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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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view post Posted on 7/9/2010, 12:02     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Galantide

Galantide è la figlia del tebano Proteo ed è amica o ancella di Alcmena. Si ritrova Galantide nel mito della nascita di Alcide, che verrà in seguito chiamato Eracle. Alcmena, ormai giunta in prossimità del parto del figlio di Zeus, era ostacolata da Era, che aveva impedito alla figlia Ilizia e alle Moire di lasciar partorire Alcmena. Galantide inganna con astuzia Ilizia e Moire dicendo che il parto era già avvenuto nonostante il loro restare a gambe incrociate per impedire la nascita del bambino. Le quattro, stupite che il sortilegio non avesse funzionato, entrarono nella stanza di Alcmena, dove scoprirono che erano state truffate da Galantide. Era, irata dalla nascita del figlio di Zeus e dall'imbroglio di Galantide, tramutò quest'ultima in donnola condannandola a partorire i figli dalla bocca.

Galatea 1

Ninfa marina, figlia di Nereo e di Doride, personifica il mare tranquillo e rilucente.
Secondo una versione Galatea, protettrice delle greggi, fu amata dal pastore Polifemo, ed ebbe da lui, che essa pure amava, dei figli, Gala, Celto e Illirio, eponimi rispettivamente dei Galati, dei Celti e degli Illiri.
Secondo leggende posteriori, il ciclope Polifemo, pascolando le sue greggi, la vide e se ne invaghì, ma Galatea respinse le sue profferte perché amava il giovane e bellissimo pastore Aci, figlio di Pan e della ninfa Simaeti. Polifemo odiava Aci, e un giorno scorse Galatea che riposava, in riva al mare, sul petto dell'amante. Folle di gelosia uccise Aci con un masso, e Galatea per il dolore si trasformò in fonte.

Galatea 2

Lampro e sua moglie Galatea erano una coppia di sposi tranquilla ma povera. Quando la donna rimase incinta, il marito le dichiarò che avrebbe allevato il figlio solo se fosse stato maschio; se avesse partorito una figlia avrebbe dovuto esporla. Mentre Lampro era sulla montagna a custodire gli armenti, Galatea mise alla luce una bambina. La madre, non volendo abbandonare la neonata, la vestì in abiti maschili e la chiamò Leucippo.
Col trascorrere degli anni, Leucippo divenne sempre più bella e il trucco divenne impossibile da sostenere. Galatea fu assalita dalla paura e supplicò Latona di cambiare il sesso alla figlia. La dea l'esaudì, mutando la fanciulla in fanciullo.

Galatea 3

Pigmalione, figlio di Belo, si innamorò di Afrodite e, non potendo giacersi con lei, fece una statua d'avorio a somiglianza della dea e la pose nel suo letto, implorandone la pietà. Entrata nel simulacro, Afrodite gli diede vita e lo trasformò in Galatea, che generò a Pigmalione Pafo e Metarme. Pafo, successore di Pigmalione, fu il padre di Cinira, che fondò a Cipro la città di Pafo e vi costruì il famoso tempio di Afrodite.

Galinzia

Vergine figlia del tebano Prèto, amica di Alcmena.
La dea Era non scese dall'Olimpo per ritardare il parto ad Alcmena, ma affidò quel compito alle Moire e ad Ilizia, le divinità del parto. Queste stettero con le gambe e le mani incrociate sulla soglia della casa per nove giorni e per nove notti, impedendo la nascita con i loro incantesimi. Galinzia, avendo notato la sgradevole presenza, lasciò la camera del parto e lanciò un grido di gioia per annunciare, mentendo, che Alcmena aveva partorito un figlio. Frastornate da questa notizia, le dee balzarono in piedi abbandonando in tal modo la posizione che "legava" Alcmena. Questa diede immediatamente alla luce Eracle e Galinzia rise per la buona riuscita del suo inganno. Le dee ne provarono dispetto e la tramutarono in donnola perché, pur essendo mortale, aveva preso in giro gli dèi. Galinzia continuò a frequentare la casa di Alcmena, ma Era la punì per aver mentito: fu condannata per sempre a partorire dalla bocca.
Eracle divenuto adulto si ricordò di colei che gli aveva permesso di nascere e le innalzò un santuario presso il quale era solito offrire dei sacrifici. I Tebani quando tributano a Eracle onori divini, offrono sacrifici preliminari a Galinzia; dicono che essa fu la nutrice di Eracle.

Ganimede (mitologia)

Ganimede è una figura della mitologia greca, figlio di Troo.

Il tema mitico di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono Minosse, Tantalo o Eos, o Zeus, come si racconta in una versione posteriore della leggenda.
Nell'Iliade di Omero, Diomede racconta che Zeus, affascinato dalla bellezza del ragazzo, lo rapì, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro. Zeus per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da aquila; sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando un gregge sul monte Ida, lo portò sull'Olimpo, dove ne fece il suo amante. Per questo motivo nelle opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila, abbracciato ad essa, o in volo su di essa.
Nell'Olimpo Ganimede divenne il coppiere degli dei, sostituendo Ebe, e in varie opere d'arte è quindi raffigurato con la coppa in mano.

La leggenda di Ganimede fu menzionata per la prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica.

Di essa parla anche il poeta romano Publio Ovidio Nasone nella sua opera Metamorfosi, ma anche Virgilio nell'Eneide, all'interno del proemio.

Garamante

Nella mitologia greca Garamante detto anche Anfitemi è uno dei figli di Apollo e Acacallide e dunque nipote di Minosse, re di Creta.

Fratello di Nasso e Mileto, la madre partorì Garamante al tempo in cui era esiliata nella Libia, da lui che divenne pastore discesero poi le genti dei Garamanti. Apollonio Rodio precisò che all'epoca dell'esilio era già incinta.

Da una ninfa, Garamante ebbe il figlio Psillo, sovrano ed eponimo di una tribù della Cirenaica.

Gargaso

Nella mitologia greca, Gargaso è il nome di un guerriero troiano che combatté in difesa della sua città nel conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena da parte di Paride.

Non menzionato nell'Iliade, Gargaso è un personaggio noto solo ad Igino, se non un frutto della sua invenzione. Si distinse in guerra uccidendo due avversari, ma cadde sotto i colpi di Aiace d'Oileo.

Gea o Gaia

Dea primigenia della Terra emerse dal Caos e generò da sola Urano (il Cielo), le Montagne, e anche il Ponto (il Flutto), personificazione dell'elemento marino. Dalla sua unione con Urano i primi figli della dea con aspetto quasi umano furono gli Ecatonchiri (giganti dalle cento braccia): Briareo, Gige e Cotto. Poi apparvero i tre feroci Ciclopi monocoli, costruttori di mura e fabbri ferrai: Bronte, Sterope e Arge. Urano, dopo aver cacciato i Ciclopi, suoi figli ribelli, nel remoto Tartaro, generò dalla Madre Terra i sei Titani: Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e Crono, e le sei Titanidi: Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Teti.
Gea, addolorata per la sorte dei figli rinchiusi nel Tartaro, indusse i Titani ad assalire il padre loro; e così essi fecero, guidati da Crono, il più giovane dei sei che si era armato di un falcetto di selce. Colsero Urano nel sonno e Crono spietatamente lo castrò col falcetto, afferrandogli i genitali con la sinistra (che da quel giorno fu sempre la mano del malaugurio) e gettandoli poi assieme al falcetto in mare presso Capo Drepano. Gocce di sangue sgorgate dalla ferita caddero sulla Madre Terra, ed essa generò le tre Erinni, furie che puniscono i crimini di parricidio e di spergiuro; esse sono chiamate Aletto, Tisifone e Megera. Da quel sangue nacquero anche i Giganti e le Ninfe del frassino, chiamate Melie.
Dopo la mutilazione di Urano, Gea si unì all'altro dei figli che aveva avuto un tempo, Ponto ("il Flutto"), e generò con lui cinque divinità marine: Nereo, Taumante, Forcide, Ceto ed Euribia. I Titani in seguito liberarono i Ciclopi dal Tartaro e affidarono a Crono la sovranità sulla terra. Non appena ebbe il supremo potere, Crono si mostrò tiranno crudele quanto il padre. Anche lui esiliò nel Tartaro Ciclopi e Titani, unitamente ai Giganti dalle cento braccia, e presa in moglie sua sorella Rea governò sull'Elide. Ma era stato profetizzato sia da Gea, sia da Urano, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, egli divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Rea era furibonda e allorché fu incinta di Zeus andò a chiedere consiglio a Gea e Urano per sapere come poter salvare il bambino che stava per nascere. Gea e Urano le rivelarono allora il segreto dei Destini e le insegnarono a ingannare Crono. Quando Rea partorì Zeus, lo affidò alla Madre Terra che portò il bimbo a Litto, in Creta, e lo nascose nella grotta Dittea sulla collina Egea. Colà Zeus fu custodito dalla ninfa dei frassini Adrastea e da sua sorella Io, ambedue figlie di Melisseo, e dalla capra Amaltea. Al posto del figlio, Rea dette a Crono una pietra avvolta in pannolini che il dio divorò.
Quando Zeus giunse alla maturità preparò il suo attacco contro il padre Crono e alcuni Titani divennero suoi alleati. Gea (o forse Meti) diede a Crono un emetico che mescolato alle bevande gli fece vomitare dapprima la pietra, poi i fratelli e le sorelle maggiori di Zeus. Zeus liberò i Ciclopi e i Giganti Centimani dal Tartaro, li rianimò col cibo e le bevande degli dèi. I Ciclopi diedero a Zeus la folgore, arma invincibile; ad Ade un elmo che rende invisibile, e a Poseidone un tridente. I tre fratelli diedero allora inizio a una guerra che durò dieci anni. Infine Zeus uscì vittorioso, imprigionò Crono e tutti i Titani sconfitti nel Tartaro. Ma ciò offese Gea che considerava l'imprigionamento dei Titani un gesto eccessivo. Irata si accoppiò con Tartaro e generò il terrificante Tifone, e cercò di incitare i Giganti (non gli Ecatonchiri) guidati da Eurimedonte, Alcioneo e Porfirione a ribellarsi contro Zeus: la guerra che si svolse è nota con il nome di Gigantomachia.
Gea generò tanti altri esseri, spesso mostruosi: Echidna da un'unione con Tartaro, Erittonio dal seme di Efesto, il serpente Pitone ucciso da Apollo, il drago che custodiva il Vello d'oro nel paese di Eete e, secondo alcuni, Trittolemo avuto da Oceano. Creò lo scorpione che attaccò il gigantesco Orione quando cercava di distruggere tutte le bestie selvagge della terra e lo uccise.
Nella vecchia concezione, Gea esplicava attività profetica, tante storie lo testimoniano. Basta ricordare che l'oracolo delfico appartenne dapprima alla Madre Terra, che nominò Dafni sua profetessa. Taluni dicono che Gea più tardi cedette i suoi diritti alla Titanessa Febe o Temi, e che costei li cedette ad Apollo. Ma altri sostengono che Apollo si impadronì con la forza dell'oracolo della Madre Terra dopo aver ucciso Pitone; ma dovette ricompensare Gea per quell'assassinio fondando i Giochi Pitici e facendo in modo che fosse sempre una sacerdotessa, la Pizia appunto, a servire il suo oracolo. A Olimpia aveva sede un celebre oracolo di Gea.
Fu adorata dai Greci sotto nomi diversi, soprattutto come Gea O Gaia e come Madre Terra; in questa forma il suo culto ebbe generale sviluppo. Le era sacrificato un agnello nero, come si vede nell'Iliade, nella quale Gaia insieme con Zeus, con Elio e con Ade era invocata nei giuramenti: ciò è anche una prova dell'alta antichità della dea.


Gelanore


Gelanore è il figlio di Stenelo, re di Argo.

Quando vi giunse Danao con le sue cinquanta figlie il popolo fu indeciso su chi dovesse regnare ma, poiché durante la discussione un lupo assaltò l'armento di tori del re, il regno venne affidato a Danao, interpretando l'evento come un segno divino.

Gerione

Il nome Gerione si applica a diverse figure immaginarie:

Gerione è una figura della mitologia greca, figlio di Crisaore e di Calliroe. Era un fortissimo gigante con tre teste, tre busti e due sole braccia, proprietario d'un regno esteso fino ai confini della mitica Tartesso. Possedeva dei bellissimi buoi e Euristeo ordinò a Eracle di catturarlo. Eracle partì e vide la barca dorata di Helios e se la fece dare in prestito. Arrivò nell'isola di Gerione e uccidendo il mostro si prese i buoi. Era arrabbiata mandò uno sciame di mosche a uccidere i buoi ma Eracle affrontò pure loro e vinse.

Divina Commedia


Nella Divina Commedia Dante introduce Gerione come mostro demoniaco dal volto di uomo, zampe di leone, corpo di serpente e coda di scorpione, che lo conduce in Malebolge.

In araldica, il gerione (nome comune) è una figura immaginaria rappresentata da una testa con tre volti umani, uno di fronte, gli altri due di profilo sui lati destro e sinistro del primo. Lo si trova blasonato, talvolta, come testa di gerione, espressione errata, in quanto il gerione è di per sé una testa.

Archeologia

Nelle prossimità di Casacalenda è collocata Gerione. Fondata circa nel 500 a.c., ne parlano geografi antichi perché attraversata dal raccordo trasversale fra la via Latina e la Traiana-Frentana. Inoltre annalisti e storici, sia greci che romani, (Polibio, Livio…) raccontano che qui Annibale si acquartierò nell'inverno del 217 A. C. ed ebbe un duro scontro con l'esercito romano guidato da Minucio Rufo. Rimasero sul campo 5000 romani e 6000 cartaginesi. Da Livio apprendiamo che Annibale, occupata e incendiata la città, ne aveva lasciato poche case per adibirle a granai. E Gerione rispondeva alla strategia del momento, infatti Annibale era informato sulle provviste di grano lì contenute e custodite in grandi fosse scavate in zone asciutte. Certamente Gerione, dopo questo tragico episodio, venne ricostruita. Il terremoto del 1456 la devastò e disperse gli abitanti superstiti nei vicini Castelli di Montorio nei Frentani, Casacalenda, Provvidenti, Morrone del Sannio e Ripabottoni. Il Masciotta scrive che nel 1523 il territorio, ormai desolato, per diverse compravendite, arrivò alla famiglia Di Sangro. Con l'eversione della feudalità (1806), l'ex feudo Di Sangro fu smembrato e destinato ai diversi Comuni confinanti. È auspicabile che le tante attese storiche, le mille leggende popolari fiorite intorno a questo sito trovino finalmente risposte certe da studiosi contemporanei e da seri scavi archeologici.

Giacintidi

Nell'antica Atene era l'offerta di fanciulle in sacrificio agli déi per liberare la città dalla peste, dalla carestia (durante la guerra contro Minosse) e per salvare Atene dall'attacco di Eleusi.
Al riguardo esistono due tradizioni. Secondo la prima, durante la guerra condotta da Minosse contro l'Attica, una peste e una carestia sconvolsero il paese. Conformemente a un antico oracolo, gli Ateniesi sacrificarono le figlie del lacedemone Giacinto, che si era stabilito ad Atene, ed erano quattro: Anteide, Egleide, Litea e Ortea. Ma il loro sacrificio non produsse alcun risultato e gli Ateniesi consultarono di nuovo l'oracolo delfico, e fu loro detto che dovevano dare a Minosse la soddisfazione che egli avesse chiesta; e Minosse volle che ogni anno (altri dicono ogni tre anni, oppure ogni nove anni) gli fosse pagato un tributo di sette giovani e sette ragazze, che dovevano giungere a Creta per essere dati in pasto al figlio mostruoso di Pasifae, il Minotauro. Teseo libererà l'Attica da questo tributo.
La seconda versione identificava le Giacintidi con le figlie di Eretteo, offerte come vittime espiatorie nella guerra tra Atene ed Eleusi. Allorché l'esercito degli Eleusini, guidato da Eumolpo, figlio di Poseidone, si avvicinava ad Atene, un oracolo consigliò a Eretteo di sacrificare la figlia più giovane, Ozionia, se voleva sperare nella vittoria. Ozionia si lasciò guidare all'altare del sacrificio dove le sue sorelle Protogenia e Pandora si uccisero, avendo un tempo fatto voto che se una di loro fosse morta di morte violenta, le altre sarebbero morte accanto a lei. Vennero chiamate Giacintidi poiché il sacrificio si era svolto su una collina chiamata Giacinto.
In ricordo del sacrificio delle tre figlie di Eretteo, ancor oggi si offrono loro libagioni senza vino.

Giacinto (mitologia)

Giacinto, figlio di Amicla e Diomeda o, secondo altri, di Pierio e di Clio fu amato da Zefiro e da Apollo. L'amore di Apollo era tanto grande che pur di stare insieme a Giacinto tralasciava tutte le sue principali attività, accompagnando l'inseparabile amante ovunque egli si recasse. Un giorno i due iniziarono una gara di lancio del disco. Apollo lanciò per primo il disco, che deviato dal geloso Zefiro, colpì alla tempia Giacinto, ferendolo a morte. Apollo cercò di salvare il giovane adoperando ogni arte medica, ma non poté nulla contro il destino. Decise, a quel punto, di trasformare l'amato in un fiore dall'intenso colore rosso porpora, il colore del sangue che Giacinto aveva versato.
Apollo, prima di tornarsene in Cielo, chinato sul fiore appena creato scrisse di proprio pugno sui petali le sillabe "AI", "AI", come imperituro monumento del cordoglio provato per tanta sventura, che lo aveva privato dell'amore e dell'amicizia del giovane. Tale espressione di dolore, tuttora, si vuol ravvisare nei segni che sembrano incisi sulle foglie del Giacinto e che sono simili alle lettere A e I.
L'episodio è narrato nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio.

Giano

Dio romano raffigurato in arte con due volti (che guardano in direzioni opposte) o a volte con quattro. Compare raramente nel mito. Ovidio narra la storia della ninfa Carna, la quale ingannava i suoi spasimanti inducendoli a entrare in una caverna con la promessa di raggiungerli poco dopo e di giacere con loro: fuggiva invece rapidamente. Quando tentò questo trucco con Giano, fu scoperta perché la vide con l'altro volto; costretta a concedergli i suoi favori ebbe in cambio da lui il dono di allontanare tutti gli incubi della notte, potere che si trovò ad usare per salvare il figlio Proca, più tardi re di Alba Longa. Quando Tarpea tradì i Romani durante la guerra contro i Sabini, Giano fermò il nemico allagando il passaggio con un caldo getto solforoso. Secondo alcuni fu anche uno dei primi re del Lazio, il quale diede asilo a Saturno (Crono) quando Zeus lo scacciò da Creta. Aveva una moglie, Camise, e un figlio, Tiberino, il quale annegato in un fiume, gli diede il suo nome.

Giapeto

Figlio di Urano e di Gea, era uno dei Titani, e da Climene, una delle figlie d'Oceano e di Teti, generò quattro figli: Prometeo, Epimeteo, Atlante e Menezio. È figura di scarso rilievo nella mitologia greca, nella quale è anche fatto sposo di Asia, un'altra delle figlie d'Oceano, o di Asopide, figlia di Asopo, oppure di Libia. In punizione per aver preso parte alla rivolta contro Zeus, Giapeto fu gettato nel Tartaro insieme agli altri Titani.

Giasone (mitologia)

Giàsone è una figura della mitologia greca conosciuto anche nella mitologia etrusca con il nome di Easun. Giasone era figlio di Esone re di Iolco in Tessaglia. Altre fonti lo indicano figlio di Zeus e di Elettra, una Pleiade figlia di Atlante e di Pleione.

La vita

La vita di Giasone è legata alla favolosa impresa degli Argonauti ed alla ricerca del vello d'oro. Quando nacque Giasone, al padre Esone era stato tolto il trono di Iolco dallo zio Pelia. Ancora fanciullo Giasone venne affidato al centauro Chirone che lo istruì nell'uso delle armi, nelle arti e soprattutto nel comando.

Divenuto adulto pensò di riconquistare il regno usurpato al padre. Ma per ottenere ciò gli venne imposto dallo zio Pelia di riconquistare il vello d'oro dell'ariete che aveva salvato i fratelli Frisso e Elle e che era tenuto dal re della Colchide, Eete.

Con la nave Argo ed i più valorosi eroi del tempo inizia questa impresa che lo porterà nella Colchide. Qui riconquista il vello d'oro con l'aiuto della figlia di Eeta Medea. Giasone quindi sposa Medea e ritorna a Iolco. Pelia gli rifiuta il trono e Medea, con uno dei suoi artifizi magici, produce la morte di Pelia. Proscritti dalla città di Iolco i due giungono a Corinto dove vengono accolti dal re Creonte. Giasone si innamora della figlia di questo, Glauce, e dopo qualche anno abbandona Medea per sposarla. Allora Medea si vendica sui due figli nati da Giasone, Tessalo e Alcimene, uccidendoli. Giasone, invece, si sarebbe suicidato. Un'altra versione vuole che, invecchiato, morì trafitto da una trave della nave Argo.

La leggenda di Giasone è stata raccontata da vari autori greci: Euripide nella sua Medea; Apollonio Rodio nelle Argonautiche e Pindaro nelle Pitiche.

Giganti

Figli di Gea, fecondata dal sangue di Urano che era stato evirato da Crono, spesso confusi o identificati coi Titani. Esseri di straordinaria statura, di forza sovrumana e d'aspetto terrificante. Hanno folta capigliatura, barba irsuta e le loro gambe sono corpi di serpenti.
Quando Zeus offese Gea imprigionando i Titani nel Tartaro, ella convinse i suoi figli, i Giganti, a muovere guerra agli dèi, la celebre Gigantomachia. Guidati da Eurimedonte, Alcioneo e Porfirione, i migliori campioni, i Giganti diedero l'assalto al Cielo. All'improvviso, essi agguantarono massi e tizzoni ardenti e li scagliarono verso l'alto, dalle vette delle loro montagne, cosicché gli olimpi si trovarono a mal partito. Era, con aria cupa, profetizzò che i Giganti non sarebbero mai stati uccisi da un dio, ma soltanto da un mortale che vestiva pelle di leone, e che anche costui non sarebbe riuscito nell'intento se non avesse trovato, prima dei Giganti stessi, una certa erba che rendeva invulnerabili e cresceva in un luogo segreto sulla terra. Zeus non si lasciò cogliere di sorpresa, subito si consigliò con Atena e la mandò a informare Eracle (il mortale vestito di pelle di leone cui Era voleva chiaramente alludere) di come stavano le cose; poi, proibì a Eos, a Selene e ad Elio di brillare per qualche tempo. Alla debole luce delle stelle, vagò in una regione indicatagli da Atena, trovò l'erba magica e la portò in cielo.
Gli olimpi poterono allora affrontare in battaglia i Giganti. Eracle scoccò la sua prima freccia contro Alcioneo, il capo dei nemici. Egli cadde al suolo e subito si rialzò, redivivo, poiché era immortale nella sua terra natale di Flegra. Eracle si caricò Alcioneo sulle spalle e lo portò oltre il confine della Tracia, eliminandolo poi a colpi di clava. Porfirione si precipitò su Era e cercò di strangolarla; ma ferito al fegato da una freccia di Eros, la sua furia omicida si trasformò in brama di lussuria e lacerò la veste di Era. Zeus, vedendo che il gigante stava per oltraggiare sua moglie, divenne pazzo di gelosia e abbattè Porfirione con una folgore. Porfirione si rialzò subito, ma Eracle lo ferì mortalmente con una freccia avvelenata. Frattanto, Efialte aveva impegnato Ares in battaglia e l'aveva costretto a piegare le ginocchia; ma Apollo scoccò una freccia nell'occhio sinistro del malvagio e chiamò Eracle, che subito gli scoccò un'altra freccia nell'occhio destro. E così morì Efialte. Mimante fu seppellito da Efesto sotto una calotta di metallo incandescente e ancora giace sotto il vulcano Vesuvio. Atena scorticò Pallante e si servì della sua pelle come d'una corazza durante il resto del combattimento.
Demetra e la dea Estia, amanti della pace, non presero parte alla battaglia. Le Moire, invece, scagliavano pestelli di rame cogliendo spesso nel segno. Scoraggiati, i Giganti superstiti si rifugiarono sulla terra e gli olimpi li inseguirono. Atena scagliò un gran masso contro Encelado che, colpito in pieno, si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Poseidone tagliò via un pezzo dell'isola di Cos con il suo tridente e lo scagliò verso Polibote: e quel pezzo di carne divenne l'isoletta di Nisiro, presso la quale egli giace sepolto.
Gli altri Giganti tentarono di organizzare l'ultima resistenza a Bato, presso Trapezunte in Arcadia, dove il suolo ancora brucia e ossa di Giganti vengono spesso alla luce tra le zolle smosse dagli aratri. Ermete, preso in prestito l'elmo di Ade che dava l'invisibilità, abbattè Ippolito, e Artemide trapassò Grazione con una freccia. Dioniso colpì con il suo tirso Eurito, ed Efesto uccise Clizio colpendolo con una mazza di ferro arroventata; mentre i proiettili infuocati delle Moire bruciavano le teste di Agrio e di Toante. Ares con una lancia e Zeus con la sua folgore si sbarazzarono degli altri, benché toccasse a Eracle di dare il colpo di grazia a ogni Gigante caduto.
Il luogo di questa lotta è situato generalmente nella penisola di Pallene, in Tracia; ma altri dicono che la battaglia si svolse nei campi Flegrei, presso Cuma, in Italia.

Giocasta (mitologia)

Nella mitologia greca, Giocasta era la figlia di Meneceo e la madre di Edipo. Omero si riferisce a lei con il nome di Epigaste.

Giocasta sposò Laio, re di Tebe. L'Oracolo di Delfi predisse che il figlio di Laio avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Per impedire che la profezia si avverasse, Giocasta abbandonò il proprio figlio su una montagna, con i piedi legati, e annunciò la sua morte. Il bambino fu salvato e condotto alla corte del re di Corinto, dove gli fu dato il nome di Edipo. L'Oracolo di Delfi fece anche a lui una profezia, predicendo che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre.

Edipo, che non conosceva suo padre, lo uccise senza riconoscerlo, ed entrò a Tebe in trionfo dopo aver sconfitto la Sfinge. Giocasta, riconoscente nei confronti dello sconosciuto eroe, lo sposò; in tal modo i due portarono inconsapevolmente a compimento la profezia. Edipo e Giocasta ebbero quattro figli.

Quando Edipo raccontò a Giocasta del suo passato, e della profezia che gli era stata fatta, Giocasta comprese la verità e si impiccò.

Giorno (mitologia)

Giorno è una figura mitologica presente in varie culture.

Giorno nella mitologia greca, figlio di Erebo e della Notte.

Viene descritto da Esiodo nella Teogonia come la rappresentazione del giorno, fratello di Erebo.

Igino Astronomo racconta invece che fosse figlio della dea Caligine e Caos.

Giove

Divinità romana corrispondente al greco Zeus. Giove aveva a Roma il primo posto fra gli dèi, come Zeus fra i Greci; ma il Giove romano è in una posizione più elevata, come il dio principale del popolo romano e in tutto l'ambito dello Stato, in tutte le città come Juppiter Optimus Maximus ("Giove Ottimo Massimo").
Le attribuzioni di Giove corrispondono in buona parte a quelle dello Zeus greco, anche se non sempre derivano da queste. Egli era anzitutto il dio dei fenomeni celesti, della pioggia, del fulmine, della tempesta. Come dio celeste e apportatore di luce, Juppiter Lucetius ("Giove Lucezio"), che i Salii invocavano nei loro canti, gli erano sacre le idi di ciascun mese, cioè i giorni di luna piena. Grande era la venerazione verso il dio del cielo che dava il buono e il cattivo tempo. A Giove divinità celeste erano riferiti i presagi che si ricavavano dal volo degli uccelli o dai segni apparsi in cielo, ed era venerato per tutta Italia sui colli e sui monti. Erano collegati con questo aspetto di Giove importanti poteri a lui attribuiti nell'agricoltura. Fu probabilmente dio degli alberi: sull'Esquilino (Oppio) un boschetto di faggi era consacrato da età remota a Juppiter Fagutal, e forse anche sul Celio, sul Viminale e sul Campidoglio. Era il dio che distribuiva liberalmente i beni prodotti dalla terra. Al momento della semina i contadini festeggiavano Juppiter Dapalis offrendogli un pasto; gli corrispondeva nella città Juppiter Epulus a cui si consacrava un pasto solenne. Gli erano dedicate del pari le principali feste della vendemmia e del vino: le feste Vinalia altera o rustica, il 19 agosto, giorno nel quale avvicinandosi la vendemmia il Flamen dialis, pio sacerdote particolare, rivolgeva a Giove supplicazioni e preghiere perché fosse abbondante; le feste Meditrinalia, l'11 ottobre, nel qual giorno si assaggiava il vino nuovo; a primavera dell'anno seguente le Vinalia priora, il 23 aprile, ancora in relazione con operazioni riguardanti il vino. Il dio dell'agricoltura proteggeva anche i confini dei campi, e Juppiter Terminus o Terminalis compare anche sulle monete coniate da Terenzio Varrone reatino e nelle epigrafi. L'altra manifestazione di Giove è quella del fulmine (Juppiter Fulgur, e più tardi Fulgurator e Fulminator). Juppiter Tonans fu introdotto da Augusto che gli dedicò un tempio.
Giove, nume tutelare della città e dell'Impero assicurava l'ordine all'interno e la vittoria all'esterno, le guerre e le vittorie erano regolate dal dio celeste che dava fermezza e costanza nel resistere e conduceva alla vittoria; talvolta il suo culto si accompagnava con quello di Marte e di Quirino. Inoltre era custode del giuramento e della fede, e quindi dell'ospitalità, della santità del matrimonio; nella confarreatio, la forma più solenne del matrimonio, il pontefice e il flamine offrivano a Giove una capra in sacrificio. Un sacrificio familiare gli era offerto quando un figlio entrava nell'età della pubertà. Similmente era protettore dei trattati internazionali (Juppiter Feretrius).
Il centro dello Stato romano e del culto di Giove era il Campidoglio. Qui al tempo dei Tarquini, con concorso degli aruspici, seguendo il rito etrusco fu collocata nel tempio a tre celle la triade capitolina: Giove, Giunone, Minerva. Giove era la divinità più importante, e a lui spettavano l'altare dei sacrifici, il tesoro, gli ex-voto. Il culto di Giove a Roma si mantenne vigoroso nelle forme fissate dal feriale e dall'antico rituale anche nel capitolium vetus del Quirinale, nelle antiche are a lui dedicate e nei nuovi templi eretti in suo onore dalla devozione di magistrati e di imperatori. Nel 295 a.C. il console Quinto Fabio Massimo votò un santuario a Juppiter Victor ("Giove Vittorioso"), in sostituzione forse di sacello più antico, forse eretto sul Palatino. Due templi furono dedicati a Juppiter Stator ("Giove Statore"), l'uno nel 294 a.C. da Attilio Regolo sulle pendici del Palatino presso la porta Mugonia, l'altro da Cecilio Metello Macedonico nel 146 a.C. presso il circo Flaminio. Un'ara a Giove sorgeva anche sul Quirinale; un'altra ara o un sacello si pensò che sorgesse pure sul Campidoglio.
Il culto di Giove si celebrava normalmente su luoghi elevati; sull'arce a Roma si trovava l'auguraculum; un sacerdote speciale era addetto a Giove, il Flamen dialis. Molti templi di Giove furono restaurati da Augusto, il quale credeva di essere stato salvato da morte in grazia di Juppiter Tonans ("Giove Tonante") nella guerra Cantabrica; a lui innalzò un tempio sulle pendici meridionali del Campidoglio (22 a.C.). Domiziano manifestò la sua riconoscenza a Giove per essere stato salvato, sfuggendo ai Vitelliani, nel tempio del Campidoglio; votò un tempio a Juppiter Custos ("Giove Custode") e nell'anno 86 d.C. istituì l'agone Capitolino in onore di Giove.
Fuori di Roma Giove ebbe molta importanza in tutte le città Osche, e così tra i Frentani; e Giove Libero era la maggiore divinità di Capua e forse di Pompei. Presso gli Umbri è testimoniato dalle Tavole Eugubine, dalle quali risulta che nel grande numero delle divinità locali Giove teneva il primo posto. In diverse località ebbe sotto nomi diversi culti che appaiono indipendenti dal culto romano. Così a Preneste era detto Arcanus, Maius a Tuscolo, Praestes a Tivoli, Indiges a Lavinio, Anxurus presso i Volsci. Come custode della confederazione delle città latine era venerato sotto il nome di Juppiter Latiaris ("Giove Laziale") con un tempio sul monte Albano. Le Feriae Latinae che si celebravano in Roma per quattro giorni, erano le più solenni.

Giunone

Antica divinità latina e romana, il cui culto è antichissimo e diffuso fra le genti di stirpe italica come i Sabini, gli Umbri, gli Osci e presso gli Etruschi.
Fatta compagna e sposa di Giove, potè facilmente essere considerata sotto l'aspetto di dea dell'atmosfera e della pioggia. Come tale le erano sacri la cornacchia, la capra, il cane. Nel Lazio assai presto era identificata con l'astro lunare, onde gli epiteti di Lucina o di Lucetia coi quali era invocata. Dalle antiche testimonianze risulta che l'antica Iuno-Lucina era considerata come inseparabile compagna di Giove. Mentre in Grecia Dione tendeva a scomparire cedendo il posto a Era, in Italia Giunone acquistò un campo di azione determinato, sia nell'ordine naturale, sia in quello sociale, prendendo il suo posto accanto a Giove, sebbene, sotto il rispetto religioso e in quello culturale, pur essendo la seconda divinità della Triade Capitolina, sia rimasta sempre inferiore a Giove.
Già in età assai remota, sotto l'influenza della mitologia greca, Giunone fu assimilata alla greca Era; e come i Greci avevano creato una genealogia degli dèi facendo di Era la sorella e la sposa di Zeus, figli di Crono e di Rea, così anche Giunone ebbe la sua genealogia e fu fatta figlia di Saturno e di Opi e sorella di Giove.
Identificata, come sposa del dio del cielo, con la dea del cielo notturno, la Luna, Giunone entrò per questa via in relazione col calendario e con la vita e la natura femminile. Per questa natura lunare di Giunone, la sua attività si estese a quei fatti che erano connessi con la luna, come il calendario che era regolato dalle fasi della luna, e fu sacro a Giunone il giorno delle Kalendae, primo giorno per tutti i mesi dell'anno. Come divinità delle calende Giunone ebbe l'epiteto di Kalendaris.
Quale sposa di Giove, Giunone madre e matrona per eccellenza aveva in sua cura tutte le manifestazioni proprie della fisiologia femminile e la propagazione della specie, stringeva i matrimoni, proteggeva la fecondità muliebre, la invocavano le donne nelle difficili contingenze del parto col nome di Giunone Lucina, epiteto interpretato come la dea che porta alla luce il bambino, o lo aiuta a uscire alla luce. Da queste molteplici funzioni deriva il notevole numero di epiteti di Giunone. Come tutrice del matrimonio e della castità muliebre le era dedicata la festa delle Matronalia, il giorno delle calende di marzo (il 1° marzo).
Nessuno dei santuari a lei dedicati in Roma raggiunse la celebrità di quello di Lanuvio, dove era venerata come Iuno Sispes (o Sospita) Mater Regina. Quando Lanuvio entrò a far parte dello Stato romano (338 a.C.), anche il culto di essa fu accolto fra i culti ufficiali di Roma. Con l'epiteto di Regina, Giunone assurse in Roma al grado di divinità politica quando fu parte, insieme con Minerva, a fianco di Juppiter Optimus Maximus, della Triade Capitolina che prese il posto dell'antica triade: Giove, Marte, Quirino.
Un aspetto particolare di Giunone in Roma quale divinità politica fu quello di Giunone Moneta, cioè "la dea che avverte" o "quella che fa ricordare" e che riceveva un culto sulla Cittadella, l'Arx (la sommità nord-est del Campidoglio). E proprio a Giunone Moneta si attribuisce la salvezza di Roma durante l'invasione dei Galli, nel 390 a.C. Furono le oche sacre a Giunone che cominciarono a stridere risvegliando così Manlio Capitolino che, alla testa dei difensori, respinse l'attacco dei Galli.

Giuturna

Ninfa romana delle fonti e delle sorgenti, amata da Giove che le concesse l'immortalità. Ovidio racconta come la ninfa si trasformava in mille modi per sfuggire all'amore del dio, ma Giove riunì tutte le ninfe del Lazio e chiese loro di aiutarlo a prendere la fuggitiva. Secondo Virgilio era figlia del re mitico Dauno e sorella di Turno, il nemico di Enea. Inviata da Giunone per rompere il duello che doveva finire con la morte di Turno, fu spaventata dall'arrivo di una Furia mandata da Giove: copertosi il capo con un velo azzurro, si gettò gemendo nel fiume Numicio, e fu mutata in fonte. Si invocava specialmente nei periodi di siccità, e ne erano devoti gli operai addetti a lavori idraulici. L'antico culto che ebbe presso Lavinio fu trasferito a Roma presso il lago di Giuturna nel Foro Romano; il console Lutazio Catulo nel 241 a.C. le eresse un tempio nel Campo di Marte. Fu considerata anche moglie del dio Giano e madre di Fons, il dio delle fonti.

Glauce 1

Sfortunata figlia di Creonte re Corinto, sposò Giasone dopo che questi aveva abbandonato Medea. Medea così si vide oltraggiata da Giasone, uomo che lei tanto aveva aiutato, e protetto. Quindi, fingendosi rassegnata, mandò a Giasone un dono di nozze per mano dei suoi figli (poiché aveva avuto da Giasone sette maschi e sette femmine); e cioè una corona d'oro e un lungo manto bianco. Non appena Glauce li ebbe indossati, subito si levarono fiamme indomabili che non soltanto divorarono Glauce, benché essa si gettasse a capofitto nella fontana del cortile, ma anche re Creonte, un gruppo di nobili ospiti tebani e chiunque altro si trovasse nel palazzo, eccettuato Giasone che fuggì saltando da una finestra.
Quando Medea vide la reggia in fiamme, uccise i figli che aveva avuto da Giasone, salì sul cocchio trainato da draghi alati che il nonno Elio le aveva imprestato e si rifugiò presso Egeo re di Atene. Un'altra versione del mito narra che Medea lasciò i figli come supplici presso l'altare di Era Acrea, ma il popolo di Corinto, furibondo per l'assassinio di Glauce e di Creonte, li prese tutti e li lapidò a morte.

Glauce 2

Glauce, figlia di Cicreo re di Salamina, sposò Telamone. Questi, alla morte di Cicreo che non aveva figli, ne ereditò il regno.

Glaucia

Figlia del fiume Scamandro. Dopo aver distrutto Troia con un incendio, Eracle salpò dalla Troade portando con sé Glaucia. Durante l'assedio della città essa era stata l'amante di Dimaco, figlio d'Eleone, e quando Dimaco cadde in battaglia, si rivolse a Eracle per avere protezione. L'eroe la prese a bordo della sua nave, lieto che la progenie di un così valoroso amico gli sopravvivesse; perché Glaucia era incinta, e in seguito diede alla luce un figlio che sua madre chiamò Scamandro, in ricordo del nonno. Eracle raccolse Glaucia e suo figlio e li riportò in Grecia e li affidò a Eleone.
Eracle, guidato da Atena a Flegra, dove aiutò gli dèi a vincere la battaglia contro i Giganti, passò in Beozia dove, dietro sua insistenza, Scamandro fu eletto re. Scamandro diede il proprio nome al fiume Inaco, il nome di sua madre Glaucia a un vicino corso d'acqua e il nome di Acidusa, sua moglie, a una sorgente. Da Acidusa egli ebbe tre figlie che ancora si onorano in quella località col nome di "Vergini".





Glauco (Antenore)

Glauco è una figura della mitologia greca, figlio del troiano Antenore e di Teano.

Quando Paride, figlio di Priamo, partì per Sparta intenzionato a rapire la moglie di Menelao, Elena, Glauco si offrì di accompagnarlo nel tragitto. Tuttavia suo padre, sdegnato per questa azione ingrata, rifiutò di accoglierlo nuovamente nella sua casa e lo cacciò via.

Quando scoppiò a causa di questo rapimento la guerra di Troia, Glauco si schierò dalla parte dei Troiani, per restare fedele a Paride e alla sua patria. Stando a una fonte non omerica, nel corso dei combattimenti fu ucciso da Agamennone.

Secondo altre versioni Glauco sopravvisse alla caduta della città. Fatto prigioniero da Ulisse, questi ordinò che fosse risparmiato. Partì allora col padre e la madre Teano, insieme ai fratelli superstiti Elicaone, Polidamante ed Eurimaco (?), trasferendosi fino nel nord Italia, alla valle del Po, dove avrebbero fondato la città di Padova.

Glauco (Licia)

Glauco è una figura della mitologia greca, nipote di Bellerofonte.

Fu uno degli eroi della guerra di Troia. Nell'Iliade di Omero è descritto a capo dei guerrieri di Licia (alleata di Troia) con Sarpedonte, di cui era cugino. Egli viene descritto come eroe valoroso e d'animo nobile.

Imprese in guerra

In guerra si ritrovò faccia a faccia con Diomede ma, scoperto un antico legame di ospitalità, entrambi rifiutarono di battersi e si scambiarono dei doni: Glauco (offuscato temporaneamente da Zeus) offrì a Diomede le sue armi d'oro del valore di cento buoi, ricevendo in cambio l'armatura in bronzo - meno preziosa - che valeva nove buoi.

L'episodio omerico di Glauco e Diomede, assieme a quello di Achille e Priamo, è uno dei più importanti per comprendere il concetto di ospitalità (xenia) presso gli antichi Greci.

Alla morte del cugino Sarpedonte, Glauco volle vendicarlo e incitò i capi troiani alla battaglia. Nel combattimento uccise un nemico: Baticle, figlio di Calcone, e abitante dell'Ellade. Finiscono qui le vicende di Glauco nel poema omerico.

La morte

Secondo diverse fonti, quando Achille cadde in battaglia, trafitto mortalmente da una freccia scagliata da Paride, Glauco cercò di impossessarsi del suo cadavere. Sperando di uccidere qualche nemico, egli scagliò la lancia contro Aiace Telamonio, il quale proteggeva il corpo di Achille, ma essa riuscì solo a scalfire lo scudo, senza che gli penetrasse nella pelle.

Aiace, alla vista del nemico, lo rimbrottò con dure parole. Infine gli scagliò addosso una lancia e lo uccise nel bel mezzo della mischia.

Glauco (Minosse)

Glauco è una figura della mitologia greca, figlio di Minosse re di Creta e di Pasifae.

Ancora bambino rincorrendo una palla o un topo, cadde in un pithos di miele e morì. Minosse consultò un oracolo (dei Cureti o di Apollo). Questo propose un enigma e disse che la persona che fosse stata in grado di risolverlo, avrebbe ritrovato Glauco. Poliido lo trovò, morto, e Minosse lo obbligò a resuscitarlo, chiedendolo dentro un antro con il cadavere del piccolo.

In quel mentre Poliido scorse un serpente che si stava approssimando al cadavere di Glauco e lo uccise; un secondo serpente, visto il suo simile morto, si dileguò tornando poco dopo con dell'erba che cosparse sul corpo del rettile che dopo alcuni sussulti, si rianimò. Alla vista di questa scena Poliido prese quell'erba e la applicò sul corpo del bambino, che di lì a poco riprese a vivere. Minosse - non contento - volle che Poliido insegnasse a Glauco l'arte mantica, compito al quale il saggio adempì, onde poi fargliela dimenticare prima di tornare in patria.

Glauco (Poseidone)

Glauco è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e di una Naiade.

Come il padre fu una divinità del mare. La sua figura appare ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio e nelle Metamorfosi (libro XIII) di Ovidio.

Secondo la leggenda, nacque umano, praticò l'attività di pescatore, la sua immortalità e la sua natura di divinità marina derivarono da un'erba magica. Il suo corpo mutò sembianze, assumendo una forma di coda di pesce nella parte inferiore.

Si ricordano i suoi amori, da quello per Scilla fino al tentativo di circuire Arianna.

Glauco cercò di sedurre Scilla senza successo, impedito da Circe che lo coprì di ridicolo.

Glauco (Sisifo)

Glauco, figlio di Sisifo.

Padre di Bellerofonte e bisnonno di Glauco, Glauco possedeva dei cavalli che nutriva con carne umana e preservava da qualsiasi accoppiamento perché risultassero sempre i più veloci nelle corse coi carri.
In occasione dei giochi funebri in onore di Pelia, la dea Afrodite, irritata per il trattamento che Glauco riservava ai suoi animali, li fece scappare dalla stalla il giorno precedente alla gara. Condotti ad un pozzo sacro, essi mangiarono di un'erba che dava follia, quindi tornarono alla scuderia.
Il giorno della gara, Glauco salì sulla biga, ma ne fu sbalzato poiché i cavalli si imbizzarrirono. Imbrigliato nelle redini, i cavalli lo trascinarono per tutto lo stadio, quindi gli si gettarono addosso e lo divorarono.

La statua di Glauco


Jean-Jacques Rousseau nel Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini parla della statua di Glauco che, stando sotto il mare, si è riempita di incrostazioni fino a farlo assomigliare più a una belva mostruosa che a un dio. Questo esempio serve da metafora per l'uomo moderno il quale (come l'immagine di colui che è diventato un dio per mezzo di un'erba magica ma appare più simile a una bestia) evolvendosi nelle scienze e nelle arti, ha creduto di elevarsi ma in realtà, sostiene Rousseau, si è solo depravato.

Gordio

Re frigio, padre di Mida. Quando era soltanto un povero contadino, Gordio rimase molto sorpreso vedendo un giorno un'aquila reale appollaiarsi sul timone del suo carro trainato dai buoi. Poiché pareva che l'uccello non avesse intenzione di muoversi, Gordio guidò il carro verso Telmisso in Frigia, dove si trovava un oracolo; alle porte della città si imbattè in una giovane profetessa che, quando vide l'aquila appollaiata sul timone del carro, volle che Gordio subito facesse sacrifici a Zeus re, e lo accompagnò per accertarsi che scegliesse vittime acconce. Gordio si fece accompagnare e le chiese se fosse disposta a sposarlo. La giovane rispose di sì, ma dopo aver offerto i sacrifici.
Frattanto il re di Frigia era morto all'improvviso senza discendenti e un oracolo annunciò al popolo frigio che il nuovo re stava arrivando con la sua sposa, seduto su un carro di buoi. Quando il carro entrò nella piazza del mercato di Telmisso, l'aquila attirò subito l'attenzione popolare e Gordio fu acclamato re all'unanimità. In segno di gratitudine, Gordio consacrò a Zeus il carro unitamente al giogo dei buoi, che egli aveva annodato al timone in un modo particolare. Un oracolo dichiarò allora che chiunque fosse stato capace di sciogliere quel nodo sarebbe divenuto signore dell'intera Asia. Giogo e timone furono riposti nell'Acropoli di Gordio, una città fondata da Gordio stesso, dove i sacerdoti di Zeus li custodirono gelosamente, finché Alessandro il Grande, arrivato nella città durante i preparativi per la sua spedizione asiatica (334 a.C.), volle sciogliere il nodo; non riuscendogli, sguainò la spada e lo recise.
Dopo la morte di Gordio, Mida gli succedette al trono, promosse il culto di Dioniso e fondò la città di Ancira.
L'espressione nodo gordiano è divenuta un modo figurato per significare una difficoltà insuperabile con i mezzi ordinari.

Gorga (mitologia)

Nella mitologia greca, Gorga (o Gorge) è il nome di due eroine:

1. Gorga, figlia di Eneo, re di Calidone, e di Altea e sorella di Meleagro e Deianira. Sposò Andremone che le diede il figlio Toante.
2. Gorga, figlia di Megareo e moglie dell'eroe Corinto, fondatore dell'omonima città.

Gorga, figlia di Eneo

Figlia di Eneo e di Altea, sovrani di Calidone, Gorga era sorella di Tosseo, Meleagro e Deianira. Alcune tradizioni riportano che, per volontà di Zeus, Eneo si giacque segretamente con la sua stessa figlia, la quale generò Tideo. Gorga compianse, insieme alle sue sorelle, la morte del fratello Meleagro al punto da commuovere Artemide la quale, impietosita, le tramutò tutte in galline faraone; Deianira e la stessa Gorga furono però le uniche a non subire la metamorfosi. Secondo un'altra versione anche le due sorelle vennero trasformate in volatili ma Dioniso indusse Artemide a deporre la sua ira contro la casa di Eneo e a restituire loro la forma umana.

In seguito, Eneo diede Gorga in sposa ad Andremone, cui assegnò il regno una volta invecchiato. Dalla loro unione nacque Toante, l'eroe che in seguito partecipò alla guerra di Troia.

Gorgitione


Nella mitologia greca, Gorgitione, in greco Γοργυθίωνα, era il nome di uno dei figli di Priamo, uno dei 54 avuti da numerose donne, infatti la madre dell’eroe greco non era Ecuba, legittima regina e moglie del re, ma Castianira, di Esima.
Il mito [modifica]
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Elenco dei figli di Priamo.

Quando Paride figlio di Priamo e fratellastro di Gorgitione, prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Gorgitione per l’onore di Troia combatteva fin quando in una battaglia Teucro, abile arciere intestardito su un unico bersaglio, il valoroso Ettore, mancò il nemico colpendo invece Gorgitione, uccidendolo.

Gorgofone

Gorgofone è un personaggio della mitologia greca. Era nata dall'unione tra Perseo e Andromeda ed era sorella di Alceo, Elettrione, Perse e Stenelo.

Pare sia stata la prima donna greca a risposarsi dopo la morte del marito. Aveva infatti sposato in prime nozze Periere e con il quale aveva generato due figli Afareo e Leucippo. Poi sposò Ebalo, re di Sparta, e da questi ebbe Icario e Tindaro.

Gorgoneion

Nell'antica Grecia, il gorgoneian era, in origine, un pendente orrorifico apotropaico che rappresentava la testa di una Gorgone. Il gorgoneion è associato sia a Zeus che ad Athena, che secondo il mito lo hanno entrambi indossato come pendente. Era anche frequentemente presente sulle egide reali, come esemplifica il Cammeo Gonzaga.

Evoluzione

Omero si riferisce alla Gorgone in quattro occasioni, ogni volta alludendo alla sola testa, come se la creatura fosse priva di corpo. La studiosa Jane Ellen Harrison scrive che "Medusa è una testa e nulla più... una maschera con un corpo aggiunto successivamente". Fino al V secolo a.C., la testa era raffigurata come particolarmente orribile, con una lingua sporgente, zanne di cinghiale, guance rigonfie, bulbi oculari fissi verso l'osservatore e serpenti attorcigliati intorno al volto.

Lo sguardo fisso frontale e diretto, "apparentemente rivolto fuori dal suo contesto iconografico e direttamente sfidante l'osservatore", era fortemente innaturale nell'antica arte greca. In alcuni casi una barba (simboleggiante probabilmente strisce di sangue) era aggiunta al suo mento, facendola apparire come una divinità orgiastica affine a Dioniso.

I gorgoneia che decorano gli scudi di guerrieri su vasi greci della metà del V secolo sono considerevolmente meno grotteschi e minacciosi. Entro quell'epoca, la Gorgone aveva perso le sue zanne ed i serpenti erano piuttosto stilizzati. Il marmo ellenistico noto come la Medusa Rondanini illustra la trasformazione finale della Gorgone in una bella donna.

Uso

I gorgoneia appaiono per la prima volta nell'arte greca al volgere dell'VIII secolo a.C. Una delle più antiche rappresentazioni è su uno statere di elettro scoperto durante degli scavi presso Pario. Altri esempi degli inizi dell'VIII secolo furono trovati a Tirinto. Se andiamo ancora più indietro nalla storia, c'è un'immagine simile proveniente dal palazzo di Cnosso, databile al XV secolo a.C. Marija Gimbutas sostiene addirittura che "la Gorgone risale almeno al 6000 a.C., come illustra una maschera in ceramica proveniente dalla cultura di Sesklo".

Nel VI secolo, i gorgoneia di tipo canonico "a maschera di leone" erano ubiquitari sui templi greci, specialmente a e intorno a Corinto. I gorgoneia sui frontoni erano comuni in Sicilia; la più antica occorrenza essendo probabilmente nel Tempio di Apollo a Siracusa. Intorno al 500 a.C., cessarono di essere usati per la decorazione di edifici monumentali, ma erano ancora presenti sulle antefisse di strutture più piccole per tutto il secolo successivo.

A parte i templi, le immagini della Gorgone sono presenti su vestiti, piatti, armi e monete ritrovate in tutta la regione mediterranea dall'Etruria alla costa del Mar Nero. Le monete con la Gorgone erano coniate in 37 città, rendendo la sua immagine sulle monete seconda come ubiquità numismatica soltanto ai vari principali dei dell'Olimpo. Sui pavimenti a mosaico, il gorgoneion era di solito raffigurato accanto alla soglia, come se la proteggesse da intrusi ostili; sulle fornaci attiche, il gorgoneion sopra la porta della fornace proteggeva dagli incidenti.

Le immagini della Gorgone rimasero popolari anche nei tempi cristiani, specialmente nell'Impero bizantino, compreso il Rus' di Kiev, e furono riportate in auge in Occidente dagli artisti del Rinascimento italiano. In tempi più recenti, il gorgoneion fu adottato da Gianni Versace come logo per la sua società di moda.

Origine

Secondo la Gimbutas, i gorgoneia rappresentano certi aspetti del culto della Dea Madre associato all'"energia dinamica della vita". Ella definisce il gorgoneion come un'immagine quintessenzialmente europea. Jane Ellen Harrison, d'altro canto, afferma che molte culture primitive usano maschere rituali simili per dissuadere il proprietario con la paura dal fare qualche cosa di sbagliato, o, come lo chiama lei, per fargli la faccia brutta: "Prima viene l'oggetto rituale; poi si genera il mostro per giustificarlo; poi si fornisce l'eroe per giustificare l'uccisione del mostro".

Gorgoni

Le Gorgoni sono figure della mitologia greca, erano figlie di Forco e di Ceto.

Erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa. Di aspetto mostruoso, avevano ali d'oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli e chiunque le guardasse direttamente negli occhi rimaneva pietrificato. La gorgone per antonomasia era Medusa, la più famosa delle tre e loro regina, che, per volere di Persefone, era la custode degli Inferi.

A differenza delle sorelle era mortale. Il mito narra che Perseo, avendo ricevuto l'ordine di consegnare la testa di Medusa a Polidette, signore dell'isola di Serifo, si recò prima presso le Graie, sorelle delle Gorgoni, costringendole a indicargli la via per raggiungere le Ninfe. Da queste ricevette sandali alati, una bisaccia e un elmo che rendeva invisibili, doni ai quali si aggiunsero, uno specchio da parte di Atena e un falcetto da parte di Ermes.

Così armato, Perseo volò contro le Gorgoni e, mentre erano addormentate, guardandone l'immagine nello specchio divino di Atena per evitare di rimanere pietrificato, tagliò la testa a Medusa e la chiuse subito nella bisaccia delle Graie. Dal tronco decapitato di Medusa uscirono, insieme ai fiotti di sangue, il cavallo alato Pegaso e Crisaore, padre di Gerione.

Perseo donò la testa della gorgone alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici.

Gorti

Nella mitologia greca, Gorti era il nome di un personaggio di cui si raccontano le gesta, la cui paternità è dubbia.

Suo padre è a seconda delle leggende:

* Stinfalo, figlio di Elato e di Laodice, in tal caso sarebeb stato fratello di Agelao e Partenope
* Tegeate avuta dalla figlia di Atlante Mera
* Radamanto.

Graie

Le "Vecchie Donne", figlie di Ceto e di Forco (da cui il nome di Forcidi che talvolta si dà loro). Nate vecchie, erano sorelle e custodi delle Gorgoni e vivevano nell'estremo Occidente, alle soglie del paese della notte, dove il Sole non brilla mai. Secondo Esiodo erano due: Enio e Pefredo; altri mitografi ne aggiungevano una terza, Dino. Possedevano un solo occhio e un solo dente, che si scambiavano a vicenda.
Perseo le costrinse a rivelargli il nascondiglio delle ninfe Stigie, il cui aiuto gli era indispensabile per uccidere Medusa. Di loro parla Esiodo, che mostra però di conoscere solo le prime due; nel Prometeo incatenato di Eschilo si dice che esse avevano forma di cigno, ma il loro nome significa "vecchie donne" poiché secondo la tradizione più accreditata avevano l'aspetto di vecchie con i capelli grigi e molte rughe, e vivevano in una caverna sul fianco della montagna di Atlante. Come le loro sorelle , le Gorgoni, acquistarono notorietà grazie alla vicenda di Perseo che con l'inganno rubò loro l'occhio e il dente e le costrinse a dirgli dov'era il nascondiglio delle Gorgoni sulla riva dell'Oceano; le sprofondò nel sonno tutte e tre contemporaneamente, e così potè passare senza impaccio e compiere l'impresa. Si dice che l'eroe lanciasse l'occhio nel lago Tritonio.

Grazie (mitologia)

Le Grazie (in latino Gratiae) erano figure della mitologia romana, le quali erano tuttavia solamente una replica latina delle Cariti greche (in greco antico Χάριτες). Questi nomi fanno riferimento alle tre divinità della bellezza e, probabilmente sin dall'origine, alle forze legate al culto della natura e della vegetazione. Sono infatti queste fanciulle a infondere la gioia della Natura nel cuore degli dèi e dei mortali.

Queste divinità benefiche erano ritenute figlie di Zeus e di Eurinome e sorelle del dio fluviale Asopo; secondo un'altra versione la madre sarebbe stata Era.
Ma anche queste leggende sono finite per dare spazio ad altre interpretazioni: secondo alcuni autori, le Cariti erano nate dall'unione del dio Elio (il Sole) con l'Oceanina Egle. Ma è altrettanto accettata la versione che vede come madre delle Grazie proprio la dea della bellezza e fertilità, Afrodite la quale le avrebbe generate insieme a Dioniso, dio della vite.

Le versioni che riguardano il numero delle Grazie non sono meno complesse; secondo Esiodo, esse sono tre:

* Aglaia lo splendore
* Eufrosine la gioia
* Talia la prosperità

Esse sono rappresentate come tre giovani nude, le quali incarnano, nella figurazione classica, la perfezione a cui l'uomo deve tendere nonché le tre qualità che una donna dovrebbe avere.

Nella letteratura, Ugo Foscolo, canta la loro figura nel suo carme intitolato, appunto, Le Grazie.

Nella pittura e nella scultura le Grazie sono state oggetto di numerose opere artistiche, tra le quali:

* Le tre Grazie, scultura di Antonio Canova.
* Le tre Grazie, dipinto di Raffaello Sanzio.
* Le tre Grazie, dipinto di Pieter Paul Rubens.

Guneo

Nella mitologia greca, Guneo fu uno dei capitani achei che corse in aiuto di Menelao, re di Sparta, quando sua moglie Elena venne rapita dal troiano Paride. Figlio di Ocito, Guneo proveniva dalla Tessaglia e giunse a Troia con un forte contingente di Enieni.

Vissuto in Tessaglia, sua patria, Guneo fu uno dei tanti eroi achei che aspirarono senza successo alla mano di Elena, andata poi in sposa a Menelao, e che furono, tra l'altro, soggetti al giuramento di Tindaro. In seguito al rapimento della figlia di Zeus, partì da Cifo, sua città natale, alla volta della Troade con un flotta di ventidue navi, conducendo un vasto esercito costituito da Enieni e dai bellicosi Perebi.

Figura misteriosa e mai ben definita, non viene poi più citata nell'Iliade, in cui funge solo da comparsa. Durante il viaggio di ritorno, Guneo fece naufragio lungo le coste della Libia e qui, raggiunte le sponde del fiume Cinipe, si stabilì insieme ai suoi compagni.

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I



Iacco

Dio guida alla mistica processione dei Misteri Eleusini. Ritenuto figlio di Demetra, o di Persefone e di Zeus, e in questo caso non sarebbe che l'incarnazione di Zagreo. Era infatti, gelosa degli amori del marito e non potendo vendicarsi su di lui, incitò i Titani ad attaccare, mentre giocava, il piccolo Zagreo, figlio della sua rivale Persefone. Zagreo cercò di salvarsi trasformandosi in mille modi; ma alla fine, assunta la forma d'un toro, fu raggiunto dagli inseguitori che lo straziarono e misero a cuocere le sue membra in un grande paiolo. Zeus accorse in aiuto del figlio, ma arrivò tardi: folgorò i Titani criminali, incarico Apollo di riunire sul Parnaso le mebra sparse del figlio e, dato che Atena gli portò il cuore del fanciullo ancora palpitante, lo inghiottì. Poi, rigenerò Zagreo che prese il nome di Iacco.
Da altri, Iacco è ritenuto marito di Demetra; o anche figlio di Dioniso che il dio aveva avuto in Frigia dalla ninfa Aura. In verità Aura aveva avuto da Dioniso due gemelli, ma nella sua pazzia ne aveva divorato uno. Il piccolo Iacco era stato salvato da un'altra ninfa, amata da Dioniso, e affidato alle Baccanti d'Eleusi che lo allevarono. Si dice che la stessa Atena lo allattò, mentre Aura si gettava nel fiume Sangario, ma venne trasformata in sorgente dall'intervento di Zeus.
Iacco è considerato divinità greca venerata insieme con Demetra e Core nella triade eleusina. Salì a maggiore importanza in quanto si attribuì la vittoria di Salamina al suo intervento; lo si considerò allora un'ipostasi di Dioniso, onde fu chiamato Iacco Dioniso. Non aveva tempio a Eleusi, ma un santuario nel Ceramico ad Atene. Iacco è rappresentato come un fanciullo che porta una torcia e guida la processione d'Eleusi danzando.

Iadi

Le Piovose, nella mitologia antica erano le figlie di Atlante e d'una Oceanina, Etra o Pleione, sorelle delle Pleiadi e di Iante. Il loro numero varia da due a sette e i loro nomi sono molto variabili: Fesile (o Esile), Ambrosia, Coronide, Eudora, Dione, Polisso e Feo.
Dopo che Ino, moglie di Atamante re di Orcomeno e nutrice di Dioniso, fu fatta impazzire da Era, Zeus trasformò Dioniso in un capretto e lo portò lontano dalla Grecia, dalle ninfe del monte Nisa, note sotto il nome di "Ninfe del Nisa", perché lo allevassero. Sileno le aiutò nel difficile compito e più tardi Dioniso, in segno di gratitudine, le pose in cielo come un gruppo di stelle.
Si racconta altresì che le giovani Iadi, desolate per la morte del loro fratello Iante ucciso da un serpente che lo morse, o da un leone, o da un cinghiale, mentre cacciava in Libia, si uccisero e furono trasformate da Zeus nel gruppo di stelle della costellazione del Toro, le Iadi, al sorgere delle quali cominciava in Grecia la stagione delle piogge.

Ialemo

Nella mitologia greca, Ialemo è il figlio di Apollo e della musa Calliope,

Inventore del canto lugubre che da lui prese il nome di ialemo. Per quanto riguarda i canti lugubri famoso fu quello dove in occasione delle guerra dei 7 contro Tebe le madri piansero la morte prematura dei loro figli. Era un fratello di Imene ed Orfeo.

Ialiso (mitologia)

Ialiso era il nome dell'eroe eponimo della città di Ialiso, nell'isola di Rodi.

Nella mitologia greca, Ialiso era figlio di Cercafo, a sua volta figlio di Elio, e della nipote Cidippe (o Lisippe). Dalle nozze incestuose oltre a Ialiso nacquero Lindo e Camiro; i tre figli furono gli eroi eponimi delle tre principali città dell'isola di Rodi: Ialiso, Lindo e Camiro. Secondo Pindaro, Ialiso era il maggiore dei tre fratelli.

Ialiso è noto per essere stato il soggetto di numerosi quadri, perché più volte rifatti, del pittore Protogene, IV secolo a.C.

Ialmeno

Nella mitologia greca, Ialmeno era uno dei sovrani della Minia di Orcomeno, in Beozia, al tempo della guerra di Troia. Era figlio di Ares e di Astioche e fratello di Ascalafo. Ialmeno era anche uno dei molti pretendenti alla mano di Elena, la regina di Sparta, andata poi in sposa a Menelao. In seguito al rapimento di quest'ultima da parte di Paride, egli dovette alla guerra ivi scoppiata, in quanto legato ad un giuramento comune.

Iameno

Iameno, figura mitologica dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Iameno fu ucciso dall'acheo Leonteo durante l'assalto alle mura di Troia.

Iamo

Iamo è un personaggio della mitologia greca nato da Evadne, figlia di Poseidone, e dal dio Apollo.

La vicenda narra che il dio, abbagliato dalla bellezza di Evadne sposa di Epito re degli Acadi, si accoppiò con lei. La donna non riuscì a nascondere il fatto al marito, che si recò all'oracolo di Delfi per sapere cosa avrebbe dovuto fare del nascituro.

Tempo dopo la ragazza concepì un bambino che abbandonò sul monte Alfeo e che fu sorvegliato per cinque giorni da due serpenti che lo nutrirono con miele. Epito scoprì l'origine del bambino e andò a cercarlo, trovandolo in una boscaglia circondato da violette, da cui prese il nome.

Da Iamo nacque la dinastia degli iamidi, indovini e profeti di Olimpia.

Iante

Iante era nella mitologia greca una ninfa, figlia del titano Oceano e della titanide Teti, una delle Oceanine.

Il nome Iante indica il colore violetto.

Menzionata da Esiodo in Teogonia 350.

Iasione

Nella mitologia greca, Iasione o Giasione era generalmente considerato uno dei figli della pleiade Elettra e Zeus, fratello di Dardano fondatore di Troia.

Iasione fondò invece i riti misterici dell'isola di Samotracia. Si accoppiò con Demetra in un campo arato tre volte, e quindi fu padre di due gemelli Pluto e Polimelo (inventore dell'aratro), e di un altro figlio chiamato Coribante. Per il suo rapporto con la dea dei campi Iasione fu ucciso da Zeus con una folgore.

Icario (Atene)

Icario, Icaro o Icarione è una figura della mitologia greca, padre di Erigone, vissuto ad Atene al tempo di Pandione II.

Secondo Igino e Apollodoro Icario ricevette Dioniso nella propria casa, e il dio, per ricompensarlo dell'atto di ospitalità gli fece dono di un ceppo di vite, insegnandogli la maniera di piantarlo e di fare il vino.

Igino aggiunge che Dioniso gliene diede un otre pieno, ordinandogli di fare assaggiare quel liquore agli altri uomini.

Intorno a tutto ciò che segue, egli è perfettamente d'accordo con Apollodoro il quale riporta che Icario, avendo dato quel vino ad alcuni pastori dell'Attica, li fece diventare ebbri. Essi, credendo allora di essere stati avvelenati, lo uccisero, gettandolo in un pozzo.

La figlia Erigone non trovandolo iniziò le ricerche e, seguendo l'abbaiare del suo cane Maira o Mera, ne ritrovò il corpo. Disperata si uccise anch'ella.

Questi decessi furono interpretati come un affronto al dio Dioniso e una siccità, altri dicono una pestilenza, cadde sulla regione. Per porvi fine Aristeto, su suggerimento del padre Apollo, istituì delle festività in onore di Icario ed Erigone, le Aiora.

Icario (Sparta)

Icario è nella mitologia greca un eroe spartano ritenuto figlio di Periere e Gorgofone (lett. "assassina della Gorgone") o di Ebalo con Bateia o ancora di Ebalo sposato in seconde nozze da Gorgofone. Aveva per fratelli Afareo, Leucippo e Tindaro.

La storia

Re di Sparta insieme al fratello Tindaro o Tindareo e costretto con lui all'esilio dal fratellastro Ippocoonte che diede vita alla dinastia degli usurpatori Ippocoontidi, poi sterminati da Eracle che per il fatto commesso richiese ad Asclepio di farsi purificare. Pare peraltro che nella medesima circostanza Asclepio avesse riportato in vita Tindaro, ucciso dagli Ippocoontidi, secondo altri invece esiliato in Etolia, presso il re Testio, padre di Leda, sua futura sposa.

Icario rifugiatosi in Acarnania durante il periodo di usurpazione si sposò con Policaste (secondo un'altra versione con la naiade Peribea) e da lei ebbe tre figli: due maschi e una femmina, Penelope (secondo la versione alternativa i figli con la naiade sarebbero stati sei, fra i quali sempre Penelope).

Secondo Pausania, invece, soltanto Tindaro fu scacciato da Sparta, perché Icario si schierò dalla parte di Ippocoonte.

Inoltre gli dèi lo immortalarono trasformandolo in una costellazione, vendicarono la sua morte diffondendo, pressi gli ateniesi, una malattia che rendeva folli le donne.

Secondo il mitologo Karl Kerényi Icario potrebbe essere il timoniere della nave su cui viaggiava Dioniso, di cui viene narrato nel VII Inno omerico. Tuttavia nel testo il nome non è più chiaramente leggibile. In questa occasione, per la benevolenza dimostrata al dio, Icario sarebbe stato risparmiato, contrariamente ai marinai che furono trasformati in delfini.

Demo di Icaria

Icario è anche il fondatore di un demo attico, detto di Icaria, occupato dalla tribù Egoide, celebre per un antichissimo santuario di Dioniso. Il nome del santuario sarebbe conservato nel nome del moderno borgo di Dioniso, sulle pendici nord-orientali del Pentelico, dominante il campo di battaglia di Maratona, dove è stato identificato il centro dell'antico demo e dove appunto gli scavi americani hanno messo in luce dei ruderi abbastanza cospicui. Più tardi il demo è passato alla tribù Tolemaide e a quella Attalide.

Icaro

Nella mitologia greca Icaro (Icarus in latino, Ikaros in greco, Vicare in etrusco) era figlio dell'inventore Dedalo e di Naucrate, una schiava di Minosse.

A Creta il re Minosse aveva chiesto a Dedalo di costruire il labirinto per il Minotauro. Avendolo costruito, e quindi conoscendone la struttura, a Dedalo e suo figlio fu preclusa ogni via di fuga da Creta da parte di Minosse, poiché temeva che ne fossero svelati i segreti e vennero rinchiusi nel labirinto [Tutto questo ultimo periodo manca della fonte: Apollodoro nel secondo sec. a.C. sostiene che Dedalo viene rinchiuso nel labirinto perché Minosse lo ritiene responsabile della "riuscita" di Teseo, che può tornare dal Labirinto grazie all'espediente del gomitolo che proprio Dedalo aveva suggerito. Non ci sono altre fonti nell'antichità che collocano Dedalo e Icaro imprigionati nel Labirinto. Ovidio nelle Metamorfosi non lo fa, Diodoro Siculo nemmeno]. Per scappare, Dedalo costruì delle ali con delle penne e le attaccò ai loro corpi con la cera. Malgrado gli avvertimenti del padre di non volare troppo alto, Icaro si fece prendere dall'ebbrezza del volo e si avvicinò troppo al sole (nella mitologia Febo); il calore fuse la cera, facendolo cadere nel mare dove morì. Il padre arrivò sano e salvo in Sicilia dove costruì un tempio dedicato ad Apollo, in memoria del figlio Icaro. La tradizione lo porta come esempio di chi tenta di compiere azioni fuori dalla propria portata e senza averne i mezzi sufficienti e tradisce i genitori.

Icetaone

Nella mitologia greca, Iceatone, il "rampollo d'Ares", è uno dei figli del re Laomedonte e di sua moglie Strimo.

Il re di Troia Laomedonte sposò una figlia del fiume Scamandro, la quale lo rese padre di numerosi figli, quasi tutti maschi.
Icetaone era uno dei figli del re e quindi fratello di Lampo, Clitio, Titone e Podarce, il futuro re Priamo, e di Esione, Cilla, Astioca e Clitodora sue sorelle.

Varianti sulla sua leggenda


Esistono due versioni differenti legate alla leggenda di questa figura mitologica.

* Secondo una versione, quando Eracle giunse a Troia offrendosi di liberare Esione, sorella di Icetaone, imprigionata e condannata ad essere uccisa da un mostro marino, Laomedonte promise di offrirgli in cambio parte delle mandrie del suo antenato Troo.
Tuttavia quando l'eroe salvò la fanciulla e la riportò in città, Laomedonte rifiutò di concedergli il premio pattuito e scacciò Eracle da Troia, con la collaborazione di tutti i suoi figli, compreso Icetaone.
Più tardi Eracle ritornò in città e, per vendicarsi del torto subito, assediò Troia, la conquistò e con le sue frecce uccise Laomedonte e uno dopo l'altro tutti i suoi figli, e quindi anche Icetaone, escluso Podarce.

* L'altra versione, accettata da Omero, racconta invece che Icetaone insieme a tutti i suoi fratelli sopravvisse alla vendetta di Eracle e che, quando suo fratello Podarce (chiamato poi Priamo) ricostruì la città, egli visse a Troia dove si sposò ed ebbe alcuni figli.
Da madre sconosciuta, Iceatone ebbe un figlio, di nome Melanippo, un valoroso guerriero che ben si distinse durante la guerra di Troia. Questi ebbe un ruolo brillante durante l'attacco alle navi achee, tuttavia cadde in battaglia ucciso da Antiloco.
Virgilio, nell'Eneide, nomina anche un altro figlio di Icetaone, chiamato Timete, il quale fu uno dei guerrieri posto a difesa dell'accampamento Troiano.

Nell'Iliade, Icetaone appare come uno dei consiglieri di suo fratello Priamo, insieme ai fratelli Clitio e Lampo e agli altri vegliardi troiani, Pantoo, Antenore, Timete e Ucalegonte.

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Ida (Argonauta)

Nella mitologia greca, Ida, figlio di Arene e di Afareo, anche se in realtà il suo vero padre era Poseidone. Egli ha partecipato alla spedizione degli argonauti.

La disputa con i dioscuri

Ida e suo fratello gemello Linceo, dalla vista infallibile, avevano come promesse spose due sacerdotesse, Febe e Ilaira. Furono però rapite dai gemelli Castore e Polideuce, noti come i dioscuri, da esse ebbero diversi figli.

Contro Apollo

Apollo, il dio, un giorno volle portare Marpessa con se sottraendola al padre di lei Eveno, figlio di Ares. Egli aveva posto come condizione a chiunque volesse prendere la figlia di vincerlo ad una gara con il cocchio a condizione che se lo sfidante venisse sconfitto la propria testa venisse persa.

Apollo il giorno della sfida non era solo, anche il prode Ida era venuto e per l'occasione ebbe un cocchio alato grazie asuo padre. Con esso invece di sfidare i due contendenti rapì la ragazza e fuggì nell'Etolia.

Il dio lo raggiunse a Messene e qui i due combatterono fin quando Zeus li divise, chiedendo alla donna di scegliere il proprio sposo. Marpessa temendo il possibile infausto comprtamento di Apollo scelse Ida come suo sposo.

La sfida finale con i Dioscuri


Ida insieme al suo fratello gemello partecipò alle imprese degli argonauti, aiutando Giasone nella sua impresa. Durante il viaggio si sono dovuti alleare con i loro acerrimi rivali, i dioscuri. Alla morte di Afareo tutti i quattro razziarono il bestiame in Arcadia. Quando tutto si completò, Ida stesso divise il bottino, distribuì a tutti un grosso pezzo di una vacca, affermando che il primo che finiva la propria parte potesse scegliere le migliori bestie.

Ida in un sol morso finì la propria parte, ed aiutò suo fratello a finire la sua, appena terminato si misero in viaggio con la parte migliore della mandria. Quando i dioscuri finirono di mangiare si misero alla caccia dei due, volendoli accusare di avere barato, ma non trovarono Ida e Linceo ma solo il bestiame che subito recuperarono e si nascosero pronti ad attaccare i rivali al ritorno.

Linceo, grazie alla sua vista, li aveva scorti dal monte Taigeto dove stavano sacrificando del bestiame a Poseidone. Ida avvisato corse lancia in mano per poi scagliarla contro Castore che morì trafitto.

Polideuce, infuriato, si scagliò contro Ida che lo accolse con la pietra tombale di Afareo con cui lo colpì pesantemente, ferito ma non morto il dioscuro uccise Linceo con la sua lancia, stava per essere ucciso da Ida ma intervenne Zeus che uccise il figlio di Poseidone con una folgore per difendere il proprio.

Idamante

Idamante nella mitologia greca è re di Creta, successore del padre Idomeneo.

Idamante, rimasto a Creta durante l'assenza del padre, governa come principe e si innamora di Ilia, principessa troiana figlia di Priamo. Al rientro del padre Idomeneo con la flotta navale, Idamante lo accoglie sulla spiaggia senza sapere che, durante il lungo e pericoloso viaggio, il padre aveva promesso di sacrificare al dio Poseidone la prima persona che avesse visto una volta giunto sul suolo patrio per poter raggiungere salvo la patria. In questo modo Idomeneo avrebbe dovuto sacrificare il figlio. Tuttavia, Idomeneo si libera dal voto a Poseidone rinunciando al trono in favore del figlio.

Idamante regna così assieme ad Ilia su Creta.

Idas

Idas è una figura della mitologia greca, figlio di Afareo re di Messenia e fratello gemello di Linceo.

Nel libro IX dell'Iliade di Omero è descritto come il più forte tra gli uomini, in grado di sfidare lo stesso Apollo.

Idas rapì Marpessa, figlia del dio del fiume Eveno, e si scontrò con Apollo per lei. Zeus intervenne e diede alla ragazza la possibilità di scegliere, che lo preferì ad Apollo.

Idas e il fratello Linceo, fecero parte della spedizione degli argonauti e quindi alla caccia del cinghiale di Calidone.

I due gemelli, insieme con Castore e Polluce, organizzarono anche una spedizione in Arcadia per impadronirsi di uno splendido armento, ma alla partenza per la missione partirono portandosi via tutti i cavalli e lasciando a terra Castore e Polluce.

Idea (mitologia)

Nella mitologia greca, Idea era un nome di diverse figure, come:

* la ninfa moglie di Scamandro;
* la figlia di Ideo.

Idea la ninfa

Scamandro alla guida di una parte del popolo cretese in fuga dalla loro patria per colpa della carestia, durante il viaggio si sposa con la ninfa Idea che le diede un figlio, Teucro.

Generazioni


Alla morte di Teucro gli successe Dardano suo figlio. Egli a sua volta ebbe diversi figli fra cui Ideo. Ideo infine, ebbe una figlia e la chiamò Idea.

Idea la figlia di Ideo

Fineo dopo la morte della prima moglie sposò Idea, una delle principesse scite, la figlia di Ideo. Codesta Idea era gelosa dei figli avuti con la prima moglie, arrivando ad assoldare falsi testimoni per denunciarli di ogni cattiveria possibile. Gli zii dei due fanciulli, Calaide e Zete, una volta scoperto l'imbroglio liberarono i nipoti dalla prigione dove erano stati rinchiusi e Fineo non soltanto celebro una festa per l'occasione ma ripudiò Idea che tornò da suo padre.

Al loro ritorno i due gli avevano preparato un agguato. Linceo, però, li scorse ed uccise Castore. Polluce, a sua volta, riuscì ad uccidere Linceo.

Idas, scagliatosi su Polluce con una pietra, perì fulminato da Zeus pochi istanti prima di riuscire ad ucciderlo.

Ideo (Iliade)

Nella mitologia greca, Ideo è il nome di un araldo troiano, nonché auriga privato del carro di Priamo al tempo della guerra di Troia. Omero lo presenta come il sostituto del re nei momenti in cui Achei e Troiani trattano pacificamente per risolvere il conflitto senza scontri di massa, bensì tramite leali duelli. Il suo ruolo di guidatore di carri è invece esplicitato nel XXIV libro del poema, quando scorta l'anziano re presso la tenda di Achille.

Prima della guerra


Gli scritti che citano Ideo anteriormente al conflitto troiano sono scarsissimi; un frammento saffico afferma che l'araldo arrivò correndo a Troia da Tebe Ipoplacia, annunciando l'imminente matrimonio di Ettore e Andromaca, che gli abitanti accolsero con acclamate manifestazioni di gioia ed una grandissima partecipazione emotiva.

Nel conflitto

Nel libro III dell'Iliade, Achei e Troiani stabilirono di mettere fine alle ostilità tramite un regolare duello tra Paride e Menelao; nel caso in cui a vincere sarebbe stato il primo, i Troiani avrebbero potuto tenersi la donna rapita, Elena; in caso contrario, quest'ultima sarebbe stata restituita al legittimo marito, Menelao appunto. Ideo, carico dei preziosi crateri e delle coppe lucenti simboleggianti il patto, riferì personalmente a Priamo quanto era stato deciso, invitandolo a raggiungere il campo di battaglia per assistere allo scontro.

Ideo (mitologia)

Nella mitologia greca, Ideo, era uno dei figli di Dardano, ed aveva due fratelli maggiori, Erittonio e Ilo (o Zacinto).

Il lungo viaggio alla fondazione di Troia


Dardano, figlio di Teucro continuò il viaggio che porterà alla creazione di Troia avviata da Scamandro. Mentre stava allargando i confini del suo regno, Ideo il figlio minore di Dardano, aveva seguito suo padre nella sua avventura. Aveva portato con se le sacre immagini grazie ad esse Dardano poté insegnare la cultura religiosa alla nuova gente.

Ideo si stabilì in seguito sul monte Ida, che secondo alcuni prese da lui il nome. In quel luogo creò i misteri della Frigia, madre degli dei.

Progenie

Ideo ebbe una figlia, Idea, che divenne poi la moglie di Fineo.

Idmone

Nella mitologia greca, Idmone, il veggente, figlio di Apollo e di Cirene, era uno degli Argonauti.

Nascita

Il divino Apollo prese con se la bella Cirene, regalandole una lunga vita e una terra, e in seguito la lasciò alle cure di certe ninfe del mirto. Qui ogni tanto il dio le faceva visita e lei procreò diversi figli fra cui Aristeo e Idmone.

Una versione minore riporta che suo padre fu Ares.

Gli Argonauti

Giasone, invocando aiuto a tutti gli eroi del tempo, per la sua futura impresa, fu felice di annoverare fra il suo equipaggio il prode Idmone.

Nella città di Mariandine gli Argonauti furono ben accolti dal re locale. Il giorno dopo l'arrivo Idmone fu attaccato da un cinghiale infuriato sulle rive del fiume Lico, dove risiedeva pronto per attaccare chiunque si fosse avvicinato. Nello scontro il veggente venne ferito ad una gamba, colpito dalle zanne della bestia. Ida, un altro Argonauta subito accorse a prestargli aiuto, ma non potendo fermare l'emorragia, Idmone morì dissanguato. Gli argonauti piansero la sua scomparsa per tre giorni consecutivi. In seguito accanto al suo tumulo, ne innalzarono un altro, per Tifide.

Progenie

Idmone ebbe un figlio, Testore, eroe all'epoca della guerra di Troia.

Idomenea

Idomenea è il nome di due donne della mitologia greca. La prima aveva sposato Amitaone figlio di Creteo, e dal loro matrimonio erano nati Melampo e Biante.

Un'altra Idomenea è una discendente della prima. Infatti il figlio di Melampo Abante sposa Aglaia e fra i figli avuti vi è Idomenea.

Idomeneo

Idomeneo è una figura della mitologia greca, figlio di Deucalione e nipote di Minosse; fu re di Creta.

Idomeneo fu uno dei pretendenti della bella Elena, e partecipò con ottanta navi alla guerra di Troia, come tutti i suoi altri pretendenti. Nella guerra tra achei e troiani raccontata nell'Iliade si distinse in numerose imprese, uccidendo Asio (il giovane capo troiano fratello di Niso), Otrioneo, Alcatoo, Enomao (Iliade), Erimante e Festo. Seppe difendere le navi greche contro gli assalti portati da Deifobo ed Enea. Inoltre fu tra gli eroi che, nascosti nel cavallo di legno, penetrarono nella città; era tra i giudici che attribuirono le armi di Achille ad Ulisse meglio conosciuto come Odisseo.

Secondo alcune tradizioni, Idomeneo venne ucciso da Ettore nella guerra di Troia, ma le versioni originali raccontano come egli, dopo aver abbandonato il suolo insanguinato della imponente città, partì per la sua terra con la sua nave, ma trovò il suo trono usurpato da un altro uomo con cui sua moglie aveva avuto una relazione. Partì nuovamente per l'Italia e si stabilì definitivamente in Calabria, dove fondò una nuova città.

Idotea


Idotea o Eidotea è il nome di due personaggi della mitologia greca.

Il primo era una ninfa, figlia di Proteo, dio pluriforme (dal greco Polytropon caratteristica di Odisseo), figlio del titano Oceano e della ninfa Teti. Idoteca aiutò il re di Sparta Menelao a trovare la via verso la sua patria convincendo Proteo.

Il secondo personaggio chiamato Idotea è una regina, moglie del leggendario Mileto, fondatore della omonima polis.

Idra

Serpente o drago mostruoso, figlio di Echidna e Tifone: aveva molte teste (da tre a nove, secondo le varie leggende), che rinascevano duplicate appena tronche. Nacque sotto un platano presso la fonte Amimone. Visse poi nella vicina palude di Lerna, dove gli omicidi venivano a purificarsi. Ecco l'origine del proverbio: "Una Lerna per i malvagi".
Lerna sorge accanto al mare, a circa cinque miglia dalla città di Argo. Questo fertile e sacro distretto fu un tempo terrorizzato dall'Idra che aveva la sua tana sotto un platano, presso la sorgente del fiume Amimone e si aggirava nella palude Lernea di cui nessuno riuscì a misurare la profondità, e che divenne la tomba di molti incauti viandanti. L'Idra aveva un mostruoso corpo di cane e otto o nove teste serpentine, una di esse immortale; ma taluni parlano di cinquanta, altri di cento teste. A ogni modo, l'Idra era così velenosa che il suo solo respiro e persino il puzzo delle sue tracce potevano uccidere. La seconda Fatica che Euristeo impose ad Eracle fu di uccidere l'Idra di Lerna, che Era aveva addestrato per minacciare la vita dell'eroe.
Atena aveva ben meditato in quale modo Eracle potesse uccidere l'Idra, e quando egli giunse a Lerna, sul suo cocchio guidato dal nipote Iolao, gli indicò la tana del mostro. Dietro consiglio della dea, Eracle costrinse l'Idra a uscire dalla tana tempestandola di frecce infuocate, e poi l'assalì trattenendo il fiato. Il mostro si avvolse attorno ai suoi piedi, nel tentativo di farlo inciampare. Invano Eracle si accanì con la clava: non appena gli riusciva di spaccare una delle teste dell'Idra, subito ne rinascevano due o tre altre per sostituirla.
Un enorme granchio emerse allora dalla palude per aiutare l'Idra e si attaccò al piede di Eracle; schiacciando violentemente il guscio del granchio sotto il tallone, Eracle gridò per invocare il soccorso di Iolao. Iolao diede fuoco a un lembo di bosco e poi, per impedire che nuove teste rispuntassero sul corpo dell'Idra, ne cauterizzava la radice con rami infuocati.
Usando una spada o un falcetto, Eracle tagliò allora la testa immortale e la seppellì, ancor sibilante, sotto un pesante masso ai margini della strada che conduceva a Elea. Poi squartò la carcassa e immerse la punta delle sue frecce nella bile del mostro. Da quel giorno la minima scalfitura prodotta da tali frecce fu sempre fatale.
Per ricompensare il granchio dei suoi servigi, Era lo pose nella costellazione del Cancro che brilla in cielo vicino a quella dell'Idra. Euristeo dichiarò che quella Fatica non era stata compiuta a dovere, perché Iolao aveva aiutato Eracle con i suoi rami infuocati.

Ieromnene

Ieromneme è un personaggio della mitologia greca, figlia del fiume Simoenta. È la sposa di Assaraco e la madre di Capi (dunque la bisnonna di Enea).

Ifeo

Ifeo, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Ifeo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Ifi (mitologia)

Ifi è il nome di quattro personaggi diversi della mitologia greca.

Uno dei miti

Ifi si innamorò perdutamente della bella Anassarete. La donna, famosa per la sua freddezza, non ricambiò mai il sentimento di lui, ma anzi lo trattò quasi malamente, nonostante le gentilezze e le cortesie che egli gli riservava. Disperato Ifi decise di suicidarsi con la speranza che il suo gesto estremo avesse potuto abbattere la freddezza dell'amata, ma ella si dimostrò fredda anche in questa circostanza.

Secondo il mito, che viene narrato da Ovidio ne Le metamorfosi, la dea Afrodite, che aveva assistito a tutta la vicenda, decise di trasformare la ragazza in una statua di pietra, così come di pietra era il suo cuore.

Ifianassa

Nella mitologia greca, Ifianassa era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Con tale nome ritroviamo:

* Ifianassa, figlia di Agamennone e di Clitemnestra chiamata anche Ifigenia
* Ifianassa, la figlia di Preto
* Ifianassa, la moglie di Endimione che da lui ebbe Etolo.

Ifianassa (Preto)

Nella mitologia greca, Ifianassa era il nome di una delle figlie di Preto il re di Argo ed in seguito fu sovrano di Tirinto e e di Stenebea.

Aveva due sorelle, Lisippe ed Ifinoe insieme venivano chiamate le Pretidi.

Di lei e delle sue sorelle si racconta in occasione dell'incontro con Melampo. Le tre sorelle erano uscite di senno e il loro padre disperato fino a quando Melampo, il primo medico come citato nei racconti, venne nel suo paese, incontratele riuscì a guarirle. Ifianassa andò in sposa al medico da cui ebbe un figlio, Abante.

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Ificle

Figlio di Anfitrione e di Alcmena, fratello gemello di Eracle il cui padre però era Zeus. Anfitrione riconobbe Ificle come suo figlio mortale, e non figlio di Zeus, allorché Era mandò due prodigiosi serpenti nella casa di Anfitrione, con l'ordine di uccidere Eracle. I gemelli si destarono e videro i serpenti inarcarsi dinanzi a loro. Ificle strillò, gettò via le coperte scalciando e nel tentativo di fuggire cadde dalla culla. Anfitrione balzò dal letto e accorse nella camera dei bambini; Eracle, che non aveva lanciato nemmeno un gemito, gli mostrò i serpenti che egli stava strangolando, uo per mano. Altri dicono che i serpenti erano innocui e posti nella culla da Anfitrione stesso che voleva sapere quale dei due gemelli fosse suo figlio, e lo seppe.
Ificle era il padre dell'auriga di Eracle, Iolao, che ebbe da Automedusa, figlia di Alcatoo re di Megara. Egli più tardi accompagnò Eracle in alcune delle sue fatiche. Lottò al suo fianco contro Ergino re di Orcomeno, e la vittoria sui Mini gli valse, come ricompensa, da parte del re Creonte, il privilegio di sposare la più giovane delle sue figlie, mentre Eracle sposò la maggiore, Megara. Per questo matrimonio, Ificle dovette abbandonare la sua prima moglie Automedusa. Quando Era, seccata dai successi di Eracle, lo fece impazzire, l'eroe uccise sei dei figli avuti da Megara e due figli di Ificle. Questi riuscì a sottrarre al massacro il figlio maggiore Iolao insieme con la stessa Megara. Prese parte, con i migliori guerrieri delle città vicine, alla caccia al cinghiale calidonio che Artemide, offesa per essere stata esclusa da re Eneo dai sacrifici annuali ai dodici dèi dell'Olimpo, mandò contro il paese di Calidone a uccidere il bestiame e i servi di Eneo e a distruggere i campi coltivati. Ificle fu il primo a colpire l'animale, che venne poi ucciso da Meleagro. Aiutò Eracle nella sua spedizione contro Troia, che portò alla conquista della città e all'uccisione del re Laomedonte con i figli, fuorché Podarce (quello che doveva regnare con il nome di Priamo). Nella guerra contro Sparta, Eracle massacrò Ippocoonte e i suoi figli e restituì il regno a Tindaro, ma, nel corso della battaglia decisiva, Ificle morì. Altra tradizione racconta invece che nella guerra contro Augia, Eracle cadde ammalato e i Molionidi, Eurito e Cteato, misero in rotta il suo esercito; Ificle fu ferito mortalmente e venne condotto a morire a Feneo in Arcadia, dove gli furono più tardi tributati gli onori dovuti a un eroe.

Ificlo

Ificlo (o Ificle) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Anfitrione e Alcmena, e gemello, per parte di madre, di Eracle.

Un giorno Alcmena vide nelle sembianze del marito partito per la guerra Zeus, e fu da lui sedotta, dopo essersi trasformata in un ircocervo, animale sacro a Pallade. La dea infuriata dall'evidente ingiuria volle spedire direttamente Alcmena nell'Ade, ma Zeus, disperato, intraprese un lungo viaggio e riusci a riportarla alla luce. Pertanto il suo mito si intreccia con quello di Orfeo, di Admeto e di Antenore. La vicenda pare fosse ricordata nella perduta tragedia di Sofocle "Alcmena Argonica". Dal loro amore Alcmena concepì Eracle. Quando il vero Anfitrione tornò dalla guerra amò Alcmena e la ingravidò di Ificlo, che nacque durante lo stesso parto insieme ad Eracle.

Fra le sue gesta si ricordano in particolare la caccia al Cinghiale caledonio, che devastava le terre del re Oeneo, e la spedizione contro i Moloni al fianco del fratello, durante la quale però rimase ucciso.

Ifidamante (Antenore)

Ifidamante è un personaggio dell'Iliade.

Ifidamante era uno dei numerosi figli di Antenore e di Teano, il più giovane e il più bello. Fu anche un valoroso eroe che prese parte alla guerra di Troia. Era molto legato al fratello Coone, il primogenito di Antenore.

La morte

Ifidamante e Coone furono entrambi uccisi da Agamennone. Egli prima colpì con la spada al collo Ifidamante e poi Coone, che l'aveva ferito ad un braccio per cercare di vendicare la morte del fratello ucciso. Agamennone colpì allora Coone con la spada al petto e poi gli troncò la testa che rimase sul corpo del fratello, a mo' di orrendo spregio verso i Troiani.

Ifigenia (mitologia)

Ifigenia è un personaggio della mitologia greca, figlia di Agamennone e di Clitemnestra.

Agamennone, comandante dell'esercito greco, ha radunato la flotta sulle coste della Beozia, presso la città di Aulide, prima di partire per la Guerra di Troia. La flotta però è trattenuta a terra da forti tempeste che la dea Artemide provoca nel mare che bagna la città. Tempo prima l'Atride Agamennone aveva osato uccidere una cerva con un dardo, rivolgendosi poi alla dea Artemide con arroganza e scatenando così la sua vendetta. Per permettere ad Agamennone e a tutti i Danai la partenza per Troia, l'indovino Calcante consiglia al re di immolare sua figlia Ifigenia alla dea per placare la sua ira.

Inizialmente Agamennone rifiuta il sacrificio, ma sotto le pressioni di Menelao e Ulisse, finalmente cede. Egli inventa allora uno stratagemma per attirare Ifigenia ad Aulide: fa dire a Clitemnestra che Achille si rifiuterebbe di partire in guerra se prima non gli fosse accordata la mano di Ifigenia. Una volta nel campo acheo, Clitennestra, Oreste e Ifigenia apprendono il destino funesto che è riservato a quest'ultima. Ifigenia è però cosciente della necessità del sacrificio per il bene della Grecia ed accetta di morire per un fine superiore. Al momento della messa a morte, Artemide l'avrebbe sostituita (secondo alcune fonti) con una cerbiatta, con il fine di salvaguardarla dalla follia degli uomini e per farla sacerdotessa del suo tempio in Tauride. Al contrario di sua figlia, Clitemnestra non perdonerà Agamennone e si vendicherà uccidendolo al suo rientro dalla Guerra di Troia.

Trasportata in Tauride dopo il sacrificio mancato, Ifigenia diventa sacerdotessa del tempio di Artemide Tauropolos, con il compito di sacrificare ogni straniero che approdi nella regione. Anni dopo, suo fratello Oreste e l'amico Pilade arrivano in Tauride, in cerca della statua di Artemide, come gli era stato comandato dall'oracolo di Delfi. Ifigenia però riconosce suo fratello e lo risparmia, inscenando un finto sacrificio[7]. I tre, in possesso della statua, scappano in Grecia, protetti dalla dea Atena.

Col termine proteleia si indicava la data in cui le figlie femmine (ossia vergini) venivano accompagnate dai genitori sull'acropoli per celebrare un sacrificio alla dea Artemide (o ad altre divinità femminili), generalmente in vista del loro matrimonio. Con lo stesso termine Euripide traduce solo il rito sacrificale. Il sacrificio consisteva spesso in un oggetto personale, un giocattolo oppure una ciocca di capelli, a rappresentare il vecchio modo di vita (la fanciullezza) lasciato in quel momento alle spalle.
Il parallelismo con il mito di Ifigenia è evidente: Ifigenia è allo stesso tempo figlia obbediente, disposta a sacrificarsi secondo il volere del padre, e sacerdotessa di un culto che segue durante le tappe della crescita tutte le bambine figlie devote, donne, madri e spose. In Ifigenia si riflette quindi il mito della fanciulla che rimane vergine, malgrado il tentativo di ucciderla (il sacrificio va inteso come morte della fanciulla a favore della donna adulta, matura e quindi pronta ad essere data in sposa ad un uomo). Anche la figura paterna che si confonde con quella del sacrificatore è importante: la ragazza che va in sposa smette di essere sotto la tutela del padre per passare sotto quella del marito. Il padre, partecipando al sacrificio, accetta questa condizione.

«In molti paesi dell’Attica, a Brauron come a Munichia, per rappresentare il superamento della condizione dell’infanzia ci si serve del motivo del “sacrificio della figlia” che riprende il modello universale della morte iniziatica. Ifigenia, con una tomba a Brauron e una a Megara, e un mito che ne fa la figlia da sacrificare in Aulide, funge da prototipo per le ragazze che compiono il rito di passaggio».

Ifimedia

Figlia di Triope e moglie di Aloeo da cui ebbe tre figli, due maschi, chiamati gli Aloadi, Efialte e Oto, e una figlia, Pancrati.
Innamoratasi di Poseidone, Ifimedia soleva sdraiarsi sulla riva del mare, raccogliendo l'acqua delle onde nel concavo delle mani e versandosela in grembo; rimase così incinta. Efialte e Oto furono tuttavia chiamati gli Aloadi perché in seguito Ifimedia sposò Aloeo, che era stato fatto re di Asopia in Boezia da suo padre Elio.
Un giorno, mentre Ifimedia e la figlia erano intente a celebrare il culto di Dioniso sul monte Drio, in Acaia, furono rapite da due pirati traci dell'isola di Nasso. I due, chiamati Scelli e Cassameno, oppure Sicelo ed Egetoro, si batterono per il possesso della bellissima Pancrati e nel duello morirono entrambi. Così Pancrati passò al re dei Traci di Nasso, Agassameno, e Ifimedia fu data ad uno degli amici del re. Aloeo inviò i suoi due figli alla ricerca della loro sorella e della loro madre. Essi attaccarono l'isola di Nasso, da cui cacciarono i Traci che vi si erano stabiliti e regnarono sull'isola. Pancrati morì poco dopo la sua liberazione.

Ifinoe

Nella mitologia greca, Ifinoe era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ifinoe, una delle figlie di Preto il re di Argo ed in seguito fu sovrano di Tirinto e e di Stenebea, le sue due sorelle si chiamavano Lisippe ed Ifianassa. Insieme venivano chiamate le Pretidi.
* Ifinoe, una donna di Lemno che cercò di convincere Giasone e gli Argonauti a lasciare il luogo, fu inviata da Ipsipile.

Ifinoo

Nella mitologia greca, Ifinoo era il nome di un personaggio presente alla guerra di Troia, scoppiata a causa del rapimento di Elena, moglie di Menelao, da parte del principe troiano Paride. Il conflitto che ne derivò, destinato ad essere conosciuto ovunque, divenne uno degli argomenti più cantati e commemorati dagli aedi del tempo. Il decimo anno della guerra divenne oggetto delle attenzioni del poeta Omero, il quale sulla base degli eventi bellici di quell'anno egli estese il poema epico dell'Iliade.

Ifinoo, figlio di un certo Dessio, era un esperto guerriero acheo, il quale decise di abbandonare la sua patria per partire alla volta della Troade, unendosi alle truppe degli Atridi Agamennone e Menelao, i quali avevano riunito una considerevole flotta per vendicare il ratto della moglie di quest'ultimo.

La morte

Il giovane guerriero si cimentò in battaglia, ma non viene mai ricordato nei poemi epici, se non in pochi versi del poema di Omero.
Nel libro VII dell'Iliade, Ifinoo appare come un guerriero che combatte dal proprio un cocchio, nei punti in cui la mischia e la guerra è più intensa e selvaggia. Proprio mentre cerca di colpire e assassinare, scagliandosi con il suo carro da guerra, egli viene però colpito da una lancia, sopra la spalla, per mano dell'eroe avversario Glauco, il capo licio che decise di schierarsi col suo esercito dalla parte dei Troiani.

Ferito a morte, Ifinoo allentò la presa dei suoi destrieri e cadde senza vita dal cocchio.

Ifito

Nella mitologia greca, ifito era il nome di diversi personaggi, fra cui:

* Ifito, figlio di Eurito
* Ifito, l'Argonauta.

Ifito figlio di Eurtito


Eracle, in cerca di una donna come sposa, sapeva che Eurito, aveva promesso di dare in sposa la figlia Iole a chi lo avesse battuto in una gara di tiro con l'arco, arte insegnatagli da Apollo in persona. Eracle vinse facilmente la gara, ma Eurito, sapendo la fine fatta dalla precedente moglie dell'eroe, prese coraggio e lo affrontò, adducendo un comportamento scorretto tenuto da Eracle durante la gara. Questi, non raccolse la provocazione e se ne andò.

Il furto misterioso


Quando Eurito scoprì che dalle sue stalle mancavano dodici giumente, sospettò subito Eracle quale autore del furto, e con lui tre dei suoi figli, Didedone Clizio e Tosseo. L'altro figlio Ifito, che non credeva alla colpevolezza di Eracle, fu inviato alla ricerca degli animali. In realtà le giumente non erano state rubate da Ercole, bensì da Autolico, il principe dei ladri, che poi le aveva rivendute ad Eracle, ignaro del furto.

La morte

Quando Ifito giunse a Tirinto, trovò Eracle e gli chiese consiglio. L'eroe gli offrì il suo aiuto, dandogli anche ospitalità. Dopo un banchetto condusse Ifito in cima alla torre più alta di tutta Tirinto e gli chiese: "Guardati pure intorno, e dimmi se vedi le tue giumente pascolare qui sotto, da qualche parte."

Ifito scrutò inutilmente e ammise di non scorgerle. Per tutta risposta Eracle si infuriò, accusandolo di aver pensato che fosse un ladro e lo afferrò per scaraventarlo giù dalla torre.

Eracle faticò molto per farsi purificare per tale omicidio e anche i figli di Ippocoonte non vollero per rispetto a Ifito. In seguito Hermes, per punizione, decise di vendere Eracle come un misero schiavo, offrendo il compenso ai figli di Ifito, ma il loro nonno rifiutò tale dono.

Igea

Dea greca della salute, figlia di Asclepio e di Lampezia. Ha due sorelle, Panacea e Iaso, e due fratelli, Macaone e Podalirio. Di solito veniva rappresentata come una florida donna con una tazza in una mano, e nell'altra un serpente dalla testa rivolta all'interno della coppa. Il suo culto era associato a quello del padre e di Pamacea. Venne introdotto nel II secolo a.C. in Roma, dove ebbe i nomi di Salus e Valetudo.

Ila (mitologia)

Ila è personaggio minore della mitologia greca, la cui storia si intreccia con quella di Eracle e degli Argonauti.

Eracle si invaghì della sua bellezza e lo rapì dopo aver ucciso suo padre Teiomadante, re dei Driopi. Ila divenne quindi l'amante omosessuale e lo scudiero di Eracle, accompagnandolo ovunque.

Insieme si imbarcarono con Giasone per accompagnarlo alla ricerca del vello d'oro. Durante una sosta a Misia, Ila scese dalla nave con Eracle e si allontanò in cerca di una fonte d'acqua dolce.
Quando le ninfe della fonte, che stavano danzando attorno alla sorgente, videro arrivare Ila se ne innamorarono immediatamente. Nel momento in cui Ila si chinò per prendere l'acqua, una delle ninfe lo prese e lo tirò verso l'acqua per baciarlo, trascinandolo poi nel fiume con loro.
Eracle udì le grida di Ila mentre veniva trascinato in acqua e si mise a cercarlo disperatamente, temendo che fosse stato assalito da qualche ladro. Era così intento nella ricerca che lasciò che gli Argonauti ripartissero senza di loro. Ma di Ila non si vide più traccia.

Ilia di Troia

Ilia nella mitologia greca è figlia di Priamo, re di Troia, e sposa di Idamante, re di Creta.

Iliona

Nella mitologia greca, Iliona era il nome di uno delle figlie di Ecuba e Priamo.

Polimestore, re della Tracia ebbe in moglie Iliona. Alla donna gli fu affidato anche uno dei suoi fratelli, Polidoro. Nel frattempo era scoppiata la guerra di Troia. Iliona aveva avuto dal marito un figlio, Deipilo che negli anni era diventato un ragazzino. La donna, temendo l'agire di suo marito decise di scambiare suo figlio con suo fratello. Polimestore dopo aver stretto patti con Agamennone decise di uccidere Polidoro ma alla fine uccise il loro figlio Deipilo. Iliona alla fine uccise il proprio marito, anche se un'altra versione vede Polidoro come assassino.

In seguito Iliona vedendo le continue disgrazie che ricadevano sui suoi parenti che tanto amava decise di uccidersi.

Ilioneo

Nella mitologia greca, Ilioneo era il nome di un personaggio presente nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Ilioneo era un soldato dell’esercito troiano, figlio di Forbante uomo caro grazie alle sue greggi al dio messaggero Hermes, che in vita gli diede quanto potesse offrirgli, ma che ebbe un unico figlio, Ilioneo appunto. Il ragazzo cresciuto voleva distinguersi in battaglia e durante una di esse si trovò coinvolto nel confronto fra Acamante e Peneleo, finendo per essere vittima di quest’ultimo. Infatti Penelèo, non essendo riuscito ad uccidere Acamante che gli aveva ucciso il compagno di guerra Promaco, si scagliò allora su Ilioneo e gli gettò in viso la lancia, uccidendolo: non contento, il re acheo balzò sul cadavere, e lasciando l'asta infissa nella faccia gli troncò dal collo la testa che cadde a terra. Infine la raccolse sanguinante e la issò in cima alla punta della sua lancia mostrandola ai Troiani ed aggiungendo parole di oltraggioso scherno come a deriderli nel vederli sgomenti per l'orrore manifesto. Omero paragona quest'immagine con quella di un papavero con il fiore sbocciato in cima al gambo.

Fortuna dell'episodio

Nell’ Iliade il paragone col fiore del papavero è ripresa in più scene. Nell' Eneide di Virgilio due coppie di giovani guerrieri troiani subiranno la stessa sorte di Ilioneo; i fratelli Amico e Diore uccisi per mano di Turno, che dopo aver tagliato le teste ai cadaveri le appende al loro carro, rubandolo; e i due amici Eurialo e Niso, che dopo essere stati uccisi dai Rutuli di Volcente (caduto anch'egli nello scontro), avranno le teste recise e issate su lance per poi essere deposte davanti alle fortificazioni del campo troiano, in segno di derisione.

Ilizia

Figlia di Zeus e di Era, e sorella di Ebe, d'Ares e di Efesto. Presso gli antichi Greci era la dea che presiedeva all'evento del parto. Era in stretto rapporto con Artemide, che talvolta veniva chiamata essa stessa Ilizia, con Afrodite e con Demetra, considerate sotto l'aspetto di dee della maternità, e soprattutto con Era, che veniva invocata anch'essa come protettrice delle partorienti; nell'Iliade si parla delle Ilizie, personificazioni delle doglie del parto, che Era, loro madre, manda a suo arbitrio in terra.
Fedele serva della madre, l'aiuta nei suoi odi. Quando Latona era incinta dei due gemelli divini, Era, ingelositasi, cercò di tenere lontana Ilizia e incaricò il serpente Pitone di inseguire Latona, e decretò che essa non avrebbe potuto partorire in alcun luogo dove brillasse il Sole. Sulle ali del Vento del Sud, Latona giunse infine a Ortigia presso Delo. Tutte le dee erano accorse ad assistere Latona partoriente, ma l'assenza di Ilizia impediva il compimento dell'evento. Iride allora fu inviata sull'Olimpo come messaggera dalle dee: promettendo a Ilizia una collana d'oro e d'ambra la convinse ad assistere l'infelice. Così Latona mise alla luce Artemide, che appena nata aiutò sua madre ad attraversare lo stretto e a Delo, tra un olivo e una palma da datteri che crescevano sulle pendici settentrionali del monte Cinto, Latona partorì Apollo dopo nove giorni di travaglio.
Era cercò anche di ritardare la nascita di Eracle, facendo sedere Ilizia davanti alla porta di Alcmena con le gambe, le braccia e le dita incrociate; la fedele serva di Alcmena, Galantide, o Galena, lasciò la camera del parto per annunciare, mentendo, che Alcmena si era sgravata. Quando Ilizia balzò in piedi stupita, allargando le dita e raddrizzando le ginocchia, Eracle nacque e Galantide rise per la buona riuscita del suo inganno.
Dei molti luoghi sacri in cui Ilizia era venerata, si ricordano quelli più antichi di Creta e di Delo. Era rappresentata come una donna velata dalla testa ai piedi, con una fiaccola in mano. I Romani la identificarono con Juno Lucina.

Illo

Illo è un nome comune a diversi personaggi della mitologia greca

* un figlio di Eracle e di Deianira (o forse di Onfale o di Melite)

* un guerriero arcade nell'Eneide

Illo figlio di Eracle


Illo figlio di Eracle sposò Iole, obbligato dal giuramento fatto al padre in punto di morte. Fu perseguitato e inseguito come tutti gli eraclidi da Euristeo fino ad Atene, dove il re venne respinto e costretto alla fuga. A quel punto, Illo lo inseguì e gli tagliò la testa, facendone dono alla nonna Alcmena. Stabilitosi a Tebe e sposata Iole, sull'istmo di Corinto rimase ucciso in un duello con Echemo, re di Tegea. Nel suo mito, che presenta molte varianti, sono raffigurate le migrazioni delle tribù doriche.

Un'altra tradizione indica Illo come figlio di Eracle e Melite e che la sua nascita avvenne sull'isola dei Feaci. Divenuto adulto si trasferi sul continente, dove venne ucciso dai Mentori per una lite sul bestiame.

Illo è l'eponimo degli Illei, popolazione della Dalmazia.

Illo l'arcade

Illo l'arcade, alleato di Enea nella guerra tra troiani e italici, muore ucciso da Turno.

Ilo (mitologia)

Nella mitologia greca, Ilo era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ilo, figlio di Dardano e di Bateia la figlia di Teucro. Si racconta di lui come fratello di Erittonio e del fatto che alla sua morta non avesse lasciato alcun erede.[1]
* Ilo, figlio di Troo e di Calliroe, il fondatore di Troia
* Ilo, figlio di Mermero

Imbrio

Nella mitologia greca, Imbrio era il nome del figlio di Mentore che prese parte alla guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra viene raccontata da Omero nell'Iliade.

Imbrio viveva tranquillamente a Pedeo con sua moglie Medesicaste, una delle tante figlie che Priamo ebbe al di fuori del matrimonio con Ecuba. Quando scoppiò la guerra si stabilì presso il re troiano vivendo nella sua casa e venendo trattato alla stregua di un figlio. Abile guerriero in tutte le arti di guerra, combatté con valore per la difesa della città. In una delle tante battaglie affrontò Teucro dall'infallibile arco, e fu da questi ucciso con una freccia. Ettore, per vendicarlo, uccise Anfimaco; Aiace d'Oileo, per vendicare a sua volta quell'uccisione, recise il capo al cadavere di Imbrio e in segno di disprezzo gli diede un calcio, facendolo volare tra i combattenti greci e troiani che si affrontavano; la testa, una volta ricaduta al suolo, si fermò ai piedi di Ettore, mentre l'eroe era intento a contrastare altri nemici.

Imbro (mitologia)

Imbro è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Evippe, una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Imene (mitologia)

Imene è un personaggio della mitologia greca.

Era figlio di Apollo e di una musa, o forse della dea Afrodite.

Nella tradizione greca, Imene camminava alla testa di ogni corteo nuziale, e proteggeva il rito del matrimonio.

Si narra che fosse un giovane di una fulgida bellezza.

Durante un'aggressione di pirati, le ragazze di Atene furono rapite, e assieme a loro vi era un solo maschio, Imene, che era stato scambiato per una femmina. Riuscì nell'impresa di liberare le donne e di sgominare i malviventi.

Secondo il mito, Imene perse la voce (o la vita) durante le nozze di Dioniso.

Immortali nella mitologia greca

Numerosi personaggi mortali, nella mitologia greca, venne resi immortali per volontà degli dèi, in seguito alla loro buona condotta e per la loro fedeltà alle divinità.

Elenco degli immortali

Achille

Teti, sua madre, volle renderlo immortale sin dalla nascita, ma venne fermata da Peleo. Si afferma che nell'Aldilà, egli sposò Ifigenia o Elena e visse con una di loro nell'Isola Bianca. Secondo altre versioni sposò Medea e visse con lei nelle Isole dei Beati.
* Isola Bianca

Alcesti

Morta per salvare il marito, venne resuscitata dalla morte per decisione di Persefone.

Andromeda

Moglie di Perseo, divenne immortale in seguito alla sua trasformazione in costellazione.

Arianna

Figlia di Minosse, re di Creta, venne resa immortale alla sua morte, sebbene alcune tradizioni riferiscono che ella morì.

Asclepio

Nato immortale, secondo alcune tradizioni, tuttavia, Asclepio venne ucciso da Zeus con un fulmine.

Callisto

Divenne immortale, trasformatasi in stella, ma in altre leggende elle venne uccisa da Artemide.

Capaneo

Capaneo era uno dei Sette contro Tebe; Zeus lo uccise con un fulmine mentre tentava di risalire su una scala le mura di Tebe. Venne resuscitato da Asclepio e reso immortale.

Circe

Unanimente considerata immortale essendo figlia del dio Helios e Perse.

Demofoonte

Demetra cercò di renderlo immortale immergendolo nelle fiamme, ma egli vi morì consumato.

Deucalione


L'uomo che sopravvisse al diluvio; egli divenne probabilmente immortale una volta assunto tra le stelle.

Dioscuri

Inizialmente solo Polluce era nato mortale; una volta morto Castore, questi pregò il padre Zeus di morire al suo posto, ma gli dèi preferirono accoglierli entrambi tra gli immortali.

Edited by demon quaid - 27/12/2014, 14:11
 
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view post Posted on 15/9/2010, 10:01     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Imeneo

Dio greco del matrimonio, figlio di Apollo e di una Musa (Calliope, Clio o Urania), o di Magnete e Calliope, oppure di Dioniso e Afrodite; fratello di Ialemo (eponimo del canto lugubre) e di Orfeo.
Amato da Apollo, da Espero, da Tamiri, era amico e compagno di Eros, dio dell'amore. In Atene si narrava una leggenda secondo la quale Imeneo, bellissimo giovane ateniese, amava, benché fosse di modesta condizione, una nobile giovane ateniese e, non sperando di poterla mai sposare, la seguiva ovunque, di lontano. Era la sola soddisfazione che poteva permettersi. Un giorno, le nobili ragazze andarono ad Eleusi a fare sacrifici a Demetra, ma vennero rapite dai pirati, e con loro Imeneo, ch'essi avevano scambiato per una donna. I pirati, dopo una lunga traversata, approdarono su una spiaggia deserta e, affaticati, si addormentarono. Durante il sonno, Imeneo li uccise e mise le ragazze al sicuro, poi tornò ad Atene per proporre di restituire le giovani rapite a patto che gli fosse concesso di sposare la fanciulla ch'egli amava. La proposta venne accolta, le giovani furono restituite alle loro famiglie e Imeneo potè coronare il suo sogno d'amore. Il matrimonio fu così felice che il giovane cominciò ad essere invocato dagli sposi di Atene.
Una leggenda narrava che Imeneo, durante le nozze di Arianna e Dioniso, perse improvvisamente la voce mentre cantava. In ricordo, ogni matrimonio aveva il suo "canto d'Imeneo". In un altro matrimonio, le nozze di Dioniso e Altea, Imeneo morì improvvisamente durante la cerimonia, mentre allietava col suo canto la festa nuziale. Da allora veniva invocato in occasione di tutti i matrimoni.
Imeneo era rappresentato come un adolescente bellissimo, con in mano la fiaccola nuziale. Ad Argo era oggetto di culto.

Inaco

Nella mitologia greca Inaco (in greco Ἴναχος) è re di Argo e divinità fluviale. Inaco sarebbe il fiume che dalle montagne del Pindo scorreva (e scorre tutt'ora, sebbene sia un fiume a rischio di prosciugamento) fino a gettarsi nell'Acheloo. Un altro fiume, sempre di nome Inaco, scorreva invece nell'Argolide. La considerazione che si tratti nei due luoghi dello stesso fiume è riportata da Strabone, e la citazione dell'opera Inaco di Sofocle costituisce il fr.271 Radt. Pearson riporta il monte Lacmo (da cui ha origine l'Inaco epirota) si trova a Nord Est dell'Epiro; da lì sorge l' Inaco, scavando una lunga valle che corre verso Sud, parallela al Pindo (catena di monti tra la Tessaglia e l’Epiro). Scorre attraverso le alte terre dei Perrebi (una tribù epirota). Taglia il territorio dell'Argo d'Anfilochia e infine, al confine con l'Acarnania, si getta nell'Acheloo, che, sorgendo anch'esso, come l'Inaco, sul monte Lacmo, divide l'Acarnania dall'Etolia. L'Inaco Argivo sorge invece nelle alture tra l'Argolide e l'Arcadia, di cui una parte era chiamata Artemysion ed un'altra Lyrceion. L'Inaco argivo scorre attraverso la regione della città di Lyrceia (all'incirca 70 km a nord ovest di Argo). (fonte: "the Fragments of Sophocles", Di Pearson)

Inaco era il padre di Io, la giovane fanciulla amata da Zeus, trasformata in mucca a causa della gelosia di Era. Secondo la leggenda (riportata da diversi autori, seppur in maniera incidentale, quali Pindaro, Simonide, Pausania) Inaco, impazzito di rabbia alla trasformazione della figlia, maledisse Zeus e fu per questo da lui trasformato in un fiume. Sulla trasformazione di Io esistono due versioni nella mitologia greca, una che sembra risalire a Erodoto, l'altra ripresa da Eschilo nelle Supplici.

Secondo la versione erodotea, che è poi probabilmente anche quella considerata nell'Inaco di Sofocle, è Zeus stesso a trasformare Io per rendere Era innocua. La dea però chiede in dono la giovenca e vi pose Argo come guardiano. Altrimenti, nella versione delle Supplici, fu Era a trasformare Io in giovenca per gelosia e Zeus si unì a lei in forma di toro. Ugualmente Argo fu posto da Era come suo guardiano.

Hermes, inviato da Zeus, riuscì ad uccidere Argo (nell'Inaco di Sofocle indossando il cappello dell'invisibilità di Ade, altrimenti anche con un flauto che avrebbe fatto addormentare il cent'occhi, nella versione di Bacchilide), ed Era allora fece tormentare Io da un tafano che la costrinse a lunghe dolorose peregrinazioni (che lei stessa racconta a Prometeo nel Prometeo Incatenato di Eschilo) fino alle sponde del Nilo, in Egitto, dove diede alla luce Epafo (lett: generato dal tocco di Zeus, epafé), progenitore della stirpe degli Egizi da cui discendono le stesse Danaidi e infine anche Eracle.

Letteratura

Inaco è il protagonista di un dramma satiresco (o tragedia, non è ancora del tutto chiaro agli studiosi) di Sofocle intitolato esattamente Inaco, del quale si hanno diverse citazioni indirette di altri autori (26, recensite e raccolte nell'ultima edizione da Radt) e due papiri (uno proveniente da Ossirinco, P.Oxy 2369, l'altro da Tebtynis, il P.Tebt. 692). Ciò che rende particolarmente interessante lo studio di quest'opera è la difficile collocazione "generica" del dramma. Dalla fine del secolo XVIII classicisti di tutta Europa si sono cimentati nella questione dell'incerta collocazione dell' Inaco tra i generi letterari teatrali.

Fu Hemsterhuys, nel commento al Pluto di Aristofane pubblicato nel 1811, a suggerire per primo che l'opera (allora nota solo in base ai frammenti indiretti) fosse da considerarsi un dramma satiresco. Contro di lui si levarono le voci altrettanto autorevoli di Bergk nel 1844 e Wilamowitz nel 1889 . Nel '900 la querelle ha interessato molti studiosi, e dall'apparizione ed edizione dei due frammenti papiracei l'ipotesi di una attribuzione "satiresca" è stata in qualche modo confermata e rinforzata, nonostante manchino ancora prove testuali che risolvano la questione al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ino

Ino nella mitologia greca, era figlia di Cadmo e di Armonia.

Ino fu la seconda moglie di Atamante. Dalla loro unione nacquero Learco e Melicerte. Atamante aveva avuto da Nefele altri due figli, Frisso ed Elle, che Ino odiava e di cui voleva liberarsi. Convinse allora le donne del paese a mettere nel forno i semi di grano conservati per la semina successiva, facendo in modo che quando vennero seminati, non fiorirono, gettando il paese nella carestia. Atamante inviò i suoi messaggeri all'oracolo di Delfi per chiedere cosa avrebbe dovuto fare per risolvere la situazione, ma Ino li pagò perché gli riferissero che doveva sacrificare Frisso sull'altare di Zeus. Atamante fu costretto ad acconsentire, ma Frisso ed Elle, chiedendo aiuto alla loro madre Nefele, fuggirono in groppa ad un ariete dal vello d'oro che ella aveva inviato loro.

Dopo la morte della sorella Semele, madre di Dioniso, Ino persuase Atamante ad allevare il piccolo dio, nato dall'unione della sorella di Ino con Zeus. Era, per vendicarsi del tradimento fece impazzire Atamante: questi, incontrando la moglie con i figli, li scambiò per dei cervi e li assalì, uccidendo Learco gettandolo contro uno scoglio e lanciando Melicerte in mare. Ino, per cercare di salvare almeno quest'ultimo, si gettà a sua volta in mare, e per volere di Afrodite (madre di Armonia e quindi nonna di Ino) i due vennero trasformati in divinità marine protettrici dei marinai: Leucotea, la «dea bianca» o la «dea del cielo coperto di neve», e Palemone.

La difficoltà e l'interesse dell'attribuzione "generica" dell'opera risiedono anche nelle profonde lacune che abbiamo nella conoscenza dei caratteri del dramma satiresco, di cui ci sono rimaste pochissime opere, per lo più frammentarie (ad eccezione del solo Ciclope di Euripide). Nonostante sia condiviso il riconoscimento dell'esistenza e dell'importanza del dramma satiresco all'interno delle tetralogie tragiche, poco si può affermare con assoluta certezza rispetto a quest'ultime.

Io (mitologia)

Nella mitologia greca Io è una sacerdotessa di Era, figlia di Inaco, re di Argo.

Zeus si innamorò di Io e, temendo la gelosia di Era, quando la andava a trovare la nascondeva in una nuvola dorata.

Era, accortasi del sotterfugio, trasformò la giovane in una giovenca, ma Zeus continuò a vederla trasformandosi in toro. Allora la dea decise di farla sorvegliare da Argo, il gigante dai cento occhi.

Ermes, incaricato da Zeus, addormentò Argo e lo uccise, liberando la giovenca. In seguito Era mandò un tafano a pungere Io, che cominciò a correre per tutta la Grecia per sfuggire all'animale.

Arrivata al braccio di mare tra Europa e Asia, attraversò a nuoto lo stretto, che così prese il nome di Bosforo.

Finalmente Io giunse in Egitto, dove partorì Epafo, riacquistando le fattezze umane.

Io viene spesso raffigurata come una giovane donna con in testa le corna della vacca. Per questo fu identificata con Iside e Hathor ed accostata alla Luna.

Iobate

Iobate nella mitologia greca è un mitico re della Licia, padre di Antea e Filonoe, personaggio della leggenda di Bellerofonte.

Il re di Tirinto Preto aveva inviato Bellerofonte in Licia alla corte di Iobate per recargli una missiva che in realtà conteneva la richiesta di ucciderne il suo portatore. Iobate, attenendosi alla legge della sua terra che impediva di uccidere gli ospiti di un convivio, offre la propria ospitalità a Bellerofonte salvandogli così la vita. Il rifiuto di uccidere Bellerofonte non impedisce tuttavia al re di Licia di chiedergli una missione altrettanto mortale e impossibile: uccidere la Chimera, il potente mostro dalla testa di leone, il corpo di capra, la coda di serpente e capace di sputare fuoco.

Protetto dalla dea Atena, che gli invia in soccorso il mitico cavallo alato Pegaso, Bellerofonte riesce nella mortale impresa e fa ritorno in Licia al cospetto di Iobate il quale, incredulo, concede a Bellerofonte la mano di sua figlia Filonoe. Questa, rifiutata da Bellerofonte, si suiciderà per la vergogna.

Iolao

Nella mitologia greca, Iolao (in greco Ίόλαος) fu il figlio di Ificle e pertanto nipote di Eracle.

Iolao ha fatto spesso da cocchiere ed accompagnatore di Eracle, e qualche volta gli autori (Plutarco, Euripide) si riferiscono a lui come all'amato pederastico (eromenos) di Eracle e di altri personaggi mitologici, come Ione, Antinoo, Asclepio. La propensione di Iolao a concedersi ad amori maschili nel mito, lo rese inadatto ad uno sviluppo letterario. In un frammento dello Pseudo-Senofonte egli viene definito "ladro dei talami intonsi".

Quando Eracle si trovò in difficoltà nell'uccisione dell'Idra di Lerna, che rigenerava delle sue nove teste man mano che venivano tagliate, Iolao gli permise di portare a termine l'impresa cauterizzando col fuoco ogni collo non appena Eracle ne decapitava la testa.

Eracle diede in sposa a Iolao la sua ex-moglie Megara quando la semplice vista di lei iniziò a causargli il ricordo doloroso del suo omicidio dei loro tre bambini.

Dopo che Deianira uccise inconsapevolmente Eracle, credendo che Eracle stesse avendo una relazione con Iole, fu Iolao ad accendere la pira funeraria di Eracle (nota: secondo una versione meno diffusa, a farlo fu invece Filottete).

Iole (mitologia)

Iole è una figura della mitologia greca, era figlia di Eurito, re di Tessaglia.

Venne rapita da Eracle e per causa sua l'eroe greco morì. La moglie di Eracle, Deianira, inviò ad Eracle una veste intrisa del sangue del centauro Nesso che avrebbe dovuto far sì che l'eroe non si innamorasse di altra donna che lei, ma che una volta indossate corrose le carni del figlio di Zeus fino a portarlo alla morte. Eracle impose al figlio Illo di andare sul colle dell'Eta, caro a Zeus, di fare una pira con legno di quercia e di porlo sopra di essa. Infine, prima di esalare l'ultimo respiro, fece promettere al figlio che avrebbe sposato la bellissima Iole.

Ione (mitologia)

Ione o Iono, una figura della mitologia greca, è il capostipite degli Ioni.

Si dice fosse figlio di Elleno, ma per altri fu suo nipote.
Probabilmente, poiché gli ioni, la prima stirpe ellenica ad invadere l'antica Grecia, si acclimatò al pantheon religioso delle popolazioni preelleniche, furono declassati a elleni della seconda generazione.

Un'altra leggenda però rende Ione non figlio di Xuto figlio di Elleno, ma figlio di Apollo e di Creusa, poi adottato da Xuto come primogenito, e quindi più grande di Doro e Acheo.

Ione è anche una delle Baccanali, ninfe del dio Bacco.

Ipeiroco

Ipeiroco, figura mitologica dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Ipeiroco fu ucciso da Ulisse in un'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle Gesta di Agamennone.

Iperenore

Nella mitologia greca, Iperenore era il nome di un abile guerriero di cui si racconta nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’Iliade

Iperenore, soldato dei troiani combatté proprio contro Menelao che più di ogni altro acheo aveva motivo per combattere questa guerra. Il soldato insultò l’avversario affermando che era il peggior combattente di tutti gli achei, ma venne colpito al ventre da cui sangue copioso sgorgo' quando Menelao ritrasse il bronzo dalla ferita.

Iperione

Figlio di Urano e di Gea; il suo nome significa "Colui che sta in alto", quindi una personificazione del Sole e come tale fu identificato da Omero e da altri poeti; in Esiodo è ben distinto dal Sole. Lo si trova poi come nome di uno dei Titani, che da sua sorella Teia generò il Sole (Elio), La Luna (Selene) e L'Aurora (Eos). Per Diodoro sarebbe stato il primo astronomo e perciò chiamato padre dei fenomeni celesti, con un'interpretazione evemeristica del mito.
Sulle coste della Sicilia Iperione, il Titano solare che taluni chiamano Elio, faceva pascolare sette splendide mandrie di cinquanta capi ciascuna e alcune greggi di pecore. Odisseo, dopo aver evitato le Rocce Vaganti, in vista della costa siciliana fece giurare ai suoi uomini che si sarebbero accontentati delle provviste fornite da Circe senza tentare di rubare il bestiame di Iperione. Poi sbarcarono, ma il Vento del Sud soffiò per tre giorni, le provviste stavano per esaurirsi e benché gli uomini si affannassero a cacciare e a pescare, non ebbero molto successo. Infine Euriloco, morso dalla fame, prese in disparte i compagni e li indusse a rubare qualche capo di bestiame; in compenso, disse, avrebbero eretto a Iperione uno splendido tempio non appena ritornati a Itaca. Attesero dunque che Odisseo si fosse addormentato, si impadronirono di alcune vacche, le sgozzarono, offrirono le ossa della coscia e il grasso agli dèi e arrostirono tanta carne quanta ne sarebbe bastata per banchettare sei giorni. Odisseo, destatosi, inorridì al vedere l'accaduto, e inorridì anche Iperione quando ebbe notizia del furto da Lampezia, sua figlia e capo mandriana. Si lagnò con Zeus il quale, visto che la nave di Odisseo aveva ripreso il mare, scatenò un'improvvisa tempesta. Il Vento dell'Ovest schiantò l'albero maestro e poi cadde una folgore in coperta. La nave si inabissò e tutti annegarono, fuorché Odisseo che riuscì a legare l'albero alla chiglia servendosi della rizza di cuoio, e montò a cavalcioni su quell'improvvisata zattera.

Ipermnestra

Ipermnestra (o Ipermestra), a volte identificata con Amimone, fu una figura della mitologia greca, figlia di Danao ed una delle 50 Danaidi.

Rifiutando di sposare i propri cugini, figli di Egitto, Ipermnestra, le sue sorelle e suo padre fuggirono ad Argo, dove però furono raggiunte da essi e costrette al matrimonio. In realtà, Ipermnestra accettò volentieri di sposare suo cugino Linceo, e quando Danao ordinò alle sue figlie di assassinare i mariti fu l'unica a non obbedire. In seguito Linceo vendicò i fratelli morti uccidendo tutte le Danaidi, eccettuata Ipermnestra.

L'etimologia del nome ci rimanda a Iper (in latino super) =al di sopra, moltissimo e Mnestron = matrimonio per cui Ipermnestra dovrebbe significare supersposa. La radice mne= memoria\ricordo rende ancora più suggestivo questo nome, alludendo alla importanza che la memoria e/o il ricordo hanno nel mantenimento del rapporto sponsale.

Il nome di Amimone, che significa "senza colpa", ricollega quest'altra figlia di Danao ad Ipermnestra, portando a credere che siano in realtà la stessa persona.

Ippalco

Ippalco è un personaggio della mitologia greca. È uno dei figli di Pelope e Ippodamia, ebbe come fratelli Atreo e Tieste. Fu uno degli Argonauti.

Ippalmo

Nella mitologia greca, Ippalmo è il nome di uno o più personaggi minori, non ben distinti l'uno dall'altro.

Ippalmo, secondo una tradizione, era uno dei numerosi figli nati da Pelope, il giovane e avvenente figlio di Tantalo, e Ippodamia. La sua leggenda è estremamente povera. Viene ricordato infatti solo in un elenco genealogico.
Ippalmo (o Ippalcimo) è il nome che si attribuisce generalmente al padre di Peneleo, il capo beota partecipanti alla guerra di Troia. Non si sa, tuttavia, se è da identificare nell'omonimo precedente.
Ippalmo è infine il nome di un guerriero acheo, il quale partecipò alla guerra di Troia, e venne ucciso nei combattimenti dall'Amazzone Pentesilea.

Ippaso

Nella mitologia greca, Ippaso (in greco Ἵππασος) era il figlio di Leucippe.

Quando la madre di Ippaso, Leucippe, impazzì per colpa di Dioniso, divinità infuriata dal comportamento della ragazza, lei insieme alle sorelle scambiandolo per un piccolo cerbiatto fecero a pezzi il piccolo figlio.

Ippocoonte

Ippocoonte è il nome di tre personaggi della mitologia greco-romana.

*
Il primo Ippococonte era il padre di Neleo, a sua volta figlio di Ebalo e Bateia.

Con l'ausilio dei figli usurpò il trono di Sparta ai fratellastri Icario e Tindaro. Eracle li sterminò e restituì il trono a Tindaro. Igino, invece, lo cita fra i partecipanti alla caccia al cinghiale di Calidone.

*
Il secondo Ippocoonte era un nobile giovane tracio, cugino e coetaneo del re Reso, di cui era anche consigliere. Seguì nella guerra di Troia l'illustre parente che aveva deciso di partecipare in aiuto del re Priamo, essendo i due popoli alleati da sempre. Sopravvisse al massacro notturno in cui Reso perì con dodici dei suoi uomini, e fu proprio lui a rinvenirne i cadaveri. Omero narrò questa vicenda nel decimo libro dell' Iliade.

* Il terzo Ippocoonte compare nel quinto libro dell' Eneide. Si tratta di un giovane troiano, figlio di Irtaco: Virgilio ne fa dunque un fratello o fratellastro di Asio e Niso. Egli è, insieme a Niso, tra i troiani che si uniscono a Enea nelle sue peregrinazioni in seguito alla caduta di Troia. Buon arciere, partecipa ai giochi funebri in onore di Anchise nella gara con le frecce.

Ippocrene

La "Fonte del Cavallo" che zampillava dal monte Elicona in Beozia, fatta scaturire da un calcio del cavallo Pegaso; consacrata alle Muse e ad Apollo, dava l'ispirazione poetica a coloro che bevevano delle sue acque. In vicinanza si trovava un bosco sacro alle Muse, adorno di magnifiche statue. Una leggenda narrava che cielo e stelle e fiumi si fossero fermati per assistere alla gara fra le Muse e le Pieridi (nove fanciulle, figlie di Piero re di Pella e di Evippa), e che il monte Elicona per la gioia avesse cominciato a innalzarsi verso il cielo e fosse stato fermato nell'ascesa, per ordine di Poseidone, dal cavallo Pegaso, battendo sulla cresta del monte coi suoi zoccoli di bronzo.
Si raccontava anche che, presso questa fonte, un giorno Atena e la ninfa Cariclo, madre di Tiresia, facevano il bagno; Tiresia, ancora ragazzo, cacciava sul monte quando, avvicinatosi alla fonte per bere, vide la dea tutta nuda. La dea immediatamente gli coprì gli occhi con le mani accecandolo. Per consolare Cariclo disperata per il castigo inflitto al figlio, Atena gli fece dono della profezia e disse che la sua fama sarebbe stata grande.
Pausania segnala anche a Trezene un'altra Fonte del Cavallo, che doveva pure la sua origine a Pegaso.

Ippodamante

Ippodamante è un giovane guerriero troiano nell' Iliade, citato nel ventesimo libro del poema.

Le origini

Ippodamante era l'auriga di Demoleonte. Questi era uno dei numerosi figli del vecchio troiano Antenore, amico del re Priamo. Omero tace invece il nome del padre di Ippodamante.

La morte

Alla vista dell'uccisione del suo signore ad opera di Achille che rientrava in battaglia per vendicare la morte dell'amico Patroclo, Ippodamante venne preso dallo spavento, e, balzato a terra, cercò di mettersi in salvo confidando nell'agilità del suo fisico. Ma una lancia del nemico lo trafisse alla schiena. Il giovane emise l'anima mugolando come un toro.

Ippodamia
(Enomao)

Ippodamia è una figura della mitologia greca, figlia di Enomao re di Pisa.

La leggenda narra di una figura di tale bellezza che il padre, geloso, non voleva separarsene per alcun motivo. Tutti i pretendenti erano costretti ad una corsa coi cavalli, il vincitore avrebbe potuto avere la sua mano. Ma gli animali del padre Enomao, dono di Ares, erano magici ed imbattibili.

Un giorno Ippodamia, innamorata di Pelope, sabotò il carro del padre e lo fece vincere.

Dall'unione con Pelope nacquero vari figli, tra i quali: Pitteo, Alcatoo, Atreo, Tieste e Ippalcimo.

Ippodamia
(Piritoo)

Ippodamia è un personaggio della mitologia greca figlia di Bute o di Adrasto, re di Argo, e di Demonassa.

Era sorella di uno degli epigoni, Egialeo, ed andò in sposa a Piritoo, figlio di Issione re dei Lapiti. In occasione del suo matrimonio i Centauri, che erano tra gli invitati, finirono in preda all'alcool e infransero le regole della xenia, l'ospitalità presso il mondo greco. Ebbri, cercarono di rapire la sposa e di molestare le donne dei Lapiti, scatenando la violenta reazione di quest'ultimi, coadiuvati da Teseo, anch'egli tra gli invitati. La rissa degenerò in una guerra fra il popolo dei Lapiti e quello dei Centauri, un evento che va sotto il nome di Centauromachia. I Centauri furono sconfitti grazie all'aiuto determinante che Teseo prestò a Piritoo.

Ippodamo (Iliade)

Ippodamo, figura mitologica dell'Iliade , fu un guerriero troiano.

Ippodamo fu ucciso da Ulisse in un'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle Gesta di Agamennone.

Edited by demon quaid - 27/12/2014, 14:18
 
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Vampiro di dracula

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Ippolita

Nella mitologia greca, Ippolita era la regina delle Amazzoni. Viene menzionata nel mito delle dodici fatiche di Eracle; la nona impresa dell'eroe consisteva infatti nell'impossessarsi della cintura di Ippolita.

Secondo alcuni mitografi, Ippolita corrisponderebbe alla regina delle amazzoni, le famose guerriere a cavallo che vivevano attorno al mar nero. Ercole la fece prigioniera, le tolse il cinturone che la rendeva fortissima e lo portò ad Euristeo; secondo altre versioni sposò Teseo e fu la madre di Ippolito.

Il personaggio di Ippolita è stato inoltre utilizzato da William Moulton Marston per la scrittura del suo fumetto più famoso, Wonder Woman. Infatti, Ippolita è la madre di Wonder Woman la quale nacque grazie al dono della dea Afrodite, alla quale la regina delle amazzoni si era rivolta per soddisfare il suo desiderio di maternità.

Ippolito 1

Figlio di Teseo e di Ippolita, regina delle Amazzoni o di sua sorella Antiope, famoso per la sua bellezza, per le sue virtù di castità e di religiosità, e per la sua esistenza sfortunata.
Dopo la morte di sua madre, Teseo sposò Fedra, sorella di Arianna. Secondo alcuni autori, Teseo mandò Ippolito da Pitteo che lo adottò come suo erede al trono di Trezene. Ippolito ebbe un culto particolare per Artemide, alla quale elevò un tempio in Trezene, sotto il nome di Lykeia, ma disprezzava Afrodite. La dea si vendicò del suo disprezzo suscitando nel cuore di Fedra una viva passione per il giovane. Poiché a quell'epoca Teseo si trovava in Tessaglia con Piritoo o forse nel Tartaro, Fedra seguì Ippolito a Trezene. Colà essa, senza essere notata, poteva osservare ogni giorno Ippolito che, completamente nudo, si esercitava nella corsa, nel salto e nella lotta. In seguito, quando Ippolito si recò ad assistere alle Panatenee e alloggiò nel palazzo di Teseo, Fedra lo spiò dal tempio di Afrodite sull'Acropoli.
Fedra non svelò ad alcuno il suo incestuoso desiderio, ma toccava appena il cibo, dormiva male e tanto si indebolì che la vecchia nutrice, infine, indovinò la verità e supplicò la regina di inviare una lettera a Ippolito. Fedra seguì il consiglio e scrisse confessando il proprio amore. Ippolito bruciò inorridito quella lettera e si recò nella camera di Fedra rimproverandola aspramente. Fedra allora si lacerò le vesti, spalancò le porte e gridò: "Aiuto! Aiuto! Sono stata violentata!" e s'impiccò a una trave del soffitto, lasciando un biglietto che accusava Ipolito di orrendi crimini.
Teseo quando tornò non accolse le proteste di innocenza del figlio Ippolito, e ordinò che il giovane lasciasse immediatamente Atene. Pregò poi Poseidone (considerato a volte suo padre), che gli aveva promesso di esaudire tre suoi desideri, perché Ippolito morisse quel giorno stesso. Ippolito aveva appena abbandonato Atene in gran fretta, e mentre si recava in esilio a Trezene un mostruoso toro uscì dal mare e scaraventò i cavalli che guidavano il suo cocchio, egli cadde nel mare e morì.
Più tardi Teseo scoprì la verità da Artemide, ed è accertato che la dea ordinò ai Trezeni di tributare a Ippolito onori divini e da quel giorno tutte le spose trezenie, il giorno delle nozze, gli sacrificano una ciocca di capelli. I Trezeni sostengono che gli dèi posero l'immagine di Ippolito fra gli astri come costellazione dell'Auriga. Si raccontava inoltre che, pregato da Artemide, Asclepio aveva restituito la vita al giovane. Ma Ade e le tre Moire, irati per questo attentato ai loro privilegi, indussero Zeus a uccidere Asclepio con la sua folgore.
Ippolito rifiutò di vivere col padre e si recò, secondo le tradizioni italiche, ad Aricia nel Lazio, dove divenne re e istituì il culto di Diana (Artemide) al lago Nemorensis (Nemi) assumendo il nome di un dio minore, Virbio, che significa vir bis, due volte uomo. Nella valle di Aricia, Ippolito fu in relazione con la ninfa Egeria.

Ippolito 2

Uno dei Giganti, ucciso da Ermete nella Gigantomachia.
Quando Zeus offese Gea imprigionando i Titani nel Tartaro, ella convinse i suoi figli, i Giganti, a muovere guerra agli dèi, la celebre Gigantomachia. La battaglia si svolse a Flegra, in Tracia, identificata con la penisola di Pallene. Guidati da Eurimedonte, Alcioneo e Porfirione, i Giganti avanzarono contro gli dèi scagliando rocce e picchi montani e brandendo torce ricavate da interi tronchi di quercia. Ermete, indossando l'elmo di Ade che rende invisibili, sconfisse Ippolito che venne poi finito da Eracle che lo colpì con le sue frecce avvelenate nel sangue dell'Idra.

Ippoloco

Nella mitologia greca, Ippoloco è il nome di diversi personaggi.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ippoloco, figlio di Bellerofonte e di Filonoe o di Anticlia. Egli era lo sfidante di Isandro, il vincitore della gara avrebbe avuto il trono della Licia. La sfida era una gara di abilità con l’arco, solo che dovevano centrare un anello d’oro appeso al petto di un bambino. Si disputava su chi poteva essere tale pargolo, se il figlio di Ippoloco o quello di Isandro, allorché intervenne la sorella di Isandro, Laodamia che mise l’anello al petto del proprio figlio Sarpedone. A tal punto Ippoloco rinunciò ad ogni pretesa. Suo figlio fu Glauco.

* Ippoloco giovane guerriero troiano, figlio di Antimaco e fratello di Pisandro, al quale fece da auriga nella guerra contro gli achei. Caduto prigioniero di Agamennone insieme al fratello, dovette prima assistere alla fine di questo, che fu ucciso con un colpo di lancia, quindi fu egli stesso messo a morte, in maniera ancora più efferata, dal comandante dei Greci, che con la spada dapprima gli troncò entrambe le braccia, poi gli fece volare la testa che gettò tra i combattenti come una trottola lanciata dalle mani di un pargolo, facendo rotolare infine il busto sul terreno cosparso di sangue. Omero narra questa vicenda nel libro XI dell' Iliade; altre fonti a noi non pervenute dovevano parlare probabilmente di un'ulteriore vendetta di Agamennone sui resti del giovane, poiché in alcune produzioni artistiche si vede l'acheo con la testa recisa di Ippoloco esibita a mo' di trofeo, cui forse intende anche negare la sepoltura.

Ippomaco


Ippomaco è un personaggio dell' Iliade di Omero.

Ippomaco era un giovane guerriero troiano, figlio di Antimaco (omonimo di uno dei cattivi consiglieri del re Priamo). Partecipò alla difesa della sua città, quando gli Achei dichiararono guerra ai troiani in seguito al rapimento della sposa del re spartano Menelao. In una battaglia Ippomaco rimase ferito al ventre da una lancia del Lapita Leonteo; poté scampare alla morte grazie alla spessa cintura che lo proteggeva.

Ippomene

Eroe beotico, figlio di Megareo e di Merope; per non vedere donna si ritirò nei boschi, ma qui trovò la bella Atalanta e se ne innamorò. Poiché costei, così veloce che mai nessuno aveva potuto superarla nella corsa, dichiarava che non avrebbe acconsentito a nozze se non con chi l'avesse vinta (e gli sconfitti erano messi a morte), Ippomene, per consiglio di Afrodite da lui invocata, le gettò a uno a uno, durante la corsa, ogni volta che stava per essere raggiunto, tre pomi d'oro, raccolti nel giardino delle Esperidi o in quello di Afrodite in Cipro, che Atalanta si indugiò a raccogliere, finendo così per essere vinta. Nella loro felicità Ippomene e Atalanta dimenticarono di rendere grazie ad Afrodite, e questa, irata, li indusse a offendere gravemente Cibele, la quale li mutò in leoni e li aggiogò al proprio carro.
La leggenda è esposta ampiamente da Ovidio (Metamorfosi, X, 560-704).


Ipponoo


Nella mitologia greca, Ipponoo era il nome di uno dei figli di Priamo e di Ecuba.

Ipponoo, figlio di Priamo

Ipponoo era figlio di Priamo e di Ecuba, citato dallo Pseudo-Apollodoro tra i loro diciannove figli legittimi. Non è menzionato da Omero nell'Iliade né dal mitografo Igino nella lista ufficiale dei figli di Priamo. Prese parte alla guerra di Troia insieme ai suoi fratelli per impedire che la regina di Sparta Elena venisse restituita al suo legittimo marito, Menelao.

Ipponoo tentò di sfuggire all'ira di Achille morente ma venne raggiunto dall'eroe e trafitto all'occhio dalla sua lancia. In un lago di sangue, la punta dell'asta gli svuotò le palpebre, privata delle pupille che caddero nella polvere.

Ipponoo, guerriero acheo


Vi era un altro guerriero con lo stesso nome, ma, al contrario del primo, guerriero greco. Durante una delle tante battaglie fu ucciso da Ettore. Ebbe un figlio, Capaneo.

Ipponoo era anche il primo nome di Bellerofonte.

Un altro Ipponoo era figlio di Adrasto, entrambi per colpa di un oracolo si suicidarono, questo episodio viene raccontato dal solo Igino.

Ippote

Ippote è, secondo la mitologia greca, un mandriano figlio di Creonte, re di Corinto. Egli allevò i gemelli Eolo, il Dio dei Venti, e Beozio (o Beoto), il quale divenne re eponimo della Beozia. I due erano in realtà figli di Poseidone, il dio del mare, dei cavalli e dei terremoti, e Melanippe, la figlia di Eolo il capostipite degli Eoli. Poseidone diede in affidamento i due gemelli a Ippote perché non volle far sapere ad Eolo di essere suo genero.

Ippotione

Nella mitologia greca, Ippotione era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo alleati dei troiani:

* Ippotione, padre di Palmi, Ascanio e Mori. Viveva tranquillamente ad Ascania da dove fece partire i suoi figli, il giorno dopo alla partenza subito si unirono in battaglia al fianco di Ettore
* Ippotione, ucciso da Merione in combattimento.

Ippotione (Troia)

Ippotione, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Ippotione fu ucciso da Merione nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.

Ippotoo

Nella mitologia greca Ippotoo era il figlio di Alope e di Poseidone.

Il re Cercione, uno dei tanti figli di Efesto, aveva una figlia di nome Alope, lei ebbe un figlio da Poseidone. La ragazza tenne nascosto il parto da suo padre temendone l'ira e fece portare, grazie all'aiuto di una nutrice, il pargolo su di una montagna.

La contesa


Un primo pastore trovò tale bambino mentre veniva allattato da una cavalla e lo prese con seé Qui vide il ricco panno dove era stato avvolto e tale ricchezza attirò l'attenzione di molte persone. Un secondo pastore si prese il compito di allevare tale bambino, chiamato Ippotoo, ma volle tenersi anche il ricco panno.

I due pastori iniziarono un litigio furibondo e per evitare ulteriori dissidi, decisero di rivolgersi al loro re. Cercione volle vedere quel panno, riconoscendolo, infatti fu preso da uno degli abiti di sua figlia.

La punizione


La nutrice chiamata confessò tutto e il re ordinò che sua figlia venisse murata viva, mentre il bambino, fosse esposto di nuovo alle intemperie della montagna. Qui di nuovo la cavalla si prese cura di lui e venne trovato da un pastore che si prese cura di lui.

L'arrivo di Teseo

Quando in seguito Teseo uccise Cercione, mise Ippotoo sul trono di Arcadia come legittimo re. Alope invece era già morta da tempo.

Ippotoo è citato nell'Iliade di Omero, come uno dei cinquanta figli di Priamo, probabilmente illegittimo.

Ippotoo è anche il nome del capitano dei Pelasgi, figlio di Leto, che partecipò alla guerra di Troia come alleato dei troiani.

Ipsenore

Nella mitologia greca, Ipsenore era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Ipsenore, guerriero acheo;

* Ipsenore, sacerdote e guerriero troiano figlio di Dolopione.


Ipsenore l'Acheo

Ipsenore l'acheo fu ucciso per sbaglio da Deifobo, infatti questi mirava contro Idomeneo ma difendendosi deviò il colpo che raggiunse il guerriero greco al fegato, procurandogli una ferita mortale.

Ipsenore di Troia

Ipsenore di Troia era un giovane sacerdote del dio Scamandro, il fiume che scorreva nei pressi delle mura della città; bello come un dio, godeva molta stima tra i suoi concittadini. Fu ucciso in battaglia da Euripilo che lo colpì alle spalle con la spada mozzandogli un braccio. Omero narrò questa vicenda nel quinto libro dell' Iliade.

Ipsipile

Ipsipile, nota anche con il nome di Isifile, è un personaggio della mitologia greca narrato da vari poeti, come Ovidio nelle Metamorfosi o Stazio nella Tebaide.

È la protagonista dell'omonima tragedia di Euripide, la meglio conosciuta tra le sue opere frammentarie, conservata per circa la metà.

Era la regina dell'isola di Lemno. Durante il suo regno la dea Afrodite maledisse l'isola perché veniva trascurato il suo tempio, così le donne furono punite con una forte alitosi che le rendeva ripugnanti agli uomini. Essi iniziarono a trascurarle predilegendo ad esse le schiave di Tracia e fu così che esse decisero di vendicarsi sterminando l'intera popolazione maschile (androcidio). Nell'eccidio fecero perire anche i loro padri, fratelli e figli. Solo Ipsipile ingannò le altre facendo nascondere il padre Toante.

Anni dopo si fermò su Lemno Giasone con gli Argonauti come tappa della loro missione per il recupero del Vello d'oro nella Colchide. L'eroe greco la sedusse e poi la abbandonò incinta, nonostante le avesse giurato eterna fedeltà (farà lo stesso anche con Medea). A questo mito allude Dante Alighieri che pose Giasone nell'Inferno tra i seduttori. Dalla relazione con Giasone ebbe due gemelli Euneo e Nebrofono.

Quando le donne di Lemnos scoprirono il tradimento di Ipsipile, che aveva salvato il padre, la condannarono all'esilio. Essa e i due figli vennero catturati dai pirati e venduti come schiavi al Re Licurgo. Quando le venne affidato il figlio del re, durante un breve momento durante il quale essa lo aveva lasciato incustodito per mostrare una fontana ai sette re che stavano per assediare Tebe, un serpente morse il fanciullo che morì. Per la negligenza Ipsipile venne condannata a morte, ma si salvò grazie all'intervento dei suoi due figli. A questa parte del suo mito si riferisce di nuovo Dante nel Purgatorio.

Irtaco


Irtaco è un personaggio della mitologia greca.

Le fonti presentano Irtaco come il nobile troiano che sposò Arisbe, dopo che essa venne ripudiata da Priamo. Da lei ebbe i due giovani eroi Asio e Niso. Nell' Eneide Irtaco è detto padre anche di Ippocoonte.

I tre figli di Irtaco si resero tutti protagonisti di gesta valorose. Parteciparono alla guerra di Troia, nella quale Asio, il maggiore, venne ucciso per mano di Idomeneo. Alla caduta della città, Niso e Ippocoonte seguirono Enea in Italia. Qui combatterono contro i Rutuli di Turno. Nel corso di questo nuovo conflitto fu Niso a trovare la morte, trafitto dagli uomini di Volcente.

Edited by demon quaid - 27/12/2014, 14:23
 
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Iride

Figlia del titano Taumante e della oceanina Elettra, sorella delle Arpie. Nella Teogonia di Esiodo appare come messaggera degli dèi e personificazione dell'arcobaleno, considerato come un ponte fra il Cielo e la Terra, mediatore fra gli dèi e gli uomini. Era descritta come una fanciulla dai piedi veloci come il vento, che portava gli ordini e i messaggi divini sulla terra, nel mare, nell'Ade. Pochi sono gli eroi a cui porta i comandi di Zeus; assai raramente porta consiglio agli uomini, e mai un aiuto; è piuttosto messaggera di Zeus agli dèi quando sono lontani da lui. Presso Euripide e nei poeti dell'età ellenistica appare come ancella di Era. Fu inviata da Era a sobillare la rivolta delle donne troiane che, in Sicilia, incendiarono la flotta di Enea. Poiché l'arcobaleno appare dopo il temporale, Iride è considerata una dea della tempesta, e ha come sorelle Procella e le Arpie; così si spiega come i suoi messaggi siano spesso dolorosi. In Alceo troviamo l'unica testimonianza delle nozze di Iride dalle ali d'oro con uno dei venti, Zefiro, dalle chiome d'oro. Da Ermete, anch'egli veloce messaggero, del quale talvolta è compagna, Iride si distingueva in quanto egli è anche un dio assennato ed esperto, e sa condurre le cose a buon fine, mentre Iride non ha altra funzione che di portare le ambasciate.
Fidia la raffigurò sul frontone orientale del Partenone nell'atto di partire per recare al mondo la notizia della prodigiosa nascita di Atena; e accanto a Era figura un'altra volta nel fregio del Partenone.

Irieo

Figlio di Poseidone e della Pleiade Alcione, padre di Nitteo, di Lico e d'Orione. Aveva fondato la città d'Iria, in Beozia, sulla quale regnava. Aveva per moglie la ninfa Clonia.
Le leggende tardive fanno di Irieo un povero apicoltore che aveva fatto voto di non avere figli e diventò vecchio e impotente. Un giorno Zeus ed Ermete, che si erano recati da lui sotto false spoglie ed erano stati accolti ospitalmente, gli chiesero quale dono desiderasse ricevere. Sospirando, Irieo replicò che il suo più grande desiderio, cioè quellodi avere un figlio, era irrealizzabile. Gli dèi tuttavia gli dissero di sacrificare un toro, di urinare nella sua pelle e poi di seppellirla nella tomba di sua moglie. Irieo obbedì e nove mesi dopo gli nacque un figlio che egli chiamò Orione "colui che produce l'acqua", e infatti la costellazione di Orione porta le piogge sia quando si leva in cielo sia quando tramonta.

Irtio

Nella mitologia greca, Irtio (o Irzio) è il nome di un capitano misio, menzionato da Omero tra gli alleati di Priamo al tempo della guerra di Troia. L'Iliade cita come capitani misi anche i fratelli Cromi ed Ennomo, ricordandoli nel Catalogo Troiano al libro II.

Irtio è descritto come figlio di Girtia e come sovrano misio nel libro XIV dell'Iliade. Il fatto che non venga citato precedentemente insieme agli altri due condottieri Cromi ed Ennomo lascia supporre che il suo nome sia stato aggiunto successivamente nel poema, probabilmente a causa di una dimenticanza; è però possibile che Irtio sottostasse ai sovrani già citati e che quindi, svolgendo un ruolo minore (forse il luogotenente), Omero abbia preferito non menzionarlo prima.

A differenza di Telefo, re della Misia, il quale, essendo stato attaccato in patria dalla flotta achea e sconfitto in battaglia, aveva giurato per sé e per la sua discendenza di rimanere neutrale al conflitto in quanto imparentato con Priamo, Irtio giunse a Troia come alleato di quest'ultimo.

Morte


Irtio cadde in battaglia ucciso da Aiace Telamonio, allorché gli Achei, incoraggiati da Poseidone, sceso in battaglia per annientare i Troiani, si precipitarono sul campo di battaglia incalzando e sterminando senza pietà le file nemiche, demotivate tra l'altro dall'assenza di Ettore.

Isandro

Nella mitologia greca, Isandro era il nome del figlio di Bellerofonte

Isandro era uno dei tre figli che Bellerofonte ebbe dalla figlia del re di Licia, che prima aveva voluto mettere alla prova l’eroe per poi riconoscerlo come figlio di una divinità. Gli altri figli erano Laodamia ed Ippoloco. Ares che odiava Bellerofonte decise di vendicarsi facendo in modo che proprio Isandro trovasse morte in battaglia.

Ischi

Nella mitologia greca, Ischi (o Ischys o Chilo) Ισχυς era il figlio di Elato e Hippea.

Coronide figlia di Flegia era una delle amanti di Apollo, un giorno lui andò a Delfi lasciando l'amata in compagnia di un corvo bianco.

La ragazza da molto tempo aveva una grande amore per Ischi e lo accolse nel suo letto, anche se era già incinta del dio. Il corvo pensando di fare cosa gradita partì subito per avvertire il suo padrone, ma lui sapeva già tutto grazie ai suoi poteri divinatori e maledì il corvo perché non aveva accecato Ischi quando poteva.

Per questo motivo le penne del corvo divennero nere e dello stesso colore fu il manto dei suoi discendenti.

La morte dei due amanti


Ischi morì secondo alcuni per le saette di Zeus, secondo altri per le freccia di Apollo. Coronide invece fu uccisa dalla frecce di Artemide, sorella di Apollo, a cui il dio aveva chiesto tale favore.

Ismene

Ismene è una figura della mitologia greca, era figlia di Edipo e di Giocasta.

Su ordine di Atena venne uccisa da Tideo presso un fiume che, a causa di ciò, prese il suo nome.

Sofocle ne narra nelle proprie tragedie dell'Edipo a Colono e, come un personaggio muto, dell'Edipo re.

Nell'opera Ismene è dipinta come l'opposto, mite e rassegnato, della forte e combattiva sorella, Antigone; ed è per questo il personaggio minore della tragedia, che in Sofocle ha sempre lo scopo di mettere in risalto le gesta e gli incrollabili propositi dell'eroe. Quando Antigone sarà condannata a morte, allora Ismene si dirà pronta a morire con lei; ma sarà troppo tardi, ed anzi Antigone rifiuterà con violenza il suo sacrificio.

Isonoe (mitologia)

Secondo la mitologia greca, Isonoe era una delle Danaidi. Fu amante di Zeus e ne ebbe un figlio di nome Orcomeno.

Issione
(mitologia)

Nella mitologia greca, Issione era il figlio di Flegias, re dei Lapiti ed ebbe una relazione, che sfociò in matrimonio, con Dia, figlia di Deioneo.

Contrariamente ai patti, Issione non fece a Deioneo i doni che gli aveva promessi per le nozze, anzi lo uccise in modo particolarmente crudele, facendolo cadere in una fossa piena di carboni ardenti. Zeus lo perdonò, ma Issione, invitato ad un suo banchetto, cercò di sfruttare l'occasione per concupire Era; accortosene, il dio gli inviò una donna che aveva creato con le sembianze di Era da una nuvola, chiamata Nefele. Issione provò a toccarla e fu colto in flagrante nel tentativo di amplesso.

Zeus, irato, lo consegnò ad Ermes perché lo torturasse, e il dio messaggero obbedì ben volentieri, legando strettamente il re e flagellandolo senza pietà, fino a quando non avesse ripetuto: "I benefattori devono essere onorati". Poi lo legò ad una ruota di fuoco che girava senza sosta nel cielo.

Variazioni di questo mito intendono la nascita dei centauri come frutto dell'unione fra Nefele ed Issione.

Italo re degli enotri

Italo è un eroe mitologico, eponimo dell'Italia, le cui vicissitudini possono essere fatte risalire alla tarda età del ferro.

Esistono varie leggende su questo personaggio vissuto 16 generazioni prima della guerra di Troia; da lui deriva il nome Italia, dato prima a quella regione e poi esteso a tutta la penisola, come riporta Tucidide: quella regione fu chiamata Italia da Italo, re arcade. Narra Aristotele: « Divenne re dell'Enotria un certo Italo, dal quale si sarebbero chiamati, cambiando nome, Itali invece che Enotri. Dicono anche che questo Italo abbia trasformato gli Enotri, da nomadi che erano, in agricoltori e che abbia anche dato ad essi altre leggi, e per primo istituito i sissizi. Per questa ragione ancora oggi alcune delle popolazioni che discendono da lui praticano i sissizi e osservano alcune sue leggi », e ancora: « Italo, re degli Enotri, da lui in seguito presero il nome di Itali e Italìa l'estrema propaggine delle coste europee delimitata a Nord dai golfi [di Squillace e di S.Eufemia], di lui dicono che abbia fatto degli Enotri, da nomadi che erano degli agricoltori stabili, e che abbia imposto loro nuove leggi, istituendo tra l'altro per primo le sissizie ».

Aristotele parla dunque di Italo re degli Enotri, dal quale successivamente presero il nome gli Itali, facendone da popolo nomade - quale erano gli Enotri - un popolo stabile che si stanziò nell'estrema propaggine delle coste europee, nell'attuale istmo di Catanzaro nell'omonima provincia delimitata rispettivamente ad oriente dal golfo di Squillace e ad occidente dal Golfo di Sant'Eufemia.

Antioco di Siracusa nel V secolo a.C. invece così scriveva: « L'intiera terra fra i due golfi di mari, il Nepetinico e lo Scilletinico, fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza. Questo uomo si chiamò Italo che denominò per primo questa terra Italia. E quando Italo si fu impadronito di questa terra dell'istmo, ed aveva molte genti che gli erano sottomesse, subito pretese anche i territori confinanti e pose sotto la sua dominazione molte città »

Secondo Strabone la capitale del regno enotrio era la pandosia bruzia dunque è da presumere che il re italo regnasse su pandosia è sul nord dell' attuale calabria oltre che alla zona jonica ma non è da escludere che l'impero del re italo è quindi degli enotri comprendeva tutta la calabria e la basilicata.Inoltre nella mitologia Italo è il fondatore sempre secondo Strabone di Pandosia.

Iti (mitologia)

Iti era, secondo il mito greco, figlio di Tereo, re di Tracia, e Procne, figlia di Pandione, re di Atene. Non raggiunse mai la maggiore età poiché Procne, quando scoprì che Tereo aveva stuprato e mutilato la sorella Filomela (ma, secondo altre versioni, la stessa Procne era stata privata della lingua), per vendicarsi uccise il figlio e lo cucinò per poi servirlo in pasto a Tereo.

Iunce

Iunce (o Iunge) è una figura della mitologia greca, figlia di Pan e della ninfa Eco, sorella di Iambe.

Somministrò incautamente a Zeus un filtro amoroso che accese nel dio la passione per la mortale Io, figlia di Inaco (o, secondo altre versioni, per la stessa Iunce). Furiosa per il tradimento, Era si vendicò di Iunce trasformandola in torcicollo, volatile che da lei prese il nome e che, anticamente, era venerato per gli esorcismi amorosi. Secondo altre fonti, la dea tramutò Iunce in una statua di pietra.


K



Kodro

Kodro o, nella trascrizione più frequente, Codro è stato, secondo la leggenda, l'ultimo re di Atene.

La fine della monarchia fu determinata, sempre secondo il mito, da una guerra contro Sparta. L'oracolo di Delfi aveva infatti profetizzato al re che gli ateniesi avrebbero vinto se il loro sovrano fosse stato ucciso. La notizia giunse presto alle orecchie degli spartani, i quali, naturalmente, fecero attenzione a non fargli del male.

Il re, tuttavia, travestito da vecchio, provocò dei soldati spartani andati a fare legna, che lo uccisero. Gli ateniesi svelarono l'inganno andando a chiedere la restituzione del corpo del loro re al campo spartano, che così seppe chi fosse il vecchio ucciso con simile noncuranza, e perse la guerra.

Edited by demon quaid - 27/12/2014, 14:27
 
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L


Labdaco

Labdaco, figlio di Polidoro e nipote di Cadmo, è, attraverso la madre Nitteide, il nipote di Ctonio, uno degli uomini nati dai denti del drago ucciso da Cadmo.

Il Regno

Dato che suo padre Polidoro era morto quand'egli aveva soltanto un anno, la reggenza fu assicurata dal nonno Nitteo. Alla morte di questo, essa passò al fratello di Nitteo, Lico, e infine il potere tornò a Labdaco. Dopo il regno personale di quest'ultimo, toccò in sorte a suo figlio Laio, padre d'Edipo. Il regno di Labdaco fu contrassegnato da una guerra contro il re d'Atene Pandione, per una questione di frontiere. Durante questa guerra, Tereo, re di Tracia, accorse in aiuto di Pandione. Secondo una tradizione rappresentata dal solo Apollodoro, Labdaco perì, come Penteo, straziato dalle Baccanti, e, come lui, per aver combattuto il culto di Dioniso.
Il mito

Simile di carattere a Penteo, ovvero ebbe come egli l'ostilità del dio del vino Dioniso e delle sue sacerdotesse, le baccanti. Fu padre di Laio, alla morte del padre aveva un anno, da lui discese Edipo e tutti gli altri labdacidi.

Labrando


Labrando è uno dei Cureti. Accompagnato dai suoi amici Panamoro e Palasso, giunse in Caria e qui trascorse la prima notte in riva al fiume che si chiamò, per questo, Eudono (dal verbo εὕδειν, che significa letteralmente "dormire").

Lacedemone (mitologia)

Nella mitologia greca, Lacedemone è il figlio di Zeus e della Pleiade Taigete.

Sposò Sparta, figlia di Eurota, dalla quale ebbe un figlio, Amicla, e una figlia, Euridice.

Lacedemone fu re della Laconia e secondo la tradizione fondò la città di Sparta, chiamata Lacedemone, e introdusse per primo il culto delle Grazie in Grecia.

Lacinio

Eroe eponimo del capo Lacinio nel territorio della colonia greca di Crotone, in Italia meridionale.
Allorché Eracle ritornava verso l'Italia per seguire un'altra strada che conducesse in Gracia, guidò la mandria di Gerione lungo la costa orientale fino al promontorio Lacinio. Il re di quel territorio, Lacinio, si vantò in seguito di aver messo in fuga Eracle. In verità egli si limitò a innalzare un tempio ad Era e a quella vista Eracle partì disgustato. Sei miglia più oltre fu accolto da un certo Crotone, ma Lacinio aveva cercato di rubargli i buoi, ed Eracle lo uccise. Aveva però ucciso accidentalmente, durante il combattimento, anche Crotone. Eracle lo seppellì con tutti gli onori e, per espiazione, gli innalzò una grande tomba profetizzando che, in tempi futuri, lì sarebbe sorta una celebre città che avrebbe avuto il nome dell'ucciso.

Ladone 1

Dio fluviale, figlio di Oceano e di Teti. Sposato a Stinfalide ebbe quattro figlie, Dafne, Metope, Siringa e Talpusa.

Ladone 2

Il drago figlio di Tifone e d'Echidna; oppure di Forcide e di Ceto, o forse solo di Gea. Era tutto serpente ed aveva cento teste, benché avesse il dono di parlare diverse lingue. La dea Era lo pose a guardia dei pomi d'oro delle Esperidi finché Eracle lo uccise con una freccia. Era, piangendo sulla sorte di Ladone, ne pose l'immagine fra le stelle come costellazione del Serpente.

Laerte

Laerte è una figura della mitologia greca, figlio di Arcesio, o Arcisio, e di Calcomedusa. Da suo nonno Deione, Laerte appartiene alla stirpe di Deucalione.
La famiglia di Laerte è originaria di Cefalonia; difatti suo nonno Cefalo era epónimo dell'isola.

Fu re di Itaca e sposò Anticlea, quando ella già aspettava Ulisse.

Il re Laerte fu membro della spedizione degli Argonauti, come molti eroi della sua generazione. Rientrato vittorioso dal viaggio con Giasone, partecipò alla caccia del cinghiale di Calidone.

Quando suo figlio tornò ad Itaca vent'anni dopo la guerra di Troia, durante i quali Ulisse dovette soffrire molto per sfuggire all'insidie tramate dal dio del mare Poseidone, non lo riconobbe a primo impatto, ma Odisseo dovette descrivergli il frutteto che un tempo egli stesso gli aveva donato. Nel frattempo Penelope, moglie di Ulisse, aveva tessuto durante il giorno e disfatto durante la notte in velo funerario per Laerte. Quando Eupite venne a reclamare vendetta per la morte del figlio Antinoo, ucciso durante lo scontro con i proci, la dea Atena infuse allora «una gran forza» in Laerte, il quale trapassò il nemico da parte a parte con un colpo di lancia.

Laio

Nella mitologia greca re Laio, o Laio di Tebe, è un eroe divino e un personaggio chiave nel mito della fondazione di Tebe in Beozia e figlio di Labdaco.

Il rapimento di Crisippo

Il tragico destino che toccò a Laio e alla sua discendenza fu provocato - stando ad Euripide - dal rapimento del giovane Crisippo, figlio del re Pelope. Quando Laio era ancora giovane Anfione e Zeto usurparono il trono di Tebe. Alcuni tebani, sperando di veder continuare la discendenza di Cadmo, lo portarono segretamente fuori dalla città prima dell'attacco. Laio fu accolto da Pelope, re di Pisa nel Peloponneso. Laio si innamorò così di Crisippo, figlio del re, e lo rapì portandolo con sé a Tebe mentre gli insegnava a portare il carro o, come scrive Igino, durante i Giochi di Nemea. Il giovane, dopo esser stato scoperto, si uccise dalla vergogna. Il rapimento divenne il soggetto di una delle tragedie perdute di Euripide. Con la morte di Anfione e Zeto, Laio sposò Giocasta, figlia di Meneceo chiamata Epicasta da Omero e divenne il re di Tebe ma la maledizione di Pelope si sarebbe presto abbattuta su di lui e sulla sua stirpe.

L'oracolo e la tragedia

L'Oracolo di Delfi raccomandò a Laio di non avere figli da sua moglie o il figlio l'avrebbe ucciso ed avrebbe sposato Giocasta. Ma una notte, metre Laio era in preda all'ebbrezza, i due concepirono Edipo che, per paura della profezia, legate l'una all'altra le caviglie con una cinghia, fu esposto e abbandonato alla nascita sul monte Citerone dove fu trovato da un pastore che gli diede il nome di Edipo (piede gonfio) e lo diede a Polibo e Peribea, sovrani di Corinto che lo crebbero.

Quando Edipo, dopo che un giovane di Corinto gli disse che era un trovatello, volle conoscere la verità sui suoi genitori si rivolse all'Oracolo di Delfi che si limitò a dirgli che non sarebbe dovuto tornare a casa o avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Pensando che Polibo e Peribea fossero i suoi veri genitori, si diresse dunque verso Tebe in direzione opposta a Corinto ma un destino tragico volle che ad un incrocio incontrasse Laio diretto a Delfi per interrogare l'oracolo dopo aver avuto il presagio che il figlio stesse tornando per ucciderlo. La superbia di colui che egli non sapeva essere suo padre portò Edipo ad uccidere Laio, a rompere il timone del suo carro, a compiere la prima parte della profezia per poi dirigersi verso Tebe e a segnare per sempre le sorti della sua discendenza, consegnando spunti favolosi per tragediografi del calibro di Sofocle.

Laio fu sepolto nello stesso luogo dove morì da Damasistrato, re di Platea, mentre Creonte, figlio di Meneceo prese il potere a Tebe. Diversi suoi discendenti dovettero ancora fare i conti con un destino avverso ma non si sa con certezza se perché violò le leggi dell'ospitalità e del matromonio rapendo il figlio della persona che lo ospitava, se perché non ascoltò le parole dell'oracolo o per una combinazione dei due eventi.

Lamia 1

Regina libica, figlia di Poseidone. Ebbe da Zeus una figlia, chiamata Sibilla dai Libici sui quali governava.

Lamia 2

Figlia di Belo e di Libia, amata da Zeus.
Lamia generò a Zeus alcuni figli, ma tutti, salvo Scilla, furono uccisi da Era ingelosita. Lamia si vendicò uccidendo i figli delle altre donne e divenne tanto crudele che il suo volto si trasformò in una maschera da incubo. Era, per perseguitarla ancora maggiormente, la privò del sonno, ma Zeus, mosso a pietà per lei, le concesse il singolare potere di levarsi gli occhi dalle orbite e rimetterseli, a piacere. Vi erano dunque momenti in cui Lamia dormiva, avendo depositato gli occhi in un vaso vicino a sé. Allora non c'era nulla da temere da parte sua. Ma altre volte, quand'era sveglia, errava notte e giorno e, per invidia verso le madri più fortunate, aspettava al varco i loro bambini per divorarli.
Più tardi si unì alle Empuse e assieme si giacevano coi giovani e succhiavano loro il sangue mentre erano immersi nel sonno. Il suo nome fu usato come spauracchio dalle madri greche, quando i loro figli non ubbidivano. Era anche immaginata come un demone in grado di affascinare i giovani che dopo averli adescati ne divorava il cuore.

Lampeto

Nella mitologia greca, Lampeto è il nome di un eroe dell'isola di Lesbo, ucciso da Achille.

Lampeto, figlio di Iro, crebbe a Metimna, sull'isola di Lesbo, dove sembra che regnò insieme a due invicibili guerrieri, Icetaone e Ipsipilo, figli di Lepetinno. Al tempo della guerra di Troia, Achille attaccò l'isola, mettendo a ferro e fuoco le città della regione, senza riuscire però a saccheggiare Metinna, i cui abitanti, sostenuti da Lampeto, resistevano validamente ai suoi attacchi.

Solo grazie al tradimento della figlia del re, Pisidice, innamorata di Achille, l'eroe riuscì a penetrare nella città, dove sgozzò senza pietà Lampeto, Icetaone ed Ipsipilo. Pisidice, che aveva fatto entrare il nemico in cambio di una promessa di matrimonio, venne brutalmente respinta e lapidata dai Mirmidoni.

Lampezia

Nella mitologia greca, Lampezia era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

* Lampezia, figlia di Elio e di Neera
* Lampezia, una delle mogli di Asclepio

Lampezia (Elio)

Nella mitologia greca, Lampezia era una figlia di Elio e della ninfa Neera, sorella di Fetusa.

La madre le lasciò nell'isola di Trinacria dove vivevano alcune mandrie del padre a cui le due donne dovevano badare. Quando i compagni di viaggio di Odisseo uccisero le vacche Lampezia corse dal padre per avvertirlo. Altri autori riferiscono di diversa madre, tale Climene la figlia di Oceano. Ovidio riferisce che tale Lampezia sia proprio la sorella di Fetusa.

Lampo (mitologia)

Nella mitologia greca, Lampo era il nome di alcuni dei personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome nel racconto dei miti ritroviamo:

* Lampo, il cavallo di Ettore, uno dei suoi 4 cavalli, anche se solitamente i troiani avevano una biga e non una quadriga
* Lampo, figlio di Laomedonte, uno dei fratelli di Priamo che svolgeva il ruolo di consigliere durante il periodo di guerra, era più abile nel parlare che nel combattere. Altri fratelli erano Clitio, Ichetaone e Titone, ebbe un figlio chiamato Dolope, fortissimo in battaglia, che si distinse contro gli achei.

Laocoonte

Laocoonte (greco: Λαοκόων; latino: Laocoon) personaggio della mitologia greca, era figlio di Antenore, un anziano abitante di Troia (o di Capi, secondo altre versioni). Era un veggente e gran sacerdote di Apollo.

Si narra che, quando i troiani portarono nella città il celebre cavallo di Troia, egli corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, proferendo la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes («Temo i Greci, anche quando portano doni»). Poseidone, che parteggiava per i greci, punì Laocoonte mandando due enormi serpenti marini che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, egli accorse in loro aiuto e fu stritolato assieme ad essi. I Troiani presero questo come un segno, tenendo così il cavallo tra le loro mura.

Laodamante

Nella mitologia greca, Laodamante ("domatore di popoli/del popolo") è il nome di quattro personaggi:

1. Un giovane guerriero troaino, figlio di Antenore e di Teano. Nel corso della guerra che vide i Troiani addediati dagli Achei, Laodamante, che combatteva col grado di capitano, venne ucciso da Aiace Telamonio.
2. Un figlio di Alcinoo e Arete
3. Un figlio di Ettore e di Andromaca. Ancora fanciullo accompagnò la madre presso la tenda di Achille, allorché Priamo vi si recò per richiedere il corpo di Ettore. La notte della caduta di Troia, Laodamante sopravvisse al fratello, ucciso barbaramente dai vincitori; Neottolemo, infatti, dopo aver imprigionato Andromaca ne affidò il figlio superstite all'amico Eleno, il quale lo crebbe come sua progenie. Alla morte di Neottolemo, Andromaca sposò Eleno e allevò nuovamente il figlio.
4. Un figlio di Eteocle, re di Tebe. Laodamante divenne re di Tebe dopo Creonte. Venne ucciso da Alcmeone nel corso della guerra degli Epigoni, sul fiume Glisas, dopo aver ucciso Egialeo. In seguito la città cadde ai nemici.

Laodamia

Laodamia è una figura femminile della mitologia greca.

Figlia di Acàsto, o secondo altre versioni, di Meleagro e di sua moglie Cleopatra (in questa seconda leggenda avrebbe preso il nome di Polidora) e moglie di Protesilao. Quando il marito partì per la guerra di Troia, il giorno stesso delle nozze, si fece modellare una statua a sua immagine per poterla tenere sempre accanto a sé. Quando la flotta greca rimase bloccata ad Aulide nell'attesa dei venti favorevoli, Laodamia inviò una lettera a Protesilao, in cui lo metteva in guardia dagli eroi troiani, in particolar modo da Ettore.

Venuta a conoscenza della morte del marito, supplicò gli dei di offrire un conforto alla sua disperazione, concedendole di rivederlo un'ultima volta. Gli dei inferi, Plutone e Proserpina, permisero all'anima di Protesilao di risalire dagli Inferi per passare 3 ore con la moglie, animando il suo simulacro. Ma le ore volarono, e Laodamia, quando vide il marito morire si pugnalò fra le sue braccia.

Laodamia (Bellerofonte)

Laodamia è una figura femminile della mitologia greca.

Figlia di Bellerofonte e di Achemone. Fu amante di Zeus, dal quale ebbe un figlio, Sarpedonte. Per il suo orgoglio fu uccisa da Artemide.

Laodice
(Priamo)

Nella mitologia greca, Laodice era una delle cinque figlie di Priamo e di Ecuba.

Moglie di Telefo

Omero nomina Laodice come "la più bella delle figlie di Priamo"; secondo alcuni autori, che la nominavano anche col nome di Iera o Astioca, suo padre Priamo l'aveva assegnata in sposa a Telefo, figlio di Eracle, re di Misia. Scoppiata la guerra di Troia, Telefo, che era stato sconfitto dagli Achei durante l'assalto nei suoi territori, rifiutò di aiutare Priamo nella guerra, giustificando il fatto di aver sposato sua figlia Laodice e dichiarando la sua neutralità. Cossiché evitò uno spergiuro.

L'amore per Acamante


Un'altra tradizione raccontava che, all'inizio della guerra, quando Laodice era ancora nubile, gli Achei inviarono a Troia un'ambasciata per reclamare Elena, fuggita con Paride da Sparta. Come araldi in città furono inviati Diomede e Acamante, figlio di Teseo; intravisto quest'ultimo, Laodice se ne innamorò perdutamente e desiderò violentemente intrecciare un rapporto sessuale con lui. Non potendo serbare il suo amore, si confidò con una certa Filobia, la quale acconsentì ad aiutarla.

Filobia chiese al proprio marito, re di una città della Troade, chiamata Dardano, di imbandire nella sua città un banchetto e di invitarvi i due giovani. Il marito accettò e, seguiti i suoi consigli, fece sedere Laodice e Acamante una di fronte all'altro. Il guerriero acheo la scambiò così per una cortigiana del seguito di Priamo, e acconsentì ad unirsi a lei. Durante la notte, Acamante la rese incinta di un figlio, di nome Munito, ma Laodice non volle allevarlo e lo affidò ad una serva di Elena nella casa di Priamo, Etra, madre di Teseo, e quindi bisnonna del piccolo.

Guerra di Troia


Laodice sposò poi Elicaone, un figlio di Antenore, durante i dieci anni di guerra che coinvolsero Troia e i suoi abitanti.
Nel III libro dell' Iliade Iride, messaggera degli dei, assunto l'aspetto della figlia di Priamo, parlò ad Elena, incitandola a raggiungere le mura della città per assistere al duello tra Paride e Menelao. Quando poi suo fratello Ettore ritornò a Troia per parlare con sua madre Ecuba, egli incontrò Laodice nello stesso momento in cui la regina stava per raggiungerla.

La morte

La notte della conquista di Troia, Laodice fuggì davanti agli inseguitori, rifugiandosi nel santuario dell'antenato Troo, dove si trovavano le tombe di Cilla e Munippo; all'improvviso, la terra si aprì in una voragine che la inghiottì sotto gli occhi degli astanti. Secondo altri venne fatta prigioniera dai Greci e spartita tra i soldati.

Laodoco


Nella mitologia greca, Laodoco era il nome di uno dei figli Apollo e di Ftia

Laodoco, insieme ai suoi fratelli Doro e Polirete regnava nelle pacifiche terre dei cureti.

Etolo, un figlio di Endimione aveva ucciso Apis incidentalmente travolgendolo durante una corsa delle bighe. Esiliato per l’accaduto cercava rifugio e lo trovò da Laodoco e i suoi fratelli. Etolo che già in passato perse ogni titolo di regalità allora pensò bene di uccidere i fratelli e fondare un suo regno.

Edited by demon quaid - 28/12/2014, 15:53
 
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Vampiro di dracula

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Laogono

Nella mitologia greca, Laogono era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto il nome di Laogono ritroviamo:

* Laogono, figlio di Onetore ucciso da Merione
* Laogono, fratello di Dardano e figlio di Biante ucciso da Achille quando egli non riuscì ad affrontare come voleva Ettore per vendicare la morte del suo amico Patroclo. Laogono e Dardano stavano ritti sopra al loro carro, quando vennero assaliti da Achille da poco tornato a combattere dopo essersi ritirato per qualche tempo dalla guerra a causa di una discordia scoppiata nel campo Greco tra il comandante dei Greci Agamennone ed il grande eroe acheo. Infuriato per la fine dell'amico, Achille si scagliò contro i due fratelli e li uccise: colpì prima Laogono di lancia facendolo precipitare morto giù dal cocchio; poi ferì mortalmente Dardano con la spada.

Laomedonte


Laomedonte è una figura della mitologia greca, re di Troia, figlio di Ilo nipote di Troo padre di Priamo e di Esione.

Per edificare le mura della cittadella chiese l'aiuto di Zeus, che ordinò a Poseidone e Apollo di aiutarlo per punizione all'essersi ribellati al re degli dei (Pindaro indica che insieme ai due dei lavorò anche il mortale Eaco).

In cambio del lavoro, Laomedonte promise loro alcuni cavalli avuti in dono da Zeus ma quando il lavoro fu terminato, Laomedonte si rifiutò di consegnare quanto pattuito.

Il re dei mari inviò un mostro marino. Invece Apollo inviò una pestilenza sulla città con un arco d'oro. Un oracolo disse che Laomedonte sarebbe stato libero dal mostro se questo avesse offerto in pasto al mostro sua figlia Esione che, mentre era incatenata alle rocce, venne salvata casualmente da Eracle.

Laomedonte chiese ad Eracle di liberarlo dal mostro, e gli promise in cambio i cavalli di Zeus (per i cavalli, vedi Ganimede). Eracle riuscì nell'impresa di uccidere il mostro, ma anche questa volta Laomedonte non mantenne la promessa di consegnare i cavalli e gli diede cavalli comuni. Eracle espugnò Troia, uccise Laomedonte insieme a tutti i suoi figli, eccetto Esione la quale chiese di salvare anche suo fratello Priamo. Esione fu data in sposa a Telamone, un amico di Eracle, da quel matrimonio nacque Teucro.

Laotoe


Laotoe è una figura mitologica greca.

Laotoe era figlia del re dei Lelegi. Fu moglie, come Ecuba, di Priamo, e divenne madre di Licaone e Polidoro (da non confondere con l'omonimo figlio di Priamo ed Ecuba).

Lapiti

Popolazione mitica della Tessaglia, stanziata in origine sui massicci del Pindo, del Pelio e dell'Ossa, da dove avevano cacciato i Pelasgi, primi abitanti della regione. La leggenda narra di una lotta da essi combattuta coi Centauri. I Centauri erano stati invitati dai Lapiti alle nozze del loro re Piritoo, figlio di Issione, con Ippodamia. Poiché i convitati erano più di quanti il palazzo potesse ospitarne, i Centauri, cugini di Piritoo, sedettero a tavola con Nestore, Ceneo e altri principi tessalici in una vasta grotta. I Centauri tuttavia non erano avvezzi a bere vino e, quando ne fiutarono l'aroma, corsero con i loro corni d'argento ad attingere vino dagli otri, e si ubriacarono in tal modo che quando la sposa apparve sulla soglia della caverna per salutare gli ospiti, Eurizione balzò dallo sgabello, rovesciò il tavolo e la trascinò via per i capelli. Subito gli altri Centauri seguirono il suo vergognoso esempio, agguantando bramosi le donne che capitavano loro a tiro.
Piritoo e il suo compagno Teseo accorsero in aiuto di Ippodamia, amputarono il naso e le orecchie di Eurizione e, con l'aiuto dei Lapiti, gettarono i Centauri fuori della caverna. Si scatenò allora una lotta furibonda che costò la vita al lapita Ceneo e si prolungò fino al cadere della notte; così ebbe origine l'antica inimicizia tra i Centauri e i loro vicini Lapiti.
In quell'occasione i Centauri subirono un grave rovescio e Teseo li scacciò dal loro territorio di caccia sul monte Pelio, spingendoli nella terra degli Etici presso il monte Pindo. Ma non fu facile sottomettere i Centauri che, riunendo le loro forze, invasero il territorio del Lapiti. Essi colsero di sorpresa il grosso delle forze lapite e le decimarono, e quando i superstiti fuggirono a Foloe in Elide, i vendicativi Centauri li cacciarono anche di là e trasformarono Foloe in una loro roccaforte. I Lapiti si stabilirono poi a Malea.
Anche Eracle combattè i Lapiti per conto del loro nemico Egimio. I Lapiti, guidati da Corono, figlio di Ceneo, minacciavano Egimio e lo incalzavano così da vicino che egli fu costretto a far appello all'alleanza d'Eracle, promettendogli un terzo del regno in caso di vittoria. Eracle sbaragliò i Lapiti; ma rifiutò la ricompensa, chiedendo soltanto a Egimio di riservarla per gli Eraclidi. Si fa menzione della presenza di Lapiti fra i cacciatori di Calidone (Meleagro, Piritoo) e gli Argonauti (Ceneo, Corono, Mopso, Piritoo).

Lara

Una delle Naiadi, figlia del fiume Almone. Rifiutò di aiutare Giove a catturare la ninfa Giuturna, della quale era innamorato, mettendola in guardia contro di lui, e arrivando persino a raccontare tutto alla stessa Giunone. Irritato, Giove le strappò la lingua in punizione della sua petulanza. Essendo condotta, per ordine di Giove, agl'Inferi da Mercurio, questi si innamorò di lei e la rese madre dei gemelli Lari, dèi del culto familiare dei Romani.

Lari

La mitologia romana fra le molte divinità indigene maggiori e minori che presiedevano a tutti gli eventi della vita ci presenta come genii del campi e della casa i Lari, che hanno caratteristiche comuni coi Penati. Quanto alla natura i Lari furono considerati divinità dei vici e delle vie, o custodi delle case. Il Lar familiaris, onorato presso il focolare domestico, è considerato come lo spirito del capostipite della famiglia, rappresentante la continuità di essa e perciò anche la casa degli antenati in cui la famiglia risiede. I Romani li veneravano in particolare nel culto privato insieme con altre divinità della casa come Vesta, i Penati, i Manes. Ma alcuni ritengono che in origine furono divinità protettrici dei campi e dei singoli poderi, e quindi venerati nei crocicchi delle strade campestri (compita), dove veniva innalzata una cappella, presso la quale si celebrava ogni anno una festa popolare (Compitalia, Laralia), certamente antichissima.
Il culto pubblico dei Lari era attribuito a Servio Tullio, e si riferiva che l'idea di esso era stata concepita dalla madre di lui Ocrisia mentre stava offrendo un sacrificio. Le tradizioni relative ai Lari, pur così varie, si accordano nell'indicarli come dèi che presiedevano all'esistenza familiare e le loro immagini erano collocate insieme con quelle dei Penati presso il focolare domestico, in un Lararium, una specie di modesto tabernacolo. Alla casa erano strettamente legati, e non l'abbandonavano anche se la famiglia ne emigrava. In loro onore il focolare veniva adornato di corone tutti i giorni; alle calende, alle none, alle idi e in altri giorni festivi si facevano offerte votive di vino, focacce, favi di miele, frutta e, talvolta, incenso e animali, un porcello, un agnello. I grandi avvenimenti della vita di famiglia offrivano l'occasione di una devozione particolare ai Lari. La sposa entrando nella casa del marito offriva un sacrificio; i giovinetti, quando indossavano la toga, dedicavano ai Lari le loro bullae, e le fanciulle le loro bambole; il soldato che aveva terminato il servizio militare le sue armi; lo schiavo liberato, le sue catene.
Non mancarono altri aspetti del culto dei Lari. Infatti oltre i crocicchi anche le vie in generale godevano della loro protezione. Si invocava la loro assistenza al momento di intraprendere un viaggio, e si rendevano loro grazie per il ritorno felicemente compiutò.
I Lari erano raffigurati come adolescenti, che tenevano in mano un corno dell'abbondanza e volteggiavano leggermente sulle punte dei piedi. I loro abiti erano corti, come si conviene a dèi agili.

Latino

Nella tradizione romana compare come eroe eponimo dei Latini. Un re di questo nome si incontra per la prima volta nella Teogonia di Esiodo, che menziona, come figli di Odisseo e di Circe, Latino e Agrio, signori di una regione dell'estremo Occidente, che regnarono su tutti i Tirreni. Questa testimonianza associava le origini di Roma e del suo eponimo al mito di Odisseo e di Circe, anziché a quello di Enea che divenne poi predominante nella storia leggendaria dell'Occidente. La saga posteriore, riferita da alcuni storici greci, come Timeo, presenta Latino come figlio di Telemaco e di Circe, re dei Borigoni (Aborigeni), abitanti del Lazio, che dal nome del loro re si chiamarono Latini. Una tradizione oscura racconta che Eracle, ritornando dai luoghi di Gerione, giunto sulle rive dell'Albula, in seguito chiamato Tevere, fu accolto da re Evandro, un'esule dall'Arcadia, e generò Latino dalla vedova di Fauno, oppure dalla di lui figlia. Ma i Greci sostengono che Latino era figlio di Circe e di Odisseo.
La leggenda già elaborata dai Greci venne accolta dai poeti Nevio ed Ennio, e così pure dagli annalisti e dagli antiquari romani, fra cui Catone, e fu ulteriormente sviluppata. Latino re degli Aborigeni accolse Enea sbarcato nel Lazio e gli diede la figlia Lavinia in sposa; ma, scoppiata discordia fra i due popoli, Latino si alleò con Turno, re dei Rutuli, e venuto a battaglia con Enea cadde sul campo. Enea vittorioso unì i Troiani e gli Aborigeni in un unico popolo, dando origine al popolo dei Latini, sui quali regnò, e tramandò il regno ai suoi discendenti finché dalla stirpe di Enea nacquero i gemelli fondatori di Roma.
Un'elaborazione diversa della leggenda diede Virgilio eliminando la condotta incerta di Latino. All'arrivo di Enea nel Lazio vi si trovava il popolo reale e autoctono dei Latini; Latino non è discendente di Ulisse ma del latino Fauno e delle ninfa indigete Marica. La guerra fra Troiani e Latini non è dovuta a violazione di un patto giurato, ma è voluta da Giunone sempre avversa ad Enea, e all'amore di Turno per Lavinia.
Latino e la sua sposa Amata, avevano promesso la loro unica figlia Lavinia in sposa a Turno re dei Rutuli. Ma prima dell'arrivo di Enea, un oracolo aveva detto che Lavinia doveva sposare un uomo che giungeva da lontano. Latino riconobbe in Enea il candidato e lo accolse con cordialità, ma Giunone intervenne ancora mandando la furia Aletto a suscitare la guerra fra Troiani e Latini, a ispirare nel cuore della regina Amata un'invincibile avversione per Enea e a destare nel cuore di Turno, re dei Rutuli, viva gelosia. Infine Aletto provocò un incidente. Durante una battuta di caccia, Ascanio, figlio di Enea, colpì con un dardo, in modo da ferirlo soltanto, un cervo addomesticato particolarmente caro a Silvia, figlia di Tirro, custode degli armenti di Latino. Alle grida di Silvia accorsero in gran numero pastori e contadini con pertiche, pali, mazze, forche. Inaspriti gli animi, accorsero altri pastori ed altri Troiani, e così la zuffa si trasformò presto in battaglia. Amata e lo stesso Turno spinsero Latino alla guerra contro i Troiani; ma Latino si rifiutò e restò fermo nel suo proposito, e quando alfine vide che nulla poteva contro la follia e la cecità di tutto il popolo, abbandonò le redini del regno. Tuttavia rifiutò di aprire le porte del tempio di Giano, senza il quale rito la guerra non poteva essere dichiarata. Ma a questo provvide la stessa Giunone, sicché in breve Turno riunì i suoi alleati tra cui Camilla dei Volsci e l'esiliato etrusco Mezenzio. Enea ebbe l'appoggio di Tarconte, re degli Etruschi i quali odiavano Mezenzio per la sua crudeltà, e di Evandro l'arcade, che era imparentato con i Troiani e aveva da poco fondato la sua colonia a Pallanteo (sul colle Palatino). Turno attaccò il campo troiano e cercò di bruciare le navi che vennero da Cibele trasformate in Ninfe marine. La battaglia stava volgendo al peggio; Pallante, il giovane figlio di Evandro, e molti altri dei suoi uomini furono uccisi, ma Enea uccise Mezenzio e suo figlio Lauso e mutò le sorti della battaglia. Venne stabilito un armistizio e si giunse all'accordo di risolvere la questione con un combattimento singolo tra due campioni. Ma Giunone fece in modo che i Latini rompessero il patto, e nella battaglia che seguì Enea venne ferito. Venere lo curò ed egli attaccò Laurenzio, la città di Latino, con tale violenza che Amata, credendo Turno morto, si tolse la vita. Ancora una volta Turno accettò la tregua e il combattimento singolo, ma sua sorella Giuturna, una ninfa d'acqua che l'aveva aiutato a resistere a Enea, ora abbandonò la sua causa ed Enea lo sconfisse. Turno gli chiese di risparmiargli la vita ed Enea, compassionevole come sempre, vorrebbe salvarlo, ma alla vista del cinturone di Pallante che Turno indossava come un trofeo, fu preso dall'ira e lo trafisse. Dopo la morte di Turno, Latino concluse la pace coi Troiani; Enea sposò Lavinia e governò sui Latini e i Troiani. Fondò un nuova città chiamandola Lavinium, dal nome di sua moglie.

Latona

Figlia del titano Ceo e della titanide Febe, sorella di Asteria e Ortigia, e madre di Apollo e di Artemide.
La sua figura si arricchisce di varie leggende che ebbero il loro centro in Delo. Resa madre da Zeus, fu perseguitata dalla gelosia di Era che incaricò il serpente Pitone di inseguire Latona tutt'attorno al mondo, e decretò che essa non avrebbe potuto partorire in alcun luogo dove brillasse il sole. Quando giunse il tempo per Latona di partorire, Zeus ordinò al vento Borea di portarla da Poseidone il quale, a sua volta, la condusse a Ortigia. Poseidone generò una grande onda perché coprisse tutta l'isola e la nascondesse al sole. Qui Latona mise alla luce Artemide che, appena nata, aiutò la madre ad attraversare lo stretto e a Delo, tra un olivo e una palma, Latona si sgravò di Apollo dopo nove giorni di travaglio. Dopo la nascita della coppia divina, Poseidone fissò l'isola di Delo, che fino a quel momento era stata un'isola vagante, al fondo del mare con quattro colonne. Tutte le dee dell'Olimpo, eccettuata Era, diedero assistenza alla Titanessa durante tutto il travaglio e infine mandarono Iride a chiamare Ilizia perché Apollo potesse nascere all'insaputa di Era.
Latona portò i due bambini in Licia per lavarli nel fiume Xanto, ma alcuni pastori gielo vietarono facendola allontanare dai lupi. Leto chiamò il paese Licia per via dei lupi, e trasformò i pastori in rane.
Nella leggenda di Latona si inseriscono altri tre episodi, di Pitone, di Tizio e di Niobe. Partito da Delo, Apollo si diresse senza indugio verso il monte Parnaso, dove si celava il serpente Pitone, nemico di sua madre, e lo ferì gravemente con le sue frecce. Pitone si rifugiò presso l'oracolo della Madre Terra a Delfi; ma Apollo osò inseguirlo anche nel tempio e lo finì dinanzi al sacro crepaccio. Il gigante Tizio, nato dalla Terra, cadde sotto i colpi di Apollo e di Artemide avendo tentato di usare violenza alla loro madre. Nel Tartaro fu condannato alla tortura con le braccia e le gambe solidamente fissate al suolo e due avvoltoi gli mangiavano il fegato che rinasceva secondo le fasi della luna. Niobe, madre di sette figli e sette figlie, volle, nel suo orgoglio materno, paragonarsi a Latona, che si vendicò facendo uccidere tutti i suoi figli. Apollo trovò i ragazzi che cacciavano sul monte Citerone e li uccise a uno a uno, risparmiando il solo Amicla, che aveva saggiamente innalzato una preghiera propiziatoria a Latona. Artemide trovò le fanciulle intente a filare in una sala del palazzo e con una manciata di frecce le sterminò tutte, salvo Melibea, che aveva imitato l'esempio di Amicla.
Nel mondo greco, il culto di Latona era molto diffuso nell'Asia Minore; nell'isola di Delo invece è strettamente connesso con quello dei figli Apollo e Artemide. A Delo si trovava uno dei santuari sacri a Latona, con una statua arcaica di legno e una palma di bronzo che ricordava la palma a cui Latona si era aggrappata al momento del parto. A Delo la nascita dei due gemelli era ricordata da due feste che vi si celebravano il 6 e 17 Targelione. Anche i Romani onorarono Latona, ma di lei si hanno poche testimonianze nelle iscrizioni. Una festa in onore di Latona era celebrata in un giorno incerto, che si suppone possa essere il 5 settembre. Se ne ha notizia nei Fasti Urbinati, dai quali risulta che era onorata insieme al figlio Apollo in un tempio presso il teatro di Marcello.

Lavinia

Figlia del re Latino e di Amata. Era già stata chiesta in matrimonio da molti principi italici, fra i quali la regina madre, Amata, aveva da tempo volto la sua preferenza su Turno, re dei Rutuli e figlio della ninfa Venilia, sua sorella. Ma il re Latino si era rivolto all'oracolo del padre Fauno, e da questo era stato esplicitamente avvertito di non dare la figlia ad un uomo latino, perché il Destino aveva già scelto per lui un genero che sarebbe venuto da lontano. Quando Enea approdò nel Lazio, Latino riconobbe nell'eroe troiano il candidato, lo accolse con cordialità e gli diede in moglie Lavinia. Ne nacque la guerra fra Turno, aiutato da Mezenzio re di Cere, da una parte, ed Enea e Latino dall'altra: morti in battaglia Turno e Latino, Enea sposò Lavinia e governò sui Latini e i Troiani. Fondò un nuova città chiamandola Lavinium, dal nome di sua moglie. Dopo la morte di Enea, Lavinia per sfuggire all'odio del figliastro Ascanio, si rifugiò in un bosco presso il pastore Tirro, dove diede alla luce Silvio, figlio postumo di Enea. Qualche tempo dopo Ascanio, che era malvisto dal popolo per la sua crudeltà verso la matrigna, si riconciliò con Lavinia cedendole la città di Lavinio e fondando per sé la città di Alba. Ma quando Ascanio morì senza figli, chiamò Silvio a succedergli.
Il mito è narrato da Catone nelle Origini, e da Dionigi d'Alicarnasso; un'altra versione, ripresa da Livio, fa invece Ascanio figlio di Lavinia, e naturalmente omette il raccoanto della persecuzione. Nell'Eneide virgiliana Lavinia compare solo marginalmente, pur avendo tanta parte, come causa involontaria nel susseguirsi degli eventi.

Leandro

Un giovane d'Abido innamorato di Ero, sacerdotessa di Afrodite, che abitava a Sesto, la città sull'altra riva dell'Ellesponto di fronte ad Abido.
I due giovani s'incontrarono e si innamorarono, ma Ero, al servizio della dea, non era libera di sposarsi e, per mantenere segreta la loro relazione, decisero d'incontrarsi ogni notte. Leandro andava a visitarla attraversando a nuoto l'Ellesponto sotto la guida di una fiaccola che la fanciulla teneva accesa in cima alla torre dove viveva, e ritornava a casa al mattino. Una notte, durante l'inverno, il vento spense la fiaccola e Leandro, spinto dai flutti contro gli scogli, annegò. Il mattino successivo la ragazza vide il corpo dell'amato sulla spiaggia e, sconvolta dal dolore, si gettò dall'alto della torre. La storia viene narrata dal poeta greco Museo, vissuto probabilmente nella seconda metà del secolo V d.C.

Learco

Learco nella mitologia greca era figlio di Atamante e di Ino.

La sua storia fa parte del ciclo di Tebe narrata per esempio nelle Metamorfosi di Ovidio. Fu ucciso ancora fanciullo dal padre che era stato fatto impazzire da Giunone come punizione di aver accolto e allevato Bacco, figlio illegittimo di Zeus avuto dalla sorella di Ino, Semele.

Il padre, accecato dalla pazzia, scambiò il piccolo Learco per un leoncino (o secondo altre versioni per un cerbiatto) e lo uccise, mentre la madre si gettò da una rupe con l'altro figlio Melicerte. Ovidio insiste su alcuni particolari patetici della sua storia, come quello che il bambino aveva spontaneamente allungato le braccia verso il padre per abbracciarlo, non sapendo che egli era impazzito e voleva ucciderlo.

Leda

Nella mitologia greca Leda era figlia di Testio e moglie di Tindaro, re di Sparta.

La leggenda narra che Zeus, innamoratosi di lei, si trasformò in un cigno e si accoppiò con Leda, che generò due uova. Da un uovo sarebbero usciti i Dioscuri, Castore e Polluce, mentre dall'altro Elena e Clitennestra.

La tradizione mitica è discordante riguardo a quale fosse la progenie divina; secondo alcune versioni i figli immortali di Zeus non sarebbero stati i Dioscuri ("figli di Zeus"), ma Polluce ed Elena, mentre gli altri due sarebbero figli di Tindaro.[1]

Secondo un'altra versione del mito, Leda trovò l'uovo, frutto dell'unione tra Zeus e Nemesi, dal quale sarebbe uscita Elena.

Leimone

Nella mitologia greca, Leimone era il nome di uno dei figli di Tegeate e di Mera, la figlia di Atlante.

Aveva diversi fratelli: Scefro e Archedio e secondo altre versioni a questo elenco si aggiungevano Cidone, Catreo e Gorti che forse era il figlio di Radamanto).

Di lui si parla anche in un'altra occasione: quando vide il suo fratello Scefro parlare con il dio Apollo fraintese le sue parole, e pensò che lo stesse calunniando pesantemente. Trovò allora giusto intervenire uccidendolo, in realtà stava parlando serenamente con la divinità. Artemide che si trovava con il fratello vendicò immediatamente la morte del ragazzo uccidendo lo stesso Leimone. La furia della divinità colpì l'intero regno.

In ricordo di ciò il popolo degli Tegeati istituirono una festa dove una sacerdotessa della dea dava simbolicamente la caccia ad un ragazzo proprio per ricordare tale avvenimento).

Leiocrito


Nella mitologia greca, Leiòcrito (o più comunemente Leocrito) era il nome di uno dei guerrieri achei che prese parte alla guerra di Troia, per vendicare il rapimento di Elena, regina di Sparta, per opera di Paride, il troiano suo amante. Menelao, re di Sparta, marito tradito, volle vendicare questo oltraggio e partì con un innumerevole esercito guidato da suo fratello Agamennone, alla volta della città di Troia. Le vicende più interessanti di questo conflitto sono raccontate da Omero nell'Iliade.

Genealogia e origini


Leiòcrito, figlio di un certo Arisbante, era conosciuto per essere amico di Licomede, un valoroso guerriero acheo, figlio di Creonte, che partecipò anch'egli alla guerra di Troia, distinguendosi tra i più forti. Null'altro, tuttavia, si conosce su questo personaggio, la cui presenza letteraria è limitata a solo due versi dell'Iliade.

Nella guerra di Troia


Il ruolo di Leiocrito nella guerra di Troia è assolutamente secondario. L'unica volta in cui viene nominato è in riferimento alla sua morte, avvenuta nel libro XVII dell'Iliade.
Durante i combattimenti che si svolsero dopo la morte di Patroclo, il fedele compagno di Achille, caduto per mano dell'eroe troiano Ettore, gli Achei e i Troiani si affrontarono con immensa crudeltà per impossesarsi del corpo del morto. I Greci, spinti dal loro coraggio e dal loro affetto per il giovane si dimostrarono molto più audaci dei Troiani, cosicché quest'ultimi a causa della loro violenta pressione furono costretti ad arretrare. Tuttavia il dio Apollo in persona, assunto l'aspetto di Perifante, araldo dei Teucri, incitò l'eroe troiano Enea alla battaglia;

Quest'ultimo intervenne tempestivamente per salvare le sorti del suo popolo, e con un balzo scagliò la sua lancia mortale, trafiggendo il giovane Leiòcrito che si apprestava ad avanzare per abbattere qualcuno dei suoi nemici. Ma Licomede, afflitto per la perdita del fedele compagno si vendicò uccidendo a sua volta Apisaone, un guerriero troiano.

Leipefilene


Nella mitologia greca, Leipefilene era il nome di una delle figlie di Iolao e di Megara.

Fu sposa di Filante, il figlio di Antioco. A seconda delle versioni ebbe 1 o 2 figli, secondo Apollodoro ebbe soltanto Ippote[1] mentre a lui Pausania aggiunge Tero.

Leito

Nella mitologia greca, Leito era il nome di uno dei figli di Alettrione, mentre secondo altre leggende i suoi genitori erano Lacrito e Teobula. Secondo altre versioni, egli sarebbe addirittura nato da Gea, la Terra e sarebbe dunque fratello dei Giganti.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone vi era Leito. Nel catalogo delle navi, chiamato anche Boiotia lo troviamo a capo dei beoti. Durante la guerra si distinse in più occasioni, ad esempio riuscì a ferire un avversario forte come Filaco, esortava il proprio esercito quando il timore di non riuscire a vincere la lunga guerra si faceva strada. Leito non aveva paura di sfidare avversari forti come Ettore, anzi fu uno dei pochi a cavarsela in uno scontro contro di lui venendo ferito alla mano, rimanendo vivo nella confusa battaglia fra Ettore e Idomeneo.

La ferita riportata per mano dell'eroe troiano si rivelò fatale per il giovane beota, il quale fu costretto ad abbandonare la guerra contro Troia e a tornare in patria, portando con sé le ceneri di Arcesilao, suo sfortunato compagno, morto per mano di Ettore.

Fu l'unico dei duci beoti a sopravvivere alla guerra di Troia. Clonio, Protoenore, Arcesilao e Peneleo morirono infatti durante i combattimenti.

Leito figlio di Alettore

Uno dei figli di Alettore che partecipò senza distinguersi, secondo Pseudo-Apollodoro, alle imprese degli Argonauti per la conquista del vello d'oro.

Lelego

Lelego era il nome di diversi personaggi della mitologia greca:

* Lelego, figlio di Poseidone e di Libia
* Lelego, famoso eroe dell'isola di Leucade. Da lui discende Teleboante
* Lelego, figlio di Cleocaria e padre di Milete e Policaone.

Lelego (Cleocaria)

Nella mitologia greca, Lelego era il nome di uno dei figli di Cleocaria e della terra.

Anche se il rapporto con Cleocaria è discusso fra i mitografi, Apollodoro afferma che la ninfa sia in realtà sua sposa, era un eroe della popolazione chiamata lelegi e fu il primo re della Laconia. Ebbe due figli (forse anche tre) che si chiamarono Milete e Policaone. IL primo gli succedette al trono di Laconia, che a sua volta lo trasmise al proprio figlio Eurota, chiamato anche il dio-fiume. Policaone era il figlio minore e sposò Messene figlia del re di Argo, Triopa, ed ottenne il regno della Messenia, che chiamò così ispirandosi al nome della moglie.

Lelego (Poseidone)

Nella mitologia greca, Lelego era il nome di uno dei figli di Poseidone e di Libia.

Re di Megara ebbe due figli, dal primo chiamato Clesone ebbe 2 nipoti: Cleso e Teuropoli che poi trovarono il corpo di Ino che si gettò in mare, e un altro Biante.

Lemniadi

Le Lemniadi sono le abitanti dell’isola greca di Lemno. Nel mito greco sono ricordate per aver trascurato gli obblighi cultuali nei confronti di Afrodite e perciò condannate dalla dea ad essere respinte dai mariti.

La punizione di Afrodite

Non è chiaro il motivo per cui Afrodite decide di punire le donne di Lemno. Si ipotizza una dimenticanza, una negligenza o addirittura un disamore nei confronti della dea. La separazione che viene a crearsi tra le Lemniadi e Afrodite, dea dell’amore e custode dei legami matrimoniali, ha come conseguenza l’allontanamento delle Lemniadi da parte dei loro mariti. La dea infatti avrebbe inflitto loro un odore ripugnante non rendendole più desiderabili agli uomini, che presero con sé delle concubine tracie, catturate come schiave nel corso di spedizioni di guerra. Per vendetta allora le Lemniadi nel corso di una notte fecero strage dei loro mariti infedeli e dei figli di sesso maschile che avevano avuto da quelli.

Le Lemniadi e gli Argonauti


Quando gli Argonauti giungono nell’isola di Lemno le Lemniadi idossano armi e sono piene di frenesia guerriera, spaventose quanto le Tiadi "divoratrici di carne cruda." Lentamente tuttavia sembrano voler riacquistare la loro condizione femminile di mogli e madri. Iniziano a cedere alle richieste di un araldo inviato dagli Argonauti e fanno avere agli stranieri vino e cibo, a condizione che non entrino in città. In seguito decidono di dare loro il benvenuto portando sulla spiagga gli xenia, doni che si fanno per salutare gli stranieri. Questi doni dell’ospitalità stabiliscono un vincolo con gli Argonauti. Infine, gli Argonauti riescono ad unirsi alle donne di Lemno al termine di giochi e gare, dove i premi sono costituiti da abiti tessuti dalle donne stesse, e in occasione di una festa nella quale i sacrifici più belli vengono offerti in onore di Efesto di Lemno e della sua sposa Afrodite.

Apollonio Rodio

Nella sua versione, Apollonio Rodio sottolinea due particolari che indicano il ritorno delle Lemniadi alla condizione femminile. Innanzitutto, il matrimonio collettivo con gli Argonauti è provocato da Afrodite stessa, per riportare la specie umana a Lemno: si dice infatti che questi matrimoni siano unioni feconde. Inoltre, mentre la città in festa di riempie di banchetti e danze, Lemno esala un odore gradevole, dove il fumo delle carni sacrificali si mescola al profumo degli aromi bruciati in onore di Afrodite. In questo modo è ristabilita la comunicazione tra la terra di Lemno e gli dei e dall’altro lato il puzzo delle donne è allontanato definitivamente dall’odore profumato che fa rinascere il favore della dea del desiderio amoroso.

Eschilo

Nella versione eschilea gli Argonauti si presentano a Lemno per svernare sull’isola ma le Lemniadi impediscono loro di sbarcare finché non giurano di unirsi a loro.

Nozze e guerra


Le nozze e la guerra costituiscono i due poli entro cui si sviluppa questo racconto mitico. Nella società antica il matrimonio per la giovane donna e la guerra per il giovane uomo sono le due istituzioni che, come spiega Jean-Pierre Vernant, segnano per l’uno e per l’altra la realizzazione della loro rispettiva natura, uscendo da uno stato nel quale ciascuno partecipa ancora dell’altro.

La dysosmìa

Nel mito delle Lemniadi la negazione del matrimonio è espressa in due termini. Da un lato la condizione guerriera delle donne e dall’altro il cattivo odore da loro emanato (dysosmìa). Questo odore infetto verrebbe secondo alcuni dalla bocca delle Lemniadi, secondo altri dal loro sesso. Una terza versione lo localizza nelle ascelle, in quella parte del corpo della quale l’autore dei Problemi aristotelici giustifica il cattivo odore con l’assenza di aerazione, che genera una sorta di putrefazione (sepsis). Nella versione di Mirsilo di Metimna, la responsabile del cattivo odore sarebbe la maga Medea che, passando al largo di Lemno con Giasone, avrebbe gettato in mare dei phàrmaka, forse a base di ruta, considerata una pianta anafrodisiaca.

La festa di Lemno

Ogni anno a Lemno le donne sono separate dagli uomini e dai ragazzi, a causa del cattivo odore che diffondono intorno. Secondo Mirsilo di Metimna la separazione dura un giorno, ma secondo Antigono di Caristo si prolungherebbe per parecchi giorni. Che la dysosmìa delle donne sia provocata dall’ingestione di spicchi d’aglio, come nelle Sciroforie, o che sia una finzione, voluta dalla festa, la distanza rituale tra le donne e gli uomini si inserisce in una cerimonia più vasta, durante la quale tutti i fuochi di Lemno sono spenti per diversi giorni.

Alle due sequenze del mito (separazione delle donne dai mariti; rinnovamento della vita con il matrimonio collettivo degli Argonauti) corrispondono i due tempi del rito.

* Prima fase: la scomparsa del fuoco, del calore, della cucina e dei sacrifici comporta l’abolizione di ogni vita normale.
* Seconda fase: il ritorno del fuoco puro, portato dalla nave che va a prelevarlo da Delo, comporta la nascita di una nuova vita a Lemno.

Leneo

Nella mitologia greca Leneo era un satiro, figlio di Sileno. Fu uno dei progenitori della propria razza.

Di lui ci riferisce solo Nonno. Leneo era un giovane "dai piedi di vento" al seguito di Dioniso in Lidia, nel periodo della giovinezza del dio. Fu coinvolto in una gara di corsa con un altro satiro, Cisso, e con l'amante di Dioniso, Ampelo, cui il dio assegnò la vittoria. Leneo fu l'unico dei tre a rendersi conto di aver perso solo a causa dell'intervento divino.
In seguito, quando Rea invitò le divinità greche ad aiutare Dioniso nella sua guerra contro gli Indiani, Sileno andò alla battaglia portando con sé Leneo e altri due dei propri figli Marone e Astraio, ciascuno dei quali recava un bastone per sostenere l'anziano padre. Leneo si fece valere nel combattimento presso il lago Astakid, scagliando la cima di una montagna contro i nemici.

Diodoro Siculo cita Leneo come una delle epiclesi di Dioniso.

In greco antico il λένος era il tino in cui veniva pigiata l'uva per produrre il mosto; Leneo (λένεος) significa dunque "del tino".

Leodoco

Nella mitologia greca, Leodoco (o Leodico) era il nome di uno dei figli di Briante e di Preto

Secondo Apollonio Rodio, quando Giasone, un eroe greco, chiamò a raccolta tutti gli uomini valorosi per unirsi a lui nella spedizione per la raccolta del vello d’oro Leodoco fu uno dei tanti che rispose all’appello, anche se durante il viaggio non si distinse per le sue imprese.

Leodoco aveva due fratelli chiamati Taleo e Areo.

Edited by demon quaid - 28/12/2014, 16:00
 
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Vampiro di dracula

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Leonteo

Nella mitologia greca, Leonteo era il nome di uno dei capi dei Lapiti che combatté durante la guerra di Troia, che vide contrapposte le città della Grecia al regno di Troia. L’eroe si schierò dalla parte degli achei.

Leonteo era figlio di Corono, che a sua volta era figlio di Ceneo e dunque discendente del dio della guerra Ares. Portava in guerra 40 navi con cui approdò sulle spiagge di Troia. Egli era esperto combattente, maestro con la lancia che combatteva sempre a fianco di un altro Lapita, Polipete. In una delle tante battaglie uccise con la spada quattro guerrieri troiani (Antifate, Menone, Iameno, Oreste (Troia)) e ne ferì un altro con la lancia (Ippomaco). Partecipò ai giochi funebri organizzati in onore di Patroclo, dove sfidò il suo amico e altri valorosi combattenti in una specie di getto del peso.

Lerno

Lerno è il nome di alcune figure della mitologia greca. Sono elencate di seguito in ordine cronologico:

* Lerno, figlio di Preto e discendente di Nauplio, ricordato da Igino (Fabula, 14) come padre adottivo di Palemone (in realtà figlio naturale di Efesto), uno degli eroi che affiancarono Giasone nella spedizione degli Argonauti.
* Lerno, un leggendario sovrano che regnava sulla città di Idra, considerata inespugnabile perché protetta da una schiera di cinquanta arcieri che andava a ricostituirsi ogni volta che uno di questi veniva ucciso. Fu attaccata da Eracle per ordine di Euristeo e conquistata nonostante i rinforzi portati dal capo militare Carcino alla città. Il mito è un'interpretazione in chiave evemeristica della terza della dodici fatiche compiute da Eracle.
* Lerno, un guerriero acheo al tempo della guerra di Troia, ucciso da Pentesilea. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, v. 228.)
* Lerno di Rodi, marito di Anfiale e padre di Cleodoro, un guerriero acheo che militò nella guerra di Troia dove morì per mano di Paride.

Lestrigoni

I Lestrigoni sono un popolo leggendario di giganti antropofagi, citati nell'Odissea come distruttori della flotta di Ulisse (della quale si salva solo la nave dell'eroe).

Secondo Omero, nella terra dei Lestrigoni la notte è così breve che il pastore che esce sul fare del mattino per portare il gregge al pascolo incontra il pastore che rientra perché sta calando la sera. Questo particolare ha portato qualcuno ad ipotizzare che si tratti di vaghi ricordi dell'estate nordica da parte di qualche viaggiatore.

La loro città è chiamata Lestrigonia, o anche Lamia da Lamo, suo fondatore, all'epoca della guerra di Troia.

Secondo altri autori antichi, il nome Lamia derivava invece da quello di una fanciulla libica che Giove, in occasione di una delle sue numerose infedeltà coniugali, aveva rapito e portato sul lido di Formia. L'identificazione dell'attuale Formia quale capitale dei Lestrigoni deriva dalla lettura di alcune fonti classiche come Plinio il Vecchio, che nel I secolo dell'era cristiana, scriveva: Formiae, Hormiae prius dictae olim, sedes antiqua Lestrigonum ("Formia, prima detta, un tempo, Hormiae, fu antica sede dei Lestrigoni").

Lo scomparso Albino Cece dichiarava di aver trovato in zona Campello d’Itri i resti di una civiltà talaiotica (i talaiot sono costruzioni simili a nuraghe) risalente a circa quattromila anni fa deducendone che questo altopiano fu proprio abitato dal popolo dei Lestrigoni, e che qui doveva sorgere la città di Telepilo fondata da Lamo, forse proveniente dalla città di Làmia in Tessaglia. I Lestrigoni potevano esser forse stati gli antenati degli Aurunci.

Lete

Nella mitologia greca designa ora una pianura (Aristofane, Rane, 185), ora un fiume (Platone, Repubbl., X) del mondo infernale, dove le anime dei trapassati perdevano il ricordo della vita terrena. Prevalse la figurazione del fiume, la cui acqua dava l'oblio alle anime destinate a entrare in nuovi corpi; così troviamo in Virgilio (Eneide, VI, 703-15). Pausania parla della libazione delle acque del Lete come di una cerimonia iniziatica dell'orfismo. Dante fece del Lete uno dei fiumi del Paradiso terrestre, entro al quale viene tuffato da Matelda, perché perda, prima di salire al cielo, perfino il ricordo di ogni male (Purg., XXXI).

Leuce 1

Ninfa, figlia di Oceano e di Teti, amata da Ade che la rapì portandola con sé nel regno delle ombre. Quando ella morì il dio infernale la fece rinascere sotto forma di pioppo bianco presso la fontana della Memoria, nei Campi Elisi. Sulla via del ritorno dagli Inferi, Eracle si intrecciò una corona con le fronde dell'albero che Ade aveva piantato presso i Campi Elisi in ricordo della sua amante, la bellissima ninfa Leuce. Le foglie marginali di tale corona rimasero nere, perché questo è il colore dell'Oltretomba; ma le foglie che aderivano alla fronte dell'eroe furono tinte in bianco-argento dal sudore dell'eroe. Ecco perché il pioppo bianco o tremula gli è sacro; il suo colore significa che Eracle ha compiuto le Fatiche in ambedue i mondi.

Leuce 2

Nome dell'Isola Bianca, nel Ponto Eusino, alla foce del Danubio, nella quale secondo le antiche leggende il corpo di Achille, sottratto al rogo, sarebbe stato trasportato dalla madre Teti. Alcuni credono che qui Achille abbia sposato Elena (o Ifigenia, o Medea) e viva regalmemnte una vita di feste e di combattimenti, circondato da un certo numero di eroi. Altri dicono che i naviganti che dal Bosforo si dirigono a nord spesso odono la voce di Achille che canta versi di Omero, e quel suono è accompagnato da zoccolìo di cavalli, grida di guerrieri e clangore di armi.

Leucippe 1

Moglie di Laomedonte e madre di Priamo, secondo alcune tradizioni.

Leucippe 2

Moglie di re Testio e madre di Ificlo. Questi partecipò alla caccia di Calidone e alla spedizione degli Argonauti.

Leucippe 3

Figlia di Testore e sorella di Calcante e di Teonoe.

Leucippe 4

Madre di Euristeo.

Leuco

Nella mitologia greca, Leuco era il nome di uno dei compagni di Odisseo (o Ulisse), i quali lo accompagnarono con una flotta verso Troia, per combattere nella guerra ivi scoppiata. Gli eventi principali di questa guerra sono raccontati ampiamente da Omero nell'Iliade.

La partenza

Leuco, descritto da Omero come uno dei più fedeli seguaci dell'eroe Odisseo, proveniva con molta probabilità dalla stessa patria di quest'ultimo, Itaca. Insieme a molti altri suoi compatrioti, egli aveva abbandonato la sua città per prendere parte alla guerra che oppose per ben dieci anni le fazioni dei Troiani e degli Achei.

La morte

Questo personaggio non svolge affatto un ruolo determinante durante la decennale guerra.
Nel libro IV dell'Iliade, dopo un vano tentativo di riappacificamento con un regolare duello tra gli autori della guerra, Paride e Menelao, le ostilità ripresero con una feroce battaglia che vide la morte di numerosi eroi.

Leuco, che si trovava durante quella mischia proprio nel mezzo della battaglia, alla ricerca di cadaveri da spogliare per ottenere bottino, venne intravisto dall'avversario Antifo, figlio di Priamo e di Ecuba, il quale riuscì a trafiggerlo con la sua lancia proprio in direzione del ventre.

Leucotoe


Leucotoe (o Leucotea) è una figura della mitologia greca.

La dea Venere, decisa a vendicarsi di Apollo che l’aveva sorpresa con Marte, lo fece innamorare di Leucotoe, figlia di Orcamo, re degli Achemenidi. Il dio, per poterla possedere, si tramutò nella madre delle ragazza. Entrato nella stanza dove Leucotoe stava tessendo insieme alle ancelle, riuscì a rimanere solo con lei.

Clizia, una ninfa innamorata di Apollo, per vendicarsi del dio che l'aveva disdegnata rivelò lo stratagemma al padre della rivale, che punì la figlia seppellendola viva in una fossa profonda. Il dio, tentando di resuscitarla, fece nascere sul luogo dov'era sepolta una pianta d'incenso.

Libero

Antica divinità romana e italica, che insieme con Libera formava una coppia di antiche divinità della fecondità della natura tanto vegetale, quanto animale, e quindi anche della vita familiare. Secondo Varrone in un mese di primavera non precisato si celebrava a Lanuvio in onore di Libero una festa agraria con una processione particolare. Data la forma arcaica del culto si doveva trattare di un'antica divinità indigena, anteriore all'assimilazione di Libero con Dioniso, distaccatasi da tempo da Giove che alla fecondità presiedeva col nome di Iuppiter Libertas o Iuppiter Liber. Per alcuni invece Libero non sarebbe altro che Dioniso pervenuto a Roma nel secolo VI a.C. da Cuma della Campania. Per altri sarebbe avvenuta l'assimilazione con Dioniso al principio del secolo V a.C. In conseguenza di una carestia (496 a.C.) i Libri Sybillini interrogati avrebbero ordinato di introdurre in Roma la triade greca eleusina Demetra, Dioniso e Core, importata nella forma latina di Cerere, Libero e Libera, in quanto divinità protettrici dell'agricoltura.
In onore di Libero si fissò già nel cosiddetto feriale di Numa al 17 marzo la festa delle Liberalia. Un'altra festa era celebrata anche al tempo della vendemmia. Queste feste mantennero sempre il loro carattere originario indigeno e popolare. Altre cerimonie in onore di Libero erano celebrate in vari luoghi d'Italia, accompagnate da una esaltazione orgiastica della fecondità. Differenziato da Dioniso e considerato come padre, Libero continuò ad avere venerazione in Roma ancora nel periodo di crisi della Repubblica.
Il giorno della festa delle Liberalia i giovinetti che avevano raggiunta l'età prescritta di 15 anni lasciavano la toga pretesta per assumere la toga virile, e probabilmente in questo giorno offrivano il loro sacrificio a Libero nel tempio sul Campidoglio dove si recavano processionalmente. Nel giorno delle Liberalia vecchie donne incoronate di edera stavano per le vie della città per vendere ai passanti piccole focacce fatte di farina, miele e olio; da quelle vendute si staccava un piccolo frammento e si gettava sul focolare portatile in onore di Libero a beneficio dell'acquirente.

Libia (mitologia)

Libia è una figura della mitologia greca, figlia di Epafo e di Menfi (ninfa del Nilo).

Dalla sua unione con Poseidone, nacquero Agenore e Belo.

Libitina


Libitina è una divinità della mitologia antica ed arcaica romana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti che si tributavano ai morti e che perciò presiedeva ai funerali. Aveva un proprio santuario nei pressi di un bosco sacro, situato verosimilmente nella zona del colle Aventino. Laggiù si riunivano gli impresari di pompe funebri (libitinarii). Questa dea presenta delle analogie con Proserpina e non possiede alcuna leggenda propria.

A causa di una falsa etimologia, essendo Libitina simile a Libido (la passione), nelle epoche romane successive questa arcaica divinità venne associata a Venere e quindi il nome Libitina divenne uno degli epiteti di quest'ultima.

Lica

Nella mitologia greca, Lica era il nome di uno degli araldi di Eracle.

Eracle inviò Lica a Trachis affinché recuperasse una veste prodigiosa. Ebbe da Deianira la veste intrisa dal sangue di Nesso, la donna in realtà pensava ad essa come un potente filtro d'amore, come le aveva raccontato lo stesso Nesso morente, ma si trattava invece di un veleno molto potente. Se ne accorse in ritardo, osservando la fine di una sola goccia caduta a terra, non riuscendo poi ad avvertire in tempo il suo amato del pericolo imminente.

Questo sangue era avvelenato con il velenoso sangue del mostro Idra di Lerna. dopo che Eracle indossa la veste si sente male e pensa che il giovane Lica lo avesse avvelenato. Così lo prende e lo scagliò giù dal promontorio.

Altri invece narravano una diversa fine di Lica, Ovidio ad esempio racconta di come egli venne scagliato nel mare d'Eubea, da li venne tramutato in roccia. Una leggenda dice che Lica si sia diviso in mille pezzi che hanno creato tutte le isole che si trovano sul mar Egeo.

Licaone (Pelasgo)

Licaone è un personaggio della mitologia greca, figlio di Pelasgo e sovrano dell'Arcadia, ritenuto in quasi tutte le versioni del mito come un uomo empio.

Desiderando Zeus accertarsi dell'empietà di Licaone andò, travestito da contadino, a chiedere ospitalità al sovrano. Il re per sapere se l'ospite fosse veramente una divinità decise di servire al banchetto in suo onore le carni del nipote Arcade, o in un'altra versione, quelle di un prigioniero. Il dio inorridito fulminò l'empio e tutti i suoi 49 figli, eccettuato Nittimo, salvato dalla dea Gea, il quale poté così succedere al padre.

Un'altra versione del mito, narrata da Publio Ovidio Nasone nelle Metamorfosi, racconta che per la sua empietà Licaone fu punito con la trasformazione in un "feroce lupo", destinato a cibarsi di carne umana.

Questa versione viene messa in rapporto con i sacrifici umani che si svolgevano in Arcadia in onore di Zeus Liceo, quando una vittima umana veniva immolata e i celebranti, che si erano cibati delle viscere, venivano trasformati in lupi per otto anni. Scaduto questo termine potevano ritornare umani, a patto che non avessero mangiato carne umana.

Licaone (Priamo)

Licaone era un figlio di Priamo e di Laotoe.

È citato nell'Iliade di Omero, precisamente nel 21° Canto, quando Achille per vendicare la morte del suo amico fraterno Patroclo, fa strage di troiani sul fiume Scamandro, che scorre vicino Troia. Il povero Licaone da bambino era stato rapito da Achille, che lo vendette come schiavo, per poi appunto rivederlo in armi ed ucciderlo con un colpo di spada alla clavicola. Nell' episodio possiamo notare un cambiamento da parte dell'eroe greco. Infatti non è più colmo di onore e di gloria, per aver ucciso un suo avversario, ma diventa un semplice assassino, lontano dai parametri di abile guerriero. Licaone con un gesto di supplica (ossia toccando i ginocchi di Achille e sottomettendosi) cerca di far provare pietà al suo nemico. Quest'ultimo sembra non essere scosso da alcuna pena, ma arriva addirittura ad ucciderlo con un colpo di spada alla clavicola; non contento, Achille afferra per un piede il nemico e lo trascina nella polvere fino a gettarlo nel fiume, impedendo per sempre alla sua anima il suo ingresso al cancello di Ade dove sarebbero giunti coloro che, dopo la morte, per pietà del nemico, avrebbero avuto l'onore di ricevere le esequie funebri da parte dei propri genitori e della patria, che è appunto la città di Troia, essendo un fratellastro dell'eroe troiano Ettore, l'assassino dell'amico di Achille Patroclo, ritornato nel campo di battaglia per vendicarlo e cominciando indiscriminatamente a spargere sangue.

Licinnio

Nella mitologia greca, Licimnio o Licinnio, era il nome di un fratellastro di Alcmena, figlio di Elettrione e di Media, imparentato con Eracle.

Licimnio era uno degli zii di Eracle, fu protagonista di una disputa che includeva lui e i suoi fratelli contro i figli di Pterelao. L'oggetto del contendere era il furto di una mandria ad opera dei discendenti di Pterelao. I figli di Elettrione possessori della mandria ingaggiarono feroce battaglia contro i colpevoli e alla fine soltanto Licimnio rimase in vita fra i suoi fratelli.

La morte


Fu ucciso, quando era anziano, dal nipote Tlepolemo; ma i motivi di quel gesto nei racconti del mito non furono chiariti, anche se secondo fonti minori si trattò di un incidente, perché Licinnio ormai quasi cieco cadde dinanzi a lui quando stava castigando uno schiavo finendo per colpirlo.

Lico 1

Re di Tebe, figlio di Ctonio, uno degli Sparti (cioè dei guerrieri nati dai denti del drago ucciso da Cadmo), o d'Irieo e di Clonia, zio d'Antiope.
Lico e il fratello Nitteo crebbero in Eubea, ma a causa del crimine perpetrato ai danni di Flegia, re di Orcomeno, in Beozia, furono esiliati a Iria, città della Beozia. In seguito si spostarono a Tebe dove vennero accolti da re Penteo. Secondo un'altra versione i due fratelli non nacquero ad Atene ma a Iria o a Eubea ed erano figli del dio Poseidone e della pleiade Celeno.
A Tebe conquistarono rapidamente potere. Nitteide, la figlia di Nitteo, sposò il re Polidoro, figlio di Cadmo, e quando il re morì Nitteo divenne reggente per il figlio del re, Labdaco. Un'altra figlia di Nitteo, Antiope, fu sedotta da Zeus e, temendo l'ira del padre, si rifugiò presso il re di Sicione, che acconsentì a sposarla; e ciò diede origine a una guerra durante la quale Nitteo fu ucciso. Prima di morire fece promettere a Lico che avrebbe punito Epopeo, re di Sicione, che aveva offerto rifugio alla fanciulla. Lico, avendo ereditato il trono di Tebe dal fratello, marciò su Sicione, sconfisse Epopeo e catturò Antiope e la riportò a Tebe. Sul monte Citerone Antiope diede alla luce i figli di Zeus, i gemelli Anfione e Zeto. Lico la costrinse ad abbandonare i figlioletti in una caverna sulla montagna, ma alcuni pastori li trovarono e si occuparono di loro. Lico affidò Antiope alla moglie Dirce, la quale la trattò come una schiava tenendola in catene.
Labdaco era diventato adulto e Lico gli cedette il trono che gli spettava, ma dopo un solo anno di regno trovò la morte nella guerra contro Pandione di Atene. Lico riprese il ruolo di reggente a Tebe, questa volta per il figlio di Labdaco, Laio, e secondo alcuni progettò di diventare re al suo posto.
Molti anni più tardi i figli di Antiope, Anfione e Zeto giunsero a Tebe e condannarono Lico a morte (anche se secondo un'altra versione Ermete lo salvò). Antiope riuscì a sfuggire a Dirce e chiese ai suoi figli di vendicarla per tutte le ingiustizie subite. I gemelli si imbatterono in Dirce che vagava per le balze del Citerone in preda a frenesia bacchica, la legarono per i capelli alle corna di un toro e, quando fu morta, ne gettarono il cadavere al suolo. Poi si recarono a Tebe, dove espulsero re Laio e costruirono la città bassa, poiché Cadmo aveva già edificato la città alta.

Lico 2

Figlio di Lico e di Dirce. Quando il padre morì fuggì in Eubea. Qualche tempo dopo la sconfitta dei Sette, ma prima dell'attacco della città da parte degli Epigoni, conquistò potere a Tebe uccidendo il vecchio Creonte, reggente per Laodamante, figlio di Eteocle. Convinto che Eracle fosse morto (tale notizia gli era stata data da Copreo), Lico cercò di sedurre Megara, figlia di Creonte, e poiché essa gli resisteva, l'avrebbe uccisa con i suoi figli se Eracle non fosse ritornato dal Tartaro appena in tempo per vendicarsi di Lico.
Secondo l'Eracle di Euripide quest'episodio ebbe luogo al tempo della dodicesima fatica, quando Eracle visitò l'oltretomba alla ricerca di Cerbero. La versione più diffusa del mito comunque pone questi eventi prima delle fatiche. Eracle nella sua ira uccise Lico, restituì il trono a Laodamante e strappò moglie e figli dalle mani degli assassini. Ma Era, che prediligeva Lico, fece impazzire Eracle: egli uccise allora i propri figli e forse la stessa Megara, credendoli figli di Euristeo.
I Tebani che mostrano ancor oggi le tombe dei fanciulli, dicono che Eracle avrebbe ucciso in quella circostanza anche Anfitrione, se Atena non gli avesse ridato il senno picchiandogli sul capo una grossa pietra. In verità, Anfitrione era morto molto tempo prima, durante la guerra orcomena. Gli Ateniesi sostengono che Teseo, grato a Eracle che lo aveva liberato dal Tartaro, arrivò in quel frangente con un esercito ateniese, per dar man forte a Eracle contro Lico. Rimase come annichilito dinanzi a quella strage, tuttavia promise a Eracle tutti gli onori finché fosse vissuto e anche dopo la sua morte e lo condusse ad Atene, dove Medea lo guarì dalla follia e Sicalo lo purificò di nuovo.

Lico 3

Uno dei quattro figli di Pandione, re di Atene, e di Pilia. Dopo la morte di Pandione, i suoi figli marciarono contro Atene, scacciarono i figli di Metione e divisero l'Attica in quattro parti, seguendo le istruzioni del loro padre. Egeo, che era il maggiore, ebbe la sovranità su Atene, mentre i suoi fratelli estrassero a sorte gli altri lotti del regno: a Niso toccò Megara e la regione circostante fino a ovest di Corinto; a Lico toccò l'Eubea e a Pallade l'Attica meridionale, dove egli generò una rozza stirpe di Giganti.
Lico, cacciato dall'Eubea, si rifugiò presso Sarpedone e diede il suo nome alla Licia, dopo essersi recato da Afareo ad Atene e aver iniziato l'intera famiglia reale ai Misteri delle grandi dee Demetra e Persifone, nonché ai Misteri di Attide, nell'antica capitale messenica di Andania. Codesta Attide, che diede il proprio nome all'Attica, era una delle tre figlie di Cranao, il re autoctono di Atene che regnò ai tempi del diluvio di Deucalione. Il bosco di querce ad Andania, dove Lico purificava gli iniziati, porta ancora il nome di Cranao. Gli fu concesso il dono della profezia e il suo oracolo un giorno dichiarò che, se i Messeni avessero saputo tenere segreta una certa cosa avrebbero potuto ricuperare le loro ricchezze, ma in caso contrario le avrebbero perdute per sempre. Lico si riferiva a un ragguaglio dei Misteri della Grande Dea inciso su un foglio di stagno, che i Messeni rinchiusero allora in un'urna di bronzo sepolta tra un tasso e un mirto, sulla vetta del monte Itone; Epaminonda il Tebano dissotterrò poi quet'urna quando ridonò ai Messeni il loro antico splendore.
Il Liceo di Atene è così chiamato in onore di Lico; fin dalle origini fu sacro ad Apollo che colà ricevette il soprannome di "Liceo" e cacciò i lupi da Atene con il profumo dei suoi sacrifici.

Lico 4

Re dei Mariandini di Bitinia, figlio di Dascilo e nipote di Tantalo. Accolse gli Argonauti quando giunsero nel suo regno diretti in Colchide. Re Lico, che aveva avuto noie dai Bebrici, suoi vicini, era riconoscente verso gli Argonauti che avevano ucciso il loro re Amico, tanto più che Amico gli aveva ucciso il fratello, Otreo, ed egli stesso era impegnato in una spedizione punitiva allorché gli Argonauti lo sbarazzarono del suo nemico. In segno di gratitudine accordò magnifici funerali a due Argonauti appena morti, il timoniere Tifi e il veggente Idmone, e offrì il proprio figlio Dascilo perché guidasse gli Argonauti nel loro viaggio lungo la costa.
Anche Eracle, intento alla conquista della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, fu ospitato dal re Lico, e in cambio lo aiutò nella guerra contro i Bebrici e uccise molti di loro, compreso il re Migdone, fratello di Amico; riconquistò gran parte della terra di Plafagonia e la restituì a Lico, che la chiamò Eraclia in suo onore. Al suo ritorno da Temiscira, Eracle sostò di nuovo a Mariandine dove partecipò ai giochi funebri in onore del fratello di re Lico, Priola, che era stato ucciso dai Misi; combattè vittoriosamente contro i Misi e i Frigi in nome di Dascilo; respinse anche i Bitini fino alla foce del fiume Reba e le più alte pendici del monte Colone e si aggiudicò il loro regno.


Licofrone
(mitologia)

Nella mitologia greca, Licofrone era uno dei guerrieri che parteciparono alla guerra di Troia, il conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena, figlia di Zeus, da parte del troiano Paride. Originario di Citera,[1] Licofrone, reo di un delitto involontario, venne esiliato a Salamina, dove divenne scudiero e fedele amico di Aiace Telamonio che accompagnò dunque in guerra.

Origini ed esilio

Licofrone, figlio di un certo Mastore (o Mestore), era originario dell'isola di Citera, attuale Cerigo, situata a sud del Peloponneso, in prossimità del limite tra Mar Ionio e Mediterraneo Orientale. Nella città natale commise un grave delitto, uccidendo un uomo; le cause di questo gesto non sono abbastanza chiare: Omero non spiega se tale omicidio avvenne volontariamente (avvenuto, per esempio, in seguito ad una rissa) o involontariamente. Macchiato dal delitto, il giovane fu costretto a chiedere asilo lontano dalla sua patria,[2] presso l'isola di Salamina, nel mar Egeo. Qui venne accolto ospitalmente da Telamone, sovrano dell'isola, e dai suoi figli Aiace Telamonio e Teucro.

Il nuovo arrivato ricevette nella città gloria e considerazione,[3] divenendo ben presto intimo amico di Aiace, e suo scudiero.[4] Fu senza dubbio, anche se nell' Iliade non viene detto esplicitamente, anche fedele amico dell'arciere Teucro.

Nella guerra di Troia


Alcuni anni dopo, in seguito allo scoppio della guerra di Troia, Licofrone accompagnò l'amico Aiace in Troade, assistendolo durante i combattimenti, nel corso dei dieci anni di guerra.

La morte presso le navi achee

La prima e ultima comparsa del personaggio avviene nel libro XV dell' Iliade nel corso del combattimento avvenuto presso le navi achee. Insieme al suo signore, Licofrone combatté con tenacia contro i Troiani che, guidati da Ettore, avevano ormai raggiunto le navi per dar loro fuoco. Aiace, campione della resistenza achea, trafisse Caletore, il primo troiano ad avventarsi contro le navi per bruciarle, ma Ettore non arretrò di fronte all'attacco, ma al contrario scagliò la sua lancia contro l'avversario sperando di colpirlo; il colpo non centrò Aiace, ma colpì invece Licofrone, il quale era in piedi, proprio accanto a quest'ultimo.

La lancia lo colpì alla testa, sopra l'orecchio, uccidendolo sul colpo; il suo cadavere crollò giù dalla poppa della nave sulla quale era salito per difenderla dai nemici.

Licomede

Licomede (noto anche come Licurgo) è il nome di due personaggi della mitologia greca.

Licomede, re di Sciro


Nella mitologia greca, Licomede ai tempi della guerra di Troia era il re di Sciro (Skyros), isola dell'Egeo. Prima della guerra, Teti inviò suo figlio Achille alla corte di Licomede, perché una profezia avea decretato che sarebbe morto a Troia. Achille si travestì così in abiti femminili, mescolandosi alle tre figlie del re, tra cui Deidamia che poi sposò e da cui ebbe un figlio, Neottolemo. Ulisse e Menelao vennero a Sciro per cercare Achille, riuscendo a identificarlo e portandolo con loro a Troia. Neottolemo fu cresciuto da Licomede fino a che anch'egli andò alla guerra nelle sue ultime fasi.

In alcune leggende viene anche indicato come l'uccisore di Teseo: prima Licomede lo accolse quando Teseo si ritrovò il trono usurpato da Menesteo, ma poi lo spinse in un dirupo durante una passeggiata sulle montagne.

Licomede, figlio di Creonte


Al tempo della guerra di Troia, esisteva un altro Licomede, il quale si schierò dalla parte degli Argivi. È presentato nell'Iliade, pur non svolgendo un ruolo particolarmente rilevante nella guerra. Era figlio di Creonte, il re di Tebe. Licomede viene menzionato tra i più giovani capitani achei giunti a Troia e compare come un re di secondo piano. Svolse il ruolo di sentinella nel libro IX dell'Iliade. Nei combattimenti successivi, uccise Apisaone, un valoroso guerriero della Peonia, per vendicare la morte di Leiocrito, suo fedele compagno. Secondo Pausania, egli sopravvisse alla guerra, pur venendo ferito al polso dalla lancia di Agenore.

Edited by demon quaid - 28/12/2014, 16:10
 
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Licone (mitologia)

Nella mitologia greca, Licone era un guerriero troiano che prese parte alla guerra di Troia, il conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena, regina di Sparta, da parte dell'amante Paride, figlio di Priamo. Menelao, marito della fanciulla, infatti, avvertito della faccenda da Iri, messaggera degli dei, si decise a dichiarare guerra alla patria di Paride, che attaccò dopo aver radunato un considerevole esercito. Le vicende più salienti di questa guerra vennero raccontate da Omero e raccolte nell' Iliade.

Le origini

Licone viene presentato nell'Iliade come un combattente troiano, entrato in guerra per aiutare il suo esercito contro gli invasori Achei. Stranamente, però, Omero non fornisce altre indicazioni su tale personaggio, dimenticando persino di menzionare il nome di suo padre, o semplicemente del suo ruolo in guerra.

La morte in guerra


È lo scontro con Peneleo, il valoroso capitano beota, che si rivela fatale per l'eroe. Trovatisi nel bel mezzo del campo di battaglia, i due avversari si scagliarono l'uno contro l'altro le loro aste, nel tentativo di uccidersi a vicenda. Questo tentativo si rivelò fallimentare per entrambi, cosicché i duellanti misero mano alla spada e si lanciarono nuovamente uno contro l'altro, tutti e due intenzionati ad uccidere il nemico. Licone fu il primo ad attaccare, riuscendo a colpire l'elmo chiomato del nemico, ma non riuscendo a trapassarlo. Peneleo al contrariò conficcò facilmente la lama della sua spada nella gola del nemico, proprio sotto l'orecchio. Il capo di Licone ciondolò da una parte, tagliato quasi a metà, mentre la sua anima scese nell'Ade.

Licoreo

Figlio di Apollo e della ninfa Coricia. Fondatore della città che prese il suo nome Licorea, situata sulla sommità del Parnaso. Nei suoi pressi approdò l'arca di Deucalione dopo il diluvio. Licoreo ebbe un figlio, Iamo, la cui figlia, Celeno, gemerò ad Apollo Delfo. È per questo che gli abitanti di Delfi erano detti Licorei.

Licurgo 1

Figura mitica di sovrano; secondo alcuni era figlio di Driante, secondo altri invece di Ares. Omero lo colloca in Nisa, e narra che egli scacciò dalle sue terre a colpi di pungolo le Baccanti nutrici di Dioniso insieme ai Satiri del suo seguito, e che lo stesso dio per salvarsi si tuffò nelle onde del mare e si rifugiò nella grotta di Teti, figlia di Nereo. Gli dèi irati vollero che Zeus lo punisse; Zeus lo accecò e gli abbreviò la vita di alcuni anni. La leggenda posteriore collocava Licurgo in Tracia, dove era detto signore degli Edoni, popolazione affine a quella dei Bistoni. Intorno alla sua figura furono elaborate dagli antichi parecchie altre tradizioni. Si disse che Licurgo aveva così agito perché istigato da Era che odiava Dioniso. Presso i tragici Licurgo avrebbe insultato Dioniso insieme con le Menadi, e lo avrebbe messo perfino in ceppi; ma Dioniso si vendicò mettendo Licurgo negli stessi ceppi che egli aveva sofferto e sprofondandolo poi nell'Ade. Secondo altri Ambrosia una delle Menadi, minacciata da Licurgo invocò la Terra dalla quale fu mutata in un ceppo di vite che avvolse Licurgo tra le spire dei suoi tralci, esponendolo così legato alla vendetta delle altre Menadi. Era dovette liberarlo brandendo sopra le Menadi il gladio di Ares.
In leggende più tarde, reso pazzo da Dioniso, Licurgo uccise il proprio figlio Driante scambiandolo per un tralcio di vite da potare. Poiché per l'orrore di tale delitto l'intera Tracia rimase sterile e l'oracolo tracio promise che il malanno sarebbe cessato solo se Licurgo fosse ucciso, il disgraziato, riacquistata la ragione, venne portato dagli Edoni sul monte Pangeo e colà, per volontà di Dioniso, fatto a pezzi da cavalli selvaggi. Secondo un'altra variante Dioniso l'avrebbe fatto sbranare dalle proprie pantere sul monte Rodope. Secondo la leggenda riportata da Igino, Licurgo aveva bandito Dioniso dal suo regno, contestando la sua divinità. Poi, bevve del vino e si ubriacò. In stato di ebrezza tentò di violentare sua madre, ma finita la sbronza e resosi conto di quello che stava per combinare ordinò al popolo di tagliare le viti, perché il vino era una cattiva bevanda in quanto alterava la mente. Egli stesso tentò di tagliare le viti, ma Dioniso gli aveva infuso la follia e colpì con la scure sua moglie col figlio.

Licurgo 2

Re di Nemea, figlio di Fere o di Pronace, aveva avuto da Anfitea, o Euridice, un bambino, chiamato Ofelte. Quando i Sette, nel corso della loro marcia contro Tebe attraversarono Nemea, chiesero a Licurgo di abbeverare le truppe nelle sue terre e il re acconsentì, la schiava Ipsipile li guidò alla sorgente più vicina. Ipsipile era una principessa di Lemno, e allorché le donne di Lemno giurarono di uccidere tutti i loro uomini per vendicarsi di un oltraggio, essa salvò la vita al suo padre Toante. Fu perciò venduta come schiava e ora, in Nemea, era bambinaia del figlio di Licurgo, Ofelte. Un oracolo aveva ordinato di non posare a terra il bambino prima che potesse camminare, ma Ipsipile lo posò a terra per un momento mentre guidava l'armata argiva alla sorgente e subito un serpente si avvinghiò alle membra di Ofelte e lo uccise con un morso. Adrasto e i suoi uomini ritornarono dalla sorgente troppo tardi e non poterono fare altro che uccidere il serpente e seppellire il bambino. Essi istituirono i Giochi Nemei in onore del fanciullo, chiamandolo Archemoro, l'"Inizio del Destino".
Licurgo ed Euridice avrebbero voluto punire Ipsipile con la morte, ma fu salvata dall'intervento dei Sette, soprattutto di Tideo, di Anfiarao e dei giovani Euneo e Toante. Anfiarao provocò il reciproco riconoscimento tra madre e figli grazie a un ramoscello di vite dorato, che portavano i due giovani e che era un dono fatto un tempo da Dioniso al loro nonno Toante. Inoltre, Anfiarao calmò Euridice e ottenne da lei il permesso, per Ipsipile e i suoi figli, di ritornare a Lemno.

Licurgo 3

Figlio d'Aleo, re di Tegea, e di Neera; fratello di Auge (che generò ad Eracle un figlio, Telefo), Cefeo e Afidamante. Quando i fratelli Cefeo e Afidamante partirono per la conquista del Vello d'Oro con la nave Argo, Licurgo restò in Arcadia e regnò al posto del loro padre. Licurgo uccise il re Areito in uno stretto passaggio dove la sua grande mazza di ferro non poteva servire a proteggerlo. Più tardi consegnò le armi di Areito al servo Ereutalione. Poiché il figlio di Licurgo, Anceo, era stato ucciso dal cinghiale Calidonio, al trono gli succedette il nipote Echemo, figlio di Cefeo.
Secondo alcuni Licurgo era padre di Iaso, padre di Atalanta.

Lido

Lido è stato il terzo re della Meonia e l'ultimo re della dinastia Atiade. Dopo il suo regno, la Meonia fu conosciuta con il nome di Lidia.

Chiamato anche Brotea, era figlio di Atis e Dione, nonché fratello di Tirreno, Miso e Care, i capostipiti dei popoli di Etruria, Misia e Caria.

Secondo quanto riporta Erodoto, la Meonia venne chiamata Lidia dopo il regno di Lido.

Linceo 1

Uno dei cinquanta figli di Egitto, sposò Ipermestra, la maggiore delle cinquanta figlie di Danao. Nella strage che le Danaidi compirono dei loro mariti, Linceo fu l'unico a scampare, salvato dalla moglie. Per consiglio di Artemide, Ipermestra salvò la vita di Linceo che aveva rispettato la sua verginità, e lo aiutò a fuggire nella città di Linceia. Ipermestra pregò Linceo di accendere una fiaccola per avvertirla che era giunto in salvo, e gli Argivi ancora oggi accendono dei falò in ricordo dell'episodio. All'alba, Danao seppe che Ipermestra aveva disubbidito ai suoi ordini e la portò in tribunale affinché fosse condannata a morte; ma i giudici la assolsero.
Linceo e Ipermestra poterono riunirsi come marito e moglie. Secondo una versione del mito, Linceo avrebbe poi ucciso Danao e le cognate, vendicando i fratelli, e si sarebbe impadronito del regno di Argo; secondo un'altra si sarebbe invece riconciliato con Danao, ricevendone il regno alla sua morte. Linceo ebbe da Ipermestra un figlio, Abante, padre di Acrisio e di Preto.

Linceo 2

Figlio di Afareo, re di Messenia, e fratello di Ida. Partecipò alla caccia di Calidone e alla spedizione degli Argonauti, dove fu utilizzato per la sua vista penetrante.
Linceo fu insieme col fratello Ida in lotta contro i Dioscuri (Castore e Polideuce), sia per il rapimento delle Leucippidi, sia per il possesso di buoi, che i Dioscuri volevano sottrarre agli Afaretidi. Ora, le figlie di Leucippo, le Leucippidi, e cioè Febe, una sacerdotessa di Atena, e Ilaria, una sacerdotessa di Artemide, furono promesse in ispose ai loro cugini Ida e Linceo; ma Castore e Polideuce le rapirono ed ebbero da esse dei figli: il che diede origine a un'aspra rivalità tra le due coppie di gemelli. L'altro episodio della lotta si ricollega alla razzia del bestiame in Arcadia. Un giorno, dopo la morte di Afareo, gli Afaretidi si rappacificarono temporaneamente con i Dioscuri e tutti e quattro unirono le loro forze per razziare del bestiame in Arcadia. L'impresa fu coronata da successo e a Ida toccò il compito di dividere in bottino. Egli distribuì a ciascuno un quarto di bue e stabilì che il primo che avesse divorato la sua parte avrebbe scelto le bestie migliori, e così via, in ordine decrescente di rapidità. Ida fu il primo a divorare la sua parte di bue e mangiò, ininterrottamente, quella del fratello e insieme spinsero il bestiame verso Messene; poi si recarono sul monte Taigeto per sacrificare a Poseidone. I Dioscuri, scontenti, attaccarono la Messenia, paese dei loro cugini, si impadronirono del bestiame conteso e di altri capi per sovrammercato, e si appiattarono nel cavo d'una vecchia quercia per attendere il ritorno dei loro rivali. Linceo li aveva scorti dalla vetta del Taigeto e Ida, precipitatosi giù dalla montagna, scagliò la sua lancia contro l'albero e trafisse Castore. Polideuce uscì fuori dalla quercia per vendicare il fratello, e riuscì a uccidere Linceo con la sua lancia; ma Ida strappò dal sepolcro di Afareo la pietra tombale, gliela scagliò addosso e lo abbattè a terra privo di sensi. A questo punto Zeus intervenne in favore di suo figlio e colpì Ida con una folgore.
Igino invece racconta che Castore uccise Linceo e che Ida, stravolto dal dolore, interruppe la lotta per seppellirlo. Castore allora si avvicinò con fare insolente e distrusse il monumento eretto da Ida, dicendo che Linceo non ne era degno perché si era battuto come una donna. Ida si volse e affondò la spada nel ventre di Castore; ma Polideuce vendicò immediatamente il suo gemello.

Linco

E' un Re scita che ospitò Trittolemo, mandato da Demetra per far conoscere dappertutto la coltivazione del grano. Durante la notte, Linco fu preso dall'invidia e, per attribuirsi il titolo di benefattore, pensò di aggredire Trittolemo con un'arma nel sonno; e stava già per trapassargli il petto, quando Demetra trasformò il re in lince e salvò Trittolemo.

Lino 1

Figlio di Apollo e di Psamate, figlia del re d'Argo Crotopo. La ragazza violata dal dio, per paura dell'ira paterna, quando partorì espose il neonato su una montagma. Il bimbo fu trovato e allevato dai pastori, ma in seguito fu sbranato vivo dai cani del gregge di Crotopo. Dal dolore di Psamate, Crotopo capì che il bambino era figlio di lei e la condannò a morte. Allora Apollo addolorato per la perdita sia del figlio che dell'amante mandò su Argo un mostro, Pene, a rapire i neonati argivi ai loro genitori; finché un giovane del paese, chiamato Corebo, si incaricò di eliminarlo.
Una pestilenza si abbattè allora sulla città, e poiché il contagio pareva non volesse diminuire, gli Argivi consultarono l'oracolo delfico che li consigliò di propiziarsi Lino e Psamate. Essi offrirono dunque sacrifici alle loro ombre, ma la pestilenza continuava a fare strage in città, e allora Corebo si recò a Delfi e confessò di aver ucciso Pene. La Pizia non gli permise di ritornare ad Argo e disse di prendere nel tempio il tripode sacro e di costruire un tempio ad Apollo là dove il tripode gli fosse caduto di mano. Il che accadde sul monte Gerania, dove Corebo fondò dapprima il tempio e poi la città di Tripodisco in cui si stabilì. La sua tomba ancora si mostra sulla piazza del mercato a Megara.

Lino 2

Un'altra leggenda nominava un secondo Lino, figlio d'Anfimaro e di una musa (in genere Urania, talvolta Calliope o Tersicore), celebre musico e cantore, a cui venne attribuita l'invenzione della melodia e del ritmo, ritenuto da alcuni studiosi personificazione di un antichissimo canto patetico, detto Lino, che cantava la precoce fine della primavera. Secondo la leggenda tebana, sarebbe figlio di Apollo e della musa Urania o Tersicore e sarebbe stato ucciso dal padre in un impeto d'ira per aver osato cimentarsi con lui.
Aveva composto canti in onore di Dioniso e di altri antichi eroi, e li scrisse in lettere pelasgiche. Scrisse anche un'epopea della Creazione. Lino, insomma, fu uomo di grande saggezza e maestro di Tamiri e di Orfeo. Sul monte Elicona, chi visiti il bosco sacro alle Muse, vedrà un ritratto di Lino inciso sulla parete di una piccola grotta, dove annuali sacrifici a lui offerti precedono i sacrifici alle Muse. Si dice che egli sia sepolto a Tebe e che Filippo, padre di Alessandro Magno, dopo aver sconfitti i Greci a Cheronea, trasportò le sue ossa in Macedonia, obbedendo al suggerimento di un sogno. Ma poi sognò di nuovo e rimandò le ossa di Lino a Tebe.

Lino 3

Si riteneva figlio del dio del fiume Ismeno, insegnò a Eracle i rudimenti delle lettere e della musica. Eracle seguiva le lezioni insieme ad Ificle; ma, mentre questi si mostrava un allievo docile e diligente, Eracle era assai indisciplinato, dimodoché Lino doveva richiamarlo all'ordine e. un giorno, tentò di punirlo. Eracle non volle subire e, in un impeto di collera, afferrò uno sgabello (altri dicono una lira) e con questo colpì tanto forte il suo maestro che lo uccise. Processato per assassinio, Eracle citò la legge di Radamanto che giustificava l'uso della violenza contro un aggressore, e si assicurò così l'assoluzione.

Lirno

Lirno è una figura della mitologia greca, nato, secondo Apollodoro, da Afrodite e da Anchise, il giovane troiano amato dalla dea. È dunque, almeno in questa versione, fratello di Enea.

Fu allevato contemporaneamente al fratello dalla sorellastra Ippodamia, figlia di Anchise. Nulla si sa sul suo conto durante o dopo la guerra di Troia. Una tradizione racconta che morì ancora bambino, per cause ignote; una versione contrastante tuttavia vuole Lirno l'eponimo e il fondatore della città di Lirnesso.

Lisimaca


Lisimaca, nella mitologia greca, era la figlia di Abante e la moglie di Talao, da cui ebbe Adrasto e Idmone.

Lisippe

Nella mitologia greca, Lisippe era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Lisippe, una delle figlie di Preto il re di Argo ed in seguito fu sovrano di Tirinto e e di Stenebea, le sue due sorelle si chiamavano Ifinoe ed Ifianassa. Insieme venivano chiamate le Pretidi. Guarita insieme alle sorelle dalla pazzia da Melampo Ebbe da Biante un figlio, Anassibia;
* Lisippe, una delle figlie di Tespio, ebbe un figlio con Eracle di nome Erasippo.

Lissa (mitologia)

Lissa è il demone della Follia che si impossessa di Eracle e lo rende pazzo, facendogli uccidere moglie e figli. Rappresenta un personaggio abbastanza spietato e colmo di ottime sfaccettature, prime tra tutte la crudeltà che, comunque, pur rappresentando la pura pazzia di Eracle è connotato di un minimo di ragione, come si addice a tutti i demoni: non condivide la scelta di Era e si ribella alla loro decisione, ma essendo costretta ad agire, lo fa, nel modo più terribile, spietato e crudele.

Lisso (mitologia)

Lisso è un personaggio della mitologia greca, uno dei dodici figli di Egitto e della ninfa Caliadne. Sposò Cleodora (o Cleodore), una delle dodici figlie di Danao e della ninfa Polisso, dalla quale venne assassinato la prima notte di nozze.

Litierse

Litierse, figlio di Mida e principe di Frigia, è un personaggio della mitologia greca, noto per la sua esperienza e superiorità nella mietitura.

Secondo la leggenda egli sfidava chiunque transitasse per la Frigia a batterlo nella sua abilità; se avessero perso sarebbero stati uccisi dal principe; venne sconfitto da una sola persona, che lo uccise: Eracle.

Locro


Locro è una figura della mitologia greca, ed è figlio di Zeus e di Mera, ella stessa figlia del re di Argo, Preto, e di Antea.

Mera, che era una delle compagne vergini di Artemide, era stata amata da Zeus ed era rimasta incinta di Locro. Quando il bambino venne alla luce, Artemide si vendicò, trafiggendo irritata la fanciulla con una freccia.

Dopo la morte della madre, Locro si stabilì in Beozia, dove, insieme ai gemelli Anfione e Zeto, anch'essi figli di Zeus e quindi suoi fratellastri, innalzò le mura della città di Tebe.

Lotofagi

I Lotofagi (in greco antico Λωτοφάγοι lotophágoi, da λωτός lotós "loto, frutto del Nordafrica" e φαγεῖν phageîn "mangiare") sono un popolo mitico presente nell'Odissea. Il loro paese dovrebbe andar ricercato sulle coste della Cirenaica. Una tradizione — oggigiorno sostenuta e amplificata dall'industria del turismo — individua in Djerba, nel sud tunisino, l'"isola dei Lotofagi". Diverse carte nautiche antiche riportano l'isola col nome di Lotophagitis.

Nel IX libro dell'Odissea, si narra come Ulisse approdasse presso questo popolo dopo nove giorni di tempesta, che colse lui e i suoi uomini presso Capo Malea, spingendoli oltre l'isola di Citera. I Lotofagi accolsero bene i compagni di Ulisse e offrirono loro il dolce frutto del loto, unico loro alimento che però aveva la caratteristica di far perdere la memoria (l'oblio), per cui Ulisse dovette imbarcarli a forza e prendere subito il largo per evitare che tutto l'equipaggio, cibandosi di loto, dimenticasse la patria e volesse fermarsi in quella terra (nell'Odissea non si dice se fosse su un'isola o sulla terraferma). Molte e svariate sono state le proposte di identificazione di questa pianta, peraltro in gran parte simbolica. La più comune vuole che si tratti del giuggiolo di Barberia (Zizyphus lotus), dai cui frutti si può ottenere una bevanda alcolica dagli effetti inebrianti.

Lupercali

Festa dell'antico calendario romano in onore di Fauno Luperco: cadeva il 15 febbraio. Tre ne erano i momenti principali: 1° sacrificio di una capra e di un cane, innanzi alla grotta lupercale che si apriva nel lato sud-ovest del Palatino verso il Velabro; 2° un rito, che sembra di iniziazione, di due giovani sodali luperci, appartenenti ai due collegi dei Quinziali e dei Fabiani, alla propria confraternita: il rito consisteva nel macchiarli in fronte con il sangue del coltello servito alla mattazione delle vittime e ad astergerli con un fiocco di lana intriso di latte, dopo di che i due giovani dovevano emettere uno scoppio di risa rituale; 3° corsa dei luperci nudi e armati di strisce (februa) ritagliate nella pelle del capro sacrificato, durante la quale percuotevano le donne che si offrivano al colpo per ottenere fecondità. A questa corsa circumambulatoria del Palatino, forse in origine rito sacromagico per salvaguardare il gregge dai lupi (Luperci, da lupum arceo), si aggiunse poi il culto di Fauno, dio pastorale venerato con il titolo di Luperco divenendo, attraverso il sodalizio dei Luperci, una festa pubblica purificatoria di tutta la città. La corsa durò fino al 494 dopo Cristo.

Edited by demon quaid - 28/12/2014, 16:20
 
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Macaone (mitologia)

Macaone il chirurgo cura la ferita di Menelao, causata da una freccia di Pandaro. Opera tratta dal Diario medico.

Macaone è un personaggio della mitologia greca, figlio di Asclepio ed Epione, fratello di Podalirio. Celebre medico, imparò le sue arti guaritrici dal padre e dal maestro Chirone. Era tra i pretendenti di Elena.

Giunse al porto di Aulide insieme al fratello Podalirio, portando con sé 40 navi. Curava le ferite degli Achei ma combatteva comunque nelle battaglie. Guarì la ferita di Menelao causatagli dalla freccia di Pandaro. Venne a sua volta ferito quando i troiani attaccarono il muro acheo e fu costretto a ritirarsi insieme a Nestore nella sua tenda. Curò l’ulcera di Filottete quando questi venne portato via dall’isola di Lesbo dove era stato confinato. Morì per mano di Euripilo, figlio di Telefo, secondo un’altra tradizione fu invece l’amazzone Pentesilea a ucciderlo. La sua salma venne riportata in Grecia da Nestore.

Macaone è invocato da Antonio Abati nella sua opera Le Frascherie. Nella sua satira sulla pazzia, questo carissimo autore del'600, scrive: "sian dei fusti di Anticira ripiene e Macaone el dìa...". Nella visione abatiana Macaone è visto quale dispensatore di "libertà" se accettiamo le sue medicine anti-inibitorie. Da questa esortazione si evince forse alcuna normalità nell'assunzione di Elleboro detto anticira dal nome della città turca famosa per la produzione di questa sostanza.

Macareo 1

Figlio di Eolo e di Enarete si giacque con la sorella Canace. Eolo, inorridito, gettò in pasto ai cani il frutto del loro amore incestuoso e mandò a Canace una spada con cui essa si trafisse. Più tardi tuttavia Eolo venne a sapere che tutti i suoi altri figli e figlie, ignari che l'incesto tra i mortali fosse un'offesa per gli dèi, si erano accoppiati innocentemente e ormai si consideravano marito e moglie. Per non irritare Zeus, che considerava l'incesto un prerogativa degli olimpi, Eolo spezzò queste unioni e ordinò a quattro dei suoi figli superstiti di emigrare. Essi si recarono in Italia e in Sicilia, dove ciascuno di loro fondò un regno famoso, e si rivelarono emuli del padre per castità e saggezza; soltanto il quinto figlio, il maggiore, rimase a Lipari come successore al trono.
Taluni dicono che Macareo e Canace ebbero una figlia, Anfissa, che più tardi fu amata da Apollo.

Macareo 2

Compagno di Odisseo, si fermò nell'attuale Gaeta. Secondo Ovidio riconobbe il suo antico compagno Achemenide che riteneva morto, nella flotta troiana guidata da Enea, e gli raccontò la storia del viaggio di Odisseo da Troia.

Macaria

L'unica figlia di Eracle e di Deianira. Dopo la morte del padre sull'Eta, si rifugiò con i fratelli a Trachis, presso il re Ceice. Ma, perseguitati dall'odio di Euristeo, gli Eraclidi si recarono ad Atene, dove Teseo li installò a Tricorito, una città della tetrapoli attica, e si rifiutò di consegnarli a Euristeo: questa fu la causa della prima guerra tra Atene e il Peloponneso. Infatti, quando tutti gli Eraclidi giunsero all'età virile, Euristeo radunò un esercito e marciò contro Atene. Poiché un oracolo aveva detto che gli Ateniesi sarebbero stati sconfitti a meno che uno dei figli di Eracle non si fosse sacrificato per il bene comune, Macaria si offrì spontaneamente. Gli Ateniesi sconfissero Euristeo in una furibonda battaglia e uccisero i suoi figli, oltre a molti dei suoi alleati. Euristeo fuggì sul suo cocchio, ma venne raggiunto e ucciso presso le rocce Scironie.
In ricordo di Macaria vi era, presso Maratona, in Attica, una fonte chiamata Macaria.

Macride

Figlia d'Aristeo e di Autonoe, allevò con altre ninfe sul monte Nisa, in Elicona, il piccolo Dioniso che era stato loro affidato da Ermete. Esse lo celarono in una grotta e lo nutrirono di miele. Quando Era riconobbe in lui il figlio di Zeus, benché fosse molto effeminato per via dell'educazione ricevuta, lo fece impazzire. Dioniso andò vagando per il mondo e si rifugiò nell'isola di Corcira (Corfù), che si chiamava allora Drepane, e qui visse nella Grotta di Macride, dove più tardi Giasone e Medea celebrarono le loro nozze con un sontuoso banchetto e stesero il Vello d'Oro sul loro talamo.
Medea, dietro preghiera di Dioniso, fece ringiovanìre la ninfa Macride e le sue sorelle quando le incontrò a Drepane o Corcira; Zeus, in segno di gratitudine, pose poi la loro immagine tra le stelle, come costellazione delle Iadi.

Sacerdote di Delfi, figlio di Daita, che uccise Neottolemo, figlio di Achille.
Neottolemo si era recato a Delfi a consultare l'oracolo e a chiedergli il motivo della sterilità del suo matrimonio con Ermione, figlia di Menelao. Ora, per antica usanza, le carni delle vittime sacrificate a Delfi venivano consumate dai sacerdoti del tempio; Neottolemo, che non conosceva questo particolare, non potè tollerare di vedersi portar via di sotto agli occhi quei bei quarti di bue grasso ch'egli aveva sacrificato, e tentò di impedirlo con la forza. Al che uno dei sacerdoti, chiamato Machereo, abbattè Neottolemo con il suo coltello sacrificale, per far rispettare i privilegi della casta sacerdotale.
Neottolemo fu sepolto sotto la soglia del tempio di Delfi, e gli furono tributati onori divini.

Maia 1

Nella mitologia greca era una ninfa, considerata come figlia di Atlante e di Pleione o Sterope, la maggiore e la più bella delle Pleiadi. Maia era anche ninfa dei boschi perché viveva sul monte Cillene in Arcadia. Amata da Zeus in una caverna solitaria del monte diede alla luce Ermete, la cui crescita era tanto rapida che il primo giorno di vita riuscì a rubare ad Apollo gli armenti. Maia fu stranamente immune dalla gelosia di Era e sul monte Cillene fu anche nutrice di un figlio di Zeus e di Callisto, di nome Arcade. Essa rapresenta con le altre Pleiadi il principio vivificante del cielo, simbolo del periodo delle piogge che fanno germogliare dalla terra i semi. Nel culto Maia è talvolta associata a Ermete.

Maia 2

Anche Roma e gli Italici avevano una loro antica divinità Maia, omonima, ma ben diversa dalla greca madre di Ermete, o Maiesta, la divina compagna di Vulcano. Il nome di Maia è connesso con magnus e con il nome del mese di maggio, maius. A lei, come dea e personificazione del risveglio della natura a primavera, era dedicato il primo giorno di maggio, e il flamine Vulcanale (sacerdote di Vulcano) alle calende di maggio sacrificava una scrofa pregna, simbolo del favore che si attendeva dalla dea perché il calore del sole diffondendosi sulla terra desse sviluppo tanto alla vita vegetale quanto alla vita animale.
Sotto l'influenza della Grecia le due dee omonime, la greca e la romano-italica, furono identificate, e questa identificazione contribuì alla diffusione del culto della Maia italica, e portò anche all'assimilazione di Ermete con Mercurio, sotto l'influsso del culto di Ermete e di Mercurio praticato nella Campania. La più antica testimonianza del culto comune di Maia e Mercurio si ha nel calendario anziate precesareo: il 15 maggio si sacrificava Mercurio Maiae nel sacrario di Mercurio presso il Circo Massimo.

Mane (mitologia)

Nella mitologia greca, Mane o Mani, era un re della Frigia, che tuttavia è di caratettere puramente leggendario e non ha alcun rapporto con la storia.

Questo re frigio era ritenuto dai suoi sudditi generato dall'unione di Zeus e della Terra, Gea. Ad eccezione della sua genealogia, nulla si possiede sul suo mito; tuttavia passava anche per aver dato origine ad una prospera stirpe frigia.

Mane si era unito infatti ad un'Oceanina, chiamata Calliroe, la quale gli diede tre figli: Ati, Coti e Acmone. Il secondo di questi, secondo una versione, si sarebbe a sua volta sposato e dalla sua discendenza ebbero origine Lido e Tirreno, entrambi figure legate al culto etrusco.

Mani

Numi romani per gli spiriti dei morti, solitamente chiamati di manes. In tempi più tardi la parola manes fu usata anche nel senso topografico di "inferi" e a volte anche per nominarne gli dèi, Ade (Plutone) e Persefone (Proserpina). Secondo i Romani i mani degli antenati (di parentes) uscivano dalle tombe per alcuni giorni ogni febbraio (parentalia, "il giorno di tutte le anime", feralia, "il giorno delle offerte") e dovevano essere propiziati con sacrifici.

Manto

Manto, figlia dell'indovino tebano Tiresia dal quale aveva ereditato le capacità magiche e divinatorie, è ricordata da Virgilio (Eneide X, 198-200), da Servio nel suo commento a Virgilio, da Ovidio (Metamorfosi VI, 157 e seguenti) e da Stazio (Thebais, IV 463-466 e VII 578 e seguenti)

A seconda degli autori essa ha diversi connotati. Fu consacrata sacerdotessa di Apollo a Delfo. Per Virgilio fu moglie di Tosco (il mago personificazione del fiume Tevere) e madre di Ocno, leggendario fondatore di Mantova che prese il nome proprio da Manto. Secondo altri autori greci generò Mopso.

In Stazio, dopo la morte del padre durante l'assedio di Tebe, essa iniziò a vagare per molti paesi, prima di fermarsi lungo le rive del Mincio dove creò un lago con le sue lacrime, il lago che circonda Mantova appunto. Queste acque avevano il magico dono di conferire capacità profetiche a chi le beveva.

Dante Alighieri la riprese per includerla tra i dannati all'Inferno, nella quarta bolgia del ottavo girone dei fraudolenti, tra altri indovini mitologici compreso il padre Tiresia.

La sua presenza dà l'occasione al poeta di scrivere una lunga parentesi sulle origini di Mantova, che viene fatta pronunciare da Virgilio stesso. Smentendo sé stesso, Dante immagina che egli rettifichi la sua versione dei fatti, circoscrivendo la fondazione a fatti scevri da riti magici: Manto sarebbe morta nel sito dove poi altri uomini, "sanz'altra sorte" cioè senza sortilegi, fondarono la città, scegliendo il nome in onore della donna lì sepolta. In realtà l'Alighieri la cita anche in Pg. XXII 113 come figlia di Tiresia ospitata invece nel Limbo, commettendo quindi una probabile svista.

Maride


Nella mitologia greca, Maride (o, secondo altre versioni, Mari) era il nome di un giovane guerriero alleato dei troiani che prese parte alla guerra di Troia, il conflitto scoppiato in seguito al rapimento di Elena, la regina di Sparta, da parte di Paride, principe troiano, suo amante. La vicenda di tale personaggio è raccontata da Omero nell'Iliade.
Indice

Omero afferma che Maride era figlio di un certo Amisodaro, personaggio conosciuto per aver tenuto a bada, nutrendola, la Chimera, l'orrenda creatura generata da Tifone ed Echidna, che venne infine sconfitta da Bellerofonte. Oltre a Maride, Amisodaro aveva anche un altro figlio, Atimnio, che come il fratello possedeva la rara dote di abile guerriero. L'autore dell'Iliade si sofferma infatti nell'elogiare i due giovani combattenti, entrambi descritti come "gloriosi" e "figli guerrieri".

La morte in guerra

Allo scoppio della guerra di Troia, Maride partì alla volta della città insieme al fratello, arruolandosi nell'esercito di Sarpedone, un valoroso capitano della Licia alleatosi con i Troiani. Pur parlando bene dei due guerrieri, Omero non si sofferma sugli episodi delle loro gesta, ma li menziona esclusivamente al momento della loro morte.
Il primo ad essere trafitto dal nemico fu Atimnio che cadde sotto la lancia di Antiloco, figlio di Nestore. Acceso di ira alla vista del fratello morto, Maride si scagliò sul suo assassino, parandosi di fronte al cadavere, ma Trasimede, valoroso guerriero acheo fratello di Antiloco, intervenne tempestivamente trapassando la spalla del nemico con la lancia maciullandone muscoli e ossa.

Marmace

Fu il primo a presentarsi come pretendente alla mano di Ippodamia, figlia del re di Pisa, in Elide, Enomao.
Un oracolo aveva predetto ad Enomao la morte per mano del genero ed egli, per allontanare i pretendenti, aveva posto la mano della figlia come premio d'una corsa col carro. Egli non aveva alcuna difficoltà a battere il concorrente, poiché possedeva cavalli divini che gli erano stati dati da Ares. Poi, una volta vinto, tagliava la testa al pretendente e la inchiodava alla porta della sua casa, per spaventare, si dice, i futuri pretendenti. Quando uccise Marmace, il primo pretendente, ne sgozzò anche le cavalle, Partenia ed Erifa, e le seppellì presso il fiume Partenio dove ancora si vede la loro tomba.

Marone

Figlio di Evante e sacerdote di Apollo a Ismaro, città dei Ciconi.
Dopo che Odisseo ebbe lasciato Ilio, approdò nella terra dei Ciconi e la saccheggiò. Odisseo considerò che essendo Marone un sacerdote di Apollo, non era conveniente attirarsi le ire del dio uccidendo un suo sacerdote, quindi impedì che i suoi uomini facessero del male a Marone e ai suoi familiari. Marone gli donò per gratitudine alcune giare del suo portentoso vino: era di una tale forza che per poterlo bere senza ubriacarsi, ogni coppa doveva essere allungata con dodici parti di acqua. Proprio con questo vino Odisseo riuscì a ubriacare il ciclope Polifemo e, infine a sfuggirgli.
Marone, tipo del perfetto ubriaco, figurava su una fontana, a Roma, nel portico di Pompeo.

Marpessa

Marpessa, è una figura della mitologia greca, figlia del dio del fiume Eveno.

Idas la rapì e si scontrò con Apollo per lei. Dovette intervenire Zeus, che separò i contendenti, lasciando libera Marpessa di scegliere.

Marpessa scelse Idas, timorosa dell'incostanza del dio Apollo, che fu costretto ad allontanarsi.

Marsia

Marsia è una figura della mitologia greca, figlio di Eagro. Secondo altre versioni sarebbe invece figlio di Olimpo.
Marsia legato nudo ad una corteccia d'albero, scultura di marmo, copia romana da I-II secolo dopo l'età ellenistica, da Roma, Parigi, Louvre.

Era un sileno, dio del fiume Marsia, affluente del Meandro in Anatolia.

Pindaro narra di come la dea Atena una volta inventato l'aulos lo gettò via, infastidita del fatto che le deformasse le gote quando lo suonava.

Marsia lo raccolse, causando il disappunto di Atena, che lo percosse. Non appena Atena si fu allontanata Marsia riprese lo strumento ed iniziò a suonarlo con una tale grazia che tutto il popolo ne fu ammaliato, affermando che avesse più talento anche di Apollo.

Marsia, orgoglioso, non li contraddisse, finché un giorno la sua fama arrivò ad Apollo, che testé lo sfidò (secondo altre versioni fu lo stesso Marsia a sfidarlo).

Al vincitore, decretato dalle Muse che sarebbero state i giudici della tenzone, era concesso il diritto di far ciò che volesse del contendente. Dopo la prima prova, però, le Muse assegnarono un pareggio che ad Apollo, ovviamente, non andava bene. Così, il dio invitò Marsia a rovesciare il suo strumento e a suonare: Apollo, logicamente, riuscì a rovesciare la cetra e a suonarla ma Marsia non poté fare altrettanto con il suo flauto e riconobbe Apollo vincitore. Il dio, allora, decise di punire Marsia per la sua superbia (hýbris, in greco) e, legatolo ad un albero, lo scorticò vivo.

L'episodio ispirò molti artisti tra cui Mirone, Prassitele, Ovidio, Tiziano e Dante; quest'ultimo in particolare lo ricorda nell'invocazione ad Apollo nel canto I del Paradiso.

Ovidio menziona la sorte dell'auleta nel VI libro delle Metamorfosi.

Marte

Antica divinità italica. Egli è con Giove la divinità più schiettamente italica, al cui nome sono legati i miti e le leggende più care della tradizione romana. Marte è il dio della vegetazione primaverile, a cui è sacro il primo mese dell'anno secondo l'antico calendario romano (marzo), a lui erano votati i giovani della primavera sacra (ver sacrum), che in una data primavera si allontanavano per sempre dalla patria e andavano a fondare una nuova colonia, per esempio, gli Irpini, i Picenti, i Marsi, guidati sempre da un animale sacro al dio: il picchio, il lupo, il toro. I fratelli Arvali (un antico collegio di dodici sacerdoti), durante le Ambarvalia, eseguivano un antico canto in cui veniva invocata la sua protezione sulle genti e sui campi. Ogni anno il 14 di marzo si compiva nel Campo di Marte la cerimonia della cacciata, a colpi di bastone, di un vecchio, Mamurio Veturio (Marte vecchio), che, come tanti altri riti simili, vuole significare la fine dell'anno vecchio.
Marte tuttavia, come protegge i campi dalla lue insidiatrice del raccolto, così deve guardarli dalle devastazioni del nemico in tempo di guerra: e qui sta il punto di passaggio dal Marte naturistico a quello guerriero. E poiché la guerra fu per i Romani una necessità imprescindibile per conquistarsi una salda posizione politica, si capisce come il secondo aspetto di Marte abbia finito con oscurare l'antico. All'inizio di ogni spedizione il duce entrava nel tempio e dinanzi ai sacri scudi (ancili) e alla lancia lo avvertiva di vigilare: "Mars, vigila!". All'aprirsi e al chiudersi del periodo utile per le operazioni militari (marzo e ottobre) si facevano in suo onore varie feste destinate alla consacrazione e purificazione di vari oggetti guerreschi: cavalli (Equiria, 27 febbraio e 14 marzo); trombe (Tubilustrium, 23 marzo e 23 maggio); armi (Armilustrium, 19 ottobre). L'identificazione con Ares è tarda, quando la cultura greca incominciò a penetrare in Roma.
Secondo i Romani, Giunone diede alla luce Marte che, secondo una tradizione riferita da Ovidio, era stato concepito senza il soccorso di Giove, ma grazie a un fiore magico che Flora le aveva procurato. I Greci invece attribuiscono la paternità di Ares a Zeus. Marte era sposato a una dea minore a nome Nerio (parola che significa "forza"). Il suo culto romano aveva un'immensa importanza per lo Stato, si riteneva che egli fosse il padre di Romolo, nato dalla vestale Rea Silvia. Aveva visitato Rea Silvia, si diceva, mentre dormiva e insieme avevano concepito due gemelli, Romolo e Remo. Lo zio Amulio cercò di ucciderli gettandoli nel Tevere, ma una lupa li salvò, e quando divenne adulto Romolo fondò la città di Roma. La lupa e il picchio, che avevano contribuito a salvare i due bambini, erano sacri a Marte.
Vi sono altre due vicende del mito: una narra del sacro Ancile, lo scudo bronzeo che sarebbe caduto dal cielo ai tempi del regno di Numa Pompilio. Poiché il destino di Roma, secondo questa leggenda, anzi il destino di tutto l'impero, era legato a quello scudo, Numa ne fece costruire altri undici, e confuse quello originale tra di essi, e poi li nascose nel tempio di Marte. Il collegio dei Salii era preposto particolarmente alla custodia dei dodici ancili. Nell'altra leggenda, Marte si innamorò di Minerva e chiese all'anziana dea Anna Perenna di fargli da pronuba; Anna disse a Marte che Minerva voleva sposarlo e quando il dio andò a prendere la sua sposa alzò il velo e vide che al posto della dea Minerva c'era la vecchia Anna Perenna. Gli altri dèi si divertirono allo scherzo.
Marte diede il nome al territorio sulla sinistra del Tevere destinato agli esercizi militari e ginnici e chiamato appunto Campo di Marte. Ai tempi di Augusto gli venne dato il nome di Ultor ("vendicatore") in memoria della parte sostenuta dall'imperatore nella vittoria sugli assassini di Giulio Cesare.

Mastusio

Nella mitologia greca, Mastusio era il nome di un nobile della città di Eleonte di cui si raccontano le gesta.

Nella città vi era una regola ferrea: ogni anno doveva essere sacrificata una donna nobile, lo aveva voluto l'oracolo del luogo. Lui aveva diverse figlie che voleva salvare in tutti i modi dal destino, per far ciò decise che non avrebbe mai inserito il loro nome nelle urne se non faceva altrettanto il suo re. Il tiranno un giorno decise che non vi era bisogno dell'estrazione e uccise la figlia di Mastusio. Egli cercò vendetta invitando le figlie e il re a casa sua. Giunsero prima le ragazze che lui uccise e prese da loro il sangue che versò in un calice. alla venuta del re gli offrì la bevanda nefasta, appena accortosi dell'orribile gesto il sovrano prese il nobile e lo fece precipitare in mare che da allora prese il nome del nobile: mare mastusiano.

Mater Matuta

Antichissima divinità latino-italica che aveva culto in Roma e in tutta l'Italia centrale, a Satrico, a Cora, a Preneste, a Pesaro. In origine fu una divinità della luce mattutina, una dea dell'aurora. Da alcune testimonianze epigrafiche si può desumere che accanto a Mater Matuta vi fosse stato originariamente un Pater Matutinus, identificato poi con Giano. Dal significato primitivo era facile il passaggio a quello di divinità protettrice dei Parti (una specie di sdoppiamento di Giunone Lucina), perché i Romani vedevano un parallelismo tra la nascita degli uomini e il sorgere della luce dalle tenebre.
Il tempio più famoso di Mater Matuta era quello della volsca Satrico. A Roma aveva un solo tempio che la tradizione attribuiva a Servio Tullio, rinnovato da Marco Furio Camillo nel 395 avanti Cristo. Il tempio sorgeva sul Forum Boarium entro la porta Carmentale. Il culto di Mater Matuta in Roma doveva essere molto antico, perché la sua festa delle Matralia era notata nell'antico calendario numano e perché vigevano in queste feste usi arcaici. Fra l'altro le matrone nelle loro preghiere a Mater Matuta nominavano i figli dei fratelli e delle sorelle prima dei figli propri, e ciò può venire spiegato come un residuo del matriarcato di qualche antichissima tribù preitalica. Le Matralia erano celebrate l'11 giugno e adesse intervenivano soltanto vergini o donne univire, cioè non risposate. Dal culto erano escluse le schiave, e questa esclusione si rinnovava ogni anno, introducendo nelle cerimonie una schiava che veniva scacciata a frustate dal tempio. Le matrone facevano alla dea l'offerta rituale che consisteva in focacce cotte sul focolare in vasi di terra.

Meandro (mitologia)

Meandro è un personaggio della mitologia greca. Era il re di Pessinunte, in Frigia. In conflitto con la città di Possene, fece voto a Cibele di sacrificare la prima persona che avesse visto al suo ritorno in patria se gli avesse concesso la vittoria. Incontrò contemporaneamente la madre, la sorella ed il figlio e li sacrificò tutti e tre. In seguito si pentì del suo gesto e, tormentato dal rimorso, si uccise gettandosi nel fiume Anabenone che prese per questo il suo nome.

Mechisteo


Mechisteo (o Mecisteo) è una figura della mitologia greca, figlio di Talao e di Lisimache.

Eroe della città di Argo e padre di Eurialo, prese parte ai giochi funebri in onore di Edipo.

Partecipo alla spedizione dei Sette contro Tebe, dove venne ucciso da Melanippo.

Mecisteo è anche il nome di due guerrieri di parte achea nella guerra di Troia.

Mecisteo (Iliade)

Nella mitologia greca, Mecisteo è il nome di due guerrieri di parte achea che presero parte alla guerra di Troia sotto il comando del re Agamennone. Sono citati nell'Iliade di Omero ma spesso la loro somiglianza ha portato a confonderli tra loro.

In ordine di menzione sono i seguenti:

* Mecisteo, guerriero acheo, figlio di Echio.
* Mecisteo, guerriero acheo.

Meda (mitologia)

Nella mitologia greca, Meda era il nome della moglie di Idomeneo, re di Creta.

Dall'unione nacque Clisitera una ragazza a cui venne imposto il fidanzamento con Leuco, un ragazzo abbandonato dai genitori che Idomeneo aveva cresciuto. Appena il re lasciò il regno Leuco uccise sia la donna che Meda, anche se si erano nascoste nel tempio.

Medea (mitologia)

Medea (dal greco: Μήδεια, Mèdeia) è una figura della mitologia greca, figlia di Eete, re della Colchide, e di Idia. Era inoltre nipote di Elio (secondo altre fonti di Apollo) e della maga Circe, e come quest'ultima era dotata di poteri magici.

Invece secondo la variazione del mito (Diodoro Siculo), il sole, Elio ebbe due figli, Perse e Eeta. Perse ebbe una figlia, Ecate potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eeta. Da questa unione sarebbero nati Circe, Medea ed Egialpo.

Figlia di Eete, re della Colchide, è uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa "astuzie, scaltrezze", infatti la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini.

Quando Giasone arriva in Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro, lei se ne innamora perdutamente. E pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Corinto con il Vello d'Oro.

Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, dando così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta, abbandonando così sua moglie Medea.

Vista l'indifferenza di Giasone di fronte alla disperazione della donna, Medea medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è pieno di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore.

Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo la tragedia di Euripide, per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli [Mermo e Fere] avuti con lui: il dolore per la perdita dei propri discendenti porta Giasone al suicidio. La maggior parte degli storici greci del tempo di Euripide, tuttavia ricorda che i figli di Medea, che ella non riuscì a portare con sé, furono uccisi dagli abitanti di Corinto per vendetta.

Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio: Medo. A lui Medea vuole lasciare il trono di Atene, finché Teseo non giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce suo figlio, e Medea è costretta a fuggire di nuovo.

La Medea di Ovidio


Ovidio tratta del mito di Medea in due distinte opere: le Heroides e le Metamorfosi. Nel primo testo è la donna a parlare cercando di commuovere il marito, ma il racconto si interrompe prima del compimento della tragedia e il suo completamento è possibile al lettore solo attraverso la memoria letteraria. La Medea delle Metamorfosi è ben diversa: essa oscilla tra ratio e furor, mens e cupido, riprendendo, almeno in parte, la giovane tormentata dai rimorsi di Apollonio Rodio, divisa tra il padre e Giasone. Medea si dilania tra incertezza, paura, commozione e compassione.

La metamorfosi avviene in modo repentino ed è possibile rintracciarla attraverso il confronto tra la scena dell'incontro con Giasone nel bosco sacro e il ringiovanimento del padre dell'amato: se nel primo caso appare come un medico antico, nel secondo utilizza esplicitamente la parola "arte" mostrandosi come una vera strega.

Anche Ovidio riprende la scena del carro, presente già in Seneca e Euripide, ma se in questi due casi l'episodio è inserito alla fine del racconto, Ovidio lo colloca a metà della narrazione: in tal modo Medea perde le sue qualità umane e il mondo reale cede il posto a quello fantastico.

All'inizio della "Metamorfosi", Medea è la protagonista assoluta, ma pian piano cessa di essere un'eroina in cui il lettore può identificarsi e diviene un personaggio che appare e sparisce come per magia.

La tragicità del finale non è sfruttata al massimo: Medea è divenuta una vera strega e quindi non soffre dell'infanticidio commesso né potrebbe soffrire di un'ipotetica punizione.

La Medea di Draconzio

Nella parte introduttiva Draconzio afferma di voler fondere tutti i motivi tipici del mito di Medea; lo fa invocando la Musa Melpomene e la Musa Calliope. Medea e Giasone appaiono tutti mossi dal destino e dalla volontà degli dei, legati come sono agli scontri tra Venere e Diana. Infatti la dea della caccia sentendosi tradita per il matrimonio della sua sacerdotessa scaglia una maledizione contro di lei, da cui si snoderà la morte del marito e dei figli. All'inizio Medea è descritta come una "virgo cruenta", ma viene definita maga solo a verso 343. Caratteristica di questo racconto è che è la donna a rubare il vello d'oro donandolo poi a Giasone, che appare per tutta la narrazione una figura passiva. Anche quando entra in scena Glauce l'eroe è semplice oggetto del desiderio, che la giovane otterrà anche a costo di rompere il legame matrimoniale che lo vincola. Entrambe le donne trasgrediscono così le norme morali: da un lato Medea tradisce la dea Diana, dall'altro Glauce porta al tradimento Giasone. Durante le nozze l'attenzione si concentra sulla coppia mentre Medea prepara la vendetta: sarà lei a donare a Glauce la corona da cui prenderà fuoco l'intero palazzo. Ma il punto culminante della tragedia è il sacrificio che Medea offre a Diana: i suoi figli, così che l'infanticidio non è più condotto per vendetta, ma come richiesta di perdono. Nella scena finale l'autore riprende l'episodio del carro, ma questa volta il volo della donna ha valore semantico e non narrativo: Medea si riunisce a Diana e ritorna la "virgo cruenta" dell'inizio della narrazione, lasciando a terra tutto ciò che era ancora legato a Giasone.

Edited by demon quaid - 29/12/2014, 20:50
 
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Medesicasta

Nella mitologia greca, Medesicasta chiamata anche Medesicarte o Medesicaste era un personaggio noto ai tempi del mito.

Secondo Omero

Omero la cita nell'Iliade come una delle figlie di Priamo avute non con la sua moglie Ecuba ma con un'altra donna, una delle sue concubine. Sposò Imbrio il figlio di Mentone.

Secondo Apollodoro


Apollodoro invece la cita come figlia del padre di Priamo, Laomedonte. Essa sopravvisse alla guerra di Troia e fu portata come bottino di guerra fuori dal regno ma fermò il ritorno in patria dei soldati incendiando, con l'aiuto delle sorelle, le navi.

Medonte

Medonte è il nome di due personaggi della mitologia greca.

Medonte, figlio di Oileo

Il più noto è il figlio di Oileo e quindi fratello di Aiace, detto Oileo per distinguerlo da Aiace Telamonio. Medonte partì insieme a Filottete per la guerra di Troia; durante una sosta presso l'isola di Lemno il suo compagno venne morso da un serpente e, a causa del fetore emanato dalla ferita, fu costretto a rimanere da solo nell'isola.

Medonte divenne così comandante del contingente del compagno e venne ucciso da Enea durante un combattimento mentre si cingeva d'assedio la città.

Medonte, araldo dei Proci

Nell'Odissea Medonte, nonostante fosse l'araldo dei Proci, rimase fedele alla casa di Ulisse e per questo fu risparmiato quando il re di Itaca, al ritorno del suo lungo viaggio, mise in pratica la sua vendetta massacrando tutti i Proci e i traditori della sua reggia, incluse le ancelle infedeli.
Solo Medonte e l'aedo Femio si salvarono.

Medonte, figlio di Antenore

Nell'Iliade compare un guerriero troiano col nome di Medonte, il quale insieme ad altri suoi compatrioti assiste al discorso di Ettore, che promette un'ottima ricompensa per chi riuscirà a trascinare il cadavere di Patroclo, da lui ucciso, nella città di Troia. Insieme a Medonte compaiono altri guerrieri: Mestle, Glauco, Tersiloco, Asteropeo, Disenore, Ippotoo, Forci, Cromio ed Ennomo.

L'impresa non si rivelerà tuttavia così fortunata: Aiace Telamonio, schieratosi in difesa del giovane Patroclo, farà strage di Troiani e ucciderà Ippotoo e Forci.

Medusa (mitologia)

Medusa è un personaggio della mitologia greca, figlia di Forco e di Ceto. Era una delle Gorgoni, insieme a Steno ed Euriale,ma l'unica ad essere mortale.

Nelle rappresentazioni più antiche ella era orrenda, esattamente come le sue sorelle Steno ed Euriale. In versioni più recenti tuttavia (Pindaro, Ovidio) Medusa è stata considerata come bellissima e spaventosa allo stesso tempo.

Secondo il mito Poseidone si era innamorato di Medusa quando ancora era una bellissima fanciulla. Una notte dunque il dio la sedusse (o la violò) nel tempio di Atena. Quest'ultima profondamente irritata dall’affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un orribile mostro: le mani erano state trasformate in pezzi di bronzo; erano state fatte comparire delle ali d’oro e ricoperto il corpo di scaglie; i denti erano diventati simili alle zanne di un cinghiale; i capelli erano stati trasformati in serpenti ed al suo sguardo aveva dato la capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse negli occhi.

La morte

Medusa fu uccisa da Perseo, che le mozzò la testa guardando la sua immagine riflessa sul suo scudo, lucido come uno specchio. Quando tagliò il capo, dal collo della Gorgone uscirono i figli che aveva generato dopo la notte con Poseidone, Pegaso e Crisaore.

Secondo Ovidio, dal suo sangue nacquero anche il corallo rosso e Anfesibena.

Inoltre, la sua testa continuava a rendere di pietra chiunque la guardasse anche dopo essere stata staccata dal corpo: Perseo, infatti, la mostrò ad Atlante che diventò di pietra.

Infine, la testa di Medusa fu donata da Perseo ad Atena, che gli aveva donato lo specchio riflettente con il quale aveva potuto affrontare Medusa senza guardarla direttamente negli occhi e senza così essere pietrificato. Atena, ricevutala in dono, la pose al centro della propria Egida.

Meganira

Nella mitologia greca, Meganira era il nome della figlia di Crocone, divenuta in seguito moglie di Arcade e la madre di Afida e Elato.

Su chi fosse la moglie di Arcade i mitografi erano in disaccordo, alcuni affermavano che fosse Leanira, altri che fosse una ninfa, chiamata Crisopelea.

Anche sul numero dei figli non vi è unione di accordo, alcuni infatti affermavano che ve ne fosse un terzo, di nome Azano.

Megapente

Nella mitologia greca, Megapente dal greco Μεγαπέυὗης era il nome di diverse figure distinte.

Sotto tale nome troviamo:

* Megapente, re di Argo;

* Megapente, figlio di Menelao.

Megapente re di Argo

Megapente era figlio di Preto e padre di due figli: Ifianira e Anassagora. Dapprima re di Tirinto, durante viaggi e battaglie finì per diventare re di Argo. Il suo regno e la sua discendenza durarono a lungo.

Megapente figlio di Menelao


Megapente il figlio che Menelao ebbe con una schiava (chiamata o Teride o Pieride), secondo la leggenda narrata, nacque mentre la consorte legittima di Menelao, Elena, si trovava a Troia con Paride.

Quando il re morì il regno non passò a Megapente ma al figlio legittimo Oreste.

Secondo un'altra versione minore, racconta che mentre Oreste era indaffarato con le Eumenidi, Megapente e Nicostrato scacciarono Elena che si rifugiò nell'isola di Rodi, a Polisso.

Megara (mitologia)

Megara è una figura della mitologia greca, figlia di Creonte re di Tebe.

Venne data in sposa ad Eracle da Creonte, come ricompensa per l'aiuto che aveva dato il semidio.

Megara venne violentata da Lico durante un periodo di assenza di Eracle, il quale fu colto da una rabbia incontrollabile quando venne informato dell'accaduto e in un raptus di follia uccise Lico, la stessa Megara e i figli che aveva avuto con lei.

Megareo

Nella mitologia greca, Megareo era il nome di uno dei figli di Poseidone.

Abitante della città di Onchesto, esistono due versioni del mito a seconda del luogo dove essa viene raccontato:

* I beoti raccontano che in occasione della battaglia intercorsa fra Niso e Minosse, egli appena saputo dell'attacco che aveva subito il figlio di Pandione II (Niso) andò in suo aiuto. Partì con un esercito di guerrieri beoti e finì con l'essere ucciso. A quel punto venne sepolto nella città di Nisa che in suo onore venne chiamata Megara. In guerra forse venne ucciso dallo stesso Minosse.

* I megaresi si discostano da questa versione, affermano che egli sposò la figlia di Niso la bella Ifinoe. Lui divenne re essendo succeduto allo stesso Niso. Alla sua morte Alcatoo prese il suo posto sul trono. Per avere sposato la figlia di lui Evecme.

Megareo era anche un altro nome di Meneceo, padre di Creonte.

Megete

Nella mitologia greca, Megete o Mege era il nome del figlio di Fileo, uno dei capi achei, il quale partecipò alla guerra di Troia, a causa di un giuramento che lo legava a Elena, la regina spartana andata in sposa a Menelao, la quale venne rapita dal principe troiano Paride. Il marito offeso volle vendicare l'oltraggio, e, dopo aver chiesto aiuto al fratello Agamennone, portò di fronte alla città rivale un innumerevole esercito. Le vicende più importanti di questo conflitto sono raccontate da Omero nell'Iliade.

Genealogia e origini


Originario dell'Elide, patria di suo padre, Mege vantava, attraverso di lui, la diretta discendenza dal re leggendario Augia.
Diverse sono le ipotesi, al contrario, sul nome della madre. Secondo una tradizione, egli era figlio di Ctimene, figlia di Laerte e quindi sorella di Odisseo. In tal modo egli veniva considerato nipote diretto dell'eroe. Un'ulteriore versione riferisce che il ruolo materno era attribuito a Timandra, figlia di Tindaro e Leda, e sorella di Elena e Clitennestra. Un'ultima tradizione afferma che Mege era figlio di una certa Eustioche. Mege aveva una sorella, Euridamia, moglie dell'indovino Poliido.

Mege tra i "Pretendenti di Elena"


Alla morte del padre, Mege assunse il completo dominio delle isole che fronteggiavano l'Elide, quali Dulichio e le Echinadi, nel mar Ionio. Le tradizioni non lo dicono sposato e ciò giustificherebbe il suo interesse verso la giovane figlia di Tindaro, Elena, la quale, non ancora in età da marito, era diventata comunque oggetto di corteggiamento e profferte da parte dei sovrani di tutta la Grecia.
Igino, nelle sue Fabulae, nomina Mege proprio tra i corteggiatori della giovane.

Grazie ad uno stratagemma di Odisseo, Tindaro riuscì a legare i pretendenti ad un giuramento, che li costringeva ad intervenire a favore dell'uomo che sarebbe stato prescelto come sposo della fanciulla. Quando le sorti caddero sul giovane Menelao, tutti i pretendenti, compreso Mege, furono costretti a non protestare e ad attenersi al patto.

Nella guerra di Troia

In seguito al rapimento di Elena da parte di Paride, principe figlio di Priamo, re di Troia, il comandante di Dulichio, chiamato in causa in seguito al suo giuramento, partecipò immediatamente al conflitto appena scoppiato, appoggiando con le sue forze militari i due Atridi, Agamennone e Menelao.

Megete comandava chi proveniva da Dulichio e dalle isole Echine, portando con se quaranta navi pronte per attaccare Troia, nel libro II dell'Iliade, nel "Catalogo delle navi" alleate.

Anche lo Pseudo-Apollodoro afferma che la flotta di Mege era composta da quaranta navi. Igino parla al contrario di sessanta navi.

Durante la guerra si distinse uccidendo il figlio di Antenore, Pedeo con la sua lancia, inoltre colpì a morte Cresmo anche se per sbaglio, egli infatti voleva uccidere Polidamante. Dolope proprio in quel frangente cercò di approfittare di un suo momento di distrazione, lo colpì con la sua lancia ma la corazza, regalo di suo padre, resse e subito Megete lo uccise.

Nella guerra, Mege uccise un totale di otto guerrieri nemici.

Mela (Licimnio)

Nella mitologia greca, Mela era il nome di uno dei figli di Licimnio e di Perimede.

Aveva una sorella, Anfitrione e due fratelli Eono e Argeio. Amico e compagno di guerra insieme ad Argeo di Eracle andò a combattere il Re di Ecalia, Eurito trovandovi la morte insieme al fratello. Il semidio, loro lontano parente li seppellì entrambi.

Mela (Portaone)

Nella mitologia greca, Mela era il nome di uno dei figli di Portaone, e di Eurite.

Eurite era la figlia di Ippodamante e da lui discendeva da Perimede e quindi da un altro Mela.

Si racconta che ebbe diversi figli tutti uccisi poi da Tideo.

Mela (mitologia)

Nella mitologia greca, Mela era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta nei miti, si trattava di un nome maschile.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Mela, figlio di Frisso e di Calciope.
* Mela, figlio di Licimnio e di Perimede
* Mela, figlio di Portaone e di Eurite

Melampo

Melampo è una figura della mitologia greca, figlio di Amitaone e di Idomenea, discendente di Eolo. Il suo nome significa "piedi neri": fu così chiamato perché, non portando mai calzari, aveva i piedi anneriti dal sole. Comprendeva il linguaggio degli animali e possedeva virtù profetiche. Guarì dalla pazzia le figlie di Preto, re di Tirinto, e sposò una di esse.

Melanione

Melanione (o Ippomene) è una figura della mitologia greca, era figlio di Onchestrio.

Melanione si innamorò di Atalanta e supplico Afrodite di aiutarlo. Atalanta sottoponeva tutti i suoi pretendenti ad una prova di corsa, uccidendo tutti quelli che non riuscivano a batterla.
Afrodite diede a Melanione tre mele d'oro e gli indicò come utilizzarle. Per tre volte Melanione ne fece cadere una durante la corsa: tutte le volte Atalanta si fermò per raccoglierle, permettendo a Melanione di vincere e sposare la principessa.

Melanione si mostrò ingrato verso la dea che l'aveva aiutato. Artemide li indusse a profanare un tempio e Afrodite li punì trasformandoli in leoni.

Alcuni autori indicano che dalla loro unione nacque Partenopeo.

Melanippe (Arne)

Melanippe, detta anche Arne, era la figlia di Eolo e la profetessa Tea nella mitologia greca.

Nascita

Eolo riusci a sedurre la profetessa Tea (o Teti), figlia di Chirone.

La donna era solita accompagnare Artemide durante le varie cacce. Tea era preoccupata per la possibile reazione del padre se si rendesse conto che ella era incinta, ma non volle chiedere aiuto alla sua dea amica.

Poseidone voleva aiutare il suo amico Eolo e trasformò la donna in una cavalla, fino a quando non avesse partorito. Così accadde, dopo che la puledra usci fuori dal corpo di Evippa (il nome della cavalla) il dio del mare pose il volto di Tea nel cielo diventando la costellazione della cavalla.

La progenie

Melanippe (ora chiamata Arne) venne affidata a Desmonte, ben felice di adottare una fanciulla visto che egli era privo di progenie. Chirone non seppe mai nulla di ciò.

Poseidone intanto si era innamorato di Melanippe, riuscì a sedurla appena cresciuta, Desmonte si accorse che la figlia adottiva era rimasta incinta, l'accecò e la segregò in una tomba vuota, dandole come nutrimento solo pane e acqua.

La donna partorì due gemelli che subito vennero esposti alle belve su di un monte. Uno era identico a suo nonno e fu chiamato Eolo, l'altro Beoto.

In seguito Teano, moglie di Metaponto, sterile, trovò i gemelli e fece far credere a tutti che fossero i suoi pargoli.

Edited by demon quaid - 29/12/2014, 20:53
 
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Melanippo

Nella mitologia greca, Melanippo (una forma più inconsueta ma abbastanza utilizzata è quella di Menalippo) è il nome di numerosi personaggi, protagonisti di vicende molto diverse tra loro.
Il mito [modifica]

Il nome di Melanippo identifica numerosi personaggi, circa una decina, le cui gesta vengono narrate in numerosi poemi e leggende mitiche.

* Melanippo, guerriero troiano ucciso da Patroclo nell'Iliade
* Melanippo, un eroe semidio, nato dall'unione del dio Ares con una sacerdotessa di Atena, chiamata Triteia, figlia del dio marino Tritone. Divenuto adulto, l'eroe giunse in Acaia e qui fondò una città, a cui volle attribuire il nome della madre.
* Il figlio di Teseo avuto dalla figlia di Sinis (il Piegatore di pini), Peregine o Peregune.
* Il più celebre personaggio con questo nome era un Tebano, figlio d'Astaco. Personaggio senza dubbio essenziale all'interno della Tebaide di Stazio, fu uno dei difensori di Tebe che vengono attaccati dai cosiddetti Sette contro Tebe.

Riesce a ferire a morte il re Tideo, ma a sua volte soccombe nella battaglia. Tideo allora, ricoverato nella sua tenda e in fin di vita, chiede che gli venga portata la testa di Menalippo per vendicarsi del suo uccisore: una volta impugnato il cranio egli si mise a morderlo furibondo.

Nel Canto XXXII dell'Inferno Dante usa la storia di Tideo e Menalippo come termine di paragone con la visione di Ugolino della Gherardesca che morde il cranio dell'Arcivescovo Ruggieri.

Melanippo di Ichetaone

Melanippo, figlio di Ichetaone, personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Melanippo fu ucciso da Antiloco nell'azione bellica descritta nel libro XV dell'Iliade, relativo al Contrattacco dalle navi, ai versi 576 e seguenti.

Melanteia

Melanteia o Melanto è un personaggio della mitologia greca, figlia di Deucalione.

Secondo alcune tradizioni, con il nome di Melanteia, avrebbe avuto una figlia dal dio fiume Cefiso o da Iamo, chiamata ora Melene, ora Melenide, ora Celeno, la quale a sua volta sarebbe stata madre dell'eroe eponimo di Delfi, Delfo.

Secondo una diversa tradizione, con il nome di Melanto sarebbe stata lei stessa madre di Delfo, generato da Poseidone, unito a lei sotto forma di delfino.

Melanto (Atene)

Nella mitologia greca, Melanto o Melantio era il nome di uno dei primi re di Atene.

Melanto era uno dei figli del re della Messenia Andropompo, a sua volta figlio di Boro. Melanto successe ad Andropompo sul trono, ma ne fu scacciato dai discendenti di Eracle, i cosiddetti Eraclidi, i quali invasero la Messenia e la capitale Pilo. Melanto riuscì a fuggire e giunse ad Atene, città di cui era re Timete, ultimo discendente di Teseo. Atene era in guerra con la Beozia per il possesso di alcuni demi di frontiera. Di comune accordo i due re, Timete e Xanto, re della Beozia, decidono di risolvere il conflitto attraverso una monomachia, ossia un combattimento corpo a corpo fra i due. Poiché Timete è troppo vecchio, gli Ateniesi eleggono come campione Melanto promettendogli la successione.

Nel duello finale fra Xanto e Melanto, quest'ultimo avrebbe vinto il duello col beota grazie a un inganno. Secondo il mito, l'etimologia delle Apaturie era legata all'ἀπάτη, all'inganno di Melanto.

Melanto (Odissea)

Melanto è un personaggio della mitologia greca che compare nell'Odissea di Omero

Era la sorella del capraio Melanzio e serva di Penelope, che l'aveva cresciuta fin da piccola. Tuttavia si schierò dalla parte dei pretendenti e fu l'amante di Eurimaco. Fu impiccata dalle altre serve dopo il massacro dei pretendenti.

Melanzio

Melanzio è un personaggio minore dell'Odissea.

Figlio di Dolio e fratello della giovane ancella Melanto, vive sull'isola di Itaca e si oppone al protagonista della vicenda.

Lavora come capraio ed accoglie con insolenza Odisseo. Si schiera dalla parte dei Proci tentando di fornire loro armi.

Sorpreso nella sua attività da Eumeo, viene mutilato e ucciso per ordine di Odisseo.

Meleagridi


Nella mitologia greca le Meleagridi erano le figlie di Altea e Oineo, sorelle di Meleagro. Quando loro fratello morì, Artemide le trasformò in galline faraone. La più nota delle Meleagridi era Melanippe.

Da questa leggenda deriva il nome scientifico di alcune specie di questi uccelli, ad esempio Numida meleagris e Agelastes meleagrides.

Anche il nome con cui si identifica la famiglia animale a cui appartiene il tacchino, meleagrididae, si rifà alle sfortunate sorelle

La leggenda delle Meleagridi è raccontata da Ovidio.

Meleagro

Meleagro è una figura della mitologia greca.

Le predizioni su Meleagro


Meleagro era figlio del re degli Etoli di Calidone, Oineo, e di Altea, sorella di Leda, anche se la madre lo aveva concepito in una notte in cui aveva giaciuto tanto con il marito quanto con Ares. Quando furono passati sette giorni dalla nascita, le Moire si presentarono ad Altea e fecero ognuna una predizione: per Cloto il fanciullo avrebbe manifestato un'indole nobile; per Lachesi si sarebbe coperto della gloria riservata agli eroi; per Atropo, infine, sarebbe vissuto fino a quando fosse durato il tizzone che stava in quel momento ardendo sul camino. Altea si slanciò immediatamente a togliere il fatidico pezzo di legno dal fuoco e lo spense, conservandolo poi in un cofano con grande cura e segretezza.

L'uccisione del cinghiale di Calidone


Col passare degli anni, Meleagro, ormai adulto, divenne uno dei più valorosi lanciatori di giavellotto dell'intera regione e sposò Cleopatra, figlia di Idas; nel frattempo, il padre Oineo aveva offerto un sacrificio a tutte le divinità, dopo un abbondante raccolto, ma aveva dimenticato di onorare Artemide. La dea, indignata, aveva allora inviato contro il paese di Calidone un cinghiale di proporzioni spettacolari che devastava i campi e uccideva i sudditi del re. La gente spaventata non aveva più tranquillità e si nascondeva solo nelle città fortificate.

Quando Meleagro seppe dei tragici effetti causati dall'arrivo del cinghiale, si sentì in obbligo di liberare il paese dall'orrida creatura. Per questo, riunì un gran numero di eroi delle città vicine e da tutta la Grecia; alcuni mitografi ce ne hanno tramandato la lista: Driante, figlio di Ares; Idas e Linceo, i due figli di Afareo, che venivano da Messene; Castore e Polluce, anche detti Dioscuri, da Sparta (che sono cugini di Meleagro); Teseo di Atene; Admeto, di Fere, in Tessaglia; Anceo e Cefeo, figli dell'arcade Licurgo; Giasone, di Iolco; Ificle, fratello gemello di Eracle, che veniva da Tebe; Piritoo, figlio di Issione e amico di Teseo, venuto da Larissa, in Tessaglia; Telamone, figlio di Eaco, giunto da Salamina; Peleo, suo fratello, giunto da Ftia; Eurizione, cognato di quest'ultimo, figlio di Attore; Anfiarao, figlio d'Oicle, venuto da Argo, insieme ai figli di Testio, zii di Meleagro.
Caccia del cinghiale, sarcofago romano, Roma, Musei Capitolini.

C'era anche una cacciatrice, Atalanta, figlia di Scheneco, venuta dall'Arcadia. Tutti questi cacciatori fecero festeggiamenti presso Oineo per nove giorni. Il decimo, partirono tutti contro il cinghiale, ma la partecipazione di Atalanta alla caccia si rivelò fin dall'inizio un elemento di disturbo da parte di un certo numero dei cacciatori, che rifiutavano di avere una donna nella loro schiera. Ma Meleagro riuscì a convincerli, poiché era innamorato della giovane; da lei desiderava anche avere un figlio, benché fosse già sposato a Cleopatra.

I cacciatori (secondo Apollodoro una ventina) sguinzagliarono i cani e seguirono le grandi orme della bestia, fino a quando snidarono il cinghiale presso un corso d'acqua, mentre si abbeverava. Il cinghiale scoperto si scagliò ferocemente in mezzo ai cacciatori, i quali a gara cercarono di ferirlo. Nestore trovò scampo a fatica, salendo su un albero mentre Giasone lanciò il proprio giavellotto, mancando il bersaglio. Telamone invece scagliò la lancia contro la bestia, ma colpì accidentalmente il cognato Eurizione, il quale stava tentando di scagliare i suoi giavellotti contro il cinghiale. Peleo e Telamone rischiarono però di essere caricati dalla belva che per fortuna fu colpita ad un orecchio da una freccia di Atalanta e fuggì. Anceo, spintosi troppo avanti per dare un colpo d'ascia al cinghiale, venne lacerato dalle zanne della bestia, cadendo a terra morto. Anche Ileo venne ucciso, insieme a molti dei suoi cani da caccia. Allora Anfiarao colpì il cinghiale con una pugnalata all'occhio, accecandolo, e, quando Teseo fu sul punto di essere travolto, Meleagro conficcò il giavellotto nel ventre dell'animale e lo finì con un colpo di lancia al cuore.

Meleagro scuoiò l'animale e ne offrì la pelle ad Atalanta, perché fra tutti era stata la prima a ferirlo. Plessippo, fratello di Altea e quindi zio di Meleagro, che era fra quelli che più si erano opposti all'idea di maneggiare delle armi insieme ad una donna, protestò, appoggiato dal fratello, e propose criteri diversi per l'assegnazione del trofeo. Essi ribadirono quanto aveva promesso Oineo all'inizio della spedizione: la pelle e le zanne del cinghiale erano destinate al suo uccisore; se Meleagro voleva proprio rinunciarvi, avrebbe potuto farlo in loro favore, piuttosto che per Atalanta. Meleagro, in cui l'amore per Atalanta accentuò l'ira per essere stato contraddetto, rifiutò sdegnato l'offerta; gli zii, a questo punto, non esitarono a rubare vilmente il dono che la fanciulla aveva ricevuto dall'eroe, il quale, irritato per quest'azione, li uccise entrambi in un momento di furore. Ebbe per questo la maledizione della madre Altea; e si scatenò una guerra che i parenti superstiti dichiararono alla città di Calidone. Sua moglie, Cleopatra Alcione, si rifugiò allora presso di lui e gli fece presente quale sarebbe stata la sorte degli assediati se i nemici avessero riportato la vittoria. Al triste quadro che ella dipinse, finalmente si commosse e rivestì l'armatura. L'eroe non fece alcuna fatica a ristabilire la situazione, mettendosi tuttavia contro Apollo che proteggeva gli assalitori. In guerra Meleagro uccise altri suoi zii, ed a questo punto le Moire si recarono dalla madre di lui per invitarla a ributtare nel fuoco il tizzone serbato per anni. Altea, irata per la perdita, per mano del figlio, anche degli altri due fratelli, andò a riprendere la cassa dove aveva riposto il pezzo di legno collegato alla vita di Meleagro, e lo gettò nel fuoco. Meleagro, in pieno combattimento, si sentì bruciare dentro le viscere, ed il dolore provato permise agli avversari di ucciderlo. Una volta che Altea si calmò e si accorse di ciò che aveva fatto in un momento di collera, s'impiccò insieme con Cleopatra, divorata dal rimorso. Le donne di Calidone, invece, soppraffatte dal dolore, piansero tanto a lungo da impietosire gli dei, che le tramutarono in galline faraone, o meleagridi, ad eccezione di Deianira.

Melia (mitologia)

Nella mitologia greca, Melia era il nome di diversi personaggi di cui si raccontano le gesta.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Melia, una delle ninfer dei frassini, figlia di Oceano sposa di Inaco da cui ebbe due figli: Foroneo e Egialeo.
* Melia, altra ninfa e ancora figlia di Oceano amata da Apollo ebbe da lei due figli, Ismeno e Tenero. Il dio preoccupato della scomparsa della figlia inviò Caanto al recupero ma fu vittima delle frecce dell'amante di Melia.

Meliadi


Le Meliadi o Melie nella mitologia greca erano le ninfe del frassino nate dal sangue di Urano caduto su Gea.

La più famosa era Melia che generò, dal dio fluviale Inaco, Io, amata da Zeus. Da Apollo generò Tenedo.

Sono anche connesse alla nascita dell'uomo; si diceva infatti che gli uomini dell'età del ferro nacquero dai frassini (Esiodo).

Secondo la leggenda proteggevano i bambini che venivano abbandonati sotto gli alberi.

Per altri favolisti, però, le meliadi erano divinità della battaglia sanguinosa, perché con il legno del frassino si costruivano giavellotti.

Melicerte


Melicerte è una figura della mitologia greca, era figlio di Atamante e di Ino.

Fuggì da Orcomeno insieme alla madre, dopo la morte del fratello Learco, ucciso da Atamante. Mentre fuggivano fu divinizzato da Zeus sotto il nome di Palemone.

Melite


Melite è un personaggio della mitologia greca, figlia di Poseidone e ninfa di Corcira. Si unì a Eracle, il quale era stato esiliato nell'isola di Scheria per via dell'uccisione dei suoi figli. Ella gli diede un figlio di nome Illo.

Meliteo

Meliteo è un personaggio della mitologia greca, figlio di Zeus e della ninfa Otreide.

Dopo i suoi amori con Zeus, la ninfa, temendo la gelosia di Era, nascose il neonato in un bosco e lì l'abbandonò. Tuttavia il padre degli dei lo fece nutrire da api e ordinò, attraverso un oracolo, ad un pastore del posto, chiamato Fagro, figlio della stessa Otreide e di Apollo, di allevare il bambino nutrito da quegli animali.

Seguendo i consigli dell'oracolo, Fegro si recò sul posto dove trovò il neonato cibato da uno sciame d'api. Raccoltolo, lo condusse a casa sua e l'allevò fin quando diventò un giovane vigoroso e forte, tanto da sottomettere i popoli vicini e da giungere fino in Tessaglia. Qui fondò la città di Melitea, di cui divenne re.

Durante il suo governo, Meliteo si rivelò un tiranno, rapendo fanciulle e deflorandole nel suo talamo. Un giorno, vide una giovane, di nome Aspalide, che gli piacque, cosicché ordinò alle sue guardie di portargliela a palazzo. Quando venne a sapere dei soldati che la cercavano, la fanciulla, disperata, s'impiccò. Suo fratello Astigite, deciso a vendicarla, rivestì gli abiti della sorella, sotto i quali nascose un pugnale, e si lasciò condurre a palazzo, come se fosse Aspalide. Poi, nel momento in cui Meliteo stava per sedurla, il giovane si tolse i vestiti della sorella e affondò il pugnale nel petto del tiranno.

Gli abitanti della città fecero scempio del cadavere di Meliteo gettandolo nel fiume, quanto ad Astigite, venne innalzato al potere al suo posto.

Memnone (mitologia)

Memnone è una figura della mitologia greca, di tradizione post-omerica, nato da Eos (l'Aurora) e da Titone, figlio di Laomedonte. Combatté dalla parte dei Troiani durante la guerra di Troia, venendo ucciso in singolar tenzone da Achille.

Sotto questo nome esistono anche i Colossi di Memnone, statue monumentali situate presso Tebe, in Egitto, che rappresentano in realtà il faraone Amenofi III.

Memnone era figlio di Eos (l'Aurora) e Titone un principe troiano, figlio del re Laomedonte, fratello di Priamo. Questi era re degli Etiopi. Eos, la dea dell’aurora, si innamorò di lui e lo rapì portandolo con sé in Etiopia. La dea chiese a Zeus l’immortalità per il suo amante, ma si dimenticò di chiedere anche l’eterna giovinezza. Quando Titone divenne vecchissimo e ripugnante, Eos lo trasformò in cicala. Dalla loro unione nacquero due figli: Emazione, personificazione della notte, e Memnone, personificazione del giorno. I due fratelli avevano pelli di color scuro, perché con la madre Eos accompagnavano ogni giorno in cielo il cocchio del Sole (Elio). Emazione divenne tiranno dell’Etiopia e si scontrò con Eracle quando questi, dopo aver ucciso Busiride in Egitto, stava discendendo lungo il fiume Nilo. Memnone invece regnò nella città di Susa, fondata dal padre di Persia, costruendovi un enorme palazzo fatto di pietre bianche e gemme colorate. Fece espandere i confini del suo regno, conquistando tutti i territori circostanti, non attaccando però Troia, di dominio dello zio Priamo.
Sotto le mura di Troia [modifica]
Ricostruzione di un decoro policromo dal santuario di Apollo a Delfi, raffigurante il combattimento tra Memnone e gli eroi achei, circa 525 a.C., Delfi, Museo Archeologico.

Quando Ettore morì nel duello contro Achille, Memnone fu convocato come alleato a Troia, portando con sé 20.000 etiopi e un’armatura forgiata dallo stesso Efesto. Sotto le mura di Troia dimostrò coraggio e valore, uccidendo diversi guerrieri achei, affrontando e ferendo persino Aiace Telamonio (forse l’unico nemico a riuscirci veramente). Inseguì il carro di Nestore, il cui auriga era stato ucciso da Paride, e uccise Antiloco che era accorso per soccorrerlo. Il corpo del giovane fu dunque preso dai guerrieri etiopi ma, prima che fosse spogliato delle armi, fu recuperato da Achille, particolarmente affezionato ad Antiloco.

Memnone duellò dunque contro il Pelide e si dimostrò un guerriero non inferiore all’avversario (le armi divine che possedeva riuscirono perfino a scalfire la pelle di Achille che, come tutti sanno era vulnerabile solo nel tallone) ma ebbe comunque la peggio. L’esercito etiope, senza un capo, si disperse e tutti i guerrieri fuggirono da Troia. Eos pianse molto la morte del figlio, il cielo fu ricoperto da nubi, il suo pianto disperato formò la rugiada. Per intercessione di Zeus dalle cenere di Memnone nacquero due schiere di uccelli (detti "Memnonidi") che ogni anno combattono fra loro sul cielo di Troia. Una statua colossale, eretta sulle rive del Nilo, che in realtà raffigurava il faraone Amenofi III, fu identificata con l’eroe e ogni mattina, al levarsi dell’Aurora emetteva un suono misterioso come per salutare la madre.

Vittime di Memnone


Stando alle fonti, nei combattimenti, Memnone uccise un totale di tre guerrieri avversari.

1. Terone, seguace dell'anziano Nestore. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro II, verso 238.)
2. Ereuto, seguace dell'anziano Nestore. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro II, verso 238.)
3. Antiloco, eroe acheo, figlio di Nestore. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro II, versi 256-262.)

Edited by demon quaid - 29/12/2014, 20:56
 
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Menadi

Erano nell'antichità le donne dedite al culto orgiastico di Dioniso. Durante le feste bacchiche le Menadi, vestite di una pelle di cerbiatto o di volpe o di pantera, impugnando un bastone adorno d'edera, il tirso, inghirlandate esse stesse d'edera, al lume di fiaccole e traendo con sé un cerbiatto, correvano freneticamente per le balze dei monti, al suono di cembali, crotali e timpani; il rito orgiastico toccava l'acme quando, giunte le Menadi al colmo dell'eccitazione e del parossismo, mordevano e sbranavano il cerbiatto, simbolo del dio, ripetendo sostanzialmente l'antichissimo rito totemico. Il culto orgiastico di Dioniso fu importato fra i Greci dalla Tracia. Per il suo carattere sfrenato e scomposto non fu accolto dall'equilibrato spirito greco senza resistenza. Ne fanno fede vari miti, come, ad esempio, quello di Penteo, che narrano l'opposizione di leggendari reggitori e le ire del dio offeso. Le Menadi, contrassegnate dal tirso e dalla pardalide (la pelle di pantera), sono tema frequente nell'arte greca, specie funeraria, per la connessione del culto misterico di Dioniso con le credenze ultraterrene.
Le Menadi venivano chiamate anche Tiadi ("possedute dal dio") e Bacche o Baccanti ("donne di Bacco").

Menelao

Menelao è un personaggio della mitologia greca, figlio di Atreo e di Erope e fratello minore di Agamennone. È il re di Sparta e marito di Elena, che Paride portò a Troia, causando la spedizione greca contro la città.

Fu uno dei più importanti eroi greci della Guerra di Troia, distinguendosi in numerose azioni valorose, che lo resero celeberrimo e temuto dai nemici. Le figura di Menelao si sviluppa principalmente nell'Iliade di Omero, ma il suo personaggio è conosciuto anche in numerosi testi secondari, soprattutto nelle tragedie.

Secondo la versione più comune, ovvero quella che è riportata dall'Iliade, Menelao era figlio di Atreo, e apparteneva alla stirpe di Pelope. Sua madre era invece Erope, figlia del re cretese Catreo. Un giorno Erope fu sorpresa dal padre mentre condivideva il suo letto con un amante, ovvero uno schiavo. Sdegnato, Catreo ordinò che venisse gettata in un fiume, per essere da pasto ai pesci, ma su intercessione di Nauplio, il re decise di commutare la pena in schiavitù, stabilendo di venderla come schiava proprio a Nauplio, insieme alla sorella Climene, che sospettava tramasse contro di lui come gli era già stato vaticinato da un oracolo.

Il viaggiatore Nauplio condusse le due fanciulle ad Argo, dove ciascuna di loro fu presa in moglie. Mentre Climene sposava Nauplio stesso, Erope sposò invece Atreo, il re di Argo, da cui ebbe i due fratelli Agamennone e Menelao, e anche una figlia, Anassibia[5]. Secondo una diversa leggenda, Erope non sposò Atreo, bensì Plistene, figlio di quest'ultimo, e da lui avrebbe generato i due fratelli Atridi.

Fu scacciato dalla paterna signoria di Micene dallo zio Tieste e dal suo figlio Egisto che ne avevano ucciso il padre, e si rifugiò, col fratello, presso il re di Sparta Tindaro, le cui due figlie: Clitemnestra e la bellissima Elena, sposarono rispettivamente Agamennone e Menelao. Alla morte di Tindaro, suo suocero, ricevette in eredità il trono di Sparta.

La guerra di Troia


Durante una sua assenza per un viaggio a Creta, Paride figlio di Priamo, grazie al volere di Afrodite, accolto alla corte di Sparta, infranse le regole dell'ospitalità greca (ζενία) e rapì Elena per condurla con sé a Troia. Menelao chiese la restituzione della moglie; ma non avendola ottenuta, cominciò i preparativi della guerra contro Troia, con i più importanti principi greci condotti dal fratello Agamennone.

Nella lunga guerra sotto le mura di Troia, Menelao si coprì di gloria abbattendo un gran numero di nemici. Accettò la proposta dell'eroe troiano Ettore di porre fine alla guerra mediante un duello con Paride, che venne però salvato da Afrodite. Nella presa di Troia Menelao invece uccise Deifobo, che aveva sposato Elena dopo la morte di Paride.

Finita la guerra, Menelao fu tra i primi a salpare alla volta della Grecia, insieme ad Elena e Nestore ma, dopo varie peripezie, raggiunse la patria solamente otto anni dopo.

Meneste

Nella mitologia greca, Meneste era il nome di un abile guerriero di cui si racconta nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade

Diomede, al vedere Ettore che incuoteva terrore nei soldati achei decise che doveva stimolare l'esercito, lo fece umilmente come suo solito. Fra i soldati che più percepirono lo spirito che traspirava dalla parole del bravo oratore ci furono Meneste e il suo amico Anchialo.

I due subito salirono su un carro da guerra e si diressero verso il nemico troiano più forte: lo stesso principe, il figlio di Priamo. La battaglia fu tremenda, ma alla fine con le sue armi ebbe la meglio Ettore, i due soldati trovarono la morte per sua mano.

Menestio

Nella mitologia greca, Menestio era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Menestio di Arne, guerriero acheo, figlio di Areitoo e Filomedusa. Proveniva da Arne, fu ucciso da Paride quando questi tornò dall’incontro con Elena pieno di rinnovato vigore.
* Menestio di Spercheo, soldato di Achille, figlio del dio fluviale Spercheo e di Polidora, figlia di Peleo . A lui fu affidato uno dei contingenti composti da cinquanta uomini che doveva abbattere Troia.

Menete

Figlio di Centonimo, pastore incaricato di sorvegliare le mandrie di Ade nell'isola d'Erizia. Quando Eracle, dopo aver ucciso il cane Ortro e il mandriano Eurizione, cominciò a portar via il bestiame di Gerione, Menete, che faceva pascolare la mandria di Ade lì nei pressi, andò ad avvertire Gerione del furto della sua mandria. Nella discesa agli Inferi per riportare Cerbero, Eracle sgozzò un capo della mandria di Ade per ingraziarsi le ombre con un dono di sangue. Menete, per protesta, lo sfidò a una gara di lotta, ma subito Eracle lo strinse alla vita e gli spezzò le costole, e avrebbe subito sorte peggiore se Persefone, che era uscita dal suo palazzo e aveva salutato Eracle come un fratello, non avesse implorato di lasciare in vita Menete.

Menezio 1

Figlio di Giapeto e dell'oceanina Climene, fratello di Prometeo, di Epimeteo, di Atlante. Personificava l'ira, l'orgoglio, la baldanza spavalda e superba. Menezio e Atlante, che scamparono al diluvio che, in un giorno e in una notte, allagò l'intera Atlantide, si unirono allora a Crono e agli altri Titani spalleggiandoli nella loro sciagurata guerra contro gli dèi olimpi. Zeus uccise Menezio con una folgore e lo mandò nel Tartaro, ma risparmiò Atlante che condannò invece a portare il Cielo sulle spalle per l'eternità.

Menezio 2

Figlio di Attore e d'Egina, padre di Patroclo, il diletto amico di Achille.
Menezio viveva ad Oponte, e allorché suo figlio Patroclo, ancora giovinetto, durante una lite per una partita a dadi, uccise accidentalmente il compagno Clitonimo (o Clisonimo), figlio di Anfidamante, si recò con il figlio a Ftia dove re Peleo lo purificò. Patroclo divenne amico e fedele compagno di Achille. Quando Peleo decise di inviare Achille a combattere a Troia, Menezio fece partire anche suo figlio.
Menezio figura nella lista degli Argonauti, ma non ha alcuna parte nella leggenda. Si racconta inoltre che fu lui a rendere, nella locrese Oponte, i primi onori divini a Eracle, sacrificando un ariete, un toro e un cinghiale e istituendo il suo culto eroico. Infine si diceva che sua figlia Mirto aveva dato ad Eracle una bimba, chiamata Eucleia. Quest'ultima era onorata dai Beoti e dai Locresi con il nome di Artemide Eucleia.


Menone
(Iliade)

Menone, figura mitologica dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Menone fu ucciso dall'acheo Leonteo durante l'assalto alle mura di Troia.

Menta (mitologia)

Menta o Myntha, era una ninfa degli inferi nella mitologia greca.

Minta era una bellissima ninfa partorita nel fiume infernale Cocito, affluente dell'Acheronte e viveva nel regno infernale comandato da Ade, di cui era la concubina. Persefone, gelosa del marito, si dispiacque dell'unione e si infuriò quando Minta proferì contro di lei minacce spaventose e sottilmente allusive alle proprie arti erotiche. Persefone, sdegnata, la fece a pezzi: Ade le consentì di trasformarsi in erba profumata, la menta, ma Demetra la condannò alla sterilità, impedendole di produrre frutti.

Ade aveva un tempio ai piedi del monte Menta (o Minthe), in Elide.

Un'altra versione del mito, citata anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, suggerisce che fu Persefone stessa a trasformare Minta in pianta, scegliendo una forma insignificante che non destasse attenzione né potesse essere paragonata ad altre piante per bellezza o utilità.

Un'altra versione ancora racconta che Zeus (o Zeus Katactonio, cioè Ade stesso), innamoratosi di Minta, ebbe da lei un rifiuto in seguito ad una proposta. Sdegnato del comportamento, la tramutò in una pianta fredda così come la bella ninfa era stata con lui.

Mentore

Figlio di Alcimo di Itaca, era amico e coetaneo di Odisseo, il quale, partendo per la guerra di Troia, gli affidò l'educazione di Telemaco e la cura della casa; perciò egli si oppose alle tracotanze dei Proci. Di lui prese la figura Atena, quando appariva a Telemaco o a Odisseo per consigliarli o per cooperare con loro, e in particolare per accompagnare Telemaco da Nestore a Pilo e da Menelao a Sparta, per difendere Odisseo nella battaglia contro i Pretendenti e rappacificarlo col suo popolo. Fu compagno e maestro affettuoso di Telemaco, donde l'uso del nome di Mentore nel senso di maestro o precettore o guida.

Mera
(Atlante)

Nella mitologia greca, Mera, era il nome di una delle figle di Atlante

Di lei si racconta come compagna e moglie di Tegeate . Il geografo desciveva nei suoi viaggi un castello a lei dedicato ed una tomba di tale Mera, dove alcuni pensavano che si trattasse non della figlia del gigante ma di una sua discendente più lontana.

Alcuni confondo tale Mera con quella figlia di Preto.

Mera
(Nereo)

Nella mitologia greca, Mera o Maera era il nome di uno delle figlie di Nereo e di Doride.

Si trattava di una delle 50 nereidi, di lei si parla anche nell'Odissea dove lo stesso Ulisse la vide in una lista di donne quando nelle sue avventure viaggiò nell'oltremondo.

Le Nereidi, 50 secondo la tradizione ma molti autori ne citano un numero diverso, erano creature che identificavano vari aspetti del mondo circostante.

Mera (Preto)

Nella mitologia greca, Mera era il nome di una delle figle di Preto o Proto e di Antea.

Era una compagna di Artemide, la della caccia. Venne uccisa dalla dea perché si sentiva tradita, infatti la donna aveva giaciuto con Zeus, il padre degli dei perdendo la sua purezza. Da tale unione nacque un figlio, Locro.

Mera (mitologia)

Mera (greco Μαῖρα, latino Maera) è una figura della mitologia greca. Secondo il mito era un cane appartenuto a Icario e Erigone.

Secondo un'antica leggenda originaria dell'Attica, raccontata dal mitografo Igino, ad Icario Dioniso insegnò per primo a fare il vino. Quando Icario lo fece assaggiare ad alcuni pastori, essi si ubriacarono quasi immediatamente. Credendo che Icario li avesse avvelenati, lo uccisero. Il cane Mera corse ululando dalla figlia di Icario, Erigone, la prese le vesti tra i denti e la tirò fino al luogo dove giaceva il padre morto. Sia Erigone che il cane si suicidarono accanto al corpo di Icario.

Zeus pose le loro immagini fra le stelle a memoria dell'evento sfortunato. In questa storia, Icario si identifica con la costellazione di Boote, Erigone con quella della vergine e Mera è il Cane Minore.

Mercurio

Antica divinità di origine romana o almeno latina, il cui nome va collegato con merx ("la merce"). La relazione di Mercurio con mercatores risaliva a remota antichità, quando non si era ancora sotto l'influsso del corrispondente dio Ermete dei Greci. Secondo la tradizione annalistica un tempio era stato dedicato a Mercurio nel 495 a.C. da M. Letorio nei pressi del Circo Massimo, forse rifatto o restaurato nel secolo III a.C.; alla fondazione del tempio di Roma risaliva la relazione di Mercurio coi mercanti, detti anche mercuriales, con nome evidentemente derivato da quello del dio. Era naturale che i mercanti romani avessero per tempo un patrono divino, e nella credenza comune Mercurio rimase soprattutto il dio dei mercanti e del commercio. I mercanti romani e italici del II secolo a.C. offrono a Mercurio sacrifici e celebrano la sua festa alle idi di maggio, considerando il 15 maggio come il natale del suo tempio sull'Aventino. In questo giorno si recavano alla fonte del dio presso la porta Capena, donde partivano le vie del commercio meridionale e dove esisteva un'Arca Mercuri cum ara, e ivi fatte preghiere e offerti incensi si attingeva l'acqua salutare per aspergerne con una fronda di lauro il capo e gli oggetti del commercio. Il nome di Mercurio ricorre su monumenti figurati e iscrizioni di Preneste dei secoli IV e II a.C. che ne confermano l'origine latina. Accanto a questa funzione di protettore dei mercanti, Mercurio ci appare più tardi in Roma sotto altri aspetti dell'Ermete greco, come inventore della lira, protettore degli araldi, messaggero degli dèi, accompagnatore delle anime dei morti all'Ade. Come Ermete, Mercurio ha come attributi il caduceo, il cappello a larghe tese, i sandali alati; infine una borsa, simbolo dei guadagni che procura il commercio.

Merione

Merione è un personaggio della mitologia greca; figlio di Molo e Melfi, era un principe cretese. Molo era fratellastro di Idomeneo. Come altri eroi della mitologia, Merione si riteneva un diretto discendente degli dei. Come il nipote di Deucalione (figlio di Minosse), gli antenati di Merione includono Zeus, Europa, Helios, e Circe. Merione possedeva l'elmo di Amintore, che lo ricevette rubandolo da Autolico. Merione ereditò l'elmo da suo padre Molo e dopo lo diede a Odisseo.

Nipote di Idomeneo, re di Creta, partì con lo zio durante la guerra di Troia, come suo scudiero. Valoroso e impavido, combatté con coraggio sotto le mura della città. Si distinse in varie imprese come abile guerriero. Nella battaglia scatenatasi dopo il duello fra Paride e Menelao, uccise con un colpo di lancia il giovane troiano Fereclo, il quale aveva costruito la nave che portò Paride a Sparta.

Durante lo scontro presso le navi fu particolarmente valoroso, affrontò Deifobo in duello, rimanendo però disarmato e costretto quindi a chiedere aiuto allo zio. Difese quest’ultimo contro Enea, riuscendo persino a sconfiggere Deifobo (che sarà comunque salvato dal fratello Polite), uccidendo Adamante, figlio di Asio, e Arpalione, figlio del re dei Paflagoni.

Nell'ambito dei giochi in onore di Patroclo, partecipò alla corsa di carri (arrivando quarto e ricevendo due talenti d’oro), al tiro con l’arco (che vinse, ricevendo dieci scuri a doppio taglio) e infine al lancio del giavellotto (che Achille stesso interruppe dando la vittoria ad Agamennone di certo superiore all’avversario). Leggende successive, parecchio aberranti, riferiscono che egli cadde per mano di Ettore, il quale lo decapitò mentre tentava di proteggere il corpo di Patroclo, e lasciò il busto in mostra ai compagni.

Mermero

Mermero, figura mitologica dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Mermero fu ucciso e spogliato delle armi da Antiloco. Falche, un alro guerriero troiano, ebbe la stessa sorte di Mermero nella medesima azione bellica.

Merope


Il nome Merope può riferirsi a diverse cose:

* Merope - figlia di Oceano e madre di Fetonte;
* Merope - una delle Eliadi o sorelle di Fetonte;
* Merope - figlia di Atlante e di Pleione, era una delle Pleiadi.
* Merope - figlia di Enopio ed Elice di Chio. Chiamata anche Haero, Aerope, e Maerope, fu amata da Orione che, per questo fu accecata
da suo padre.
* Merope - moglie di Megareo dal quale ebbe Ippomene;
* Merope - figlia di Cipselo e moglie di Cresfonte e quindi di Polifonte, madre di Epito.
* Merope - indovino di Percote, padre di Arisbe e dei guerrieri Adrasto e Anfio (Omero, Iliade).
* Merope - guerriero troiano nell' Eneide, ucciso in combattimento da Turno.

Merope (Cipselo)

Nella mitologia greca, Merope era la figlia di Cipselo re dell'Arcadia.

Cresfonte uno degli Eraclidi (così venivano chiamati i discendenti di Eracle) re di Messene, quando invase l'Arcadia ebbe in sposa Merope. Dopo aver dato alla luce 3 figli Cresfonte fu ucciso da uno di loro e la donna andò in moglie a Polifonte, madre di Epito.

Merope (Enopio)

Nella mitologia greca, Merope era il nome di una delle figlie Enopio (o Enopione) ed Elice di Chio.

Chiamata anche Haero, Aerope, e Maerope. Fu amata da Orione dopo la scomparsa della sua prima moglie Side. Una volta che l'eroe chiese al padre la mano della donna lui lo fece prima ubriacare fino a farlo addormentare e poi accecare.

Merope (Pleiadi)

Nella mitologia greca, Merope era una delle figlie di Atlante e di Pleione, una delle Pleiadi.

La ragazza sposò Sisifo, re di Corinto (chiamato Efira a quel tempo), dal quale ebbe Glauco come figlio, padre di Bellerofonte.

(Ovidio la indica come la stella meno brillante nella costellazione delle Pleiadi, in quanto l'unica ad aver sposato un mortale).

Mestle

Nella mitologia greca, Mestle era il nome del figlio di Talemene, re dei meoni. Egli partecipò alla guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell’ Iliade

Mestle, capo dei meoni, fratello di Antifo, discendenti da stirpe divina, ovvero fra l’unione di piccole divinità di fiumi e paludi ed esseri umani, partecipò alla guerra aiutando i troiani nelle battaglie. Il suo nome era ancora presente quando Ettore pronunciò il discorso con le armi di Achille indossate, una volta ucciso Patroclo.

Mestore

Mestore è un personaggio della mitologia greca, figlio illegittimo di Priamo. Incaricato dal padre di sorvegliare le mandrie di buoi sul monte Ida, venne sorpreso da Achille, il quale iniziò una barbara razzia del bestiame e uccise anche i mandriani, compreso Mestore.

Mestra

Nella Mitologia greca, Mestra o Mnestra era una figlia di Erisittone, re della Tessaglia.

Il padre venne punito dalla dea Demetra con una fame insaziabile, perché avava tagliato un Bosco sacro ad ella dedicato. Per comprare più cibo, venne venduta dal padre come schiava. Mestra fece allora appello a Poseidone, che era stato suo amante, ed egli le donò il potere di cambiare la sua figura in ciò che desiderava, permettendole così di scappare dal suo padrone. Quando il padre scoprì la sua abilità, continuò a venderla da allora in poi molte volte.

Palefato dà un'interpretazione razionalista di questo mito. Secondo lui, Mestra, vergine bellissima, si sarebbe offerta a chiunque passasse nei pressi della sua dimora per dare il denaro al padre, probabilmente un pigro, che si era forse rovinato dilapidando il patrimonio in feste e bagordi. Dato che in quei tempi lontani non si utilizzava il denaro; Mestra si faceva pagare un natura le venivano così dati buoi, capre, montoni, pollame etc. Così si prese l'usanza di dire che Mestra «diveniva» bue, capra, montone etc. Questo fatto avrebbe originato la leggenda delle metamorfosi della donna.

Metanira

Nella mitologia greca Metanira (anche Metaenira o Metaneira) fu la regina di Eleusi, moglie di Celeo.

Secondo la tradizione, Demetra, mentre cercava la figlia Persefone, assunse le sembianze di una vecchia di nome Doso e fu accolta in casa di Celeo, che le chiese di badare ai suoi due figli, Demofoonte e Trittolemo. Per ringraziare Celeo della sua ospitalità, Demetra decise di fargli il dono di trasformare Demofoonte in un dio. Il rituale prevedeva che il bimbo fosse ricoperto ed unto con l’ambrosia, che la dea stringendolo tra le braccia soffiasse dolcemente su di lui e lo rendesse immortale bruciando nottetempo il suo spirito mortale sul focolare di casa. Demetra una notte, senza dire nulla ai suoi genitori, lo mise quindi sul fuoco come fosse un tronco di legno ma non poté completare il rito perché Metanira, entrata nella stanza e visto il figlio sul fuoco, si mise ad urlare di paura e la dea, irritata, dovette rivelarsi lamentandosi di come gli sciocchi mortali non capiscano i rituali degli dei.

Invece di rendere Demofoonte immortale, Demetra decise allora di insegnare a Trittolemo l’arte dell’agricoltura, così il resto della Grecia imparò da lui a piantare e mietere i raccolti. Sotto la protezione di Demetra e Persefone volò per tutta la regione su di un carro alato per compiere la sua missione di insegnare ciò che aveva appreso a tutta la Grecia.

Edited by demon quaid - 29/12/2014, 21:07
 
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