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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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view post Posted on 8/8/2010, 13:01     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Dia (mitologia)

Nella mitologia greca, Dia era la figlia di Deioneo e sposa terrena di Issione, col quale generò Piritoo.

Per Strabone Dia è un altro nome di Ebe, che era figlia di Zeus ed Era, essendo il significato di Dia "la celeste".

Diaforo

Nella mitologia greca, Diaforo era un giudice acheo che visse al tempo della guerra di Troia e vi partecipò con questo ruolo, senza, tuttavia, svolgere azioni determinanti.

Diaforo, un giudice, è una persona del tutto sconosciuta nella mitologia vendendo menzionato dal solo Igino, nelle sue Fabulae, che si limita a riportare il suo nome e il suo ruolo nel catalogo dei guerrieri achei che partirono alla volta della Troade.

Dimante

Nella mitologia greca, Dimante o Dimas è il nome di vari personaggi:

1. Un re di Frigia, padre di Ecuba, la sposa del re Priamo di Troia. Proprio Omero afferma che Dimante ebbe un figlio chiamato Asio, che morì combattendo nella guerra di Troia (da non confondere con il suo omonimo, ovvero il figlio di Irtaco, il quale ugualmente morì in battaglia a Troia). L'origine di questo re non appare in nessuna delle fonti storiche. Sua moglie era Eunoe, figlia del sacro fiume Sangario. In realtà, Dimante e i suoi motivi frigi sembrano strettamente relazionati a questo fiume (il terzo più grande dell'attuale Turchia, sfociante nel Mar Nero).
2. Segondo Quinto di Smirne, il padre di Megete, un troiano i cui figli combatterono a Troia. Questo secondo Dimante potrebbe a volte coincidere con il primo, secondo i diversi storiografi.
3. Un dorico antenato di Dimanes. Suo padre, Egimio, adottò il figlio di Eracle, Ilo. Dimante e suo fratello, Panfilo, si sottomisero a Ilo, il quale divenne in questo modo un re dorico.
4. Un capitano fenicio menzionato nell'Odissea di Omero, la cui figlia era amica della principessa Nausicaa.
5. Un giovane guerriero troiano, che morì ucciso per errore da un suo stesso concittadino nella notte della caduta della sua città, ingannato dal fatto che egli indossava l'armatura appartenuta al greco Androgeo.

Diana

Divinità italica fatta equivalente della greca Artemide, ma della quale nella sua natura originaria era del tutto indipendente.
Era venerata non solo nel Lazio, ma anche in molte regioni dell'Italia centrale e meridionale, tra gli Equi, i Sabini, gli Ernici. Il suo culto era celebrato in origine sui colli Albani, e localizzato in particolare nel territorio di Aricia sulle sponde del lago di Nemi in un luogo detto Speculum Dianae, dove le era dedicato un bosco, onde il nome di Diana Nemorensis, "la Diana dei Boschi". Sacerdote ne era il rex Nemorensis, il "Re dei Boschi", uno schiavo, che secondo la leggenda prendeva possesso del suo regno uccidendo, in certe circostanze, il suo predecessore. Questo santuario fu il centro di un culto praticato dalle città della lega latina, il che prova la sua remota antichità; di qui esso si diffuse, giungendo a Tuscolo e a Roma, dove fu particolarmente celebrato sul monte Aventino per iniziativa di Servio Tullio con feste che avevano luogo ogni anno alle Idi di agosto. Il tempio dell'Aventino divenne in seguito il santuario di tutto il Lazio. Altro santuario dedicato a Diana era quello di Capua, che portava il nome di Diana Tifatina. A Capua, esisteva la leggenda d'una cerbiatta consacrata a Diana, animale di una meravigliosa longevità, e la cui sorte era legata alla conservazione della città.
La dea aveva fra i suoi attributi la protezione dei boschi e delle selve, ed era direttamente collegata col mondo naturale-vegetale, e anche con quanto vive nei boschi e nelle selve; così Diana divenne protettrice anche degli animali, fra i quali le erano particolarmente sacri il cane e la cerva. Divinità protettrice della fertilità della natura, venne venerata dalle donne come dea della fecondità e dei parti col nome di Lucina. Più tardi fu pure identificata con la Luna. Alle Idi di agosto anche i servi e perfino gli schiavi fuggitivi partecipavano alla festa in onore di Diana e anche del re Servio, loro patrono, il quale si narrava avesse fatto dono al tempio di una statua della dea, copia dell'Artemide efesia. Questi particolari provano che Diana era pure considerata quale protettrice della plebe e che il suo culto aveva un carattere spiccatamente democratico e popolare.
Quando si compì l'identificazione di Diana con l'Artemide greca, furono attribuite alla dea italica tutte le proprietà di questa e furono assimilati i due culti. Di solito era rappresentata con il cane e la cerva: venerata sotto l'aspetto di divinità cacciatrice, ebbe per suoi ornamenti l'arco, la faretra, la fiaccola. L'identificazione con la dea greca provocò una più stretta parentela con Apollo. Nel tempio di Apollo Palatino era invocata sotto il nome di Diana Victrix; con lui ebbe parte nei ludi saeculares: nel Carmen saeculare di Orazio la Diana dell'Aventino è invocata subito dopo l'Apollo del Palatino.
Collegata con Diana era un'altra divinità, Egeria, fatta sposa di Numa Pompilio, dopo la cui morte fu convertita in fonte da Diana.

Didone

Elissa, figlia del re di Tiro Mutto, sposò lo zio Sicheo (o Sicarba), ricchissimo sacerdote di Eracle. Ma il fratello di lei, Pigmalione, divenuto re di Tiro, le uccise il marito per impadronirsi delle sue ricchezze; Elissa, con la sorella Anna e con pochi compagni, fuggì per mare giungendo dopo lunghe peregrinazioni in Libia, dove venne chiamata dagli idigeni Didone. Qui ottenne dal re Iarba per sé e per i suoi compagni tanto terreno quanto ne poteva comprendere una pelle di bue: Didone tagliò la pelle in sottilissime strisce e recinse con essa un ampio spazio su cui fondò una città che chiamò Cartagine. Chiesta in sposa da Iarba, che minacciò di distruggere la città se avesse rifiutato, piuttosto che tradire la memoria di Sicheo, Didone si uccise gettandosi su un rogo.
Sulla leggenda greca si inserisce l'ampia elaborazione letteraria romana, che si ritrova già in Nevio: Didone è posta in rapporto con Enea, che durante il suo viaggio verso l'Italia sarebbe sbarcato a Cartagine dove si sarebbe innamorato di Didone essendone ricambiato; secondo un'altra tradizione raccolta da Servio, Enea avrebbe invece amato la sorella di Didone, Anna. Da Nevio Virgilio deriva i tratti essenziali per l'episodio famoso dell'Eneide.
Enea, in seguito a una tempesta che disperse la sua flotta, venne gettato sulle coste dell'Africa, presso Cartagine; qui si rifugiò, in attesa di riparare le navi e di riprendere la navigazione. A Cartagine fu accolto da Didone di cui divenne ospite insieme con i compagni; durante un banchetto nella reggia, Venere, perché la regina fosse più benigna verso il figlio, inviò Amore che sotto le sembianze di Julo ispirò a Didone un amore appassionato per Enea; l'eroe, invitato dalla regina, narrò la distruzione di Troia e le sue avventure: Didone tentò invano di resistere al sentimento che sentiva sorgere in lei, per conservarsi fedele alla memoria di Sicheo, finché consigliata anche dalla sorella Anna, che pensò fosse necessaria la presenza di Enea per difendere la città contro i molti nemici esterni, Didone cedette alla passione.
Durante una caccia interrotta da una violenta tempesta, inviata da Giunone che sperava di trattenere con l'amore l'eroe lontano dall'Italia, in una grotta dove Didone ed Enea si erano rifugiati avvenne l'amplesso. Enea sarebbe stato deciso a fermarsi a Cartagine, se Giove non gli avesse inviato Mercurio a ordinargli di partire affinché si compissero i fati che lo volevano nel Lazio; l'eroe non osò annunciare la sua partenza a Didone e cercò di allontanarsi in segreto; ma la regina si accorse dei preparativi, pregò, minacciò, implorò Enea perché restasse, ma invano. La flotta di Enea si allontanò e Didone, disperata, dopo avere predetto odio eterno fra Cartagine e la città che Enea andava a fondare in Italia, salì sul rogo che si era fatto preparare e si trafisse con la spada donatale da Enea.

Dimete

Nella mitologia greca, Dimete è il nome dello sventurato fratello di Trezene, citato dal poeta Partenio di Nicea.

Dimete era fratello di Trezene, del quale sposò la figlia Euopi, sua nipote. Il matrimonio si rivelò tutt'altro che felice: quest'ultima, infatti, si era innamorata del suo stesso fratello. Dimete, accortosene, raccontò a Trezene dell'incestuosa passione di Euopi la quale, accecata dalla vergogna e dall'ira, s'impiccò, augurando ogni specie di calamità su colui che aveva messo al corrente suo padre della vicenda.

Poco tempo dopo, Dimete, che camminava sulla spiaggia, vide un bellissimo corpo di donna sospinto sulla sabbia dalle onde e, colpito da un perverso desiderio sessuale, si unì ad esso compiendo un esplicito atto di necrofilia. Quando il cadavere si decompose, l'uomo gli consacrò una grande tomba ma, non potendo sopportare l'idea di abbandonare l'oggetto del suo amore, si trafisse con la spada sul sepolcro dell'amata.

Diocle (personaggio omerico)

Diocle, figlio di Ortiloco, nipote di Alfeo, signore di Fere, località della Messenia.

I suoi figli, Cretone e Orsiloco, andarono con lui alla spedizione di Troia.

Diomede
(Ares)

Diomede è una figura della mitologia greca, figlio di Ares e della ninfa Cirene.

Diomede era re della Tracia e, secondo il mito, possedeva delle giumente che si nutrivano di carne umana; questi animali vengono citati nel mito delle dodici fatiche di Eracle.

Eracle tentò di catturare le cavalle, ma il trambusto lo fece scoprire da Diomede. Nel combattimento che ne seguì Diomede perse la vita. Le cavalle divorarono il suo cadavere e, domate, seguirono Eracle ad Argo.

Diomede
(Tideo)

Diomede è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Tideo e di Deipile, fu uno dei principali eroi achei della guerra degli Epigoni e della Guerra di Troia. Oltre all’importanza come guerriero, Diomede assume un ruolo rilevante come diffusore della civiltà, specie nell’Adriatico.

Diomede eroe della giustiza


La stirpe di Diomede regnava su Calidone, ma il nonno Eneo era stato spodestato da un usurpatore. Diomede così nacque in esilio, ad Argo. Rimase orfano sotto le mura di Tebe, città posta sotto assedio per riportare sul suo trono il legittimo regnante.

Diomede passò la giovinezza ad allenarsi nell’arte della guerra insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette Epigoni: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il re di Argo.

Dopo aver combattuto sotto le mura di Tebe, Diomede volle anche ridare il trono a suo nonno Eneo; con l'aiuto di un compagno ci riuscì e finalmente tornò a casa. Ad Argo Diomede si sposò con Egialea, la figlia ormai orfana del re, e diventò così re della città. Avrebbe voluto governare in pace e dedicarsi alle gioie familiari ma ben presto, però, dovette partire per la guerra di Troia.

Diomede guerriero acheo a Troia


Diomede era protetto dalla dea Atena. Omero afferma che, durante le battaglie, Diomede era simile ad un torrente in piena, che tutto travolge. Nel libro V dell'Iliade Diomede compie molte gesta eroiche, uccidendo diversi guerrieri, tra cui i fratelli Xanto e Toone. Memorabile il suo duello con Enea: l'eroe troiano stava per essre sconfitto da Diomede quando apparve Afrodite a proteggere suo figlio. Diomede allora ferì la dea ad una mano. Afrodite tornò sull’Olimpo, ma chiamò Ares a difendere Enea. Diomede ferì anche lui, costringendolo alla fuga. Ares chiamò a sua volta Apollo, che salvò Enea apostrofando Diomede con queste parole: “Tu, mortale, non tentare il confronto con gli dei!”. Diomede ascoltò Apollo e placò la sua furia.

Diomede non era però solo furia e impeto: egli diede nel pieno della lotta un'altissima prova di lealtà e di spirito cavalleresco, sul punto di intraprendere il duello con Glauco, il principe di Lidia, che si batteva a fianco dei Troiani. In uno degli episodi più toccanti dell’Iliade, Diomede si rende pian piano conto che il nemico che aveva di fronte era legato da un antico vincolo di amicizia e di ospitalità con la propria famiglia. Gettò allora la spada a terra e i due nemici, anziché scontrarsi, si strinsero la mano e si scambiarono le armi.

Con Ulisse compì varie imprese pericolose, tra le quali il furto del Palladio, la statua da cui dipendevano le sorti di Troia, e l'uccisione del giovane re tracio Reso, colpito nel suo accampamento mentre dormiva.
Assecondò spesso Ulisse, quando si trattò di condurre trattative delicate, sia presso Agamennone che presso Achille.

Dopo la caduta di Troia, tornò velocemente ad Argo, primo tra tutti gli Achei a tornare in patria. Il veloce ritorno però era opera di Afrodite, ansiosa di vendicarsi dell’offesa ricevuta durante la guerra. Ad Argo, infatti, né sua moglie Egialea, né i suoi sudditi lo ricordavano più: Afrodite aveva cancellato il ricordo di Diomede dalla loro memoria. Secondo una variante del mito, Egialea, ispirata da Afrodite, tradì Diomede con un altro uomo e gli tese molti agguati.

Diomede eroe della civilizzazione

Diomede decise di abbandonare la città, imbarcandosi per l'Italia. Entrando in Adriatico si fermò nei porti insegnando alle popolazioni locali la navigazione e l'allevamento del cavallo. La diffusione della navigazione, arte sotto la protezione di Afrodite, forse aveva l’intento di ottenere il perdono dalla dea nata dalla spuma del mare. In ogni caso si realizza così una straordinaria trasformazione: da campione della guerra Diomede diventa l’eroe del mare e della diffusione della civiltà greca. Era infatti venerato come benefattore ad Ancona, città nella quale è nota la presenza di un suo tempio, a Pola, in Dalmazia a Capo S. Salvatore (detto in lingua croata Planka), a Vasto, a Lucera e all'estremo limite dell'Adriatico: alle foci del Timavo. In questi luoghi il culto di Diomede si era sovrapposto a quello del Signore degli Animali, un'antichissima divinità dei boschi.

La caratteristica di civilizzatore viene rafforzata dalla fondazione di molte città italiane, tra cui Vasto (Histonium) Andria, Brindisi, Benevento, Argiripa (Arpi), Siponto presso l'attuale Manfredonia, Canusio (Canosa di Puglia), Equo Tutico, Drione (San Severo), Venafrum (Venafro) e infine Venusìa (Venosa). La fondazione di quest’ultima città coincide con il perdono ottenuto da Afrodite, in seguito al quale si stabilì in Italia meridionale e si sposò con una donna del popolo dei Dauni: Evippe.

Stretto il rapporto tra l'eroe e la Daunia. Infatti il primo contatto tra Diomede e la Daunia si ebbe con l'approdo alle isole che da lui avrebbero preso il nome di Insulae Diomedee (le isole Tremiti). Sbarcò quindi nell'odierna zona di Rodi, sul Gargano alla ricerca di un terreno più fecondo e si spostò a sud dove incontrò i Dauni, che prendevano il nome dal loro re eponimo, Dauno, figlio di Licaone e fratello di Enotrio, Peucezio e Japige.

Diomede si guadagnò le simpatie di Dauno il re che "pauper aquae agrestium regnavit populorum" e dopo avergli prestato valido aiuto nella guerra contro i Messapi, per il sua alto valore militare - victor Gargani - ebbe in sposa la figlia Evippe (secondo alcuni si chiamava Drionna, secondo altri Ecania) ed in dote parte della Puglia - "dotalia arva"-, i cosiddetti campi diomedei, "in divisione regni quam cum Dauno". Quindi fondò Siponto, dal nome greco SIPIUS, a motivo delle seppie sbalzate sulla riva dalle gigantesche onde; siamo nel 1182 a.C. - più di quattro secoli prima della fondazione di Roma. Il calcolo cronologico della fondazione di Siponto è desunto dall'opera di Dionisio Petavio, che comunque oscilla tra il 1184 e il 1182 a.C.

A tal proposito nel libro VI della Geografia di Strabone, il geografo storico fine conoscitore del territorio dauno, viene anche affermato che Siponto "a Diomede greco conditum". Virgilio nell'Eneide ci racconta che i Latini, bisognosi di alleati per scacciare Enea dalla loro terra, chiesero aiuto a Diomede, ricordando dell’antica inimicizia tra i due eroi. Diomede, però sorprende gli ambasciatori a lui pervenuti, rifiutando di combattere il suo antico nemico ed anzi invocando la pace tra i popoli.

Una spiaggia delle Isole Tremiti, l'isola di San Nicola, fu il luogo della sua sepoltura, e i suoi compagni vennero trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini, le diomedee, allo scopo di bagnare sempre la tomba dell'eroe.

Diomedea (mitologia)

Diomedea è una figura della mitologia greca, figlia di Xuto.

Sposò Deioneo re della Focide, dalla cui unione nacquerò vari figli, tra i quali Cefalo.

Diomo

Nella mitologia greca, Diomo era il nome di uno degli eroi dell'antichità, figlio di Colitto.

Si racconta di Diomo in occasione della vita di Eracle, che conobbe verso la sua morte. Quando il figlio di Zeus fu loro ospite ebbe occasione di conoscere il ragazzo e si innamorò di lui.

Dopo la morte del semidio gli offrì un sacrificio ma un animale disturbò l'evento, rubando l'animale in sacrificio e lasciandolo molto lontano. A quel punto Diomo decise di fondare, in quello stesso luogo, un santuario.

Dione 1

Divinità greca, figlia di Urano e di Gea o di Oceano e di Teti. Amata da Zeus, divenne la madre di Afrodite, che fu chiamata quindi Dionèa. Nel santuario di Dodona veniva venerata insieme a Zeus e teneva il posto di Era; anche in Atene e in altre città ebbe culto antichissimo. Oscuratasi la popolarità del santuario di Dodona, anche Dione fu presto dimenticata e perdette ogni culto in favore di Era.
Altra Dione generò con Tantalo la sfortunata Niobe e Pelope, che diede il nome al Peloponneso.

Dione 2

Re della Laconia ebbe da Anfitea tre figlie, Orfe, Lico e Caria. Quest'ultima fu amata da Dioniso, ma morì improvvisamente a Carie e il dio la trasformò in un albero di noce, mentre le sorelle di Caria, in quanto volevano impedergli di frequentare la giovane amata, furono mutate in rocce. Artemide portò questa notizia agli Spartani che costruirono un tempio in onore di Artemide Cariatide, da cui prendono il nome le Cariatidi, figure femminili che fungono da colonne. A Carie, inoltre, le donne danzano ogni anno in onore della dea una danza appresa dai Dioscuri.

Dioniso

L'origine di Dioniso è controversa, ma la versione più comune del mito lo dice figlio di Zeus e di Semele, figlia di Cadmo re di Tebe. Zeus, travestito da uomo mortale, ebbe un'avventura segreta con Semele e la gelosa Era, assunte le sembianze della vecchia nutrice Beroe, consigliò a Semele, già incinta di sei mesi, di esigere dal suo amante che si mostrasse nella sua vera forma e natura. Semele seguì quel consiglio e, quando Zeus rifiutò di accondiscendere, gli rifiutò il suo letto. Il dio allora, furibondo, le apparve fra tuoni e folgori e Semele ne morì. Ma Ermete salvò il bambino: lo cucì nella coscia di Zeus dove potè maturare per altri tre mesi, e a tempo debito venne alla luce. Ecco perché Dioniso e detto "nato due volte" o anche "il fanciullo della doppia porta".
Per ordine di Era, i Titani si impadronirono di Dioniso, e benché egli si trasformasse di continuo, lo fecero a brani, Poi ne bollirono i resti in un calderone, mentre un albero di melograno sorgeva dal suolo inzuppato del suo sangue. Ma la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. Zeus lo affidò allora a Persefone che lo condusse dal re di Orcomeno Atamante, e convinse la sua moglie Ino ad allevare Dioniso negli alloggi delle donne, travestito da fanciulla. Ma Era non si lasciò ingannare e punì la coppia regale con la pazzia, cosicché Atamante uccise suo figlio Learco scambiandolo per un cervo. Ino afferrò allora Melicerte, il suo figliolo più giovane, e fuggì; ma sarebbe scampata a stento alle frecce di Atamante se il giovane Dioniso non avesse temporaneamente accecato Atamante, cosicché egli uccise una capra invece di Ino.
Ermete allora, seguendo le istruzioni di Zeus, trasformò Dioniso in un capretto o in un ariete e lo portò dalle ninfe Macride, Nisa, Erato, Bromie e Bacche, che vivevano sul monte Nisa in Elicona. Esse celarono Dioniso in una grotta e lo nutrirono di miele. Zeus, in segno di gratitudine, pose poi la loro immagine tra gli astri, come costellazione delle Iadi. Fu sul monte Nisa che Dioniso inventò il vino, e tale invenzione gli procurò grandissima fama. Quando raggiunse la maturità, Era riconobbe in lui il figlio di Zeus, benché fosse molto effeminato per via dell'educazione ricevuta, e fece impazzire anche lui. Egli andò vagando per il mondo, accompagnato dal suo tutore Sileno e da un gruppo frenetico di Satiri e di Menadi, le cui armi erano bastoni ricoperti d'edera con una pigna sulla punta, chiamati tirso, e spade e serpenti e rombi (asticelle ronzanti). Egli navigò fino all'Egitto, portando il vino con sé; e a Faro il re Proteo lo accolse ospitalmente. Tra i Libi del delta del Nilo, di fronte all'isola di Faro, vi erano certe regine delle Amazzoni e Dioniso le invitò a marciare con lui contro i Titani che avevano scacciato re Ammone dal suo regno. La sconfitta dei Titani fu uno dei molti successi militari di Dioniso, che restituì ad Ammone il suo trono.
Egli si diresse poi a oriente, verso l'India. Giunto all'Eufrate si trovò di fronte un avversario, il re di Damasco, che Dioniso scorticò vivo; poi lanciò sul fiume un ponte d'edera e di vite; e una tigre, mandata dal padre suo Zeus, lo aiutò a passare sulla sponda opposta del Tigri. Raggiunse così l'India, dopo aver affrontato molti avversari lungo il cammino, e conquistò l'intera regione, insegnando agli abitanti l'arte della viticoltura, istituendo leggi e fondando città.
Al suo ritorno gli si opposero le Amazzoni, che egli aveva già respinto in precedenza sino a Efeso. Alcune si rifugiarono nel tempio di Artemide; altre fuggirono a Samo, dove Dioniso le inseguì con delle navi, facendone strage. In seguito Dioniso ritornò in Europa passando dalla Frigia, dove sua nonna Rea lo purificò per i molti delitti commessi durante la sua pazzia e lo iniziò ai Misteri. Dioniso poi invase la Tracia, ma non appena la sua gente fu sbarcata alla foce del fiume Strimone, Licurgo, figlio di Driante re degli Edoni, li attaccò selvaggiamente con un pungolo da bestiame e catturò l'intero esercito; Dioniso si tuffò sulle onde del mare e si rifugiò nella grotta di Teti. Rea, irritata per questa sconfitta, aiutò i prigionieri a fuggire e fece impazzire Licurgo: egli colpì con una scure il proprio figlio Driade, convinto di potare una vite. Quando Dioniso, riemerso dal mare, dichiarò che la terra sarebbe rimasta sterile finché Licurgo non fosse stato messo a morte, gli Edoni lo trascinarono sul monte Pangeo e cavalli selvaggi ne straziarono il corpo. Sempre in Tracia, Orfeo trascurò di onorarlo, iniziando invece i suoi fedeli ad altri misteri e condannando i sacrifici umani. Irritato, Dioniso incaricò le Menadi di far vendetta. Esse raggiunsero Orfeo a Deio, in Macedonia. Attesero che gli uomini fossero entrati nel tempio di Apollo e, impadronitesi delle armi, irruppero nel recinto sacro, uccisero tutti i fedeli e fecero a pezzi Orfeo, gettando nel fiume Ebro la sua testa.
Vinta ogni opposizione in Tracia, Dioniso passò in Beozia, dove visitò Tebe e invitò le donne a unirsi alle sue feste notturne sul monte Citerone. Penteo, figlio di Cadmo, re di Tebe, cui non garbava la vita dissoluta di Dioniso, lo arrestò unitamente alle Menadi, ma improvvisamente impazzito, invece di mettere in ceppi Dioniso mise in ceppi un toro. Le Menadi fuggirono di nuovo e si dispersero furibonde lungo le pendici del monte, dove fecero a brani i vitelli. Penteo cercò di fermarle, ma, accese dal vino e dalla frenesia religiosa, esse lo fecero a brani. La madre di Penteo, Agave, guidava le forsennate, e fu lei che gli staccò il capo dal busto.
A Orcomeno, le tre figlie di Minia chiamate Alcitoe, Leucippe e Arsippe o Aristippe o Arsinoe, avendo osato disprezzare Dioniso e rifiutato di partecipare alle feste notturne, furono rese folli e spinte a fare a brani i loro figli, e poi trasformate in pipistrelli. Ad Argo le figlie di re Preto si rifiutarono di unirsi alle Menadi. Anch'esse impazzirono e salirono sulle montagne credendo di essere vacche e mangiando i loro figli. Secondo un'oscura leggenda argiva, Perseo combattè contro Dioniso uccidendo molti dei suoi seguaci: Dioniso lo punì facendo impazzire le donne argive, che cominciarono a divorare crudi i loro bambini. Perseo si affrettò ad ammettere la propria colpa e placò Dioniso erigendogli un tempio.
Quando l'intera Beozia ebbe accettato il culto di Dioniso, il dio si recò nelle isole dell'Egeo, spargendo gioia e terrore ovunque passava. Giunto a Icaria, si accorse che la sua nave non teneva più il mare e ne noleggiò un'altra da certi marinai tirreni che dicevano di essere diretti a Nasso. Erano invece pirati e, ignari della divina natura del loro passeggero, fecero rotta per l'Asia, dove intendevano venderlo per schiavo. Dioniso fece allora crescere una vite attorno all'albero maestro, mentre l'edera avvolgeva il sartiame, trasformò i remi in serpenti e se stesso in leone, e la nave si colmò di fantasmi di animali feroci che si muovevano al suono di flauti, cosicché i pirati terrorizzati si gettarono in acqua e divennero delfini. A Icaria è legato il mito di Icario e di Erigone. Icario, eroe eponimo di Icaria, accolse benevolmente Dioniso, che in compenso gli diede la vite e gl'insegnò l'arte della sua coltivazione; ma quando Icario offrì il vino prodotto ai pastori e ai contadini vicini, questi si ubriacarono e credendo di essere stati avvelenati lo uccisero a bastonate. La figlia Erigone, all'oscuro di ciò che era accaduto al padre, lo cercò in ogni dove con l'aiuto della fedele cagna Mera, e allorché trovò il suo carpo esanime si impiccò per il dolore. Dioniso però intervenne, pose fra gli astri Icario ed Erigone, e per punirne gli abitanti devastò la regione di Icaria, finché non vennero istituite per placarlo feste e sacrifici in suo onore.
A Nasso, Dioniso incontrò la bella Arianna, che Teseo aveva abbandonata durante il sonno. Ella, lasciata sola sul lido deserto, al risveglio ruppe in disperati lamenti; ma ecco Dioniso con il suo gaio corteo di Satiri e Menadi giungere in aiuto e, senza por tempo in mezzo, la sposò, ponendole sul capo la corona di Teti, fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose. Arianna gli generò numerosi figli. In seguito Dioniso pose la corona nuziale di Arianna in cielo nella costellazione della Corona Boreale. Dioniso figura anche nella lotta degli Dei contro i Giganti, abbattendo Eurito con un colpo di tirso (che è un lungo fusto ornato d'edera) e gli asini cavalcati dai Satiri provocarono terrore nei Giganti con i loro ragli.
Infine, affermato il suo culto in tutto il mondo, Dioniso ascese al cielo e sedette alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi. La mite e umile dea Estia gli cedette il suo posto alla mensa, lieta di cogliere quell'occasione per sottrarsi alle continue dispute degli dèi, ben sapendo che sarebbe stata accolta con gioia in ogni città greca che le fosse piaciuta visitare. Dioniso poi discese al Tartaro passando da Lerna e, donandole del mirto, indusse Persefone a liberare la madre sua Semele. Semele salì con Dioniso nel tempio di Artemide a Trezene; ma per non ingelosire le altre ombre dei morti, Dioniso le cambiò nome e la presentò agli dèi olimpi come Tione. Zeus mise a sua disposizione un alloggio ed Era si chiuse in un indispettito ma rassegnato silenzio.

Diore

Nella mitologia greca, Diore è il nome di alcune figure, che compaiono in diversi miti.

Diore l'Epeo

Diore era uno dei capi degli Epei che parteciparono alla guerra di Troia, era figlio di Amarinceo. Venne ucciso da Piroo, capo tracio.

Diore figlio di Eolo

Diore, uno dei figli di Eolo, il dio dei venti. S'innamorò perdutamente della sorella Polimela, allorché essa venne abbandonata da Ulisse, suo amante.

Diore di Troia

Diore, nobile troiano della stirpe di Priamo, e fratello di Amico, è menzionato in due episodi dell'Eneide. Nel libro V prende parte ai giochi funebri in onore di Anchise. Nel libro XII Virgilio narra la sua morte e quella del fratello. I due giovani seguono Enea e combattono contro i Rutuli di Turno per cercare di ottenere una nuova terra in cui vivere essendo Troia stata distrutta ad opera degli achei dopo un assedio durato dieci anni. I due fratelli troiani affrontano a cavallo Turno, il capo principale dei Rutuli, ma questi li uccide entrambi, colpendo Amico con la lancia, Diore con la spada; non contento, il principe rutulo recide ad ambedue le teste, appendendole quindi al carro nemico, per consegnare la raccapricciante scena in mostra ai compagni dei due caduti in senso di disprezzo totale.

Dios

Dios è il nome di due figure della mitologia greca:

* Un figlio illegittimo di Priamo.
* Fratello di Meone, citato come padre di Esiodo e zio di Omero.

Dios, figlio di Priamo

Dios è uno dei cinquanta figli di Priamo, re di Troia, menzionato da Omero e da Igino; è, senza dubbio, il frutto di una delle innumerevoli unioni del re con concubine. La sua presenza nell'ultimo libro dell'Iliade insieme ad altri otto dei suoi fratelli lascia supporre che, dopo la morte di Ettore, facesse parte dell'esiguo numero di principi troiani sopravvissuti alla guerra di Troia.

Dios, padre di Esiodo

Una leggenda che vuole attribuire un legame di parentela tra Esiodo e Omero riferisce che i due poeti erano cugini perché figli rispettivamente dei fratelli Dios e Meone. In realtà, Dios non era altro che un commerciante marittimo originario di Cuma eolica, trasferitosi in Beozia per la fallita attività, sebbene l'autenticità di questo personaggio sia ancora discussa.

Dirce

Dirce è una figura della mitologia greca, moglie di Lico.

Un giorno lui accolse la sua nipote Antiope, cacciata dal fratello Nitteo.

Dirce trattò Antiope come una prigioniera. Qui Antiope diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto, ma quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul monte Citerone. Un pastore trovò i gemelli, e li allevò.

Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico e Dirce attaccandola ad un toro, che la trascinò via uccidendola.

Dioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in una fonte presso Tebe, in altre versioni, venne gettata in una fonte, che assunse il suo nome.

Lo scultore Lorenzo Bartolini, nel 1834, eseguì una magistrale raffigurazione di Dirce, ora conservata al Louvre. Altra rappresentazione è la scultura del Toro Farnese conservata nel Museo archeologico nazionale di Napoli.

Ditti

Nella mitologia greca, Ditti era il nome di uno dei figli di Magnete e di una Naiade fratello Polidette, famoso per essere stato il protettore di due personaggi quali Danae e Perseo.

Degno del suo nome nome (Ditti significa rete, infatti alcuni ritengono che in realtà fosse un pescatore) mentre si trovava sulle spiagge di Serifo (l'isola dove suo fratello regnava) trovò gallegiante un cofano e lo portò a riva, dentro ad esso vi erano Perseo con sua madre. Li portò a casa con sè e decise di allevare il figlio di Zeus, in seguito fu proprio grazie all'intervento di Perseo che pietrificò con la testa della Medusa il tiranno a mettere Ditti al trono al suo posto.

Diòscuri

Càstore e Pollùce o Polideuce sono due personaggi della mitologia greca e romana, figli gemelli di Zeus e di Leda, conosciuti soprattutto come i Diòscuri, ossia "figli di Zeus", ma anche come Càstori.

Vengono talvolta considerati come patroni dell'arte poetica, della danza e della musica.

Se alcuni autori riportano che i Diòscuri nacquero da Zeus e Leda, altri affermano che i due gemelli avrebbero avuto origine da Tindaro, re di Sparta, avendo come sorella Elena, oggetto della contesa a Troia. Altri raccontano che solamente Polluce e la sorella Elena fossero figli di Zeus, e dunque immortali; Castore sarebbe stato dunque figlio di Tindaro e destinato alla morte.

Castore e Polluce furono due degli Argonauti, gli eroi che parteciparono alla ricerca del Vello d'oro: Polluce - già celebrato come grande pugile - sconfisse in una gara di questa disciplina il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo i gemelli diedero vita alla città eponima di Dioscuria, collocata secondo il mito in Colchide.

Inoltre presero parte alla lotta contro Teseo, che aveva rapito la loro sorella Elena nascondendola ad Afidne; dopo quest'ultimo combattimento Zeus concesse loro l'immortalità.

Si narra inoltre che abbiano preso parte alla Battaglia della Sagra tra le file dei locresi (Locri Epizephiri) in battaglia contro i crotonesi (Crotone).

Il fratello di re Tindaro, Afareo, era a sua volta padre di due gemelli: Ida e Linceo. Castore e Polluce rapirono le promesse spose dei cugini e nell'imboscata che ne seguì, Castore fu ferito a morte. Polluce, volendo seguire il destino del fratello, ottenne di vivere come Castore un giorno sull'Olimpo e uno nell'Ade. Un altro mito, riportato da Euripide nella sua opera Elena (v. 140), ricorda invece che Zeus concesse - visto il loro profondo legame - di vivere per sempre nel cielo, sotto forma di costellazione.

Altre tradizioni


L'incontro di gemelli nella mitologia non è rara: anche nei Veda, il libro sacro degli Arii indiani, appare una coppia di gemelli, gli Aswin, che - al pari dei Diòscuri - vengono identificati con la costellazione dei Gemelli.

Culto

Il loro culto, nato a Sparta (erano infatti figli del re eponimo di questa città), si diffuse rapidamente in tutta la Magna Grecia, soprattutto in considerazione del fatto che venivano creduti protettori dei naviganti: il mito infatti racconta che Poseidone affidò loro il potere di dominare il vento insieme al mare.

A Roma i Diòscuri (con il nome di Càstori) venivano ricordati nel loro tempio collocato all'interno del Foro Romano, nelle vicinanze del Tempio di Vesta, costruito per un voto offerto dal dittatore Aulo Postumio durante la battaglia del Lago Regillo. Il risultato della battaglia, inizialmente sfavorevole ai guerrieri dell'Urbe, si dice sia stato deciso dall'apparizione dei mitologici Dioscuri, Castore e Polluce.

Il 15 luglio era tradizione che gli equites svolgessero una processione fastosa a cavallo verso il tempio, dato che ne venivano considerati i propri protettori.

Iconografia

Sono generalmente rappresentati in nudità eroica, con il pileo, un copricapo a forma di guscio che ricorda il mito secondo cui sarebbero nati da un uovo insieme alla sorella Elena, ed un mantello.

In genere vengono accompagnati da un cavallo e, a volte, recano con sé una lancia. Vennero rappresentati quasi ininterrottamente sul rovescio della principale moneta romana, il denario, dalla incerta data della sua emissione (che i più ritengono avvenuta nel 211 a.C.) fino alla seconda metà del II secolo a.C.

Dolio

Nella mitologia greca, Dolio era il nome di un servo di Penelope di cui si racconta nell'odissea.

Curava i giardini dei suoi padroni, di lui si parlava come padre sia di Melazio e Melantò, che saranno dalla parte dei Proci, ma come racconta lo stesso Omero, anche di altri 6 figli.

Dolone

Dolone è un personaggio della mitologia greca, menzionato nell' Iliade tra i troiani che combatterono contro i greci nella guerra seguita al ratto di Elena da parte di Paride.

Unico figlio maschio del ricco Eumede, Dolone era un araldo del re troiano Priamo, e il più brutto tra tutti coloro che presero parte alla difesa della città: nonostante l'età non più tanto giovane, era ancora in grado di correre agilmente.

Egli è protagonista del decimo canto dell'Iliade, definito appunto da alcuni studiosi "Doloneide"
« Vi era fra i troiani Dolone, figlio di Eumede nobile araldo, ricco di oro e di bronzo: era brutto di aspetto ma corridore veloce, unico maschio fra cinque sorelle. »

La morte

Quando Ettore ordinò di sistemare un accampamento durante la notte nel bel mezzo del campo di battaglia dopo aver sconfitto in battaglia i greci, costringendoli a rientrare all’interno dell’accampamento, chiese l’aiuto di un volontario per spiare le mosse degli achei infiltrandosi all’interno del loro campo. Dolone accettò la proposta, chiedendo però in ricompensa i cavalli di Achille. Ettore accettò. Dolone, con indosso una pelle di lupo e un copricapo di martora, entrò in ricognizione. Nello stesso momento però, Diomede e Ulisse si dirigevano nell’accampamento dei troiani come spie. Fermato dai due guerrieri greci Dolone fu costretto a rivelare la suddivisione del campo troiano. Rivelò tra l'altro che erano giunti da poco i guerrieri traci guidati dal giovane re Reso, che portava con sé degli splendidi cavalli bianchi. Dolone venne poi decapitato da Diomede dopo averlo invano supplicato che lo risparmiasse: la testa recisa del troiano rotolò nella polvere mentre ancora parlava. Quindi l'acheo entrò nella tenda di Reso, uccidendolo mentre dormiva. Gli indumenti e l'arco di Dolone furono portati al campo greco insieme ai cavalli di Reso, e consacrati ad Atena.

Dolone lasciò un figlio adolescente, Eumede (al quale aveva dato lo stesso nome di suo padre), destinato a morire in un altro conflitto, quello tra i profughi troiani guidati da Enea contro i Rutuli di Turno, in Italia; così secondo il dodicesimo libro dell' Eneide.

Il ruolo enciclopedico ed educativo del personaggio

In greco, δόλος significa "inganno" ed esso è proprio il sentimento che caratterizza Dolone. Si noti come Omero definisce il suo abbigliamento, infatti indossa una pella di lupo e un cappello di martora, che sono sinonimo di astuzia mista a fraudolenza, e, conseguentemente, di inganno. Omero conferma poi le caratteristiche peculiari del personaggio quando quest'ultimo tenta di salvarsi la vita indicando a Ulisse l'ubicazione dell'accampamento troiano. Stratagemma che poi non riesce e lo condanna a morire da traditore.

Dolone e la figura dell'antieroe

Dolone è la tipica figura dell'antieroe, in quanto non combatte per la gloria ma per arricchirsi. L'eroe omerico deve essere invece bello e buono e combatte valorosamente per ottenere la "bella morte"che gli procurerà la gloria imperitura; infatti l'eroe greco disprezza la ricchezza e accetta i premi solo perché sono la prova tangibile del suo coraggio e del suo valore in battaglia. Dolone però non è il solo antieroe presente nell'Iliade, infatti ne esiste un altro: Tersite. Entrambi sono brutti d'aspetto: per Omero la bellezza rispecchia l'animo dell'eroe; infatti gli eroi sono belli, forti, astuti e con meravigliose armature, invece l'antieroe è brutto, pauroso, meschino e con brutta armatura. Dolone quindi presenta già le sue caratteristiche di antieroe nell'abbigliamento e nelle armi scelte per la missione di spionaggio nel campo acheo; infatti si veste con la pelle di lupo (che simboleggia la malvagità e l'essere meschino) e con un copricapo di martora (che simboleggia invece la paura, il timore, e la furbizia). Egli si arma poi di arco e frecce, armi considerate dai greci ingloriose, perché uccidono da lontano e non provano il valore dell'eroe in battaglia. Infine nell'Iliade Dolone viene paragonato al coniglio e alla cerbiatta, evidenti sinonimi di disonore e paura. Egli, pur di tentare di salvare la propria vita, arriva a tradire i propri compagni, cosa improponibile all'integrità morale di un eroe.

Dolope

Nella mitologia greca, Dolope o Dòlopo era il nome di uno dei figli di Clitio.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello vi era Dolope. Nel corso della guerra Ettore come suggerito dagli dei aspettò che Agamennone venisse messo in difficoltà fino ad abbandonare il campo. Quando ciò avvenne il guerriero troiano scese in battaglia e fra i tanti nemici uccise il prode Dolope.

Dolopo è anche il nome di un eroe troiano, figlio di Lampo e nipote di Priamo.

Doro (mitologia greca)

Doro è un personaggio della mitologia greca, figlio di Elleno e di Orseide (anche se per alcuni autori è figlio di Apollo e di Pizia). Suoi fratelli furono Ione, Eolo, Acheo e Suto. In altre versioni è figlio di Suto. Suto è il secondogenito di Elleno, e ebbe Iono e Acheo come figli. Euripide invece fa Ione figlio di Apollo, adottato da Suto, e Doro figlio di Suto, fratello (minore o maggiore?) di Acheo.

Al termine di lunghe pergrinazioni, Doro si fermò nel Peloponneso, dove diede origine alla stirpe dei dori.

Driadi

Le driadi (o adriade) e le amadriadi sono figure della mitologia greca. In origine le driadi erano propriamente le ninfe delle querce, come rivela il loro nome (dryas, quercia). Le driadi erano ninfe che vivevano nei boschi e ne incarnavano la forza e il rigoglio vegetativo. A differenza delle amadriadi, non facevano corpo con gli alberi , né morivano con essi, ma potevano muoversi liberamente, danzare e unirsi anche con semplici mortali. Venivano raffigurate come belle e giovani donne, con la parte inferiore della persona terminante in una sorta di arabesco che imitava un tronco d'albero. La parte superiore evidenziava invece una certa bellezza e solarità.

Driante (Ares)

Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ares e Giapeto.

Partecipò alla caccia al cinghiale di Calidone e combatté a fianco dei Lapiti contro i Centauri. Il fratello Tereo, fraintendendo la risposta di un oracolo, lo uccise, temendo che fosse proprio il fratello Driante il colpevole che avrebbe assassinato suo figlioletto Iti.

Driante (Egitto)

Driante (o Dria) è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Euridice, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Driante (Licurgo)

Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licurgo re della Tracia.

Trovò la morte quando il padre, impazzito per il volere degli dei, lo colpì più volte con un'accetta scambiandolo per un ceppo di vite, pianta sacra al dio Dioniso, il cui culto Licurgo aveva cercato di estirpare. Dopo questo tragico evento le terre di Licurgo, inorridite per l'accaduto, divennero sterili.

Driope (Iliade)

Driope è un personaggio della mitologia greca.

Driope era un guerriero troiano che combatté contro Achille quando questi ritornò al combattimento infuriato per la morte dell'amico Patroclo ucciso da Ettore sotto le mura di Troia. Fu il primo guerriero a essere assalito da Achille (dopo che questi non era riuscito a colpire Ettore) che lo ferì mortalmente al mento con la lancia e lo lasciò disteso sul terreno cosparso di sangue.

Edited by demon quaid - 13/12/2014, 12:23
 
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E



Ea
(ninfa)

Ea era una ninfa, delle Naiadi, che chiese l'aiuto degli Dei per sfuggire al fiume Fasi che la corteggiava e venne tramutata in un'isola.
Era anche il nome di una regione della Colchide, ma fu usata da Valerio Flacco come un sinonimo della Colchide stessa.

Eace

Nella mitologia greca, Eace chiamato anche Oiace era il nome di uno dei figli di Nauplio e di Climene, la figlia di Catreo.

Lo stesso nome della madre non è sicuro: Apollodoro riporta altri nomi come Filira o Esione. Eace era comunque fratello di Palamede e di Nausimedonte.

Fu testimone del processo ingiusto che sostenne suo fratello per tradimento e, alla morte di questi, scrisse tutto l'accaduto su un remo che gettò in mare. In seguito si recò da Clitennestra e, secondo una versione del mito, gli raccontò di suo marito Agamennone e di Cassandra; la donna decise così di ucciderli.

La sua fine è incerta anche se si narra di come Pilade, amico di Oreste, abbia ucciso tutti i figli di Nauplio e quindi anche Eace.

Eacidi

Sono i discendenti di Eaco. Da Eaco e da Endeide nacquero due figli, Peleo e Telamone: questi un giorno uccisero Foco, figlio di Eaco e della ninfa Pasamate, per cui il padre li bandì da Egina. Telamone si rifugiò nell'isola di Salamina e qui sposò la figlia del re Cicreo e succedette al suocero nel regno: ebbe dalla seconda moglie Peribea il figlio Aiace e da un'altra moglie, Esione, figlia di Laodamante re di Troia, il figlio Teucro. Esione gli era toccata nella divisione del bottino di Troia che egli aveva conquistato con Eracle.
Peleo, invece, stabilitosi in Tessaglia a Ftia dopo la spedizione degli Argonauti, sposò Antigone, figlia del re Eurito, ma ben presto dovette abbandonare Ftia avendo ucciso per errore, durante la caccia del cinghiale Calidonio il suocero. Si recò allora a Iolco, dove prese parte ai giochi funebri indetti da Acasto in onore del padre Pelia. Ma calunniato dalla regina Astidamia, che si volle vendicare di lui per non essere stata corrisposta nel suo amore, fu abbandonato da Acasto sul monte Pelio solo e disarmato affiché i Centauri, che abitavano la regione, lo uccidessero. Ma gli dèi gli inviarono Ermete con una spada meravigliosa con cui potè respingere ogni assalto dei Centauri; quindi, insieme con i Dioscuri, ritornò a Iolco, prese la città, uccise Acasto e Astidamia. In premio della sua castità gli dèi gli diedero in sposa la nereide Teti, a cui aspiravano pure Zeus e Poseidone, che rinunciarono a lei, perché Temi aveva predetto che da essa sarebbe nato un figlio destinato a divenire più forte del padre. Da Teti Peleo ebbe il figlio Achille, il quale a sua volta ebbe il figlio Neottolemo (soprannominato Pirro), dal quale si vantò di discendere la stirpe reale di Epiro, e anche, collateralmente, quella di Macedonia.

Eaco

Eaco è un personaggio della mitologia greca. Nasce dalla ninfa Egina con cui Zeus un giorno si accoppiò trasformandosi in aquila e portando con sé la ninfa sull'isola di Enopia che da allora si chiamerà Egina.

Le leggende narrano che Era, sposa di Zeus, quando seppe della nascita di Eaco, scaricò la sua gelosia sull'isola.

Era per gelosia avvelenò i corsi d'acqua e ordinò ai venti meridionali di soffiare senza tregua. In questo modo andarono perduti tutti i raccolti, facendone seguire una grave carestia. Il caldo torrido portato dai venti meridionali costrinse gli abitanti a bere dalle acque dei fiumi avvelenati, uccidendoli tutti.

Eaco, vedendo il suo regno alla rovina, si rivolse al padre Zeus; questi fece cadere sull'isola una pioggia fresca, che fermò i venti e ricambiò le acque avvelenate.

Zeus (Giove) quindi trasformò le formiche dell'isola in esseri umani, ed Egina ritornò fiorente grazie ai mirmidoni (da murmex che significa appunto formica). Eaco spartì i suoi possedimenti tra i suoi sudditi e l'isola ritrovò la pace.

Eaco in seguito sposò Endeide, figlia di Chirone e di Carìclo, da cui ebbe due figli: Telamone e Peleo. Peleo fu il padre di Achille, accompagnato alla guerra di Troia da un esercito di mirmidoni.

Eaco ebbe un ulteriore figlio dall'unione con la ninfa Psamate, una delle figlie di Nereo, che per sfuggirgli si trasformò in foca, ma lui si unì lo stesso a lei e nacque un figlio chiamato Foco. In seguito Telamone, geloso del fratellastro Foco, lo uccise e lo seppellì con l’aiuto del fratello Peleo. Quando Eaco scoprì il fatto, cacciò entrambi i figli dall’isola.

Pindaro indica in Eaco il costruttore delle mura di Troia, con l'aiuto di Apollo e Poseidone.

Eaco era considerato un uomo profondamente giusto e per questo era chiamato spesso a fare da arbitro nelle contese. Dopo la sua morte Zeus lo nominò giudice negli Inferi. Platone cita come giudici dell’Ade Minosse, Radamante, Eaco e Trittolemo.

La leggenda inoltre narra che Eaco era custode delle chiavi dell'Ade, e doveva occuparsi delle anime di provenienza europea.

Eagro

Eagro è una figura della mitologia greca, era padre di Orfeo.

Era un dio-fiume e le tradizioni variano sulla sua genealogia. Fonti tarde ne fanno il padre di Marsia, di Lino e Cimotone.

Ebalo

In mitologia greca, Ebalo è un leggendario re di Sparta. È indicato nella letteratura classica come figlio di Cinorta e padre di Tindaro, Icario e Ippocoonte che avrebbe generato con la naiade Bateia o con la figlia di Perseo e Andromeda, Gorgofone. La differente genealogia è all'origine della confusione con Periere primo marito di Gorgofone, e fa sì che gli venga attribuita anche la paternità di Afareo.

Da Ebalo discendono Castore e Polluce che ricevono per questo il patronimico di "Ebalidi". Con questo patronimico viene indicata spesso l'intera stirpe degli spartani, dei loro discendenti e degli abitanti delle città di origine spartana: così Taranto viene chiamata dai poeti latini Oebalia arx, e il re Tito Tazio e le donne sabine, rispettivamente, Oebalius Titus e Oebalides matres', anche un'altra città italiana discende da questo mitico fondatore:Eboli.

Ebe

Figlia di Zeus e di Era, sorella di Ares e d'Ilizia, è simbolo della giovinezza eterna e della forza vitale. Ancella degli dèi mesce il nettare in coppe d'oro al loro convito, aiuta la madre ad apprestare il cocchio, lava e veste Ares.
Nell'Iliade, quando Ares viene ferito da Diomede, Ebe rimargina la sua ferita. Allorché Eracle giunse alla fine della sua vita mortale, ucciso dalla tunica avvelenata che la moglie Deianira aveva immerso nel sangue di Nesso, gli dèi lo accolsero in cielo purificandolo dei crimini commessi sulla terra e gli diedero Ebe come nuova sposa celeste, che gli generò due figli, Alessiare e Aniceto. Per amor suo Ebe diede al nipote di Eracle, Iolao, la giovinezza, così che potesse tornare ancora a combattere; Iolao infatti uccise Euristeo, il quale perseguitava gli Eraclidi col suo odio.
A Roma Ebe fu identificata con l'indigena Juventus, che simboleggiava non tanto la giovinezza, quando piuttosto era immagine del perenne rifiorire e ringiovanire dello Stato. E di questa significazione è prova il culto che le veniva reso: nelle grandi famiglie si celebrava una festa con carattere ufficiale quando i giovani sostituivano alla toga praetexta della fanciullezza la toga virile. Essi si recavano allora sul Campidoglio a pagare un tributo alla Dea e la pregavano insieme con Giove. Juventus aveva un tempio presso il Circo Massimo.

Ecale

Ecale è la figura di una vecchia donna il cui destino si intreccia con le gesta del personaggio mitologico di Teseo.

Tèseo si dirigeva verso Maratona per uccidere il toro cretese che Eracle aveva riportato in Grecia, quando scoppiò un temporale. Ecale accolse allora l’eroe nella propria capanna e giurò di fare un sacrificio a Zeus se egli avesse vinto il toro. Teseo ebbe successo ma, al suo ritorno presso la capanna, ritrovò la donna morta. In suo onore, istituì le feste ecalèsie e fondò uno tempio a Zeus Hecalesios. Conferì inoltre il suo nome a uno dei demi attici.

Callimaco basò un suo epillio sul mito di Ecale. L'epillio di Callimaco, scrittore dell'ellenismo, rivoluziona il vecchio modo di pensare dell'èpos greco: a dare il nome all'opera non è l'eroe Tèseo, ma proprio la vecchia Ecale. Il fine dello scrittore è il motivo eziologico: Callimaco spiega, attraverso il mito, come si sia arrivati alle festività delle Ecalesie. Il motivo eziologico è molto presente in questo autore, che di fatto scrive anche gli "Aìtia" (Cause).

Ecamede

Ecamede è un personaggio della mitologia greca, menzionata nell'Iliade.

Figlia di Arsinoo, venne catturata da Achille nella conquista dell'isola di Tenedo mentre lo stesso si recava a Troia. Successivamente divenne schiava di Nestore.

Ecate

ntichissima divinità ctonia forse originaria della Tracia. Il nome significa, secondo alcuni, colei "che opera da lungi", ma è etimologia non sicura. Non è menzionata in Omero; Esiodo nella Teogonia la celebra come superiore agli altri Titani, alla cui famiglia appartiene come figlia di Perse e di Asteria; ma altri la considera figlia di Zeus e di Asteria, o di Demetra, o di Era, o del Tartaro. Il passo di Esiodo del resto si ritiene interpolato dagli Orfici per opera dei quali Ecate divenne una divinità importante nel secolo VI avanti Cristo. Essa esercita un largo potere su tutti i regni della natura: nel cielo, sulla terra, in mare; benefica verso gli uomini, a cui dà sapienza, felicità e salute. Dagli Orfici le venne pure il carattere di divinità mistica e fu confusa con Artemide, Demetra, Persefone, Rea, Cibele. Unita con Demetra, di cui si fa ancella per accompagnarla dovunque alla ricerca di Persefone, diventò divinità lunare e signora della notte quale dea ctonia; Persefone è fedele ad Ade, ma non ha avuto figli da lui e gli preferisce la compagnia di Ecate. Zeus stesso onora Ecate tanto che non le tolse l'antica prerogativa di cui sempre godette: di poter concedere o negare ai mortali qualsiasi dono desiderato. Fra le ombre, Ecate esercita il suo terribile e violento dominio, manda demoni (le Empuse e le Lamie) a tormento degli uomini e vaga fra le tombe e i trivii, onde le venne l'epiteto di "trivia". Le Embuse, figlie di Ecate, hanno il costume di terrorizzare i viandanti, ma si può scacciarle prorompendo in insulti, poiché all'udirli fuggono con alte strida. Esse assumono l'aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle e, in quest'ultima forma, si giacciono con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana, e succhiano le loro forze vitali portandoli alla morte.
Come dea notturna dei fantasmi e delle malie era naturale che presiedesse alla magia, che fosse maestra delle maliarde nei loro incantesimi, negli scongiuri e nelle evocazioni dei morti. Circe e Medea avevano appreso da Ecate la loro arte e di essa erano ministre.
Ecate fu venerata sia con culto pubblico, sia con culto segreto in Samotracia, in Lemno, nell'Asia Minore, nella Tessaglia, nella Beozia; insieme con Demetra e con Ermete in Egina e ad Atene. Le furono dedicati templi a Egina, ad Argo, a Samotracia e in moltissime città dell'Asia Minore. Gli Ateniesi le eressero una statua sull'Acropoli; le si innalzavano statue nei trivii, le si immolavano cani, quali vittime espiatorie dei defunti, alla fine d'ogni mese le sue immagini erano adornate di fiori e di offerte di cibi vari; le si offrivano sacrifici di agnelle nere e doni di latte e miele appunto come divinità ctonia.
I Romani accolsero questa divinità greca senz'altro, ma essa a Roma ebbe assai minore importanza che in Grecia e la sua personalità risulta impoverita. Maggiore diffusione Ecate acquistò negli ultimi secoli del paganesimo, insieme col rifiorire delle arti magiche nell'età imperiale. Nelle province occidentali dell'Impero s'incontrano di rado invocazioni a Ecate, più frequentemente invece a Trivia nelle province di Germania.
I poeti di solito la rappresentano d'aspetto terribile, con serpi fra i capelli, con piedi di serpente e con tre teste, una di cavallo, una di cane, una di leone, onde fu detta triforme, tricipite. L'arte invece la rappresentò ora quale donna di età matura, ora con tre figure o con tre teste, e in questa forma era collocata nei trivii; per lo più portava fiaccole, chiavi, o altro; attributi simbolici erano cani, serpi, funi, pugnali, fiori di loto.

Ecbaso


Nella mitologia greca, Ecbaso era il nome di uno dei figli di Argo che fondò una città chiamata con il suo nome diventandone re.

Argo da sua moglie Evadne ebbe diversi figli fra cui Criaso, Peranto e lo stesso Ecbaso. Egli crebbe e sposandosi ebbe un figlio Agenore, fu nonno del mostro Argo che tene a bada per ordine di Era Io, colei che Zeus voleva, che in realà essendo figlia di Inaco a sua volta era un discendente del fratello di Ecbaso, Peranto.

Echeclo

Nella mitologia greca, Echeclo era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia.

Sotto il nome di Echeclo ci furono due guerrieri troiani che il destino volle cadere per mano di due amici:

* Echeclo, guerriero schierato nell’esercito troiano ucciso da Patroclo quando questi si finse Achille indossando le sue armi.

* Echeclo, giovanissimo figlio di Agenore fu ucciso dal vero Achille che era ritornato a combattere quando, spronato dall'uccisione del suo amico Patroclo per mano di Ettore, riprese le armi, le armi nuove che Vulcano ebbe consegnato a Teti, e si gettò nel combattimento tremendo ed inesorabile vendicatore. Echeclo non uccise alcun nemico durante gli scontri tra Greci e Troiani ma mostrò notevole coraggio nel duello fatale contro Achille: venne colpito dalla spada nemica in piena testa e morì con il cranio spaccato che versava sangue da ogni parte.

Echela

Nella mitologia greca, Echela era il nome di uno dei figli di Pentilo.

Partì con il suo gruppo, fra cui vi era Sminteo, decisi a colonizzare l'isola di Lesbo. Durante il viaggio giunsero innanzi ad uno scoglio noto con il nome di Mesogeon. A quel punto dovevano appagare le richieste avanzate dall'oracolo tempo addietro: dovevano sacrificare un toro e una donna, il primo per soddisfare il dio dei mari Poseidone, il secondo sacrificio era per placare le ire possibili delle Nereidi. Scelsero a caso la fanciulla da sacrificare e il destino scelse la figlia di Sminteo. Enalo, un ragazzo innamorato della ragazza si gettò con lei, e forse si salvarono.

Echemmone

Nella mitologia greca, Echemmone è il nome di un figlio illegittimo di Priamo, re di Troia, che prese parte all'omonima guerra come difensore della sua città. La sua tragica fine è narrata da Omero nel libro V dell'Iliade.

Echemmone era uno dei trentasei figli di Priamo che quest'ultimo generò con una donna diversa da sua moglie, sebbene non si abbiano notizie sul nome della madre (Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, libro III, 12, 5.) Il conflitto che lo vide partecipe fu in realtà causato da un suo fratellastro, Paride, il quale, rapendo Elena, moglie dell'uomo che l'aveva accolto a Sparta, Menelao, aveva commesso una grave offesa che meritava di essere punita dallo stesso Zeus (protettore del vincolo dell'ospitalità).

Morte

Nella prima giornata di guerra raccontata nell'Iliade, Echemmone, salito su un cocchio in compagnia del fratello Cromio, cercò di mettere fine alle stragi causate dall'avversario Diomede nell'esercito troiano. L'eroe, intravisti i due fratelli armati, si precipitò su di loro e li gettò uno dopo l'altro nella polvere, finendoli quindi a colpi di spada come un leone che, balzato tra i buoi, li annienta ferocemente spezzando loro il collo. Diomede spogliò poi i loro cadaveri delle armi e affidò i cavalli che trainavano il cocchio ai suoi compagni come bottino di guerra. Una tradizione contrastante, riportata da Ditti Cretese, afferma che Echemmone venne ucciso da Odisseo dopo che i Troiani, demotivati dalla scomparsa del loro invincibile alleato Memnone, si abbandonarono ad una vergognosa fuga.

Echepolo

Nella mitologia greca, Echepolo era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re del regno di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto il nome di Echepolo ritroviamo:

* Echepolo, figlio di Talisio, un soldato da parte troiana che non aveva paura di combattere in prima fila, venne colpito al volto dall’arma di Antiloco, che lo passò da parte a parte: cadde a terra morto con gran fragore. Si tratta della prima vittima degli scontri narrati nell'Iliade.
* Echepolo, figlio di Anchise, per non partecipare alla guerra dove suo fratello Enea gli era contro preferì regalare due cavalli ad Agamennone: tali bestie si chiamavano Podarce e Aite

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 19:56
 
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Echidna

Mostro dell'antica mitologia greca, figlia di Forcide e di Ceto, figli di Ponto e di Gaia; oppure nata dal misterioso Crisaore e da Calliroe, figlia d'Oceano o da Tartaro e Gaia. il suo nome significa "vipera". Nella parte superiore del corpo era una giovane ninfa dal bel viso, dallo sguardo dolce; per l'altra metà era un enorme serpente ricoperto di scaglie dai colori cangianti. Viveva un tempo in una grotta profonda tra gli Arimi; mangiava uomini crudi. Altre tradizioni la pongono nel Peloponneso: qui sarebbe stata uccisa nel sonno da Argo dai Cento Occhi, perché aveva l'abitudine di divorare i passanti.
Secondo la Teogonia attribuita a Esiodo, Echidna in unione a Tifeo o Tifone, il terribile avversario di Zeus nelle epoche cosmogoniche, generò parecchi mostri, fra i quali: Ortro, il cane a due teste di Gerione, che si giacque con la propria madre e generò in lei la Sfinge e il leone Nemeo; Cerbero, il cane infernale a tre teste; un'aquila che divorava ogni giorno il fegato (che sempre rinasceva) a Prometeo; una terribile scrofa crommionia che fu cacciata e uccisa da Teseo; la Chimera, capra che sputava fiamme, con la testa di leone e la coda di serpente, uccisa da Bellerofonte; l'Idra, serpente acquatico dalle molte teste che viveva nella palude di Lerna, dove gli omicidi venivano a purificarsi. Ecco l'origine del proverbio: "Una Lerna per i malvagi". Il drago Ladone che sorvegliava i pomi d'oro delle Esperidi. Secondo altre tradizioni, questo drago era figlio di Forcide e di Ceto, oppure figlio della Terra. Aveva cento teste e parlava un linguaggio umano. Fu ucciso da Eracle. A Echidna si attribuisce anche la maternità dell'insonne dragone di Colchide, che custodiva il Vello d'oro.

Echio

Nella mitologia greca, Echio era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Echio, forte guerriero troiano, ucciso da Patroclo quando si fingeva Achille, durante l’attacco alle navi da parte dei soldati troiani.
* Echio, padre di Mecisteo
* Echio, abile soldato acheo, ucciso da Polidamante
* Echio, guerriero acheo, che fu ucciso da Polite, figlio di Priamo e di Ecuba.

Echio (Troia)

Echio, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Echio fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Echione (Sparti)

Echione è un personaggio della mitologia greca, nato dai denti di drago seminati da Cadmo.

Quando Cadmo uccise il drago, seminò i suoi denti nella terra. Da ognuno di essi spuntò un guerriero che andò a formare l'esercito degli Sparti. Cadmo li convinse a combattere tra loro fino a che non ne sopravvissero cinque, ai quali chiese d'aiutarlo a costruire la rocca della nuova città di Tebe: la Cadmea.

Echione sposò la figlia di Cadmo, Agave, e dal loro matrimonio nacque Penteo.

Eco

Ninfa dei boschi e delle sorgenti, sulle cui vicende numerose sono le tradizioni; a Ovidio dobbiamo il racconto più ampio ed esauriente. Secondo Ovidio Eco, dotata di grande parlantina, fu punita per aver distratto Era con lunghe favole mentre le concubine di Zeus, le Ninfe della montagna, sfuggivano ai suoi occhi gelosi e si mettevano in salvo. La dea le tolse la voce in modo che non poteva mai parlare per prima, né tacere quando le si parlava, essendo costretta a ripetere le ultime sillabe dei discorsi che ascoltava. Secondo un'altra versione, sempre di Ovidio, Eco che viveva sui monti e nelle selve, si innamorò di Narciso e, non potendogli dire dell'amore che provava, gli ripeteva sempre le ultime sillabe delle parole da lui pronunciate. Narciso la respinse in modo brusco e fuggì: "Morirò prima che tu giaccia con me!" egli gridò. "Che tu giaccia con me!" ripetè Eco lamentosamente. Ma Narciso era sparito ed Eco trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo d'amore e di rimpianto, finché di lei rimase soltanto la voce. Pure a Ovidio è dovuta un'altra redazione del mito di Eco: ella sarebbe stata una ninfa dedita alla musica e al canto, ma un giorno avrebbe respinto l'amore di Pan che l'aveva incontrata e si era innamorato di lei, e il dio, irato, le avrebbe sollevato contro i pastori che l'avrebbero fatta a brani e dispersa per i monti e le selve; di Eco sarebbe sopravvissuto solo la voce. Altre tradizioni la dicono figlia di una ninfa e di un mortale, oppure figlia di Era; si sarebbe unita a Pan e ne avrebbe avuto una figlia, Iunge.
Evidentemente tutte le diverse tradizioni nascono dall'intento di spiegare il fenomeno acustico dell'eco.

Ecuba (mitologia)

Nella mitologia greca, Ecuba, detta anche Ecabe dai greci era la seconda moglie di Priamo.

Genealogia


La sua genealogia era oggetto di controversia nell'antichità. Esistevano due tradizioni: una ne faceva la figlia di Dimante, re di Frigia; l'altra, quella di Cisseo, re di Tracia e di Telecleia. Nel primo caso ella discende dal fiume Sangario. Una variante di questa tradizione faceva del Sangario non un suo bisnonno, ma suo padre, il quale l'avrebbe avuta dalla ninfa Evagora. Le si attribuiva, altresì per madre, la figlia di Xanto, Glaucippe. La moglie di Dimante invece era la ninfa Eunoe ed aveva avuto un altro figlio, Asio, fratello di Ecuba. La tradizione che ricollega Ecuba a Dimante e alla Frigia è quella dell'Iliade. Le origine tracie sono preferite dai Tragici, particolarmente da Euripide. Il problema genealogico posto da Ecuba era così complesso che l'imperatore Tiberio, di facile ironia, amava proporlo ai grammatici del suo tempo.

Nelle fonti che vogliono Ecuba figlia di Cisseo, ella ha due sorelle, Teano, sposa di Antenore, e un'altra di cui non si conosce il nome, molto più giovane, moglie di Ifidamante, l'ultimogenito di Teano.

Mito

Matrimonio con Priamo


Ecuba, accompagnata dal marito Priamo e dal primogenito Ettore, da una ricostruzione di un vaso.

Il re di Troia Priamo sposò dapprima Arisbe, figlia del veggente Merope, dal quale ebbe un figlio di nome Esaco[4]. Ma quando fu stanco di lei, la ripudiò affidandola a Irtaco, che a sua volta le diede due figli, Asio e Niso, gli Irtacidi, i quali in seguito presero parte alla guerra di Troia.

Priamo sposò dunque in seconde nozze Ecuba, che allora era molto giovane e di cui si era profondamente innamorato. Essa generò al marito diciannove figli, sebbene Priamo ebbe in totale cinquanta figli, generati con altre concubine e altre mogli. Ma ciò è smentito da Euripide, che portava a cinquanta il numero dei figli e li considerava tutti procreati dalla sola Ecuba.

Apollodoro invece parla solo di quattordici figli:

* il primogenito fu Ettore, sebbene egli era ritenuto figlio di Apollo e della regina;
* Paride, soprannominato Alessandro, la cui nascita fu annunciata da un sogno profetico, era il secondogenito;

seguirono poi quattro figlie:

* Iliona (che la maggiore parte degli autori non riporta), che andò in sposa a Polimestore, re di Tracia;
questa prima figlia fu seguita da
* Creusa, sposa di Enea;
* Laodice, la più bella;
* Polissena, la più giovane di queste quattro;

seguirono poi figli maschi, e tra di loro la profetessa Cassandra; l'ordine sarebbe questo:

* Deifobo;
* Eleno;
* Cassandra, (che secondo una versione è sorella gemella di Eleno);
* Pammone;
* Polite;
* Antifo;
* Ipponoo
* Polidoro, che fu però generato in Ecuba da Apollo.
* L'ultimo nato fu Troilo, il più amato della famiglia, secondo le leggende generato sempre da Apollo.
Le si attribuiva anche un quindicesimo figlio, chiamato Polidamante.

Il matrimonio con Priamo permise ad Ecuba di affiancarlo nel governo della città e nelle esigenze dei loro sudditi. La regina, alternando alla politica l'allevamento e l'educazione dei suoi figli, si rivelò un'abile donna, anche capace di dare consigli utili al marito e alla sua numerosa prole. Durante questo periodo, Ecuba si rivelò fedele a Priamo nei suoi doveri coniugali, sebbene alcuni autori raccontino delle sue avventure erotiche con il dio Apollo. La divinità, delusa dall'ostinato rifiuto amoroso di una figlia di Ecuba, Cassandra, si consolò con la regina con la quale giacque per una notte. Dall'unione sarebbe nato Polidoro (che altrove è ritenuto figlio di Priamo), e probabilmente anche Troilo, il quale, secondo un oracolo annunciato dallo stesso Apollo, se avesse compiuto venti anni avrebbe risparmiato alla città su cui governavano i suoi genitori una fine triste. Stesicoro attribuiva a questi amori segreti anche il concepimento dell'eroe Ettore.

Predizioni di Ecuba

Ecuba ebbe numerosi figli dal matrimonio con Priamo, alcuni dei quali, in particolar modo, si rivelarono prodigiosi a causa di doni o benefici concessi loro dagli dèi stessi.
Più volte la regina troiana si trovò ad essere la testimone di questi eccezionali doni, o addirittura l'intermediaria tra la divinità e la sua progenie, attraverso sogni, visioni, o incubi notturni.

Dopo la nascita del primogenito Ettore, la regina si trovò incinta di un secondo bambino, ed era ormai sul punto di darlo alla luce.
Una notte, tuttavia, Ecuba sognò di partorire dal suo ventre una fascina di legna, ricolma di serpenti; contemporaneamente vedeva una torcia accesa, che nasceva sempre dal suo ventre, appiccando fuoco alla roccaforte di Troia e all'intera foresta del monte Ida.
La regina si svegliò urlando l'orrenda visione, il che spaventò Priamo che ordinò immediatamente di condurre i migliori indovini a corte. Il primo ad essere consultato fu suo figlio Esaco.

Assume un ruolo di primo piano in due tragedie di Euripide: Le Troiane e Ecuba. Nella prima Ecuba viene destinata come schiava ad Ulisse e le tocca di assistere alla morte del nipote Astianatte. Nella seconda, dramma personale, si esalta l'orgoglio e l'amore di una regina che vede i suoi figli perire uno ad uno. La morte del figlio Polidoro per mano del re frigio Polimestore viene da lei vendicata con l'accecamento dello stesso Polimestore.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:00
 
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Edipo

Edipo è un eroe della mitologia greca.

La nascita e il destino di Edipo

Laio, marito di Giocasta e re di Tebe, era afflitto dalla mancanza di un erede. Crucciato per questa insospettabile infertilità, consultò in segreto l'oracolo di Delfi, che gli spiegò come quella apparente disgrazia fosse in realtà una benedizione degli dèi, dato che il bambino destinato a nascere dalla loro unione non soltanto l'avrebbe ucciso, ma avrebbe anche sposato la madre, essendo la causa di un seguito spaventoso di disgrazie che avrebbero provocato la rovina della casa. Sperando di salvarsi, Laio ripudiò la moglie senza darle spiegazioni di sorta. Ma ubriacatolo, Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte che si rivelò fatale.

Quando nove mesi dopo la donna partorì un bambino, Laio, per evitare il compimento dell'oracolo, lo strappò dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo "espose" per mano di un suo servo. Venne poi trovato da Peribea, la moglie del re di Corinto Polibo, o da un pastore che lo portò da lui. Comunque il bambino venne allevato alla corte di Polibo, credendo di essere il figlio del re di Corinto. Al bambino venne dato il nome di "Edipo", che in greco vuol dire "piede gonfio" a causa delle ferite che aveva nelle caviglie. Anni dopo un nemico di Edipo, volendolo offendere, disse ad Edipo che lui non era il figlio di Polibo, ma un trovatello. Turbato, Edipo interrogò Polibo il quale, con molte reticenze, finì col dirgli quella che non era affatto la verità. Ma Edipo, ancora incerto, stabilì di partire per interrogare l'oracolo di Delfi e sapere chi erano davvero i suoi genitori. Quando si recò presso il santuario, la Pizia, inorridita, lo cacciò dal santuario, predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Atterrito dal vaticinio, Edipo, per evitare di uccidere Polibo e di sposare Peribea, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe.

Durante il cammino verso la Focide, non lontano da Delfi, si imbatté in un cocchio guidato da Laio e diretto al santuario delfico per tentare di chiedere alla Pizia la liberazione di Tebe dalle calamità che la tormentavano. Infatti a Tebe una sfinge imponeva indovinelli a chi passava e, se l'interrogato non riusciva a rispondere, lo divorava. Vedendo il giovane sulla strada, l'araldo di Laio, Polifonte (o Polipete), ordinò a Edipo di lasciare passare il re; ma poiché quest'ultimo non si affrettava ad obbedire, infuriato, uccise uno dei suoi cavalli ed avanzò col carro, ammaccando un piede dell'eroe. Incollerito, Edipo balzò sul cocchiere, uccidendolo con la sua lancia; Laio si trovò incastrato nelle redini dei cavalli per mano di Edipo che, gettatolo a terra e frustato i cavalli, lo trascinò nella polvere fino a ucciderlo. In tal modo, la prima profezia dell'oracolo si era compiuta.

Alla notizia della morte di Laio, i tebani elessero re Creonte, fratello di Giocasta. Anche Creonte non seppe come affrontare la Sfinge e quando il mostro rapì e divorò suo figlio Emone fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e dato in moglie Giocasta a colui che avrebbe risolto l'enigma.

L'indovinello della Sfinge

Proprio in questa occasione, Edipo giunse a Tebe dove incontrò la Sfinge. Accovacciata sul monte Ficio, presso Tebe, la creatura figlia di Tifone e di Echidna era un mostro con testa di donna, il corpo di leone, una coda di serpente e delle ali di rapace. Essa era stata inviata da Era per punire i Tebani irata contro Laio perché aveva rapito il fanciullo Crisippo di Pelope. Ad ogni passante, la creatura esponeva un enigma insegnatole dalle Muse: «Qual era l'essere che cammina ora a due gambe, ora a tre, ora a quattro e che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?». Esisteva anche un altro enigma: «Esistono due sorelle, delle quali l'una genera l'altra, e delle quali la seconda, a sua volta, è generata dalla prima?». Ma nessuno, fra i Tebani, aveva mai potuto risolvere questi enigmi, e la Sfinge li divorava uno dopo l'altro.

Una versione, forse più antica, raccontava che ogni giorno i Tebani si incontravano nella piazza della città, per cercare di risolvere in comune l'indovinello, ma senza riuscirvi mai, e ogni giorno, a conclusione di quella seduta, la Sfinge divorava uno di essi.

Ora Edipo, che era passato da lì, dopo aver ascoltato gli enigmi della creatura, comprese immediatamente quali erano le risposte; la risposta al primo indovinello era l'uomo, perché esso cammina durante l'infanzia, a quattro gambe, poi a due, e infine si appoggia ad un bastone nella vecchiaia; al secondo, era il Giorno e la Notte (il nome del giorno è femminile in greco; è dunque «sorella» della notte). La Sfinge, indispettita, si precipitò dall'alto della roccia sulla quale era appollaiata. Oppure, fu Edipo stesso a spingerla nell'abisso.

Creonte, soddisfatto dell'impresa del giovane eroe, e soprattutto di vedere vendicata la morte di suo figlio, cedette il trono ad Edipo il quale sposò Giocasta. La profezia si era avverata fino in fondo: il figlio aveva sposato la madre. Dalla loro unione nacquero due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene.

Dopo un lungo felice periodo di regno, una peste si abbatté sulla città di Tebe, ed Edipo inviò Creonte a chiedere all'oracolo di Delfi la ragione di quel flagello. Creonte ritornò riportando la risposta della Pizia: la peste sarebbe cessata soltanto se la morte di Laio fosse stata vendicata. Edipo pronunciò allora contro l'autore di quel delitto una maledizione - condannandolo all'esilio - la quale finirà per rivolgersi contro lui stesso. Interrogò poi l'indovino Tiresia per chiedergli chi fosse il colpevole. Tiresia, il quale, attraverso le sue facoltà divinatorie, conosceva tutto il dramma, tentò di evitare la risposta, dimodoché Edipo si immaginò che Tiresia e Creonte fossero gli autori del delitto. Si accese dunque una disputa fra Edipo e Creonte. Allora Giocasta mise in discussione la chiaroveggenza di Tiresia, e a prova di questo mise la profezia che lui stesso aveva fatto sul figlio di Laio e Giocasta, credendo che non si fosse avverata. Disse che invece Laio era morto ucciso dai briganti in un crocicchio. Alla parola "crocicchio" Edipo temette di essere lui stesso l'assassino di Laio e si fece descrivere Laio e la carovana che lo portava. Ma da Corinto arrivò un araldo, che informò Edipo della morte dell'uomo che lui credeva suo padre, Polibo. Giocasta e Edipo credettero così che la profezia fosse stata scongiurata, ma l'araldo disse ad Edipo che in realtà Polibo non era suo padre. Capita la situazione, Giocasta si uccise, ed Edipo si trafisse gli occhi con la spilla della moglie-madre.

L'esilio e la fine di Edipo


Per qualche tempo, Creonte, ridiventato re, tenne nascosta la vicenda ma ben presto i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, scoperta la storia dell'incesto, chiesero al re di cacciarlo da Tebe. Disgustato dal loro comportamento, Edipo li maledisse, predicendo loro che si sarebbero divisi e sarebbero morti l'uno per mano dell'altro. Così l'eroe cieco, vittima dell'imprecazione pronunciata da lui stesso contro l'uccisore di Laio, prima di sapere chi fosse, solo e accompagnato da Antigone e Ismene, cominciò a peregrinare per il paese, chiedendo l'elemosina.
Edipo a Colono, accompagnato da Antigone, dipinto di Fulchran-Jean Harriet, 1798.

Dopo lunghi anni, Edipo vagò per la Grecia, fino a giungere in Attica; con le figlie arrivò a Colono nelle cui vicinanze si estendeva un bosco dedicato alle Erinni (le tre terribili dee alate che punivano con il rimorso chi turbava l'ordine morale, ma che si trasformavano nelle tre benevole Eumenidi se il colpevole si pentiva, come nel caso di Edipo), nel quale si addentrò per attendere la morte.

Mentre vagava nelle vicinanze l'eroe trovò Teseo, il quale lo confortò e lo accolse ospitalmente con le due figlie nella sua reggia. Avendo un oracolo dichiarato che il paese che avrebbe accolto la tomba di Edipo sarebbe stato benedetto dagli dei, Creonte cercò di convincere Edipo, morente, a tornare a Tebe. Ma Edipo, che era stato accolto ospitalmente da Teseo, si rifiutò e volle che le sue ceneri rimanessero in Attica.

Poiché aveva saputo che la fine gli sarebbe stata annunciata da tuoni e da fulmini, al primo tuono fece chiamare Teseo, che lo raggiunse nel pieno del temporale scatenato da Zeus. Sotto la pioggia, Edipo giunse nei pressi di un abisso; qui alcuni gradini di bronzo conducevano agli Inferi. Edipo si sedette, si tolse gli abiti sporchi, si fece lavare e vestire dalle figlie e con loro intonò il lamento funebre. Appena terminato il canto, si sentì la voce di un dio che chiamava Edipo. Subito dopo risuonò un altro tuono, così forte che Teseo si coprì la faccia col mantello. Quando tolse le mani, Edipo era scomparso per sempre.

Eete

Eete (o Eeto o, ancora, Eeta) è una figura della mitologia greca. Fu figlio di Elio e di Perseide, nonché fratello della maga Circe e di Pasifae, moglie di Minosse e regina di Creta. Fu re della città di Eea sul Fasi, nella Colchide.

Da Idia, figlia di Oceano, Eeta ebbe due figlie e un figlio, la prima, Calciope, sposò Frisso, che, in segno di riconoscenza, donò ad Eeto il vello d'oro.

La seconda figlia, Medea, in possesso di poteri magici, aiutò Giasone a conquistare il vello d'oro, tradendo il padre. Il maschio, Apsirto, fu ucciso da Medea per poter fuggire a Corinto con gli Argonauti.

È citato da Apollonio Rodio e dal mitografo Apollodoro.

Eetione (mitologia)

Nella mitologia greca, Eetione era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Eetione o Ezìone, padre di Andromaca e di Pode
* Eetione, di Imbro, colui che riscattò comprando a caro prezzo Licaone, il figlio di Priamo che Achille aveva catturato e venduto come schiavo.

Eezìone

Eezìone è un personaggio della mitologia greca; era il padre di Andromaca, moglie di Ettore e madre di Astianatte (Scamandrio). Nel Canto VI dell'Iliade si parla di lui tramite le parole di Andromaca stessa.
Eezìone, mentre regnava su Tebe Ipoplacia, in Cilicia, fu ucciso da Achille, ma non fu spogliato delle sue armi (come era usanza fare quando si abbatteva un nemico). Achille infatti ne ebbe rispetto, come fosse un nemico valoroso, uno dei pochi che avesse mai temuto. Fu quindi fatto bruciare con le sue armi e gli venne dedicato un sepolcro con degli olmi intorno, piantati dalle ninfe montane.

Efesto

E' il dio artefice di opere mirabili, il fabbro divino, inventore e maestro della lavorazione dei metalli, generato da Era, secondo Esiodo, senza alcuna collaborazione maschile. Secondo altri autori era figlio di Zeus e di Era. Una tradizione cretese fa di Efesto non il figlio di Zeus, ma di Talo, figlio di Creso, eroe eponimo dell'isola. Efesto nacque così gracile e mingherlino che sua madre Era, disgustata, lo gettò giù dall'Olimpo per liberarsi dall'imbarazzo che il suo pietoso aspetto le ispirava. Efesto tuttavia sopravvisse al pauroso volo poiché cadde nel mare, dove le ninfe oceanine Teti ed Eurinome lo accolsero e tennero il bimbo con loro per nove anni in una grotta sottomarina. Qui Efesto installò la sua prima fucina e ricompensò le sue ospiti delle cortesie usategli forgiando e modellando per loro ogni sorta di oggetti utili e gioielli, che realizzava con grande maestria. Era, che apprezzava parecchio i gioielli e saputo che tali meraviglie erano opere del figlio, lo chiamò sull'Olimpo. Efesto vi andò, ma dopo qualche tempo per vendicarsi della madre che l'aveva gettato fuori dell'Olimpo, le costruì un magnifico trono d'oro fornito di invisibili lacci, in cui ella, sedendosi, rimase avvinta; nessuno era capace a scioglierla tranne Efesto che rifiutò di farlo. Solo Dioniso, che godeva della sua fiducia, lo fece ubriacare a puntino e, caricatolo sul dorso di un asino, lo portò sull'Olimpo e lo convinse a liberare Era. Benché ubriaco il dio aveva mantenuto una certa lucidità, difatti per liberare Era volle in cambio Afrodite per sposa. Ma il vero padre dei tre figli che Afrodite diede alla luce, Fobo, Deimo e Armonia, era Ares. Efesto non si accorse di essere ingannato finché gli amanti indugiarono a letto troppo a lungo nel palazzo di Ares in Tracia, ed Elio, sorgendo nel cielo li scoprì intenti ai loro piaceri, e andò a raccontare tutto a Efesto.
Efesto, furibondo, si ritirò nella sua fucina e forgiò una rete di bronzo, sottile come un velo ma solidissima, e la assicurò segretamente ai lati del suo talamo. Quando Afrodite ritornò dalla Tracia, Efesto le disse che doveva recarsi per una breve vacanza a Lemno, la sua isola favorita. Afrodite non si offrì di accompagnarlo, anzi, non appena Efesto fu partito, mandò a chiamare Ares che si precipitò al palazzo. Ambedue si coricarono nel talamo di Efesto, ma all'alba si trovarono imprigionati nella rete, completamente nudi e senza possibilità di scampo. Efesto, ritornato dal suo viaggio, li colse sul fatto e invitò tutti gli dèi a far da testimoni al suo disonore. Annunciò poi che non avrebbe liberato la moglie finché non gli fosse stata restituita la preziosa dote che aveva dovuto pagare a Zeus, padre adottivo della sposa.
Gli dèi accorsero subito per vedere Afrodite nell'imbarazzo, ma le dee, per un delicato senso di pudore , rimasero a casa. Apollo, Ermete e tutti gli dèi scoppiarono in una gran risata, ma Zeus era così disgustato che rifiutò di restituire la dote o di intromettersi in un litigio tanto volgare tra moglie e marito, dichiarando che Efesto era stato uno sciocco a mettere in piazza gli affari suoi. Poseidone si offrì di pagare il valore equivalente alla dote se Ares avesse rifiutato di pagare il debito. Così Ares fu rimesso in libertà e ritornò in Tracia, mentre Afrodite andò a Pafo, dove ricuperò la propria verginità bagnandosi nel mare.
Efesto si era riconciliato del tutto con Era, tanto che osò rimproverare Zeus per averla appesa al cielo perché essa tormentava Eracle. Ma gli sarebbe convenuto tacare, poiché Zeus infuriato lo scagliò giù dall'Olimpo una seconda volta. Precipitò e toccò terra sull'isola di Lemno fratturandosi ambedue le gambe. Ritornato sull'Olimpo col perdono di Zeus, potè camminare soltanto con l'aiuto di grucce d'oro.
Molti dèi, Titani o Giganti avrebbero volentieri sposato Atena, ma essa rifiutò le loro proposte. Ma un giorno, durante la guerra di Troia, non volendo chiedere in prestito le armi a Zeus che si era dichiarato neutrale, Atena pregò Efesto di fabbricarle un'armatura. Efesto rifiutò di essere pagato, dicendo astutamente che si sarebbe assunto l'incarico per amore; Atena non afferrò il significato di quella frase e, quando si recò nella fucina di Efesto, il dio all'improvviso si volse e cercò di usarle violenza. Quando Atena si divincolò da Efesto, questi eiaculò sulla sua coscia, un po' al disopra del ginocchio. La dea si ripulì con una manciata di lana, che gettò via disgustata: la lana caddè al suolo e casualmente fecondò la Madre Terra. Ribellandosi all'idea di avere un figlio che Efesto avrebbe voluto generare in Atena, la Madre Terra rifiutò ogni responsabilità per la sua educazione. Atena allora prese sotto la sua protezione il bimbo appena nato e lo chiamò Erittonio, lo celò in un cesto che affidò ad Aglauro, figlia maggiore del re di Atene, Cecrope, raccomandandole di averne cura.
Zeus ordinò a Efesto di fabbricare una donna, ai quattro Venti di soffiare in essa la vita, e a tutte le dee dell'Olimpo di adornarla. Codesta donna, Pandora, fu la più bella del mondo e Zeus la inviò a Epimeteo, il quale, dimenticando il consiglio del fratello, Prometeo, ne fece la propria moglie, sedotto dalla bellezza. Pandora era stupida, malvagia e pigra quanto bella: la prima di una lunga serie di donne come lei. Subito essa aprì il vaso che Prometeo aveva raccomandato a Epimeteo di tenere chiuso, e tutti i mali si riversarono sull'umanità. Rimase sul fondo solo la Speranza, che non potè scappare poiché Pandora aveva richiuso prima il coperchio.
Efesto si rivelò molto utile a tutti gli dei dell'Olimpo. Costruì splendide sale e palazzi, consentendo agli dei di vivere in mezzo al lusso. A Delfi si dice che Efesto costruì il quarto santuario in bronzo, con canori uccelli d'oro appollaiati sul tetto. La corona, che Dioniso regalò ad Arianna come dono di nozze, fu fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose. A Cheronea, lo scettro a forma di lancia è forse l'unica autentica opera di Efesto ancora esistente. Zeus lo inviò a Pelope, figlio di Tantalo, a mezzo di Ermete, e Pelope lo trasmise poi al re Atreo. I lucidi schinieri di bronzo, la corazza aurea e lo splendido scudo indossati da Eracle nel duello contro Cicno, figlio di Ares, erano opera di Efesto. Teti regalo ad Achille una nuova armatura comprendente anche un paio di preziosi schinieri forgiati da Efesto. Le ceneri di Achille, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto, dono di nozze di Dioniso a Teti. Efesto aveva costruito il palazzo reale di Eete, per ringraziare Elio che era accorso in suo aiuto quando egli stava per essere sopraffatto dai Giganti durante l'assalto all'Olimpo. Efesto avrebbe anche favorito la nascita di Atena calando un fendente sulla testa di Zeus, da dove uscì fuori la dea vergine, senza quindi l'aiuto di una donna.
Efesto, brutto e disgraziato, ebbe donne di grande bellezza: Omero gli attribuisce Carite, la Grazia per eccellenza, ed Esiodo la più giovane delle Cariti, Aglae. Tra i suoi figli, quasi tutti zoppi come lui, vi fu l'argonauta Palemone; Perifete, un brigante di Epidauro; e Ardalo, scultore leggendario.
Il culto di Efesto non era molto diffuso: il suo centro nel mondo greco era l'isola di Lemno, dove sorgeva la città di Efestia, a lui consacrata, e un tempio nel punto in cui, secondo il mito, era caduto e dove Prometeo aveva rapito il fuoco. Ad Atene il suo culto era legato con lo sviluppo delle industrie metallurgiche, ed era collegato con quello di Atena: in suo onore si celebravano le Efestie durante le quali si svolgeva una corsa di giovani con fiaccole accese nella quale riusciva vincitore chi conservava più a lungo accesa la fiamma. In occidente il suo culto era particolarmente diffuso nelle regioni vulcaniche della Magna Grecia. I Romani lo chiamarono Vulcano.

Efialte (mitologia)

Efialte o Fialte è un personaggio presente sia nella mitologia greca (figlio di Poseidone e di Efimedea), sia nella storia greca.

La leggenda dipinge lui ed il fratello Oto come giganti, conosciuti col nome di Aloadi. Con la brama di assurgere fino al cielo, un giorno misero il monte Ossa sopra all'Olimpo e sopra a questo il monte Pelio. Con questo gesto attirarono a sé l'ira degli dei e furono uccisi da Apollo.

Omero riporta questa leggenda sia nell'Iliade che nell''Odissea, narrando anche dei trattamenti subiti da Ares, incatenato, e rinchiuso in un vaso di bronzo, fino a che Ermes non giunse a liberarlo.

Dante lo collocò nel Pozzo dei Giganti nell'Inferno. Esso viene ritratto come uno tra i più pericolosi giganti che per la sua irruenza è ridotto alla più completa immobilità con un quintuplo giro di catene che legano il suo corpo. Quando Virgilio, passandogli vicino, spiega a Dante-pellegrino che Briareo era un gigante più pericoloso di lui, Fialte, o per un moto di gelosia o per semplice rabbia da impotenza, si scuote generando un fortissimo terremoto, che spaventa Dante a morte, anche se la visione delle pesanti catene che non vacillano lo riconfortano subito. Successivamente i due incontrano Anteo.

Egeo

Mitico re di Atene, figlio di Pandione, successore di Cecrope, e di Pilia. Dopo la morte di Pandione, i suoi figli Egeo, Pallante, Niso e Lico furono costretti a riconquistare l'Attica che Pandione aveva perduto. Marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo, che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante fino a ovest di Corinto; a Lico toccò l'Eubea e a Pallante l'Attica meridionale. La vita di Egeo era costantemente minacciata dalle congiure dei suoi parenti, e in special modo di Lico, che si diceva fosse stato cacciato dall'Eubea.
Egeo sposò dapprima Meta, figlia di Oplete; poi Calciope, figlia di Ressenore; ma nessuna delle due gli diede dei figli. Attribuendo tale sventura, come pure la triste fine delle sue sorelle Procne e Filomela, alla collera d'Afrodite, egli ne introdusse il culto in Atene e poi si recò a consultare l'oracolo di Delfi da cui ebbe questo oscuro responso: "La bocca che sporge dall'otre, o migliore fra gli uomini, non slegare, prima di giungere al sommo di Atene". Lungo la via del ritorno si fermò a Corinto; colà Medea gli fece giurare solennemente che egli l'avrebbe protetta dai suoi nemici semmai essa si fosse rifugiata ad Atene e si incaricò di procurargli un figlio con opera di magia. Egeo si recò poi a Trezene, dove i suoi vecchi compagmi Pitteo e Trezene, figli di Pelope, erano giunti recentemente per dividersi il regno con re Ezio.
Pitteo fece ubriacare Egeo e lo mandò a letto con la propria figlia Etra. Nel corso della medesima notte, anche Poseidone godette di lei poiché, obbedendo a un sogno provocato da Atena, Etra lasciò Egeo e raggiunse l'isola di Sferia, vicinissima a Trezene. Colà, con la connivenza di Atena, Poseidone si giacque con Etra. Poseidone tuttavia concesse generosamente a Egeo la paternità del bimbo che fosse nato da Etra. Egeo, quando si destò nel letto di Etra, le disse che se un figlio fosse nato dal loro amplesso non doveva essere esposto ma bensì allevato segretamente a Trezene. Poi ritornò ad Atene per celebrare le Panatenee, dopo aver nascosto la propria spada e i propri sandali sotto un masso noto col nome di Altare di Zeus il Forte, e che sorgeva lungo la strada da Trezene a Ermione. Se il ragazzo, raggiunta la maturità, avesse avuto la forza di spostare il masso e di recuperare la spada e i sandali, si sarebbe dovuto mandarlo ad Atene. Frattanto Etra doveva tenere la bocca chiusa, affinché i nipoti di Egeo, i cinquanta figli di Pallante, non congiurassero contro la sua vita. La spada era un pegno avuto da Cecrope.
In una località ora chiamata Genetlio, sulla strada che dalla città conduce al porto di Trezene, Etra diede alla luce un figlio. Taluni dicono che essa lo chiamò Teseo; altri sostengono che il giovane si meritò in seguito quel nome ad Atene. Egli fu allevato a Trezene, dove il suo tutore Pitteo prudentemente mise in giro la voce che il bimbo era figlio di Poseidone. Mentre Teseo cresceva a Trezene, Egeo aveva mantenuto la promessa fatta a Medea, ospitandola quando essa fuggì da Corinto. In seguito la sposò e lei gli diede un figlio, Medo.
Allorché Teseo divenne un giovanetto forte e saggio, Etra lo guidò al luogo dove Egeo aveva nascosto la spada e i sandali e gli narrò la storia della sua nascita. Egli spostò senza alcuna difficoltà il masso, chiamato poi "Roccia di Teseo", e ricuperò i pegni lasciati da suo padre. Poi raggiunse Atene, e Medea lo riconobbe e ne divenne gelosa per via di Medo, il figlio che aveva avuto da Egeo e che si supponeva gli sarebbe succeduto sul trono. Cercò quindi di convincere Egeo a mandare il giovane contro il toro di Maratona che aveva ucciso il figlio di Minosse, Androgeo. Contrariamente alle sue aspettative, Teseo uscì vittorioso dallo scontro e riportò ad Atene il toro vivo. Medea allora decise di sopprimerlo. Fece credere ad Egeo che Teseo fosse una spia o un assassino, e lo indusse a invitarlo alla festa nel Tempio del Delfino; Egeo, che si serviva del tempio come della propria residenza, si preparò a offrire a Teseo una coppa di vino affatturato da Medea. Taluni dicono che quando il bue arrostito fu servito nel Tempio del Delfino, Teseo estrasse la spada per trinciare la carne e così attrasse l'attenzione di suo padre; ma secondo altri, Teseo si era già portato la coppa alle labbra senza sospettare di nulla quando Egeo notò i serpenti Eretteidi incisi sull'elsa della spada e rovesciò la coppa di vino avvelenato per terra. Egeo abbracciò Teseo e lo riconobbe come figlio dinanzi al popolo radunato. Animato da propositi di vendetta, Teseo inseguì allora Medea; essa però riuscì a fuggire avvolgendo il proprio corpo in una magica nube e si allontanò da Atene con il figlio Medo. Pallante e i suoi cinquanta figli, quando videro le loro speranze di governare in Atene minacciate da uno straniero, si ribellarono apertamente; ma Teseo balzò sui guerrieri in agguato e li sterminò.
Egeo si rese colpevole, nei confronti di Minosse, della morte del figlio Androgeo ucciso dal toro di Maratona, e ben presto Minosse invase l'Attica, e attaccò Megara e Atene: Megara cadde e Atene venne colpita da una pestilenza. Il tributo imposto da Minosse alla città di Atene di sette fanciulli e sette fanciulle da inviare ogni anno (altri dicono ogni tre anni, oppure ogni nove anni) per nutrire il Minotauro, dette luogo alla spedizione di Teseo contro l'orrenda creatura. L'eroe, partendo alla volta di Creta, aveva convenuto col padre che se l'impresa fosse riuscita avrebbe issata al ritorno una vela bianca; ma se ne dimenticò, lasciando la vela nera issata quando era partito col suo tributo umano. Egeo che da uno scoglio spiava ansioso il ritorno del figlio, non appena la vide credette morto Teseo e si precipitò nel mare, che ebbe poi da lui il nome di Mar Egeo.

Egeria

Antichissima divinità latina delle sorgenti; nella mitologia romana era la ninfa della fonte omonima in un bosco presso il lago di Nemi, vicino ad Aricia; le era sacra anche un'altra fonte a Roma presso la Porta Capena, ai piedi della collina del Celio. Era detta una Camena "cantante" come la Musa dei Greci, e perciò "vaticinatrice". Presso la prima fonte ebbe culto a fianco di Diana Nemorense, e questo collegamento con Diana lascia supporre che un suo aspetto assai antico fosse quello di divinità protettrice delle nascite. Quindi era anche annoverata nel gruppo delle divinità che presiedono al parto, e anzi fra queste essa sola ebbe personalità. Era venerata come la divinità ispiratrice del re Numa nelle sue riforme per l'incivilimento del rozzo e primitivo suo popolo di pastori. Egeria passava per essere la consigliera del re Numa che la sposò o ne fece la sua amante, e i loro colloqui avvenivano di notte a Porta Capena o in una grotta situata nel bosco delle Camene. Seguendo i consigli di lei, Numa Pompilio diede ai Romani le istituzioni religiose. Secondo Ovidio si spostò ad Aricia alla morte di Numa Pompilio e Diana, per placare il suo dolore, la trasformò in una fonte.

Egesta

Egesta è un personaggio della mitologia greca.

Esistono varie leggende che ruotano attorno alla venuta di questa Troiana in Sicilia. Servio racconta che quando Laomedonte si rifiutò di pagare Apollo e Poseidone, poiché avevano costruito le mura di Troia, gli dei scagliarono sciagure contro il suo paese: Poseidone lo devastò con un mostro marino e Apollo con un'epidemia; quest'ultimo, interrogato, rivelò il rimedio contro il mostro di Poseidone. Egli disse che occorreva dare in pasto all'animale giovani nobili del paese. Così numerosi Troiani mandarono rapidamente i loro figli all'estero, e come tanti, Egesta venne affidata dal padre Ippote ad alcuni mercanti che la portarono in Sicilia. Qui Crimiso, un dio-fiume, la sposò e generò con lei Egeste, il fondatore della città di Segesta.

Secondo Licofrone, invece, Egesta fu figlia del Troiano Fenodamante, che aveva suggerito ai suoi compagni di dare in pasto al mostro la figlia di Laomedonte, Esione , che, per vendicarsi, diede ai marinai le tre figlie di Fenodamante, perché le esponessero alle belve in Sicilia. Le tre fanciulle sfuggirono il pericolo aiutate da Afrodite. Una di loro, Egesta, sposò Crimiso, con cui ebbe Egeste, il quale fondò tre città: Segesta, Erice ed Entella.

Un'altra tradizione racconte che Egesta, figlia di Ippostrato, ritornò dalla Sicilia a Troia, dove dal marito Capi aveva avuto il figlio Anchise.

Egialea

Egialea era un personaggio della mitologia greca, moglie di Diomede.

Orfana del proprio padre, raggiunta l'età dell'adolescenza, venne data in moglie al re di Argo.

Guerra di Troia


Quando giunse la guerra di Troia e Diomede dovette lasciarla, Egialea dopo anni di attesa di un suo ritorno dimenticò il marito e probabilmente entrò in uno stato di depressione tanto acuto da indurla a odiarlo. Per questo, terminata la guerra, quando Diomede tornò per riabbracciare felice la sua amata e bellissima moglie, ella lo rifiutò e cercò addirittura di ucciderlo. Diomede la trovò a commettere adulterio, scappando così da Argo.

Alcuni canti dicono che Egialea non lo amò più da quando aveva stretto un patto con la bella regina Clitennestra e altre le quali volevano eliminare i re dal trono per poter governare loro stesse.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:04
 
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Egina (mitologia)

Egina è un personaggio della mitologia greca . Era una delle dodici figlie di Asopo e della ninfa Metope.

Viene descritta come una donna bellissima, sorella gemella di Tebe e Zeus se ne invaghì rapendola. Asopo notò la scomparsa della figlia e andò a cercarla, arrivando sino a Corinto dove seppe chi fosse il colpevole. Trovatolo cercò in tutti i modi di opporsi e Zeus in ogni occasione assunse sembianze diverse. Alla fine scagliò un fulmine contro Asopo e lo uccise. Quindi assunte le forme di un'aquila la rapì. Egina fu condotta su un'isola del Golfo di Saro che da allora assunse il nome di Egina. Tale isola era disabitata ma il padre degli dei decise allora di trasformare le formiche del luogo in persone e così nacquero i mirmidoni.

Dalla loro unione fu generato Eaco, che diede origine alla stirpe degli Eacidi,di cui faceva parte il suo nipote Peleo,quindi Egina è da considerarsi a tutti gli effetti la bisnonna di Achille. Asopo venne trasformato da Zeus in fiume mentre Egina si recò in seguito in Tessaglia e sposò Attore. Ad Attore diede un figlio di nome Menezio.

Egisto

Figlio di Tieste e di sua figlia Pelopia.
Tieste, smanioso di vendicarsi del fratello Atreo che l'aveva bandito da Micene e gli aveva assassinato i figli, volle consultare l'oracolo di Delfi che gli consigliò di generare un figlio dalla propria figlia. Tieste trovò Pelopia intenta a sacrificare, nottetempo, ad Atena Colocasia, e, facendo attenzione a non farsi riconoscere, la violentò. Pelopia, nella foga della lotta, riuscì a togliergli la spada e la portò con sé al tempio, dove la nascose sotto il piedistallo della statua di Atena. Tieste, quando trovò il fodero vuoto, temette di essere scoperto e fuggì in Lidia, la terra dei suoi padri.
Atreo, nell'intento di far pace col fratello, si recò a Sicione, dove si innamorò di Pelopia, che egli credeva figlia di re Tesproto, e volle sposarla. A tempo debito Pelopia diede alla luce il figlio generato in lei da Tieste e lo abbandonò sulla montagna; ma i pastori di capre lo soccorsero e lo fecero allattare da una capra (donde il suo nome Egisto, ossia "che ebbe forza da una capra"). Atreo, credendo che il figlio fosse suo, lo fece recuperare tra i pastori e lo allevò come proprio erede.
Una lunga serie di cattivi raccolti funestò Micene, e Atreo mandò Agamennone e Menelao a Delfi per chiedere notizie di Tieste. I due giovani incontrarono per caso lo zio Tieste che ritornava dall'aver visitato l'oracolo, e lo riportarono a Micene, dove Atreo lo gettò in carcere. Finalmente tranquillo ordinò al giovane Egisto di uccidere Tieste mentre dormiva. Egisto fallì il compito, poiché Tieste aveva un sonno leggerissimo e sentitolo arrivare lo disarmò con un calcio che lo colpì al polso e recuperò la spada. Guardando meglio l'arma, si accorse che era la sua spada e chiese al giovane da chi l'avesse avuta. Egisto rispose che l'aveva avuta dalla madre. Tieste implorò allora di portargli la madre e quando la donna giunse alla prigione rivelò loro il segreto della nascita di Egisto. Pelopia, sconcertata, afferrò la spada e si trafisse il petto. Allora Egisto, con la spada tutta insanguinata, andò a trovare Atreo che, col cuore colmo di gioia, scese alla spiaggia e offrì un sacrificio di ringraziamento a Zeus, convinto di essersi finalmente liberato da Tieste. Egisto lo raggiunse e lo uccise.
Tieste così ritornò sul trono di Micene, ma il suo trono non durò a lungo, poiché Agamennone aiutato da Tindareo riconquistò Micene e mandò nuovamente in esilio Tieste. Mentre Agamennone e Menelao arano impegnati nella guerra di Troia, Egisto, che era rimasto nel Peloponneso, cercò di sedurre Clitennestra. Ermete, inviato a Egisto da Zeus, gli consigliò di mutare il suo disegno, rammentandogli che Oreste, figlio di Agamennone, appena raggiunta la maturità, avrebbe dovuto vendicare il proprio padre. Ermete non riuscì a convincere Egisto, che si recò a Micene con ricchi doni tra le mani e l'odio in cuore. Clitennestra dapprima rifiutò le sue proposte; ma dopo che Egisto riuscì ad eliminare il vecchio aedo Demodoco, che Agamennone aveva lasciato alla moglie per sorvegliarla e darle buoni consigli, Clitennestra soggiacque agli amplessi di Egisto, e visse con lui fino al ritorno di Agamennone.
Quando Agamennone arrivò in patria, era spiato da una vedetta apposta da Egisto, che lo invitò a un grande banchetto, e lo uccise insieme ai compagni con l'aiuto di venti uomini nascosti nella sala del festino. Altre versioni mostrano Clitennestra che partecipa a questo delitto e uccide anche Cassandra, sua rivale. Presso i poeti tragici le circostanze variano: ora Agamennone è colpito a tavola, ora è ucciso in bagno. Egisto governò a Micene per sette anni fino al giorno in cui venne ucciso dal figlio di Agamennone, Oreste. Queste vicende sono il tema della trilogia di Eschilo Orestea e di alcune tragedie di Sofocle e di Euripide.

Egitto (mitologia)

Egitto è una figura della mitologia greca, eponimo di quell'area africana la cui cultura si sviluppò in simbiosi con quella greca. Egitto era discendente di Poseidone per parte del padre Belo e del Nilo per parte della madre Libia. Egitto conquistò un vasto regno, a cui appunto diede il proprio nome. Nel frattempo Danao , fratello gemello di Egitto, regnava su un territorio chiamato Libia, dono del padre Belo. Egitto era padre di 50 figli maschi, gli Egiziadi, e il regno che si era conquistato era caratterizzato da dispoticità e vessazioni. Il fratello gemello Danao aveva 50 figlie femmine, le Danaidi. Egitto pretendeva il diritto sul territorio del fratello e per questo impose a Danao di far sposare le sue figlie con i rispettivi cugini. Danao si vede così costretto a lasciare la Libia e a riparare nella sua città di origine Argo fondata da un suo antenato Inaco. Qui giunsero i figli di Egitto che sposarono le figlie. Danao addestrò le figlie che tutte uccisero i rispettivi mariti, tranne Ipermnestra che rimase con l'Egiziade Linceo. Egitto senza i suoi figli, da persecutore diventa perseguitato e temendo la vendetta di Danao, che nel frattempo diventa eponimo dei Danai, che in Omero stanno a indicare gli stessi Greci, abbandonò il regno. Pare che sia morto di crepacuore subito dopo.

Egle (mitologia)

Eolo è una figura della mitologia greca, figlio di Elleno e della ninfa Orseide, nipote di Deucalione e Pirra, solitamente identificato con il dio dei Venti.
È il padre eponimo degli Eoli, la seconda popolazione di origine ellenica che invase l'antica Grecia nel II millennio a.C.

Eolo nella mitologia

* Nel mito Eolo è il primogenito di Elleno, i cui altri figli sono Xuto e Doro.
* In una seconda versione Eolo è figlio di Suto e fratello minore di Iono e Acheo. Ma secondo alcuni il figlio di Suto è un altro Eolo.
* Eolo figlio di Elleno sedusse Tea, la figlia di Chirone, e la ingravidò. Temendo l'ira di Chirone, con l'aiuto di Posidone si trasformò in cavalla, prendendo il nome di Evippa. Una volta sgravata, Posidone pose l'immagine di Tea la Cavalla nel cielo. La figlia nata fu una puledra dal nome di Melanippa o Arne. Posidone se ne invaghì e la volle non appena si fece donna. Ne nacquero due gemelli Beoto ed Eolo, chiamato così in onore del nonno a cui tanto somigliava, che furono allevati dai pastori e adottati da Teano, moglie di Metaponto. Fondarono la Beozia e l'Eolia (Tessaglia).

Esegesi

Probabilmente le due storie che raccontano la violenza fatta da Eolo e Poseidone verso due cavalle, si riferiscono al medesimo evento, e cioè il prevalere degli Eoli sui Pelasgi adoratori del cavallo o della dea (Thea) dei cavalli.

Rendere Eolo e Ione figli di Suto, e non Elleni della prima generazione, significava condannare Ioni ed Eoli che col tempo si erano piegati al culto titanico dei Pelasgi. Infatti solo gli Achei riuscirono a imporre il proprio olimpo.

Eioneo


Nella mitologia greca, Eioneo era il nome di uno dei guerrieri achei che combatterono durante la guerra di Troia.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone vi fu anche Eioneo. Durante una delle tante battaglie fra i due eserciti Eioneo si scontrò contro il terribile guerriero troiano Ettore, e per colpa della sua asta che lo colpì giusto al collo, punto scoperto della sua armatura di bronzo perse le forze e morì. Per Darete, il misterioso frigio che estese un poema anteriore a quello omerico, Ettore uccise Eioneo prima del decisivo duello con Achille, ed infierì sul cadavere, facendolo a pezzi. (Darete, 24.)

Il nome di Eioneo era portato anche dal padre di Reso e da un guerriero troiano che cadde sotto i colpi di Neottolemo la notte della caduta di Troia. Il pittore Polignoto, rifacendosi al racconto di Lesche nella Piccola Iliade, lo aveva ritratto tra i guerrieri sconfitti durante la resa della città in un maestoso dipinto realizzato a Delfi.

Elara

Nella mitologia greca, Elara era una fanciulla, figlia, a seconda delle versioni, o del re Orcomeno oppure di Minia.

La bellezza di Elara attirò il desiderio del padre degli dei Zeus, il quale la sedusse segretamente e lontano dalle gelosie di sua moglie Era.
Quando la giovane rimase incinta del dio, Zeus chiese aiuto a sua nonna Gea, la Terra, e le supplicò di accogliere l'amante nelle sue profondità, per nasconderla dalla furia di Era. Gea acconsentì ed Elara trascorse nove mesi sottoterra fino a quando non partorì un bambino, il gigante Tizio, che per questo motivo non veniva universalmente riconosciuto come figlio di Elara, bensì frutto di Gea, dato che era stata quest'ultima a conservarlo nelle sue intimità.

Elasippo

Nella mitologia greca, Elasippo è il nome di due figure leggendarie, lontane tra loro cronologicamente.

* Uno dei dieci figli generati da Poseidone in Clito, giovane abitante di Atlantide. Insieme ai fratelli, popolò l'isola e assunse il potere su una delle dieci zone in cui questa era stata frazionata, e che assegnò, in punto di morte, ai discendenti.
* Un guerriero acheo che militò nella guerra di Troia, ricordato da Quinto Smirneo nella Posthomerica.

Il secondo Elasippo è menzionato come figlio di un tal Emone (non il personaggio del ciclo tebano). Presumibilmente, partecipa al conflitto da poco meno di dieci anni: su un guerriero tanto fiero, come lo descrive Quinto Smirneo, si abbatté la furia di Pentesilea, la regina delle Amazzoni, che lo uccise in battaglia, arricchendo la pianura dei cadaveri di guerrieri achei da lei personalmente massacrati.

Elato

Nella mitologia greca, Elato, è il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Elato, figlio primogenito di Arcade, ebbe dal padre il terreno vicino a Cillene, fondò in seguito Platea, si distinse nella guerra combattuta contro i Flegei.
* Elato, un personaggio confuso nei miti con Ceneo
* Elato, abitante di Pedaso, combattente schierato dalla parte di Troia, ucciso da Agamennone durante la guerra di Troia.
* Elato, uno dei proci, gli avversari di Odisseo.

Elefenore

Elefenore è una figura della mitologia greca, figlio di Calcodonte.

Fu un pretendente di Elena. Dopo aver ucciso senza volerlo il nonno Abante, venne obbligato all'esilio. Partecipò alla guerra di Troia, ma per poter radunare il suo esercito da esiliato, radunò gli uomini da uno scoglio posto innanzi all'isola di Eubea.
Fu ucciso dall'eroe troiano Agenore.

Eleio

Nella mitologia greca, Eleio era il più giovane dei figli di Perseo e di Andromeda.

Nato a Micene, fu un eroe del tempo che insieme ad Anfitrione dichiarò guerra all’isola di Tafo. Dopo la conquista divise con Cefalo il luogo e il regno. Fra i suoi viaggi fondò Elo, situata nella Laconia. In seguito divenne il capo degli Epei ed entrò in guerra contro Ossilo.

Elena (mitologia)

Elena è una figura della mitologia greca assunta, nell'immaginario europeo, a icona dell' eterno femminino. Proprio questa sua caratteristica archetipica fa sì che nell'immensa letteratura nata attorno alla sua figura, Elena non venga mai considerata responsabile dei danni e lutti provocati dalle contese nate per appropriarsi della sua bellezza.

Sua madre Leda era sposata con Tindaro. Un giorno Leda venne rapita da Zeus camuffato da cigno. Da una contemporanea unione con Zeus e col marito nacquero Polluce e Elena, figli di Zeus, Castore, Clitennestra e Filonoe, figli di Tindaro.

Giovinezza

Elena fu allevata in casa di Tindaro e ancora giovinetta fu al centro di numerosi miti di seduzione: Teseo la rapì che era ancora fanciulla. Elena infatti era ritenuta la donna più bella del mondo, e poiché numerosi erano i pretendenti Tindaro lasciò che ogni decisione fosse della ragazza, onde evitare che una sua interferenza potesse causare una guerra. La scelta cadde su Menelao, re di Sparta; dalla loro unione nacque Ermione. La sorella Clitennestra sposò invece Agamennone, fratello di Menelao.

Quando fu in età da marito, tutti i capi Greci pretesero la sua mano. Siccome la loro rivalità rischiava di generare un conflitto, su suggerimento di Ulisse, Tindaro sacrificò un cavallo sulla cui pelle fece salire i pretendenti per farli giurare che chiunque fosse stato il fortunato sposo, tutti avrebbero dovuto accorrere in suo aiuto nel caso qualcuno avesse tentato di rapirgli la sposa.

Quando era ormai moglie di Menelao, Elena venne rapita dal principe troiano Paride e il patto di solidarietà stipulato tra i pretendenti alla sua mano spinse gli stessi, con a capo Agamennone, a dichiarare guerra a Troia.

Elena durante la Guerra di Troia

Per vendicare il rapimento di Elena da parte del principe troiano Paride (al quale Afrodite aveva promesso la più bella delle donne), Menelao e suo fratello Agamennone organizzarono una spedizione contro Troia chiedendo aiuto a tutti i partecipanti al patto di Tindaro.

Nell'Iliade, Elena è un personaggio tragico, obbligata ad essere la moglie di Paride dalla dea Afrodite. Nessuna colpa le può essere rinfacciata, data la sua incolpevole bellezza, anche se lei si dá la colpa della guerra che insanguina le mura di Troia.

Alla morte di Paride, Elena sposa il fratello Deìfobo.

Fine di Elena

Controversa fu la sua fine. Nell'Odissea Elena appare riconciliata col marito e tornata a Sparta per regnarvi al suo fianco, anche se malvista dai sudditi. Si narra pure che Oreste avesse cercato di ucciderla.

Secondo altre versioni ebbe una fine misera. Altre ancora la divinizzano insieme ai fratelli Castore e Polluce.

Si racconta anche che fosse stata uccisa da Teti, madre di Achille, per vendicarsi della morte prematura del figlio.

Un'altra versione vuole che, dopo la morte di Menelao, due figli naturali di costui cacciassero Elena e la costringessero a rifugiarsi presso Rodi, dove Polisso la fece impiccare per aver causato la morte di tanti eroi sotto le mura di Troia.

Il mito di Elena è descritto nell'Iliade e nell'Odissea, ma molti poeti successivi ad Omero modificarono il personaggio e la sua mitologia. Alcune leggende la indicano figlia di Nemesi, la dea della vendetta.

Elena

Mitica eroina greca; la tradizione più diffusa del mito la dice figlia di Zeus e di Leda, moglie di Tindaro (o Tindareo), re di Sparta. Dall'unione del dio, in forma di cigno, con Leda derivò un uovo (oppure due, secondo un'altra versione), da cui nacquero Elena, i Dioscuri e Clitennestra. Altre fonti dicono Elena figlia di Zeus e di Nemesi, o di Zeus e di un'Oceanina (secondo Esiodo). Il culto attestato nella Laconia, a Terapne, nell'Argolide e a Rodi, fa pensare a Elena come a una divinità lunare. Intorno alla figura di Elena si raccoglie un nucleo assai famoso e importante di miti.
Bambina (aveva infatti dodici anni appena), fu rapita da Teseo e dal suo amico Piritoo, mentre ella stava offrendo un sacrificio nel tempio di Artemide, a Sparta. Teseo la condusse in Attica, ad Afidna, dove l'affidò a sua madre, Etra; ma Castore e Polideuce, approfittando dell'assenza di Teseo che era partito con Piritoo per gli Inferi a rapire Persefone, la liberarono con l'aiuto di Decelo, eroe eponimo di Decelia, e la riportarono a Sparta insieme alla madre di Teseo.
Quando Elena raggiunse l'età da marito, tutti i principi di Grecia si presentarono al palazzo del re Tindaro con ricchi doni per chiedere la sua mano. Tindaro non respinse alcuno dei pretendenti né, d'altro canto, volle accettare i doni offerti; poiché temeva che la sua preferenza per questo o per quel principe potesse far nascere dispute tra gli altri. Accettò invece il consiglio di Odisseo: di far giurare a tutti i pretendenti di rispettare la scelta di Elena e di prestare aiuto, all'occorrenza, a colui che ella avesse prescelto. I principi greci acconsentirono e prestarono solenne giuramento davanti a un cavallo sacrificale. Non si sa se Tindaro stesso scelse il marito di Elena, oppure se essa indicò la propria preferenza cingendo con una corona il capo dell'eletto. Sposò comunque Menelao che divenne re di Sparta dopo la morte di Tindaro e la divinizzazione dei Dioscuri. Menelao ebbe da Elena una figlia, che chiamò Ermione, e forse anche Nicostrato, ma questo figlio non sarebbe nato che dopo il ritorno da Troia.
Più tardi, Elena fu promessa come la più bella delle donne mortali in premio a Paride da Afrodite, giudicata da lui come la più bella nella contesa indetta da Zeus fra le tre dee, Era, Atena e Afrodite. Con questo suo giudizio Paride si attirò l'odio insanabile di Era e di Atena, che si allontanarono complottando la distruzione di Troia; mentre Afrodite già pensava a come tenere fede alla sua promessa. Consigliato da Afrodite, Paride si recò a Sparta, dove Menelao festeggiò il suo arrivo per nove giorni. Durante il banchetto, Paride offrì a Elena i doni che le aveva portato da Troia. Ma quando Menelao partì per Creta per assistere ai funerali del nonno Catreo, lasciò a Elena il compito di intrattenere gli ospiti e di governare in sua assenza. Elena fuggì con Paride la sera stessa e gli fece dono di sé nel primo porto dove gettarono l'ancora, cioè nell'isola di Cranae. Elena abbandonò a Sparta la figlia Ermione di nove anni, ma portò con sé la maggior parte dei tesori di corte; inoltre la accompagnarono cinque ancelle, tra le quali erano due ex regine, Etra, la madre di Teseo e Tisadia, sorella di Piritoo. Sul viaggio dei due amanti, le tradizioni differiscono. La versione più antica racconta che venti favorevoli permisero a Paride di raggiungere Troia in tre giorni; ma ne esiste un'altra secondo la quale una violenta tempesta suscitata da Era costrinse Paride a rifugiarsi a Cipro. Di lì egli fece vela per Sidone, dove fu accolto da re; ma Paride, ormai esperto degli usi del mondo greco, assassinò e derubò a tradimento il suo ospite nella sala dei banchetti. Mentre il ricco bottino veniva imbarcato sulle navi, un gruppo di Sidoni attaccò i Troiani; questi li respinsero e, dopo aspra lotta, presero il largo. Temendo di essere inseguito da Menelao, Paride si attardò per molti mesi in Fenicia, a Cipro e in Egitto; poi, raggiunta finalmente Troia, celebrò le sue nozze con Elena. I Troiani accolsero Elena con entusiasmo, rapiti da tanta bellezza.
Secondo una versione del tutto diversa, Ermete rapì Elena per ordine di Zeus e la affidò a re Proteo d'Egitto; intanto un fantasma di Elena, fabbricato da Era (o secondo altri, da Proteo) con una nuvola, fu mandato a Troia con Paride, al solo scopo di provocare la guerra. Quando Paride decise di fare di Elena sua moglie, non pensava di dover pagare a caro prezzo questo oltraggio all'ospitalità di Menelao. Era mandò Iride a Creta con la notizia del ratto e Menelao si precipitò a Micene, dove supplicò il fratello Agamennone di chiamare subito gli uomini validi alle armi e di guidare un esercito contro Troia. Agamennone acconsentì a prendere tali provvedimenti soltanto se i messaggeri che avrebbe inviato a Troia per chiedere la restituzione di Elena fossero ritornati a mani vuote. Priamo rispose che non sapeva nulla di quella faccenda (Paride infatti stava ancora navigando nel sud) e chiese quale soddisfazione era stata data ai suoi araldi per il ratto di Esione, sua sorella. Le ambascerie non ebbero dunque successo e un grande esercito, composto da tutte le forze greche, si riunì deciso a conquistare Troia. L'atteggiamento di Elena durante la guerra e l'assedio è ambiguo. Dopo la morte di Paride, ucciso da una freccia scagliata da Filottete, Eleno e Deifobo si disputarono la mano di Elena e Priamo appoggiò le pretese di Deifobo affermando che egli si era dimostrato il più valoroso in battaglia. Ma Elena non poteva scordare d'essere ancora regina di Sparta, e una notte una sentinella la sorprese mentre tentava di calarsi giù dalle fortificazioni con una corda. Fu condotta dinanzi a Deifobo che la costrinse a sposarlo, con grande disgusto degli altri Troiani. Allorché Odisseo, per spiare i nemici, cercò asilo in Troia come se fosse uno schiavo fuggiasco, Elena credette di riconoscerlo, benché fosse sporco, sanguinante e coperto di stracci. Ma lei non lo tradì. Euripide racconta che Elena rivelò la presenza di Odisseo a Ecuba, ma che questa si accontentò di mandarlo via invece di consegnarlo ai Troiani. Più tardi, Odisseo ritornò a Troia, sempre travestito, e accompagnato da Diomede per sottrarre il Palladio. Anche questa volta, fu riconosciuto da Elena, però ella non si limitò a tacere e lo aiutò concretamente. Quando il Cavallo di legno fu introdotto nella città, al calar dela sera Elena uscì, in compagnia di Deifobo, dal palazzo e girò tre volte attorno al cavallo, battendogli la mano sui fianchi; poi imitando le voci delle spose dei condottieri cercò di spingerli a tradirsi. Quella notte, esausti per la chiassosa veglia, i Troiani dormirono di un sonno profondo, ma Elena non dormiva, agitava sulla cittadella la fiaccola, segnale per il ritorno della flotta greca imboscata al largo di Tenedo. Frattando Odisseo e Menelao avevano raggiunto la casa di Deifobo e colà si impegnarono in una sanguinosa battaglia. Non si sa chi dei due uccise Deifobo. Taluni dicono che Elena stessa gli immerse una spada nella schiena; e questo suo gesto le permise di raggiungere sana e salva le navi greche.
Il ritorno di Elena e Menelao a Sparta non fu tanto facile. Menelao incappò in una tempesta scatanata da Atena e perdette tutta la sua flotta salvo cinque vascelli che furono spinti dapprima a Creta, poi in Egitto, dove il re trascorse otto anni senza poter salpare per la Grecia. Si recò a Cipro, in Fenicia, in Etiopia e in Libia, bene accolto dai principi di quelle regioni che lo colmarono di doni ospitali. Giunse infine a Faro, dove la Ninfa Idotea gli consigliò di impadronirsi del suo profetico padre Proteo, il dio del Mare: soltanto Proteo infatti poteva dirgli che cosa dovesse fare per rompere l'avverso incanto e assicurare alle sue navi un buon vento del sud. Menelao e i suoi compagni si impadronirono di lui, lo tennero ben saldo e lo costrinsero a profetizzare. Proteo annunciò che Agamennone era stato ucciso e che Menelao doveva recarsi un'ultima volta in Egitto e propiziarsi gli dèi con ecatombi. Menelao obbedì agli ordini di Proteo e non appena ebbe innalzato un cenotafio ad Agamennone, i venti spirarono finalmente favorevoli. Egli giunse a Sparta, accompagnato da Elena, il giorno stesso in cui Oreste vendicava la morte di Agamennone.
Sulla morte di Elena esistono tre discordanti versioni. Secondo quanto era stato predetto da Proteo, essa ritornò a Sparta e colà visse accanto a Menelao, in pace e prosperità, e assieme salirono ai Campi Elisi. La seconda versione dice che essa si recò in Tauride con Menelao e che Ifigenia li sacrificò entrambi ad Artemide. Secondo la terza versione, Elena si sarebbe rifugiata a Rodi, presso la sua antica amica Polisso, vedova del re Tlepolemo, ucciso nella guerra di Troia al fianco dei Greci. Polisso mostrò di accoglierla ospitalmente, ma decise di vendicarsi, affidando ad alcune ancelle, travestite da Erinni, il compito di impiccare Elena.

Elettra (Oceanine)

Elettra (lo zampillare dell'acqua) è una figura della mitologia greca, una ninfa oceanina, figlia del titano Oceano e della titanide Teti, una delle Oceanine.

Elettra con Taumante, figlio di Ponto generò Iride (personificazione dell'arcobaleno) e le tre Arpie: Aello, Ocipete e Celeno.

Secondo Omero Elettra e Zeus concepirono Dardano, capostipite dei re di Troia, e perciò detti Dardanidi.

Elettra (mitologia)

Elettra è un personaggio della mitologia greca. Era figlia di Agamennone e Clitennestra, sorella di Oreste, Crisotemi e Ifigenia. Dopo la morte del padre Agamennone per mano di Egisto e con il contributo della stessa Clitennestra, Elettra istiga il fratello Oreste a vendicare il padre. Pilade, figlio di una sorella di Agamennone, Anassibia, e cugino di Oreste, segue il cugino a Tebe per compiere l'assassinio. Elettra dopo di ciò sposerà Pilade. Con l'assassinio di Egisto un altro tassello della maledizione che Mirtilo aveva scagliato contro Pelope e i suoi discendenti si era aggiunto agli altri che avevano contraddistinto l'odio fra Atreo e Tieste.

La figura di Elettra ha ispirato numerose opere letterarie. In Attica, dove i Pelopidi erano di casa, la tragedia di Sofocle ha avuto un forte consenso. Prima di Sofocle, il dramma di Elettra e della sua famiglia venne portato in scena da Eschilo che vi dedicò una trilogia intitolata "Orestèa" : il primo dramma ("Agamennone") raccontava l'omicidio di Agamennone da parte di Clitemnestra ed Egisto, suo amante; il secondo ("Coefore") riproponeva il matricidio di Clitemnestra e l'omicidio di Egisto perpetrati da Oreste; il terzo ("Eumenidi") vede l'assoluzione di Oreste dall'orrendo crimine commesso grazie all'istituzione da parte di Atena del tribunale dell'Aeropago. Infine anche Euripide dedicò ad Elettra una tragedia intitolata al eroina stessa, dando voce a una mentalità che ormai sempre più distante da quella eschilea.

In psicoanalisi il complesso di Elettra non è altro che il complesso di Edipo al femminile. Nel primo è la fanciulla che ama il padre ed è gelosa della madre; in quello di Edipo il fanciullo detesta la presenza del padre.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:09
 
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Vampiro di dracula

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Elettra (pleiade)

Elettra è una figura della mitologia greca, figlia di Atlante e Pleione.

Era una delle Pleiadi, insieme con le sette sorelle, Maia, Taigete, Alcione, Celeno, Sterope e Merope. Insieme a loro, Elettra abitava l'isola di Samotracia.

Gli amori con Zeus


Elettra, insieme a due delle sue sorelle, fu amata da Zeus; dalla loro unione nacque Dardano, il capostipite della dinastia di Troia, il quale abbandonò la terra in cui la Pleiade l'aveva dato alla luce per recarsi in Troade. Il figlio secondogenito che ebbe da Zeus era Iasione, il quale da adulto fu amante della dea Demetra. Infine ebbe anche una figlia, Armonia che il padre degli dèi assegnò come sposa all'eroe Cadmo.

Talvolta le si attribuiva un quarto figlio che avrebbe sempre avuto da Zeus, Emazione, che, al contrario dei suoi fratelli, rimase in Samotracia e qui vi regnò fino alla sua morte.

La vicenda del Palladio


La leggenda di Elettra si ricollegava anche al sacro Palladio. Zeus, colpito da un violento amore per lei, volle violentarla ma la fanciulla fuggì e cercò asilo gettandosi presso il prezioso simulacro. Tuttavia a nulla servì poiché Zeus riuscì nel suo intento e rese incinta la giovane. Del sangue vaginale caduto, segno della perduta verginità, cadde sulla statua, profanandola. Adirata, la dea Atena, proprietaria del simulacro, scaraventò il Palladio e la stessa Elettra sulla terra. Oppure fu lo stesso Zeus, irato per l'opposizione di Elettra, a gettarla indignato sulla terra.

Secondo altre leggende fu proprio Elettra a donare il sacro simulacro a suo figlio Dardano, il quale la pose all'interno della città che fondò, come protezione per l'intera rocca.

La fine

Al termine della guerra di Troia, Elettra, che aveva assistito dall'alto del cielo a tutte le gesta dei discendenti del suo illustre figlio, si consumò di dolore alla vista della mitica città di Troia in fiamme. Per la disperazione fu tramutata, insieme alla sue sorelle, in stella, nell'attuale costellazione delle Pleiadi.

La leggenda italica

La versione della leggenda che davano le popolazioni italiche era ben diversa; la Pleiade Elettra, moglie del re etrusco Corito, (secondo alcune leggende figlio di Zeus e della stessa Elettra) diede al marito due figli: Dardano e Iasione.

Elettrione


Elettrione è un personaggio della mitologia greca, figlio di Perseo, marito di Euridice. Ebbe dieci figli e una figlia, di nome Alcmena.

Quando il padre morì, Elettrione divenne re di Micene.

Quando giunsero i figli di Pterelao, chiedendo che Elettrione restituisse il trono che era stato del loro antenato Mestore, Elettrione rifiutò, scatenando una guerra che uccise tutti i figli maschi sia di Elettrione (solo Licimnio ebbe salva la vita) che di Pterelao, fra i quali si salvò solo Everes.

Dopo la battaglia, Elettrione fu costretto alla fuga.

Elettrione fu poi ucciso da Anfitrione, marito di Alcmena, ma secondo altre fonti, fu ucciso durante un litigio.

Eliadi

Nella mitologia greca le Eliadi, figlie di Elio (il Sole) e dell'oceanina Climene, sono le sorelle di Fetonte.

Quando il fratello morì cadendo nel fiume Eridano, iniziarono a piangere senza sosta, tanto che le loro lacrime si tramutarono in ambra e loro stesse si trasformarono in pioppi.

I loro nomi ed il loro numero varia a seconda degli autori, tra loro si possono citare: Astride, Dioxippe, Egle, Elie, Febe, Fetusa e Lampezia.

Elicaone

Nella mitologia greca, Elicaone (o Licaone) era uno dei figli del vegliardo troiano Antenore e di Teano, sua moglie legittima e sacerdotessa di Atena. Insieme a tutti i suoi fratelli, egli partecipò alla guerra di Troia, ma molto probabilmente non compì azioni molto rilevanti, dato che non è quasi mai ricordato come in battaglia.

Elieo


Nella mitologia greca, Elieo era il nome del padre di Eunosto di Tanagra

Eunosto decretandosi innocente di uno stupro fu invece ucciso dai fratelli della vittima Bucolo, Leonte e Echemo (o Ochemo a seconda delle fonti). Elieo vedendosi il figlio ucciso giurò di trovare giustizia e vendetta. Dapprima riuscì a catturare i fratelli assassini e li cacciò via dal regno, successivamente volendo comprendere la realtà della vicenda parlò con Ocna, la ragazza che aveva dichiarato di essere stata maltrattata. La donna si pentì affermando che era innamorata di Eunosto e vedendosi rifiutata inventò la storia. La vendetta fu compiuta quando la ragazza non trovando pase si uccise impiccandosi.

Elio

Nella mitologia greca era la personificazione del Sole, come corpo celeste e datore di luce, più tardi confuso con Apollo; era figlio del titano Iperione (la più antica personificazione del Sole) e di Teia, fratello di Selene (la Luna) e di Eos (l'Aurora). Nel mito fu il dio "che cammina al disopra" di tutte le cose. Risvegliato dal canto del gallo, che gli è sacro, e preceduto dall'Aurora, egli guida ogni giorno la sua quadriga attraverso la volta celeste, dallo splendido palazzo che sorge a oriente, nella Colchide, fino a un palazzo egualmente splendido nell'estremo occidente, dove scioglie i cavalli e li lascia pascolare nelle Isole dei Beati. Poi torna a oriente percorrendo il fiume Oceano che scorre attorno al mondo, carica cocchio e cavalli su una nave dorata costruita da Efesto e dorme tutta la notte in una comoda cabina. Una sola volta Elio mutò il suo corso, allorché Atreo, su consiglio di Zeus, propose al fratello Tieste di cedergli il trono di Micene, posto che il sole muti il suo corso. Tieste acconsentì ad abdicare se un simile prodigio si fosse verificato. Al che Zeus sovvertì le leggi della natura, ed Elio, giunto a metà del suo viaggio nel cielo, fermò il cocchio e voltò i cavalli verso l'alba e quella sera, per la prima e per l'ultima volta, il sole tramontò a oriente. Così Atreo regnò definitivamente sulla città.
Dall'immagine primitiva con la quale si paragonò il Sole a una ruota fiammeggiante che si volge per il cielo, si passò ben presto a quella del carro che percorre il cielo, tirato da focosi cavalli splendidi, lucenti, spiranti fuoco, e chiamati Piroide, Eoo, Etone e Flegone. Omero non sa nulla ancora del cocchio né dei destrieri infuocati.
Elio ebbe come moglie Perseide, una delle figlie di Oceano e di Teti, da cui nacquero vari figli: la maga Circe, Eete, che regnò nella Colchide, dove Elio aveva il suo aureo palazzo, e Pasifae, che fu moglie di Minosse, e un figlio, Perse, il quale spodestò il fratello Eete, e fu ucciso dalla propria nipote, Medea. Inoltre, Elio si unì a varie altre donne: la ninfa Rodo, dalla quale ebbe sette figli, gli Eliadi; Climene, una delle sorelle di sua moglie Perseide, la quale gli diede Fetonte e cinque figlie, anch'esse chiamate le Eliadi; Leucotoe, figlia d'Orcamo e d'Eurinome. Figli di Elio erano considerati Augia, che fu re dell'Elide, e soprattutto Fetonte ("il brillante"), che presso Omero è solo un attributo del dio e più tardi divenne persona. Nel mito di Fetonte, ampiamente esposto da Ovidio (Metamorfosi, I, II), Elio cedette alle insistenze del suo figliolo che da tempo gli chiedeva di poter guidare il cocchio del Sole. Fetonte voleva dar prova della sua abilità alle sorelle; e sua madre Climene lo incoraggiò all'impresa. Ma poiché gli mancava la forza necessaria per controllare lo slancio dei bianchi cavalli che le sue sorelle avevano aggiogato al carro, si lasciò trascinare dapprima così alto nel cielo che tutti i mortali rabbrividivano per il freddo, e poi così vicino alla terra da inaridire i campi. Zeus, in un impeto di collera, lo annientò con la folgore e Fetonte precipitò nell'Eridano (Po).
Nel mito, Elio si presenta anche come pastore. Infatti nell'isola di Trinacria, poi identificata con la Sicilia, aveva sette mandrie di giovenche e sette greggi di pecore, ciascuna formata da cinquanta capi, il cui numero non aumentava né diminuiva mai, custodite da due ninfe Fetusa, ("la splendente"), e Lampezia, ("la brillante"), figlie di Elio e di Neera. Si spiegò questo armento come l'immagine dell'anno primitivo di trecentocinquanta giorni e altrettante notti, divisi in cinquanta settimane. Altri ritenne che l'armento bianco-rosato del Sole fosse l'immagine delle nuvole che accompagnano il Sole quando sorge e quando tramonta. Più tardi Elio fu identificato con Apollo, che pure ci è presentato come pastore.
Elio tutto vede e dappertutto penetra, ma non è un acuto osservatore e non si accorse nemmeno che i compagni di Odisseo rubavano il bestiame a lui sacro. Questi buoi del Sole, che furono mangiati dai compagni di Odisseo, erano animali d'un candore immacolato, dalle corna dorate, ed erano custodite dalle figlie del Sole, le Eliadi. Anche il gigante Alcioneo rubò due volte i sacri bovini di Elio, da Erizia e dalla cittadella di Corinto. Gli Argonauti, invece, veleggiando lungo le coste orientali della Sicilia, videro i bianchi greggi di Elio pascolare presso la riva, ma resistettero alla tentazione di rubare qualche capo.
Eracle, mentre attraversava il deserto africano, incoccò una freccia nell'arco e la scagliò contro Elio, perché non riusciva a lavorare con tale calura. Si scusò poi col dio e subito allentò l'arco. Per non essere da meno in fatto di cortesia, Elio imprestò a Eracle la sua nave d'oro, perché in essa navigasse per raggiungere le mandrie di Gerione nell'isola di Erizia.
Rodi è il suo dominio. Accadde che, mentre Zeus assegnava isole e città ai vari dèi, si scordasse di Elio. Accertatosi della sua dimenticanza, pensò di ricominciare tutto daccapo; ma Elio, con cortesia, gli disse che si sarebbe accontentato dell'isola di Rodi appena emersa dal mare, e ne prese possesso. Colà generò nella ninfa Rodo sette figli e una figlia, Elettriona, che morì vergine e fu onorata come semidea. Zeus aggiunse ai possedimenti di Elio anche l'isola di Sicilia, che fu scagliata in mare durante la battaglia con i Giganti. Quando Poseidone vantò pretese su Corinto, la città di Elio, ottenne soltanto l'Istmo, mentre Elio fu ricompensato con l'acropoli della città.
Egli è concepito come rivelatore e punitore delle colpe degli uomini e degli dèi, e perciò si usa invocarlo con Zeus nei giuramenti e nelle testimonianze. Omero racconta che Elio informò Efesto del convegno amoroso di Ares con Afrodite, e questa, per vendicarsi dell'azione delatoria del dio, aveva ispirato a tutti i figli di Elio amori abominevoli (esempio tipico quello di Pasifae per il toro). nell'inno omerico a Demetra Elio rivela alla dea da chi e come le fu rapita la figlia Persefone; più tardi per opera degli Orfici Elio divenne la fonte della sapienza e il dispensatore della prosperità e di ogni vita. Elio da Euripide in poi fu tenuto lo stesso che Apollo, cioè il dio onniveggente della vaticinazione: dal che derivò anche il soprannome di Febo.
Il dio Sole ebbe il suo culto nell'isola di Rodi, dove in suo onore si celebravano annualmente grandi feste di cui facevano parte gare ginniche e musicali. A Rodi, all'ingresso del porto, s'innalzava il "Colosso di Rodi", una statua colossale di bronzo di Elio, una delle sette meraviglie del mondo. Gli erano sacri il gallo, il nunzio del giorno, gli animali di colore bianco e rosso, e in specie il cavallo. Elio fu nume supremo a Corinto; il suo culto, considerato da alcuni di origine eolica, decadde in seguito all'immigrazione dorica. Ebbe culto anche nell'Elide, ad Argo.
A Roma si trovano tracce di un culto del dio Sole: era certo venerato presso i Sabini. L'antico santuario di Sol a Roma sul Quirinale era attiguo al tempio di Quirino, divinità di origine sabina. Augusto consacrò al dio Sol il 9 di agosto, giorno della battaglia di Farsalo. Nel circo gli era sacro l'obelisco, e vi aveva un tempio; era pure il protettore dei giochi del circo e dello spazio loro riservato, come guidatore della quadriga del cielo.

Elimo

Elimo fu figlio illegittimo di Anchise e col compagno Egeste fondò numerose città in Sicilia.

Dette il suo nome al gruppo di coloni Troiani con lui immigrati che formarono in seguito il nucleo del popolo elimo.

Elle

Elle, è un personaggio della mitologia greca. Era nata dal primo matrimonio di Atamante re di Beozia con Nefele, da cui era nato anche Frisso. Quando Atamante in seconde nozze sposò Ino, figlia di Cadmo, costei per disfarsi di Elle e Frisso, ne propose il loro sacrificio agli dei. I due comunque avvertiti per tempo e con l'aiuto di Ermes riuscirono a fuggire su di un montone dal vello d'oro. Tuttavia quando stavano per sorvolare lo stretto che divide l'Europa dall'Asia Elle vi cadde dentro. Quello stretto da allora venne chiamato Ellesponto.

Elleno


Elleno nella mitologia greca era il figlio di Deucalione e Pirra (o secondo altre versioni figlio di Zeus). Re di Phthia (in Tessaglia) è l'eroe eponimo degli Elleni.

Secondo il mito Elleno avrebbe infatti sposato la ninfa Orseide; i loro figli sarebbero diventati quindi i capostipiti di tutte le tribù greche: Ioni, i figli di Ione o di Io, Eoli, i figli di Eolo, Achei, detti anche Danai, i figli di Danao o di Acheo. Anche i Dori, che pare non fossero di stirpe ellenica, vollero legittimarsi rendendo Doro, il loro padre eponimo, il quarto e ultimo figlio di Elleno.

A queste popolazioni è stato dato il nome di Elleni e la loro patria fu chiamata Ellade, che corrisponde all'attuale Grecia continentale.

Emone

Emone, personaggio della mitologia greca, era figlio di Creonte, re di Tebe, e di Euridice.

Svolge un ruolo importante in due miti raccolti nelle tragedie I sette contro Tebe (di Eschilo) e Antigone (di Sofocle).

Quando Edipo lasciò il trono di Tebe, i suoi due figli, Eteocle e Polinice si accordarono di avvicendasi al trono ogni anno e, non mostrando alcuna attenzione per il padre, quest'ultimo li maledisse.

Dopo il primo anno, Eteocle rifiutò di lasciare il trono e Polinice attaccò Tebe. Entrambi i fratelli morirono nella battaglia. Creonte ascese al trono di Tebe e decretò che Polinice non fosse seppellito.

Antigone, sua sorella, disobbedì all'ordine, ma fu scoperta. Creonte ordinò che fosse seppellita viva, nonostante fosse promessa a suo figlio, Emone.

Gli dei, attraverso il profeta cieco Tiresia, espressero la loro disapprovazione e lo convinsero a revocare l'ordine: Polinice fu seppellito ma, quando Creonte arrivò alla tomba dove la sorella sarebbe stata sotterrata, si scoprì che Antigone si era suicidata piuttosto che essere seppellita viva.

Qui subentra il ruolo tragico di suo figlio, Emone: egli attacca il padre, denunciandone la crudeltà, e poi si uccide. Ne segue la fine dell'intera famiglia, con il suicidio della madre e dello stesso Creonte.

Empusa


Nella mitologia greca, Empusa è un mostro soprannaturale femminile, che apparteneva alla cerchia di Ecate e che aveva l'abitudine di terrorizzare i viaggiatori. Essa spaventava o addirittura divorava coloro che percorrevano i sentieri o le strade da lei frequentati. La Empusa poteva assumere qualsiasi forma: le più ricorrenti erano quelle di cagna o di vacca e, per attirare le proprie vittime, poteva mutare l'aspetto in quello di una donna debole o seducente; in quest'ultimo caso si poteva intrufolare nei letti dei giovani. Nonostante la metamorfosi, a uno sguardo più attento Empusa rivelava ancora caratteri mostruosi o bizzarri, come una gamba di sterco d'asina e una di bronzo. Talvolta aveva il retro d'asina e sandali di bronzo.

Anche Empusa, come le lamie, può venire considerata una sorta di vampiro ante litteram in quanto si nutriva di sangue e carne umana.

Enalo


Nella mitologia greca, Enalo era il nome di un eroe di cui si raccontano le gesta nel mito.

Di ricca famiglia, si unì al gruppo guidato da Echela alla volta dell'isola di Lesbo con l'intento di colonizzarla. Durante il viaggio conobbe la figlia di Sminteo e se ne innamorò. Un oracolo consultato prima della partenza aveva ordinato fra le altre cose il sacrificio di una giovane ragazza (per placare le Nereidi) e fu scelta proprio la ragazza. Prima che fosse gettata in mare intervenne Enalo che l'abbracciò gettandosi con lei, si persero nei flutti mentre la nave si allontanò. In seguito alcuni delfini giunsero e portandoli suo loro dorso li portarono in salvo. Quando il gruppo giunse a Lesbo incontrarono lo stesso Enalo che raccontò loro i fatti accaduti.

Enareta

Nella mitologia greca, Enareta o Enarete è la moglie del dio Eolo, madre di Creteo, Sisifo, Atamante, Canace, Alcione e di altre divinità, gli Eoliani.

Eolo, il dio dei venti, sposò una fanciulla di nome Enarete, figlia di Deimaco e da lei ebbe numerosi figli, gli Eoliani. Essi sono Canace, Sisifo, Deioneo, Salmoneo, Macareo, Creteo, Atamante, Periere, Calice, Pesidice, Perimede[1] e, in alcune leggende, anche Alcione.

Secondo altre versioni, era madre di Arno, ma il marito era un altro Eolo, non il dio dei venti.

Endeide


Endeide è una figura della mitologia greca, figlia di Chirone e Cariclo e sposa di Eaco, con il quale ebbe due figli: Telamone e Peleo, padre di Achille.

Endimione

Endimione nella mitologia greca è figlio di Zeus e della ninfa Calice.

Secondo il mito fu re dell'Elide, la regione di Olimpia. Essendo un giovane bellissimo, Selene, la dea della luna, se ne innamorò, dopo averlo visto dormiente sul monte Latmo. Pur di poterlo andare a trovare ogni notte, Selene gli diede un sonno ed una giovinezza eterna.

Le storie su di lui sono discordanti a seconda delle regioni da cui provengono. Le più popolari narrano comunque di un amore segreto con Era, che una volta scoperto da Zeus, venne maledetto. Il giovane venne costretto a 50 anni di sonno continuo dal re degli dei, anche se nella Biblioteca di Apollodoro è lui stesso a chiedere il dono di non dover affrontare la vecchiaia.

Esistono altre versioni del mito, una delle quali narra che fu Ipno a donare a Endimione la facoltà di dormire con gli occhi aperti. Un'altra, invece, sostiene che il giovane fu costretto a dormire per trent'anni in una caverna sul monte Latmo senza mai svegliarsi da Zeus, come punizione per aver cercato di insidiare Era. Secondo tale versione del mito la dea Artemide scoprì Endimione dormiente, e incantata dalla sua bellezza si recava ogni notte a guardarlo.

"Ed Epimenide dice che Endimione, quando visse presso gli dèi, s'innamorò di Hera: per cui, adiratosi Zeus, egli chiese di poter dormire eternamente".

Enea

Enea è una figura della mitologia greca e romana. Figlio del mortale Anchise e di Afrodite/Venere, dea della bellezza. Suo padre era il cugino di Priamo, re della città di Troia. Principe dei Dardani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero valorosissimo, assume tuttavia un ruolo secondario all'interno dell'Iliade di Omero.

Enea è il protagonista assoluto dell'Eneide di Virgilio: le vicende successive alla sua fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite, favorite dall'ira di Giunone, si concluderanno con il suo approdo nel Lazio e col suo matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino. Da questa unione sarebbe nato Silvio, futuro regnante di Albalonga e possibile capostipite dei re di Roma.

La figura di Enea, prototipo dell'uomo sottomesso e obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Virgilio e a Omero, come Quinto Smirneo nei Posthomerica.

Un tempo Zeus, il padre degli dèi, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, stabilì di punire la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale.
Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, figlio di Capi e di Temisto (oppure, secondo altre leggende, di Egesta), che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida.
Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori.
Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l'aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell'Ida.
Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento erotico e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell'amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell'alba, Afrodite rivelò all'uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.
Tuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.
Ma allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.

La punizione di Anchise

Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avesse preferito passare una notte con la figlia del Tal dei Tali piuttosto che con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall'ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.

Udita la temibile vanteria, Zeus dall'alto dell'Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata ad incenerirlo. Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.
Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com'era alla vista dell'ira divina.

Nascita e infanzia dell'eroe

Il pargolo nacque sul monte Ida dove lo allevarono le ninfe e il centauro Chirone, la madre infatti, essendo dea, doveva vivere sul monte Olimpo e il padre, punito da Zeus, venne reso storpio per aver rivelato ad altri il suo rapporto con Afrodite. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio.

Guerra di Troia

Primi combattimenti


Achille assalì il monte Ida e depredò le mandrie di Enea, che fuggì. In seguito Enea parteciperà alla guerra di Troia dalla parte dei Troiani, ovviamente; sarà a capo di un contingente di Dardani.

Contro Diomede e aiutato da Afrodite

Fu eroe valoroso, secondo solo ad Ettore, e spesso supportato dagli dei. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest'ultimo venne ucciso da Diomede ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.

Affrontò Diomede ma venne ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, la colpì costringendola alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo, a Pergamo, e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Enea, benché non venga ricordato per altre imprese, combatté comunque anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace, insieme agli altri comandanti troiani.

Contro l'eroe Achille


Dopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo.

Poseidone decise allora di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell'esercito.

Fuga da Troia

La notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d'aspetto, che gli annunciò l'inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l'incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio. Durante la fuga perse però la moglie Creusa che, sotto forma di fantasma, gli rivelò il suo futuro di fondatore di un grande popolo. Secondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade, la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.

Approdo in Italia, eroe nell'Eneide

Fuggito da Troia, Enea giunse, insieme a un drappello di compagni, in terra di Tracia, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso Creta. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia, in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell'Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto.

Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all'amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l'Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell'attuale Salento, a Porto Badisco. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono ad Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d'odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l'Africa.

Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l'eroe narrò le sue terribili vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina.

Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. Sbarcarono di nuovo a Erice, dove per l'anniversario della morte del padre Anchise,furono celebrati, tra siciliani e troiani, i giochi in suo onore, i ludi novendiali (libro V). Nella vicina città di Drepano, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la sibilla con la quale scese nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone.

Incontrò in seguito l'anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso ad Enea in Italia. Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche Gaeta e il Circeo. Il re del luogo, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l'ira di Turno, il re dei Rutuli. Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, l'aitante Almone (Eneide), giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest'ultimo consigliò inoltre all'eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l'assenza di Enea il campo troiano venne assediato dalle truppe di quattordici giovani condottieri rutuli, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e altri giovani che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi guidati da Tarconte, ed agli Arcadi guidati dal Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni.Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e la sete di vendetta riuscì perfino a soffocare la sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise il figlio Lauso, intervenuto per difendere il padre. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L'eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo decise di affrontare la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla rimase uccisa. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall'ucciderlo; ma ricordando poi il dolore di Evandro per la morte di Pallante, conficcò la sua spada nel petto del nemico. In seguito sposò Lavinia la figlia di re Latino.

Enea fu l'eroe troiano che, per eccellenza, uccise più nemici di tutti nella guerra di Troia, arrivando a distruggere, nell'intera storia, 72 eroi tra Achei e Latini, secondo solo ad Achille che uccise in tutto 74 eroi troiani.

La critica storica

Le prime versioni del mito di Enea sono antiche, tanto che sono già note in Etruria prima del VI secolo a.C. e in Grecia nel V secolo a.C. e farebbero derivare il nome di "Roma" da quello di una donna troiana con il significato di "forza".

Riassunto della leggenda

Enea è un principe Troiano, nativo delle falde del monte Ida nella Troade, e partecipa solo alla fase finale della guerra di Troia; è imparentato con il re Priamo avendone sposato la figlia Creusa ed in quanto il padre Anchise è cugino del re. Enea piace ai Romani quale capostipite perché gli permette di affondare le radici in una civiltà dal passato fulgido pur distinguendosi dai Greci. Allo stesso tempo questa "soluzione" non fa dei Romani i più fieri antagonisti dei Greci e verrebbe oggi chiamata "politically correct".

Anche la leggenda di Romolo e Remo, all'inizio separata da quella di Enea, viene successivamente integrata nel suo mito. In un primo momento i due gemelli vengono indicati come suoi figli o nipoti.

Eratostene di Cirene si accorge tuttavia che, essendo la data della caduta di Troia all'incirca il 1184 a.C., né Enea né i suoi più diretti discendenti potevano aver fondato Roma nel 753 a.C., data alla quale la mitologia fa risalire la nascita di Roma.

Catone il Censore rende plausibile la storia. Secondo la sua versione, accettata poi come definitiva, Enea fugge da Troia e giunge nel Lazio. Qui, dopo aver sposato Lavinia, fonda Lavinium. Ascanio è invece il fondatore di Alba Longa e i suoi successori danno origine alla dinastia dalla quale, dopo varie generazioni, Rea Silvia darà alla luce Romolo e Remo e in seguito la gens Giulia, con Giulio Cesare e il primo imperatore Augusto.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:14
 
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Vampiro di dracula

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Eneo

Re di Calidone, figlio di Portaone, o Porteo, e di Eurite. Ebbe vari fratelli: Agrio, Alcatoo, Mela, Leucopeo, e una sorella, Sterope. La moglie Altea, figlia di Testio, gli diede molti figli: Tosseo, ch'egli uccise perché saltò irriverente il fossato scavato a difesa della città; Tireo, Climeno e Meleagro, che si diceva fosse, in verità, figlio di Ares; poi due figlie, Gorga e Deianira (considerata figlia di Dioniso), alle quali si aggiungono talvolta Eurimede e Melanippa. Quando Dioniso giunse a Calidone, Eneo, con grande senso dell'ospitalità, lo autorizzò a dormire con la moglie Altea e dalla loro unione nacque Deianira che più tardi andò sposa a Eracle. Dioniso ripagò Eneo donandogli una pianta di vite e insegnandogli l'arte della viticoltura. Eneo accolse Bellerofonte e Alcmeone e diede asilo ai giovani principi Agamennone e Menelao nel loro esilio; era ospitale quanto pio. Un giorno commise una fatale dimenticanza, trascurando di includere Artemide nei suoi sacrifici annuali ai dodici dèi dell'Olimpo, e la dea irata mandò sulla sua terra il cinghiale Calidonio a uccidere il bestiame e i servi di Eneo e a distruggere i campi coltivati. Meleagro, insieme ad altri nobili guerrieri, riuscì a snidare l'animale nei pressi di un corso d'acqua fiancheggiato da salici, gli conficcò il giavellotto nel ventre e, mentre il cinghiale girava su sé stesso nel tentativo di liberarsi dell'arma, lo trafisse con un colpo di lancia che gli giunse al cuore. Dopo la caccia nacque una grossa lite per l'attribuzione delle spoglie del cinghiale e Altea, furente per la parte che il figlio aveva avuto nell'uccisione dei fratelli di Altea e zii di Meleagro, Tosseo e Plessippo, provocò la sua morte e poi, sconvolta dal dolore, si tolse la vita.
Eneo si risposò con Peribea, figlia del re d'Oleno, Ipponoo. Su questo matrimonio esistono varie tradizioni. La prima vuole che Peribea fosse stata presa da Eneo in occasione della vittoria su Ipponoo e gli fosse stata attribuita come parte di bottino. Un'altra raccontava che Ipponoo, rendendosi conto della gravidanza della figlia, sedotta da un certo Ippostrato (o dal dio Ares), la mandò a Eneo perché disponesse di lei. Peribea diede a Eneo due figli, Tideo e Olenia. Tideo era un valoroso guerriero e fu di grande aiuto a Eneo fino al giorno dell'esilio. Il fratello di Eneo, Agrio, o forse i suoi figli, si impossessarono di Calidone e allontanarono il vecchio re. Tideo trovò la morte nell'assedio di Tebe, ma dopo la guerra di Troia suo figlio Diomede riuscì a scacciare i figli di Agrio e a riconquistare il trono. Ma Eneo era troppo vecchio per regnare, e il trono passò ad Andremone, marito di Gorga, e perciò suo genero, mentre egli accompagnò Diomede ad Argo dove visse in pace fino alla morte che giunse tarda. Secondo alcuni fu invece ucciso in un'imboscata in Arcadia dai figli di Agrio sopravvissuti, ansiosi di vendicarsi d'essere stati espulsi da Calidone.

Enio (Graie)

Nella mitologia greca, Enio era il nome di una delle figlie di Forco e di Ceto. faceva parte del gruppo delle Graie ed aveva come sorelle anche le Gorgoni.

Le altre due si chiamavano Penfredo e Deino. Anche se non viene citata da Esiodo altri riferiscono della sua esistenza. Tutte e tre possedevano un unico occhio con il quale vedevano a turno e possedevano anche un unico dente con il quale mangiavano.

Anche Eschilo era d'accordo sia sul numero che con il fatto che possedevano un dente e un occhio, differenziandosi sull'aspetto: per lui erano molto aggraziate con aspetto pari di cigni.

Eniopeo

Nella mitologia greca, Eniopeo , figlio di Tebeo era il nome di uno dei cocchieri al servizio di Troia.

Al tempo in cui Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Eniopeo fu il primo dei cocchieri che guidarono il carro di Ettore.

Diomede, uno fra i più valorosi guerrieri greci aiutò nel corso di una delle battaglie Nestore, suo alleato, questi infatti era braccato da Ettore. Allora cerco' di colpire il troiano che schivo' il colpo mentre Eniopeo venne centrato in pieno e cadde dal carro con grande dolore per il figlio di Priamo.


Altri cocchieri ebbe Ettore dopo la morte di Eniopeo, ma nessuno durò molto tempo.

Enipeo


Nella mitologia greca, Enipeo è il Dio fluviale della Tessaglia, di cui s'innamorò Tiro.

Viene indicato come il dio dei più belli fra i fiumi, Poseidone prese le sue sembianze per giacere con Tiro, da lui ebbe due figli:Pelia e Neleo.

Ennomo

Nella mitologia greca, Ennomo era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re del grande regno di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo soltanto guerrieri che si schierarono dalla parte di Troia:

* Ennomo, capo dei Misi, alleato di Priamo; augure che profetizzava osservando il comportamento degli uccelli in volo, spesso esortato da Ettore durante le tante battaglie ma alla fine cadde per mano di Achille.
* Ennomo, abile guerriero troiano ucciso da Odisseo (Ulisse).

Enomao

Enomao è una figura della mitologia greca, figlio del dio Ares.

Era il re di Pisa, promotore della prima gara avvenuta dalle parti di Olimpia. Questa consisteva in una scommessa contro chiunque avesse voluto sposare la figlia Ippodamia, per evitarne le nozze: egli sfidava i pretendenti ad una gara di quadrighe, il cui percorso andava dalla sua reggia all'altare di Poseidone sull'istmo di Corinto. Se il rivale avesse vinto sarebbe divenuto sposo della figlia, ma se avesse perso, Enomao l'avrebbe ucciso.

Il re era figlio del dio Ares, che gli aveva donato un tiro di cavalle rapide come il vento, e il suo carro era guidato da Mirtilo, figlio di Ermes, il più esperto degli aurighi. Inoltre il tiranno si prendeva un'ulteriore garanzia, pretendendo che Ippodamia salisse sul carro del pretendente, così che costui, assorto nella contemplazione della bellissima fanciulla, perdesse la concentrazione necessaria.

Enomao, sicuro comunque del suo successo, concedeva un vantaggio al rivale. Quando costui era partito, sacrificava un montone a Zeus e, solo dopo la fine del sacrificio, iniziava a rincorrerlo. Inevitabilmente l'avversario perdeva, e il re lo trafiggeva alle spalle con la lancia e gli tagliava la testa, che inchiodava al suo palazzo.

Erano già tredici le teste, quando un nuovo giovane campione si presentò alla sfida: Pelope. Ippodamia si innamorò a prima vista del giovane, e convinse Mirtilo - che era innamorato di lei - a manomettere le ruote del carro del padre, così da farlo perdere.

Pausania, invece, ci tramanda che fu lo stesso Pelope a trattare con Mirtilo, promettendogli metà del regno e lo ius primae noctis con Ippodamia, promesse che rinnegò entrambe alla fine della corsa.

In entrambe le versioni, comunque, durante la corsa, il carro di Enomao si distrusse, ed egli rimase impigliato nelle redini e venne travolto a terra. In punto di morte comprese il tradimento del suo auriga, e lo maledisse, augurandogli di rimanere ucciso dallo stesso Pelope.

L'infausto pronostico giunse inevitabilmente a compimento quando Mirtilo, non avendo dimenticato il suo amore per Ippodamia (o la promessa di Pelope) tentò di violentarla, sulla strada del capo Geresto, il punto più meridionale dell'Eubea. Pelope, accortosi della cosa, scaraventò Mirtilo con un calcio nel mare che prese da lui il nome di Mirtoo.

Inoltre apprendiamo da Igino, nel suo Astronomia, che il padre Ermes diede al figlio una sede celeste, tramutandolo nella costellazione dell'auriga.

Enomao
(Iliade)

Nella mitologia greca, Enomao è il nome di due guerrieri che combatterono in schieramenti opposti nella guerra di Troia, morendo entrambi nel conflitto. L'Iliade ne traccia una sommaria descrizione ai libri V e XIII.

Il primo Enomao, in ordine di menzione, è un combattente acheo che Omero menziona per la prima volta nel V libro. Premuti da Ettore e dal dio Ares, gli Achei si ritraggono inorriditi e incerti sul da farsi, mentre sul campo di battaglia l'eroe troiano semina una strage inarrestabile. Nel folto gruppo degli Achei uccisi dalla duplice furia di Ettore e del dio vi è lo stesso Enomao, quarta vittima ad essere ricordata da Omero.

Il secondo Enomao, di carattere più rilevante, è uno degli eroi che guidarono l'avanzata troiana contro l'accampamento acheo, descritta nel libro XII, al seguito dello sfortunato Asio, figlio di Irtaco. Nel corso del duello tra Enea e Idomeneo presso le navi greche, Enomao venne colpito al ventre dalla lancia di quest'ultimo; la punta, attraversata la piastra della sua armatura, trapassò anche gli intestini. Il suo cadavere, dal quale poi Idomeneo estrasse l'arma fatale, rotolò nella polvere, ma l'eroe non riuscì a sfilargli la corazza perché oppresso dalle frecce nemiche.

Enone

Ninfa della Troade, figlia del fiume Cebreno. Rea le aveva insegnato l'arte della profezia e Apollo l'aveva istruita nell'arte di conoscere le piante medicinali. In gioventù, quando Paride viveva sul monte Ida pascolando la sua mandria, divenne l'amante prediletto di Enone. I due amanti, radunate le loro greggi, usavano cacciare assieme; egli incideva il nome della Ninfa sulle cortecce dei faggi e dei pioppi. Enone gli aveva generato un figlio, chiamato Corito. Ma allorché Paride, dopo il giudizio delle dee e le promesse di Afrodite, volle partire per rapire Elena; Enone, che conosceva l'avvenire, cercò invano di dissuaderlo, gli fece tuttavia promettere che quando si fosse trovato ferito, sarebbe ricorso a lei che avrebbe saputo guarirlo."Ritorna da me semmai sarai ferito", gli disse Enone, "perché io sola saprò curarti". Enone, gelosa di Elena, mandò suo figlio Corito tra i Greci perché li guidasse contro Troia. Diversi anni dopo, durante l'assedio di Troia, Paride rimase ferito da Filottete e fu portato dai Troiani sul monte Ida, dove l'eroe supplicò la sua antica amante di medicargli le ferite; ma la Ninfa, mossa da un invincibile odio nei riguardi di Elena, scrollò crudelmente il capo in segno di diniego e Paride fu riportato a Troia. Subito però Enone si pentì e corse in città con un cesto colmo di piante medicinali, ma trovò Paride già cadavere. Impazzita per il dolore si gettò giù dalle mura, oppure si impiccò, oppure salì sul rogo in fiamme.

Enope

Nella mitologia greca, Enope era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Enope, padre di Satnio. Si unì a una ninfa del fiume Satnioenta, donde il nome del figlio
* Enope, padre del giovane guerriero troiano Testore (Iliade)
* Enope, padre di Clitomede

Inoltre anche se non annoverata fra i personaggi vi era:

* Enope, una città promessa come regalo ad Achille se egli avesse nuovamente partecipato alla guerra cui non mostrava più interesse, anche se doveva essere di proprietà di Menelao nel catalogo delle navi dove si dichiarava ampiamente i suoi possedimenti terrieri, di tale luogo non vi era traccia.

Enopione

Nella mitologia greca, Enopione o Enopio era uno dei figli di Arianna, figlia di Minosse e innamorata di Teseo e del dio Dionisio (o dello stesso Teseo).

Era il fratello di Stafilo, Pepareto e Toante Dal matrimonio con la ninfa Elice di Chio fu il padre di Merope, amata da Orione ma fatto accecare dallo stesso Enopione.

Fondò la città di Chio, nell'isola omonima ricevuta da Radamanto di cui divenne re, si narra che dato il suo nome (l'origine derivava dal greco e significava "bevitore di vino") avesse diffuso l'arte di coltivare le viti nei suoi territori.

Enotro

Nella mitologia, Enotro è uno dei figli di Licaone e Cillene.

In seguito alla suddivisione del Peloponneso, egli rimase scontento della parte assegnatagli e decise di emigrare in Italia, in compagnia del fratello Peucezio. Da lui discendono gli Enotri.

Eolo 1

Figlio di Elleno e di Orseide. I tre fratelli Eolo, Suto e Doro ebbero dal padre, eponimo degli Elleni, ciascuno una terza parte della Grecia.
Eolo ricevette la Magnesia, nella Tessaglia, e diede il suo nome alla stirpe Eolia. Sposò Enarete dalla quale ebbe sette figli: Creteo, Sisifo, Atamante, Salmoneo, Deione, Magnete, Periere e, secondo alcuni, anche Macareo. Ebbe inoltre cinque figlie: Canace, Alcione, Pisidice, Calice e Perimede. Secondo certi autori, Eolo avrebbe sedotto la figlia di Chirone, Ippe, da cui avrebbe avuto una figlia, Melanippa o Arne.
Un giorno Eolo scoprì che il suo figliolo minore, Macareo, si era giaciuto con la sorella Canace. Inorridito, gettò in pasto ai cani il frutto del loro amore incestuoso e mandò a Canace una spada con cui essa si trafisse. Più tardi tuttavia Eolo venne a sapere che tutti i suoi altri figli e figlie, ignari che l'incesto tra mortali fosse un'offesa per gli dèi, si erano accoppiati innocentemente e ormai si consideravano marito e moglie. Per non irritare Zeus, che considerava l'incesto una prerogativa degli olimpi, Eolo spezzò queste unioni e ordinò a quattro dei suoi figli superstiti di emigrare. Essi si recarono in Italia e in Sicilia, dove ciascuno di loro fondò un regno famoso, e si rivelarono emuli del padre per castità e saggezza.
Talvolta, s'identifica questo Eolo con il Padrone dei Venti, ma, più spesso, si conferisce questo titolo a un altro Eolo, figlio di Poseidone (secondo Diodoro) e di Arne (o Melanippa).

Eolo 2

Figlio di Poseidone e di Arne (o Melanippa), nipote di Eolo figlio d'Elleno e fratello di Beoto.
Eolo, figlio d'Elleno, aveva affidato Arne, avuta da Ippe, figlia del centauro Chirone, a un certo Desmonte che, essendo senza figli, fu ben lieto di adottarla. Poseidone, che da tempo aveva messo gli occhi su Arne, la sedusse non appena essa divenne donna. Desmonte, accortosi che essa era incinta, l'accecò, la rinchiuse in una cella e la nutrì a pane ed acqua. Arne partorì due gemelli e Desmonte ordinò ai suoi servi di esporli sul monte Pelio perché vi fossero divorati dalle belve; ma un mandriano icario li salvò. Uno dei due gemelli somigliava tanto al nonno materno che fu chiamato col suo nome: Eolo; l'altro invece fu chiamato Beoto.
Nel frattempo Metaponto, re di Icaria, aveva minacciato di ripudiare Teano, la moglie sterile, se non gli avesse generato un figlio nel volgere di un anno. Durante l'assenza di Metaponto, recatosi ad interpellare un oracolo, Teano invocò l'aiuto del mandriano che le portò i gemelli trovati sul monte; e Teano li fece credere suoi. In seguito, Teano partorì davvero due gemelli; ma i due trovatelli, grazie alla loro origine divina, erano più belli e dunque i prediletti di Metaponto, che non aveva ragione di sospettare che essi non fossero figli suoi. Rosa dalla gelosia, Teano attese l'occasione opportuna e, quando Metaponto si assentò nuovamente per sacrificare nel santuario di Artemide Metapontina, ordinò ai propri figli di andare a caccia con i fratelli maggiori e di ucciderli simulando un incidente. Il malvagio disegno tuttavia fallì, perché Poseidone venne in aiuto dei propri figli i quali uscirono vittoriosi dalla lotta. Eolo e Beoto riportarono dunque al palazzo i cadaveri dei due gemelli di Teano, e la madre, alla loro vista, si uccise trafiggendosi il petto con un coltello da caccia.
Eolo e Beoto si rifugiarono allora dal loro padre adottivo, il mandriano, e Poseidone stesso rivelò il segreto della loro nascita. Ordinò poi che essi accorressero in aiuto della madre, che ancora languiva nella cella, e uccidessero Desmonte. I gemelli ubbidirono senza esitare; Poseidone ridonò la vista ad Arne e tutti e tre ritornarono a Icaria. Quando Metaponto seppe che Teano l'aveva ingannato, sposò Arne a adottò i figli di lei come eredi.
Ma allorché Metaponto decise di ripudiare Arne e di sposarsi di nuovo, Eolo e Beoto insorsero in difesa della madre e uccisero Autolita, la nuova regina. Furono però costretti a rinunciare alla successione al trono e a fuggire. Beoto si rifugiò con Arne nel palazzo del nonno Eolo, che gli affidò la parte meridionale del suo regno e la chiamò Arne, mentre i suoi abitanti portano il nome di Beoti. Eolo si recò nelle isole del mar Eolio, e vi fondò la città di Lipara.
Si racconta anche che Eolo, dopo la fuga da Metaponto, fu accolto nelle isole Eolie dal re Liparo, figlio d'Ausone, che gli diede in sposa la figlia Ciane e gli lasciò il potere. Eolo avrebbe secondato il desiderio del suocero, assicurandogli il dominio del territorio intorno a Sorrento, sul golfo di Napoli. Da Ciane, Eolo ebbe sei figli: Astioco, Suto, Androcle, Feremone, Iocastro e Agatimo.

Eolo 3

Figlio di Ippote e re dell'isola vagante Eolia (forse le Eolie a nord della Sicilia), amato da Zeus che gli donò il controllo dei venti che conservava tutti insieme in una caverna sulla sua isola e poteva liberare come voleva o come gli dèi gli chiedevano di fare.
Prima di ricevere i favori di Zeus Eolo, che era esperto navigante, aveva inventato l'arte di veleggiare e aveva imparato a interpretare i segni del tempo. Zeus aveva imprigionato i venti nell'isola perché temeva che, se non fossero rimasti sotto controllo, potessero un giorno spazzar via la terra e il mare, ed Eolo, per volere di Era, si incaricò di custodirli. Era suo compito rimetterli in libertà a uno a uno, secondo il suo giudizio per desiderio di questo o di quel nume. Se doveva scatenare una tempesta, Eolo apriva un varco nella scogliera dell'isola con la punta della sua lancia e i venti si precipitavano disordinatamente all'aperto. Eolo era così abile e prudente che quando suonò l'ora della sua morte Zeus non permise che scendesse al Tartaro, ma lo pose a sedere su un trono nella Grotta dei Venti, dove egli ancora si trova. Era sostiene che Eolo avrebbe il diritto di partecipare ai banchetti degli dèi; ma gli altri olimpi (e specialmente Poseidone, che si dice padrone del mare e dell'aria che lo sovrasta e nega a chiunque il diritto di scatenare tempeste) lo considerano un intruso.
Eolo trascorreva una vita lieta con la sua sposa Ciane, figlia di Liparo, il primo re dell'isola, e con i sei figli e le sei figlie che si erano sposati tra di loro. ospitò regalmente per un mese intero Odisseo e l'ultimo giorno gli offrì un otre zeppo di venti, spiegandogli che fino a quando la bocca ne fosse rimasta chiusa e stretta da un filo d'argento, tutto sarebbbe andato bene. Quell'otre conteneva tutti i venti, all'infuori del dolce vento d'occidente, che avrebbe spinto direttamente la flotta attraverso lo Ionio fino a Itaca; ma Odisseo poteva liberare gli altri venti a uno a uno, se per una qualche ragione avesse voluto modificare la rotta. E già si poteva scorgere il funo che si alzava dai camini del palazzo di Odisseo in Itaca, allorché egli cadde addormentato, sopraffatto dalla stanchezza. I suoi uomini, che attendevano con ansia quel momento, aprirono l'otre dei venti, convinti che contenesse vino. E subito i venti tutti assieme sofffiarono galoppando verso la loro dimora e spingendo la nave; così Odisseo si ritrovò nell'isola Eolia. Con profonde scuse implorò l'aiuto di Eolo, ma gli fu risposto che desse di piglio ai remi; nemmeno un soffio del vento dell'ovest gli sarebbe stato concesso. "Non posso aiutare un uomo che è inviso agli dèi", gridò Eolo sbattendogli la porta in faccia.

Eono

Nella mitologia greca, Eono era il nome di uno dei figli di Licimnio e di Perimede.

Aveva due fratelli, Argeio (o Argeo) e Mela erano alleati di Eracle morendo negli scontri con Eurito. Aveva anche una sorella, Alcmena.

Eono fu anch'esso un compagno di avventure del semidio Eracle, e suo cugino. Si racconta che un giorno mentre viaggiavano per le strade di Sparta un cane lo aggredì e nel difendersi lo colpì facendo infuriare il suo padrone: Ippocoonte che insieme ai suoi figli lo uccisero, colpendolo più volte con bastoni e armi improvvisate. Eracle faticò a vendicarsi, uccidendo alla fine lui e tutti i suoi venti figli, portando sul trono il fratello di Ippocoonte Tindaro.

Secondo Pausania il suo sepolcro si trovava accanto al santuario di suo cugino.

Eos

E' la personificazione dell'Aurora, figlia dei Titani Iperione e Teia e sorella di Elio e di Selene.
Al termine di ogni notte, Eos dalle "rosee dita" si alza dal suo giaciglio a oriente, sale sul cocchio tirato dai cavalli Lampo e Fetonte e corre verso l'Olimpo, dove annuncia l'approssimarsi di suo fratello Elio. Quando Elio appare, Eos diventa Emera e lo accompagna nei suoi viaggi finché, trasformatasi in Espera, ne annuncia il felice arrivo sulle spiagge occidentali dell'Oceano.
Afrodite si irritò un giorno trovando Ares nel letto di Eos, e condannò costei ad ardere di desiderio per i giovani mortali; subito Eos cominciò segretamente a sedurli: dapprima Orione, figlio di Poseidone, ch'ella rapì e portò nell'isola sacra di Delo (l'aurora arrossisce ogni giorno al ricordo di quella profanazione); poi Cefalo, figlio di Deione, anch'esso rapito da Eos e portato in Siria, dove gli diede un figlio, Fetonte; poi Clito, nipote di Melampo. Eos era tuttavia maritata al titano Astreo, cui essa generò i venti Borea, Zefiro, Euro e Noto, e che abbandonò quando egli fu rinchiuso nel Tartaro con gli altri titani ribellatisi a Zeus. Eos rapì infine Ganimede e Titono.
Il mito più importante di Eos è quello del suo amore per Titono, bello come un dio, figlio di Laomedonte, re di Troia, al quale Eos generò due figli, Emazione e Memnone. Quest'ultimo regnò sugli Etiopi e morì davanti a Troia combattendo contro Achille. L'Aurora ottenne da Zeus l'immortalità per suo figlio, e volò via per raccogliere il cadavere e trasportarlo in Etiopia. L'Aurora ancor oggi piange il figlio ogni mattina con lacrime di rugiada.
Quando Zeus le sottrasse Ganimede, essa lo supplicò di rendere Titono immortale e Zeus acconsentì. Ma Eos si dimenticò di chiedere per lui anche il dono della perpetua giovinezza, che Selene già aveva ottenuto per Endimione; e Titono cominciò a invecchiare finché le membra gli si disseccarono e la voce quasi svanì. Non potendo più sopportare la vista della sua decadenza fisica, Eos lo chiuse in una stanza da cui più non potè uscire e dove a poco a poco si trasformò in cicala.

Epafo

Nella mitologia greca, Épafo era un re dell'Egitto, figlio di Zeus e Io. Un'altra versione meno diffusa lo descrive come figlio di Protogenia.

Épafo nacque sulle rive del Nilo dopo un lungo peregrinare di sua madre che, trasformata in una mucca dalla gelosa moglie di Zeus, Era, aveva percorso gran parte del mondo conosciuto fuggendo da un tábano che questa le aveva mandato per mortificarla. Quando Io giunse in Egitto, le carezze di Zeus le restituirono la sua figura umana.

Però l'ira di Era non era stata soddisfatta, e questa ordinò ai suoi sacerdoti guerrieri, i curetes, di sequestrare il neonato. Questi obbedirono, ma furono scoperti e castigati da Zeus, che li annientò con un suo fulmine, ma non rivelarono la dimora del neonato. Così la sventurata Io iniziò un nuovo viaggio, questa volta in cerca di Épafo, che incontrò in Siria, dove lo allattava Astarte o Saosis, la sposa del re Malcandro di Biblos. Quando Io tornò in Egitto con suo figlio si sposò con Telegono, re del luogo, e per questo Épafo ereditò il regno quando questi morì.

Épafo si sposò con Menfi, una figlia del dio Nilo. In suo onore fondò la città di Menphi che divenne con il tempo la nuova capitale del regno.

Con Menfi ebbe una figlia chiamata Lisianasa e, con la stessa o con Cassiopea, fu padre di Libia. Da tali unioni discesero i libici, gli etiopi e i pigmei, avendo così questi popoli un'origine comune argivo. Secondo Eschilo nel suo Prometeo incatenato, fu uno di questi discendenti (precisamente il tredicesimo) quello che liberò il titano dalle catene.

Épafo era grande amico di Faetón, al quale somigliava molto. Gli scherzi che gli faceva il suo amico, o meglio le offese di Épafo durante una disputa, incitarono Faetón a chiedere a suo padre che gli facesse condurre per un giorno il carro del sole, con le conseguenze disastrose che ciò ebbe e che intristirono profondamente Épafo.

Dopo un regno glorioso, Épafo ebbe una morte orribile. Vedere il figlio bastardo di suo marito convertito in re di un luogo così bello accese ancora di più la sete di vendetta di Era, che decise che Épafo doveva morire mentre cacciava, e convinse i titani a ribellarsi contro suo marito. Sebbene questa ribellione risultò infruttuosa, i titani divorarono Épafo prima che Zeus e gli altri olimpi li gettassero nel Tartaro.

In consonanza con la deificazione della madre, che acquisì gli attributi della dea egizia Iside, Épafo fu identificato con Apis, e come tale gli si attribuirono le leggende e gli attributi di questo dio.

Epalte

Epalte, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Epalte fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XXI dell'Iliade relativo a Patroclo.

Epei

Gli Epei, erano gli abitanti dell'Elide indicati anche con il nome di Elei.

Sono citati nell'Iliade diverse volte, sia come gruppo etnico sia con riferimento a loro esponenti, combattenti nella Guerra di Troia per la parte achea.

La loro prima citazione è al verso 629 del libro II, nella parte relativa al Catalogo delle navi.

Epeo 1

Figlio d'Endimione, re d'Elide, e fratello di Peone e d'Etolo. Secondo una leggenda avrebbe ottenuto dal padre la signoria dell'Elide, avendo vinto i fratelli nella gara proposta e disputata ad Olimpia per la successione al trono. Per un certo tempo, una parte del popolo degli Elei prese da lui il nome di Epei. Pelope strappò Olimpia al re Epeo e la aggregò al regno di Pisa.

Epeo 2

Figlio di Panopeo, che era stato compagno di battaglia di Anfitrione.
Epeo era giunto dalle Cicladi con un contingente di trenta navi per prendere parte alla spedizione contro Troia. Non sembra che fosse un valente guerriero, ma piuttosto un atleta. Nei giuochi funebri in onore di Patroclo, riuscì, nonostante la sua codardia, vincitore nel combattimento di pugilato mandando a terra il suo avversario Eurialo, mentre nel lancio del disco apparì cosi maldestro da suscitare le risa degli spettatori.
Secondo una leggenda ricordata in un frammento di Stesicoro e in un passo dei Deipnosofisti di Ateneo, Epeo sarebbe stato il portatore d'acqua degli Atridi. Benché fosse geniale artigiano (Pausania il Periegeta ricorda come attribuita a lui una statua di legno di Ermete in Argo), era nato codardo: così vollero gli dèi per punire l'empietà di suo padre (Panopeo infatti aveva giurato su Atena di non aver sottratto parte del bottino conquistato da Anfitrione ai Tafi, il che era falso). La vigliaccheria di Epeo divenne ben presto proverbiale.
Figura secondaria nell'epica omerica, la sua fama è principalmente legata al fatto che egli fu costruttore del cavallo di legno di cui i Greci si servirono per espugnare Troia.
Dopo la caduta di Troia, durante il suo ritorno, egli approdò sulle coste meridionali d'Italia, dove fondò la città di Metapondo o di Lagaria, nella quale consacrò ad Atena gli attrezzi di cui si era servito per la costruzione del Cavallo di Troia. Secondo un'altra tradizione, Epeo viene associato alla fondazione di Pisa, in Italia centrale, così chiamata dall'omonima città dell'Elide.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:23
 
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Vampiro di dracula

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Epicasta

Nella mitologia greca, Epicasta era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Epicasta, chiamata più comunemente Giocasta la madre di Edipo;
* Epicasta, figlia di Augia, fu una delle compagne di Eracle da cui ebbe un figlio, Testalo.
* Epicasta, figlia di Calidone e di Eolia.

Epicasta (Calidone)

Nella mitologia greca, Epicasta era il nome di una delle figlie di Calidone e di Eolia

Si trattava della sorella di Protogenia, Epicasta si unì ad un suo parente, il cugino Agenore. Il legame parantela vi era per mezzo di Pleurone, fratello di Calidone e padre del ragazzo.

Da tale unione nacquero due figli: Portaone e Demonice.

Epicle

Nella mitologia greca, Epicle è il nome di un combattente licio che faceva parte del contingente filotroiano guidato da Sarpedone sotto le mura di Troia. È menzionato nel libro XII dell'Iliade.

Epicle era un giovane guerriero licio pervenuto a Troia al seguito di re Sarpedone, figlio di Zeus, per combattere gli eserciti achei schierati da Agamennone lungo le coste della Troade.

La morte


L'uccisione di Epicle si consumò tragicamente nel decimo anno di guerra durante il combattimento presso la cerchia muraria che cingeva l'accampamento acheo. Il licio avanzò eroicamente al fianco del suo comandante verso la torre fortificata protetta dal re Menesteo e s'arrampicò alle piccole sporgenze delle mura nel tentativo di scalare l'accampamento. Il gigantesco Aiace Telamonio, vistolo in procinto di raggiungere la sommità della muraglia, afferrò un enorme masso che sporgeva sul parapetto della torre, che, tiene a precisare Omero, un solo uomo a stento riuscirebbe a portare nel pieno delle forze, e lo scagliò con violenza contro l'avversario, sfondandogli l'elmo e le ossa del capo. Epicle abbandonò l'appiglio e rotolò morto a terra tra i suoi compagni, simile a un tuffatore.

Epidauro (mitologia)

Nella mitologia greca, Epidauro era il nome di uno dei figli di Argo e Evadne

Di lui racconta Apollodoro, che rimane fra le varie versioni la più importante, racconta di sua madre la figlia del dio mare Strimone e dei suoi fratelli: Ecbaso, Pira e Criaso. Pausania racconta che gli Elei si discostavano da questa interpretazione, tipica degli Argivi, vedendo in Epidauro un figlio di Pelope.

Epigeo

Nella mitologia greca, Epigeo era il nome di uno dei figli di Agacle.

Epigeo viveva tranquillamente nella grande città di Budeo, (situata forse in Tessaglia, forse in Epiro o Magnesia) fin quando uccise un suo cugino. Pentendosi del gesto, dopo un esilio forzato chiese consiglio ad Achille che lo costrinse a venire con lui ed a partecipare alla guerra di Troia, scaturita per colpa di Paride figlio di Priamo che prese con se Elena moglie di Menelao. In una battaglia prima rimase ferito e poi Ettore lo uccise con una pietra. Patroclo al vederlo si infuriò e cercò di vendicarlo.

Epigoni

Sono i discendenti diretti dei Sette Campioni che parteciparono alla prima sfortunata spedizione contro Tebe. Dieci anni dopo il disastro, i figli dei Sette rinnovarono l'attacco contro Tebe dietro suggerimento dell'oracolo di Delfi, per vendicare i padri e reclamare il trono di Polinice. L'oracolo di Delfi promise loro la vittoria se Alcmeone, figlio di Anfiarao, avesse assunto il comando. Ma egli non provava desiderio di attaccare Tebe e si accalorò a discutere dell'opportunità di quella guerra col fratello Anfiloco. Poiché non riuscivano ad accordarsi, rimisero la decisione nelle mani della loro madre Erifile. Tersandro, figlio di Polinice, corruppe Erifile con il magico manto che Atena aveva donato alla sua ava Armonia in occasione delle nozze. Erifile decise perla guerra e Alcmeone assunse di malavoglia il comando.
Parteciparono alla guerra: i due figli di Anfiarao, Alcmeone e Anfiloco; il figlio di Adrasto, Egialeo; il figlio di Tideo, Diomede; il figlio di Partenopeo, Promaco; il figlio di Capaneo, Stenelo; il figlio di Polinice, Tersandro; il figlio di Mecisteo, Eurialo. Gli Epigoni iniziarono le operazioni saccheggiando i villaggi attorno a Tebe. Poi a Glissa avvenne lo scontro con i Tebani comandati da Laodamante, figlio d'Eteocle. Nella battaglia, gli Epigoni perdettero Egialeo, ucciso da Laodamante, ma questi venne ucciso da Alcmeone e i Tebani furono sbaragliati.
Il veggente Tiresia predisse allora ai Tebani che la loro città sarebbe stata distrutta allorché l'ultimo dei Sette antichi eroi fosse rimasto in vita. Adrasto, l'ultimo superstite, morì di dolore alla notizia della fine di Egialeo. Era dunque opportuno che i Tebani fuggissero dalla città quella notte stessa. Col favore delle tenebre, i Tebani fuggirono al Nord portando seco le mogli, i figli, le armi e poche suppellettili, e si rifugiarono nella terra degli Enchelei. All'alba Tiresia, che era andato con loro, si dissetò alla fonte Tilfussa e all'improvviso spirò.
Quel medesimo giorno, gli Argivi, trovando Tebe deserta, vi irruppero, rasero al suolo le mura e raccolsero il bottino. Ne mandarono la parte migliore ad Apollo a Delfi, compresa la figlia di Tiresia, Manto, che era rimasta in città; ed essa divenne la Pizia del dio. Gli Epigoni ristabilirono sul trono Tersandro, figlio di Polinice, il quale invitò i Tebani a tornare, e poi tornarono ad Argo.

Epimeteo

Figlio di Giapeto e d'Asia (o di Climene, secondo Igino), della stirpe dei Titani, era fratello di Prometeo del quale era l'esatto opposto: tanto preveggente questi, quanto improvvido quegli. Così quando Zeus gli mandò per mezzo di Ermete Pandora, la donna fornita di tutti i doni dagli dèi, bellezza, astuzia incantatrice, abilità, coraggio, egli, ammonito dal fratello di non ricevere nessun dono dagli dèi irati contro la stirpe di Giapeto per il furto del fuoco compiuto da Prometeo, cortesemente rifiutò. Zeus, sempre più infuriato, fece incatenare Prometeo a una vetta del Caucaso, dove un avido avvoltoio gli divorava il fegato tutto il giorno; e il suo tormento non aveva fine, poiché ogni notte il fegato gli ricresceva.
Epimeteo, angosciato per la sorte di suo fratello, si affrettò a sposare la bella Pandora, che per volontà di Zeus era stata resa stupida, malvagia e pigra: la prima di una lunga serie di donne come lei. Subito Pandora, divorata dalla curiosità, aprì il vaso che Prometeo aveva raccomandato a Epimeteo di tenere chiuso, e nel quale si trovavano tutte le Pene che possono affliggere l'umanità: la Vecchiaia, la Fatica, la Malattia, la Pazzia, il Vizio e la Passione. Esse allora volarono via a stormo e attaccarono i mortali. Restò solo la Speranza, la più lenta a uscire, che era in fondo e non potè scappare, perché Pandora aveva richiuso prima il coperchio.
Altre versioni dicono che il vaso rinchiudesse non i mali, ma i beni, e che fosse stato portato a Epimeteo come dono di nozze da Pandora, da parte di Zeus. Aprendolo, Pandora lasciò che i beni volassero via e ritornassero alle divine dimore, invece di restare fra gli uomini. Così l'umanità fu afflitta da tutti i mali; solo la Speranza restò a consolare i nortali.
Da Epimeteo e Pandora nacque Pirra, che fu poi sposa di Deucalione, figlio di Prometeo.

Epipola

Epipola è un personaggio della mitologia greca, figlia di Trachione. Il padre ricevette l'ordine di recarsi in Aulide per partecipare alla guerra di Troia. Era però troppo anziano per combattere e non aveva figli maschi da mandare in guerra. Prima che partisse però sua figlia Epipola radunò gli schieramenti del padre e si recò al porto di Aulide, mascherata da uomo.

Palamede, che già aveva scoperto l'inganno di Ulisse, riuscì a svelare l'identità di Epipola e, nonostante le proteste di Achille, presso il quale la giovane aveva chiesto aiuto, la fece uccidere a sassate dall'esercito acheo.

Epistrofo

Nella mitologia greca, Epistrofo era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Epistrofo, forte alleato dei troiani capo degli Alizoni.
* Epistrofo, figlio di Ifito e di Ippolita, nipote di Naubolo, del contingente focese, abitava a Crisa. Fu ucciso da Ettore.
* Epistrofo, figlio di Eveno e fratello di Minete, viveva a Lirnesso in tranquillità. In tale città era stata portata in segreto Briseide per farla salva dalle grinfie dell’acheo figlio di Teti che la desiderava. La furia di Achille la raggiunse riprendendosela dopo aver distrutto la città intera e aver ucciso lo stesso Epistrofo.

Epistrofo, figlio di Ifito


Figlio di Ifito e Ippolita e nipote di Naubolo, era capitano del contingente focese nella guerra di Troia, insieme al fratello Schedio. Omero spiega che i due fratelli portarono in guerra quaranta navi, dieci delle quali appartenevano a Schedio, le restanti ad Epistrofo. Nel corso della guerra, Epistrofo non si distinse nei combattimenti, né tantomeno sembrava deciso a vendicare la morte del fratello, ucciso per mano di Ettore. Secondo alcun leggende, cadde egli stesso per mano di Ettore, contemporaneamente al fratello.

Epistrofo, capo degli Alizoni


Epistrofo era anche un capitano dell'Alizonia, nominato da Omero come un alleato dei Troiani insieme al gigantesco fratello Odio. Era figlio di Mecisteo, e possedeva nel suo vasto esercito di Alizoni, anche un considerevole contingente di Amazzoni. Omero lo menziona al libro II dell'Iliade, insieme al fratello.

Epitide

Epitide è il patronimico di Perifante, figlio di Epito e araldo di Anchise. Compare al saggio 323 del libro XVII dell'Iliade come nome proprio, ai saggi 546 e 578 del libro V dell'Eneide come patronimico ed al saggio 476 del secondo come epiteto. Ma se in Omero l'eroe viene ucciso da Ares; Virgilio, a conferma dei rapporti di emulazione e continuazione dei romanzi omerici che opera nell'Eneide, cita per allusione un personaggio con il medesimo nome, ma nuovo e diverso dal primo.

Epito

Epito è un personaggio della mitologia greca, figlio di Cresfonte e di Merope. Ricordato come giusto governante, grazie all'aiuto degli Arcadi e dei Dori riuscì a riconquistare la città di Messene e lo scettro paterno che Polifonte aveva strappato a suo padre.

Epopeo


Epopeo re di Sicione, figlio di Posidone e di Canace.

Alla morte di Bruno divenne anche il re di Corinto. Accolse e poi sposò Antiope sfuggita alle ire del padre Nitteo che incaricò il proprio fratello Lico di riportare a casa la fuggiasca. Lico mosse guerra contro Epopeo, lo uccise, conquistò Sicione e riportò la nipote prigioniera a Tebe.

Era

Antica divinità lunare di origine micenea, ebbe il centro del suo culto ad Argo, da dove si diffuse per tutto il Peloponneso, poi nella Beozia, nell'Eubea e a Samo. Figlia di Crono e di Rea, regina del cielo e legittima sposa di Zeus, e quindi simbolo della fedeltà coniugale.
Vi sono molte versioni sul mito della nascita e del matrimonio di Era. Come tutti i suoi fratelli e sorelle, fuorché Zeus, Era venne inghiottita alla nascita dal padre, che temeva che uno dei suoi figli si rivelasse più potente di lui. Grazie all'astuzia di Rea e di Meti, venne restituita alla vita. Secondo alcuni dopo essere stata vomitata dallo stomaco di Crono, venne allevata da Oceano e da Teti, durante la lotta fra gli dèi e i Titani. Secondo altri, venne cresciuta in Arcadia dall'eroe Temeno, figlio di Pelasgo, o dalle Ore in Eubea, oppure dalle figlie del fiume Asterione nell'Argolide. Secondo alcuni, Zeus trovò Era in Eubea, fuggì con lei sul monte Citerone e la prese in una caverna. Secondo una versione celebre della loro storia matrimoniale, Zeus raggiunse Era sul monte Tornace (ora chiamato Montagna del Cuculo), in Argolide, dove la corteggiò, dapprima senza successo. Era ebbe pietà di lui soltanto quando egli si trasformò in un cuculo infreddolito, e teneramente lo riscaldò sul proprio seno. Ma Zeus subito riassunse il proprio vero aspetto e la violentò, ed Era fu così costretta a sposarlo.
Tutti gli dèi recarono doni agli sposi; la Madre Terra diede a Era un albero dalle mele d'oro che fu poi custodito dalle Esperidi nell'orto di Era sul monte Atlante. La dea trascorse la sua prima notte di nozze con Zeus a Samo. Come legittima moglie del primo fra gli dèi, Era è la protettrice delle spose. Molti luoghi di culto (Creta, Samo, Eubea e Nasso) reclamarono per sé la consacrazione di queste divine nozze e infatti in tutta la Grecia l'istituzione del sacro matrimonio venne mantenuta in memoria di questa unione. Le melagrane e le mele erano sacre a Era: le melagrane venivano date alle spose di Atene e i matrimoni venivano celebrati nel mese di Era (Gamelion). Da Era e Zeus nacquero gli dèi Ares, Efesto, Ilizia ed Ebe, benché taluni dicano che Efesto nacque da Era per partenogenesi, cioè senza alcun aiuto maschile. Quando Zeus nello stesso modo partorì Atena dalla testa, con l'aiuto dell'ascia di Efesto, Era, per gelosia diede alla luce Tifone che sarebbe poi diventato il più pericoloso nemico di Zeus (il mostro viene a volte considerato figlio di Gea).
Temi più sfruttati dai mitografi e dai poeti erano la collera e la gelosia di Era per le infedeltà di Zeus. Accecata dalla gelosia, cercava sempre di vendicarsi delle creature amate da Zeus e dei figli nati da quelle unioni. Uno degli esempi più eclatanti del suo spirito vendicativo fu la persecuzione nei confronti di Alcmena e di suo figlio Eracle (anche se il nome dell'eroe significa "la Gloria di Era"). In odio ad Alcmena ritardò la nascita di Eracle, affrettando invece il parto della moglie di Stenelo e la nascita di Euristeo. Con questa astuzia Era ottenne che Euristeo, secondo la promessa di Zeus, avesse il regno di Micene, ed Eracle fosse costretto a servire Euristeo. Inoltre, non paga, pensò di liberarsi del bambino mandando dal cielo due serpenti perché lo strozzassero; ma Eracle li afferrò uno per mano e li uccise. Eracle dovette soffrire ancora per la collera di Era, poiché si attribuisce alla dea l'idea primigenia delle "dodici fatiche". Ella lo perseguitò incessantemente fino all'apoteosi finale. Tuttavia, ciò le costò, dato che Zeus la punì talvolta crudelmente. Così, dopo aver conquistato la città di Troia, sulla strada del ritorno, Era suscitò una violenta tempesta che scagliò la nave d'Eracle sulla costa di Cos. Irritato, Zeus appese allora la dea al cielo fissandole due bracciali d'oro ai polsi, e le legò un'incudine a ogni caviglia. Per liberare la madre da questa incresciosa posizione, Efesto si attirò la collera di Zeus che lo fece precipitare nel vuoto.
Era perseguitò anche Latona, madre di Apollo e di Artemide. Aveva infatti proibito a tutti i luoghi della terra di offrirle asilo, affinché non potesse partorire. Così Latona errava senza poter fermarsi mai. Infine giunse a Ortigia presso Delo, dove mise alla luce Artemide, che appena nata aiutò sua madre ad attraversare lo stretto e a Delo, Latona si sgravò di Apollo. Alla sua sacerdotessa Io, Era fece rapire il figlio Epafo, e lo affidò ai Cureti perché lo nascondessero. Ella fu la causa della tragica fine di Semele, amata da Zeus e al quale generò Dioniso; fece poi impazzire Atamante e Ino, colpevoli d'aver allevato il bambino. Convinse Artemide ad uccidere con una freccia Callisto, figlia di Licaone, sedotta da Zeus. Belo ebbe una bellissima figlia, Lamia, che generò a Zeus alcuni figli, ma tutti, salvo Scilla, furono uccisi da Era ingelosita.
Era, protettrice del matrimonio monogamico, fu un vero modello di fedeltà. Nella battaglia tra gli dèi e i Giganti, Zeus, forse per metterla alla prova, spinse il gigante Porfirione a desiderare il suo corpo, ma quando questi lacerò la veste di Era e cercò di sedurla, Zeus divenne pazzo di gelosia e lo abbattè con una folgore ed Eracle lo ferì mortalmente con una freccia. Anche Efialte fece un tentativo di sedurre Era; ma Apollo scoccò una freccia nell'occhio sinistro del malvagio e chiamò Eracle, che subito gli scoccò un'altra freccia nell'occhio destro, e così lo finì. Quando anche Issione tentò di sedurre la dea, venendo meno alle leggi di ospitalità (poiché era ospite di Zeus sull'Olimpo), Zeus, indovinando le intenzioni dell'ospite, modellò una nuvola con la forma di Era, e con essa Issione si prese il suo piacere. Zeus ordinò ad Ermete di fustigarlo senza pietà finché egli avesse ripetuto le parole: "I benefattori devono essere onorati"; poi lo legò a una ruota di fuoco che rotola senza posa nel cielo.
Presto Era smise di essere soltanto protettrice delle donne e giocò un ruolo molto importante nei miti di guerre e battaglie e fu onorata da guerrieri e re. Era svolse una parte molto importante nella storia della guerra di Troia narrata da Omero nell'Iliade, anche se il suo tentativo di corrompere Paride con l'offerta di molte ricchezze venne risolto brevemente. Fu proprio perché Paride non le assegnò la mela d'oro, il premio di bellezza, che Era perseguitò Troia con furia implacabile. Il poeta Stesicoro dice che Era salvò Elena dal disonore sostituendola con un fantasma che Paride portò con sé a Troia, mentre Ermete, dietro sue precise istruzioni, portò la vera Elena in salvo in Egitto. Più tardi, Era estese la sua protezione a Menelao, ch'ella rese immortale. Spesso Era rischiò d'essere punita per aver aiutato i Greci contro gli ordini di Zeus, e un giorno sedusse il dio e lo portò con sé dietro una nube d'oro per lasciar libero Poseidone di spronare i Greci alla battaglia.
Nell'Eneide, Era è rappresentata come persecutrice irriducibile di Enea, che cerca in tutti i modi di respingere lontano dall'Italia finché non è costretta a cedere per volere di Zeus e dei fati. Giasone, nella sua spedizione alla conquista del Vello d'Oro, ottiene l'aiuto di Era nell'oltrepassare indenne le Rocce Cianee e i passi marini di Cariddi e Scilla, soltanto perché grazie a lui può vendicarsi del re Pelia di Iolco, colpevole d'aver profanato il suo altare con l'uccisione di Sidero, sua matrigna. Più tardi Medea convince le figlie di Pelia a tagliare il padre a pezzi e a bollirlo in un calderone.
Una leggenda, che ha origini a Pletea, narra che vi fu una disputa fra Zeus ed Era; questa abbandonò Zeus a causa della sua infedeltà e fuggì in Eubea. Zeus, assai avvilito, si rifugiò a Platea, presso il re Citerone. Questi, assai saggiò, consigliò al dio di costruire una statua di legno rappresentante una donna, di avvolgerla in un grande mantello e di porla nel suo cocchio, e poi spargere in giro la voce che si trattasse della sua nuova sposa, Platea, figlia di Citerone. Quando Era venne a saperlo, furiosa si precipitò sul luogo, strappò via il mantello e vide che si trattava soltanto di una statua di legno. Comprese lo scherzo e si riconciliò con il consorte.
Un giorno Era e Zeus ebbero un'accesa discussione sull'argomento del piacere sessuale. Zeus sosteneva che le donne assaporano nell'atto sessuale un piacere molto maggiore che gli uomini, mentre Era gli rispose che accade esattamente il contrario. Decisero di consultare Tiresia che, in base alla sua esperienza personale, rispose che il piacere di una donna è nove volte superiore a quello di un uomo. Era fu così esasperata dal sogghigno di trionfo di Zeus che accecò Tiresia. Ma Zeus lo ricompensò con il dono della chiaroveggenza e della longevità.
Era veniva venerata dalle donne di tutta la Grecia (anche se la funzione di protettrice della nascita passò alla figlia Ilizia, su cui Era continuò comunque a esercitare una grande influenza). Ad Argo si narrava che ogni anno Era riconquistasse la sua verginità bagnandosi nella fonte di Canato. Le erano sacri il pavone, la cornacchia e il melograno; aveva come messaggeri Iride e le Ore.
A Roma fu identificata con Giunone.

Eracle

Èracle è un eroe della mitologia greca, corrispondente alla figura della mitologia romana Ercole. Figlio di Alcmena e di Zeus, egli nacque a Tebe ed era dotato di una forza sovrumana. Il patronimico poetico che lo definisce è Alcide, derivante da Alceo, suo nonno paterno putativo.

La vicenda di questo eroe non è raccontata in una sola opera, ma ne sono state scritte molte che lo vedono protagonista, marginalmente o particolarmente. Celebri le sue incredibili imprese, quali ad esempio le dodici fatiche che lo vedono affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni dalla pelle impossibile da scalfire, uccelli in grado di sparare piume affilate come lame e molti altri mostri che l'eroe, sia per coraggio che per astuzia, riuscì sempre a sconfiggere.

Sempre imbattuto perse la vita di propria mano, dandosi fuoco presso un rogo, dilaniato dal dolore che Deianira, sua moglie, ignara del tradimento del centauro Nesso, aveva causato intingendo la sua tunica in un veleno mortale. Salito nell'Olimpo sposò Ebe, la coppiera degli dei e divenne il dio guardiano, ricongiungendosi perfino con Era, sua eterna nemica.

Maggiore eroe greco, divinità olimpica dopo la morte, Eracle fu venerato come simbolo di coraggio e forza, ma anche di umanità e generosità, anche presso i Romani. Era ritenuto protettore degli sport e delle palestre. Fu onorato in numerosi santuari sparsi in tutta la Grecia e le sue tante imprese, espressione dell'altruismo e della forza fisica, lo fecero credere il fondatore dei Giochi olimpici. In alcuni casi, mettendo in luce la generosità con la quale affrontava avversari temibili, si rese dell'eroe un'immagine dall'intensa forza morale, oltre che puramente fisica.

La sua complessa personalità, l'ambientazione di certe sue imprese e il fatto che la maggior parte di esse sia legata ad animali, assimilano talvolta l'immagine di Eracle agli antichi sciamani, dotati di poteri soprannaturali, e una certa comunanza di aspetti si rintraccia anche in eroi fenici come Melqart.

Le dodici fatiche, poi, possono avere qualche correlazione con i segni dello zodiaco, molti dei quali sono appunto rappresentati da animali.

Nel mondo romano Ercole presiedeva alle palestre e a tutti i luoghi in cui si faceva attività fisica; considerato anche una divinità propizia, gli si rivolgevano invocazioni in caso di disgrazie, chiamandolo Hercules Defensor o Salutaris.

È inoltre da ricordare che fin quasi all'età moderna lo Stretto di Gibilterra era noto come "Colonne d'Ercole", con espressione chiaramente evocativa: un ricordo dei viaggi e degli spostamenti dell'eroe che, nel corso delle sue imprese, toccò paesi dell'Asia Minore e del Caucaso e raggiunse l'Estremo Oriente e il Grande Oceano, che delimitava le "terre dei vivi". La leggenda era d'origine fenicia: il dio tirio Melqart (identificato poi dai Romani con Ercole e detto Hercules Gaditanus, per il famoso tempio di Gades a lui dedicato) avrebbe posto ai lati dello Stretto due colonne, che furono poi considerate l'estremo limite raggiunto da Ercole e, soprattutto nel Medioevo, il confine posto dal dio affinché gli uomini non si spingessero nell'Oceano Atlantico.

Nascita

Elettrione, re di Micene, discendente di Perseo, aveva una figlia, chiamata Alcmena, di straordinaria bellezza. Anfitrione, giovane re di Tirinto, si invaghì di lei e decise di prenderla in sposa. Elettrione decise di dare il proprio consenso a patto che il pretendente sconfiggesse in guerra la popolazione dei Tafii che, alcuni anni prima, avevano sterminato i figli del re. Anfitrione accettò la sfida ma, durante una battaglia, uccise a causa di un incidente lo stesso Elettrione. Sconfitto da Stenelo, fratello del defunto re, Anfitrione fu costretto a trovare rifugio presso Tebe dove il re locale, Creonte, gli diede in dono un magnifico palazzo, degno di un ospite tanto nobile.

Anfitrione riprese, dopo qualche tempo, la guerra contro i Tafii, riuscendo così a compiere la vendetta promessa. Durante la sua assenza Zeus, invaghitosi di Alcmena, prese le forme del marito e si unì a lei, facendo persino in modo che la notte durasse ben tre volte di più. Frutto di questa relazione fu appunto Eracle, il futuro eroe greco. Hermes, che aveva accompagnato il padre presso il palazzo di Tebe, rimase fuori, facendo in modo che nessuno potesse mai disturbare i due amanti. Anfitrione, tornato dalla guerra proprio in quel momento, mandò il proprio servitore, Sosia, ad avvertire la moglie del suo ritorno. Questi però si trovò davanti Hermes, sotto le sembianze dello stesso Sosia, che, tra un pugno e l'altro, lo convinse di non essere in realtà quello che lui crede. Questa serie di equivoci fu fonte d'ispirazione per Plauto, che scrisse appunto una commedia chiamata "Anfitrione".

Anfitrione, rientrato nelle proprie stanze, ignaro di tutto, si unisce alla propria sposa. Da questo incontro sarebbe nato Ificlo, futuro guerriero e compagno del fratello in molte avventure.

Poco prima che Eracle nascesse, Zeus si vantò di questo suo imminente figlio che avrebbe regnato sulla casa di Tirinto. Era, gelosa, ritardò allora il parto di Alcmena e accelerò quello di Nicippe, moglie di Stenelo, zio di Alcmena. Il figlio di quest'ultimi, Euristeo, nacque perciò un'ora prima di Eracle e ottenne così la primogenitura. Eracle nacque dunque insieme ad Ificlo e Anfitrione, ancora ignaro della relazione segreta, così come ignara era anche Alcmena, credeva di aver generato due gemelli. Fu Tiresia, il grande indovino, a rivelare alla donna la straordinaria origine del figlio.

Alcmena capì dunque che il piccolo sarebbe stato perseguitato dai famigerati furori della regina dei cieli, e non osando allevarlo con le sue sole forze lo portò all'aperto, in un campo, confidando che Zeus non avrebbe negato al frutto del suo seme la divina protezione. Il padre degli dei ordinò dunque al fedele Hermes di attuare un astuto stratagemma. Mentre Era dormiva il celere messaggero divino, portando in braccio il bambino lo avvicinò al seno della dea, facendogli così succhiare un po' del suo latte che, essendo divino, rendeva il fortunato un invincibile eroe. Era però, svegliatasi a causa di un morso del bambino, ebbe un moto di terrore. Quel repentino movimento fece cadere, dal seno della dea, una piccola parte del suo latte che fu dunque origine della Via Lattea, denominata così proprio in ricordo di tale evento.

La gioventù


Era non accettò un simile affronto e covò contro il piccolo, frutto del tradimento del marito, propositi omicidi: qualche mese più tardi mise due serpenti velenosi nella camera dove dormivano Eracle ed Ificlo. Quando Ificlo si svegliò, con il pianto fece sopraggiungere i suoi genitori, che giunsero in tempo per vedere il piccolo Eracle strangolare i serpenti, uno per mano. Secondo un'altra versione del mito, i serpenti non erano velenosi, ma furono messi nella camera dei gemelli da Anfitrione, che voleva sapere quale dei due fosse suo figlio, poiché aveva saputo anche lui dall'indovino Tiresia che uno dei due gemelli non era figlio suo.

Anfitrione non risparmiò comunque nessuna cura nell'allevare quello straordinario figlio adottivo. Egli stesso insegnò al bambino a domare i cavalli e a guidare il cocchio. Da ogni angolo della Grecia vennero convocati i più rinomati maestri: Chirone, primo fra tutti, gli insegnò l'arte della medicina e della chirurgia, Eurito fu maestro di tiro con l'arco, Castore lo allenò nell'utilizzo della spada e delle armi, Autolico nello sforzo fisico e nel pugilato, materia che il giovane Eracle apprezzò grandemente. Non ebbero la stessa sorte però arti quali ad esempio la musica.

Lino, discendente del divino Apollo, era suo maestro di musica. Il giovane allievo, rude nei movimenti, non riusciva per nulla a trattenere la propria forza fisica, distruggendo, letteralmente, la lira che avrebbe dovuto suonare. Lino, un giorno, non riuscendo a sopportare l'incredibile insensibilità musicale dell'allievo, lo rimproverò aspramente e lo costrinse a un severo castigo. Eracle, di carattere piuttosto focoso, sebbene inconsapevolmente, non riuscendo a trattenere la propria forza, colpì con la lira il maestro, che cadde morto a causa dell'urto.

A causa di ciò Anfitrione fu costretto a mandarlo a vivere fra i guardiani dei suoi greggi, in montagna: qui Eracle si riconciliò col maestro Chirone e imparò dal saggio mentore non solo leggi scientifiche ma anche, e soprattutto, leggi morali. Cresciuto forte e bello, rimase presso le greggi del monte Citerone fino all'età di diciotto anni. Prima di ritirarsi da questa vita faticosa ma felice, durante una meditazione, Eracle incontrò sulla via due donne affascinanti, ognuna delle quali lo invitava a raggiungerla sul proprio cammino. La prima, di aspetto florido e stupendamente vestita, rappresentava il piacere e mostrava al giovane un sentiero erboso e idilliaco. La seconda donna, in abiti solenni, era invece il Dovere, che avrebbe condotto l'eroe presso un sentiero sassoso e terribile. Eracle, benché affascinato dalle proposte del Piacere, preferì seguire il Dovere, segnando tutta la sua vita al servizio dei più deboli.

Simbolo di virilità, Eracle diede esempio di grande prestanza fisica durante questo periodo di ritiro. Il re Tespio aveva cinquanta figlie e, desiderando che avessero un figlio da Eracle, mentre questi era ospite presso il suo palazzo, ne inviò una ogni notte dall'eroe a iniziare dalla primogenita Procri e facendo credere all'eroe che fosse sempre la stessa. Secondi alcuni una sola, desiderando restare vergine, rifiutò. Ogni notte, per quarantanove notti Eracle si unì alle figlie di Tespio: in tutto loro ebbero cinquanta figli, poiché la primogenita partorì due gemelli. Secondo alcuni autori raggiunse la statura di 4 cubiti e 1 piede (2,33 m), ma viene raffigurato dagli artisti come un uomo di statura normale.

Prime imprese di Eracle


In seguito alla scelta del Dovere, Eracle cominciò a prodigarsi per il bene altrui, sconfiggendo banditi e ladruncoli che imperversavano nelle pianure. Eracle si vantava di non aver mai iniziato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.

Sul monte Citerone misurò la sua forza sconfiggendo un terribile leone che faceva stragi di pecore. Durante la sua ricerca egli si fermò presso il re Tespio e, come detto prima, si unì alle sue figlie.

Al ritorno incontrò per strada i messi del re di Orcomeno, Ergino, che si recavano a Tebe per riscuotere il tributo di cento buoi che la città gli doveva. Durante una festa infatti un tebano, tale Periere, uccise il padre del re, Climeno, scatenando così una guerra fra i Mini di Orcomeno e gli abitanti della città di Tebe. Questi ultimi persero e furono dunque costretti a pagare tributo ai vincitori. Gli araldi, mandati in città, trattavano però con brutale superiorità gli sconfitti. Questo accese il furore del giovane Eracle che, di carattere piuttosto impetuoso, li assalì e tagliò loro naso e orecchie. Gli araldi, orribilmente mutilati, tornarono presso il loro re chiedendo vendetta.

Ergino, accesosi d'ira, preparò il proprio esercito e marciò verso Tebe. I tebani, fra i quali figuravano Anfitrione, Ificlo e lo stesso Eracle, non erano però disposti a cedere. Nello scontro che ne seguì l'eroe, dotato di invincibili armi, dono degli dei (frecce da Apollo, una spada da Hermes, uno scudo da Efesto), e soprattutto dalla protezione della dea Atena, dimostrò tutto il proprio coraggio e la propria tenacia, uccidendo con le proprie mani l'invasore Ergino. Tebe riuscì dunque a vincere la guerra ma gravi furono le perdite. Fra i caduti vi era anche Anfitrione, il padre adottivo di Eracle, che si era dimostrato tanto affettuoso nei suoi confronti. Creonte re di Tebe diede dunque ad Eracle come segno di riconoscenza sua figlia Megara in sposa.

Matrimonio con Megara


Eracle poteva dunque vivere felice con la cara Megara, dalla cui unione nacquero ben otto figli. Durante un'assenza dell'eroe, però, Lico, figlio di Poseidone e marito di Dirce, decise di prendere in pugno la città di Tebe. Questi uccise il vecchio re Creonte e divenne un sovrano dispotico e arrogante. Lico inoltre, affascinato dall'eccezionale bellezza di Megara, volle stuprarla. Eracle, tornato in tempo per fermare questo oltraggio, aggredì l'usurpatore e lo uccise, dando giusta vendetta al suocero.

Era non intendeva tuttavia concludere le persecuzioni contro il figliastro. In combutta con Lissa, la pazzia, fece sconvolgere la mente dell'eroe e questi, in preda al furore, uccise di propria mano moglie e figli. Tornato in sé e resosi conto dell'accaduto, l'eroe decise di suicidarsi per porre fine alle proprie sofferenze. Fu Teseo, il giovane ateniese, a farlo desistere dal suo gesto disperato, mentre il re Tespio, che celebrò un minimo rito di purificazione, gli consigliò invece di recarsi a Delfi per chiedere al celebre oracolo un modo per cancellare dal proprio animo tutto quel sangue versato. Questa storia diede spunto per la trama della celebre tragedia Eracle di Euripide.

Le dodici fatiche presso Euristeo

La risposta dell'oracolo lo costrinse a mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Questi gli ordinò di affrontare dodici incredibili fatiche, simbolo della lotta fra l'uomo e la natura nella sua forma più selvaggia e terribile.

Il Leone Nemeo


Prima fatica fu l'uccisione di un terribile leone, figlio di Tifone e di Echidna, che terrorizzava la zona fra Micene e Nemea.

Nella sua ricerca, giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a offrire un capro a Era come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero sacrificato il capro a Zeus Salvatore.

Il leone viveva in una grotta nei pressi della zona di Nemea. Non appena Eracle vide comparirsi dinanzi la belva mostruosa tentò di colpirla con il proprio arco ma questi, dotato di una pelle invulnerabile, non venne nemmeno scalfito.

Deciso a non arrendersi, l'eroe sradicò un enorme ulivo usandolo come clava contro l'animalesco avversario. Anche questo tentativo fu però inutile. Le sue stesse braccia sarebbero divenute armi invincibili. L'eroe riuscì infatti a soffocare il terribile mostro utilizzando semplicemente le proprie mani. Il cadavere della belva venne condotto festosamente alla presenza di Euristeo che, stupefatto, decise di affidargli una seconda prova ben più difficile della prima.

Con la pelle invulnerabile del leone nemeo, Eracle si fece un mantello che l'avrebbe dunque protetto dalle armi degli altri uomini.

L'Idra di Lerna


Viveva in una palude a Lerna, in Argolide, un serpente enorme, figlio anche lui, come il leone nemeo, di Tifone ed Echidna. Questo mostro era immortale e aveva sette (o nove) teste, di cui una immortale, mentre le altre rinascevano appena recise. Divorava chiunque capitasse, impestava l'aria e isteriliva le terre con il suo fiato pestilenziale.

Eracle, giunto presso la tana del mostro con il proprio carro, guidato dal nipote Iolao, cominciò a colpire l'entrata della caverna con le proprie frecce, al fine di far uscire dal suo covo la terribile idra. Non appena vide apparirsi dinanzi il mostro, Eracle cominciò a decapitare le sue molteplici teste con la sua spada, ma queste ricrescevano in numero doppio non appena tagliate. L'eroe ebbe però una geniale intuizione e, grazie all'aiuto di Iolao, riuscì a bruciare i tronconi prima che le teste potessero riformarsi, impedendone così la ricrescita. L'ultima testa, immortale, venne schiacciata sotto un gigantesco masso. Per rendere nulla la vittoria di Eracle, Era mandò contro di lui un granchio gigante, che l'eroe riuscì comunque a sconfiggere schiacciandogli il guscio. La regina degli dei fece in modo che il granchio sconfitto divenisse una costellazione, quella che gli antichi denominarono "Cancro".

Vincitore anche in questa seconda fatica, l'eroe intinse le proprie frecce nel sangue dell'idra, rendendo le ferite causate da esse inguaribili. A causa del veleno di queste frecce sarebbero morti in seguito Chirone e Paride, figlio del re di Troia Priamo.

La cerva di Cerinea

Euristeo, ancor più stupito per l'eccezionale efficacia di Eracle, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo(o di argento,secondo una variante) che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno.

Eracle non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per riportarla in patria.

Lungo la strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire, ed ottenne da lei il permesso di portare la cerva ad Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.

Il cinghiale d'Erimanto

La quarta fatica fu quella di catturare un feroce cinghiale selvatico che devastava le alture di Erimanto, fra l'Attica e l'Elide. Riuscì a stanarlo fuori dalla foresta fino alla nuda cima del monte, dove lo sfinì con serrati inseguimenti nei profondi cumuli di neve, fino a che fu in grado di legarlo con delle corde robuste e portarlo vivo al suo signore Euristeo che, per la paura, si rinchiuse dentro una botte.

Lo scontro con i centauri

Lungo la strada che l'avrebbe portato a Erimanto, Eracle incontrò un suo amico centauro, Folo, che decise di imbandire un banchetto in suo onore. Il pasto non poteva però essere coronato con del vino, poiché l'unico disponibile era quello donato dal dio Dioniso alla comunità dei centauri che non poteva essere utilizzato senza il permesso dei compagni di Folo.

Eracle riuscì a convincere il suo ospite a trasgredire il patto: ma non appena il fortissimo aroma del vino raggiunse i boschi vicini, un'orda di centauri, armati con sassi e rami d'abete, saltò fuori da ogni cespuglio. Rabbiosi per la perdita del prezioso liquido, essi assalirono l'eroe, il quale prese a difendersi scagliando contro di loro le sue frecce mortali,costringendoli a rifugiarsi nella grotta di Chirone, suo antico precettore.

Nella mischia che ne seguì il saggio e anziano centauro venne colpito da una freccia vagante: il sangue velenoso dell'Idra nel quale era stata intrisa da Eracle condusse Chirone ad una lenta agonia, senza che le sue arti di guaritore potessero arrestare il fatale processo. Anche Folo, l'ospite gentile, messosi al fianco dell'amico, morì nello scontro.

Gli uccelli della palude di Stinfalo


Quinta (o sesta secondo alcuni) prova per Eracle, fu quella di eliminare i mostruosi uccelli che devastavano la zona adiacente alla palude di Stinfalo, in Arcadia. Questi micidiali volatili avevano penne, ali, artigli e becco di bronzo, uccidevano lanciando le loro penne come frecce e si nutrivano di carne umana.

Erano allevati da Ares ed erano così numerosi che quando prendevano il volo oscuravano il cielo. La palude da loro abitata inoltre emanava un odore nauseabondo a causa dei cadaveri di coloro che avevano tentato di eliminare questi feroci avversari.

Atena consegnò ad Eracle, prima di cominciare lo scontro, delle nacchere di bronzo, dono di Efesto, che avrebbero spaventato gli uccelli facendoli volare via e rendendoli quindi facilmente raggiungibili dalle frecce dell'eroe. Quest'ultimo fece quanto gli aveva consigliato la dea e, non appena suonò le nacchere, i mostruosi volatili si librarono nell'aria spaventati, diventando così suo facile bersaglio. Alcuni di loro vennero uccisi, altri riuscirono a fuggire nell'isola di Aretias, vicino alla Colchide, da dove poi furono cacciati via da Giasone e dai suoi Argonauti.

Le stalle del re Augia

Le immense stalle del re dell'Elide, Augia, non erano mai state ripulite dal letame ed erano circa trent'anni che vi si accumulavano escrementi al suo interno. Euristeo ordinò dunque ad Eracle di recarsi nell'Elide e ripulire in un solo giorno le stalle del re Augia. L'eroe, recatosi presso il sovrano, ricevette da questi una solenne proposta: se fosse riuscito a compiere una fatica simile avrebbe ricevuto in cambio metà delle sue ricchezze.

Eracle, che di certo era molto furbo oltre che forte, deviò le acque dei fiumi Alfeo e Penteo, riversandole all'interno delle stalle che, in un baleno, furono totalmente ripulite. Fiero della propria impresa l'eroe tornò da Augia che non volle però rispettare i patti accusandolo di aver agito con l'astuzia e non compiendo una fatica vera e propria. A parer di ciò, intentò un processo contro Eracle prendendo quali testimoni i principi d'Elide suoi figli. Tutti testimoniarono a favore del padre, solo Fileo, uno di essi, osò difendere l'eroe, causando così l'ira di Augia, che lo cacciò dal suo regno insieme all'eroe. Quest'ultimo, prima di andarsene, giurò che si sarebbe presto vendicato sul re e sui suoi figli.

Durante il viaggio di ritorno difese la giovane Desamene dalle grinfie di un brutale centauro che venne prontamente sconfitto dall'eroe. Questi tornato da Euristeo ricevette una terribile risposta: poiché avrebbe infatti ricevuto metà delle ricchezze di Augia, se questi avesse rispettato i patti, la fatica non era più valida.

Le cavalle di Diomede

Diomede, figlio di Ares, era re dei Bistoni, popolo di guerrieri, provenienti dalla Tracia. Questo sanguinario sovrano allevava con cura quattro cavalle, che nutrì, dapprima, con la carne di soldati caduti in battaglia, in seguito con la carne degli ospiti che gli invitava periodicamente nel proprio palazzo. Euristeo ordinò ad Eracle di portare a Micene queste mitiche giumente, non rivelandogli però le loro terribili abitudini alimentari, sicuro che l'eroe sarebbe caduto nel tranello.

In compagnia di un gruppo di giovani compagni, fra i quali figurava Abdero, Eracle affrontò il terribile Diomede e, mentre teneva occupato quest'ultimo, ordinò ai suoi di catturare le cavalle. Abdero, che tentò per primo di catturarle, venne divorato dalle mostruose giumente. Furente, Eracle sconfisse Diomede e lo costrinse a condividere il destino delle sue vittime: anche lui divenne pasto delle sue belve. In onore del defunto amico Abdero, egli fondò, nel luogo della sua morte una città. Tornato da Euristeo gli presentò le mitiche cavalle e il sovrano, spaventato da tali animali, ordinò che venissero portati via.

Secondo la leggenda, Bucefalo, cavallo di Alessandro Magno, era discendente da tali giumente.

La resurrezione di Alcesti


Benché fosse impegnato nelle fatiche impostegli da Euristeo, Eracle non era però deciso a smettere di aiutare il prossimo e a seguire il sentiero del Dovere, così come aveva scelto in gioventù.

Durante un viaggio l'eroe trovò rifugio nel palazzo del re di Fere, Admeto, che lo accolse con tutti gli onori. Questi però nascondeva al nobile ospite un triste segreto: Apollo gli aveva infatti detto che, se qualcuno della sua famiglia si fosse sacrificato per lui, sarebbe vissuto più a lungo. Né il padre né la madre del re, benché anziani, avevano accolto questa richiesta, solo Alcesti, la moglie, era pronta a sacrificarsi pur di rendere felice il marito e, a tale scopo, era scesa agli Inferi poco prima dell'arrivo di Eracle.

L'eroe ignaro dell'accaduto, cominciò a gozzovigliare mentre gli abitanti della casa piangevano nelle proprie stanze. Un servo, furioso per un simile comportamento, rimproverò l'ospite per la propria maleducazione, raccontandogli tutto l'accaduto. Vergognatosi per il proprio atteggiamento, Eracle decise allora di ripagare la gentilezza dell'ospite. Sceso ancora una volta negli inferi, narrò ad Ade e a Persefone la struggente storia di Alcesti. I due sovrani, commossi, concessero all'eroe di ricondurre la donna nel mondo dei vivi. E così avvenne.

Il Toro di Creta

Euristeo ordinò ad Eracle di catturare un terribile toro, che in quel tempo devastava i domini di Minosse, sovrano di Creta. Poseidone aveva infatti mandato al re un toro possente perché lo offrisse a lui in sacrificio. Poiché Minosse non lo fece, il dio del mare rese furiosa la bestia che prese così a devastare tutta l'isola di Creta. Secondo alcune interpretazioni fu proprio questo il toro con cui si unì Pasifae, moglie di Minosse, che generò il Minotauro, per una maledizione dello stesso Poseidone.

Eracle catturò la belva, richiudendola in una rete, e la riportò presso Euristeo che ordinò di liberarla. Il toro finì i suoi giorni presso la piana di Maratona.

Il cinto di Ippolita

Su richiesta di Admeta, figlia di Euristeo, desiderosa di avere la stupenda cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, dono di suo padre Ares, Eracle dovette recarsi nel regno di queste temibili donne guerriere per compiere così la nona fatica. Insieme a un nutrito gruppo di eroi, fra i quali figurava anche Teseo, Eracle partì verso Temiscira, capitale del regno di Ippolita.

Durante una sosta, presso l'isola di Paro, uno dei guerrieri venne ucciso per ordine di alcuni figli del re Minosse, che dimoravano in quella zona. Eracle, indignato per tale comportamento, si scontrò con questi e, grazie all'aiuto dei suoi compagni, riuscì ad eliminare i principi inospitali. Il viaggio però era ancora lungo e pieno di pericoli: ospite presso il re Lico, in Misia, difese questi dall'esercito dei Bembrici, guidato da Migdone, uccidendone il comandante e costringendo i soldati nemici alla fuga.
Eracle affronta un'amazzone

Giunti a Temiscira, gli eroi vennero accolti calorosamente da Ippolita, disposta a cedere pacificamente il proprio cinto ai suoi nobili ospiti. Era però suscitò alcune amazzoni che, convinte che Eracle volesse rapire la propria regina, si armarono, decise ad uccidere lui e i suoi compagni. Nello scontro che ne seguì la stessa regina Ippolita trovò la morte (secondo un'altra versione essa fuggì insieme a Teseo e divenne madre di Ippolito).

Durante il viaggio di ritorno, con il prezioso cinto ben conservato, Eracle e i suoi uomini giunsero presso il lido di Troia, dove un terribile mostro marino, divoratore di uomini, stava per cibarsi della principessa Esione, figlia del re Laomedonte. Eracle, mosso a compassione, affrontò la terribile creatura e la uccise. Laomedonte, che aveva promesso all'eroe una giusta ricompensa, non rispettò i patti, scatenando così l'ira dell'eroe, pronto a ritornare a Troia dopo aver concluso le fatiche.

Nel suo tragitto Eracle incontrò ancora terribili avversari, quali ad esempio Sarpedonte, figlio di Poseidone, un brigante assettato di sangue. Presso Torone, fu invece ospitato da due figli di Proteo, Poligono e Telegono, abili pugili e atleti che, felici di avere nel proprio regno un simile concorrente, lo sfidarono in alcune gare. Eracle però, che spesso non riusciva a trattenere la propria forza, li uccise inconsapevolmente durante un incontro di lotta.

I buoi di Gerione

Decima fatica per Eracle fu quella di catturare i leggendari buoi rossi di Gerione. Quest'ultimo era un mostro che dalla cintura in su aveva tre tronchi, tre teste e tre paia di braccia. Geloso dei suoi splendidi animali, il gigante aveva posto come custodi delle sue mandie un mostruoso cane, Ortro, figlio di Echidna, e il terribile vaccaro, Eurizione, figlio di Ares.
Gerione e il cane Ortro

I possedimeti di Gerione erano posti agli estremi confini della terra allora conosciuta. Eracle separò così i due monti Abila e Calipe, in Europa e in Libia, e vi piantò due colonne, le cosiddette "Colonne d'Ercole" (il moderno Stretto di Gibilterra). Mentre le attraversava osò lanciare le sue frecce contro il cocente Helios, il Sole. Il dio, ammirato per il suo coraggio, gli consentì di usare il suo battello d'oro a forma di coppa per raggiungere il nemico.

Nell'isola di Erythia vi fu lo scontro con Gerione, sia lui che i suoi due fedeli, vennero sconfitti dai terribili colpi di Eracle che non esitò a colpire perfino la dea Era, accorsa in aiuto del mostro contro l'odiato figliastro.

Avendo ora possesso sulle mandrie del defunto gigante, Eracle partì alla volta della Grecia, percorrendo la terra italica, colma di terribili briganti. Nella zona del Lazio viveva il gigante Caco che esalava fumo e fiamme dalle fauci. Questi rubò le bestie migliori della mandria approfittando del suo sonno. Per non lasciare tracce del furto, egli trascinò per la coda gli animali verso la caverna che gli serviva da rifugio. Ingannato dal trucco del gigante, Eracle cercò invano gli animali. Dandoli per dispersi si apprestava a riprendere il viaggio quando sentì le bestie dal fondo di una grotta. Per liberarli Eracle dovette affrontare il gigante, il quale si rese conto troppo tardi di chi aveva osato derubare.

In Sicilia si scontrò con il terribile despota Erice, figlio di Afrodite, il cui luogo di sepoltura diede nome all'omonima cittadina. Non contenta, Era mandò contro le mandrie un tafano che causò la loro dispersione. Eracle le seguì freneticamente fino alle distese selvagge della Scizia. Nonostante queste disavventure riuscì comunque a portare le bestie sane e salve in Grecia, dove Euristeo voleva usarle per sacrificio, ma Era non volle per non riconoscere la gloria di Eracle. Così l'eroe tenne per sé i buoi.

I pomi delle Esperidi


Ad Eracle venne ora ordinato di prendere tre mele d'oro dal giardino delle Esperidi, che era stato donato da Gea, la madre terra, a Zeus ed Era come dono di nozze. Il nome del giardino derivava dalle quattro ninfe, figlie della Notte, che lo abitavano, insieme al dragone Ladone, dalle cento teste, che aveva l'incarico di vigilare sul giardino. Nessuno sapeva però in quale remoto angolo si trovasse il giardino delle Esperidi.

Eracle uccide Busiride


Lo cercò dapprima nelle zone più sperdute della Grecia, dove si scontrò con il terribile Cicno, un brigante sanguinario deciso ad edificare un tempio al padre Ares con le ossa degli stranieri che passavano per il suo territorio. Eracle lo uccise, scontrandosi così anche con Ares che fu costretto a ritirarsi su comando dello stesso Zeus.

Presso il fiume Euridiano incontrò le splendide ninfe che lì abitavano e che gli consigliarono di recarsi presso il vegliardo Nereo, divinità marina, che aveva il dono dell'onniscienza. E così fece Eracle, il quale piombò addosso a Nereo mentre questi dormiva e lo tenne saldamente legato, nonostante questi cercasse di sfuggire utilizzando i suoi poteri di metamorfosi, così come gli avevano narrato le ninfe. Nereo infine si arrese e acconsentì a soddisfare le richieste di Eracle, indicandogli la strada per raggiungere l'isola dove si trovava il giardino delle Esperidi.

Eracle contro Anteo


Durante il viaggio egli ottenne poi altre informazioni da Prometeo, che già da trenta lunghi anni si trovava incatenato sulla roccia del Caucaso, esposto alle angherie di un'aquila. Eracle eliminò il rapace con le sue frecce e, raggiunto il luogo dove Prometeo stava incatenato, lo liberò senza difficoltà. Il condannato, grato per la recuperata libertà, si sdebitò con l'eroe fornendogli preziosi consigli per la sua impresa. Gli disse di cercare Atlante, il gigante padre delle Esperidi, e di far cogliere a lui stesso i preziosi pomi d'oro.

Giunto in Africa, Eracle attraversò dapprima l'Egitto, dove incappò nell'odio del re Busiride per gli stranieri. Anni prima infatti la sua terra era stata devastata da una terribile carestia, e un indovino di Cipro aveva profetizzato che l'ira degli dei poteva essere placata soltanto col sacrificio di uomini nati in altre terre. Busiride aveva compiuto il primo sacrificio utilizzando proprio il malcapitato indovino, e da allora ogni anno uno straniero cadeva vittima di questo crudele rito propiziatorio. Eracle stesso, catturato per tale bisogno, ebbe però gioco facile a spezzare le catene, uccidere il re sul suo stesso altare ed allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati della popolazione egiziana.

Sempre in Africa egli si scontrò con un avversario più temibile, il gigante Anteo, che aspettava al varco tutti i viaggiatori per sfidarli ad una lotta all'ultimo sangue. Anteo, essendo figlio di Gea, aveva la possibilità di riprendere forza ogni volta che veniva a contatto con il terreno. L'eroe greco però, abile quanto forte, trovò il modo di impedire all'avversario di servirsi di questo vantaggio tenendolo ben alto con le poderose braccia e strangolandolo così.

Dopo un lungo viaggio, egli raggiunse finalmente il gigante Atlante, il quale reggeva sulle poderose spalle il peso della volta celeste. Eracle si offrì di sostituirlo nel gravoso compito per qualche tempo, se questi avesse acconsentito a raccogliere per lui le mele d'oro del giardino delle Esperidi, e Atlante acconsentì. Ma quando questi fece ritorno con le tre mele rubate, affatto voglioso di riprendere l'immane fardello, cercò di lasciarne per sempre la responsabilità ad Eracle, e quest'ultimo riuscì a sottrarsi soltanto con la sua astuzia. Fingendosi onorato del delicato incarico egli chiese ad Atlante di riprendere solo per un momento la volta celeste sulle spalle, in modo da consentirgli di intrecciare una stuoia di corde che allegerisse la pressione sulla sua schiena. Il gigante riprese dunque il fardello, ma prima che potesse rendersi conto di essere stato giocato con i suoi stessi mezzi il furbo Eracle era già fuggito lontano, portando con sè il bottino delle mele d'oro.

La cattura del Cerbero


Euristeo scelse come ultima prova un'impresa che sembrava impossibile per ogni essere mortale, catturare Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste, guardiano delle regioni infernali. Eracle si preparò a questa prova con un pellegrinaggio iniziatico presso Eleusi, dove partecipò ai misteri detti appunto eleusini, mondandosi della colpa dello sterminio dei centauri. Indi egli raggiunse Tenaro laddove una buia spelonca introduceva ad una delle porte dell'Ade. Sotto l'autorevole guida di Hermes egli si addentrò in quel gelido mondo sotterraneo.

Eracle presenta Cerbero ad Euristeo


Solo la terribile Medusa, fra tutti gli spiriti incontrati, osò affrontarlo, ed Eracle stava già per colpirla quando Hermes gli fermò la mano, ricordandogli che le ombre dell'Ade sono solo fantasmi. Anche l'ombra di Meleagro, celebre eroe vincitore del cinghiale calidonio, si apprestò con una pacifica proposta: pregava il nuovo arrivato di proteggere, una volta tornato nel mondo dei vivi, sua sorella Deianira.

Presso le porte dell'Ade Eracle trovò inoltre due uomini legati, che riconobbe molto presto. Erano Teseo, suo compagno in svariate avventure, e Piritoo, il re dei Lapiti. Entrambi erano scesi nel mondo sotterraneo per rapire Persefone, ma erano stati scoperti dal dio Ade e condannati a restare eternamente prigionieri nel mondo dei morti. L'eroe riuscì a salvare l'amico Teseo ma, quando si apprestò a recuperare anche Piritoo, fu costretto ad allontanarsi per colpa di un terremoto.

Ade, conoscendo personalmente l'arditezza dell'eroe, che l'aveva già ferito poco prima e che aveva steso con pochi colpi il suo mandriano, si convinse che valeva la pena di ascoltare le sue ragioni. Acconsentì così a dargli il cane Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza usare armi.Così,dopo una lotta disperata,il mostruoso guardiano fu costretto ad arrendersi quando l'eroe riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base dei tre colli.

Euristeo, vedendo Eracle tornare con il mostro infernale sulle spalle, si sentì morire per la paura e ordinò che Cerbero venisse rimandato presso il proprio padrone. Il re, avendo visto come l'eroico cugino era riuscito a vincere su tutte le prove che gli aveva commissionato, si diede per vinto e lo liberò dalla sua prigionia, ponendo così fine alle sue dodici fatiche.

Le ultime imprese

Eracle decise adesso, essendo passato molto tempo dalla morte di Megara, di trovarsi una nuova compagna. Si invaghì così di Iole, figlia di Eurito, che durante la sua fanciullezza era stato il suo maestro di tiro con l'arco. Il rinomato arciere offriva la figlia in sposa a chi avesse superato in una gara lui e i suoi tre figli. Eracle, partecipando alla contesa, sconfisse il suo antico maestro, ma quando egli pretese Iole in premio, Eurite cercò di impedire il matrimonio fra la sua adorata figlia e un uomo che non aveva esitato ad uccidere la propria moglie.

Fra i figli del re solo Ifito prese le parti dell'eroe, da lui grandemente stimato; dal canto suo Eracle, quando si vide negare la sposa regolarmente conquistata, andò su tutte le furie.

Accadde intanto che certi buoi appartenenti ad Eurito venissero rubati dal noto ladro Autolico. Il re fece credere a tutti che il furto fosse stato attuato da Eracle per vendetta, ma Ifito non accettò nemmeno adesso l'ipotesi che l'amico potesse aver compiuto un'azione così meschina.

Unitosi ad Eracle, si mise sulle tracce del vero responsabile dell'azione. Durante il percorso, mentre costruivano una torretta per avvistare il bestiame rubato, Eracle venne però ripreso dalla furia, scagliatagli ancora dalla matrigna Era, e fece pagare al giovane lo sgarbo di Eurito scagliandolo giù dalla torre. Quando ritornò in sè e si accorse di aver ucciso il suo migliore amico, Eracle cadde in una profonda prostrazione.

Eracle aveva commesso uno degli atti più spregevoli: aveva ucciso un ospite nella propria casa. Questa volta, però nessuno volle compiere il rito di purificazione ed Eracle preferì tornare a Delfi per avere la punizione per il suo delitto.

La pitonessa, tuttavia, non aveva intenzione di compiere il rito per un essere impuro: di nuovo in preda alla rabbia, Eracle riportò lo scompiglio nel tempio, impadronendosi del tripode sacro e minacciando di compiere il rito da sé. La Pizia, allora, invocò Apollo, che decise di affrontare Eracle. Lo scontro fu tanto cruento, che Zeus fu costretto ad intervenire, separando i duellanti e imponendo alla Pizia di dire a Eracle come potesse purificarsi dall'omicidio di Ifito e dalla profanazione dell'oracolo.

La schiavitù presso Onfale


Sotto la guida di Hermes, Eracle si imbarcò verso l'Asia, dove quasi nessuno lo conosceva, e si fece vendere per tre talenti a Onfale, regina della Lidia. Ella capì ben presto che razza di schiavo eccezionale avesse acquistato. Ma quando seppe che quello schiavo portentoso altri non era che il famoso Eracle, pensò di utilizzarlo come compagno di vita invece che come servitore.

Sotto il suo comando, egli riuscì a liberare Efesto dai Cercopi, dei mostruosi uomini scimmia che importunavano i viandanti, talmente bizzarri e simpatici, che l'eroe alla fine liberò sorridendo. Stessa sorte non toccò a Sileo, re dell'Aulide, che catturava i viaggiatori e li uccideva dopo averli obbligati a lavorare nella sua vigna.

Ma il lusso e le mollezze della vita orientale riuscirono a sopraffare l'eroe, che oblio se stesso e divenne il passatempo preferito della regina, che giocava con la sua clava e la sua pelle di leone e si divertiva a vestirlo con abiti femminili e ad impiegarlo nella filatura della lana.

Dopo tre anni trascorsi in questo modo, Eracle decise di dire addio a questa vita così poco adatta a un eroe che aveva scelto il Dovere come propria ragione di vita, e lasciò per sempre Onfale e la sua corte.

La vendetta contro i trasgressori


Tornato a compiere le proprie imprese eroiche, Eracle decise di vendicarsi su coloro che, durante la schiavitù presso Euristeo, avevano trasgredito i patti stabiliti.

Eracle e il piccolo Telefo


A Tirinto, l'eroe radunò un drappello di compagni eroici, fra i quali figuravano Iolao, Oicle re di Argo, Peleo e Telamone per muovere guerra, con solo sei navi, contro Laomedonte, il primo trasgressore, colui che, benché Eracle avesse salvato sua figlia, non aveva voluto dare il compenso promesso, e anzi aveva scacciato l'eroe in malo modo dal proprio regno, sotto insulti e imprecazioni.

L'esercito di Eracle sconfisse Laomedonte uccidendo lui e i suoi figli, risparmiando solo Podarce ed Esione, il primo perché aveva denunciato l'imbroglio del padre, la seconda perché aveva riscattato dalla schiavitù il fratello. Oltre a questi, vennero risparmiate anche le altre figlie del re, Etilla, Cilla, Astioca, Procleia e Clitodora. Il giovane Titone, figlio di Laomedonte, scampò alla morte, perché venne reso immortale grazie all'intervento di Eos, l'Aurora, sua amante.
Eracle uccise infatti Lampo, Clitio, Icetaone e Timete, gli altri figli del re.

Esione sposò poi Telamone e dall'unione con lui nacque Teucro, valoroso guerriero durante l'assedio di Troia. Podarce divenne re di Troia e, in ricordo del riscatto pagato dalla sorella per liberarlo, decise di cambiare il suo nome in Priamo (che significa "il riscattato").

Ma la vendetta personale dell'eroe non era ancora conclusa, vi era infatti un altro impostore da punire: Augia. Questi venne ucciso insieme a tutto il suo esercito, i suoi domini ceduti al figlio, Fileo, l'unico che aveva professato il vero e difeso Eracle in presenza del padre. La morte di Augia e dei suoi uomini scatenò le ire dei suoi alleati, che mossero così contro l'eroe.

Eracle invase i loro territori e li sterminò, uno per uno, a partire da Neleo, re di Pilo, che non avevo voluto purificarlo dopo l'uccisione di Ifito. Questo sovrano venne ucciso insieme ai suoi figli, unico sopravvissuto fu Nestore, che in quel tempo era lontano dalla propria patria. Stessa sorte toccò ad Attore, uno degli Argonauti, a Ippocoonte e ai suoi dodici figli, che avevano cacciato dal regno ingiustamente i fratelli Icareo e Tindaro (quest'ultimo prenderà in seguito il posto di Ippocoonte, divenendo re di Sparta e futuro padre adottivo di Elena, la donna che fu causa della famosa guerra di Troia), e a molti altri usurpatori e trasgressori dei patti, alleati di Augia, tutti caddero sotto l'avanzata di Eracle, pagando con la stessa vita le loro nefandezze.

Durante questa serie di massacri, Eracle si invaghì della figlia di Cefeo, uno dei suoi alleati, la sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe Telefo, futuro re di Misia e valoroso guerriero a Troia.

La morte


Eracle uccide il centauro Nesso


Eracle capitò in Calidonia per vedere Deianira, figlia del Eneo, alla quale doveva riferire un messaggio che il fratello Meleagro le inviava dal regno dei morti. Eracle, che già sapeva della bellezza della fanciulla, si innamorò di lei e la portò con sé come sposa, dopo un'ardua contesa con un rivale, il dio fluviale Acheloo.

Quest'ultimo era capace di assumere le forme più disparate, mutandosi in serpente e poi in toro durante lo scontro con l'eroe. Vinto da questi però fu costretto a fuggire con un corno spezzato, gettandosi poi nel fiume Toante. Dalle gocce di sangue del corno reciso nacquero le Sirene.

I due decisero di trasferirsi a Trachis, in Tessaglia, per vivere lì insieme. Arrivati però ad un corso d'acqua in piena, Eracle e la nuova moglie incontrarono il centauro Nesso, che si offrì di traghettarli sulla riva opposta portandoli sulla schiena. Dal canto suo Eracle non aveva bisogno di un tale aiuto, e dopo aver gettato sull'altra riva la clava e la pelle di leone, si gettò a nuotare agilmente nel fiume in piena; la moglie però l'affidò a Nesso.

Subito quel rude centauro, infiammato dalla bellezza della donna, avrebbe voluta rapirla, ma Eracle sentì le grida della moglie e con una delle sue frecce avvelenate abbatté il centauro. Negli spasimi dell'agonia, il vendicativo essere sussurrò a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell'abito magico avrebbe rinverdito alla bisogna l'amore di Eracle per lei.

La tunica fatale

Come trasgressore dei patti anche Eurito, re d'Ecalia e maestro d'arco, che in precedenza non aveva voluto cedere in sposa Iole ad Eracle, venne sconfitto dall'eroe e ucciso insieme ai suoi familiari. Questa la sua ultima impresa, secondo un decreto dell'Oracolo di Dodona.

Deianira, vedendo tornare lo sposo vincitore, notò che, fra gli ostaggi catturati, vi era anche Iole, antica fiamma di Eracle, e venne così presa dalla gelosia. Decisa di mettere in pratica l'incantesimo che le aveva rivelato il centauro Nesso, senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla freccia che Eracle stesso aveva scagliato.

Deianira gli inviò un vestito che era stato immerso in quel veleno e l'eroe l'indossò per celebrare i riti di ringraziamento per la vittoria. Non appena il fuoco acceso sull'altare ebbe riscaldato il veleno con cui era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin nelle vene, ed egli, impotente per la prima volta nella sua vita, non poté far altro che subire l'agonia, uccidendo nella disperazione il servo che, ignaro, gli aveva portato la veste fatale.

Con le sue ultime forze, Eracle sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il coraggio di accenderlo, ed Eracle fu costretto a chiedere ad un pastore di nome Filottete di farlo. Questi ubbidì, ed Eracle gli donò le sue armi, che si renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri. Mentre Eracle cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse, e lo portò con sé nell'Olimpo, dove l'eroe si riconciliò con Era e sposò Ebe, la coppiera divina.

Iolao, dopo aver osservato tale prodigio, costruì un tempio in onore dello zio, e Illo, su ordine dello stesso Eracle, sposò Iole. Deianira, quando seppe ciò che era successo, in preda ai sensi di colpa si uccise.

Eracle nella tradizione letteraria

I poemi omerici


Le prime attestazioni letterarie su Eracle sono contenute nei poemi omerici. Omero, citando di passaggio alcuni episodi delle sue imprese, sembra conoscere puntualmente le vicende narrate da testi letterari che oggi non ci sono pervenuti.

L'aspetto caratteristico che traspare subito dall'immagine omerica di Eracle è la sua straordinaria forza fisica, l'eroe è infatti rappresentato nell'atto di distruggere Pilo o di ferire gli dei in battaglia. In Omero Eracle non indossa ancora il suo abbigliamento tradizionale, la pelle di leone, e non è armato di clava, ma veste schinieri, corazza, elmo, scudo ed adopera tutte le armi tipiche di un guerriero miceneo.

Nel testo dell'Iliade di lui parla Nestore a Patroclo, raccontando delle guerre della sua gioventù, Eracle era stato anche per Pilo dove uccise i migliori guerrieri della sua generazione.

Tlepolemo, re di Rodi è un figlio di Eracle, ricordato con questo patronimico già nel libro III meglio conosciuto come "Catalogo delle navi". Nel libro V, il guerriero rodese ingaggia un duello con Sarpedonte di Lidia, figlio di Zeus. Durante il combattimento disprezza l'avversario ritenendolo poco potente rispetto al padre, anch'egli prole di Zeus, ma a suo dire di tutt'altra forza.

Nel XV libro il poeta invece, raccontando le gesta degli eroi principali, sofferma il suo sguardo su Ettore, che uccide Perifete, nunzio di Euristeo presso Eracle, citato anche in questo caso per la sua possanza fisica, che, è evidente, in questo contesto non appare aver un ruolo significativo.

Sempre nell'Iliade vi è inoltre il racconto dell'inganno che Era tesse alle spalle di Zeus a proposito della nascita di Eracle ed Euristeo.

Nell'Odissea invece minori sono i riferimenti ad Eracle ma il connotato principale dell'eroe rimane comunque la forza fisica.

Eracle è spesso presentato come figura brutale e dedita alla violenza, in particolar modo nel XXI libro, dove si trova un passo relativo alla morte di Eurito.

I testi di Esiodo


Nella Teogonia di Esiodo abbondano i riferimenti alle vicende di Eracle, ma non troviamo nel poema una trattazione continua delle sue imprese. Il Galinsky osserva come egli ne celebri le imprese, le fatiche, la vita di sofferenze che gli guadagnarono l'accesso all'Olimpo. Questa immagine di Eracle è solitamente considerata come paradigma dell'eroe 'culturale', portatore cioè della civiltà contro la barbarie.

Tale immagine positiva e 'morale' di Eracle si afferma anche in uno dei poemi pseudoesiodei, lo "Scutum", poemetto di 480 esametri che narra la storia dello scontro tra Eracle e Cicno figlio di Ares. In questo caso Eracle si fa portavoce non solo di un valore culturale di fronte alla barbarie, ma addirittura gioca un ruolo etico nella difesa della pietas religiosa verso il dio Apollo, i cui fedeli venivano uccisi dal mostruoso brigante.

Anche in questo poemetto l'eroe veste ancora l'armatura del guerriero omerico: indizi cronologici interni ed esterni al testo suggeriscono che l'opera appartiene ad epoca anteriore alla rivoluzione iconografica dovuta a Stesicoro, il quale lo descrisse con la celebre pelle del leone nemeo sulle spalle e la clava.

Le tragedie


Il quinto secolo è la grande stagione della tragedia attica: tra le opere sopravvissute fino ai nostri giorni Eracle è protagonista di quattro di esse, Le Trachinie e il Filottete di Sofocle, l'Alcesti e l'Eracle di Euripide.

Dalle testimonianze antiche sappiamo, però, che l'eroe aveva una parte ampia anche nella produzione di Eschilo. L'Holt[18]. dedica molto spazio all'analisi dei presunti frammenti degli Eraclidi di Eschilo e suppone che ci fossero riferimenti alla morte dell'eroe ed alla sua apoteosi.

L'eroe aveva certamente spazio nella terza tragedia della trilogia prometeica, il Prometeo Liberato. Egli è rappresentato nell'atto di liberare il titano che, in segno di riconoscenza gli dona una profezia sui suoi futuri vagabondaggi in Occidente e le sue fatiche successive. L'eroe assume l'immagine tradizionale di benefattore dell'umanità (come già in Esiodo e Pindaro), caricandosi di un significato altamente religioso. Eracle ha la funzione di esempio morale, in quanto rappresenta il rovescio della figura tracotante di Prometeo: come il titano si era mostrato ribelle alla volontà divina e motivo di ira per il padre degli dei, così l'eroe figlio di Alcmena è l'immagine dell'obbedienza alla divinità e strumento di riconciliazione tra il dio e l'umanità.

Sofocle si è spesso ispirato nella sua produzione ad episodi della vita di Eracle. Nelle due tragedie superstiti, il Filottete e le Trachinie, abbiamo due immagini differenti dell'eroe: nella prima assume il ruolo del deus ex machina, che dopo la morte viene a dirimere la contesa che oppone lo sfortunato eroe abbandonato a Lemno e i capi greci; nella seconda offre al pubblico un'immagine decisamente più umana, di eroe al termine della vita di fronte all'inevitabilità della morte. Nel dramma di Filottete Eracle è, dunque, assunto nel ruolo di strumento della volontà divina, simile a quello giocato nel Prometeo liberato di Eschilo, ed è posto sullo stesso piano di qualsiasi altra divinità olimpica che ex machina soprattutto nei drammi euripidei viene a risolvere le vicende. Egli ha conquistato tale ruolo divino attraverso le sofferenze e le fatiche compiute durante la vita terrena al servizio di Zeus e a favore dell'umanità.

Più problematico è, invece, l'Eracle delle Trachinie, che sembra segnare un passo indietro rispetto all'evoluzione che la sua figura aveva assunto nel corso del VI e del V secolo a.C. Egli è raffigurato, infatti, come un eroe violento e brutale, schiavo di passione ed ira, indotto alla distruzione di una città solo per conquistarne la figlia del re. L'eroe pare soccombere al suo destino a causa di un errore della dolce sposa, da lui poco considerata, che tenta di mantenerlo legato a sé con l'impiego di quello che crede un filtro d'amore. La morte causata accidentalmente dalla donna, che gli invia una tunica intrisa del sangue avvelenato del Centauro Nesso, è in realtà voluta dal destino: l'eroe deve espiare le sue mancanze e pagare le azioni superbe di cui si è reso colpevole. L'intento di Sofocle è di dimostrare come nelle vicende umane sia sempre presente lo sguardo divino, di fronte al quale neppure il più forte degli eroi può nulla. Nel corso dell'opera il protagonista è oggetto di una evoluzione, una presa di coscienza delle sue colpe e giunge ad ammettere tutto il peso delle sue azioni, riconoscendo la superiorità e la giustizia della volontà divina. Al termine del dramma, infatti, sostiene che è meglio ubbidire al padre Zeus, accettando serenamente la morte destinatagli.

Euripide fornisce un'interpretazione alquanto originale anche della figura di Eracle. La prima opera in cui appare l'eroe è l'Alcesti, tragedia problematica per la sua stessa struttura e posizione all'interno della tetralogia: occupa, infatti, il quarto posto - quello tradizionalmente riservato al dramma satiresco - ed è originale per il suo lieto fine. Tra i personaggi, Eracle è quello più discusso: non appare un eroe tragico, anzi, per la sua ingordigia nel mangiare e nel bere che lo apparenta all'immagine di lui diffusa nella commedia attica, sembra un buffone da dramma satiresco. Nonostante tutto si inserisce nel dramma in un momento centrale. Dopo aver conosciuto la verità si sveste infatti dei panni del beone per assumere quelli tradizionali di benefattore, adoperandosi per il suo ospite Admeto.

L'Eracle di Euripide è una tragedia tipica del grande poeta, problematica validità della religione olimpica e la precarietà dell'uomo di fronte al divino. Eracle è al termine delle sue fatiche, di ritorno presso la moglie Megara e i figli, insidiati dal tiranno Lico. L'arrivo dell'eroe garantisce l'immediata liberazione dei perseguitati, ma segna anche la loro fine. Euripide ha inteso creare intorno all'eroe il vuoto totale: al culmine della gloria, egli diviene oggetto della peggiore delle catastrofi per sua stessa mano, l'uccisione della moglie e dei figli. Euripide modifica alcuni particolari della storia - nel racconto tradizionale le fatiche erano imposte ad Eracle in qualità di espiazione dell'assassinio di Megara e dei figli - per fare di Eracle l'eroe di fronte alla tragedia della vita. Il doloroso rimprovero agli dei, in particolare ad Era, che per gelosia di una mortale ha permesso tanta sofferenza, è il grido dell'uomo impotente di fronte al fato. L'umanizzazione dell'eroe dinanzi al dolore è disarmante e ancora più sconvolgenti sono le motivazioni addotte da Teseo per consolare l'amico, secondo cui "Nessuno è senza colpa, né uomo né Dio". Euripide ha inteso modificare il ruolo di Eracle rispetto alla tradizione che va da Pindaro in poi, secondo una idealizzazione etica nuova e umana.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 20:29
 
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Eraclidi

Gli Eraclidi, nella mitologia greca, sono i discendenti di Eracle, specificamente di Eracle e Deianira.

Dopo essere stati banditi dalla Grecia, rimasero in esilio per cinquant'anni, passati i quali invasero il Peloponneso, sostenuti dal pretesto della parentela tra la casa reale e l'eroe greco. Il ritorno degli Eraclidi sarebbe il ricordo leggendario dell'invasione dorica, avvenuta verso il 1100 a.C.. Secondo altri, poi, gli Eraclidi furono anche i fondatori di Sparta, dopo aver distrutto la Sparta micenea (più precisamente Lacedemone).

Vengono definiti Eraclidi anche i discendenti di Eracle e di una schiava di Iardano, che, intorno al 1221 a.C., con Agrone presero possesso della Lidia. La discendenza di Eracle avrebbe governato sulla regione per 505 anni, per essere poi detronizzata, dopo Candaule, da Gige, fondatore della dinastia mermnade. Tale ramo degli Eraclidi affermava di discendere dal dio del Sole che i Lidi chiamavano Sandone, gli Assiri Belo e i Greci identificavano, appunto, con Eracle.

Erasippo

Nella mitologia greca, Erasippo era il nome del figlio di Lisippe e di Eracle.

La madre rimase incinta come le sue 49 sorelle dall'eroe che era venuto ospite in casa del padre, Erasippo e gli altri facevano parte dei Tespiadi.

Ercina

Ercina, in greco Herkyna o Herkynna era nella mitologia greca la ninfa della Beozia.

Giocando con Persefone nel bosco sacro di Trofonio si lasciò scappare un'oca, che si rifugiò in una grotta sotto una pietra da dove, quando questa fu tolta, sgorgò una fonte, cui venne dato il nome di Ercina.

Eretteo (mitologia)

Eretteo è una figura della mitologia greca. Era un re di Atene. Eretteo è lo stesso figlio di Erittonio, secondo gli storici attici invece sarebbe suo nipote, figlio di Pandione e di Zeusippe. Fu il sesto re di Atene,ed ebbe otto figli da Prassitea figlia del dio fluviale Cefiso, di cui quattro femmine: Procri, Orizia, Creusa e Ctonia, che si amavano a tal punto che decisero di morire insieme. Durante la guerra contro gli Eleusini capeggiati da Eumolpo figlio di Posidone, apprese dall'oracolo di Delfi che per conseguire la vittoria avrebbe dovuto sacrificare una delle sue figlie. Decise allora di sacrificare Ctonia, ma nel momento del sacrificio, anche le sue sorelle (dette Giacintidi) si uccisero, poiché, segretamente, avevano fatto voto di morire tutte insieme. Riportata la vittoria, Eretteo uccise Eumolpo in fuga, ma Posidone lo punì aprendo la terra sotto i suoi piedi con un colpo di tridente e facendolo precipitare nel luogo dell'Acropoli dove venne inseguito edificato l'omonimo templio. Spesso, egli è confuso con suo nonno Erittonio.

Ereutalione

Nella mitologia greca, Ereutalione era il nome di uno degli eroi di Ftia.

Di lui si racconta nell'Iliade come scudiero di Licurgo, partecipò con lui nella guerra di Troia e gli regalò le sue armi essendo troppo anziano per poterle utilizzarle al meglio. Esse erano armi magiche donategli dallo stesso Ares, il dio della guerra.

Venne ucciso in seguito da Nestore.

Ereuto

Nella mitologia greca, Ereuto è il nome di un combattente acheo alla guerra di Troia, citato nel libro II della Posthomerica di Quinto Smirneo (poema epico che narra gli avvenimenti posteriori a quelli raccontati da Omero nell'Iliade).


Secondo la descrizione di Quinto Smirneo, Ereuto era un esperto guerriero argivo che risiedeva nella città di Tiro, sulle rive del fiume Alfeo, in Messenia. Esperto nell'uso delle armi, si era più volte cimentato in scontri armati nel quale aveva sempre dimostrato il suo valore bellico.

Morte

Ereuto seguì Nestore e i suoi due figli Antiloco e Trasimede a Troia per prendere parte al conflitto che vide opposti Achei e Troiani per la contesa di Elena. Ereuto vi giunse sicuramente a bordo di una delle novanta navi che costituivano, secondo Omero, la flotta con cui Nestore contribuì allo scontro. (Omero, Iliade, libro II, v. 602.)

Nel decimo anno del conflitto, Ereuto si scontrò con Memnone, il valoroso figlio di Eos (l'Aurora) che gli aveva ucciso il compagno Terone; il guerriero acheo venne a sua volta privato della vita dalla lancia dell'avversario che, abbandonatolo morto a terra, si scagliò su Achille sperando di ucciderlo. In realtà, Ereuto e Terone (oltre ad Antiloco, figlio di Nestore) sono le uniche vittime conosciute di Memnone.

Ergino

Nella mitologia greca, Ergino era uno degli Argonauti, figlio della principessa beota Budea o Buzige.

L'incidente


Durante una festa ci fu un lieve incidente che fece però scaturire la collera dei Tebani, quindi l'auriga Meneceo prese un sasso e lo lanciò contro il re Climeno, colpendolo a morte, ed egli prima di morire chiese vendetta.

Ergino subito con il suo esercitò marciò e sconfisse gli avversari, chiedendo pesanti tributi per vent'anni come risarcimento della morte del re.

Il viaggio di Eracle

Eracle durante uno dei suoi viaggi incontrò degli araldi che stavano recandosi per riscuotere il tributo. Alle domande dell'eroe, circa il motivo della loro venuta, loro risposero il vero aggiungendo che era una fortuna che non avesse chiesto invece del tributo parti del loro corpo, come orecchie e nasi. Eracle per tutta risposta tolse agli aralkdi le parti del corpo pronunciate e le spedì al loro re.

La rivolta


Ergino pretendeva di conoscere il colpevole e il re Creonte stava per obbedire agli ordini quando Eracle convinse ogni cittadino in età adulta a combattere per la libertà. Prese le armi e le armature offerte agli dei, ma prima di combattere un oracolo gli profetizzò vittoria certa se chi avesse la discendenza più nobile si fosse tolto la vita.

Tale persona era evidentemente Antipeno ma lui indugiava nell'uccidersi, al posto suo si sacrificarono le di lui figlie, Androclea e Alcide.

Ergino spravvisse a stento a tale attacco, perdendo tutti i suoi averi, ed in seguito diventò uno degli Argonauti. Egli volle ricostruire la sua vecchia fortuna riuscendoci alla fine, ma ormai vecchio e senza prole, ma grazie al consiglio di un oracolo si sposò e generò tre figli.

Erice

Figlio dell'argonauta Bute e di Afrodite, re degli Elimi, in Sicilia. Egli era un ottimo pugile e lottatore e sfidò, a un combattimento in cinque riprese, Eracle che ritornava dopo aver ritrovato il toro che era fuggito dalla mandria di Gerione. Eracle accettò la sfida, alla condizione che Erice avrebbe messo in palio il suo regno contro il toro fuggito dalla mandria di Gerione. Eracle vinse le prime quattro riprese; infine sollevò Erice alto sulle braccia, lo scaraventò a terra e lo uccise, e così insegnò ai Siciliani che chi è nato da una dea non è sempre immortale. Eracle vinse dunque il regno di Erice e lo lasciò agli abitanti del luogo, perché ne godessero finché uno dei suoi discendenti non si presentasse per rivendicarlo.
Altri dicono che Erice (il luogo dove egli lottò con Eracle ancora si vede) aveva una figlia chiamata Psofide che generò a Eracle due figli: Echefrone e Promaco. Condotti sull'Erimanto, essi gli diedero il nuovo nome di Psofide in onore della madre, e colà innalzarono il tempio ad Afrodite Ericina, di cui oggi rimangono soltanto le rovine. I santuari eroici di Echefrone e Promaco hanno da lungo tempo perduto la loro importanza, e Psofide è di solito considerata figlia di Xanto, nipote di Arcade.

Erifile

Erifile era figlia di Lisimaca e Talao, re di Argo, e sorella di Adrasto. Da questi fu data in moglie a uno dei principi argivi, Anfiarao, in seguito a un contenzioso fra i due cugini, come segno di riconciliazione.

Erifile tradì il marito, ai tempi della spedizione dei Sette contro Tebe, e in seguito anche il figlio Alcmeone, inducendoli a marciare su Tebe. In cambio ottenne la collana e il manto di Armonia, rispettivamente da Polinice e dal figlio di lui Tersandro. Alcmeone, scoperta la corruzione di Erifile, uccise la madre, ma fu da questa maledetto e per ciò perseguitato dalle Erinni.
Polinice offre a Erifile la collana di Armonia, in un oinochoe risalente al 450-440 a.C.

La vicenda di Erifile è narrata da Pseudo-Apollodoro, Pausania, Diodoro Siculo e Igino, . Della omonima tragedia di Sofocle sono rimasti invece solo dei frammenti.

Anfiarao, suo marito, era un veggente, e aveva previsto che la guerra a Tebe si sarebbe risolta con la morte di tutti gli eroi che vi avrebbero partecipato, con l'eccezione di Adrasto, che frattanto era succeduto a Talao sul trono di Argo. Per questo, disobbedendo agli ordini del re, rifiutava di partecipare alla spedizione. Tuttavia, in precedenza, durante una feroce discussione con Adrasto, quando ormai i due avevano sfoderato le armi, Erifile si era frapposta fra i contendenti e li aveva riportati alla ragione, facendosi giurare solennemente che per ogni futuro diverbio si sarebbero appellati al suo giudizio. Tideo, principe di Calidone in esilio ad Argo, venne a sapere di questo giuramento; del pari sapeva quanto Erifile temesse di perdere la propria bellezza. Ora, Adrasto aveva promesso a Tideo di reinsediarlo nel proprio regno solo dopo la marcia su Tebe; così questi suggerì a Polinice di offrire a Erifile la collana della sua ava Armonia, regalo della dea Afrodite, che donava la bellezza a chiunque la indossasse, a patto che la donna convincesse Anfiarao a intraprendere la spedizione. Erifile si lasciò corrompere, Anfiarao partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe e, come aveva predetto, vi perse la vita insieme agli altri eroi.

In seguito i figli dei sette, noti come gli Epigoni, giurarono di vendicare la morte dei loro padri. L'Oracolo di Delfi predisse loro la vittoria su Tebe solo se Alcmeone, figlio di Erifile e Anfiarao, avesse guidato l'attacco. Il giovane però, contrariamente al fratello Anfiloco, era restio a intraprendere la guerra, e per questo i due avevano rimesso la decisione alla madre. Tersandro, figlio di Polinice, memore dello stratagemma usato in precedenza dal padre, offrì a Erifile il manto di Armonia, e la donna si risolse in favore della guerra. Così, dieci anni dopo la spedizione dei Sette, Tebe cadde. Tersandro, però, si gloriò pubblicamente d'aver corrotto Erifile e di avere dunque il merito della vittoria. Quando Alcmeone udì quelle parole, apprendendo che la donna era responsabile della morte del padre, decise di interrogare l'Oracolo di Delfi sul destino da riservarle. L'oracolo rispose che Erifile meritava di morire, e Alcmeone, interpetando erroneamente il responso come un'autorizzazione al matricidio, la uccise. Prima di morire, però, Erifile maledisse il figlio, che per questo fu a lungo perseguitato dalle Erinni, prima di trovare la morte a Psofide per mano di re Tegeo.

Secondo Igino, invece, Anfiarao si era nascosto per sfuggire alla sua sorte, e fu lo stesso Adrasto a offrire a Erifile un monile d'oro e gemme per sapere dove si trovasse suo marito. Anfiarao, vistosi tradito, ordinò allora ad Alcmeone di vendicarsi sulla madre dopo la propria morte.

L'ombra di Erifile apparve poi a Odisseo, insieme a quelle di altre donne illustri, nel corso del viaggio nell'Ade intrapreso dall'eroe per incontrare Tiresia. Anche Omero, tuttavia, non menziona specificatamente la collana di Armonia, ma si limita a dire che Erifile tradì il marito per dell'oro.

Erigone (figlia d'Icario)

Erigone è una figura mitologica figlia di Icario, giardiniere dell'Attica.

Fu sedotta da Dioniso apparso in veste di sconosciuto a lei e al padre a far dono del vino in seguito all'ospitalità da loro ricevuta.

Quando Icario fu ucciso, Erigone lo cercò per mesi fino a quando fu condotta dal suo cane Mera presso un pozzo dove era stato gettato. Seppellito il cadavere del padre si impiccò ad un albero.

Dopo la morte ascese al cielo a formare la costellazione della Vergine. In cielo Erigone porta una spiga nella mano sinistra, Spica, α Virginis, ed è seguita da vicino dal Cane Maggiore, la cui stella più luminosa Sirio, α Canis Majoris, rappresenta proprio il cane Mera.

Per ricordare la sua morte furono istituite delle festività, sotto suggerimento dell'oracolo di Apollo, al quale la popolazione si era rivolta per rimediare a un'epidemia di suicidi diffusasi in Attica.

Secondo alcuni miti Erigone e Dioniso ebbero un figlio di nome Stafilo, il cui nome significa grappolo d'uva, mentre secondo altri il figlio sarebbe di Dioniso e Arianna.

Erigone (figlia di Egisto)

Erigone è una figura della mitologia greca, figlia di Egisto e Clitennestra.

Nata dalla sventurata unione di Egisto con Clitennestra, Erigone è sorella di Alete e di Elena. Sopravissuta alla furia di Oreste, che le uccise entrambi i genitori ed anche la sorella Elena, lo accusò personalmente di omicidio e matricidio di fronte ai membri dell'Areopago, chiedendone la morte. Quando, per intervento di Atena, Oreste venne assolto da ogni accusa, Erigone, disperata, s'impiccò. Secondo un'altra versione, Erigone, che stava per essere uccisa da Oreste similmente al fratello Alete, venne salvata da Artemide che la trasportò ad Atene, dove la rese una sua sacerdotessa.

Un'altra tradizione, accolta da Pausania, riferisce che Erigone, riconciliata con Oreste, divenne sua sposa e gli diede un figlio, Pentilo.

Erilao

Nella mitologia greca, Erilao figura come uno dei guerrieri troiani che presero parte alla guerra di Troia e di cui Omero fa menzione nel libro XVI dell'Iliade.

È Quinto Smirneo, e non Omero, a riferire che Erilao prese in moglie la graziosa Clite, dal quale ebbe il figlio Melanione; questi, come il padre, partecipò alla guerra di Troia, morendo per mano di Antifo, compagno di Ulisse.

Mentre balzava contro il nemico, Erilao venne colpito da Patroclo al capo con una pietra che, sebbene protetto dall'elmo robusto, lo fracassò in due parti; il suo cadavere crollò a terra prono, e su di esso ebbe il sopravvento la morte.

Erilo


Erilo è il figlio della dea Feronia e del re di Preneste. È un mostro orrendo con tre vite e tre corpi. Evandro, per ucciderlo, dovette colpirlo tre volte.

Erimante

Nella mitologia greca, Erimante era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo due guerrieri entrambi schierati nell’esercito troiano ed entrambi uccisi a poca distanza l’uno dall’altro:

Erimante o Erìmante, feroce combattente di parte troiana, che in battaglia affrontò l'eroe di Creta, partecipante alla famosa guerra, Idomeneo, che lo uccise conficcandogli la sua lancia nella cavità orale. Quando Patroclo vide che gli achei stavano morendo accanto alle navi ad opera dei Troiani e di Ettore, egli andò alla tenda dell'intimo amico Achille per chiedergli le sue armi e combattere in vece sua. Dopo lunga riflessione Achille acconsentì a prestargliele, e si limitò a guardare il campo di battaglia ed a seguire con lo sguardo il compagno adorato, sperando di vederlo ritornare sano e salvo dalla battaglia. Patroclo cominciò allora a seminare sulla Terra avversari presso le navi dei suoi compagni, e per primi uccise Piraicme, comandante dei Peoni della Macedonia, e subito dopo il guerriero troiano Areilico, spezzandogli l'osso del femore con un potente colpo della sua lancia. Idomeneo allora fu affrontato dal giovane e feroce Erimante, altro combattente di parte troiana. Questi non riuscì a colpirlo, dopo avergli scagliato contro la sua lancia, ma fu invece lo stesso Idomeneo ad ucciderlo in maniera puramente cruenta: lo colpì nella bocca con la sua lancia e la punta lo trafisse all'interno del membro vocale raggiungendo infine il cervello, da dentro. Le conseguenze furono devastanti: l'intera dentatura saltò, e tutto dentro il viso divenne del colore del fuoco: vomitò quindi il sangue dalle narici e dalla bocca spalancata, mentre anche entrambi gli occhi si riempivano di sangue: questa fu la causa immediata della sua fine, per mano del nemico.

Erimanto

Nella mitologia greca, Erimanto è il nome di un figlio di Apollo, colpito dalla vendetta di Afrodite e a sua volta vendicato dal padre.

Figlio di Apollo, Erimanto scorse per caso Afrodite intenta a fare un bagno, svelandone le nudità dopo che la dea si era giaciuta con Adone. Afrodite, adirata, lo privò della vista. Apollo, a sua volta incollerito, decise di vendicare il figlio assumendo le sembianze di un cinghiale e azzannando a morte Adone con un colpo di maglio.

La vicenda è narrata nella Nuova Historia da Tolomeo Efestione ed è posta come alternativa alla tradizione che vuole Ares ad uccidere Adone.

Erinni

Divinità minori della Grecia antica, personificazione della maledizione furibonda e della vendetta punitiva. Secondo Esiodo nacquero dal sangue sgorgato dai genitali di Urano che cadde sulla terra quando Crono lo castrò.
Secondo un'altra versione nacquero dalla Notte. Mentre in antico il loro numero è incerto e va da una a tre, con Euripide compaiono regolarmente in numero di tre, e nell'età ellenistica e in Virgilio con i nomi di Aletto ("l'incessante"), Megera ("la maligna") e Tisifone ("la vendicatrice"). Sono raffigurate come geni alati, i cui capelli sono intrecciati di serpenti; tengono in mano torce o fruste.
In senso più generale le Erinni stanno dalla parte dell'ordine stabilito. Insorgono contro la violazione di ogni diritto, specialmente quando si offendono con spargimento di sangue i diritti della famiglia, in particolar modo chi si è macchiato di delitti quali il parricidio, il fraticidio e l'assasinio d'un amico. Ma essenzialmente le Erinni avevano il compito di punire i trasgressori delle leggi "naturali". Il filosofo Eraclito dice che se il sole avesse voluto cambiare il suo corso esse sarebbero state in grado di impedirglielo. In tempi antichi gli uomini non avevano la possibilità e nemmeno il diritto di punire tali orrendi crimini e veniva lasciato alle Erinni il compito di perseguitare il colpevole. Il concetto di Nemesi supera addirittura quello delle Furie; anche Nemesi controllava che alla fine la vendetta fosse compiuta.
Nelle Eumenidi di Eschilo, terza parte dell'Orestea, la trilogia sulla morte di Agamennone e la vendetta dei suoi figli, le Erinni perseguitano Oreste colpevole d'aver ucciso la madre Clitennestra per vendicare la morte del padre Agamennone. In questa tragedia, che la prima volta che venne rappresentata terrorizzò il pubblico, le Erinni erano inserite nel coro. Venivano rappresentate con teste di cane, ali di pipistrello e occhi iniettati di sangue; stringevano nelle mani pungoli di bronzo. Era il gesto commesso da Oreste ciò che interessava alle Erinni, non che fosse fatta giustizia o usata clemenza. Persino Apollo si trovò a fronteggiare la loro implacabile vendetta poiché egli stesso aveva deciso della morte di Clitennestra per mano di Oreste e l'aveva poi protetto a Delfi, il suo altare sacro. Le Erinni secondo Eschilo, lo inseguirono fin lì e finalmente gli dèi riuscirono a convincerle ad accettare il verdetto dell'antica corte ateniese dell'Areopago. Atena, patrona della città, intervenne e stabilì di dare il suo appoggio a Oreste se in cambio egli avesse rubato la sacra immagine di Artemide nel Chersoneso taurico per riportarla ad Atene; e le Erinni con il nome di Eumenides ("gentili") o Semnai Theai ("venerabili") vennero poi venerate ad Atene.
Le Erinni perseguitarono anche Alcmeone, colpevole di matricidio. Come Oreste, pur avendo ricevuto da Apollo l'ordine di vendicare il padre, venne ugualmente perseguitato dalle Erinni, e attraversò tutta la Grecia finché trovò rifugio su una nuova terra che non era ancora nata al tempo dell'uccisione di sua madre e sfuggì in questo modo ai poteri delle sue persecutrici. Edipo, a sua volta tormentato dalle Erinni per l'uccisione del padre, non ebbe pace che con la morte.
Le Erinni provocavano nelle loro vittime la pazzia, torturandole in tutte le maniere. Cosa il nome Erynies significasse non è certo, ma i Greci erano riluttanti a pronunciarlo e gli Ateniesi, per evitarne le nefaste influenze, preferivano usare gli eufemismi "Gentili" e "Venerande".
In Arcadia v'era un luogo dove si trovavano due templi alle Erinni; in uno erano chiamate maniai ("che mandano la pazzia"); e fu proprio qui che, di nero vestite, assalirono Oreste per la prima volta. In quei pressi, secondo le cronache associate alle Grazie (Charites, "spiriti del perdono"); e qualche tempo dopo, questa volta vestite di bianco, benedirono Oreste il quale offrì loro sacrifici.
Secondo alcuni autori le Erinni avevano dimora nel Tartaro e quando non percorrevano la terra per punire i colpevoli, si dedicavano a torturare i dannati. Questa doppia dimora si collega forse alle due diverse storie della loro nascita: figlie della Terra o della Notte, ma secondo una versione alternativa erano nate da Ade, dio del Tartaro e da Persefone, e proprio come i due dèi degli inferi avevano una doppia natura, benigna e maligna.
I Romani le chiamarono Furiae o Dirae deae, e con tale nome esse entrarono nella mitologia romana, dove appaiono solo quali divinità malefiche.

Eris

Dea greca, personificazione della discordia. Secondo la concezione omerica, essa è sorella e compagna di Ares e cresce a tale altezza da toccare col capo il cielo, pur continuando a camminare sulla terra. Dimo e Fobo, cioè il Terrore e lo Spavento, le sono compagni. La Teogonia esiodea la fa figlia della Notte, che è madre anche della Morte, della Vecchiaia, dell'Inganno, e di tutto quanto c'è di cattivo.
Sorella e seguace di Ares suscita sempre nuove guerre spargendo voci malvagie e alimentando le gelosie. Non favorisce questa o quella città, ma combatte ora a fianco degli uni ora a fianco degli altri, così come l'umore le suggerisce, godendo a vedere carneficine di guerrieri e saccheggi di città.
Alle nozze di Peleo e di Teti, Eris non fu invitata; ma si presentò ugualmente alla cerimonia e, per vendicarsi, decise di far nascere una baruffa tra gli dèi. Mentre Era, Afrodite e Atena conversavano amichevolmente, lasciò cadere una mela d'oro ai loro piedi. Peleo la raccolse e lesse perplesso ciò che vi stava scritto sopra: "Alla più bella!" Egli non capiva a chi fosse destinata. Quella mela fu poi la causa prima della guerra di Troia.
Anche al matrimonio di Piritoo con Ippodamia, Eris non venne invitata; Piritoo rammentava infatti quali guai aveva fatto nascere alle nozze di Peleo e di Teti. Ma anche questa volta la dea si vendicò per l'offesa fattale, facendo scatenare una lotta furibonda tra i convitati in seguito alla quale ebbe origine l'antica inimicizia fra i Centauri e i loro vicini Lapiti.
Eris è rappresentata con un pomo in mano e con serpi fra i capelli; di solito come un demone malvagio e spaventoso. Esiodo, ne Le Opere e i Giorni, distingue due Discordie: una, perniciosa, figlia della Notte, e l'altra, utile, che non è altro che la nobile emulazione che Zeus ha posto come "molla" nel mondo.

Erisittone 1

Eroe tessalo, figlio del re Triopa; il suo mito è narrato da Callimaco nell'inno a Demetra, sviluppato da Ovidio nelle Metamorfosi (VIII, 738-878).
Uomo empio e violento, non temeva la collera degli dèi. Un giorno, alla testa di venti compagni, decise di invadere il bosco sacro che i Pelasgi avevano dedicato alla dea Demetra a Dozio, e cominciò ad abbattere alberi sacri per costruirsi una nuova sala per i banchetti. Demetra assunse l'aspetto della ninfa Nicippe, sacerdotessa del bosco, e gentilmente ordinò a Erisittone di desistere. Ma quando costui la minacciò con la sua ascia, Demetra gli si rivelò in tutto il suo splendore e lo condannò a soffrire la fame in perpetuo, per quanto mangiasse. Erisittone ritornò a casa e si abbuffò dalla mattina alla sera a spese dei suoi genitori, ma più mangiava più diventava magro e roso dai morsi della fame, finché non fu più possibile fornirgli altro cibo ed egli dovette mendicare per le strade, mangiando rifiuti.
La figlia Mestra, giovane bellissima, aveva ricevuto dall'amante Poseidone la facoltà di trasformarsi a volontà. Assumeva ogni giorno una forma nuova e il padre, vendendola sul mercato come schiava, poteva sfamarsi. Ella poi, appena venduta, fuggiva facilmente dalla casa del padrone per tornare alla propria casa. Assumeva un'altra forma e tornava a vendersi di nuovo, procurando così risorse al padre. Ma questi finì, nella sua pazzia, col divorare se stesso.
Dante nomina Erisittone nel Purgatorio (XXIII, 25-27).
Non credo che così a buccia strema
Eresitone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n'ebbe tema.

Erisittone 2

Eroe leggendario d'Atene, figlio del primo Cecrope e di Aglauro, e fratello di Aglauro (amata da Ares), Erse (amata da Ermete) e Pandroso.
Erisittone andò in viaggio a Delo, da dove riportò una vecchia statua d'Ilizia; ma egli morì sulla strada del ritorno.

Erito

Nella mitologia greca, Erito o Eurito, dal greco Ἐρυτοςdal era uno dei figli di Ermes.

Eurito, figlio del divino Ermes avuto con Antianira, era il fratello gemello di Echione.

Eurito Secondo Apollonio Rodio, ed altre fonti minori, partecipò alla spedizione degli argonauti, il viaggio per il recupero del vello d’oro a cui capo vi era Giasone, ma nel mito non vi sono tracce significanti del suo ruolo in quelle avventure.

Erittonio (Re)

Erittonio, personaggio della mitologia greca, era figlio di Dardano ed Ecuba, nipote di Zeus, il padre degli dei. Si sposò con Astiope, da quel matrimonio nacque Troo.

Secondo un'altra versione, era figlio di Efesto e di Atena, nacque dal seme del dio gettato sulla gamba della dea. Una volta nato, il bambimo fu collocato in una cesta e affidato a una delle figlie di Cecrope, le quali si spaventarono a morte notando che all'interno della cesta spuntava una coda di serpente, e per questo motivo si suicidarono.
Il suo nome viene ricordato perché gli viene accreditata l'invenzione della quadriga, l'introduzione del denaro, e il lancio delle Panatenaiche, feste in onore di Atena.

Ermafrodito

Ermafrodito è una figura della mitologia greca, figlio di Ermes e di Afrodite.

Il dio venne allevato dalle ninfe in Frigia. Quindicenne, nel corso della sua esplorazione del mondo, il bellissimo dio giunse in Caria, sulle rive di un grande lago. Qui lo vide la ninfa Salmace, che si innamorò subito di lui. Questa, appena Ermafrodito si bagnò nel lago, chiese agli dei di potersi unire per sempre a lui. I due divennero un essere solo, metà uomo metà donna.

Ermafrodito ottenne dagli dei che chiunque si fosse immerso in quel lago avrebbe subito perduto la virilità.

"Ermafrodito, come è stato chiamato, che era nato da Ermes e di Afrodite e ha ricevuto un nome che è una combinazione di quelli di entrambi i genitori. Alcuni dicono che questo è un dio e appare in certi momenti tra gli uomini, e che egli è nato con un corpo fisico che è una combinazione di quella di un uomo e quella di una donna, in quanto egli ha un corpo che è bello e delicato come quello di una donna, ma ha la qualità maschile e il vigore di un uomo. Ma ci sono alcuni che dichiarano che tali creature dei due sessi sono mostruosità, e raramente venuta nel mondo, hanno la qualità del presagendo il futuro, a volte per il male e qualche volta buona."

Secondo il mito di Ovidio, Ermafrodito è stato allattato dalle Naiadi nelle grotte del Monte Ida, una montagna sacra in Frigia (attuale Turchia). All'età di quindici anni, annoiato dall'ambiente in cui viveva, viaggiò verso le città della Licia e Caria. È stato nel bosco di Caria, nei pressi di Alicarnasso (l'attuale Bodrum, in Turchia), che ha incontrato la ninfa Salmace nella sua piscina. Salmace era sopraffatta dalla lussuria per il ragazzo e cercò di sedurlo, ma è stata respinta. Quando ha pensato che fosse andata, Ermafrodito si spogliò ed entrò nelle acque della piscina vuota, ma Salmace saltò fuori da dietro un albero e si gettò in piscina. Si avvolse intorno al ragazzo, con la forza lo baciò e gli toccò il petto. Mentre Ermafrodito si dibatteva, lei gridò agli dèi che non si sarebbe mai separata da lui. Il suo desiderio venne accolto, e i loro corpi mescolati in una creatura di entrambi i sessi.

Ermete

Figlio di Zeus e di Maia, la più giovane delle Pleiadi. La sua nascita e le sue vicende sono narrate in uno degli Inni Omerici intitolato appunto Hermes. Era nato in una caverna del monte Cillene in Arcadia, donde il suo soprannome di Cillenio. Maia lo aveva concepito da Zeus, in piena notte, approfittando dei momenti un cui Era dormiva, e lo diede alla luce all'alba del quarto giorno del mese, giorno che restò consacrato ad Ermete. Alla nascita fu avvolto in fasce, come a quei tempi si usava fare con i neonati, e fu posto in un canestro a guisa di culla, ma poiché il dio era particolarmente precoce, prima di mezzogiorno era già in grado di slegarsi e uscire dalla caverna, e di dare prova della furbizia, della destrezza, dell'abilità che furono sue doti peculiari. Con sorprendente rapidità egli si trasformò in un ragazzino e, non appena la madre gli voltò le spalle, balzò fuori dalla culla e andò in cerca di avventure. Giunto nella Pieria, dove Apollo custodiva una magnifica mandria di vacche di Admeto, decise di rubare cinquanta giovenche. E affinché Apollo non lo acciuffasse seguendo le tracce degli animali, attaccò un ramo alla coda di ciascun animale (secondo altri, li fornì di zoccoli) e tirandoli per la coda portò nottetempo gli animali fino in una cavera a Pilo nel Peloponneso. Ermete, per confondere le sue tracce, ebbe l'accortezza di legarsi alcuni arbusti ai piedi. Era stato visto da un testimone, un vecchio chiamato Batto al quale promise una giovenca in cambio del silenzio. Sacrificò due capi ai dodici dèi dell'Olimpo, bruciò le interiora e le teste per nascondere le prove del suo furto e, dopo aver messo al sicuro il resto della mandria, fece ritorno nella sua grotta del Cillene. All'ingresso della grotta trovò una tartaruga, la uccise, le tolse il guscio e sulla cavità tese sette corde fabbricate con gli intestini dei due animali che aveva sacrificato, inventando così la prima lira.
Apollo, il mattino dopo, si accorse del furto, ma il trucco di Ermete funzionò a meraviglia, e benché il dio cercasse dappertutto le sue bestie, i suoi sforzi non approdarono a nulla. Dietro suggerimento di Batto, che venne poi punito da Ermete, giunse sulle sue tracce e si stupì di trovarlo nella culla. Il bambino negò d'essere a conoscenza del furto e chiese, meravigliato, come potesse un lattante di appena un giorno rubare una mandria di mucche e come avesse potuto andare in Tessaglia non sapendo ancora camminare. Apollo, sforzandosi di non ridere nell'udire come quell'infante gli rifilava una bugia dietro l'altra, lo minacciò di grandi punizioni se non avesse ubbidito immediatamente. Ermete, senza scomporsi, presa la lira, si mise a suonarla ad Apollo. Il dio ne restò incantato e chiese di averla in dono. Ermete propose uno scambio, chiese che Apollo in cambio della lira gli lasciasse sorvegliare il bestiame, e Apollo acconsentì. Ermete condusse poi Apollo verso Pilo e gli restituì la mandria che aveva nascosto in una grotta.
Un po' più tardi, mentre le vacche pascolavano pigramente, Ermete tagliò una canna, ne fece uno zufolo di pastore e suonò un'altra melodia. E Apollo, di nuovo deliziato, gli offrì in cambio dello zufolo il vincastro d'oro (il caduceo) di cui si serviva custodendo le mandrie di Admeto, e lo nominò dio di tutti i mandriani e di tutti i pastori. Ermete accettò di fare il baratto, ma chiese inoltre lezioni di divinazione. Apollo replicò che non poteva dargliele, ma suggerì ad Ermete di andare dalle sue vecchie nutrici, le Trie che vivono sul Parnaso, e insegnano a leggere il futuro nei sassolini.
Apollo raccontò poi a Zeus l'accaduto, e il padre degli dèi invitò Ermete a rispettare d'ora in poi la proprietà altrui e a non dire spudorate bugie; ma non potè trattenersi dal sorridere e dal riconoscere che il suo figliolo era un piccolo dio molto ingegnoso, eloquente e persuasivo.
Divenuto adulto, Ermete fu scelto come ministro di Zeus, il quale, perché potesse eseguire con rapidità i suoi ordini, gli regalò un berretto alato, il petaso, e un paio di aurei calzari forniti di ali, i talari, che l'avrebbero portato dovunque con la rapidità del vento. Ebbe numerosi incarichi, come presiedere alla stipulazione dei trattati, favorire i commerci e proteggere i viaggiatori su tutte le strade del mondo. Egli fu accolto con entusiasmo dalla famiglia degli dèi olimpi.
In seguito le Trie insegnarono ad Ermete come predire il futuro osservando la disposizione dei sassolini in un catino pieno d'acqua, ed egli stesso inventò poi il gioco divinatorio degli astragali. Anche Ade si servì di lui come araldo, perché facilitasse il trapasso dei morenti in modo eloquente e gentile, appoggiando sui loro occhi la sua verga d'oro.
Ermete aiutò le Moire a comporre l'alfabeto, inventò l'astronomia, la scala musicale, l'arte del pugilato e della ginnastica, la bilancia e le misure di capacità (invenzione che altri attribuiscono a Palamede) e la coltivazione dell'olivo.
Molte sono le imprese compiute da Ermete. Salvò Dioniso bambino dall'ira di Era, affidandolo al re d'Orcomeno Atamante, poi lo portò dalle ninfe sul monte Nisa in Elicona. Come protettore dei mercati, Ermete vendette Eracle come schiavo ad Onfale, regina di Lidia, e consegnò poi il prezzo dell'acquisto agli orfani di Ifito. Per aiutare Zeus innamorato di Io, uccise Argo dai molti occhi cosicché la fanciulla potesse fuggire, e per quest'uccisione si guadagnò l'epiteto di Argifonte. Salvò Zeus durante la lotta contro Tifone. Questi gli aveva tagliato i tendini e li aveva nascosti in una pelle d'orso addidata alla guardia del mostro Delfine. Ermete riuscì a sottrarre al mostro i tendini e, con l'aiuto di Pan, a riattaccarli a Zeus, che potè così riprendere il combattimento. Quando Ares, che aveva provocato la morte di Adone durante la caccia, venne catturato e imprigionato per tredici mesi in una giara di bronzo dagli Aloadi, fu Ermete a liberarlo. Accompagnò Zeus nei suoi viaggi attraverso la terra visitando Licaone, Irieo, Filemone e Bauci. Organizzò la gara di bellezza tra Era, Atena e Afrodite, rimessa poi al giudizio di Paride. Accompagnò Priamo all'accampamento di Achille a chiedere il corpo di Ettore. Aiutò anche Odisseo: una volta trasmettendo a Calipso l'ordine di Zeus di lasciar libero l'eroe e di aiutarlo a costruirsi una zattera per il viaggio di ritorno a Itaca; un'altra volta, presso Circe, offrendogli un bianco fiore profumato chiamato moli, per rendere inefficaci gli incantesimi della maga. Nefele, madre di Frisso e di Elle, ebbe da Ermete l'ariete dal vello d'oro che salvò i suoi figli.
Ermete ebbe un gran numero di amori; tra le dee amò soprattutto Afrodite che gli generò Ermafrodito. Dapprima la dea rifiutò la sua corte ma Zeus ebbe pietà di lui e mandò la sua aquila perché rubasse uno dei sandali d'oro della dea che si stava bagnando nel fiume Acheloo. Ermete si offrì di restituirle il sandalo in cambio dei suoi favori, e la dea accettò. Nella ninfa Enide, o in una figlia di Driope, o in Penelope (infedele a Odisseo) generò Pan. era anche padre di Dafni.
Ermete amò anche molte mortali tra cui Erse, figlia di Cecrope re di Atene. Quando Aglauro, sorella di Erse, impedì a Ermete d'entrare nella stanza della fanciulla egli la trasformò in pietra. Erse gli generò Cefalo. Amò anche Apemosine che respinse le sue proposte e fuggì. Il dio la raggiunse presso una fonte, e di nuovo la fanciulla cercò di fuggire, ma Ermete aveva steso delle pelli scivolose sul sentiero e allorché Apemosine cadde riuscì a violentarla. Riuscì a fae sua la casta Chione; con la sua bacchetta magica la addormentò per possederla tranquillamente.
Ermete veniva anche associato con l'Oltretomba perché scortava le ombre dei mortali fino al fiume Stige dove Caronte li accoglieva e li traghettava dall'altra parte. Per questa sua funzione veniva chiamato Psychopompos, "guida delle anime". Venne inviato da Zeus a negoziare con Ade la restituzione di Persefone e aiutò Eracle a catturare Cerbero. Quando Orfeo fallì il tentativo di riportare Euridice al mondo dei viventi fu Ermete che la condusse nella dimora di Ade.

Ermione

Ermione è una figura della mitologia greca, figlia di Menelao e di Elena.

Il nonno materno Tindaro la promise in sposa a Oreste. Menelao invece la diede in sposa al figlio di Achille, Neottolemo. Tuttavia quando la guerra di Troia finì a Neottolemo venne assegnato insieme al bottino di guerra anche la moglie di Ettore, Andromaca. Ermione tuttavia non sopportava la presenza di Andromaca e con la complicità di Oreste uccise Neottolemo. Ermione si unì a Oreste e dal loro matrimonio nacque Tisameno.

Le sue vicende erano l'oggetto dell'Hermiona del tragediografo latino Marco Pacuvio, che trasse l'opera, a sua volta, da un originale greco di cui non si ha oggi notizia.

Ermo (Egitto)

Ermo è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Cleopatra, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Ermo (Oceano)

Ermo, nella mitologia greca era una divinità che abitava il fiume omonimo (l'attuale Gediz) situato nell'antica regione della Lidia (moderna Turchia). Come la maggior parte delle divinità fluviali, Ermo era il figlio di Oceano e Teti. Egli fu il padre delle ninfe della Lidia.

Ero e Leandro
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Ero e Leandro sono due figure protagoniste di una narrazione della mitologia greca.

La tragica vicenda è già narrata da Ovidio nelle Eroidi ed è accennata anche da altri autori, ma deve la sua fortuna soprattutto a un poemetto in esametri di Museo Grammatico del V o VI secolo. Il giovane Leandro, che viveva ad Abido, amava Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla costa opposta, e attraversava lo stretto a nuoto ogni sera per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo ad orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte una tempesta spense la lucerna e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. All'alba Ero vide il corpo senza vita dell'amato sulla spiaggia e, affranta dal dolore, si suicidò gettandosi da una torre.

Erope 1

Catreo, il figlio maggiore di Minosse, ebbe tre figlie: Erope, Climene e Apemosine, e un figlio, Altemene. Quando un oracolo predisse che Catreo sarebbe stato ucciso da uno dei propri figli, Altemene e Apemosine lasciarono Creta, nella speranza di sfuggire alla meledizione. Frattanto Catreo, che non si fidava delle sue due altre figlie Erope e Climene, le scacciò da Creta, di cui era divenuto re. Erope, dopo essere stata sedotta da Tieste il Pelopide, sposò Plistene, che la rese madre di Agamennone e Menelao. Secondo un'altra tradizione, Erope fu sorpresa un giorno da Catreo mentre accoglieva un suo amante nel palazzo; stava per essere gettata in mare allorché Catreo, dietro preghiera di Nauplio, la vendette come schiava a Nauplio stesso, assieme alla sorella Climene, che egli sospettava tramasse contro la sua vita. Impose tuttavia come condizione che né l'una né l'altra tornassero mai più in Creta.
Frattanto Atreo, rimasto vedovo, sposò Erope dalla quale ebbe Agamennone, Menelao e Anassibia. Durante il matrimonio con Atreo, Erope concepì per il cognato Tieste un'insana passione. Tieste acconsentì a divenire l'amante della giovane sposa di Atreo, a patto che essa gli consegnasse l'agnello dal vello d'oro. Erope gli dette di nascosto l'agnello e Tieste, orgogliosamente, potè guidare i magistrati alla propria dimora dove mostrò loro l'agnello, ne rivendicò la legittima proprietà e fu eletto re di Micene. Malgrado ciò, Atreo riuscì a conservare la corona, per l'intervento di Zeus che inviò Ermete da Atreo per consigliargli di pattuire con Tieste che il vero re sarebbe stato designato da un altro prodigio: se il sole avesse invertito il suo corso, Atreo avrebbe regnato su Micene, atrimenti Tieste sarebbe rimasto in possesso del potere. Tieste acconsentì ad abdicare se un simile prodigio si fosse verificato. Al che Zeus, con l'aiuto di Eris, sovvertì le leggi della natura e, subito, il sole tramontò ad est. Così Atreo, oggetto evidente del favore divino, regnò definitivamente sulla città. L'avida frode di Tieste venne smascherata ed egli fu bandito dalla città. E Atreo, avendo conosciuto l'intrigo di Erope con Tieste, la punì gettandola in mare.

Erope 2

Figlia di Cefeo, re di Tegea in Arcadia. Eracle pregò Cefeo di unirsi a lui con i suoi venti figli nella spedizione contro Sparta. Dapprima Cefeo rifiutò: non si azzardava infatti a lasciare Tegea senza difesa. Ma Eracle, cui Atena aveva donato una ciocca dei capelli della Gorgone in un'urna di bronzo, la offrì alla figlia di Vefeo, Erope: se la città fosse stata attaccata, le disse, essa doveva esporre per tre volte sulle mura quella ciocca, voltando le spalle al nemico che subito si sarebbe dato alla fuga. Gli eventi dimostrarono, tuttavia, che Erope non aveva bisogno di quel talismano.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 21:05
 
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Vampiro di dracula

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Eros

E' il dio dell'amore. La poesia omerica non conosce Eros come nume. Da Esiodo in poi invece esso è noto sotto il duplice aspetto di divinità teogonica e d'inseparabile compagno di Afrodite.
Quale potenza teogonica dell'amore che spinse all'unione vicendevole le coppie dei Numi, lo si considerava come figlio del Caos, o della scura Notte e del luminoso Giorno, o del Cielo e della Terra, o di Urano o di Crono. Qual nume dell'amore, dominatore irresistibile della Natura, degli dèi e degli uomini, era detto abitualmente figlio di Afrodite, per quanto taluni lo facessero rampollo d'Ilizia, e altri figlio di Zefiro e d'Iride, e altri nato da Zeus. Accanto a lui compaiono spesso le figure affini di Imero e Poto. È adorato insieme con Afrodite.
Durante la rivolta dei Giganti contro gli dèi, Porfirione si precipitò su Era e cercò di strangolarla; ma ferito al fegato da una freccia scoccata tempestivamente dall'arco di Eros, la sua furia omicida si trasformò in una brama lussuriosa e lacerò la veste di Era. Zeus, vedendo che il gigante stava per oltraggiare sua moglie, divenne pazzo di gelosia e abbattè Porfirione con una folgore. Sull'Olimpo, Era e Atena discutevano angosciate i mezzi da suggerire al loro protetto, Giasone, perché egli potesse impossessarsi del Vello d'Oro. Infine decisero di chiedere l'aiuto di Afrodite, e costei indusse il suo malvagio figlioletto Eros a far sì che Medea, figlia di re Eete, concepisse un'improvvisa passione per Giasone. Eros scoccò una freccia che penetrò nel cuore di Medea fino in fondo.
Famosi luoghi di culto di Eros furono soprattutto Tespie in Beozia e Pario sull'Ellesponto: in Tespie esistettero statue di Eros dovute a Prassitele e a Lisippo, in Pario fu una statua di Prassitele. A Tespie si celebravano in suo onore ogni quattro anni le Erobie con gare ginniche e musicali, che durarono anche nell'epoca romana.
In particolar modo nelle palestre fu venerato Eros, come simbolo dell'amicizia e dell'amore tra uomini e giovinetti. Accadeva pertanto di vederne spesso nelle palestre il simulacro fra quelli di Ermete e di Eracle. Gli Spartani e i Cretesi prima della battaglia sacrificavano ad Eros, e a Samo gli dedicarono un ginnasio e celebravano in onor suo le Eleuterie. Gli Ateniesi lo ricordavano accanto ai propri liberatori Armodio e Aristogitone. Dallo stesso ordine d'idee è germogliata la figura di Anteros ("l'amore rifiutato") che appare talora accanto a Eros, a significare l'affetto corrisposto tra uomini e giovani.
La poesia (come del resto l'iconografia) rappresenta abitualmente Eros come fanciullo o come delicato giovinetto: di rado occorre rappresentazione diversa, come quella di forte e vigoroso garzone che appare da un frammento di Anacreonte: per lo più è appunto il ragazzo o giovinetto birichino che tiranneggia uomini e numi, e se ne ride. Ciò anche nella poesia tragica, ma in special modo nella post-classica, specie in quella delle anacreontiche. Oggetto delle fantasie e delle ideologie dei filosofi fu pure Eros: basti ricordare il Simposio platonico. Nell'età alessandrina è famosa la creazione della coppia di Amore e Psiche, ricordata per la prima volta da Meleagro nel secolo I a.C., ma che appare sicuramente più antica. Tutti conoscono la graziosa novella composta su quella coppia da Apuleio. Nella tarda età alessandrina e nella romana le piccole Psichi alate insieme con gli alati Amorini invadono ogni scena di vita naturale, divina, umana, affaccendate quelle come questi nelle più svariate occupazioni, a indicare l'incoercibile potenza dell'amore.

Erse

Nella mitologia greca, Erse, con Aglauro e Pandroso, era una delle figlie di Cecrope e Agraulo.

Una sera, mentre le ragazze ritornavano da una delle feste sacre, Ermes cercò di persuadere Agraulo, dandole dell’oro, a lasciarlo entrare nella stanza della minore delle sue figlie, Erse appunto, di cui era innamorato.

Agraulo accettò l’oro, ma colta dalla gelosia nei confronti della bella figlia non rispettò il patto. Il dio si infuriò, entrò ugualmente nella casa, trasformò la donna in pietra e si unì a Erse, concependo due figli.

Erse rimase incinta di due bambini, Cefalo, il beniamino di Eros, e Cervice, il primo araldo dei misteri eleusini.

In seguito, incuriosita dal contenuto di un paniere affidato loro da Atena, di Aglauro e le sue sorelle ne alzarono il coperchio vedendo Erittonio, un bambino con la coda di serpente al posto della gambe, e fuggirono terrorizzate gettandosi giù dall’Acropoli.

Ersilia

Donna sabina su cui esiste una duplice leggenda, la prima delle quali la fa moglie di Romolo, al quale diede due figli: una femmina, Prima, e un maschio, Aollio, in seguito chiamato Avilio. Per prima avrebbe patrocinato, dopo la guerra seguita al ratto delle Sabine, l'alleanza tra Romani e Sabini e, morto Romolo, sarebbe stata anch'essa deificata e venerata dai Romani col nome di Hora Quirini. La seconda leggenda la considera moglie del romano Ostilio cui, prima fra tutte le rapite Sabine, avrebbe dato un figlio, Osto Ostilio che fu poi il padre di Tullio Ostilio, quarto re di Roma. Entrambe le leggende sono concordi nell'attribuirle opera di mediatrice e di pacificatrice, insieme con altre compagne sabine oratrici di pace, dei rapporti tra Romani e Sabini.

Esaco

Esaco è un personaggio della mitologia greca, figlio di Priamo re di Troia e Arisbe, sua prima moglie.

Secondo Apollodoro e altri Esaco era anche un veggente che aveva appreso l'interpretazione dei sogni dal nonno Merope.
Esaco e Asterope

Nella metamorfosi di Ovidio, Esaco è il primogenito del re Priamo e della sua prima moglie Arisbe, secondo altri la madre di Esaco sarebbe stata la ninfa Alexirhoe figlia del fiume Granico. Si innamora di Asterope figlia del fiume Cebreno; dopo la morte di questa non riesce a darsi pace, cercando più volte la morte, mai trovandola, gettandosi in mare da un'erta rupe. Alla fine, mossi a compassione gli dei lo tramutano in un uccello pescatore; in tal modo può abbandonarsi alla sua ossessione, senza offendere il creato.

Prima della guerra di Troia


Prima della nascita di Paride, Ecuba sognò di generare una fascina di legna piena di serpenti, di svegliarsi e gridare che Troia era in fiamme. Priamo subito consultò Esaco per comprendere quel sogno, egli esclamò: "Il bimbo che sta per nascere sarà la rovina della nostra patria! Ti supplico di liberartene!" Pochi giorni a seguire Esaco fece una nuova profezia: "Le principesse troiane che partoriranno oggi dovranno essere uccise, e così i loro figli!". Infatti Priamo uccise sua sorella Cilla e il figlio di lei Munippo, nato quella mattina. Anche Ecuba partorì quel giorno ma Priamo non li uccise

Secondo alcune tradizioni, Esaco fu partecipe alla guerra di Troia, ma dopo essersi distinto in battaglia, venne ucciso per mano di Agamennone.

Esepo

Nella mitologia greca, Esepo, era il nome del figlio di Bucolione (a sua volta figlio di Priamo) e della ninfa Abarbarea. Egli fu un eroe che partecipò alla guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao.

Esepo, fratello gemello di Pedaso, schierato dalla parte dei troiani, venne ucciso in battaglia da Eurialo, figlio di Mecisteo.

Esiete

Nella mitologia greca, Esiete era il nome di vari personaggi citati da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Esiete, padre di Alcatoo, il celebre guerriero.
* Esiete, anziano signore di Atene. La sua tomba era il luogo dove vi era nascosto una spia dei troiani intenta ad ascoltare i discorsi degli achei

La differenziazione fra l’Esiete anziano e quella del padre di Alcatoo non è sicura per via delle poche informazioni avute del primo, anche se il luogo della tomba non dovrebbe portare a pensare che siano la stessa persona.

Esimno


Nella mitologia greca, Esimno è il nome di un guerriero acheo al tempo della guerra di Troia, citato nel libro XI dell'Iliade di Omero.

Esimno occupa uno spazio ridottissimo nel libro XI del poema (appena un verso), essendo citato all'inizio della terza battaglia descritta da Omero. Intravisto Agamennone in fuga dallo scontro aperto perché ferito da una lancia, Ettore incoraggiò gli animi dei Troiani e si gettò personalmente nella mischia, simile ad una raffica che sconvolge il mare. Esimno deve essere visto come uno dei soldati semplici che, confidando nella velocità, cercarono di sottrarsi invano alla furia del guerriero; in realtà Ettore, senza preoccuparsi del tipo di nemico che gli si poneva di fronte, sterminò dapprima i capi Danai e poi la "folla", inteso come il gruppo di militari minori, tra cui Esimno stesso.

Esione

Esione è un personaggio della mitologia greca.

Poiché il padre Laomedonte non ha rispettato la parola data, Esione è costretta a sacrificarsi, dandosi in pasto ad un mostro marino mandato da Poseidone. Viene salvata, tuttavia, da Eracle, che si sarebbe vendicato su Laomedonte, uccidendogli tutti i figli tranne Esione e Podarce, suo fratello, futuro re dei Troiani col nome di Priamo. Esione va, poi, in sposa a Telamone e dalla loro unione nasce Teucro.

Esone (mitologia)

Nella mitologia greca, Esone, padre di Giasone, era il figlio di Tiro e Creteo

Tiro si sposò con suo zio Creteo, colui che fondò Iolco, gli diede un figlio chiamato Esone e ne adottò altri due: Pelia e il suo fratello gemello Neleo. Dopo la morte del loro padre, Pelia prese il trono, esiliando Neleo e non diede alcuna eredità a Esone, rendendolo suo prigioniero.

La sentenza dell'oracolo


Il nuovo re, Pelia, memore di un responso di un oracolo che avvertiva la fine della sua vita per mano di uno dei discendenti di Eolo, mise a morte chiunque potesse essere il suo futuro assassino, risparmiò Esone poiché era molto amato dalla loro madre: Tiro. Esone aveva sposato Polimela, e da lei ebbe un figlio, Giasone. Riuscirono con uno stratagemma a farlo scampare alla morte e lo portarono sul monte Pelio, dove lo allevò Chirone il centauro.

La morte


In seguito Giasone tornò nella città dove incontrò Pelia, egli, preso dal timore della profezia, lo mise a capo della spedizione del vello d'oro. Quando infine Giasone recuperò l'oggetto uccidendo un dragone, scoprì, ritornando, che Pelia aveva già ucciso Esone. In realtà lui chiese il permesso di uccidersi con le proprie mani, bevendo sangue di toro. In seguito si impiccò anche la moglie di Esone.

Esperidi

Esiodo nella Teogonia narra che all'estremità occidentale della terra, dove il giorno e la notte s'incontrano, in un'isola dell'Oceano si stende un giardino nel quale le Esperidi custodiscono i pomi d'oro col drago Ladone, figlio di Forcide e di Ceto (o anche di Tifone e di Echidna); davanti ad esse sta Atlante che sorregge la volta celeste.
Quanto all'origine degli aurei pomi delle Esperidi, si narrava che all'epoca delle nozze di Zeus e di Era la Madre Terra avesse fatto nascere l'albero con quei frutti meravigliosi e di essi avesse fatto dono ai due sommi numi. I pomi meravigliosi sono simbolo della fecondità e dell'amore. I pomi delle Esperidi compaiono anche in occasione delle nozze di Cadmo e di Armonia; una leggenda dice che dal giardino delle Esperidi provenissero pure i pomi donati da Afrodite a Ippomene, per vincere nella corsa Atalanta.
Eracle, nella sua undicesima (o dodicesima) fatica, per trovare il giardino delle Esperidi dovette molto vagare. Vi giunse valendosi delle indicazioni di Prometeo, e ricorse ad Atlante il quale colse i pomi, mentre Eracle sosteneva al posto di lui la volta celeste. Atlante, per conservarsi libero dal suo gravoso ufficio, voleva portare lui i pomi ad Euristeo, ma Eracle, furbo, pregò Atlante di riprendersi il suo peso solo per un momento affinché egli, Eracle, potesse farsi un cuscino che gli avrebbe alleviato alquanto la fatica. Atlante acconsentì, ed Eracle lo piantò in asso.
Le Esperidi sono le "Ninfe del Tramonto", figlie della Notte e di Erebo; ma più tardi, furono ritenute successivamente figlie di Zeus e di Temi, di Forcide e di Ceto, e infine d'Atlante. Vario inoltre è anche il loro numero: generalmente sono tre, Egle, Eritea ed Esperetusa (o Egle, Espere e Aretusa, o Lipara, Asterope e Crisotemi), o quattro, Egle, Espere, Aretusa e Medusa.

Espero

Nome greco dell'astro che i Latini chiamarono Vesper o Vesperego: lo stesso astro che al mattino quale apportatore di luce fu detto dai Greci Fosforo e dai Romani Lucifer o Jubar.
Secondo una tradizione, salì per primo sul monte Atlante per osservare le stelle più da vicino. Fu sorpreso da un uragano e scomparve senza lasciare traccia. In sua memoria, venne dato il suo nome all'astro che compare per primo alla sera, e che annuncia il tempo del riposo della Notte.
Espero è ritenuto il padre di Esperide, la quale sposata ad Atlante, gli diede come figlie le Esperidi. Era tanto bello che Afrodite lo rapì facendolo guardiano del suo tempèio; un'altra versione del mito narrava invece come avesse gareggiato in bellezza con Afrodite e fosse poi stato trasformato in astro.

Estia

Dea del focolare domestico, è la prima figlia di Crono e di Rea, e sorella di Zeus e d'Era.
Ignota ancora ai poemi omerici, che conoscono però la santità del focolare; essa compare per la prima volta nella Teogonia di Esiodo e negl'Inni Omerici. Come puro è il fuoco, così Estia era concepita illibata e casta; e il mito narrava che, dopo la vittoria degli dèi sui Titani, nella divisione ch'essi si eran fatta del mondo, Estia aveva chiesto per sé eterna verginità rifiutando le nozze offertele da Poseidone e da Apollo; e Zeus aveva acconsentito alla sua richiesta, riconoscendole l'onore di aver sede in tutti i templi degli dèi e in tutte le dimore degli uomini, e di aver parte in tutti i sacrifici agli dèi, che con una libagione ad Estia dovevano aver principio e fine. Essa ha sede sull'Olimpo, ove resta immobile sul suo trono, mentre le altre divinità vanno e vengono per il mondo.
Nel culto, Estia rappresenta anzitutto il focolare domestico, centro della casa, simbolo specialmente di stabile dimora, luogo ove si raccolgono i membri della famiglia per supplicare gli dèi e offrir loro sacrifici, e che gli dèi stessi prediligono, quando vogliono essere presenti e benefici della casa. In ogni casa v'è un'"estia", focolare e centro religioso della famiglia, dove hanno sede gli dèi protettori della casa, dove la famiglia celebra le sue feste e accoglie gli ospiti, gli stranieri e i supplici.
E come la famiglia, così anche la gente e la patria, la tribù e la città-stato hanno il loro focolare; ed Estia è dunque anche la divinità del focolare pubblico, il cui fuoco sacro si custodisce gelosamente e si cerca di conservare perenne.
Nelle città greche, la pubblica Estia era collocata nel pritaneo, cioè nel palazzo della città , subentrato al posto del palazzo del re e residenza del governo: ivi, all'altare, ardeva il fuoco a lei sacro e si offrivano i sacrifici per conto dello stato. Quando un gruppo di cittadini partiva per fondare una colonia, portava seco una parte del fuoco del patrio pritaneo, per accendere con esso il focolare pubblico della nuova città. Ed anche quando più città greche si univano in lega, si accendeva un'Estia pubblica, che fosse centro politico e religioso della confederazione.
Particolare importanza ebbero le estie dei grandi santuari greci, come quelle di Delo, di Olimpia e di Delfi, dove veniva alimentato un fuoco perenne.


Ethra


Ethra è una figura della mitologia greca, moglie dell'eroe Falanto.

La leggenda vuole che Falanto, condottiero dei coloni Partheni provenienti da Sparta, interpellato l'Oracolo di Delfi ebbe come risposta:
"Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città."

Durante il lungo viaggio verso le terre degli Iapigi, Falanto, bagnato dalle lacrime della moglie Ethra che su di lui vegliava ed il cui nome in greco vuol dire "cielo sereno", ritenne che l'oracolo si fosse avverato, e si accinse a fondare la sua città a cui diede il nome di Saturo, località ancora esistente a pochi chilometri da Taranto, in cui si trova una un'importante zona archeologica.

Eteocle

Figlio di Edipo e fratello di Polinice, di Ismene e di Antigone. Sulla madre vi sono due versioni, l'una più recente lo dice figlio di Giocasta, l'altra figlio di Euriganea.
Dopo la scoperta dell'incesto d'Edipo, i suoi due figli lo cacciarono da Tebe; Edipo li maledisse predicendo che avrebbero guerreggiato fra loro per l'eredità e che avrebbero trovato la morte l'uno per mano dell'altro. Secondo Sofocle, invece, fu Creonte, contrario alla presenza dell'incestuoso re a Tebe che lo mandò in esilio ed Edipo maledisse i suoi figli che non avevano fatto nulla per difenderlo.
Quando giunsero in età di governare, Eteocle e Polinice, per evitare gli effetti della maledizione paterna, decisero di regnare un anno ciascuno. Secondo l'Edipo a Colono di Sofocle, Polinice regnò il primo anno ed esiliò Edipo proprio allora. In genere gli altri autori narrano che fu Eteocle a regnare durante il primo anno sia perché era il maggiore sia perché era estratto a sorte. Nel frattempo Polinice si era recato ad Argo dove aveva sposato Argia, figlia del re Adrasto, la quale gli aveva dato un figlio, Tersandro. Anche Eteocle si era sposato e aveva generato un figlio, Laodamante. Secondo Pausania l'ordine degli eventi è molto diverso. Polinice aveva lasciato Tebe per sfuggire alla maledizione di Edipo e si era sistemato ad Argo dove aveva sposato Argia. Quando Eteocle salì al trono, non volle abbandonarlo allo scadere dell'anno e scacciò Polinice, che tornò ad Argo con l'intento di conquistare più tardi il trono di Tebe con la forza.
Adrasto, re di Argo e suocero di Polinice, raccolse un vasto esercito che comprendeva tra gli altri i famosi Sette Campioni, da cui la tragedia di Eschilo I Sette contro Tebe. Ignorando gli avvertimenti di Anfiarao, il veggente, il quale aveva previsto che la spedizione si sarebbe rivelata fallimentare, partirono all'assedio della città. Giunti sul Citerone, Adrasto inviò Tideo come suo araldo ai Tebani, con la richiesta che Eteocle rinunciasse al trono in favore di Polinice, ma la sua richiesta venne rifiutata. Allora l'esercito degli Argivi d'Adrasto dette l'assalto.
La battaglia davanti a Tebe si rivelò disastrosa per l'esercito di Polinice; egli, per evitare un'ulteriore strage, si offrì di stabilire la successione al trono in un duello con Eteocle. Eteocle accettò la sfida e nel corso di un'aspra battaglia i due contendenti si ferirono mortalmente a vicenda, realizzando la maledizione d'Edipo. Creonte, loro zio, assunse allora il comando dell'esercito tebano e mise in rotta i disanimati Argivi. Ordinò che i Tebani morti fossero sepolti con tutti gli onori e che a Eteocle venisse riservato il rito funebre reale. I nemici, e soprattutto Polinice, dovevano invece essere lasciati all'esterno della città, senza alcuna sepoltura. Ma Antigone, che era tornata in patria dopo la morte del padre Edipo, trascinò il cadavere di Polinice sul rogo del fratello.

Etilla

Nella mitologia greca, Etilla era il nome di una delle figlie di Laomedonte.

Etilla, sorella di Priamo sopravvisse alla guerra di Troia e alla fine fu fatta prigioniera insieme alle sue sorelle Medesicasta e Astioche. I greci le presero e partirono per tornare a casa. Il lungo viaggio fu percorso via mare e la ragazza cercò di coinvolgere tutte le schiave della nave per bruciarla. Riuscendo nel loro intento i greci dovettero obbligatoriamente salpare sulla terra a loro più vicina e fondarono una città chiamata Scione.

Etlio

Nella mitologia greca, Etlio era il nome di uno dei figli di Zeus e di Protogenia

Etlio era il re dell’Elide, e padre di Endimione, discendeva da Deucalione, famoso per il diluvio che salvò soltanto la sua famiglia.

Etolo

Nella mitologia greca, Etolo era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome riroviamo:

* Etolo, figlio di Endimione e Asterodea, una ninfa, ebbe in nozze Pronoe, figlia di Forbante, con la quale procreò due figli: Aleurone e Calidone. Endimione doveva decidere quale fra i numerosi figli fosse il suo successore allora organizzò una gara dove vide uno dei fratelli di Etolo, Epeo trionfare. Alla morte del parente fu lui ad ereditare il regno. Per sbaglio uccise Apis o Api, figlio di Foroneo, e per purificarsi da tale colpa andò in esilio dove fondò l’Etolia
* Etolo, figlio di Ossilo, egli morì giovane e per sentire l’oracolo dovettero seppellirlo all’interno della porta che conduceva in città, questo perché aveva predetto che non doveva essere sepolto né dentro né fuori alla città.
* Etolo, padre di Palemone. A questo mito si ritrova un errore di Apollodoro.

Etra

Etra è un nome che fa riferimento a due figure della mitologia greca.

La prima era la figlia di Pitteo, re di Trezene, e la madre di Teseo, concepito con Egeo (o Poseidone secondo le versioni), che allevò da sola.

Dopo la salita al trono di Atene di Teseo, fu catturata dai Dioscuri nella guerra che essi mossero contro suo figlio per recuperare Elena. Ridotta al ruolo di servitrice della principessa, che seguì a Troia, fu liberata solo alla presa della città su richiesta dei nipoti Demofonte e Acamante.

Una seconda figura con questo nome era moglie di Falanto, spartano al quale l'oracolo di Delfi aveva predetto che nel suo viaggio di conquista sarebbe arrivato nella terra di Saturno, lì, una pioggia sarebbe caduta dal cielo sereno e solo allora avrebbe dovuto fondare una nuova città; si narra infatti, che quando arrivò alla foce del fiume Tara, lo spartano si accasciò sfinito, e la moglie Etra (in greco "cielo sereno"), si abbandonò ad un pianto ininterrotto. Quelle lacrime si trasformarono in pioggia, e Falanto fondò Taranto.

Ettore

Eroe troiano, figlio maggiore di Priamo e di Ecuba, benché alcune tradizioni lo considerino figlio di Apollo. Tutta la sua figura e la sua vicenda sono una libera creazione di Omero, anche se non è improbabile una lontana derivazione di antichi nuclei mitici. Nell'Iliade Ettore è rappresentato come il maggiore fra gli eroi troiani, è il capo dell'esercito e presiede l'assemblea del popolo, sostituendo quasi completamente nelle prerogative regali il vecchio padre; della difesa di Troia egli è l'anima tanto che la sua morte coincide fra i Troiani con la consapevolezza che la loro città è perduta.
Prima della guerra, Ettore aveva sposato Andromaca, figlia di Eezione, re di Tebe nella Misia, dalla quale aveva avuto un unico figlio, chiamato Astianatte dai Troiani e Scamandrio dai suoi genitori. La città natale di Andromaca fu saccheggiata da Achille prima dell'inizio del nono anno della guerra di Troia, e in questa spedizione dei Greci, Andromaca perse il padre e i sette fratelli, massacrati da Achille.
Secondo Omero, Ettore è un uomo franco, coraggioso, generoso e capace di grande compassione: la sua separazione da Andromaca e dal figlio è una delle parti più toccanti del poema. Accetta di combattere non per ragioni personali o per odio, ma per il dovere, che egli sente come sacro, di difendere la patria ed è proprio lui a uccidere Protesilao, il primo greco sceso sul suolo troiano e poi partecipa a tutti i combattimenti con grande vigore, sente la sua responsabilità di capo verso il suo popolo, ha una profonda comprensione anche per Paride, che pure è la causa della guerra e dei lutti che affliggono Troia. Affronta a singolar tenzone Aiace Telamonio, e il combattimento fra i due campioni dura fino al cader della notte, quando gli araldi li separano, ed essi si scambiano doni: Aiace dà a Ettore il purpureo cinturone, mentre Ettore dona ad Aiace la spada dall'elsa d'argento.
Protetto da Ares e da Apollo, Ettore, finché Achille resta lontano dalla lotta, è l'eroe dominatore del campo di battaglia, sgomina i Greci, obbliga lo stesso Aiace a ripiegare, giunge fino alle navi incendiandole. Allora Achille concede all'amico Patroclo di rivestire le sue armi e di ritornare alla battaglia alla testa dei Mirmidoni: Patroclo mette in fuga i Troiani, giunge fin sotto le mura della città, dove è affrontato da Ettore che lo uccide. Per vendicare l'amico, Achille si riconcilia con Agamennone e riprende a combattere: Ettore, nonostante le preghiere dei vecchi genitori, lo affronta, poi, preso da improvviso sgomento, dopo che Achille ha invano scagliato contro di lui la lancia, fugge inseguito facendo tre volte il giro delle mura. Zeus pesa su aurea bilancia le sorti dei due eroi, constata che il fato è avverso a Ettore; anche Apollo è costretto ad abbamdonarlo. Eppure Achille non riuscirebbe forse a domarlo, se la protettrice dei Greci, Atena, preso l'aspetto di un fratello di Ettore, Deifobo, non ingannasse questo mettendoglisi al fianco e facendogli false profferte di aiuto, non favorisse il Pelide, rimettendogli in mano la lancia già vanamente scagliata. Ettore si arresta, e nel duello che ne segue è colpito a morte dalla lancia di Achille; prima di morire supplica l'eroe greco di restituire la sua salma a Priamo e gli profetizza la morte per mano di Paride e di Apollo alla porta Scea. Achille lega il cadavere di Ettore al suo carro e per tre volte lo trascina intorno al sepolcro di Patroclo, ma Apollo col suo scudo impedisce che il corpo dell'eroe ne venga corrotto o lacerato. Nella notte il vecchio Priamo, guidato da Ermete, esce da Troia e si reca alla tenda di Achille a chiedere di riscattare il cadavele del figlio per dargli sepoltura: e Achille, ricordando il vecchio padre Peleo, glielo concede; la vicenda di Ettore si chiude con la desolata tristezza dei due nemici pacificati di fronte alla morte, e con i lamenti di lutto dei Troiani sul loro eroe morto, nel presagio della prossima rovina.
Celebre e spesso rappresentato nei vasi è il duello di Ettore con Aiace; celebre anche la scena dell'addio alla moglie Andromaca e al figlio Astianatte.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 21:15
 
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Euchenore

Nella mitologia greca, Euchenore era un combattente acheo, il quale partecipò alla guerra di Troia all'interno dell'esercito degli Atridi, deciso a vendicare il rapimento di Elena, la regina spartana rapita dal troiano Paride, figlio di Priamo. Parte di questa lunga guerra è raccontata ampiamente da Omero nell'Iliade.

La profezia del padre


Euchenore, prode guerriero di Corinto, era figlio dell'indovino Poliido, il quale aveva ricevuto dagli deèi il dono della preveggenza.

Già da fanciullo il padre l'aveva messo in guardia da una morte violenta, la quale lo avrebbe colpito solo se avesse accompagnato Agamennone e Menelao nella loro guerra contro Troia; nello stesso tempo, l'indovino gli rassicurava anche una morte piacevole nella sua casa, ma sempre a condizione che non avesse partecipato alla guerra.

Il giovane rifiutò sin dall'infanzia queste raccomandazioni, ma anzi disse di voler preferire una morte gloriosa ad una ignominiosa e da reietto. In tal modo Poliido non poté fare altro per convincere il figlio.

Nella guerra di Troia

Quando i fratelli Atridi passarono in rassegna le città achee per reclutare le truppe, Euchenore si offrì come volontario e, "ben conscio della Chera funesta", partì con le navi che provenivano da Corinto.
L'eroe combatté nella guerra fino al decimo anno, rivelandosi molto più fortunato degli altri suoi compatrioti che erano morti in guerra precedentemente.

La profezia legata alla vita di Euchenore doveva comunque compiersi cosicché, durante i combattimenti presso le navi degli Achei, mentre il soldato lottava per difendere i suoi navigli dalle torce nemiche, venne trafitto da una freccia scagliata da Paride stesso, la causa della guerra, il quale volle vendicarsi della morte del suo amico Pilemene, eroe dei Paflagoni.

Eudoro (mitologia)

Nella mitologia greca, Eudoro era figlio di Ermes e il secondo dei cinque generali di Achille nella guerra di Troia. Secondo l'Iliade, egli comandava dieci gruppi di cinquanta uomini ciascuno e cinquemila Mirmidoni. Nel libro XVI dell'Iliade, quando Patroclo prepara gli uomini di Achille, Omero parla di lui in quindici versi - molti di più rispetto agli altri generali nel passo. Egli è anche il secondo più importante dei cinque, battuto solo da Fenice.

Eudoro era figlio di Ermes e Polimela, la quale danzava nel coro di Artemide. Filante, padre di Polimela, si occupò del bambino dopo che la figlia sposò Echeclo. Eudoro era molto veloce, e un ottimo combattente. Il guerriero accompagnò Patroclo in guerra, ma cadde ucciso da Pirecme, il re dei Peoni. Patroclo, per vendicarlo, uccise a sua volta quest'ultimo.

Una versione di Eudoro appare nel 2004 nel film Troy. Qui Eudoro è interpretato da Vincent Regan. Egli è il secondo comandante dei cinquanta Mirmidoni di Achille (non appare evidente che ce ne siano altri). È il più vecchio amico di Achille, e assume particolarmente il ruolo di Fenice come maestro e seguace di Achille. Quando i Greci arrivano la prima volta a Troia, la coppia dei due eroi infuria sulla spiaggia insieme. Egli cattura Briseide e la conduce da Achille. È presente quando Patroclo viene ucciso, e riferisce la notizia ad Achille. Achille, accecato dal dolore, lo percuote scaraventandolo a terra; egli più tardi si scusa e incita Eudoro ad abbandonarlo a Troia e di tornare a casa con i Mirmidoni.

Eufeme

Nella mitologia greca, Eufeme era il nome di una ninfa, nutrice delle muse.

Nutrice delle nove muse, figlie di Zeus, viveva con loro sul monte Elicona. Un giorno il dio Pan, un essere metà capra e metà umano che era solito sedurre le ninfe, riuscì a sedurre anche Eufeme. Da tale unione nacque un figlio, chiamato Croto, che come il padre era un satiro.

Eufeme era anche il nome di una delle Iadi.

Eufemo (Poseidone)

Nella mitologia greca Eufemo è uno degli Argonauti, figlio di Poseidone e di Europa.

Eufemo era il marito di Laonome, sorella di Eracle, ed aveva la facoltà di camminare sulle acque.

Durante il viaggio alla ricerca del vello d'oro, Tritone offrì agli Argonauti una zolla di terra, che Eufemo accettò. In seguito la zolla cadde in mare, dando origine all'isola di Tera (Santorini).

Medea profetizzò che Eufemo avrebbe un giorno governato la Libia; ebbe infatti da Malache un figlio, Leucofane, che fu antenato di Batto, fondatore di Cirene.

Eufemo (Trezeno)

Eufemo è una figura della mitologia greca, figlio di Trezeno e nipote di Cea. Viene menzionato da Omero come capitano dei Ciconi, bellicoso popolo tracio, tra gli alleati dei Troiani durante la guerra di Troia.

Nel Catalogo Troiano, al libro II dell'Iliade, Eufemo figura a capo dei Ciconi, popolazione pressoché anonima e sfocata nel poema. Suo padre, Trezeno, nipote di un certo Cea, è ricordato come beniamino di Zeus e, presumibilmente, come predecessore del figlio sul trono di Ciconia. Pare che nella spedizione, Eufemo fosse accompagnato da Mente, nelle cui sembianze Apollo incoraggiò Ettore. Altri autori, rifacendosi ad Omero, confermano le notizie da lui fornite sul suo conto.

Nell'Iliade, Eufemo è uno dei pochi alleati di Priamo che sopravvive ai fatti bellici. La sua sorte non è nota: secondo alcuni autori, cadde in combattimento vittima di Achille, sebbene pochissimi mitografi si sono interessati alla sua figura.

Eufrosine

Eufrosine è una figura della mitologia greca. È una delle tre Grazie (mitologia), o Cariti.

Come Aglaia e Talia era figlia di Zeus e della ninfa Eurinome.

In quanto musa, è citata da Ugo Foscolo ne Le Grazie, Inno terzo, Pallade: "E a me un avviso / Eufrosine, cantando / Porge, un avviso che da Febo un giorno / Sotto le palme di Cirene apprese ...".

Euippo

Euippo, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Euippo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Eumede

Nella mitologia greca, Eumede era il nome di uno dei figli di Eracle e di Lise.

Eracle durante i suoi viaggi si innamorò di Procri, una delle figlie di Tespio, e volle giacere con lei. Il padre invece voleva che l'eroe ingravidasse tutte le sue cinquanta figlie, che a turno ogni notte sostituivano Procri. Da tale unione, avuta con Lise, nacque Eumede, che diventato adulto si stabilì a Troia

Egli ebbe sei figli, cinque femmine e un maschio, Dolone, che partecipò alla guerra di Troia.

Eumelo di Fere

Eumelo di Fere, figlio di Admeto e di Alcesti, e re di Fere. Era uno dei pretendenti di Elena al giuramento di Tindaro e prese parte con undici navi alla guerra di Troia. Contese il premio della corsa dei carri nei giuochi funebri dati da Achille in onore di Patroclo; sarebbe stato vincitore con le cavalle nutrite dallo stesso Apollo, se ad opera di Atena, fautrice di Diomede, non gli si fosse spezzato l'asse del carro.

Eumeo

Eumeo è un personaggio dell'Odissea di Omero.

Servo di Odisseo, anzi, il migliore e il più fedele tra i suoi servi, addetto alla cura dei suoi maiali (è ben noto l'epiteto di δῖος ὑφορβός "divino porcaro" con cui Omero lo descrive), il libro XIV è interamente occupato dal colloquio di Eumeo con Ulisse, travestito da mendicante, accolto con tutti gli onori dell'ospite. Dopodiché, la sua capanna sarà il luogo dove Telemaco rivedrà e riconoscerà il padre. E da lì prenderà le mosse la vendetta di Ulisse.

Nel libro XV (389-484) Eumeo narra la propria storia: figlio di Ctesio Ormenìde, re dell'isola di Sirìa, nei pressi di Ortigia, venne rapito ancora fanciullo da predoni fenici che si erano infiltrati nel palazzo paterno grazie alla complicità di una serva loro conterranea. Approdati ad Itaca, essi lo vendettero a Laerte, padre di Ulisse, nella cui casa crebbe, allevato con molta umanità insieme a Ctimène, ultimogenita della sua consorte Anticlea.

Eumolpo

Secondo la mitologia greca, Eumolpo era il figlio di Poseidone e Chiono (o di Hermes ed Aglaulo). Secondo alcuni autori, era figlio o padre di Museo.

Secondo la Bibliotheca, dello Pseudo-Apollodoro, Chiono, figlia di Borea e di Oritia, incinta di Eumolpo da Poseidone, spaventata dalla reazione di suo padre, gettò il bambino nell'oceano. Poseidone si prese cura di lui e lo portò sulle rive dell'Etiopia, dove Bentesicima, una figlia di Poseidone ed Anfitrite, crebbe il bambino, che sposò poi una delle due figlie di Bentesicima, avute da suo marito Etiope. Eumolpo tuttavia amava l'altra figlia e fu esiliato per questo. Si recò allora con suo figlio Ismaro in Tracia. Lì, fu scoperto quale complice di un complotto volto a rovesciare il re Tegirio, e perciò si rifugiò ad Eleusi.

Ad Eleusi Eumolpo divenne uno dei primi sacerdoti di Demetra ed uno dei fondatori dei Misteri Eleusini. Egli iniziò a tali misteri l'eroe Eracle.

Quando Ismaro morì, Tegirio andò a cercare Eumolpo; i due si riappacificarono ed Eumolpo ereditò il regno di Tracia.

Eumolpo era un eccellente musicante e cantore; suonava l'aulos e la lira. Egli vinse una gara musicale ai giochi funebri in onore di Pelia ed insegnò la musica ad Eracle.

Durante una guerra tra Atene ed Eleusi, Eumolpo si schierò con Eleusi. Suo figlio, Immarado, fu ucciso dal re di Atene Eretteo. Secondo alcune fonti, Eretteo uccise anche Eumolpo e Poseidone chiese a Zeus di vendicare la morte di suo figlio. Zeus, allora, uccise Eretteo con un fulmine o, secondo altri, Poseidone spaccò la terra ed inghiottì Eretteo.

Eleusi perse la battaglia contro Atene ma gli Eumolpidi e i Cerici, due famiglie di sacerdoti di Demetra, continuarono i Misteri Eleusini. Fu il figlio minore di Eumolpo, Cerice a fondare entrambe le stirpi.

Euneo

Euneo, nella mitologia greca era il figlio di Giasone e della regina di Lemno, Ipsipile. Alla morte della madre regnò sull'isola. Durante la guerra di Troia fornì vino agli Achei. Da Achille comprò Licaone, figlio di Priamo, riscattato poi da Eezione d'Imbro.

Eunosto

Nella mitologia greca, Eunosto era il nome del figlio di Elieo di Tanagra

Eunosto era amato da Ocna, una ragazza della sua stessa città, ma non contraccambiava l’affetto. Il ragazzo fu vittima della furia vendicativa della ragazza che non accettando l’idea del rifiuto creò ad arte la storia di una tentata violenza da parte di Eunosto ai danni della ragazza. L’uomo non poté ribattere la sua innocenza contro i fratelli infuriati della donna, Bucolo, Leonte ed Echemo (o Ochemo a seconda delle fonti). Il padre di Eunosto in parte ottenne vendetta.

Euopi

Nella mitologia greca, Euopi (o Evopi) è il nome della figlia di Trezene, promessa sposa allo zio Dimete. La sua vicenda è narrata da Partenio di Nicea nelle Erotiche.

Figlia di Trezene, Euopi aveva un fratello per il quale segretamente provava un incestuoso desiderio. Dopo che il padre l'ebbe promessa in sposa allo zio di lei, Dimete, quest'ultimo venne a conoscenza dei suoi veri sentimenti e, senza esitare, rivelò ogni dettaglio a Trezene. Euopi, colta da un cieco sentimento di terrore misto a vergogna, s'impiccò imprecando contro colui che aveva tradito il suo segreto. Più tardi questa maledizione ebbe un tragico compimento.

Eupalamo

Nella mitologia greca, Eupalamo era il nome di uno dei figli di Metione.

Secondo una versione del mito era il padre di Dedalo.[1] altre riportano altri padri: Palamone o il figlio stesso di Eupalamo Metione (infatti secondo una versione minore Eupalamo non era il figlio di Metione ma il padre).

Ebbe una figlia, Metiadusa.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 21:23
 
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Euriale

Euriale è una delle Gorgoni della mitologia greca.

Sorella di Medusa e Steno, era figlia di Forco (Forcide), una divinità marina, e di Ceto, un mostro oceanico.

Le Gorgoni, delle quali solo Medusa era mortale, furono nascoste da Poseidone su un'isola dell'estremo occidente, nel bel mezzo dell'oceano, abbastanza lontana dalle rotte abituali ma non lontano dal regno dei morti.

Anche Euriale aveva serpenti al posto dei capelli, denti come zanne di cinghiale, voce simile a un muggito, mani di bronzo e ali d'oro. Con un solo sguardo dei suoi occhi vitrei tramutava in pietra chi la guardava.

Un'altra Euriale, figlia di Minosse, è la madre di Orione.

Eurialo 1

Un Argivo, figlio di Mecisteo, il quale partecipò alla spedizione degli Argonauti, a quella degli Epigoni e alla guerra di Troia con Diomede.

Eurialo 2

Figlio di Odisseo e di Evippa, figlia del re Tirimma dell'Epiro. Divenuto adulto, fu mandato dalla madre ad Itaca con delle tavolette sulle quali aveva scritto "segni di riconoscimento", affinché Eurialo fosse riconosciuto dal padre. Ma Odisseo, quando arrivò Eurialo, era assente; Penelope aspettò il ritorno del marito per convincerlo a sopprimere il giovane sostenendo ch'egli era venuto per ucciderlo. Odisseo lo uccise di sua propria mano.

Eurialo e Niso 3

Eroe troiano, figlio di Ofelte, compagno di Enea nei suoi viaggi verso l'Italia e nelle sue imprese: è noto particolarmente per il famoso episodio della sua morte, narrato da Virgilio nel IX libro dell'Eneide.
I Troiani, assediati da Turno mentre Enea è lontano in cerca di alleati presso Evandro e gli Etruschi, pensano al modo di avvertire Enea della gravità della loro situazione: due giovinetti, Niso, più anziano, ed Eurialo, giovanissimo e bellissimo, legati fra loro da stretta amicizia, si offrono spontaneamente per la pericolosa impresa. Usciti durante la notte, passano attraverso il campo nemico immerso nel sonno facendo strage dei guerrieri, e già hanno superato ogni ostacolo quando si imbattono in un drappello di cavalieri latini comandato da Volcente. Eurialo si attarda ed è raggiunto e ucciso; Niso, che è riuscito a fuggire, non vedendo giungere l'amico, ritorna indietro, uccide Volcente vendicando Eurialo, poi è a sua volta ucciso.
All'alba i Rutuli muovono all'assalto portando sulle lance le teste tronche dei due giovinetti: a quella vista il campo troiano si riempie di lutto, mentre la madre di Eurialo prorompe in un disperato lamento.

Euribate

Euribate, è un personaggio acheo che compare in diverse opere oltre che nell'Iliade.

Euribate e Taltibio, messaggeri e scudieri di Agamennone, furono inviati dallo stesso Agamennone alla tenda di Achille per prendere e portargli Briseide.

Euriclea 1

Prima moglie di Laio e madre di Edipo. Nella versione della leggenda che ignora il suo incesto, Edipo sposò Epicasta, la seconda moglie del defunto Laio.

Euriclea e Odisseo 2

Nutrice di Odisseo, lo riconobbe quando ritornò da Troia. Penelope non riconobbe il marito e ordinò alla vecchia nutrice di lavare i piedi all'ospite. Euriclea riconobbe subito la ferita nella coscia, che Odisseo si era procurato durante la caccia a un cinghiale selvatico, e lanciò un grido di sorpresa e di gioia; ma Odisseo, presa la vecchia per la gola, la supplicò di tacere. Penelope non notò l'incidente perché Atena aveva distratto la sua attenzione. Più tardi, dopo aver eliminato tutti i pretendenti, Odisseo si fermò per chiedere a Euriclea, che aveva chiuso le donne nelle loro stanze, quante ancelle erano rimaste fedeli alla sua causa. Euriclea rispose che dodici soltanto si erano coperte di vergogna. Le ancelle colpevoli ricevettero l'ordine di lavare con spugne e acqua il pavimento della sala insozzato di sangue. Poi Odisseo le impiccò tutte in fila. Scalciarono un poco e tutto finì.

Euridamante

Nella mitologia greca, Euridamante era uno dei fieri membri dell'equipaggio di Argo, la nave alla cui guida Giasone partì alla conquista del vello d'oro.

Non si sa molto di Euridamante, detto il Dolopio, visto che veniva da Ctimene la città dei Dolopi. Più precisamente dal lago Siniade. Egli era figlio di Ctimeno il fondatore della città. Partecipò alla spedizione degli Argonauti senza però mettersi particolarmente in luce.

Euridamante era famoso ed abile ad interpretare i sogni di chiunque ma non altrettanto bravo nel prevedere le sorti dei suoi figli Abante e Poliido: infatti i due giovani, venuti in soccorso di Priamo con la benedizione del padre, vennero uccisi da Diomede.

Euridice 1

Madre di Danae; sposa di Acrisio e figlia di Lacedemone, fondatore di Sparta.
Acrisio, desiderando avere un maschio, andò a interrogare l'oracolo, il quale gli annunciò che sua figlia Danae avrebbe sì avuto un bambino, ma che questi lo avrebbe ucciso. Acrisio, per evitare l'avverarsi dell'oracolo, fece costruire una camera sotterranea in bronzo dove rinchiuse Danae e la tenne ben custodita. Tuttavia Danae fu sedotta, gli uni dicono dallo zio Preto, gli altri da Zeus. Quando Acrisio venne a sapere che la figlia era stata sedotta, mise sua figlia col neonato in una cassa, che abbandonò in mare. Questo bambino si chiamava Perseo.

Euridice 2

Sposa di Creonte, reggente di Tebe. Nell'Antigone di Sofocle, Euridice maledice lo sposo per il castigo che ha procurato all'intera sua famiglia e si suicida per disperazione. Tutti i loro figli morirono e il più giovane, Emone, si tolse la vita davanti al cadavere della sua fidanzata, Antigone; il maggiore, che si chiamava anch'egli Emone, era stato ucciso dalla Sfinge e il secondo, Megareo, fu offerto in sacrificio ad Ares per salvare Tebe nella guerra contro i Sette.

Euridice 3

Figlia di Adrasto e sposa di Ilo, re di Troia. Generò a Ilo Laomedonte e Temista: Laomedonte decise di erigere le famose mura di Troia ed ebbe tanta fortuna da poter godere dell'aiuto di Apollo e di Poseidone. Ma Laomedonte poi truffò gli dèi sulla paga e si guadagnò il loro rancore; Temista sposò il frigio Capi, figlio d'Assaraco e, come alcuni dicono, divenne la madre di Anchise, padre di Enea.

Euridice 4

Una Driade della Tracia amata da Orfeo, figlio del re tracio Eagro e della Musa Calliope.
Un giorno in cui passeggiava con le Naiadi, sue compagne, nei pressi di Tempe, nella vallata del fiume Peneo, Euridice s'imbattè in Aristeo che cercò di usarle violenza. Euridice incespicò su un serpente mentre fuggiva e morì per il suo morso; ma Orfeo coraggiosamente discese agli Inferi con la speranza di ricondurla sulla terra. Si servì del passaggio che si apre ad Aorno in Tesprozia e, al suo arrivo nell'Oltretomba, non soltanto incantò Caronte il traghettatore, il cane Cerbero e i tre giudici dei morti con la sua musica dolce e lamentosa, ma fece cessare temporaneamente le torture dei dannati e placò il duro cuore di Ade tanto da indurlo a restituire Euridice al mondo dei vivi. Ade pose una sola condizione: che Orfeo non si guardasse alle spalle finché Euridice non fosse giunta alla luce del sole. Euridice seguì Orfeo su per l'oscura voragine, guidata dal suono della sua lira; ma appena sorse la luce del sole, Orfeo si volse per vedere se Euridice era con lui e così la perdette per sempre.

Euriloco (Egitto)

Euriloco è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Autonoe, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Eurimaco

Nella mitologia greca, Eurimaco è il nome di diverse figure leggendarie:

* Nell'Odissea di Omero Eurimaco, figlio di Pòlibo, era uno dei capi dei proci che tentavano di ottenere la mano di Penelope. Era uno dei più ricchi e belli ("divino" viene definito in più di un'occasione), e considerato tra i favoriti nella competizione per ottenere la sua mano. Fu tra quelli che tentarono di tendere l'arco di Odisseo, e venne ucciso per mano di quest'ultimo.
* Uno degli sfortunati pretendenti alla mano di Ippodamia, che il padre Enomao aveva promesso in sposa a chi sarebbe riuscito a superarlo in una gara di cocchi. Sconfitto, Eurimaco fu il quarto a subire la tragica sorte riservata ai perdenti (decapitazione e affissione della testa sanguinante su un muro).
* Un difensore troiano, figlio di Antenore e di Teano, promesso sposo di Polissena (al suo nome è intitolato l'asteroide 9818 Eurymachos).
* Un guerriero acheo, menzionato da Quinto Smirneo, giunto a Troia al seguito di Nireo ed originario di Sime, nel quale svolgeva la mansione di pescatore. Fu ucciso nel conflitto da Polidamante.
* Un combattente acheo che prese posto all'interno del cavallo di Troia, come racconta Quinto Smirneo.

Eurimede

Nella mitologia greca, Eurimede è una delle figlie di Niso, il re di Megara e sorella di Scilla.

La fanciulla, figlia del re Niso, fu promessa sposa al figlio maggiore di Sisifo, chiamato Glauco. Dalla loro unione nacquero due figli, a seconda delle versioni, Bellerofonte (od anche Ipponoo) e Deliade.
Ben presto, tuttavia, il primo ucciderà il fratello minore e, a causa della maledizione dei suoi genitori, sarà costretto a fuggire a Tirinto, presso il re Preto.

Eurimedonte

Nella mitologia greca, Eurimedonte era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata in relazione al rapimento di Elena, moglie del re acheo Menelao, effettuato da Paride, figlio del re di Troia Priamo. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo due famosi scudieri di personaggi celebri fra l’esercito acheo:

* Eurimedonte, auriga di Agamennone. Figlio di Ptolemeo, il re acheo si raccomandava sempre di tenersi pronto per ogni evenienza.
* Eurimedonte, scudiero di Nestore a cui si alternava Stenelo, che in realtà era l’ufficiale scudiero di Diomede.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 21:40
 
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Eurinome (Oceano)

Nella mitologia greca, Eurinome era il nome di una delle figlie di Oceano e di Teti fu una delle Oceanine.

Euripilo 1

Figlio di Poseidone e di Celeno, re di Cirene, in Libia. Quando Tritone aiutò gli Argonauti durante il passaggio nel lago Tritonio e donò a Eufemo una zolla di terra che da quel giorno in poi assicurò a lui e ai suoi discendenti la sovranità sulla Libia, prese le sembianze di Euripilo.

Eiripilo 2

Figlio di Telefo re di Pergamo e di Astioche figlia di Priamo. Sua madre era contraria a lasciarlo partire per combattere al fianco dei Troiani, anche perché Telefo, guarito per mano di Achille, aveva promesso che né lui né i suoi discendenti avrebbero combattuto contro i Greci. Ma Astioche si lasciò convincere soltanto quando Priamo le donò un tralcio di vite d'oro. Euripilo condusse un esercito di Misi a Troia, si dimostrò un valoroso combattente e uccise Macaone il chirurgo, figlio di Asclepio, causando molto scompiglio nelle file greche. Non gli riuscì di bruciare le navi greche a causa dell'arrivo tempestivo di Neottolemo (figlio di Achille) che lo passò a fil di spada.

Euripilo 3

Figlio di Evemone di Ormenione, in Tessaglia. Fu un pretendente alla mano di Elena. Condusse quaranta navi dalla Tessaglia alla guerra di Troia e uccise Assione, figlio di Priamo, e Apisaone, figlio di Fausio e venne ferito a una gamba da una freccia scagliata da Paride. Mentre cercava di tornare all'accampamento, incontrò Patroclo, che si era recato da Nestore per evere notizie sul combattimento di Achille. Macaone era ferito, non c'erano altri uomini esperti in medicina e quindi Euripilo venne affidato a Patroclo.
Fu uno dei guerrieri greci nascosti nel cavallo di legno. Quando Troia cominciò a bruciare, Euripilo ebbe come parte del bottino di guerra un misterioso cofanetto smarrito da Elena (o da Cassandra). Aprendolo Euripilo vi trovò un'antica immagine lignea di Dioniso realizzata da Efesto e donata a Dardano da Zeus. Tale e tanta era in quell'effigie la componente divina che Euripilo impazzì. L'oracolo delfico gli disse che sarebbe guarito soltanto se l'avesse portato in un luogo dove gli uomini svolgevano riti sacrificali sconosciuti, e che avrebbe dovuto stabilirsi nel paese in cui ciò fosse capitato. Quando raggiunse Patrasso trovò la popolazione intenta a sacrificare un fanciullo e una fanciulla ad Artemide e capendo che questo era il sacrificio inteso dall'oracolo, mostrò loro l'immagine di Dioniso e capì che in quel momento si stava realizzando una profezia di cui anche la popolazione di Patrasso era al corrente. Gli abitanti di Patrasso, infatti, erano stati parimenti avvertiti che il loro sacrificio non sarebbe stato più necessario il giorno in cui sarebbe giunto uno strano re a portare uno strano dio. Euripilo venne curato e si stabilì a Patrasso, dove morì. La sua tomba venne posta sull'acropoli e il culto di Dioniso si diffuse presso la popolazione di Patrasso.

Euripilo 4

Figlio di Poseidone e di Astipalea; re dei Meropi nell'isola di Coo. Dopo il sacco di Troia fatto da Eracle, Era ordinò a Borea di suscitare una tempesta che spinse Eracle fuori rotta, verso l'isola di Coo. I Meropi pensarono che i Greci fossero pirati e cercarono di allontanarli scagliando delle pietre contro le loro navi. Ma Eracle riuscì a sbarcare, si impadronì della città di Astipalea con un assalto notturno e uccise il re, Euripilo. L'eroe stesso fu ferito da Calcodonte, ma salvato da Zeus quando già si credeva spacciato. Altri dicono che Eracle attaccò Coo perché si era innamorato di Calciope, figlia di Euripilo.

Eurisace

Eurisace è una figura della mitologia greca, figlio di Aiace e di Tecmessa.

Venne affidato a Teucro e dopo aver succeduto a Telamone, il nonno, consegnò la città di Salamina agli Ateniesi.

Euristene

Nella mitologia greca, Euristene era uno degli eraclidi di terza generazione, figlio di Aristodemo e nipote di Aristomaco.

Assieme al fratello gemello Procle ricevette in eredità da Aristodemo il trono di Sparta (secondo altre versioni del mito i due gemelli lo avrebbero strappato a Tisameno).

È considerato il fondatore della casa regnante di Sparta degli Agìade. Gli succederà il figlio Agide I.

Euristeo

Euristeo è un personaggio della mitologia greca, figlio di Stenelo e cugino di Eracle.

Zeus aveva stabilito che i troni di Tirinto e di Micene sarebbero stati destinati al primo nato della stirpe di Perseo, tentando, in questo modo, di assegnare il trono a suo figlio Eracle. Sua moglie Era, però, intervenne e fece in modo che Euristeo nascesse prima di Eracle, che divenne quindi il re delle due città.

Era fece in modo che Eracle fosse anche sottomesso a Euristeo, che ne sfruttò le potenzialità per fargli compiere le dodici Fatiche di Eracle.

Temendo una vendetta degli Eraclidi (i figli di Eracle), Euristeo li braccò ovunque, fino ad Atene, dove fu respinto. Illo, figlio di Eracle, lo inseguì e lo uccise, tagliandogli la testa e consegnandola alla nonna Alcmena, che oltraggiò il cadavere di Euristeo secondo gli usi greci, ovvero strappando via gli occhi dalle orbite.

Egli aveva una figlia, Admeta, e un figlio, Alessandro.

Eurite

Nella mitologia greca, Eurite era il nome di una delle figle di Ippodamante.

Sposa di Portaone ebbe diversi figli, secondo Apollodoro ne ebbe 6, ovvero cinque figli maschi Eneo, Agrio, Alcatoo, Mela, Leucopeo, e una figlia Sterope. Da questa numero Pausania ne aggiunge 2:Alcatoo e Eneo.

Con tale nome si ritrova poi anche una ninfa, madre di Alirrozio avuto con Poseidone.

Euritione

Euritione è un centauro, figura della mitologia greca, il cui nome appare nella famosa lotta tra Centauri e Lapiti, cosiddetta Centauromachia. La lotta fu causata proprio da Euritione avendo stuprato la sposa Ippodamia, proprio il giorno delle nozze con Piritoo uno dei Lapiti. Contro Euritione si scagliò insieme a Piritoo anche Teseo. I Centauri con Euritione vennero sconfitti e allo stesso stupratore gli furono mozzati il naso e le orecchie.

Eurito

Nella mitologia greca Eurito è il nome di numerosi personaggi.

* Eurito, figlio di Melaneo e Stratonice, re di Ecalia.
* Eurito, figlio di Molione, oppure di Poseidone, o ancora di Attore. Suo fratello si chiamava Cteato. Essi erano chiamati Molionidi.
* Eurito, figlio di Ermes e di Antianira. Partecipò alla spedizione degli Argonauti e alla caccia al cinghiale calidonio.
* Eurito, padre di Ippaso, uno degli eroi che presero parte alla caccia del cinghiale di Calidone. Egli era anche uno dei seguaci di Pitagora.
* Eurito, figlio di Ippocoonte, venne ucciso, insieme al padre e ai fratelli, da Eracle.
* Eurito, capitano acheo al comando dei Tafi durante la guerra di Troia. Venne ucciso da Euripilo.
* Eurito, abitante dell'Etiopia, era uno dei seguaci del re Cefeo, e venne ucciso durante la battaglia tra Perseo e Fineo. Venne ucciso da Perseo.
* Eurito, un re di Caria, padre della giovane Idotea.
* Eurito, un gigante, era figlio di Gea. Venne ucciso da Eracle, durante la battaglia dei giganti contro gli dèi.
* Eurito, il Centauro presenta la matrimonio tra Piritoo e Ippodamia. Venne ucciso da Teseo.

Eurito, il re

Eurito, figlio di Melaneo e Stratonice, era il re di Ecalia in Tessaglia. Ebbe quattro figli - Ifito, Clizio, Tosseo e Dione - e una figlia di eccezionale bellezza, Iole. Una leggenda attribuisce ad Eurito anche la paternità di una seconda figlia, Driope.

Eurito era il nipote di Apollo, il dio arciere, ed era a sua volta noto per la sua abilità nell'uso dell'arco: alcuni dicono che sia stato proprio Eurito ad insegnare ad Eracle ad utilizzare quell'arma.

Secondo quanto raccontato da Omero, Eurito finì per diventare così orgoglioso della sua abilità di arciere che osò lanciare una sfida ad Apollo. Il dio allora uccise il presuntuoso Eurito e il suo arco passò nelle mani del figlio Ifito che, tempo dopo lo diede al suo amico Odisseo: si tratta dell'arco di cui infine Odisseo si servì per uccidere i Proci che avevano insidiato sua moglie Penelope.

Una versione più nota della leggenda della morte di Eurito fa riferimento ad un suo scontro con Eracle. Eurito aveva promesso di concedere la mano di sua figlia Iole a chi fosse riuscito a battere lui e i suoi figli in una gara di tiro con l'arco. Eracle accettò la sfida e la vinse ma Eurito, temendo che l'eroe sarebbe potuto nuovamente impazzire ed uccidere i figli che avesse avuto da Iole cos' come era successo con quelli avuti da Megara, si rifiutò di mantenere la promessa.

Eracle se ne andò via infuriato e, poco tempo dopo, dodici delle cavalle di Eurito furono rubate. Secondo alcuni furono rubate da Eracle stesso, secondo altri l'autore del furto fu Autolico che poi le vendette ad Eracle.

Andato in cerca degli animali Ifito, che era convinto dell'innocenza di Eracle, andò a chiedergli di aiutarlo e si fermò a casa sua a Tirinto. Eracle invitò Ifito a seguirlo sulle mura del palazzo e lì, in un impeto d'ira, lo uccise lanciandolo giù. Per espiare il suo crimine Eracle fu condannato a servire come uno schiavo la regina dei Lidi Onfale per un periodo, a seconda delle leggende, di uno o tre anni.

Dopo aver sposato Deianira, Eracle tornò ad Ecalia alla testa di un esercito e, mosso dal desiderio di vendetta, saccheggiò la città, uccise Eurito e i suoi figli, e prese Iole per tenerla come concubina. Questo gesto condusse alla fine Eracle alla morte perché Deianira, temendo che il marito fosse innamorato di Iole più che di lei, gli diede un mantello intriso del sangue del centauro Nesso, credendo che fungesse come filtro d'amore. In realtà il sangue di Nesso era un potente veleno che fece penetrare il mantello nelle carni di Eracle, uccidendolo.

Eurizione 1

Il Centauro che guidò la rivolta scoppiata durante il banchetto nuziale di Piritoo e di Ippodamia. Quando Ippodamia apparve sulla soglia della caverna per salutare gli ospiti, Eurizione balzò dallo sgabello, rovesciò il tavolo e la trascinò via per i capelli. Subito gli altri Centauri seguirono il suo vergognoso esempio, agguantando bramosi le donne e i fanciulli che capitavano loro a tiro. Piritoo e il suo paraninfo Teseo accorsero in aiuto di Ippodamia, amputarono il naso e le orecchie di Eurizione e, con l'aiuto dei Lapiti, gettarono i Centauri fuori della caverna. Così ebbe origine l'antica inimicizia tra i Centauri e i loro vicini Lapiti.

Eurizione 2

Il Centauro che aveva obbligato Dessameno, re della città d'Oleno, a dargli in isposa la figlia Mnesimache. Eracle, quando fu cacciato da Augia, si rifugiò presso Dessameno, il quale gli promise la mano della figlia Mnesimache, ma l'eroe partì in spedizione. Al ritorno trovò la ragazza fidanzata per forza al Centauro Eurizione, Eracle uccise il Centauro e sposò Mnesimache.

Eurizione 3

Il mandriano del Gigante Gerione. Per ordine di Euristeo, Eracle giunse nell'isola d'Erizia per impossessarsi della mandria di Gerione, che comprendeva bestie di pelo fulvo e di straordinaria bellezza. Il bestiame era sorvegliato dal mandriano Eurizione, figlio di Are, e da Ortro, cane a tre teste, un tempo di proprietà di Atlante e nato da Tifone e da Echidna. Si scontrò dapprima col cane Ortro, che uccise con un colpo della sua clava, e fece altrettanto col pastore Eurizione, il quale accorse ad aiutare il proprio cane. Poi Eracle cominciò a portar via i buoi.

Eurizione 4

Figlio di Attore e di Demonassa oppure del figlio di Attore, Iro, re di Ftia. Quando Peleo, dopo l'uccisione del fratellastro Foco, si rifugiò alla corte di Attore, re di Ftia, e fu purificato dal suo figlio adottivo Eurizione, questi gli diede in sposa la figlia Antigone oltre a fargli dono di un terzo del suo regno. Un giorno Eurizione portò con sé Peleo per cacciare il cinghiale calidonio; ma Peleo, mentre armeggiava con la sua lancia, incidentalmente uccise Eurizione e non osò tornare a Ftia. Fuggì a Iolco, dove fu purificato di nuovo, questa volta da Acasto, figlio di Pelia.

Europa (Oceano)

Europa è una figura della mitologia greca, figlia dei Titani Oceano, dio del mare, e Teti, una delle nereidi. Secondo altre fonti fu generata dal Titano Tizio, che potrebbe in realtà essere una mascolinizzazione della dea preellenica Teti.
Viene descritta da Esiodo nel 770 a.C. come una donna bellissima.

Dall'unione con Poseidone nacque Eufemo, uno degli argonauti. Europa era una delle tremila oceanine, sorelle dei tremila fiumi. I genitori di questa furono gli unici che non parteciparono alla guerra dei titani contro Zeus, per questo fu lasciato loro il potere sul mare.

Europa (mitologia)

Europa è una figura della mitologia greca.
Il nome Europa viene dal greco Ευρώπη e può significare, se da eu-rope, "ben irrigata", oppure, da euro-ope "dalla larga faccia" (ευρώ, "grande", e οπή, "tondo"), sinonimo di luna piena, appellativo della Dea.

Europa era figlia di Agenore (re di Tzur, una antica città sarda, Tharros per i fenici in area mediterraneo-occidentale). Zeus se ne innamorò, vedendola insieme ad altre coetanee raccogliere dei fiori nei pressi della spiaggia. Zeus allora inventò uno dei suoi molteplici travestimenti: ordinò a Ermes di guidare i buoi del padre di Europa verso quella spiaggia. Zeus quindi prese le sembianze di un candido toro bianco, le si avvicinò e si stese ai suoi piedi. Europa salì sul dorso del toro, e questi la portò attraverso il mare fino all'isola di Creta.

Zeus rivelò quindi la sua vera identità e tentò di usarle violenza, ma Europa resistette. Zeus si trasformò quindi in aquila e riuscì a sopraffare Europa in un boschetto di salici o, secondo altri, sotto un platano sempre verde. Questa narrazione è riprodotta sulle monete da 2 € di conio Greco.

Agenore mandò i suoi figli in cerca della sorella. Il fratello Fenice, dopo varie peregrinazioni, divenne il capostipite dei fenici. Un altro fratello, Cilice, si instaurò in un'area sulla costa sudorientale dell'Asia Minore a nord di Cipro e divenne il capostipite dei cilici. Cadmo, il fratello più famoso, arrivò fino in Grecia dove fondò la città di Tebe.

Europa divenne la prima regina di Creta. Ebbe da Zeus tre figli: Minosse, Radamanto, Sarpedonte e forse Carno, che vennero in seguito adottati da suo marito Asterione re di Creta.

Zeus donò a Europa tre regali: Talo, l'uomo di bronzo che sorvegliava le coste cretesi, Laelaps, un cane molto addestrato e un giavellotto che non sbagliava mai il bersaglio. Il padre degli dei successivamente ricreò la forma del toro bianco nelle stelle che compongono la Costellazione del Toro.

Dopo la morte di Asterione, Minosse diventa re di Creta. In onore di Minosse e di sua madre, i Greci diedero il nome "Europa" al continente che si trova a nord di Creta.

Tutto ciò accadde cinque generazioni prima che nascesse in Grecia Eracle, figlio di Anfitrione.

Esegesi

La raffigurazione di Europa su di un toro si trova in diversi dipinti preellenici, che probabilmente raccontano della Dea Luna trionfante in groppa al toro solare, sua vittima.

Il mito pare raccontare di un'invasione di Creta da parte di stirpi elleniche. E Zeus che si trasforma in aquila per violentare Europa ricorda la storia di Zeus trasformato in cuculo per sedurre Era. Ma può anche darsi che il mito racconti di scorrerie compiute dagli elleni di Creta in Fenicia.

Secondo recenti ipotesi astrologiche il toro indica l'era del Toro, una delle ere astrologiche che dovrebbero scandire il tempo dell'uomo.

Evadne

Nella mitologia greca, Evadne era il nome di diversi personaggi del mito.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Evadne, la figlia di Pelia
* Evadne, figlia di Poseidone
* Evadne, figlia di Ares


Evadne la figlia di Pelia


Evadne era una delle tre figlie del re Pelia. Un giorno Medea entrò sotto mentite spoglie nel palazzo reale con l’intento di uccidere il nemico di Giasone compagno della strega. Una volta fatto credere al re che lei poteva farlo diventare di nuovo giovane convinse Evadne e le sorelle a farlo a pezzi.

Evadne figlia di Poseidone


Tale ragazza, figlia del dio dei mari, fu amata dal divino Apollo dal quale ebbe Iamo da cui discesero gli Iamidi. Spesso la si confonde con l’Evadne figlia di Ares.

Evadne figlia di Ares


Evadne figlia di Tebea e del dio della guerra Ares. Rifiutò di sposare Apollo scegliendo un mortale. Divenne la moglie di Capaneo ed una volta morto il marito durante la guerra dei Sette contro Tebe, mentre si celebrava il rito funebre la donna si gettò sulla pira decidendo di morire insieme a lui.

Evandro (figlio di Priamo)

Nella mitologia greca, Evandro era uno dei figli di Priamo, re di Troia al tempo della guerra di Troia e appare come un personaggio minore nei poemi posteriori all'Iliade di Omero. Gli unici autori a parlare di lui sono lo Pseudo-Apollodoro nella sua Biblioteca, Ditti Cretese e Gaio Giulio Igino nelle Fabulae.

Le date fornite per la guerra da Eratostene, la collocano all'incirca tra il 1194-1184 a.C. Gli studiosi moderni che sostengono la storicità della guerra di di Troia, sono propensi a datarla alla fine della tarda età del Bronzo, generalmente tra il 1300 e il 1180 a.C., ovvero tra la fine della fase urbanistica di Troia VI e la fine di quella indicata come Troia VIIa. Entrambe le fasi si conclusero con un disastroso incendio

Secondo Barry Strauss, ad esempio, essa può collocarsi luogo in un'epoca compresa tra il 1230 e il 1180 a.C., con una probabile preferenza per l'ultimo trentennio. Al 1180 a.C. circa viene datato l'incendio che colpì la città di Troia VIIa e le cui evidenze si devono agli scavi compiuti da Manfred Korfmann negli anni ottanta.

Parentela

Verso la fine dell' Iliade, Priamo dice ad Achille: "Cinquanta ne avevo quando vennero i figli dei Danai. E diciannove venivano tutti da un seno, gli altri, altre donne me li partorirono in casa: ma Ares furente ha sciolto i ginocchi di molti..." Evandro era uno dei suoi cinquanta figli ma Omero non fa menzione di lui nell' Iliade; nessuna informazione tantomeno ci viene assegnata sul nome e le origini di sua madre. Per questo motivo, Evandro è un personaggio del tutto sconosciuto e la sua presenza nella letteratura è limitata a brevissime comparse, perlopiù negli elenchi genealogici.

Apollodoro di Atene riferisce che Priamo ebbe nove figli e quattro figlie da Ecuba (i figli erano Ettore, Paride, Deifobo, Eleno, Pammone, Polite, Antifo, Ipponoo e Polidoro, mentre le figlie Creusa, Laodice, Polissena e la profetessa Cassandra), e nomina i figli di altri trentotto figli generati con altre donne, tra i quali Troilo, Ippotoo, Gorgitione e lo stesso Evandro.

Nella Fabulae di Gaio Giulio Igino, precisamente nella favola 90, la quale consiste nell'elenco dei "I cinquanta figli di Priamo", Evandro viene incluso.

Eveno

Nella mitologia greca, Eveno era il nome di uno dei figli di Ares, abile nella corsa con il cocchio e padre di Marpessa.

Eveno, aveva sposato Alcippe e da lei aveva avuto una figlia, Marpessa.

Volendo far rimanere la figlia vergine sfidava tutti i pretendenti ad una gara con il cocchio, se gli avversari vincevano avrebbero potuto avere la mano della figlia, altrimenti avrebbero visto la loro testa cadere.

Ben presto riuscì con le teste cadute a creare una orrenda coda di testa nella sua casa, come destino vuole, facciano molti dei figli di Ares.

Il rapimento

Il dio Apollo, stanco di vedere tanta strage decise di intervenire per porre termine, una volta per tutte a tali ingiustizie. Non ci fu mai la sfida perché Ida, uno dei futuri argonauti, la rapì davanti agli occhi del padre.

Eveno subito si mise all'inseguimento con il suo cocchio, ma per quanto cercava non riuscì a raggiungere l'eroe.

La morte

Deluso, umiliato uccise dapprima i propri cavalli rei di non averlo fatto trionfare l'ennesima volta, in seguito si uccise annegando nel fiume Licorma, e da quel giorno tale corso d'acqua cambiò il nome in Eveno.

Progenie

Ebbe anche altri due figli, Minete ed Epistrofo, uccisi entrambi da Achille nel corso della guerra di Troia.

Altri autori minori narrano che codesto Eveno non sia lo stesso Eveno della gara del cocchio.

Significati e interpretazione

La corsa del cocchio è citata spesso nei miti, come Eracle e Cicno, e ogni volta si parla di una raccolta di teschi.

I suoi cavalli vennero offerti come sacrificio per la cerimonia del nuovo re.

L'annegamento del re nacque forse dall'errata interpretazione dell'atto di Ida di purificarsi, prima delle nozze con la figlia di Eveno.

Evere (Pterelao)

Nella mitologia greca, Evere era il nome di uno dei figli di Pterelao.


Durante la guerra fra Micenei e Tafi, si osservò una strage dei figli dei due rispettivi re: Elettrione di Micene perse tutti i suoi figli maschi, tranne Licimnio, solo per la sua età visto che era ancora un bambino.

Stessa sorte toccò a Pterelao a cui rimase solo un figlio: Evere che era rimasto in disparte non prendendo parte alla guerra, infatti na lui era stato dato il compito di fare la guardia alle navi.

Evere (mitologia)

Nella mitologia greca, Evere era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Evere, che ebbe dalla ninfa Cariclo Tiresia, il veggente.[1]
* Evere, figlio di Eracle e Partenope e padre di Stinfalo.[2]
* Evere, figlio di Pterelao


F



Faenna

Nella mitologia greca, Faenna era una delle tre Cariti, secondo le tradizioni degli Spartani.

Di lei racconta Pausania, raccontando che nei suoi viaggi incontrò un santuario, dicono eretto da Lacedemone a loro dedicato vicino al fiume Tiasa.

Falance

Falance era un giovane originario della Lidia,figlio di Idmone di Colofone e fratello di Aracne.

Mentre la sorella apprendeva dalla dea Atena l'arte della tessitura, lui imparava quella delle armi.

Alfine però ambedue si macchiarono di grande tracotanza e furono castigati dalla dea dagli occhi cerulei.

Furono tutti e due trasmutati in animali: Aracne divenne un ragno ed il fratello si trasformò in un falangio.

Edited by demon quaid - 16/12/2014, 21:48
 
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Falanto

Falanto è una figura della mitologia greca, ecista dei coloni Partheni provenienti da Sparta.

Figlio di Arato, secondo la leggenda, la sua figura è fortemente legata alla città di Taranto, in quanto, secondo la leggenda Falanto sarebbe il fondatore effettivo dell'antica colonia greca.

Racconta Strabone che negli ultimi decenni del VIII secolo a.C., durante la lunghissima guerra in cui Sparta era impegnata contro la vicina Messenia, le donne spartane misero in guardia i propri uomini dal pericolo conseguente al fatto che essi, per mantenere il giuramento legato a quella guerra, erano lontani dalle mogli e dalla loro città: Sparta rischiava di non avere più una giovane generazione di guerrieri e loro avrebbero agito di conseguenza. Preoccupati gli Spartiati acconsentirono che i Perieci (cittadini che non godevano di tutti i diritti politici propri degli Spartiati), fossero autorizzati a unirsi alle donne e a procreare figli (illegittimi, detti poi 'Parthenii', e destinati di conseguenza a vivere emarginati in condizione subalterna).

Venne il momento in cui questi Parthenii, guidati da Falanto, organizzarono una sommossa insieme agli schiavi, per ottenere dall'aristocrazia i diritti loro negati: la sommossa fallì e i rivoltosi, non potendo essere condannati a morte al pari degli schiavi, vennero obbligati a lasciare la città alla ricerca di nuove terre. Falanto consultò prima di partire l'Oracolo di Delfi, alla ricerca di un responso circa il proprio futuro, il quale sentenziò:
"Popolate la grassa terra degli Iapigi e siate la loro rovina."
Inoltre Falanto chiese un segno dal cielo per capire quando sarebbe venuto il momento opportuno e l'oracolò sentenziò: "Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città."

Raggiunte le terre degli Iapigi, i Partheni non riuscirono ad avere la meglio sugli indigeni, ma si limitarono a prendere possesso del promontorio di Saturo. Le ambizioni però erano maggiori e Falanto, disperato, si buttò tra le braccia della moglie che cominciò a piangere e a bagnarlo con le sue lacrime. Falanto allora, ricordandosi che il nome della moglie Ethra ha per significato "cielo sereno", ritenne che l'oracolo si fosse avverato e guidò i suoi verso l'entroterra, fondando Taranto (richiamandosi a Taras l'eroe greco-iapigio del luogo).
Mentre gli indigeni riparavano a Brindisi, Falanto poté così finalmente costituire in Italia una colonia lacedemone, retta dalle leggi di Licurgo.

In seguito a contrasti con i concittadini (per seditionem), Falanto venne scacciato con ingratitudine da Taranto e si rifugiò a Brindisi, proprio presso gli Iapigi che aveva sconfitto. Lì morì e ricevette dai suoi ex nemici un'onorata sepoltura.

Sul letto di morte, tuttavia, Falanto volle far del bene ai suoi ingrati concittadini: convinse i brindisini a spargere le sue ceneri nella piazza di Taranto, perché così facendo si sarebbero assicurati la conquista di quella città. In realtà l'oracolo aveva predetto a Falanto che Taranto sarebbe rimasta inviolata se le sue ceneri fossero rimaste entro le mura. Così Falanto, ingannando i brindisini fece un favore ai tarantini, che da allora gli resero l'omaggio dovuto ad un ecista.

Falche


Nella mitologia greca, Falche era un valoroso guerriero troiano, il quale partecipò alla guerra di Troia, sorta a causa del rapimento della regina di Sparta Elena da parte di Paride, figlio di Priamo, il quale la condusse a Troia insieme alle sue ricchezze.

Falche fu un valido combattente troiano, non impaurito dalla guerra, il quale si cimentava soprattutto nei punti in cui la battaglia era più feroce. Ettore stesso spronò il debole fratello Paride, causa della guerra, a raggiungere Falche nella mischia più violenta, in cui Greci e Troiani cadevano uno dopo l'altro.

Tuttavia il valore di Falche in battaglia non bastò a salvarlo dalla sua uccisione, avvenuta per mano di Antiloco, il giovane eroe figlio di Nestore di Pilo.

Falero


Nella mitologia greca, Falero, eroe eponimo del porto di Atene, Falero, era uno degli argonauti, figlio di Alcone.

Figlio del grande arciere Alcone, Falero un giorno ebbe un brutto incontro con un gigantesco serpente, esso lo aveva completante avvolto nelle spire e lo stava per soffocare. Allora intervenne il padre, prese il suo arco e scoccò una freccia, la sua abilità era tale che colpì uccidendo il serpente senza neanche scalfire il figliolo.
Gli Argonauti

Da grande Falero prese le abilità del padre con l'arco, partecipando come membro uffciiale del viaggio verso il vello d'oro, in qualità di rappresentante del popolo ateniese.

Fame
(Mitologia)

Nella mitologia greca, Fame è la raffigurazione della carestia; si tratta della figlia di Eride o Eris. Di lei parla Virgilio, indicandola come cattiva consigliera, al fianco di tanti compagne sue pari, un essere mostruoso.


La sua dimora viene rivelata da Ovidio: nella Scizia, nella parte più remota e gelata del mondo conosciuto dai Greci e dai Romani. A lei fanno compagnia secondo l'autore Gelo, Brivido e Pallore. La sua pelle è quella di una vecchia, rinsecchita, gli occhi appaiono infossati, i suoi capelli sono inspidi. Una volta operò per volere della dea Cerere, in quell'occasione ai danni di Erisittone: il suo tocco lo portò ad avere una fame che non veniva mai saziata.

Fantasio


Nella mitologia greca, Fantasio è uno dei figli del Sonno e della Notte.

Fratello di Morfeo, si tratta di uno dei Sogni. Egli si differenzia dal fratello per via delle continue menzogne: egli, infatti, non annuncia mai la verità.

Fante
(mitologia)

Fante è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Teano, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Faone

Faone è un personaggio leggendario della mitologia greca. È l'uomo amato dalla poetessa greca antica Saffo, nata a Lesbo.
La leggenda

Esso era un anziano barcaiolo che offriva servizio di traghettatore da Leucade a Lesbo. Un giorno traghettò una vecchietta senza farsi pagare, e quella vecchietta era Afrodite, che per ricompensare la sua generosità gli regalò un unguento capace di ringiovanirlo e farlo diventare molto bello. A Lesbo lo vide Saffo, che se ne innamorò, ma dato che lui non ricambiava il suo amore, Saffo si gettò da una rupe.

Fasi

Fasi (greco: Φάσις), era una divinità-fiume, in Colchide. Si narrava che fosse figlio di Elio e dell'Oceanina Ocirroe. Sorprese la madre in flagrante adulterio e la uccise. Inseguito dalle Erinni si gettò nel fiume chiamato fino allora Arturo e che prese a chimarsi Fasi.

Secondo Valerio Flacco, il dio cercò di insidiare la ninfa Ea che chiese aiuto agli dei che la trasformarono in un'isola.

Il fiume attualmente viene chiamato Rioni e scorre in Georgia, era l'antico Phasis.

Fauno

Antica divinità latina della pastorizia, il dio che favorisce la fecondità delle greggi e le preserva dagli assalti dei lupi: onde il nome di Luperci dato ai sacerdoti del dio, di Lupercal alla sede originaria del suo culto (una grotta sul fianco settentrionale del Palatino), di Lupercalia alla sua festa principale (15 febbraio), e l'epiteto di Lupercus al dio stesso. Fauno era anche venerato come il genio dei boschi che spaventa, di notte, gli uomini con sogni e apparizioni paurose (onde il nome di Incubus); che fa conoscere l'avvenire per mezzo dei rumori del bosco, del volo degli uccelli o coi sogni.
Nel culto, Fauno decadde presto d'importanza, soprattutto in seguito alla parte sempre maggiore data a un dio di umile origine, Silvano. Identificato col greco Pan, divenne un semplice semidio mortale e si confuse con la folla dei Pani, dei Satiri, delle Ninfe.
Fauno viene a volte considerato un mortale e chiamato discendente di Marte. Governò sul Tevere e accolse Evandro al suo arrivo in Italia donandogli la terra dove sarebbe poi sorta Roma. Fauno sposò una ninfa dell'acqua, Marica, che gli generò Latino, re dei Latini al tempo dell'arrivo di Enea, che sposò Lavinia, sua figlia.
In un mito Fauno compare insieme al dio Pico e a Egeria, la ninfa amata da Numa Pompilio, il leggendario secondo re di Roma. Secondo alcuni, Fauno era lo sposo o il padre di Bona Dea, nota anche con il nome di Fauna. Secondo i Romani, Eracle uccise re Fauno, che usava sacrificare gli stranieri sull'altare di suo padre Ermete; e generò Latino, l'antenato dei Latini, dalla vedova di Fauno, oppure dalla di lui figlia. Ma i Greci sostengono che Latino era figlio di Circe e di Odisseo.

Faustolo

Figura mitica della tradizione relativa alle origini di Roma.
Capo dei pastori di Amulio, re di Alba Longa, aveva appreso la nascita dei due gemelli partoriti da Ilia ed aveva assistito alla loro esposizione sulla riva del Tevere da parte dei servitori del re. Quando furono ritrovati salvi sul greto del fiume da alcuni pastori, se li fece consegnare e li portò alla moglie, Acca Larenzia, perché li allevasse, essendosi proprio allora sgravata di un fanciullo morto. Secondo una tarda deformazione della leggenda, Numitore, sostituiti con altri due gemelli i nati da Ilia, avrebbe affidato i suoi nipoti a Faustolo, compagno di Evandro, il quale avrebbe poi fatto educare a Gabi i due fanciulli. Fatti adulti i due gemelli, è Faustolo che, conn le sue rivelazioni, rese possibile l'identificazione dei giovani e l'accertamento del delitto tentato da Amulio.
Nella lite fra Romolo e Remo per la fondazione di Roma, trovò la morte anche Faustolo, che era intervenuto come pacificatore: sarebbe stato seppellito nel Foro, dove, più tardi, un leone di pietra indicava il suo tumulo (oppure, secondo un'altra versione, nel Comizio, sotto il lapis niger). Nell'angolo sud-ovest del Palatino si mostrava la sua capanna (tugurium Faustuli).
L'identificazione di Faustolo con Fauno, da alcuni sostenuta, è da altri respinta.

Febe (Leucippo)

Febe è una figura della mitologia greca, figlia di Leucippo.

Febe e la sorella Ilaria vennero promesse spose dal padre ai figli di Afareo: Ida e Linceo. Entrambe furono rapite da Castore e Polluce.

Il rapimento causò una battaglia tra i Diòscuri e i figli di Afareo, che sfociò nella morte di Castore e Linceo.

Fedra

Fedra è una figura della mitologia greca, era figlia di Minosse e Pasifae.

Sposò Teseo, re di Atene che aveva già avuto un figlio, Ippolito, dal matrimonio con la regina delle amazzoni. Si innamorò follemente di Ippolito e non riuscendo più a controllare questa sua passione, dopo avere saputo che il suo figliastro era stato informato dei sentimenti che provava verso di lui, dalla vecchia nutrice di lei, decide di impiccarsi per il disonore.

Il mito di Fedra e Ippolito è narrato nella tragedia Ippolito di Euripide e, nel mondo latino, nella tragedia Phaedra di Seneca.

Nel 1677 il drammaturgo francese Jean-Baptiste Racine scrisse anch'egli una tragedia su questo argomento, intitolandola Phèdre.

Anche d'Annunzio nel 1909 mise in scena una tragedia intitolata Fedra, rifacendosi esplicitamente al mito classico.

Alla schiera di questi illustri artisti, si aggiunse, nel 1909, Umberto Bozzini, poeta e drammaturgo di Lucera, che nell'aprile di quell'anno rappresentò la sua 'Fedra' nel teatro della sua città natale, riscuotendo grande successo di critica e apprezzamento dal mondo letterario italiano.

Fegeo

Nella mitologia greca, Fegeo era il nome di uno dei re della Fegea, fratello di Foroneo e figlio di Inaco o di Alfeo a seconda delle tradizioni.

Alcmeone, in seguito all’omicidio della sua stessa madre si recò, cercando di sfuggire alle Erinni che lo perseguitavano, da Fegeo, dove ottenne la purificazione che cercava. Egli aveva una figlia chiamata Arsinoe, ma secondo altre versioni il nome era Alfesibea. Sua figlia andò come sposa proprio ad Alcmeone. Oltre a lei ebbe anche due figli Pronoo e Agenore.
La morte

Alcmeone non fu grato di ciò che ottenne, desiderava un'altra donna e volle regalarle gli stessi oggetti che in precedenza aveva regalato ad Alfesibea. Con l’inganno ottenne ciò che voleva ma i figli di Fegeo lo uccisero. Fegeo e la sua progenie fu sterminata dai figli che Alcmeone ebbe con la nuova moglie chiamata Calliroe.

L'opera di Bozzini venne proposta nei maggiori teatri italiani, da Torino a Firenze, da Roma a Napoli, dove venne consacrato come uno dei migliori artisti del primo Novecento. Del 1996 è l'opera Phaedra's Love (L'amore di Fedra) della drammaturga inglese Sarah Kane.

Fenice (Agenore)

Fenice è una figura della mitologia greca, era figlio di Agenore e di Telefassa.

Il padre Agenore inviò i suoi figli alla ricerca Europa rapita da Zeus, nel corso delle varie peregrinazioni, Fenice divenne l'eroe eponimo e il capostipite dei fenici.

Fenice (Amintore)

Fenice è un personaggio della mitologia greca, figlio di Amintore.

Di questo personaggio le uniche notizie le troviamo nel Libro IX dell'Iliade. Fenice per assecondare la madre, gelosa dell'amante di Amintore, ha rapporti amorosi con la donna. L'ira del padre lo costringe a vagare finché giunge alla corte di Peleo che gli offre il regno di Dolopia, regione dell'Epiro. e anche nell' ambasiata di agamennone!

Lo stesso Peleo gli permette l'educazione del piccolo Achille, con il quale combatte nella Guerra di Troia.

Fenope


Nella mitologia greca, Fenope era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

Fenope, padre di Xanto e Toone, che generò in vecchiaia. In guerra perse entrambi i figli uccisi da Diomede. A causa dell'età non riuscì a procreare altra discendenza cui lasciare il suo patrimonio.
Fenope, padre di Forci che fu ucciso da Aiace il grande.
Fenope, figlio di Asio.

Fere (mitologia)

Fere è una figura della mitologia greca, figlio di Creteo e Tiro, fondatore dell'omonima città situata in Tessaglia. Fere scappò dalla sua città natale Iolco, dopo che il suo fratellastro Pelia ebbe usurpato il trono. Suo figlio Admeto divenne in seguito il marito della famosa Alcesti, che morì per allungare la vita del suo amato e venne poi riportata nel mondo dei vivi da Eracle.

Omero utilizza tale termine anche per descrivere i centauri.

Ferea

Nella mitologia greca, Ferea era uno degli appellativi o dei soprannomi della dea greca Ecate, considerata secondo alcune leggende figlia di Ferea.

Secondo una leggenda, Ferea era una figlia di Eolo, il figlio di Elleno, la quale era stata amata da Zeus ed era rimasta incinta di una bambina, la dea Ecate.
Tuttavia alla sua nascita, la giovane rifiutò di allevare la neonata e la abbandonò in fasce presso un crocicchio; qui fu intravista da una pastore di Fere, il quale raccolse la piccola e l'allevò come se fosse sua figlia.

Fereclo

Fereclo è un personaggio dell'Iliade. La sua vicenda è narrata nel libro V. Giovane guerriero troiano figlio dell'Armonide Tettone, venne ucciso in combattimento da Merione, che lo colpì all'inguine con la lancia. Aveva costruito la flotta con cui Paride si recò a Sparta per rapire Elena, nonostante gli oracoli avessero preannunciato la guerra che ne sarebbe scaturita.

Festo (Iliade)

Festo è un personaggio dell'Iliade di Omero, menzionato nel quinto libro.

Fetonte

Fetonte è una figura della mitologia greca. Era figlio di Elio, dio del Sole, e della ninfa Climene.

Secondo il mito, Fetonte, per far vedere agli amici che Elio era veramente suo padre, lo pregò di lasciargli guidare il carro del Sole; ma, a causa della sua inesperienza, ne perse il controllo, i cavalli si imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea (questo è uno dei miti che spiegano l'origine della Via Lattea; ve ne sono diversi altri), quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Zeus intervenne per salvare la terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano, nell'odierna Crespino sul Po. Le sue sorelle, spaventate, piansero abbondanti lacrime con viso afflitto e vennero trasformate dagli dèi in pioppi biancheggianti.

Secondo alcuni mitografi, Zeus quindi fece straripare tutti i fiumi uccidendo tutto il genere umano a eccezione di Deucalione e Pirra.

Citando questo mito nella Divina Commedia, Dante si riferisce all'eclittica (il cammino percorso dal Sole nel sistema geocentrico) come la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn (Purgatorio IV, 71-72); viene citato anche nell'Inferno riguardo volo sopra il demone Gerione come Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse (Inferno, XVII, 106-108).

Teoria dell'impatto extraterrestre


È stato fatto notare da un certo numero di commentatori, tra i quali gli astronomi Victor Clube e Bill Napier, che, se ovviamente depurata dei relativi elementi mitologici, la storia di Fetonte può essere letta come un genuino resoconto dell'effetto di un impatto di un asteroide o di residui di una cometa. Paragonando la descrizione fatta dai testimoni oculari dell'evento di Tunguska, di una luce molto luminosa e di un calore fortissimo compreso il rosseggiare e scurirsi del sole dovuto al sollevamento della polvere e agli eventuali Tsunami, si può notare l'analogia col racconto mitologico.

Edited by demon quaid - 18/12/2014, 21:40
 
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Fetusa

Nella mitologia greca, Fetusa era una figlia di Elio e della ninfa Neera, sorella di Lampezia.

La madre lasciò entrambe le figlie nell'isola di Trinacria dove vivevano alcune mandrie del padre a cui le due donne dovevano badare.. Altri autori riferiscono di diversa madre, tale Climene la figlia di Oceano.

Fidante

Fidante, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero acheo.

Fidante partecipò all'azione bellica descritta nel libro VI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi opponendosi senza successo all'attacco di Ettore.

Fidippo

Nella mitologia greca, Fidippo era un valoroso guerriero acheo, figlio di Tessalo e Calciope, e, attraverso il padre, nipote di Eracle. Insieme al fratello Antifo, aspirò alla mano della giovane Elena, figlia di Zeus, andata poi in sposa al re spartano Menelao. A questo scopo partecipò alla guerra di Troia, conducendo con sé una flotta di trenta navi.

Filammone


Filammone è un personaggio della mitologia greca, per alcuni figlio di Apollo e di Chione, per altri di Apollo e di Leuconoe, per altri ancora di Eosforo e di Cleobea (o Crisotemi).

Indovino, fu amato dalla ninfa Argiope e fu il padre del cantore Tamiri. A lui si attribuiscono sia l'invenzione di cori femminili sia la partecipazione ai misteri di Demetra.

Filante


Nella mitologia greca, Filante era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Filante, Re dei Driopi venne ucciso da Eracle
* Filante, discendente del Re dei Driopi era un figlio di Antioco e padre di Ippote.
* Filante, Re di Efira che si trova nella Tesprozia
* Filante, padre di Polimela e nonno di Eudoro.

Filante (Antioco)

Nella mitologia greca, Filante era il nome di uno dei figli di Antioco, figlio a sua volta di Eracle.

Discendente dal primo Filante, Re dei Driopi, ebbe dalla moglie Leipefilene vari figli:

* Ippote
* Tero, che venne sedotta da Apollo, il dio figlio di Zeus. Da tale unione nacque Cherone.

Filante (Efira)

Nella mitologia greca, Filante era il nome di uno dei Re di Efira, città che si trova nella Tesprozia.

Di lui si racconta in occasione dello scontro avuto con Eracle, che conquistò la sua città. Filante aveva una figlia, Astioche che divenne amante del semidio.

Da tale donna ebbe forse Tlepolemo.

Filante
(mitologia)

Nella mitologia greca, Filante era il nome di uno dei Sovrani dei Driopi, il suo nome è legato alle gesta di Eracle

Decise, alla guida del suo esercito, di attaccare il tempio di Delfi non sapendo che così sarebbe andato incontro alla furia del figlio di Zeus, Eracle. Durante la lotta lo stesso Re trovò la morte, tutti i soldati vennero catturati e una volta giunti innanzi all' oracolo della città vennero offerti alla divinità prottetrice, Apollo. Altra sorte toccò ai soldati secondo pareri di altri mitografi, in ogni caso Eracle ebbe dalla figlia di Filante Antioco che ebbe a sua volta un figlio chiamato anche lui Filante.

Filemone e Bauci


La leggenda della mitologia greca di Filemone e Bauci è tramandata nell'ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio.

Zeus ed Ermes, vagando attraverso la Frigia con sembianze umane, «bussando a mille porte, domandavano ovunque ospitalità e ovunque si negava loro l'accoglienza. Una sola casa offrì asilo: era una capanna, costruita con canne e fango. Qui, Filemone e la pia Bauci, uniti in casto matrimonio, vedevano passare i loro giorni belli, invecchiare insieme sopportando la povertà, resa più dolce e più leggera dal loro tenero legame».

Zeus scatenò la propria ira contro i Frigi ma risparmiò i due coniugi, trasformando la loro povera capanna in un tempio lussuoso e offrendosi di esaudire qualunque loro desiderio. Filemone e Bauci chiesero solo di poter essere sacerdoti del tempio di Zeus e di poter morire insieme.

Quando Filemone e Bauci furono prossimi alla morte, Zeus li trasformò in una quercia e un tiglio uniti per il tronco. Questo albero meraviglioso, che si ergeva di fronte al tempio, fu venerato per anni dai fedeli.

Fileo

Fileo era uno dei figli di Augia, re d'Elide e nemico di Eracle; venne cacciato dal padre dopo aver appoggiato quest'ultimo in seguito a una disputa scoppiata tra l'eroe e il padre.

Bandito dalla sua città, si stabilì a Dulichio, dove sposò Timandra dalla quale ebbe Megete ed Euridamia. Più tardi Eracle mise a sacco l'Elide, uccise re Augia e ricompensò Fileo, ponendolo sul trono.

Fillide 1

Principessa tracia, figlia di re Fileo, amava Acamante figlio di Teseo, che era partito per la guerra di Troia. Quando Troia cadde e la flotta ateniese fece ritorno, Fillide scendeva spesso alla spiaggia con la speranza di avvistare la nave di Acamante; ma egli era stato attardato da un'avaria e Fillide morì di dolore dopo nove giorni, in in luogo chiamato Enneodo ("le Nove Strade"). Fillide fu trasformata da Atena in un mandorlo e Acamante, arrivato il dì seguente, potè abbracciare soltanto il suo nudo tronco. Sotto le sue carezze i rami si coprirono di fiori anziché di foglie, e da quel giorno tale rimase la caratteristica dei mandorli. Ogni anno gli Ateniesi danzano in onore di Fillide e di Acamante.
Il racconto seguente parla di una seconda principessa tracia chiamata Fillide che si innamorò di Demofonte, fratello di Acamante. Codeste due principesse furono spesso confuse l'una con l'altra.

Fillide 2

Figlia di Licurgo. Demofonte, figlio di Teseo, durante il suo viaggio di ritorno da Troia approdò nella terra dei Traci Bisalti e colà Fillide, una principessa bisaltia, si innamorò di lui. Demofonte la sposò e divenne re. Quando fu stanco di vivere in Tracia e decise di riprendere il viaggio, Fillide non potè fare nulla per trattenerlo. "Debbo recarmi ad Atene a riabbracciare mia madre", disse Demofonte. "Avresti dovuto pensarci prima di salire sul mio trono", rispose Fillide in lacrime. "La legge non permette che tu ti allontani per più di qualche mese". Demofonte giurò su tutti gli dèi dell'Olimpo che sarebbe tornato di lì a un anno, ma Fillide sapeva che era una menzogna. Lo accompagnò fino al porto di Enneodo e gli consegnò un cofanetto contenente un amuleto sacro della Madre Rea, che avrebbe dovuto aprire solo nel caso in cui avesse perso ogni speranza di tornare da lei.
Demofonte non aveva affatto intenzione di recarsi ad Atene; egli infatti dirottò a sudest verso Cipro, dove si stabilì. E quando l'anno fu trascorso, Fillide lo maledì in nome di Rea, bevve del veleno e morì. In quella stessa ora, Demofonte fu preso dalla curiosità di vedere che cosa mai contenesse il cofanetto e il magico amuleto (nessuno ne conosce la natura), lo aprì e fu preso da un folle panico. Egli inforcò il cavallo e si lanciò al galoppo, percuotendosi la testa col piatto della spada, finché inciampò e cadde. La spada si conficcò nel terreno con la punta rivolta all'insù e Demofonte ne fu trafitto mentre precipitava.
Dalle Heroides di Ovidio riportiamo un brano della lettera che il poeta latino immagina abbia scritto Fillide e Demofonte:
...Ho deciso di riscattare il mio pudore giovanile, con una morte opportuna.
Indugerò ben poco nella scelta della morte.
Tu sarai indicato sulla mia tomba come l'odioso responsabile e sarai ricordato per questo
epitaffio o per uno simile: "Demofoonte causò la morte di Fillide, lui, suo ospite, fece morire lei
che lo amava; egli fornì la causa della morte, lei la mano."

Filira

Filira (o Fillira) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Oceano e Teti.

La fanciulla subì l'amore di Crono che la possedette, sotto le sembianze di un cavallo, mentre stava sfuggendo alla furia della moglie Rea: l'amplesso generò il centauro Chirone. Filira, quando vide il mostro che aveva dato alla luce, chiese agli dei di essere tramutata in tiglio.

Filolao
(mitologia)

Filolao era uno dei quattro figli di Minosse e della ninfa Paria.

Attaccò Eracle ed i suoi accoliti quando questi, durante la spedizione contro le Amazzoni, passarono per l'isola di Paro.

Filomela

Filomela è una figura della mitologia greca, figlia di Pandione, re di Atene.

Venne violentata da Tereo re della Tracia che, nonostante avesse sposato la sorella Procne, era innamorato non corrisposto di lei.

Per impedirle di riferire le violenze le tagliò la lingua, ma Filomela riuscì ad informare la sorella ricamando un messaggio per lei su una tela che le fece pervenire. Non appena saputo il fatto, Procne uccise il figlio Iti avuto con Tereo e glielo diede in pasto di nascosto.

Non appena Tereo capì quanto avvenuto si diede alla ricerca delle due sorelle che nel frattempo s'erano rifugiate a Dauli. Le due invocarono l'aiuto dagli dei, e furono trasformare in due uccelli: Procne in una rondine, Filomela in un usignolo. Anche Tereo fu trasformato in uccello, un'upupa.

Filonome

Secondo la mitologia greca, Filonome, figlia di Tragaso, fu la seconda moglie di Cicno, re di Colono. Dopo il matrimonio Filonome si innamorò del suo bellissimo figliastro Tenes, che respinse però le sue profferte amorose. A questo punto Filonome per ripicca accusò Tenes di fronte al marito di averla stuprata. Cicno però scoprì la verità e la fece seppellire viva.

Filottete

Filottete è una figura della mitologia greca, figlio di Peante e Demonassa (o Metone).

Famoso arciere originario della penisola di Magnesia, possedeva le frecce e l'arco di Eracle, donate a lui (o al padre) dall'eroe che voleva ringraziare in tal modo per aver appiccato il fuoco al rogo dell'Eta. Eracle gli chiese in cambio di tenere segreto il luogo della morte e Filottete giurò di mantenere il segreto. Più tardi tuttavia, pressato da domande, Filottete andò sull'Eta e battendo col piede la terra nel punto in cui era stato eretto il rogo d'Eracle lo rivelò senza parlare. Il giuramento fu così violato. Guidava un contingente di sette navi con cinquanta arcieri.

Filottete tuttavia non giunse a Troia con gli altri capi: durante lo scalo a Tenedo, fu morso al piede da un serpente nel corso di un sacrificio (la tradizione vuole per punizione del giuramento violato). Altri sostengono invece che fu ferito sempre al piede da una delle letali frecce di Eracle (imbevute del sangue dell'Idra). La ferita diventò ben presto così infetta da emanare un puzzo insopportabile, e Ulisse non fece alcuna fatica a convincere gli altri capi ad abbandonare il ferito a Lemno, allorché la flotta passò vicina a questa isola.

Filottete rimase per dieci anni su quell'isola allora deserta, e vi sopravvisse uccidendo uccelli con le frecce d'Eracle. Frattanto davanti a Troia i Greci catturarono l'indovino Eleno, e seppero da quest'ultimo che la città non sarebbe mai caduta se Neottolemo ed il possessore dell'arco e delle frecce di Eracle (cioè Filottete) non fossero venuti a combattere in mezzo a loro.

Ulisse partì dunque in ambasciata verso Lemno, accompagnato da Neottolemo e Diomede e convinse Filottete ad unirsi a loro promettendogli la cura dei figli d'Asclepio, i medici delle schiere greche. Si racconta infatti che una volta giunto a Troia Filottete fu curato da Macaone. Di questa cura si raccontava che Apollo avesse fatto cadere Filottete in un sonno assai profondo, mentre Macaone sondato la ferita e tolto via col coltello le carni morte, poi lavato la piaga con vino prima di applicarvi una pianta, la segreta medicina che Asclepio aveva ricevuto dal centauro Chirone. Così Filottete è il primo esempio di un'operazione chirurgica sotto anestesia.

Si attribuiscono all'arciere molti meriti in guerra; le sue stragi furono considerevoli e le sue vittime davvero eccellenti.
Igino riferisce che l'eroe uccise tre avversari. In realtà egli uccise Admeto, come ci tramanda Pausania, e poi altri guerrieri troiani, Deioneo, Peiraso e Medone, figlio di Antenore. Secondo alcuni autori, sarebbe stato lui ad uccidere con le sue frecce Acamante, figlio di Antenore, fino a segnare le sorti della guerra, uccidendo Paride.

Alla fine della guerra tornò in patria o, secondo leggende posteriori, scacciato dalla patria, in seguito ad un'insurrezione, e venuto in Italia, nel Bruzzio (regione di Crotone), vi fondò Krimisa, Petelia e Macalla.

Fineo 1

Re veggente di Salmidesso, nella Tracia. Secondo una leggenda, egli venne condannato, per avere svelato i progetti degli dèi, alla cecità e alla persecuzione delle Arpie che a ogni pasto gli strappavano il cibo e insozzavano la tavola con i loro escrementi.
Quando gli Argonauti approdarono a Salmidesso, Giasone chiese a Fineo come avrebbe potuto impossessarsi del Vello d'Oro. Il re accettò di informarlo, ma desiderò essere prima liberato dalle Arpie. I servi di Fineo frattanto preparavano un banchetto per gli Argonauti e subito le Arpie piombarono sulle tavole. Calaide e Zete, gli alati figli di Borea, si levarono con la spada in mano e inseguirono le Arpie nell'aria facendole fuggire lontano, al di là del mare. Alcuni dicono che essi raggiunsero le Arpie alle isole Strofadi, ma risparmiarono le loro vite quando i mostri implorarono pietà; infatti Iride, messaggera di Era, intervenne e promise che le Arpie sarebbero ritornate alla loro caverna del Ditte in Creta e mai più avrebbero molestato Fineo. Questi spiegò a Giasone come navigare sul Bosforo, e gli predisse esattamente quali venti, quale ospitalità e quale sorte avrebbero atteso lungo la rotta per la Colchide. Infine aggiunse di raccomandarsi ad Afrodite una volta giunto in Colchide.
Un'altra leggenda, indipendente dalla precedente, ma con tratti analoghi, narra che Fineo aveva sposato dapprima Cleopatra, sorella di Calaide e di Zete, dalla quale ebbe due figli, che la tradizione chiama Plessippo e Pandione. Poi aveva ripudiato Cleopatra e sposato Idea, figlia di Dardano. Idea era gelosa dei due figli di Cleopatra e li accusò di aver tentato di violentarla. Fineo, sulla sua parola, li accecò. Oppure fu la stessa Idea a cavar loro gli occhi e a farli rinchiudere in una orribile prigione. Calaide e Zete tuttavia, scoperto l'inganno, liberarono i loro nipoti dal carcere dove erano stati gettati dalle guardie scite, e si vendicarono di Fineo accecandolo.
Alcuni dicono che Fineo fu accecato dagli dèi dopo la visita degli Argonauti, perché diede loro profetici consigli.

Fineo 2

Zio e promesso sposo di Andromeda, pietrificato dalla vista della testa di Medusa mostratagli da Perseo.
Cassiopea madre di Andromeda si era un giorno vantata dicendo che la sua bellezza e la bellezza di sua figlia superavano quella delle Nereidi, e le Nereidi si lamentarono di quell'insulto e chiesero a Poseidone di vendicare il loro amor proprio. Il dio scatenò contro la Filistea la furia delle acque e di un mostro marino. Per placare la collera divina, Andromeda dovette essere destinata come vittima espiatoria e consegnata al mostro. La giovane fu incatenata nuda a uno scoglio presso il mare e Perseo, di ritorno dalla sua spedizione contro Gorgone, la vide, se ne innamorò e promise a Cefeo di liberare sua figlia se avesse acconsentito a dargliela in moglie. Cefeo acconsentì. Perseo uccise il mostro e sposò Andromeda. Ma la festa nuziale fu interrotta bruscamente allorché Fineo, un fratello di Cefeo, che era stato fidanzato alla giovane, sua nipote, fece irruzione nella sala alla testa di un gruppo di armati, reclamando Andromeda come sua sposa. Nella battaglia che seguì Perseo abbattè molti dei suoi avversari, ma fu costretto a strappare la testa della Gorgone dalla sacca e a tramutare in pietra i guerrieri che ancora erano rimasti in vita.

Flegias

Flegias nella mitologia greca era figlio di Ares e di Crise (prima moglie di Dardano), fu re dei Lapiti.

Ebbe un figlio, Issione, e una figlia, Coronide; quest'ultima fu sedotta e messa incinta da Apollo. Per vendicare la morte della figlia Flegias tentò di incendiare il tempio di Apollo a Delfi (uno dei santuari più importanti della Grecia). Non venne però perdonato per questo affronto, tanto che il Dio, dopo averlo crivellato di frecce, lo scaraventò nel Tartaro e per condanna dovette stare per l’eternità con un grosso masso sempre sul punto di cadergli addosso schiacciandolo. La sua storia è narrata nell'Eneide e nella Thebais di Stazio.

Il nome comune phlegyas indica un tipico avvoltoio dal piumaggio rosso e richiama il termine greco "phlego" e il "flagro" latino, tradotti entrambi come "incendio, ardo", questo significato etimologico e la storia stessa di questo personaggio, emblema di un'ira fulminea e deflagrante, lo renderanno il perfetto traghettatore dello Stige nella Divina Commedia.

Flegias in Dante

Nell'VIII canto dell'Inferno Dante e Virgilio si trovano davanti alle paludi dello Stige, dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi. Qui ricevono aiuto nel traghettare la palude da Flegias, le cui sembianze non vengono descritte e anche il cui vero ruolo è taciuto.

Se sembra improbabile che sia un traghettatore per i peccatori di passaggio ai cerchi inferiori, essendo le anime spedite direttamente dopo il giudizio di Minosse, forse potrebbe essere colui che prende gli iracondi e li getta al centro della palude. In ogni caso Dante si preoccupa solo di citare la sua sovreccitazione, data dalle sue grida sia all'arrivo che alla discesa dei due poeti sulla sua veloce barca.

Flogio

Nella mitologia greca, Flogio di Tricca era il nome di uno dei compagni di avventura di Eracle.

Flogio figlio di Deimaco, dopo aver aiutato Eracle nella sua lotta contro le amazzoni decide di separarsi da lui come i suoi fratelli Deileonte e Autolico, arrivò nel mar nero presso la città di Sinope Giasone, eroe greco, a capo della spedizione degli argonauti cambiò rotta della sua nave proprio verso l’isola dove risiedeva Flogio e i suoi fratelli per poi arruolarli. Con lui partì alla conquista del vello d'oro.

Foco

Foco era figlio della nereide Psamate e di Eaco, re di Egina. Estese i territori della Focide, che però prende il nome da un altro Foco, figlio di Ornizione e discendente di Sisifo.

Fu ucciso dai fratellastri Peleo e Telamone durante una gara di lancio del disco.

Prima di Foco, Eaco aveva infatti avuto da Endeide altri due figli, Telamone e Peleo, che vivevano anch'essi a Egina. Il re aveva una predilezione per Foco, a causa della sua bellezza quasi divina. Inoltre, il giovane eccelleva nelle gare atletiche, provocando con ciò l'invidia di Telamone. Avvedutosi della cosa, Foco lasciò Egina con un gruppo di cittadini e si diresse in Focide, che allora constava solo delle regioni circostanti il Parnasso e Titorea, proseguendone la colonizzazione. I suoi figli ne avrebbero poi esteso ulteriormente i confini. In seguito, Eaco fece ritornare Foco ad Egina. Endeide, temendo che il re volesse sceglierlo come proprio erede al trono, convinse i propri figli ad ucciderlo. Costoro sfidarono quindi Foco a una gara di pentathlon, e il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone. I due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi da Egina. Peleo e Telamone dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.

I mitografi offrono versioni leggermente divergenti del racconto, in particolare riguardo alle ragioni della morte di Foco.

Per alcuni fu ucciso per iniziativa di Telamone, e Peleo si limitò ad aiutare il fratello a nascondere il corpo. Stando a Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccide Foco viene lanciato da Peleo, ma per il primo il colpo è accidentale, per il secondo intenzionale. Per altri ancora Peleo finì il giovane con un'ascia. Igino attribuisce semplicemente la responsabilità della morte a entrambi i fratelli.

Pausania annovera fra i figli di Foco Panopeo e Criso.

Foco (figlio di Ornizione)

Foco fondò la Focide e sposò Antiope. Suo padre era Ornizione, figlio di Sisifo. Non va confuso con un altro Foco presente nella mitologia greca, che era invece figlio di Eaco e della nereide Psamate.

Foco fu il primo colonizzatore della Daulide, una regione della Grecia che prese allora il nome di Focide, dal fondatore del nuovo stato. All'epoca, tuttavia, la Focide comprendeva solo le terre intorno a Titorea e Delfi, e fu poi il figlio di Eaco ad estenderne i confini. Pare che in Daulide fosse molto diffuso il culto degli uccelli ("Ornizione" significherebbe infatti «uccello della luna»). Foco incontrò Antiope nel periodo in cui era stata resa folle da Dioniso. La guarì dalla follia e in seguito la sposò. Fra gli epiteti di Foco vi era anche quello di “figlio di Poseidone”.

Folo

Centauro mite e sapiente, figlio di Sileno e di una Ninfa dei boschi; ricevette ospitalmente a Foloe Eracle che andava alla caccia del cinghiale di Erimanto. Offrì all'eroe carni arrostite, mentre lui mangiò soltanto carne cruda e non osò aprire la giara di vino che apparteneva a tutti i Centauri, finché Eracle non gli ricordò che, quattro generazioni prima, Dioniso aveva lasciato la giara nella grotta appunto perché fosse aperta in quella occasione. Il forte profumo del vino fece perdere la ragione ai Centauri. Armati di grossi massi, abeti sradicati, torce e trincetti, si precipitarono verso la grotta di Folo. Mentre Folo, terrorizzato, cercava scampo, Eracle audacemente respinse Ancio e Angrio, i primi assalitori, con un lancio di carboni infuocati. Nefele, la tempestosa nonna dei Centauri, fece allora cadere dal cielo una violenta pioggia che allentò la corda dell'arco di Eracle e rese scivoloso il terreno. Tuttavia l'eroe si dimostrò all'altezza delle sue imprese precedenti, uccise parecchi Centauri, tra i quali Oreo e Ileo. Gli altri raggiunsero Malea dove si rifugiarono presso Chirone, loro re, che era stato scacciato dal monte Pelio dai Lapiti.
Folo frattanto mentre dava sepoltura ai suoi morti compagni, estrasse da un cadavere una delle frecce di Eracle e si chiese come un oggetto così piccolo potesse provocare la morte. Ma ecco che la freccia gli sfuggì dalle mani e, forandogli un piede, lo uccise all'istante. Eracle allora desistette dall'inseguire il cinghiale e ritornò a Foloe, dove seppellì Folo con straordinari onori ai piedi del monte che prese il suo nome.
Il mito ci è tramandato da Teocrito e da Epicarmo.

Forbante (Tessalo)

Forbànte, figlio del re di Tessaglia: Triopa e di Orsinome. Liberò Rodi dai serpenti. Apollo, dopo la sua morte, lo collocò in cielo, nella costellazione detta del Serpentario.

Forbo


Nella mitologia greca, Forbo era il nome del padre di Pronoe

Si racconta della figlia che ebbe da Etolo due figli Pleurone e Calidone. Secondo altri miti con il nome di Forbo vi è anche uno dei figli di Priamo, morì nel sonno.

Forci (Iliade)

Nella mitologia greca, Forci (o Forcine) è il nome di un condottiero frigio che, insieme al fratello Ascanio, partecipò alla guerra di Troia come alleato del re Priamo. Nel conflitto trovò la morte nel tentativo di salvare il corpo di un guerriero alleato.

Nell'Iliade, Forci figura insieme ad Ascanio a capo delle forze giunte a Troia dalla Frigia; il loro legame parentale non è esplicitato da Omero ma è riferito da Pseudo-Apollodoro, il quale sembra desumerlo da fonti a noi ignote (Pseudo-Apollodoro, Epitome, 3, 34.). Il padre di Forci è chiamato Fenope da Omero, mentre prende il nome di Aretaone nella Biblioteca di Apollodoro.

Il regno dei due fratelli non doveva raggiungere le vaste proporzioni della Frigia classica; la zona descritta da Omero è localizzata all'incirca nell'area del Lago Ascanio e lungo il corso settentrionale del fiume Sangario. Precisamente, Forci e Ascanio governavano l'Ascania, regione dell'Anatolia nord occidentale, forse nella Bitinia.

Nella guerra di Troia


Forci e le sue truppe raggiunsero Troia quando ormai volgeva al termine il nono anno del conflitto. Omero esalta l'atteggiamento bellicoso dei due fratelli, i quali fremevano di entrare in battaglia.

Foroneo

Nella mitologia greca, Foroneo è secondo vari miti il primo uomo nato sulla terra, figlio di Inaco, una divinità legata ai fiumi. Sua madre era invece una ninfa chiamata Melia.

Foroneo aveva due fratelli, Egialeo e Fegeo o secondo altri racconti Io. Fu scelto come arbitro quando due divinità quali il re dei mari Posidone e la moglie del padre degli dei Era. I due desideravano possedere il Peloponneso e alla fine la scelta ricadde sulla dea, di cui in seguito sviluppò il culto proprio nel Peloponneso, il famoso Heraion. Sulla terra insegnò molto agli esseri umani, come riunirsi nelle città, e ad usare il fuoco, che rubò agli dei. Sua moglie è nota con molti nomi fra cui Peito, Cerdo e Teledice. Fra i suoi innumerevoli figli, di cui con esattezza i nomi non si conoscono, sicuri sono Car, Api e Niobe.

Frasio

Frasio o Tasio, celebre indovino di Cipro, il quale essendo andato alla corte di Busiride, re d'Egitto, durante una carestia che colpiva il paese da otto o nove anni, predisse al re che la carestia sarebbe cessata se ogni anno uno straniero fosse stato sacrificato in onore di Zeus. Busiride avendogli chiesto di qual paese egli fosse, ed avendo inteso ch'era straniero, gli disse: "Sarai tu il primo, che darà dell'acqua all'Egitto". E lo fece uccidere. Poi sacrificò altri ospiti occasionali fino all'arrivo di Eracle, il quale lasciò che il sacerdote lo trascinasse presso l'altare. Gli cinsero il capo con una benda e Busiride, invocando gli dèi, si preparava ad alzare l'ascia sacrificale, quando Eracle spezzò le corde che lo legavano e massacrò Busiride, Afidamante, figlio di Busiride, e tutti i sacerdoti che assistevano al sacrificio.

Frisso

Frisso è una figura della mitologia greca, figlio di Atamante, re di Beozia, e di Nefele, ed è pronipote di Eolo. Ha come sorella Elle.

L'inganno di Ino


La dea Nefele aveva sposato Atamante al quale aveva dato due figli: Frisso ed Elle. Ma dopo qualche tempo il re la ripudiò per sposare Ino, una mortale. Ino odiava i figli di Atamante e cercò di liberarsene con l'inganno. Persuase le donne del paese a mettere nel forno i semi di grano conservati per la semina successiva, e naturalmente quando vennero seminati, non fiorirono, quindi il paese fu in preda alla carestia. Atamante inviò i suoi messaggeri all'oracolo di Delfi, per chiedere al dio cosa avrebbe dovuto fare. Ino pagò i messaggeri affinché, al loro ritorno, dicessero al re che l'oracolo aveva predetto il sacrificio di Frisso sull'altare di Zeus se voleva che la terra ridesse i suoi frutti. Il popolo si rivoltò e chiese di obbedire all'oracolo. Atamante dovette acconsentire e i due ragazzi furono condotti sull'altare sacrificale per adempiere l'ordine del finto oracolo.

Il sacrificio e la fuga


A questo punto, Frisso invocò l'aiuto di sua madre Nefele, dea delle nubi. Commossa dalle suppliche del giovane sfortunato, la divina Nefele ottenne da Era, moglie di Zeus, un ariete il cui vello, anziché di lana, era tutto d'oro, con l'aiuto del quale egli avrebbe potuto fuggire per sottrarsi alla minaccia. L'animale parlò a Frisso, gli infuse coraggio e convinse lui e la sorella a salirgli in groppa, e così i due giovani gli montarono sopra. I due si staccarono finalmente dalla terra e iniziarono lo straordinario viaggio sorvolando i mari e le terre. Ma un oscuro evento colse di sorpresa i due: non appena oltrepassarono la Penisola Tracia, Elle si addormentò e abbandonò la presa del vello precipitando in mare. Annegò nello stretto che fin da quel momento prese il nome di Ellesponto, cioè "il mare di Elle".

Frisso tentò invano di aiutarla, ma non poté fare nulla; da solo proseguì nel suo solitario volo e raggiunse una terra ignota; non sapeva ancora di essere sceso su una terra inospitale, la Colchide, dove lo avrebbero atteso altre prove. Qui regnava il re Eete, figlio di Elio e di Perse, e fratello della maga Circe. Questi l'accolse benevolmente e gli diede in sposa la figlia Calciope. In cambio, Frisso sacrificò l'ariete a Zeus ne offrì il vello al re, il quale lo consacrò ad Ares e lo inchiodò a una quercia in un bosco sacro al dio, mettendovi a guardia un drago che non dormiva mai.

La morte

Da Calciope, Frisso ebbe vari figli, in particolare: Argo, Mela, Frontide e Citissoro. Presso la corte di Eete il giovane passò tutta la sua vita e, da anziano, mentre egli vi rimaneva, i suoi figli ritornarono ad Orcomeno e qui ritrovarono il loro regno. Tuttavia, Eete venne a sapere da un oracolo che sarebbe morto per mano di un discendente di Eolo; preoccupato, uccise immediatamente Frisso, per allontanare da sé questa maledizione.

Frontide

Nella mitologia greca, Frontide era il nome di uno dei figli di Frisso e di Calciope

Frontide fu uno dei quattro fratelli che seguì Giasone durante il viaggio degli argonauti. Durante un viaggio si erano persi e la loro nave andò perduta proprio gli argonauti li salvarono e avendo in comune la stessa sete di vendetta e giustizia si allearono. Gli altri fratelli erano Citisoro (o Cilindro) Argeo e Mela.

Edited by demon quaid - 18/12/2014, 21:49
 
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