui quando stava castigando uno schiavo finendo per colpirlo.

Lico 1

Re di Tebe, figlio di Ctonio, uno degli Sparti (cioè dei guerrieri nati dai denti del drago ucciso da Cadmo), o d'Irieo e di Clonia, zio d'Antiope.
Lico e il fratello Nitteo crebbero in Eubea, ma a causa del crimine perpetrato ai danni di Flegia, re di Orcomeno, in Beozia, furono esiliati a Iria, città della Beozia. In seguito si spostarono a Tebe dove vennero accolti da re Penteo. Secondo un'altra versione i due fratelli non nacquero ad Atene ma a Iria o a Eubea ed erano figli del dio Poseidone e della pleiade Celeno.
A Tebe conquistarono rapidamente potere. Nitteide, la figlia di Nitteo, sposò il re Polidoro, figlio di Cadmo, e quando il re morì Nitteo divenne reggente per il figlio del re, Labdaco. Un'altra figlia di Nitteo, Antiope, fu sedotta da Zeus e, temendo l'ira del padre, si rifugiò presso il re di Sicione, che acconsentì a sposarla; e ciò diede origine a una guerra durante la quale Nitteo fu ucciso. Prima di morire fece promettere a Lico che avrebbe punito Epopeo, re di Sicione, che aveva offerto rifugio alla fanciulla. Lico, avendo ereditato il trono di Tebe dal fratello, marciò su Sicione, sconfisse Epopeo e catturò Antiope e la riportò a Tebe. Sul monte Citerone Antiope diede alla luce i figli di Zeus, i gemelli Anfione e Zeto. Lico la costrinse ad abbandonare i figlioletti in una caverna sulla montagna, ma alcuni pastori li trovarono e si occuparono di loro. Lico affidò Antiope alla moglie Dirce, la quale la trattò come una schiava tenendola in catene.
Labdaco era diventato adulto e Lico gli cedette il trono che gli spettava, ma dopo un solo anno di regno trovò la morte nella guerra contro Pandione di Atene. Lico riprese il ruolo di reggente a Tebe, questa volta per il figlio di Labdaco, Laio, e secondo alcuni progettò di diventare re al suo posto.
Molti anni più tardi i figli di Antiope, Anfione e Zeto giunsero a Tebe e condannarono Lico a morte (anche se secondo un'altra versione Ermete lo salvò). Antiope riuscì a sfuggire a Dirce e chiese ai suoi figli di vendicarla per tutte le ingiustizie subite. I gemelli si imbatterono in Dirce che vagava per le balze del Citerone in preda a frenesia bacchica, la legarono per i capelli alle corna di un toro e, quando fu morta, ne gettarono il cadavere al suolo. Poi si recarono a Tebe, dove espulsero re Laio e costruirono la città bassa, poiché Cadmo aveva già edificato la città alta.

Lico 2

Figlio di Lico e di Dirce. Quando il padre morì fuggì in Eubea. Qualche tempo dopo la sconfitta dei Sette, ma prima dell'attacco della città da parte degli Epigoni, conquistò potere a Tebe uccidendo il vecchio Creonte, reggente per Laodamante, figlio di Eteocle. Convinto che Eracle fosse morto (tale notizia gli era stata data da Copreo), Lico cercò di sedurre Megara, figlia di Creonte, e poiché essa gli resisteva, l'avrebbe uccisa con i suoi figli se Eracle non fosse ritornato dal Tartaro appena in tempo per vendicarsi di Lico.
Secondo l'Eracle di Euripide quest'episodio ebbe luogo al tempo della dodicesima fatica, quando Eracle visitò l'oltretomba alla ricerca di Cerbero. La versione più diffusa del mito comunque pone questi eventi prima delle fatiche. Eracle nella sua ira uccise Lico, restituì il trono a Laodamante e strappò moglie e figli dalle mani degli assassini. Ma Era, che prediligeva Lico, fece impazzire Eracle: egli uccise allora i propri figli e forse la stessa Megara, credendoli figli di Euristeo.
I Tebani che mostrano ancor oggi le tombe dei fanciulli, dicono che Eracle avrebbe ucciso in quella circostanza anche Anfitrione, se Atena non gli avesse ridato il senno picchiandogli sul capo una grossa pietra. In verità, Anfitrione era morto molto tempo prima, durante la guerra orcomena. Gli Ateniesi sostengono che Teseo, grato a Eracle che lo aveva liberato dal Tartaro, arrivò in quel frangente con un esercito ateniese, per dar man forte a Eracle contro Lico. Rimase come annichilito dinanzi a quella strage, tuttavia promise a Eracle tutti gli onori finché fosse vissuto e anche dopo la sua morte e lo condusse ad Atene, dove Medea lo guarì dalla follia e Sicalo lo purificò di nuovo.

Lico 3

Uno dei quattro figli di Pandione, re di Atene, e di Pilia. Dopo la morte di Pandione, i suoi figli marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo, che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante fino a ovest di Corinto; a Lico toccò l'Eubea e a Pallade l'Attica meridionale, dove egli generò una rozza stirpe di Giganti.
Lico, cacciato dall'Eubea, si rifugiò presso Sarpedone e diede il suo nome alla Licia, dopo essersi recato da Afareo ad Atene e aver iniziato l'intera famiglia reale ai Misteri delle grandi dee Demetra e Persifone, nonché ai Misteri di Attide, nell'antica capitale messenica di Andania. Codesta Attide, che diede il proprio nome all'Attica, era una delle tre figlie di Cranao, il re autoctono di Atene che regnò ai tempi del diluvio di Deucalione. Il bosco di querce ad Andania, dove Lico purificava gli iniziati, porta ancora il nome di Cranao. Gli fu concesso il dono della profezia e il suo oracolo un giorno dichiarò che, se i Messeni avessero saputo tenere segreta una certa cosa avrebbero potuto ricuperare le loro ricchezze, ma in caso contrario le avrebbero perdute per sempre. Lico si riferiva a un ragguaglio dei Misteri della Grande Dea inciso su un foglio di stagno, che i Messeni rinchiusero allora in un'urna di bronzo sepolta tra un tasso e un mirto, sulla vetta del monte Itone; Epaminonda il Tebano dissotterrò poi quet'urna quando ridonò ai Messeni il loro antico splendore.
Il Liceo di Atene è così chiamato in onore di Lico; fin dalle origini fu sacro ad Apollo che colà ricevette il soprannome di "Liceo" e cacciò i lupi da Atene con il profumo dei suoi sacrifici.

Lico 4

Re dei Mariandini di Bitinia, figlio di Dascilo e nipote di Tantalo. Accolse gli Argonauti quando giunsero nel suo regno diretti in Colchide. Re Lico, che aveva avuto noie dai Bebrici, suoi vicini, era riconoscente verso gli Argonauti che avevano ucciso il loro re Amico, tanto più che Amico gli aveva ucciso il fratello, Otreo, ed egli stesso era impegnato in una spedizione punitiva allorché gli Argonauti lo sbarazzarono del suo nemico. In segno di gratitudine accordò magnifici funerali a due Argonauti appena morti, il timoniere Tifi e il veggente Idmone, e offrì il proprio figlio Dascilo perché guidasse gli Argonauti nel loro viaggio lungo la costa.
Anche Eracle, intento alla conquista della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, fu ospitato dal re Lico, e in cambio lo aiutò nella guerra contro i Bebrici e uccise molti di loro, compreso il re Migdone, fratello di Amico; riconquistò gran parte della terra di Plafagonia e la restituì a Lico, che la chiamò Eraclia in suo onore. Al suo ritorno da Temiscira, Eracle sostò di nuovo a Mariandine dove partecipò ai giochi funebri in onore del fratello di re Lico, Priola, che era stato ucciso dai Misi; combattè vittoriosamente contro i Misi e i Frigi in nome di Dascilo; respinse anche i Bitini fino alla foce del fiume Reba e le più alte pendici del monte Colone e si aggiudicò il loro regno.


Licofrone
(mitologia)

Nella mitologia greca, Licofrone era uno dei guerrieri che parteciparono alla guerra di Troia, il conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena, figlia di Zeus, da parte del troiano Paride. Originario di Citera,[1] Licofrone, reo di un delitto involontario, venne esiliato a Salamina, dove divenne scudiero e fedele amico di Aiace Telamonio che accompagnò dunque in guerra.

Origini ed esilio

Licofrone, figlio di un certo Mastore (o Mestore), era originario dell'isola di Citera, attuale Cerigo, situata a sud del Peloponneso, in prossimità del limite tra Mar Ionio e Mediterraneo Orientale. Nella città natale commise un grave delitto, uccidendo un uomo; le cause di questo gesto non sono abbastanza chiare: Omero non spiega se tale omicidio avvenne volontariamente (avvenuto, per esempio, in seguito ad una rissa) o involontariamente. Macchiato dal delitto, il giovane fu costretto a chiedere asilo lontano dalla sua patria,[2] presso l'isola di Salamina, nel mar Egeo. Qui venne accolto ospitalmente da Telamone, sovrano dell'isola, e dai suoi figli Aiace Telamonio e Teucro.

Il nuovo arrivato ricevette nella città gloria e considerazione,[3] divenendo ben presto intimo amico di Aiace, e suo scudiero.[4] Fu senza dubbio, anche se nell' Iliade non viene detto esplicitamente, anche fedele amico dell'arciere Teucro.

Nella guerra di Troia


Alcuni anni dopo, in seguito allo scoppio della guerra di Troia, Licofrone accompagnò l'amico Aiace in Troade, assistendolo durante i combattimenti, nel corso dei dieci anni di guerra.

La morte presso le navi achee

La prima e ultima comparsa del personaggio avviene nel libro XV dell' Iliade nel corso del combattimento avvenuto presso le navi achee. Insieme al suo signore, Licofrone combatté con tenacia contro i Troiani che, guidati da Ettore, avevano ormai raggiunto le navi per dar loro fuoco. Aiace, campione della resistenza achea, trafisse Caletore, il primo troiano ad avventarsi contro le navi per bruciarle, ma Ettore non arretrò di fronte all'attacco, ma al contrario scagliò la sua lancia contro l'avversario sperando di colpirlo; il colpo non centrò Aiace, ma colpì invece Licofrone, il quale era in piedi, proprio accanto a quest'ultimo.

La lancia lo colpì alla testa, sopra l'orecchio, uccidendolo sul colpo; il suo cadavere crollò giù dalla poppa della nave sulla quale era salito per difenderla dai nemici.

Licomede

Licomede (noto anche come Licurgo) è il nome di due personaggi della mitologia greca.

Licomede, re di Sciro


Nella mitologia greca, Licomede ai tempi della guerra di Troia era il re di Sciro (Skyros), isola dell'Egeo. Prima della guerra, Teti inviò suo figlio Achille alla corte di Licomede, perché una profezia avea decretato che sarebbe morto a Troia. Achille si travestì così in abiti femminili, mescolandosi alle tre figlie del re, tra cui Deidamia che poi sposò e da cui ebbe un figlio, Neottolemo. Ulisse e Menelao vennero a Sciro per cercare Achille, riuscendo a identificarlo e portandolo con loro a Troia. Neottolemo fu cresciuto da Licomede fino a che anch'egli andò alla guerra nelle sue ultime fasi.

In alcune leggende viene anche indicato come l'uccisore di Teseo: prima Licomede lo accolse quando Teseo si ritrovò il trono usurpato da Menesteo, ma poi lo spinse in un dirupo durante una passeggiata sulle montagne.

Licomede, figlio di Creonte


Al tempo della guerra di Troia, esisteva un altro Licomede, il quale si schierò dalla parte degli Argivi. È presentato nell'Iliade, pur non svolgendo un ruolo particolarmente rilevante nella guerra. Era figlio di Creonte, il re di Tebe. Licomede viene menzionato tra i più giovani capitani achei giunti a Troia e compare come un re di secondo piano. Svolse il ruolo di sentinella nel libro IX dell'Iliade. Nei combattimenti successivi, uccise Apisaone, un valoroso guerriero della Peonia, per vendicare la morte di Leiocrito, suo fedele compagno. Secondo Pausania, egli sopravvisse alla guerra, pur venendo ferito al polso dalla lancia di Agenore.

Edited by demon quaid - 28/12/2014, 16:10
 
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