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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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view post Posted on 29/10/2010, 16:07     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Stilbe

Nella mitologia greca Stilbe era una Ninfa, figlia del dio fluviale Peneo e della Naiade Creusa.

Diede due gemelli ad Apollo, Centauro, progenitore della stirpe dei Centauri, e Lapite, progenitore dei Lapiti. Secondo un'altra versione del mito, Centauro era invece figlio di Issione e di Nefele.

Dalla sua unione con Cicreo nacque invece la Ninfa Cariclo, che divenne moglie di Chirone.

Stige

Fiume degli Inferi, secondo l'immaginazione dei Greci.
Si avvolgeva più volte intorno al regno di Ade, e per passarlo bisognava usare della barca di Caronte. Il fiume aveva la sua divinità nella ninfa omonima, figlia della Notte e di Erebo, oppure di Oceano e di Teti, ricordata da Esiodo nella Teogonia. Nell'Oltretomba, Stige viveva in un palazzo con splendide colonne d'argento. Sposò il titano Pallante a cui generò Bia ("forza"), Crato ("potere"), Zelo ("emulazione") e Nike ("vittoria"). Durante la lotta di Zeus contro Crono e i Titani fu la prima a correre in aiuto del dio e i suoi figli si distinsero per valore nella campagna vittoriosa. Zeus, in segno di ricompensa, li nominò suoi aiutanti e stabilì che un giuramento fatto alle acque dello Stige non potesse essere cancellato nemmeno dagli dèi. Tutte le volte che un dio prestava giuramento, Iride riempiva una giara con l'acqua dello Stige e la riportava nell'Olimpo, come "testimone" del giuramento. Chi rompeva questo giuramento veniva colto da uno stupore catatonico per un "grande anno" (nove anni solari) e poi veniva esiliato dall'Olimpo per altri nove "grandi anni". Il fiume, dall'oceano e dal monte Chelmo in Arcadia, scendeva nel Tartaro, poi si divideva in rami minori e girava per nove volte intorno al regno di Ade. La sua acqua passava per avere proprietà magiche, e proprio in questo fiume Teti avrebbe tuffato il neonato Achille, per renderlo invulnerabile; ma aveva dovuto reggerlo per il tallone, che era quindi rimasto la sola parte mortale dell'eroe.
Il mito dello Stige, perpetuatosi presso i posteriori scrittori greci e latini, fu in ultimo raccolto da Dante. Particolare importanza aveva nella tradizione classica il giuramento sulle acque dello Stige, che gli dèi facevano per dare speciale solennità alle loro promesse.
Stige immortale fu la prima che giunse in Olimpo insiem coi figli suoi, secondo il volere del padre. E Zeus l'onorò, le diede larghissimi doni, fece che il nome suo fosse giuro solenne ai Celesti, e che i suoi figli sempre vivesser dov'egli viveva... (Esiodo, Teogonia, 389 segg.).

Stinfalo (mitologia)

Nella mitologia greca, Stinfalo era il nome di uno dei figli di Elato e di Laodice, figlia a sua volta di Cinira.

Re dell'Arcadia aveva 4 fratelli: Epito, Pereo, Cillene e Ischi. Ebbe una vasta progenie. I suoi 3 figli maschi furono Agamete, Gorti e Agelao, mentre sua figlia Partenope dalla relazione avuta con Eracle ebbe una figlia, Evere.

Ebbe come avversario Pelope e finì con l'ucciderlo con l'inganno: dopo aver finto di stringere patti di amicizia e pace con l'Arcadia con cui era in guerra uccise a tradimento lo stesso Stinfalo per poi spargere le membra. Per tale vile operato la Grecia intera fu vittima di una terribile carestia, terminata solo grazie ad un intervento di Eaco.

A lui vennero dedicati una città e un lago. Per quanto riguarda la carestia che colpì la Grecia altri autori parlano di un altro omicidio come elemento scaturente la furia divina: l'assassinio di Androgeo, il figlio di Minosse.

Strimo


Nella mitologia greca, Strimo, o Strimone, è la moglie di Laomedonte, cui generò Priamo, re di Troia e altri figli.

Strimo era una ninfa, figlia del dio fluviale Scamandro, il quale scorreva nella fertile pianura del'Ida. Fu sposata al re di Troia Laomedonte dal quale ebbe sei figli, Lampo, Clitio, Icetaone, Timete, Titone e Podarce, il più giovane, che in seguito prenderà il nome di Priamo. Ebbe anche sei figlie figlie, Esione, Astioca, Etilla, Clitodora, Cilla e Procleia.

Spesso, al posto di Strimo, si citano numerosi nomi per identificare la madre di Priamo e la sposa di Laomedonte: ad esempio, Placia, Leucippe, Reo, Toosa oppure Zeusippe.

Strimone (mitologia)

Nella mitologia greca, Strimone era il nome di uno dei figli di Ares il dio della guerra, era una divinità dei fiumi, governava il fiume omonimo.

In principio era un essere mortale, che dall'unione con la musa Clio ebbe un figlio: Reso. Per la morte prematura del ragazzo decise di gettarsi nel fiume e ne divenne sovrano. Aveva un'altra figlia, Rodope.

Si racconta di altra prole da lui forse avuta: Branga e Olinto.

Strofio


Nella mitologia greca, Strofio fu un Re della Fòcide e padre di Pilade. Al tempo in cui il giovane Oreste cercava un rifugio dove nascondersi da sua madre Clitemnestra, che aveva assassinato a tradimento il padre Agamennone con la complicità dell'amante Egisto, Strofio fu complice dell'esule e lo nascose in Fòcide. Durante la sua permanenza, Oreste divennero grande amico di Pilade.

Summano

Divinità romana, di origine etrusca secondo Plinio, dio della folgore notturna. Aveva un tempio presso il Circo Massimo, del 278 avanti Cristo. Più tardi fu assimilato con divinità infere.

Suto

Figlio di Elleno e della ninfa Orseide, oppure di Eolo ed Enarete.
Secondo la più accreditata delle leggende, era fratello di Doro e di Eolo. Regnò per qualche tempo a Iolco, in Tessaglia, e venne poi allontanato perché accusato di furto dai suoi fratelli. Si rifugiò ad Atene e prestò aiuto al re Eretteo nella guerra contro Calcodonte, in Eubea. Sposò sua figlia Creusa che gli generò Acheo e Ione. Ma Suto non ebbe fortuna ad Atene. Quando fu proclamato arbitro della successione al trono dopo la morte di Eretteo, egli dichiarò che il suo cognato più anziano, Cecrope Secondo, era il legittimo erede. La decisione non fu approvata dal popolo e Suto, condannato all'esilio, Si recò con moglie e figli (Acheo e Ione) nel nord del Peloponneso e morì nella terra di Egialeo, che più tardi fu chiamata Acaia dal nome di suo figlio.
Secondo Euripide, Suto era figlio di Eolo e regnò ad Atene alla morte di Eretteo. Ione era figlio di Apollo e Creusa, mentre Doro e Acheo erano figli legittimi di Suto. Euripide narra che Apollo si giacque segretamente con Creusa, in una grotta sottostante i Propilei di Atene. Quando nacque il figlio di Creusa, Apollo lo trasportò a Delfi, dove egli divenne servo in un tempio e i sacerdoti lo chiamarono Ione. Suto non aveva eredi e, dopo molti indugi, decise di chiedere all'oracolo delfico come potesse assicurarsene uno. Con suo grande stupore si sentì rispondere che le prima persona che avesse incontrato uscendo dal santuario sarebbe stato suo figlio. Quella persona fu Ione e Suto pensò di aver fecondato qualche Menade durante le orge dionisiache svoltesi a Delfi molti anni prima. Ione non poteva certo contraddirlo e lo riconobbe come padre.



T



Tafio

Figlio di Poseidone e d'Ippotoe e nipote di Pelope. Ebbe come figlio Pterelao; ma esisteva un'altra tradizione, secondo la quale Pterelao era egli stesso figlio di Poseidone e d'ippotoe, e aveva avuto due figli, Tafio e Teleboante. Un'altra versione, infine, faceva di Teleboante il padre di Pterelao. Questi è celebre soprattutto per la guerra che sostenne contro Anfitrione e il tradimento di cui fu vittima da parte della figlia Cometo.

Tagete

Fanciullo della mitologia latina, sapiente come un saggio vecchio, nato da un solco tracciato da un contadino del territorio di Tarquinia. Il fanciullo venne portato al cospetto dei dodici principi delle dodici città etrusche, fu accolto con onore e alle sue parole venne dato ascolto. Tagete insegnò agli Etruschi l'arte della divinazione e i suoi insegnamenti vennero poi scritti e divennero i celebri libri Tagetici, che gli indovini etruschi consultarono anche in seguito. Il capo dei dodici principi si chiamava Tarconte e, secondo alcune versioni, si trattava dello stesso contadino che aveva dissotterrato il bambino il quale, compiuta la sua missione, fece ritorno alla terra.


Taigeta

Taigete è una figura della mitologia greca, figlia di Atlante e di Pleione.

È una delle Pleiadi, insieme ad Alcione, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Sterope (Pleiadi).

Cercò di sfuggire a Zeus, che voleva concupirla, invocando Artemide che la trasformò in cerbiatta. Tornata alla forma umana Taigete consacrò alla dea cacciatrice la Cerva di Cerinea.

Secondo altri miti Zeus riuscì ugualmente ad unirsi a lei, e da loro venne generato Lacedemone.

Talao

Nella mitologia greca, Talao era uno dei re di Argo, figlio di Pero e Biante .

Talao dal suo matrimonio con Eurinome (o Lisimaca o Lisianassa) generò Adrasto, Partenopeo, Mecisteo, Aristomaco ed Erifile.

Fra tutti loro, Adrasto e Mecisteo per tale discendenza sono indicati come i Talaionidi.

Talia 1

Una delle nove Muse, protettrice della commedia, raffigurata come una bella donna con in mano il bastone pastorale (pedum), una maschera comica e una corona d'edera sul capo. Pur rifiutando di legarsi in matrimonio, Apollo la sedusse e la rese madre dei Coribanti, che intrecciavano danze durante la festa del solstizio d'inverno. Zeus affidò ai Coribanti il compito di custodire la culla di Zagreo nella grotta Idea e colà essi gli danzavano attorno.

Talia 2

Una delle Cariti (Grazie), è figlia di Zeus e di Eurinome. Le Cariti sono divinità della Bellezza e probabilmente, in origine, forze della vegetazione. Proprio loro diffondono la gioia nella Natura e nel cuore degli uomini, e anche in quello degli dèi. Abitano sull'Olimpo in compagnia delle Muse, con le quali formano talvolta dei cori. Fanno parte del seguito di Apollo, il dio musico. Si rappresentano generalmente come tre sorelle, Eufrosine, Talia e Aglae, tre giovani nude che si tengono per le spalle. Si attribuisce alle Grazie ogni sorta di influenza sui lavori della mente e sulle opere d'arte.

Talia 3

Una delle Nereidi, figlia di Nereo e di Doride. Il numero delle Nereidi varia da cinquanta a cento e fra di esse alcune hanno una personalità più accentuata delle loro sorelle. Così Teti, madre di Achille, poi Anfitrite, moglie di Poseidone, Galatea, innamorata del bell'Aci, infine Orizia, generalmente creduta figlia del re d'Atene Eretteo. Le Nereidi vivevano in fondo al mare, nel palazzo del loro padre, sedute su troni d'oro. Erano tutte bellissime e occupavano il tempo a filare, a tessere e a cantare. I poeti le immaginavano anche mentre giocavano con disinvoltura fra le onde, mentre lasciavano galleggiare la loro capigliatura, mentre nuotavano qua e là fra i tritoni e i delfini.

Talo 1

È il guardiano di Creta. Vigilante infaticabile, era stato scelto da Minosse per questo incarico, oppure da Zeus quando vi lasciò la ninfa Europa. Faceva tre volte al giorno, armato, il giro di Creta. Impediva agli stranieri di penetrarvi, ma anche agli abitanti di uscirne senza il permesso di Minosse. Sembra che, proprio per sfuggirgli, Dedalo dovette scegliere la via dell'aria. Le armi favorite da Talo erano pietre enormi, ch'egli scagliava a grande distanza. Ma gli "immigrati clandestini" dovevano temere altri pericoli da parte di Talo, anche se riuscivano a oltrepassare quel primo sbarramento. Quando li raggiungeva, Talo saltava nel fuoco, portava il suo corpo metallico all'incandescenza e, precipitandosi sui malcapitati, li stringeva e li bruciava.
Talo era invulnerabile in tutto il corpo, fuorché nella parte bassa della gamba, dove si trovava una piccola vena, chiusa da un chiodo di bronzo. Quando giunsero gli Argonauti, Medea blandì il mostro con voce soave e gli promise l'immortalità se beveva una certa pozione; si trattava in verità di un soporifero e mentre il mostro dormiva, Medea estrasse il chiodo di bronzo che turava l'unica vena di Talo. Il divino icore, il liquido che fungeva da sangue, ne uscì e il mostro morì. Altri dicono che Talo, stregato dagli incantesimi di Medea, avanzò barcollando, si ferì il tallone contro una roccia e morì dissanguato. Altri ancora, che Peante, padre di Filottete e uno degli Argonauti, lo uccise scoccandogli una freccia nel tallone.
Si diceva che Talo avesse avuto un figlio, Leuco.

Talo 2

Figlio della sorella di Dedalo, Policasta o Perdice, fu uno dei suoi apprendisti, e l'aveva già superato in abilità all'età di soli dodici anni. Talo raccolse un giorno l'osso della mascella di un serpente o, come altri dicono, una spina di pesce; e accortosi che se ne poteva servire per tagliare un bastone a metà, ne copiò il modello in ferro e inventò così la sega. Questa e altre utili invenzioni, quali la ruota da vasaio e il compasso per tracciare i cerchi, gli procurarono così vasta fama ad Atene che Dedalo, il quale rivendicava il merito di aver inventato la sega, ne divenne geloso. Si fece dunque accompagnare da Talo sul tetto di un tempio di Atena sull'Acropoli e, fingendo di indicargli qualcosa che si muoveva a grande distanza, lo spinse giù dal cornicione. L'invidia non sarebbe tuttavia bastata a indurlo a quel gesto: ma egli sospettava Talo di avere rapporti incestuosi con sua madre Policasta. Dedalo si precipitò poi ai piedi dell'Acropoli e chiuse il corpo di Talo in una sacca, proponendosi di seppellirlo in un luogo deserto. Interrogato dai passanti, rispondeva di aver raccolto un serpente morto, come la legge prescriveva, il che non era del tutto falso, poiché Talo era un Eretteide; ma ben presto apparvero macchie di sangue sulla sacca e il delitto fu scoperto. L'areopaco condannò Dedalo all'esilio per omicidio; secondo un'altra versione, invece, egli fuggì prima che avesse luogo il processo.
L'anima di Talo volò via sotto forma di pernice, mentre il suo corpo fu sepolto là dove era caduto. Policasta s'impiccò quando ebbe notizia della morte del figlio e gli Ateniesi eressero un santuario in suo onore presso l'Acropoli.

Talio

Nella mitologia greca, Talio era un combattente etiope che faceva parte del contingente di re Memnone alla guerra di Troia. Egli è citato nel libro II del Posthomerica di Quinto Smirneo.

Lottò a fianco dei Troiani, essendo il suo sovrano Memnone imparentato con il re di Troia Priamo. Uomo di grande valore, fu affrontato in duello da Achille e da lui ucciso (forse con un giavellotto) contemporaneamente al compagno Mente, anch'egli etiope.

Talpio

Talpio (o Talfio), figlio di Eurito, è un personaggio della mitologia greca.

Fu uno dei pretendenti alla mano di Elena e partecipò quindi al giuramento di Tindaro.

Taltibio


Taltibio, (in greco Ταλθύβιος), è un personaggio acheo che compare in diverse opere greche oltre che nell'Iliade.

Taltibio e Euribate, messaggeri e scudieri di Agamennone, furono inviati dallo stesso Agamennone alla tenda di Achille per prendere e portargli Briseide.

Taltibio è citato anche nelle tragedie Ecuba e Troiane di Euripide.

Tamiri


Tamiri è una figura della mitologia greca, figlio di Filammone e della ninfa Argiope.

Poeta e musico se ne parla brevemente nell'Iliade: vantandosi di cantar meglio delle Muse, le figlie di Zeus lo accecarono e lo privarono delle sue capacità canore.

In un'altra leggenda, Tamiri è trasformato dalle Muse in un usignolo.

Tanai

Dio-fiume, figlio di Oceano e di Teti (oggi il Don). Secondo una leggenda tardiva, Tanai era un giovane eroe, figlio di Beroso e dell'amazzone Lisippa, il quale offese Afrodite col suo disprezzo per il matrimonio e il suo amore per la guerra. Smaniosa di vendicarsi, la dea fece sì che Tanai si innamorasse di sua madre; ma piuttosto che cedere a quell'incestuosa passione, egli si gettò nel fiume Amazzonio e annegò. Da allora, il fiume prese il nome di Tanai. Per sfuggire alla sua ombra lamentosa, Lisippa allora guidò le sue figlie lungo le rive del Mar Nero, fino alla pianura bagnata dal Termodonte che nasce dagli altissimi monti Amazzoni. Colà esse si divisero in tre tribù e ogni tribù fondò una città.

Tanatos

Dio della morte, figlio della Notte e fratello del Sonno (Ipno). Era raffigurato come un giovane alato, di un tipo spesso facilmente confondibile con Eros, talora anche armato di spada. Non possiede un mito propriamente detto. Svolgeva la funzione di angelo della morte e quando il tempo concesso a un mortale scadeva egli giungeva, gli tagliava una ciocca di capelli per Ade e lo portava con sé. Nell'Alcesti di Euripide si narrava che Admeto, re di Tessaglia, aveva ottenuto dalle Parche di poter continuare a vivere a patto che trovasse uno che volesse morire per lui. Si offrì volontaria alla morte la moglie Alcesti, ma Eracle, lottando con Tanatos, riuscì a ricondurre Alcesti dagli Inferi e a ridonarla al marito esultante. Anche Sisifo cercò di avere la meglio su Tanatos. Infatti, allorché Zeus inviò Tanatos a uccidere Sisifo, questi lo sorprese e lo incatenò, di modo che, per un certo tempo, nessun uomo morì più. Fu necessario che Zeus intervenisse, costringendo Sisifo a liberare Tanatos, perché questi potesse continuare a svolgere la sua funzione.

Tantalo (mitologia)

Tantalo è una figura della mitologia greca, era il primo re della Lidia (o della Frigia) e viveva inizialmente fra gli dei. I suoi tanti peccati lo portarono al supplizio deciso dagli dei, che è diventato un famoso modo di dire.

Le sue origini sono misteriose: secondo alcuni figlio di Zeus, secondo altri il suo padre era Tmolo. mentre la madre secondo la maggior parte dei mitografi era Pluto, ma i suoi genitori erano o Crono e Nea oppure Oceano e Teti. Secondo altri ancora sua madre era la pleiade Taigete.

Anche sul nome della consorte vi sono molte versioni:

* Eurianassa, figlia di Pattolo
* Euritemiste, figlia di Xanto
* Clizia, figlia di Anfidamante
* Dione, una delle Iadi.

Chiunque fosse la vera compagna di Tantalo sicura è la sua innumerevole progenie, tra cui Pelope, Brotea e Niobe.

La storia

Tantalo, semidio figlio di Zeus e di Taigete, era benvoluto dagli dei, che spesso lo onoravano sedendosi alla sua mensa, ma fu autore di diverse offese agli dei, consistenti sostanzialmente in violazioni delle regole della xenia: tra esse il ratto di Ganimede, il furto del nettare e dell'ambrosia per distribuirlo ai suoi sudditi. Inoltre vi fu l'episodio del furto del cane d'oro, custode di un tempio di Zeus situato a Creta. In tale mito, l'artefice del furto era in realtà Pandareo, che lo affidò al ragazzo con l'impegno che lo nascondesse agli occhi divini. Hermes giunse con il chiaro intento di riavere il sacro animale, ma Tantalo giurò il falso. Secondo un'altra versione dello stesso mito, in realtà il cane era Rea trasformata dal dio Efesto.

Inoltre, mosso dalla curiosità di sapere se veramente gli dei conoscessero tutte le azioni dei mortali, un giorno servì loro le carni del figlio Pelope. Tutti gli dei, tranne Demetra che era addolorata per la scomparsa della figlia Persefone, ovviamente rifiutarono il banchetto sacrilego e, risuscitato Pelope, gli sostituirono una spalla (mangiata da Demetra) con una di avorio. Altri autori antichi, come Pindaro, rifiutano questo tipo di misfatto credendo che invece il figlio Pelope fosse stato rapito da Poseidone in preda alla passione e che fosse stato portato sull'Olimpo in qualità di coppiere del dio del mare.

Il supplizio


Per tutte le offese agli Dei, Tantalo, dopo la morte, fu gettato nell'Ade dove, a memoria eterna del suo misfatto, non poteva né cibarsi né bere, nonostante fosse circondato da cibo e acqua. Tantalo, infatti, era legato ad un albero da frutto carico di ogni qualità di frutti, fra i quali pere e lucide mele, in mezzo ad un lago la cui acqua arrivava fino al suo mento. Ma non appena Tantalo provava a bere il lago si asciugava, e non appena provava a prendere un frutto i rami si allontanavano, o un alito di vento improvviso li faceva volare via lontano dalle sue mani. Inoltre un grosso macigno incombeva su di lui minacciando di schiacciargli il cranio e facendolo cosi' vivere in uno stato di terrore perenne, il famoso supplizio di Tantalo.

Secondo un'altra versione la morte viene collegata ad un supplizio in cui dovette sostenere un monte intero sulla sua testa.

Altri personaggi mitologici famosi per essere stati sottoposti a un supplizio sono Issione, Tizio e Sisifo.

Miti successivi


I mitografi successivi cercarono in tutti i modi di discolpare gli dei da un possibile cannibalismo, stravolgendo in tutto la storia di Tantalo. Secondo tale versione infatti egli era un sacerdote che rivelò ogni segreto ai non iniziati, al che colpirono suo figlio con una malattia orrenda. I chirurghi di allora con varie operazioni riuscirono a ricostruire il corpo originale anche se aveva innumerevoli cicatrici.

Tantalo 2

Figlio di Tieste, oppure di Brotea. Esistevano due leggende differenti a suo riguardo. Secondo la prima, Atreo, per odio verso il fratello gemello Tieste, uccise i gemelli Tantalo secondo e Plistene secondo, li tagliò a pezzi e, scelti i bocconi migliori della loro carne, li fece bollire in un calderone, alla presenza del loro padre Tieste. Quando Tieste ebbe mangiato con grande appetito, Atreo fece portare dai servi le teste sanguinanti dei bambini e i loro piedi e le loro mani, disposti su un altro piatto, affinché Tieste capisse quale sorta di cibo avesse introdotto nel proprio stomaco. Tieste si rotolò per terra, vomitò, e lanciò una maledizione sulla schiatta di Atreo. Secondo l'altra leggenda, Agamennone dapprima fece guerra a Tantalo, re di Pisa e figlio di Brotea; lo uccise in battaglia e poi sposò di forza la sua vedova Clitemnestra, che Leda aveva generato da Tindaro re di Sparta.

Taranto

Eroe fondatore della città di Taranto, figlio di Poseidone e della ninfa Satira o Satiria, che passa per essere figlia di Minosse (da cui la tradizione delle origini cretesi di Taranto). Satiria aveva dato il proprio nome a un capo vicino alla città di Taranto, il capo Satirione.

Tarassippo 1

"Colui che spaventa i cavalli", demone a cui venivano attribuiti gli incidenti durante le gare equestri. Il Tarassippo pare fosse un'arcaica statua regale che segnava la prima svolta in una corsa di cocchi. I cavalli che non conoscevano lo stadio ne venivano distratti nel momento in cui l'auriga cercava di tagliare la curva e di superare l'avversario all'interno; ma era anche il luogo dove veniva predisposto l'incidente mortale per l'antico re o per l'interrex, levando gli acciarini delle ruote. Esisteva un certo numero di leggende relative a questo demone. Si diceva che era l'anima in pena dell'eroe Ischeno, sacrificato per mettere fine a una carestia, al quale gli abitanti di Olimpia avevano dato, dopo la morte, il soprannome di Tarassippo, poiché vicino alla sua tomba i cavalli, durante le corse, s'impennavano. Si attribuiva ciò alla sua influenza occulta, oppure all'ombra di un alloro, che il caso aveva fatto crescere lì, e che, agitandosi, spaventava gli animali. Un altro Tarassippo è l'ombra di Mirtilo, l'auriga d'Enomao re di Pisa, che tradì il suo padrone al quale rimosse i chiodi di metallo dai mozzi delle ruote del cocchio sostituendoli con perni di cera. Così permise a Pelope di riportare la vittoria su Enomao che morì travolto dai suoi stessi cavalli. Secondo altri, Anfione diede a Pelope un talismano che egli seppellì presso il Tarassippo, di modo che la pariglia di Enomao s'impennò e sfasciò il cocchio. Ma tutti affermano concordi che Enomao, prima di morire, lanciò una maledizione contro Mirtilo, pregando gli dèi che lo facessero perire per mano di Pelope. Infatti, Mirtilo venne ucciso da Pelope, il quale lo fece precipitare in mare. L'anima di Mirtilo si aggira ancora nello stadio di Olimpia dove gli aurighi le offrono sacrifici con la speranza di evitare incidenti. La presenza di Tarassippo viene segnalata in varie località tra Tebe e Iolco e questo ci fa supporre che anche là si svolgessero gare mortali negli ippodromi.

Tarassippo 2

L'ombra di Glauco, detta Tarassippo, ossia terrore dei cavalli, si aggira ancora sull'istmo di Corinto, dove suo padre Sisifo gli insegnò l'arte di guidare il cocchio, e si diverte a spaventare i cavalli durante i Giochi Istmici, provocando così parecchi morti. Il mito di Glauco è più complicato: non soltanto egli è travolto dal cocchio, ma viene anche divorato dalle cavalle.

Tarchezio

Leggendario re di Alba, protagonista di un mito etrusco-italico. Un giorno apparve nella sua casa un misterioso demone del focolare domestico. Tarchezio chiese alla dea Teti il motivo di quella apparizione, e l'oracolo rispose che una giovane doveva unirsi al demone e che dalla loro unione sarebbe nato un bambino che avrebbe avuto una vita gloriosa. Il re andò a trovare una delle sue figlie e le ordinò di soddisfare le condizioni poste dalla dea. La giovane, per pudore, si fece sostituire da una serva. Quando lo seppe, Tarchezio, irritato, volle mettere a morte le due giovani, ma la dea Vesta gli apparve in sogno e lo dissuase dal progetto. Il re volle comunque punire le due colpevoli: le costrinse a realizzare al telaio un certo lavoro che, di notte, veniva disfatto da altre ancelle. Frattanto la serva, che si era unita al misterioso demone, diede alla luce due gemelli. Questi vennero esposti per ordine di Teti, ma, divenuti adulti, tolsero il trono a Tarchezio e lo uccisero.

Tarpea

Figlia di Spurio Tarpeo, custode della rocca capitolina quando, all'inizio del regno di Romolo, i Sabini guidati da re Tito Tazio sferrarono l'attacco. Molte sono le versioni che riguardano il suo mito. Secondo alcuni, invaghitasi del capo dei Sabini assedianti, Tito Tazio, o vinta dal desiderio di avere le armille d'oro che ornavano il braccio dei Sabini, Tarpea avrebbe aperto la porta della cittadella ai nemici, che appena entrati invece del premio promesso la soffocarono sotto gli scudi che portavano al braccio e poi la precipitarono dalla rupe. Ma secondo una versione diversa fu per altri scopi che Tarpea chiese gli scudi; sperava cioè che i Sabini, una volta entrati nella cittadella e sprovvisti della principale protezione, sarebbero stati facilmente uccisi dai Romani, ma il suo messaggero per queste trattative la tradì e passò nelle schiere nemiche. I Sabini venuti al corrente delle sue intenzioni, la uccisero. Non è perciò chiaro se si trattasse di una eroina o di una traditrice. Il primo nome della rocca capitolina fu rupe Tarpea e i traditori venivano gettati dalla rupe Tarpea, dal nome della prima presunta traditrice.
Altri narravano che Spurio Tarpeo avrebbe voluto consegnare il Campidoglio ai Sabini, e sarebbe stato condannato a morte insieme con la figlia da Romolo, e precipitato dal saxum Tarpeium. Secondo altri racconti Tarpea sarebbe stata sabina, figlia di Tito Tazio e rapita da Romolo. Il suo tradimento avrebbe costituito così la vendetta contro il rapitore. Ma questo non spiega perché i Sabini l'avrebbero messa poi a morte. La leggenda, che Livio narra come fabula, si volle spiegare con la contaminazione dell'esistenza della rupe donde si precipitavano i traditori, e di un culto reso non lungi dalla rupe stessa e dalla porta Pandana per la quale si entrava nella città. Tarpea, eponima del monte Tarpeo, fu una divinità al pari di Acca Larenzia, di Rea Silvia, considerate più tardi come figure mortali, come gli eroi greci, sebbene si prestasse loro culto.

Taras


Taras è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e della ninfa Satyria; sposò Satureia, figlia del re Minosse.
Moneta d'argento di Taranto raffigurante Taras
Taras raffigurato sopra uno striscione di tifosi del calcio

La sua figura è fortemente legata alla città di Taranto, in quanto, secondo la leggenda, Taras sarebbe il fondatore spirituale dell'antica colonia magnogreca: circa 2000 anni prima di Cristo, mentre sulle rive italiche dello Ionio Taras compiva sacrifici per onorare suo padre Poseidone, gli sarebbe apparso improvvisamente un delfino, segno che avrebbe interpretato di buon auspicio e di incoraggiamento per fondare una città da dedicare a sua madre Satyria o a sua moglie Satureia e che chiamò quindi Saturo, località tutt'ora esistente.
Secondo la tradizione, nell'VIII secolo a.C., in quello stesso luogo approdarono i coloni greci provenienti da Sparta e guidati da Falanto, i quali, sottratto il territorio agli Iapigi, fondarono più tardi la città di Taranto.

Taso

Eroe eponimo dell'isola di Taso, figlio di Agenore e di Telefassa (altrimenti detta Argiope), fratello di Cadmo, Fenice, Cilice, Fineo ed Europa.
Zeus, infiammato d'amore per la bellezza d'Europa, la rapì sulla spiaggia di Sidone, o di Tiro, e giunto su una spiaggia cretese, nei pressi di Gortino, la violentò in un boschetto di salici accanto a una fonte; o come altri dicono, sotto platani, che, in ricordo di tali amori, conservarono il privilegio di non perdere mai le loro foglie. Agenore mandò i suoi figli in cerca della sorella, con l'ordine severissimo di non tornare senza di lei. Subito essi alzarono le vele e si diressero in tre diverse direzioni. Taso e i suoi compagni, direttisi prima a Olimpia, dedicarono colà una statua di bronzo a Eracle tirio; poi colonizzarono l'isola di Taso e sfruttarono le sue ricche miniere d'oro. Tutto ciò accadde cinque generazioni prima che nascesse in Grecia Eracle, figlio di Anfitrione.

Taumante

Figlio di Ponto (il Mare) e della Madre Terra, fratello di Nereo, Forcide, Ceto ed Euribia. Si unì alla figlia d'Oceano, Elettra, e le diede alcune figlie: le Arpie e Iride. Nella tradizione omerica le Arpie erano simili ai venti di tempesta come indicano i loro nomi: Aello ("urlo"), Ocipe ("volo veloce"), Celeno ("oscurità") e Podarge ("piè veloce"). Esse agguantano i criminali perché siano puniti dalle Erinni, e vivono in ua grotta nell'isola di Creta. La dea Iride simboleggia l'arcobaleno, il tramite fra la Terra e il Cielo, fra gli uomini e gli dèi. E' incaricata, come Ermete, di portare messaggi, ordini o consigli degli dèi. E' più particolarmente al servizio di Zeus, e soprattutto di Era.

Tauro 1

Principe di Cnosso che guidò una spedizione di Elleni di Creta in Fenicia contro Tiro, durante l'assenza di Agenore e dei suoi figli. Si impadronì della città e si portò via molti prigionieri, tra i quali Europa, figlia di Agenore. Questo evento viene ancora ricordato nella 'infausta notte' che si celebra a Tiro. Tauro viene considerato il fondatore della città cretese di Gortino ed il padre di Minosse.

Tauro 2

Capo degli eserciti di Minosse e uomo crudele e arrogante. Egli vinceva sempre i giochi istituiti in onore del figlio morto di Minosse, Androgeo, portandosi via tutti i giovanetti e le fanciulle in palio. I giovani inviati da Atene, come tributo per la morte di Androgeo, non erano - si diceva - messi a morte da Minosse, ma proposti come premio ai giochi. Essi, secondo i Cretesi, venivano custoditi nel Labirinto in attesa dei giochi funebri. Tauro aveva violentemente maltrattato i giovani da lui conquistati e aveva tradito la fiducia di Minosse poiché, a quanto si diceva, egli ebbe una relazione adulterina con Pasifae, protetta dalla connivenza di Dedalo; uno dei gemelli nati da quella unione gli assomigliava come una goccia d'acqua. Minosse, dunque, concesse con piacere a Teseo il privilegio di combattere contro Tauro. Nell'antica Creta anche le donne assistevano ai giochi e Arianna, figlia di Minosse, s'innamorò di Teseo quando lo vide per ben tre volte piegare le spalle del suo avversario fino a terra. Anche Minosse fu molto soddisfatto dell'esito del combattimento, consegnò i premi a Teseo e lo accettò come genero, rinunciando per sempre ad imporre quel crudele tributo ad Atene. Proprio per vendicarsi di Tauro, Teseo avrebbe intrapreso la spedizione a Creta.

Tazio

Tito Tazio, re dei Sabini e, più particolarmente, della città di Curi, designato come capo dalla confederazione sabina, formò ben presto un esercito che guidò nella guerra contro i Romani, che avevano rapito le giovani sabine (ratto delle Sabine). Le truppe sabine attaccarono la città e, per il tradimento di Tarpea, custode della rocca capitolina, riuscirono anche a conquistare la cima occidentale del Campidoglio ed attaccarono i Romani in quella parte di pianura chiamata più tardi Foro Romano. I Sabini stavano per avere la meglio, quando Romolo si rivolse a Giove e lo implorò di ribaltare la situazione, dedicandogli in quel luogo un tempio con il titolo di Stator. Giove lo esaudì e i Romani non indietreggiarono più, fronteggiarono i nemici e la battaglia riprese più violenta, ma le donne sabine, su iniziativa d'Ersilia, si gettarono fra i due eserciti avversari implorando la pace. Romani e Sabini stipularono allora un trattato di alleanza, che univa i due popoli. Così Romolo e Tazio decisero di governare insieme, ambedue col titolo di re. La città avrebbe conservato il nome di Roma, dal nome del fondatore, ma i suoi cittadini avrebbero portato quello di Quiriti, in ricordo della patria di Tazio. Questi avrebbe abitato la cittadella del Campidoglio, Romolo il Palatino. Questo regno congiunto durò cinque anni. Durante un sacrificio che i due re offrivano a Lavinio, Tazio venne ucciso dai Laurentini, i quali, offesi gravemente dai suoi parenti, non avevano potuto ottenere che egli rendesse loro giustizia. Romolo riportò a Roma il suo cadavere, gli accordò grandi onori e lo fece seppellire sull'Aventino.
A Tito Tazio la tradizione attribuisce l'introduzione in Roma di una serie di culti legati in modo diretto o indiretto alla tutela della produzione agraria e, più in generale, alla fecondità e alla generazione.

Teano 1

Figlia del re di Tracia Cisseo e di Telecleia, sacerdotessa d'Atena a Troia. Aveva sposato il troiano Antenore, al quale diede vari figli: Ifidamante, Archeloco, Acamante, Glauco, Eurimaco, Elicaone e Polidamante. Prima dell'apertura delle ostilità, accolse nella sua casa Menelao e Odisseo, giunti in ambasciata per regolare amichevolmente le controversie. Così, durante il sacco della città, Odisseo vide Glauco, uno dei suoi figli, che fuggiva inseguito da un gruppo di soldati greci e accorse in suo aiuto e salvò anche il fratello Elicaone, che era stato gravemente ferito. Menelao appese una pelle di leopardo alla porta della casa di Teano, per indicare che non si doveva saccheggiarla. Teano, suo marito Antenore e i loro figli poterono andarsene liberamente, portando con sé i loro beni. Alcuni giorni dopo salparono su una delle navi di Menelao e si stabilirono dapprima a Cirene, poi in Tracia e infine a Enetica, sul mare Adriatico. Enetica fu così chiamata perché Antenore si mise alla testa di certi profughi giunti da Enete in Paflagonia e li guidò in una guerra vittoriosa contro gli Euganei nella pianura settentrionale dell'Italia. Il porto dove sbarcarono fu chiamato "Nuova Troia" e i suoi abitanti sono ora noti come Veneti. Si dice anche che Antenore abbia fondato la città di Padova.
Taluni dicono che, durante il sacco di Troia, Odisseo e Diomede uccisero le guardie del tempio di Atena addormentate e si impossessarono del Palladio che la sacerdotessa Teano, moglie di Antenore, consegnò loro senza difficoltà.

Teano 2

Moglie del re di Icaria, Metaponto, il quale aveva minacciato di ripudiarla se non gli avesse generato un figlio nel volgere di un anno. Durante l'assenza di Metaponto, per soddisfarlo, ella chiese l'aiuto di un mandriano che le portò due gemelli trovati sul monte Perlio; Teano li fece credere suoi. In seguito, poiché non era sterile come si credeva, ella partorì due gemelli; ma i due trovatelli, grazie alla loro origine divina, crescevano belli e forti, ed erano dunque i prediletti di Metaponto, che non aveva ragione di sospettare che essi non fossero figli suoi. Tormentata dalla gelosia, Teano attese l'occasione opportuna e, quando Metaponto si assentò nuovamente, ordinò ai propri figli di andare a caccia con i fratelli maggiori e di ucciderli simulando un incidente. Il malvagio disegno fallì, perché Poseidone venne in aiuto dei propri figli i quali uscirono vittoriosi dalla lotta. Eolo e Beoto (così si chiamavano i due trovalelli) riportarono dunque al palazzo i cadaveri dei due figli di Teano, e la madre, alla loro vista, si uccise trafiggendosi il petto con un coltello da caccia.
Eolo e Beoto si rifugiarono allora dal loro padre adottivo, il mandriano che li aveva salvati e allevati, e Poseidone stesso rivelò il segreto della loro nascita. Ordinò poi che essi accorressero in aiuto della madre, che ancora languiva nella tomba vuota, dove l'aveva rinchiusa il padre adottivo Desmonte. I gemelli ubbidirono senza esitare, liberarono la loro madre Arne e uccisero il crudele Desmonte; Poseidone ridonò la vista ad Arne e tutti e tre ritornarono a Icaria. Quando Metaponto seppe che Teano l'aveva ingannato, sposò Arne e adottò i figli di lei come suoi eredi.


Tebe
(mitologia)

Nella mitologia greca, Tebe è il nome di alcune eroine, sempre in collegamento con la città di Tebe.

La prima è una giovane, ritenuta comunemente figlia di Prometeo e di una ninfa. Un'altra Tebe, conosciuta sempre dai Beoti, era una fanciulla, figlia più giovane del dio fluviale Asopo e di Metope.

Un'altra Tebe è una discendente di Deucalione e figlia unica di Zeus e di Iodama. Suo padre stesso la fece sposare ad Ogigo.

La Tebe di Cilicia vanta un'altra eroina, figlia del pelasgo Andramide, eponimo d'Andramitto, la quale aveva promesso la propria mano a chiunque l'avesse superata nella corsa. Eracle vi riuscì e la sposò, fondando in ricordo di tale gara la città di Tebe, in Cilicia, e dando il nome della giovane. Secondo altri questa eroina era una figlia di Cilice, quindi appartenente alla stirpe di Cadmo.

Infine, Tebe era anche un personaggio della Tebe egizia: in questo caso era l'eponima di questa città ed era figlia del dio Nilo.

Tebeo


Nella mitologia greca, Tebeo era uno dei vecchi guerrieri di Troia, al tempo della famosa guerra, era il padre di Eniopeo .

Tebeo, forte ed esperto guerriero, quando Paride, figlio di Priamo re di Troia, decise di rapire Elena moglie di Menelao, e di conseguenza scoppiò la guerra fra la Grecia e il popolo troiano, era troppo vecchio per partecipare alle battaglie. Al suo posto combatté il figlio che trovò morte per mano di Diomede, abile nemico.

Tecmessa


Tecmessa è una figura della mitologia greca.

Viene citata nell'Iliade dove è descritta come la figlia di Teleutao, re di Frigia e alleato dei troiani. Gli Achei la fecero prigioniera durante un'incursione e la assegnarono, come schiava, ad Aiace Telamonio da cui ebbe un figlio, Eurisace.Quando Aiace si suicidò per lo smacco dovuto all'equivoca uccisione di una mandria di buoi,al posto dei capi greci,voluta dalla dea Atena,ella cercò inutilmente di farlo ragionare ma fu inutile.

Compare anche nell'Aiace di Sofocle.

Tegeate

Nella mitologia greca, Tegeate era il nome di uno dei figli di Licurgo, fu l'eponimo di Tegea, la florida provincia dell'Arcadia.

Sposo di Mera, la figlia di Atlante, ebbe numerosi figli ma i loro numero variavano a seconda delle fonti:

* Secondo i Tegeati ebbe: Leimone, Scefro, Cidone, Archedio, Gorti, Catreo
* Secondo i Cretesi ebbe: Leimone, Scefro, Archedio. Per quanto riguarda i rimanenti la popolazione attribuiva altre paternità (come ad esempio di Gorti figlio di Radamanto)

La sua sorte è forse legata a quella di suo padre, ucciso insieme alla sua progenie da Zeus come punizione per avergli offerto un bambino come pranzo

Di lui si racconta anche nell'occasione dell'affronto che suo figlio Leimone fece ad Apollo uccidendo, anche se per errore, il suo stesso fratello Scefro amico della divinità. In quell'occasione furono molti i suoi sacrifici cercando di calmare le due divinità (anche Artemide si infuriò con il suo regno). Il tutto terminò grazie ad un consiglio dell'oracolo di Delfì.

Edited by demon quaid - 2/1/2015, 15:14
 
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Tegeo

Nella mitologia greca, Tegeo era uno dei re di Psofide, padre di Arsinoe.

Alcmeone fuggendo andò a Psofide, qui il re Tegeo lo purificò e in seguito gli diede in sposa la propria figlia Arsinoe e a lei l'uomo regalò la collana e il mantello che aveva portato con se.

Le Erinni, che da tempo tormentavano Alcmeone non furono soddisfatte dalla purificazione e la terra di Psofide divenne presto arida.

L'uomo fuggì recandosi dal dio del fiume Acheloo dove sposò sua figlia Calliroe. Ma lei voleva il manto e la collana che tempo addietro regalò ad Arsinoe.

L'inganno


Alcmeone quindi tornò a Psofide e ingannò Tegeo che gli porse per liberarsi da una finta maledizione i due oggetti.

Un servo dell'uomo confidò la verità al re che ordinò ai suoi figli di tendergli un'imboscata e ucciderlo.

La ragazza, innamorata, vide tutto, a nulla servivano le parole di Tegeo che voleva spiegare l'accaduto, ma Arsinoe maledì suo padre e lui la prese, la chiuse in un cofano e la offri in dono come umile schiava al re di Nemea.

La vendetta di Calliroe


La donna infuriata per la morte dell'amato mandò i suoi figli, cresciuti magicamente in un giorno solo. I figli di Tegeo cercarono di discutere con la donna ma furono tutti uccisi, e in seguito i due giunsero ad uccidere anche Tegeo.

Telamone (mitologia)

Telamone è una figura della mitologia greca; era figlio di Eaco e di Endeide, figlia di Chirone. Telamone aveva un fratello, Peleo, che sposerà Teti e insieme alla quale darà alla luce Achille.

Telamone, accolto dal re di Salamina, ne diventerà re dopo la morte di costui. Sposò prima Peribea, una discendente di Pelope, e da cui ebbe un figlio, Aiace Telamonio, che prenderà parte alla caccia al cinghiale calidonio e alla guerra di Troia. Poi sposò Esione, figlia di Laomedonte, da cui ebbe un altro figlio, Teucro.

Telchi

Nella mitologia greca Telchi era, secondo Pausania, un mitico re della regione di Sicione, figlio di Erope e padre di Api.

Secondo la diversa tradizione argiva, riportata da Apollodoro, Api era invece figlio di Foroneo e regnava con crudeltà sul Peloponneso. Telchi, coadiuvato dall'eroe Telsione, lo uccise ponendo fine alla sua tirannide.

Telchini

I Telchini sono personaggi della mitologia greca, figli di Ponto e Talassa (o di Gea). Erano demoni che abitavano sull'isola di Rodi. Hanno una sorella, Alia, la quale si unì a Poseidone. Essi stessi hanno partecipato all'educazione del dio, con Cafira. In questa educazione hanno la stessa parte dei Cureti in quella di Zeus. Si attribuisce ai Telchini l'invenzione di un certo numero di arti, in particolare l'idea di scolpire le statue degli dei. Erano anche maghi, e avevano il potere di far cadere la pioggia, la neve e la grandine. Ma non desideravano rivelare le proprie capacità, mostrandosene assai gelosi. Un po' prima del Diluvio, ebbero il presentimento della catastrofe e lasciarono Rodi, la loro patria, per disperdersi nel mondo. Uno di loro, Lico, giunse in Licia (di cui probabilmente era eponimo), dove costruì, sulle rive di un fiume lì vicino, il tempio di Apollo Licio.

Aspetto

Erano rappresentati sotto forma di esseri anfibi, metà marini e metà terrestri. Avevano la parte inferiore del corpo a forma di pesce o di serpente, o i piedi palmati. Non erano ben visti dagli dei, di cui provocano spesso l'ira.

I 17 Telchini


Aktaios (Actaeus), Argyron, Atabyrius, Chalcon, Chryson, Hormenius, Lykos (Lycus ou Lyktos), Megalesius, Mylas, Nicon, Simon, Zenob, Skelmis, Damnameneus, Damon (Demonax), Megalesios, Ormenos.

Teledamo

Teledamo è il nome di due figure della mitologia greca:

1.
Un figlio attribuito all'unione di Ulisse e Calipso, la cui leggenda è identica a quella di Telegono.
2. Il nome di un figlio di Agamennone e Cassandra, gemello di Pelope; insieme al fratello, venne ucciso in tenerà età da Egisto, allorché quest'ultimo, usurpato il trono di Micene, volle sbarazzarsi di tutta la famiglia di Agamennone. Fu sepolto tra le rovine di Micene insieme al padre e al suo gemello.

Telefassa


Telefassa è un personaggio della mitologia greca noto anche come Argiope.

Era moglie di Agenore, re di Tiro, figlio di Poseidone, ebbe da lui numerosi figli, Europa, Cadmo, Fenice e Cilice. In alcuni casi è figlia del Nilo.

Dopo il rapimento di Europa da parte di Zeus e la trasformazione della stessa in una mucca, i fratelli si misero alla ricerca della fanciulla, diventando grazie alle loro imprese re di svariati popoli (tebani, cilici, fenici). Anche Telefassa partì, ma morì nella ricerca.

Telefo


Nella mitologia greca Telefo è figlio di Eracle e di Auge, figlia del re di Tegea, Aleo.

L'eroe è oggetto di culto nella città di Pergamo, in Misia, e le sue gesta sono raffigurate sul fregio dell'Altare di Pergamo.

Storia


Giunto a Tegea, in Arcadia, Eracle ebbe un rapporto amoroso con Auge, figlia del re della città Aleo, senza conoscerne però la reale identità. Da questa unione nacque un bambino, che fu nascosto segretamente da Auge nel recinto di Atena. Ma Aleo scoprì la maternità della figlia quando, in seguito a una pestilenza che stava devastando il regno, si recò al tempio per pregare la dea. Il bambino fu dunque preso ed esposto sul monte Partenio dove, per volere divino, fu allattato da una cerva. Auge invece fu affidata al re Nauplio per essere venduta in terre lontane. Quest’ultimo, giunto in Misia, ricevette un riscatto dal re Teutrante, che la prese con sé. Secondo un’altra versione Nauplio doveva affogare la fanciulla, ancora incinta, che però riuscì a fuggire e partorì il piccolo in un boschetto, nascondendolo poi in mezzo ai cespugli. La giovane però, ricatturata, venne venduta a un ammiraglio di Misia che la donò al re Teutrante. Il piccolo, allattato, come detto prima, da una cerva, fu ritrovato da alcuni pastori che lo consegnarono al proprio re, Corito, chiamando il piccolo Telefo, in onore della prima nutrice (il suo nome significa infatti “cerva”). Diventato adulto, volle avere notizie sulla madre e si recò a Delfi per chiederne informazioni. L’oracolo gli consigliò di recarsi in Misia dal re Teutrante. Giunto dunque in Misia con l’amico Partenope, vide come quella terra era minacciata dall’esercito del re Ida. Teutrante aveva promesso la mano di Auge a chi avesse sconfitto le schiere del rivale. Telefo affrontò dunque in duello Ida e lo uccise, ricevendo in premio Auge, senza sapere però chi fosse realmente. Ma la donna, riconoscendolo, non volle unirsi a lui e svelò al figlio la sua vera identità. Teutrante felice decise di adottarlo come suo erede e gli diede in moglie Astioche, figlia del re alleato Priamo, da cui ebbe in figlio Euripilo. Alla morte del re, Telefo divenne sovrano di Misia.

Lo scontro con i greci


Durante il suo regno i greci sbarcarono nella sua terra e, scambiandola per Troia, la invasero. Radunate le truppe, Telefo combatté energicamente, uccidendo Tersandro, nipote di Edipo. Affrontò in duello Achille e, rimasto avvinghiato in un tralcio di vite, fu ferito con un colpo di lancia alla coscia dal Pelide. La ferita di Telefo sembrava inguaribile e costrinse il re a recarsi di nuovo a Delfi per chiedere guarigione. L’oracolo rispose che solo chi l’aveva ferito avrebbe potuto risanarlo. Giunto dunque in Grecia, dove intanto erano tornati gli Achei, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio d’Agamennone, minacciando di ucciderlo se qualcuno non l’avesse guarito dalla ferita. Nessuno osò toccarlo perché Calcante, l’indovino, aveva profetizzato che solo l’Eraclide sarebbe riuscito a guidarli verso Troia. Guarito grazia alla ruggine della lancia di Achille, Telefo guidò i greci verso la spiaggia troiana, tornando in seguito in terra di Misia. Suo figlio parteciperò alla guerra, schierandosi dalla parte del nonno Priamo, e sarà ucciso da Neottolemo.

Telegono

Telegono è una figura della mitologia greca, figlio di Ulisse e di Circe. Mandato dalla madre alla ricerca di Odisseo, sbarcò ad Itaca, credendola Corcira, per compiervi una scorreria. Odisseo accorse per respingere l'attacco e Telegono, non riconoscendo il padre, lo uccise con una lancia la cui punta era costituita dall'aculeo di una razza e ferì anche Telemaco. Si avverò così la profezia di Tiresia, secondo la quale Odisseo sarebbe morto per mano di suo figlio. I due fratelli (Telemaco e Telegono) e Penelope portarono il corpo di Odisseo nell' isola di Circe dove lo seppellirono. In seguito Telegono sposò Penelope e Telemaco Circe.

Telemaco


Telemaco, (« che combatte lontano », con riferimento al padre) è un personaggio dell'Odissea. È il figlio di Ulisse e di Penelope.

Secondo una versione della leggenda nacque il giorno in cui Ulisse partì per la guerra di Troia e dovette attendere ben 20 anni prima di rivederlo; essendo stato accudito dalla madre non ottenne la mascolinità che viene con l'età adulta. Secondo un'altra versione Telemaco nacque prima della partenza del padre tanto che, quando arrivarono ad Itaca Menelao e Diomede per convincere Ulisse (figlio di Laerte) ad andare a Troia, si finse pazzo: i due eroi greci lo andarono a trovare nei campi dove stava arando e misero il piccolo Telemaco in fasce davanti ai buoi; Ulisse dovette così fermarsi per non uccidere il figlio, manifestando così però la propria sanità mentale.

I viaggi di Telemaco


Nei primi 4 libri dell'Odissea (la cosiddetta Telemachia) va alla ricerca del padre su consiglio di Atena, presso le corti di Menelao a Sparta e Nestore a Pilo, scoprendo che Ulisse si trovava nell'isola di Ogigia decise di tornare a Itaca. Ma lì lo aspetta Antinoo, capo dei Proci, che medita di ucciderlo.

L'incontro con Ulisse


Poi il padre tornò a Itaca con l' aiuto di Alcinoo, re dei Feaci, sotto le sembianze di vecchio mendicante e con l' aiuto di Eumeo e caccia dalla sua casa i Proci.

Durante il viaggio, Telemaco fu accompagnato da Atena, Dea della saggezza che aveva assunto la figura di aio o pedagogo con il nome di Mentore. Ancora oggi mentore è usato per indicare una guida saggia ed esperta.

Secondo Aristotele e Ditti Cretese, Telemaco sposò Nausicaa e ebbe un figlio chiamato Persepolis o Ptoliporthus. Invece secondo la Telegonia, Telemaco sposò Circe dopo la morte del padre.

Le tradizioni sulla sua morte variano a seconda degli autori; secondo una tradizione del tutto aberrante, Telemaco intraprese un viaggio via mare per raggiungere un luogo con i suoi compagni; mentre passava dalle coste della Campania incontrò le sirene, le ammaliatrici che invano avevano sedotto suo padre Ulisse molto tempo prima. Quando videro arrivare il figlio di colui che le aveva rifiutate, le fanciulle decisero di vendicarsi e s'avventarono furibonde sulla nave di Telemaco; sotto gli occhi sbalorditi dei compagni, lo uccisero e fecero scempio del suo cadavere, mutilandolo.

L'altra versione, ovvero quella che vuole Telemaco sposo di Circe, racconta diversamente la vicenda: quando la maga scoprì che il suo figliastro-marito si era appena macchiato del sangue di Cassifone, figlia sua e di Ulisse, si vendicò e cercò di ucciderlo. Saputolo, Telemaco respinse l'attacco di Circe e la uccise con un colpo di spada; ma pentitosi del gesto tracotante, decise di uccidersi e ciò fece gettandosi giù da un'altissima rupe.
Oppure fu la stessa Cassifone a uccidere il giovane, a causa della crudeltà che mostrò verso la madre Circe, uccidendola.

Telemaco nella letteratura e nell'arte

Nell'Ulisse di James Joyce il personaggio di Telemaco è reinterpretato nella figura di Stephen Dedalus.

Telemaco è anche il titolo di un melodramma su musiche di Christoph Willibald Gluck.

Telemanco é una opera di Francesco da Paola Grua rappresentata a Monaco di Baviera nell`anno 1780.

Nella Stagione del Carnevale del 1718, al Teatro Capranica di Roma, Alessandro Scarlatti presentò al pubblico romano il dramma per musica "Telemaco", su libretto di Carlo Sigismondo Capeci, dedicato al Conte di Gallas, Ambasciatore presso la Santa Sede dell'Imperatore d'Austria. Nel ruolo del protagonista, Telemaco, cantò Domenico Gizzi, Musico Soprano della Real Cappella di Napoli.

Temeno

Nella mitologia greca, Temeno era il nome di diversi personaggi di cui si racconta le vicende nel mito.

Sotto tale nome ritroviamo:

* Temeno, figlio di Aristomaco, faceva parte dei Eraclidi. Essi erano i figli e i discendenti di Eracle, Temeno partecipò alla guerra del Peloponneso. Una volta conquistato ebbe come ricompensa la città di Argo.
* Temeno, figlio di Pelasgo. Egli ebbe il compito di educare la divinità moglie di Zeus, Era. L’incontro a Samo, dove secondo il mito era nata. I due andarono in Arcadia dove decise di allevarla. Egli costruì tre templi in suo onore, celebrando una triplice visione della dea, bambina, moglie e vedova.
* Temeno, uno dei figli di Fegeo. Con l’aiuto di Assione uccise Alcmeone. Anche se nei miti più famosi i loro nomi erano diversi.

Temeno (Aristomaco)

Nella mitologia greca, Temeno era il nome di uno dei figli di Aristomaco, discendente di Eracle e per questo uno degli Eraclidi.

Temeno insieme ai suoi fratelli Cresfonte e Aristodemo riuscì a conquistare il Peloponneso, obiettivo degli discendenti di Eracle, dopo innumerevoli peripezie. Quando tutto fu tranquillo ottenne come ricompensa tramite sorteggio Argo, ma prima con l’aiuto di Ergilo, riuscì a rapire il Palladio posto a difesa della città.

Diede sua figlia Irneto ad un altro Eraclide, chiamato Deifonte, i suoi figli si preoccuparono di tal gesto e decisero di ucciderlo ma Temeno riuscì a nominare erede proprio Deifonte, prima della morte.

Temi

Mitica figlia di Urano e di Gea, sorella delle Titanidi, era nel pantheon greco la dea della Legge. Fu la seconda sposa di Zeus, dopo Meti, e con lui generò le tre Ore: Eunomia, Diche e Irene; le tre Moire (le Parche), Cloto, Lachesi e Atropo; la Vergine Astrea, personificazione della Giustizia. Suo primo consorte fu il titano Giapeto con cui generò Prometeo. Impartì al figlio molta della sua saggezza, poiché era in grado di conoscere il futuro e gli svelò segreti sconosciuti anche allo stesso Zeus, ad esempio che il figlio nato da Teti fosse destinato ad essere più potente del padre. Fu grazie alla conoscenza di questo segreto che Prometeo venne infine liberato da Zeus. Apparve in persona a Deucalione e Pirra, sbarcati sani e salvi dopo il diluvio, e suggerì loro di gettarsi alle spalle le ossa della Madre Terra per ripopolare la terra: le pietre gettate da Deucalione si trasformarono in uomini e quelle gettate da Pirra in donne. Così rinacque il genere umano. Avvertì Atlante che un figlio di Zeus un giorno avrebbe sottratto i pomi d'oro delle Esperidi. E fu per questa ragione che più tardi Atlante rifiutò di rispondere alla richiesta d'aiuto di Perseo. Taluni dicono che la Madre Terra cedette l'oracolo delfico a Temi; e che costei lo cedette a sua sorella Febe, o ad Apollo ritornato da Tempe. Ma altri sostengono che Apollo si impadronì con la forza dell'oracolo della Madre Terra dopo aver ucciso Pitone, e che i suoi sacerdoti iperborei Pagaso e Aguieo stabilirono a Delfi il suo culto. Si attribuisce a Zeus e Temi la prima idea della guerra di Troia, ma la decisione era già stata presa quando Eris gettò la mela d'oro con la scritta "Alla più bella" sul tavolo del banchetto alle nozze tra Peleo e Teti. Fra le divinità della prima generazione, Temi è una delle poche che si sia associata agli Olimpi e condivida con essi la vita sull'Olimpo. Talvolta Temi viene confusa con Nemesi. Presiedeva tribunali e assemblee e veniva invocata in caso di patti e alleanze.

Temisto

Figlia d'Ipseo. Atamante, re di Tebe, convinto che sua moglie Ino, uscita per una battuta di caccia, fosse stata divorata dalle bestie feroci, sposò Temisto dalla quale ebbe quattro figli: Leucone, Eritrio, Scheneo e Ptoo. Tempo dopo, Atamante seppe che Ino era ancora viva. Subito ordinò che fosse condotta a palazzo, la installò nella camera dei bambini e disse a Temisto che la donna era una prigioniera catturata durante una scorreria sul monte Citerone e che sarebbe stata un'ottima nutrice. Temisto visitò la camera dei bambini e, fingendo di non sapere chi Ino fosse in realtà, disse alla nuova nutrice: "Ti prego, prepara vesti di lana bianca per i miei due figli, e vesti di lana nera per i due figli della sventurata Ino. Dovranno indossarle domani". Ino, che aveva indovinato il disegno di Temisto, fece indossare le vesti bianche ai propri figli e le vesti nere ai figli della rivale. Così, quando il giorno seguente Temisto ordinò alle guardie di irrompere nella camera dei regali fanciulli e di uccidere i due gemelli che indossavano vesti nere, risparmiando gli altri due, i gemelli di Temisto furono uccisi. All'udire quella notizia, Temisto, per la disperazione, si suicidò e Atamante impazzì: colpì Learco con una freccia scambiandolo per un cervo, mentre Ino fuggì con Melicerte, si gettò in mare e divenne immortale.

Tenete


Figlio di Cicno, re di Colono, nella Troade, e di Procleia.

La matrigna Filonome, che si era invaghita di lui, fu dal giovane respinta. Allora Filonome lo calunniò presso il padre e portò come testimone il flautista Eumolpo. Cicno le credette e ordinò di gettare in mare Tenete. Salvato da Poseidone, del quale era nipote, Tenete approdò nell'isola di Leucofri, di cui divenne re e che da lui prese il nome di Tenedo. Ostile ai Greci, cercò di impedire il loro sbarco, ma venne ucciso da Achille.

Quando Cicno si accorse della calunnia fece seppellire viva Filonome e lapidare il flautista.

Teodamante

Re dei Driopi e padre di Ila, amante diletto di Eracle. Mentre arava un campo con un aratro tirato dai buoi, Eracle che era affamato, e inoltre in cerca di un pretesto per fare guerra ai Driopi che, come ognuno sa, non avevano alcun diritto di occupare quella regione, chiese che gli fosse consegnato uno dei buoi. Al suo rifiuto, l'eroe infuriato lo uccise. Dopo aver scannato il bue e banchettato con i suoi alleati, Eracle rapì il figlioletto di Teodamante, Ila, di cui era madre la Ninfa Menodice, figlia d'Orione. Altri invece dicono che il padre di Ila fu Ceice o Eufemo o Teomene; e affermano che Teodamante era il contadino rodio che maledì da lontano Eracle quando questi sacrificò uno dei suoi buoi.

Teoclimeno
(Proteo)

Teoclimeno, figlio di Proteo e Psamate (da non confondersi con l'indovino Teoclimeno, che appare nell'Odissea), nell'Elena di Euripide succede al padre al trono d'Egitto.

Diventato re, Teoclimeno comincia ad insidiare Elena, che è stata lì nascosta dal dio Ermes per sfuggire alla guerra di Troia. La donna però non si concede e con l'inganno riesce a scappare dall'Egitto insieme al marito Menelao. Scoperto l'inganno, Teoclimeno vorrebbe uccidere la propria sorella Teonoe, che si è resa complice della fuga, ma l'intervento dei Dioscuri placa la sua ira.

Teofane

Figlia di Bisalte re di Tracia, era una fanciulla bellissima. Poseidone si innamorò di lei e per sottrarla ai numerosi pretendenti la portò sull'isola di Crumissa. I pretendenti li inseguirono e scoprirono il nascondiglio, allora Poseidone trasformò Teofane e gli isolani in pecore e quando i pretendenti cominciarono a mangiarle li trasformò a loro volta in lupi. Egli divenne un ariete e accoppiatosi con Teofane generò un ariete con un Vello d'oro. L'ariete crescendo mostrò d'essere in grado di parlare e di volare e Nefele lo mandò a salvare Frisso ed Elle dalle angherie di Ino. Il vello fu lo stesso che venne più tardi rubato da Giasone e dagli Argonauti in Colchide.

Teonoe
(Proteo)

Teonoe è una sacerdotessa egiziana, figlia di Proteo e Psamate, da non confondersi con un'altra Teonoe, figlia di Testore e sorella dell'indovino Calcante.

Nell'Elena di Euripide, Teonoe aiuta Elena a fuggire dall'Egitto insieme al marito Menelao. Elena era infatti insidiata da Teoclimeno, fratello di Teonoe e sovrano d'Egitto, ma la sacerdotessa non rivela al fratello la presenza in Egitto del marito della donna, né il loro proposito di fuggire. Scoperto l'inganno, il re vorrebbe uccidere la propria sorella, ma l'intervento dei Dioscuri placa la sua ira.

Il suo nome di battesimo era Eido, ma avendo ricevuto in eredità dal nonno Nereo il dono della profezia, aveva in seguito assunto il nome di Teonoe.

Teonoe 2

Figlia di Testore, sorella di Calcante, l'indovino, e di Leucippe. Un giorno Teonoe stava passeggiando lungo la spiaggia nei pressi di Troia, allorché fu rapita dai pirati e venduta al re di Caria, Icaro. Testore partì subito all'inseguimento dei pirati, ma naufragò per caso sulle coste della Caria. Arrestato, e condotto dal re, entrò come schiavo al servizio della casa regale. Molti anni dopo Leucippe, che era ancora in fasce quando questi tristi eventi si verificarono, andò a Delfi per avere notizie di suo padre e di sua sorella. La Pizia le consigliò di travestirsi da sacerdote di Apollo e di recarsi in Caria per cercarli. Si rase i capelli e si travestì da sacerdote. Giunse anch'ella in Caria, alla corte di re Icaro. Teonoe la vide, non la riconobbe, ma, scambiandola per un uomo, se ne innamorò e ordinò a una delle guardie di condurlo nella sua camera. Leucippe, che a sua volta non aveva riconosciuto Teonoe e temeva di venire condannata a morte per impostura, la respinse. Irritata, Teonoe la fece arrestare e gettare in prigione, poi incaricò uno dei suoi schiavi di ucciderla. La sorte cadde sullo schiavo Testore, che nessuno aveva riconosciuto. Questi entrò nella prigione dov' era Leucippe, non la riconobbe neppure lui, e con voce angosciata narrò la sua storia. "Non ti ucciderò, signore", disse, "perché anch'io onoro il dio Apollo e preferisco uccidere me stesso anziché alzare la mano su di te. Ma lascia che ti riveli il mio nome. Io sono Testore". E stava per affondare la lama della spada nel proprio petto allorché Leucippe lo fermò gridando: "Padre! Padre mio! Io sono Leucippe, la tua figliola!" Si affrettarono allora verso la camera di Teonoe. Varcando la soglia con Testore che la seguiva dappresso, Leucippe le gridò: "Preparati a morire per mano di mio padre, Testore!" Fu allora che Teonoe riconobbe suo padre ed esclamò: "Padre, padre mio!" Quando tutti e tre ebbero versato lacrime di gioia e innalzato ringraziamenti ad Apollo, re Icaro generosamente li rimandò in patria, colmi di doni.

Tereo

Tereo è una figura della mitologia greca, re di Tracia, figlio di Ares e fratello di Driante.

Esistono varie versioni del mito di Tereo, a seconda della fonte cui si attinge.

Apollodoro

Ovidio, nelle sue Metamorfosi, fornisce una versione splendidamente narrata di questo mito. Qui se ne riporta un riassunto. Atene, assediata da non meglio specificati barbari, è stata liberata con l’aiuto di Tereo; in segno di riconoscenza, Pandione gli concede in sposa Procne, in un matrimonio in cui però a officiare non sono Giunone o Imeneo, ma le Eumenidi. Tereo e la moglie tornano dunque in Tracia, dove nasce il loro figlio Iti.

Passano cinque anni felici, finché Procne prega Tereo di andare a Atene, a chiedere al vecchio Pandione di lasciare venire in Tracia Filomela, sua sorella, di cui sente grande mancanza. Tereo fa come chiede la moglie, ma appena vede Filomela ad Atene viene preso da una sconfinata passione per lei. Pandione non si accorge di nulla e permette a Filomela di lasciare Atene, sotto la promessa di un rapido ritorno, sebbene abbia dei presagi.

I presagi sono ben motivati: appena sbarcati, Tereo porta in una stalla Filomela e la violenta. In preda alla disperazione, Filomela lamenta la sua condizione di anima ferita e colpevole contro la propria volontà, assicurando che rivelerà quanto è avvenuto agli uomini, ai monti, agli dèi. Tereo, preso da rabbia e paura, le mozza dunque la lingua con spada e tenaglia. Dopodiché si reca nuovamente da Procne, con la falsa notizia della morte di Filomela. Passa un anno e Filomela finalmente riesce ad ingegnarsi di scrivere su una tela la denuncia di quanto ha subito e a farla portare da una serva a Procne.

Procne, scoperto il tutto, sfrutta la notte seguente, quella in cui la Tracia celebra i baccanali, per liberare la sorella. Quindi, in cerca di vendetta, uccide Iti, cucinandolo per Tereo. Dopo che questi ha mangiato, ignaro di tutto, la carne di suo figlio, Filomela salta fuori sozza di sangue e gli tira in faccia la testa recisa di Iti. Tereo si getta dunque dietro di loro, ma tutti e tre si trovano mutati in uccelli: Tereo in upupa, Filomela in usignolo, Procne in rondine.

Il mito raccolto da Graves

Nella grande raccolta ed elaborazione di miti di Robert Graves, I miti greci, è compresa anche una ricostruzione del mito di Tereo, come esso risulti riprendendo numerose fonti: Apollodoro, Tucidide, Nonno di Panopoli, Strabone, Pausania, Igino, i frammenti del Tereo sofocleo, il Commento di Eustazio a Omero, Ovidio. Tereo, in questa versione, è il re dei Traci stanziatisi a Daulide. A causa dell’aiuto che Tereo ha prestato ad Atene nel ruolo di arbitro in una disputa territoriale, Pandione gli dà in sposa Procne, da cui ha il figlio Iti. Tereo però si innamora di Filomela a causa della sua voce e, nel giro di un anno, nasconde la moglie rinchiudendola e torna ad Atene con la falsa notizia della sua morte. Pandione allora gli offre pietosamente Filomela come sposa e la fa accompagnare a Daulide da guardie del corpo. Tereo però le uccide prima di essere giunto e costringe la ragazza ad unirsi a lui prima del matrimonio. Procne, pur essendo a conoscenza di tutto, non dovrebbe poter fare nulla, poiché Tereo le strappa la lingua e la rinchiude fra gli schiavi; ma si mette in contatto con sua sorella attraverso il peplo nuziale, su cui scrive: «Procne è fra gli schiavi». Nel frattempo, Tereo, avvisato da un oracolo che un suo congiunto ucciderà Iti, crede di porre fine alla minaccia uccidendo il fratello Driante. Nello stesso tempo, Filomela legge il messaggio sul peplo e libera Procne, che consuma la sua vendetta uccidendo Iti e cucinandolo, per poi servirlo a Tereo. Tereo, dopo aver mangiato e scoperto cosa è avvenuto, sta per uccidere le due donne con l’ascia, ma gli dèi tramutano tutti e tre in uccelli: Filomela diviene usignolo, Procne rondine, Tereo upupa. Si aggiunge una spiegazione alla scelta degli uccelli: la rondine non ha lingua e vola in tondo, come Procne camminava in tondo, prigioniera; l’usignolo canta tristemente «Ἵτυ, Ἴτυ!», che vuol dire: «Iti, Iti!», lamentando la morte che ha involontariamente procurato al bambino; l’upupa grida: «Ποῦ, pou?», che significa «Dove, dove?», mentre dà la caccia alla rondine. Graves ricorda anche la versione di Igino, che vuole Tereo mutato in sparviero.

Filomela e Procne mostrano il capo di Iti a Tereo. Incisione di Antonio Tempesta per una edizione del XVI secolo del libro VI delle Metamorfosi di Ovidio.

Nel commento all’episodio contenuto nell’edizione della Biblioteca di Apollodoro edita dalla Fondazione Lorenzo Valla, l’attenzione è posta soprattutto sull’opposizione fra le nozze endogamiche di Pandione, che si unisce, secondo un costume attico, alla sorella di propria madre, e quelle iper-esogamiche di Procne e Filomela, che sposano un personaggio non solo totalmente estraneo alla propria comunità, ma anche alieno alla civiltà greca: Tereo è un Trace, quindi barbaro e del popolo più feroce fra quelli barbari ed è, per di più, un figlio di Ares. Il matrimonio «trasgressivo» con Tereo porta dunque in realtà ad una distruzione delle consuetudini greche e di tutti i legami familiari, in un crescendo di orrori che ha conclusione nel banchetto tecnofago e nell’ornitificazione (mutamento in uccelli) simbolo della definitiva caduta nella bestialità di tutti e tre i protagonisti della vicenda. A questo riguardo, Sofocle dichiara con molta chiarezza:
« Lui, è un folle! Ma esse hanno agito anche più follemente, punendolo per mezzo della violenza. Poiché qualsiasi mortale che sia infuriato per i propri torti e usi un farmaco peggiore del male è un medico che non comprende la malattia. »

La possibile bigamia di Tereo (in base alla lezione del testo di Apollodoro che si sceglie) rafforzerebbe ulteriormente la distinzione fra costumi barbari e greci; in Sofocle, la sposa lamenta la perdita del nome di greca. Dal canto loro, Procne e Filomela, offrendo in pasto a Tereo suo figlio, non si limitano a punirlo ferocemente, ma sanciscono la sua esclusione definitiva non tanto dal mondo civile, quanto dalla stessa comunità umana; si può notare come questa punizione presente anche nel mito di Atreo e Tieste sia legata a colpe di carattere sessuale (Tieste seduce Erope, moglie del fratello).

Robert Graves commenta la vicenda guardandola da una luce del tutto diversa. In essa, infatti, vede la spiegazione data dai Focesi a una serie di affreschi tracio-pelasgici che avrebbero ritrovato in Daulide e che in realtà avrebbero rappresentato diversi metodi oracolari. Dunque, secondo Graves, la mutilazione di Procne deriva da una scena in cui dalla bocca di una profetessa, il cui volto è stravolto dall’estasi, cade una foglia di alloro; il messaggio scritto sul peplo dalla rappresentazione di una sacerdotessa che, gettati dei bastoncini su un tessuto, cerca di trovare in essi delle lettere da leggere; la tecnofagia di Tereo, da quella di un sacrificio di un fanciullo; l’oracolo, da quella di un re che dorme in attesa di un sogno rivelatore; la morte di Driante, da quella in cui un sacerdote traeva auspici davanti ad una quercia sulla base della posizione del corpo dell’uomo sacrificato. Infine, la scena di metamorfosi deriva dall’immagine di una sacerdotessa vestita di piume che trae auspici dal volo di una rondine. Inoltre, Graves avanza un’ipotesi legata al fatto che, fra tutti gli antichi mitografi, solo Igino faccia di Procne una rondine e di Filomela un usignolo. Ritiene la versione di Igino quella corretta e interpreta quelle di altri autori come maldestro tentativo di correggere un errore fatto da qualche antico poeta.

Edited by demon quaid - 7/12/2014, 15:10
 
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Vampiro di dracula

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Termero

Termero era nella mitologia greca un pirata lelego o, secondo Plutarco, [1] un brigante che compiva scorrerie in Asia minore. Aveva l'abitudine di sfidare i suoi prigionieri in una gara di testate, da cui l'antico modo di dire greco una perfidia da Termero; si scontrò con Eracle, che lo uccise con un poderoso colpo di testa. Eracle restituì poi il corpo di Termero ai compagni che fondarono in suo onore la città caria di Termera.

Termine

Dio romano dei confini, proteggeva le pietre e gli altri segni che separavano le proprietà agresti, nonché i limiti dello Stato. La sua introduzione nella religione romana è attribuita al sabino Tito Tazio, come la maggior parte delle divinità agresti. Secondo la leggenda, un tempio dedicato a Termine era stato abolito in occasione dell'erezione del santuario di Giove Capitolino, ma il culto era rimasto come secondario anche nelle nuova costruzione. In suo onore si celebravano, il 22 febbraio, le feste Terminalia, private e pubbliche: queste ultime nel luogo dove la tradizione collocava il più antico confine di Roma, sulla via Laurentina.

Tero

Nella mitologia greca, Tero era il nome della figlie di Filante il figlio di Antioco e di Leipefilene.

Aveva un fratello chiamato Ippote. Particolarità della ragazza era la importante discendenza che aveva grazie alle due famiglie: Ificle da parte della madre, Eracle da parte del padre. In seguito viene sedotta da Apollo e dall'unione nasce un figlio, Cherone, che diventerà un famoso domatore di cavalli.

Tersandro 1

Figlio di Sisifo e di Merope. Egli ebbe due figli, Aliarto e Corono. Questi ebbero dal loro prozio, Atamante, che aveva perduto tutti i suoi figli, il regno di Orcomeno. Ma, più tardi, quando uno dei figli di Frisso, Presbone, ritornò dalla Colchide a reclamare il regno del nonno paterno Atamante, Aliarto e Corono glielo consegnarono e fondarono le due città beote d'Aliarto e Coronea.

Tersandro 2

Tersandro è un personaggio della mitologia greca. Re di Tebe, era il figlio di Polinice e di Argia.

Crebbe in esilio ad Argo. Divenuto adulto radunò i figli dei generali argivi caduti sotto le mura di Tebe (sette contro Tebe) e insieme a questi architettò una vendetta contro l'odiata città. Ebbe così luogo lo scontro conosciuto come guerra degli Epigoni. Convinse Alcmeone, figlio dell'indovino Anfiarao (uno dei sette comandanti argivi), dopo aver scoperto il suo nascondiglio, grazie all'aiuto della madre di quest'ultimo, Erifile. Dopo diversi giorni di assedio, i tebani, guidati dall'ormai centenario Tiresia, si arresero e nominarono Tersandro loro re. Sposò Demonassa, figlia di Anfiarao, da cui ebbe Tisameno. Prese parte alla prima spedizione contro Troia, sfociata nello sfortunato sbarco in Misia dove venne ucciso da Telefo, figlio di Eracle. Secondo altri invece giunse a Troia e fu tra i guerrieri che si nascosero nel cavallo di legno.

Tersicore

Una delle nove Muse, figlia di Zeus e di Mnemosine. Presiedeva alla danza, alla musica e ai cori. Viene rappresentata come una giovane donna vivace, e festevole coronata di ghirlande, tenendo in mano la lira o altri strumenti, al suono dei quali regola i suoi passi secondo le cadenze musicali.

Tersiloco

Nella mitologia greca, Tersiloco è il nome di tre personaggi, tutti legati al contesto della guerra di Troia.

* Tersiloco, un guerriero proveniente dall'antica regione della Peonia, come alleato dei Troiani. Nominato nell'Iliade, venne ucciso da Achille (libro XXI). Nel canto VI dell'Eneide, Enea, disceso vivo nell'Ade con l'aiuto della Sibilla, vede l'anima di Tersiloco, che gli si fa incontro.
* Tersiloco, combattente dalla parte dei Troiani, figlio di Antenore e Teano.
* Tersiloco, guerriero troiano e compagno di Enea nelle sue peregrinazioni. Viene ucciso da Turno nella guerra tra Troiani e Italici.

Tersite

Tersite è un personaggio dell'Iliade di Omero, famoso per la sua bruttezza e la sua codardia, che ha ripreso una figura già esistente nella mitologia greca. Tersite è l'esempio dell'anti-eroe, il contrario del classico eroe bello e forte.

Usurpatore di troni

Dopo la morte di Tideo, durante lo scontro dei Sette contro Tebe, suo padre Oineo dovette reggere il trono di Calidonia senza l’aiuto del figlio. Argia, fratello di Oineo, decise di cospirare contro di lui affiancato dal primogenito Tersite e dagli altri figli. Insieme riuscirono a spodestare Oineo e a dominare sulla Calidonia. Diomede, nipote del re usurpato, tornato dalla guerra degli Epigoni, decise di rivendicare il trono del nonno, affrontando Argia e i suoi figli. Tersite e suo fratello Onchesto, riuscirono a fuggire, mentre gli altri, fra cui lo stesso Argia, morirono nello scontro. Diomede mise dunque sul trono calidone Andremone, perché Oineo era troppo vecchio per continuare a regnare. L’eroe partì infine col nonno verso Argo ma in Arcadia, Tersite e Onchesto tesero un agguato contro i due, uccidendo Oineo.

Il peggiore sotto le mura di Troia


Partì poi per la guerra di Troia. Omero lo descrive come il peggiore fra i guerrieri achei giunti lì: gobbo, zoppo, dalle gambe arcuate, dalla testa ovale. Era un incallito giocatore di dadi, giocava spesso contro Palamede, prima che questi venisse ucciso con inganno da Ulisse. Era un abile oratore, benché non fosse in grado di distribuire bene le parole. Non aveva paura né di Achille né di Agamennone. Quando quest’ultimo volle mettere alla prova i suoi uomini, inventando la storia secondo la quale ormai si erano perse le speranze di conquistare Troia, Tersite fu il primo a incitare i compagni ad andar via, venendo però ferocemente interdetto da Ulisse (Odisseo) che, con un colpo di scettro, lo fece zittire. Di fronte a quelle percosse nemmeno uno come Tersite riuscì più a ribattere.

L’ultima burla di Tersite


Dopo la morte di Ettore, nuovi alleati giunsero a Troia. Fra questi vi era anche la regina delle Amazzoni, Pentesilea, che abile nei combattimenti spedì nell’Oltretomba molti greci. Duellò con Achille e da questi fu uccisa. Quando però il Pelide, spogliandola delle armi, la vide in tutta la sua bellezza, sentì rimorso per aver ucciso una fanciulla così leggiadra. Tersite, osservando la scena cominciò a deridere l’eroe che, in preda al furore, gli saltò addosso e con un pugno lo uccise, lasciandolo sanguinante per terra morente.

La rivalutazione della figura di Tersite

Un critico attento alle esigenze degli umili, come Concetto Marchesi, ha in epoca moderna fornito una lettura diversa della figura di Tersite, come rivendicatore dei diritti della massa dei soldati che vedevano la guerra condotta solo negli interessi degli aristocratici. Sulla sua scia molti pensatori hanno scritto in difesa di Tersite.

La figura di Tersite come antieroe sociale

Tersite è definito antieroe perché è tutto il contrario del modello dei greci,cioè era goffo e brutto, anche se ha una funzione simbolica perché rappresenta l'umanità delle persone e non solo degli eroi. Omero intende dare a Tersite la figura sociale dell'antieroe. Egli ha tutte le caratteristiche per esserlo: non rispetta la gerarchia imposta dalla tradizione, non si attiene al codice d'onore degli eroi e delle persone valorose, non è di bell'aspetto (si ricordi che la bellezza, nella Grecia antica, è sinonimo di virtù interiore, e viceversa), al contrario degli eroi, che nell'Iliade erano "καλοι και αγαθοι", cioè "belli e buoni" in senso letterale e, in senso figurato, "splendidi per fattezze e armonia del corpo".

Teseo

Teseo nella mitologia greca era un leggendario re di Atene, figlio di Etra ed Egeo, o di Poseidone, con cui Etra una notte aveva giaciuto.

Teseo fu un eroe - fondatore, come Perseo, Cadmo o Eracle che si batterono tutti, risultandone vincitori, contro avversari che allegoricamente rappresentavano antiche religioni ed istituzioni sociali[senza fonte]. Come Eracle fu l’eroe dei Dori, Teseo fu l’eroe fondatore degli Ioni e venne considerato dagli Ateniesi come il loro grande riformatore, padre della patria e della democrazia in Occidente.

Il suo nome condivide la radice con la parola "thesmos", il termine greco che sta per istituzione. Fu l’artefice del sinecismo (synoikismos, abitare insieme) - l'unificazione politica dell'Attica rappresentata dai suoi viaggi e dalle sue fatiche – sotto la guida di Atene. Una volta riconosciuto come re unificatore, Teseo fece costruire sull'Acropoli un palazzo simile a quello di Micene. Pausania narra che, in seguito al synoikismos, Teseo istituì il culto di Afrodite Pandemos (Afrodite di tutto il popolo) e di Peito, che si celebrava sul lato meridionale dell’Acropoli. Diverse feste ateniesi erano legate a Teseo: le Panatenee, le Oscoforie, le Tesee, le Ecalèsie, le Metagìtnie, le Sinècie.

Nella sua opera Le rane, Aristofane lo indica come l’inventore di molte delle più note tradizioni ateniesi. Se la teoria che sostiene l’antica presenza di un domino minoico sull’area Egea è corretta, allora la figura di Teseo potrebbe essere stata ispirata dalle vicende relative alla liberazione da questa presenza straniera, piuttosto che da un singolo condottiero realmente esistito.

La leggenda di Teseo [modifica]

Egeo, uno degli antichi re di Atene, scelse come moglie Etra figlia di Pitteo re di Trezene, una piccola cittadina che si trova a sud-ovest di Atene, e lì furono celebrate le nozze. La loro prima notte di nozze, Etra camminò sulle acque del mare e raggiunse l’isola Sferia, dove giacque con Poseidone, il dio del mare e dei terremoti. Il fatto di essere frutto di quest’unione mista, diede a Teseo una combinazione di caratteristiche sia divine che mortali. Secondo un’altra versione leggenda, Teseo è figlio di Egeo e Etra stessa. Il re, ubriacato dal padre di Etra, si unì con la donna sull'isola di Samo, in Asia Minore. Questa versione del mito sembra testimoniare l’origine orientale dell’eroe e dei riti a lui dedicati (le Tesee). Dopo che Etra rimase incinta, Egeo decise di tornare ad Atene ma, prima di partire, seppellì un suo sandalo e la sua spada sotto un’enorme roccia dicendole che, quando loro figlio fosse cresciuto, avrebbe dovuto spostare la roccia con le sue forze e prendersi le armi per dimostrare la sua discendenza reale. Ad Atene Egeo si unì a Medea, che era fuggita da Corinto dopo aver ucciso i figli che aveva avuto da Giasone: ad Atene la sacerdotessa ed il re rappresentavano quindi il potere ed il vecchio ordinamento sociale.

Teseo crebbe così nel paese materno. Una volta cresciuto e diventato un giovane forte e coraggioso, spostò la roccia e recuperò le armi del padre. Etra allora gli disse la verità sull’identità di suo padre, e gli spiegò che avrebbe dovuto riportare le armi a corte e reclamare i suoi diritti di nascita. Per recarsi ad Atene, Teseo poteva scegliere tra due opzioni: via mare (il modo più sicuro) o via terra lungo un pericoloso sentiero che costeggiava il golfo Saronico. Su questa strada si apriva una serie di sei entrate al mondo dei morti, ciascuna delle quali era sorvegliata da un demone ctonio che aveva assunto la forma di un ladro o di un bandito. Teseo, giovane coraggioso ed ambizioso, decise di seguire questa via .

Presso la città di Epidauro, sacra ad Apollo ed Esculapio, Teseo affrontò il bandito Perifete che era solito uccidere i viandanti con una grossa clava ricoperta di bronzo. Teseo riuscì a strappare la clava dalle mani di Perirete e la usò per colpirlo a morte. Decise poi di tenersi la clava, arma che lo caratterizza quando viene ritratto nelle decorazioni su vaso.

All’imboccatura dell’istmo di Corinto viveva un ladrone di nome Sini che legava i piedi delle sue vittime alle cime di due alberi di pino che aveva piegato fino a terra e fissato. Lasciava quindi tornare gli alberi alla loro posizione originale e i poveretti finivano squartati. Teseo lo sconfisse e sottopose lui stesso al suo trattamento prediletto. Quindi ne stuprò la figlia Perigune, generando così Melanippo.

Appena a nord dell’istmo, in un paese chiamato Crommione, uccise un enorme e feroce maiale, la scrofa di Crommione che secondo altre versioni della leggenda si chiamava Fea. Un’altra versione ancora dice che non si trattava di un animale, ma di una brigantessa chiamata scrofa a causa delle sue pessime abitudini.

Vicino a Megara un vecchio brigante di nome Scirone costringeva i viaggiatori a lavargli i piedi su una scogliera. Mentre erano chinati con un calcio li buttava giù dalla scogliera, dove venivano immediatamente divorati da un mostro marino (secondo alcune versioni da una testuggine gigante). Teseo gli rese pan per focaccia gettando lui giù dalla scogliera.

Incontrò poi Cercione, il re di Eleusi, che aveva l’abitudine di sfidare i passanti ad un incontro di lotta con lui e, dopo averli battuti, di ucciderli. Teseo sconfisse Cercione nella lotta e alla fine lo uccise.

L’ultimo bandito che affrontò fu Procuste, che aveva un letto sul quale offriva di riposarsi ai viaggiatori che incrociava sulla piana di Eleusi. Quando si stendevano li legava e provvedeva ad "adattarli" al letto o stirando loro le membra con delle carrucole o mozzando loro i piedi e le gambe. Naturalmente Teseo applicò al furfante la stessa procedura che egli stesso applicava alle sue vittime.

Medea e il Toro di Maratona


Quando arrivò ad Atene, Teseo non rivelò subito la propria identità. Medea però lo riconobbe subito come figlio di Egeo e temette che potesse sostituire suo figlio Medo nella successione al trono: tentò così di provocare la morte di Teseo chiedendogli di catturare il Toro di Maratona, uno dei simboli del dominio cretese.

Lungo la strada che portava a Maratona Teseo si riparò da una tempesta nella capanna di una vecchia di nome Ecale che giurò di fare un sacrificio in onore di Zeus se l’eroe fosse riuscito nella sua impresa. Teseo catturò infine il toro ma, tornato alla capanna di Ecale, la trovò morta. In suo onore allora decise di dare il suo nome ad una delle zone dell’Attica, rendendo i suoi abitanti in un certo senso figli adottivi dell’anziana.

Quando tornò trionfante ad Atene ed ebbe sacrificato il toro agli dei, Medea tentò di avvelenarlo, ma all’ultimo momento Egeo lo riconobbe dai sandali e dalla spada e strappò la coppa di vino avvelenato dalle sue mani. Padre e figlio furono così finalmente riuniti.

Il Minotauro [modifica]

Il re di Creta Minosse aveva vinto la guerra contro Atene. Ordinò allora che ogni nove anni (secondo alcune versioni ogni anno) sette giovani e sette giovinette ateniesi venissero inviati a Creta per essere divorati dal Minotauro. Quando venne il momento di effettuare la terza spedizione sacrificale, Teseo si offrì subito volontario per andare ad uccidere il mostro. Promise al padre Egeo che, in caso di successo, al suo ritorno avrebbe issato sulla nave delle vele bianche. Quando arrivò a Creta Arianna, la figlia di Minosse, si innamorò di lui e lo aiutò a ritrovare la via d’uscita dal labirinto dandogli una matassa di filo che, srotolata, gli avrebbe permesso di seguire a ritroso le proprie tracce,e una spada avvelenata. Trovato il Minotauro, Teseo lo uccise e guidò gli altri ragazzi ateniesi fuori dal labirinto.Teseo portò Arianna via da Creta con sé, ma poi la abbandonò sull’isola di Naxos e la ragazza, quando si accorse di ciò che era successo, lo maledisse e pianse talmente tanto che Dioniso per confortarla le donò una corona d'oro, che venne poi mutata dal dio in una costellazione splendente alla sua morte: è la moderna costellazione della Corona Boreale. Al suo ritorno Teseo e il nocchiero della nave si dimenticarono di cambiare le vele nere con quelle bianche come promesso al padre Egeo; egli allora, credendo il figlio morto, si uccise lanciandosi nel mare, che da allora porta il suo nome. Morto il padre, Teseo viene proclamato re di Atene. Il suo primo atto fu di realizzare il "sinecismo", cioè di riunire in una sola città gli abitanti fino ad allora disseminati nella campagna. Atene divenne la capitale dello stato così costituito. Teseo instaurò, nelle linee principali, un governo democratico, al cui modello si richiamerà l'Atene classica.

Piritoo


Il migliore amico di Teseo era Piritoo, principe dei Lapiti. Piritoo aveva sentito raccontare del suo coraggio e del suo valore in combattimento, ma volle verificarlo di persona, così rubò le mandrie di bestiame dell’eroe, portandole via da Maratona: Teseo si mise allora a cercarle. Piritoo lo affrontò armi alla mano pronto a combattere, ma i due rimasero così ben impressionati l’uno dell’altro che anziché combattere si giurarono eterna amicizia e, insieme, parteciparono alla caccia al Cinghiale calidonio.

Nel primo libro dell’Iliade Nestore cita Teseo e Piritoo tra gli eroi più illustri della generazione di eroi che aveva conosciuto in gioventù "gli uomini più forti che la terra abbia mai nutrito, gli uomini più forti che andarono contro i più forti dei nemici, una tribù di selvaggi abitatori delle montagne che essi distrussero completamente". Di questa tradizione leggendaria orale citata da Omero, nell’epica letteraria non è sopravvissuto nulla.

Fedra ed Ippolito


Fedra, la prima moglie di Teseo gli diede due figli, Demofoonte ed Acamante. Mentre questi erano ancora bambini, Fedra si innamorò di Ippolito, il figlio che Teseo aveva avuto in precedenza da Ippolita. Secondo alcune versioni della leggenda, Ippolito aveva preferito diventare devoto ad Artemide piuttosto che ad Afrodite, così la dea della bellezza aveva deciso di punirlo suscitando l’amore di Fedra verso di lui. Ippolito però respinse la donna per mantenere il voto di castità fatto ad Artemide. Secondo la versione della leggenda fornita da Euripide è la nutrice di Fedra a rivelargli la passione per lui della sua padrona, e Ippolito le giura che non dirà a nessuno che è stata lei a farglielo sapere. Fedra allora, decide di impiccarsi, ma prima manda un messaggio a Teseo sostenendo di averlo fatto perché Ippolito l’ha stuprata. Teseo le crede e rivolge contro il figlio una maledizione che Poseidone - il suo vero padre – aveva promesso di realizzare contro tutti i suoi nemici. A causa della sua maledizione un mostro marino terrorizza i cavalli che trainano il carro di Ippolito e questi, imbizzarriti, travolgono il giovane uccidendolo. Artemide rivela a Teseo la verità e promette di vendicare il suo leale e devoto Ippolito comportandosi allo stesso modo nei confronti di un fedele di Afrodite. Secondo un’altra versione della leggenda Fedra dice a Teseo che Ippolito l’ha stuprata e l’eroe uccide il figlio con le sue mani: la donna poi si toglie la vita vinta dal rimorso.

Grazie a questa leggenda si sviluppò anche un culto di Ippolito, associato a quello di Afrodite: le ragazze in procinto di sposarsi gli offrivano ciocche dei loro capelli. I seguaci del culto credevano che Asclepio avesse fatto risorgere Ippolito, che era andato a vivere in una foresta sacra nei pressi di Ariccia nel Lazio.

La morte di Teseo ed altre leggende


Secondo alcune fonti, Teseo partecipò alla spedizione degli Argonauti, anche se Apollonio Rodio nelle Argonautiche sostiene invece che all’epoca della spedizione Teseo si trovava ancora nel mondo dei morti. Insieme a Fedra, Teseo generò Acamante, che fu uno dei guerrieri greci che durante la guerra di Troia si nascosero all’interno del cavallo di legno.

Si dice che Teseo morì ucciso dal re di Sciro Licomede che, accordatosi con Menesteo che aveva usurpato il trono di Atene durante l’assenza dell’eroe, lo gettò con un tranello da una scogliera della sua isola.

Viene poi liberato dagli Inferi da Ercole.

Tespio

Nella mitologia greca, Tespio chiamato anche Testio era il nome del Re di Tespi, fra i suoi avi vi era Eretteo

Il suo mito è legato a quello di Eracle. Fra le imprese del semidio vi era quella del leone di Citerone, all'epoca ogni sera fu ospite di Tespio e ogni sera giaceva con una delle sue figlie, almeno così pensava Eracle, infatti avendo 50 figlie fece in modo che per 50 notti giacesse con tutte loro, una per sera, tutte rimasero incinte e tutte partorirono, a loro furono dati il nome di Tespiadi.

Diversi pareri riferisce Pausania in merito, in una versione afferma che in una notte sola il figlio di Zeus giacque con tutte le donne e la più giovane e la più anziana partorirono due gemelli, mentre in un'altra versione sempre da lui raccontata riferisce che una rifiutò l'amore di Eracle e lui gli ordinò di rimanere vergine per tutta la vita.

In seguito un araldo del semidio consegnò a Tespio un messaggio che riguardava i suoi figli dove gli si chiedeva di inviarne la maggior parte a colonizzare la Sardegna, e tale messaggio secondo alcuni era un invito degli dei stessi.

Teti 1

Una Titanessa, figlia di Urano e Gea, fu sposa di Oceano e madre delle ninfe Oceanine e degli dèi fluviali. Quando Zeus cominciò la sua guerra contro i Titani, Oceano e Teti si schierarono al suo fianco e si presero cura di Era per tutti gli anni della guerra. Più tardi, quando Teti litigò con Oceano, la figliastra Era cercò di riconciliarli. Teti era molto affezionata a Era e per amor suo escluse la costellazione di Callisto, l'Orsa Maggiore, dalla corrente dell'oceano così che fosse costretta a girare eternamente intorno alla stella polare per punirla d'aver voluto giacere con Zeus.
La dimora di Teti è posta generalmente nell'estremo Occidente, al di là del paese delle Esperidi, nella regione in cui, ogni sera, il Sole termina il tragitto.

Teti 2

Una delle Nereidi, detta anche Tetide, era perciò figlia di Nereo, il Vecchio del Mare, e di Doride. Fu allevata da Era, come quest'ultima era stata allevata dalla titanide Teti. Promessa sposa di Zeus, dovette rinunciare a tali ambitissime nozze quando un oracolo di Temi predisse che suo figlio sarebbe stato più grande del padre. Altre tradizioni attribuiscono questo oracolo a Prometeo, il quale avrebbe precisato che il figlio destinato a nascere dagli amori di Zeus e Teti sarebbe diventato un giorno padrone del Cielo. Fu perciò data in matrimonio a Peleo, re di Ftia, l'unico mortale che seppe superarla in una lunga ed estenuante lotta in cui essa cercava di sfuggirgli, mutandosi di volta in volta in animale feroce o in acqua, fuoco o altri elementi. Tutti gli dèi presero parte alle nozze di Peleo e Teti e portarono splendidi doni. Ma la dea Eris (la Discordia), che non era stata invitata, decise di far nascere una baruffa tra gli dèi e, mentre Era, Afrodite e Atena conversavano amorevolmente, lasciò cadere una mela d'oro ai loro piedi con scritta "Alla più bella". Quella mela fu la causa prima della guerra di Troia.
Per qualche tempo Teti visse insieme a Peleo come moglie devota e, secondo alcune versioni del mito, gli diede sette figli. Sei non riuscirono a sopravvivere alle prove del fuoco e dell'acqua bollente a cui li sottoponeva la madre per sapere se avevano ereditato la sua immortalità. Ma Peleo riuscì a strapparle il settimo quando già essa aveva reso immortale il suo corpo, salvo il tallone, ponendolo sopra il fuoco e poi ungendolo con ambrosia. L'osso del tallone, appena ustionato, non fu sottoposto all'ultima parte del rito magico, perché Peleo le strappò il bambino, che si era bruciato le labbra e il soprosso del piede destro. Teti, adirata, abbandonò Peleo e tornò a vivere nel seno del mare, con le sorelle. Avendo così Peleo salvato il bambino, chiese al centauro Chirone, abile nell'arte della medicina, di sostituire l'osso bruciato con un altro preso dallo scheletro dissotterrato del gigante Damiso. Secondo un'altra versione dell'infanzia di Achille, Teti immerse il bambino nel fiume Stige per renderlo invulnerabile, ma si dimenticò di immergere anche il tallone per cui l'aveva tenuto sospeso sull'acqua.
Teti era considerata dea benefica e ospitale: insieme alla sorella Eurinome, aveva raccolto e nascosto Efesto fatto precipitare da Zeus dall'alto dell'Olimpo per aver voluto intervenire in favore di Era. Efesto visse con le due Nereidi per nove anni nella loro dimora marina. Quando Era insieme a Poseidone e ad Atena cercò di ribellarsi contro Zeus e di legarlo al letto con corde di cuoio, Teti, prevedendo una guerra civile, si recò nel Tartaro a chiamare il gigante centimane Briareo che, sempre leale a Zeus, sciolse tutti i nodi e liberò il suo padrone. Quando il giovane Dioniso, attaccato da re Licurgo sul monte Nisa, si gettò in mare, Teti lo nascose per qualche tempo nella sua grotta marina, e in cambio di questo favore ricevette un vaso d'oro. Per ordine di Era, Teti con le Nereidi guidò gli Argonauti durante la traversata delle infuocate Simplegadi o Rocce Vaganti.
Madre amorosissima, Teti non si disinteressò del figlio. Quando Achille ebbe nove anni e l'indovino Calcante predisse che Troia non sarebbe caduta senza l'aiuto del giovane Achille, Teti tentò in tutti i modi di tenere il figlio lontano dai pericoli della guerra, arrivando persino a travestirlo da donna e a nasconderlo nell'isola di Sciro tra le figlie del re Licomede. Ma Achille non potè sfuggire al proprio destino, e partì per la guerra. Teti cercò allora di proteggerlo con ogni mezzo. L'aveva avvertito a non sbarcare per primo perché sarebbe stato il primo a morire, e che semmai avesse ucciso un figlio di Apollo, sarebbe morto per mano di Apollo. E un servo chiamato Mnemone lo accompagnava al solo scopo di ricordargli ogni giorno la predizione della madre. Ma Achille, allorché vide Tenete che scagliava massi dall'alto di un promontorio contro le navi greche, raggiunse la riva a nuoto e senza rifletterci sopra lo uccise trapassandogli il cuore. Resosi conto, ma troppo tardi, di quanto aveva fatto, Achille condannò a morte Mnemone che non gli aveva rammentato le parole di Teti. Quando Achille si irritò con Agamennone che gli aveva sottratto la sua concubina Briseide, Teti implorò Zeus di far volgere le sorti della guerra in favore dei Troiani così che i comandanti greci fossero costretti a pregare Achille di tornare a combattere. Confortò il figlio per la perdita di Patroclo e gli recò una nuova armatura che comprendeva anche un paio di preziosi schinieri forgiati da Efesto. Quando Achille venne ucciso, Teti e un gruppo di Nereidi piansero amaramente la sua morte, mentre le nove Muse intonavano il lamento che durò diciassette giorni e diciassette notti. Al diciottesimo giorno il corpo di Achille fu bruciato sul rogo e le sue ceneri, mescolate a quelle di Patroclo, vennero riposte in un'urna d'oro fabbricata da Efesto, dono di nozze di Dioniso a Teti; quest'urna fu sepolta sul promontorio Sigeo che domina l'Ellesponto, e i Greci vi innalzarono sopra un tumulo a cono. Secondo alcuni, Teti rese poi Achille immortale e lo portò a vivere nell'isola di Leuca nel Mar Nero, dove più tardi sposò Elena mentre ella continuò a vivere con Peleo a cui pure conferì l'immortalità.
La figura di Teti appare di frequente nell'arte antica, specie nella pittura vascolare. Gli episodi più volentieri illustrati sono quelli della sua lotta con Peleo, e le nozze.

Testio

Testio è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ares e Demonice, o, secondo altre versioni, di Agenore.

Testio aveva due figlie: Altea che sposò suo zio Oineo e Leda che, per quanto amata da Zeus, sposò Tindaro. I figli maschi di Testio Plessipo e Tosseo parteciparono alla caccia al cinghiale di Calidone ed entrati in contrasto con Meleagro vennero da questi uccisi.

Tra i figli, Pausania il Periegeta ricorda Protoo.

Testore


Tèstore è un personaggio della mitologia greca, veggente e sacerdote troiano, figlio di Idmone l'argonauta e padre di Calcante, Teonoe e Leucippe.

Un giorno la figlia Teonoe fu rapita dai pirati carii. Testore si lanciò al suo inseguimento, ma naufragò sulle coste carie e fu imprigionato da Icaro.

La figlia più piccola, tale Leucippe, una volta cresciuta si recò a Delfi dalla Pizia che le suggerì di andare da Icaro. La ragazza si travestì da sacerdote maschio e Teonoe, che nel frattempo era entrata nelle grazie del suo signore Icaro, divenendone concubina, si innamorò del nuovo arrivato. Leucippa si negò, non volendo farsi scoprire, e per questo Teonoe commissionò la sua uccisione a un prigioniero a caso.

La scelta cadde su Testore stesso.
Introdottosi nella camera di Leucippa, prima di alzare la spada, si presentò a lei raccontandole la sua storia. In tal modo i due scoprirono di essere l'uno il padre e l'altra la figlia. Decisero quindi, di comune accordo, di andare a uccidere la concubina di Icaro, ma, una volta nella sua camera, Teonoe riconobbe il padre.

Icaro, ricolmandoli di doni, li rimandò in patria.

Questo Testore non va confuso con un omonimo guerriero troiano, ricordato nell' Iliade.

Testore
(Iliade)

Testore è il nome di un personaggio della mitologia greca, presente nel sedicesimo libro dell' Iliade di Omero.

Testore era un giovane troiano, figlio di tal Enope. Quando gli Achei dichiararono guerra a Troia, egli combatté per la difesa della sua città.

La morte


Durante una battaglia Patroclo, uno dei più forti capi achei, uccise il fante troiano Pronoo (Iliade) e poi mosse contro Testore, che sul suo cocchio aveva assistito alla scena. Temendo il peggio, Testore si nascose prontamente dentro il carro, sperando che il nemico non l'avesse visto; ma Patroclo, cui nulla era sfuggito, balzò sul mezzo e spinse una lancia nella mascella del giovane troiano, la cui bocca rimase confitta con l'arma, come un pesce preso all'amo; quindi Testore fu scaraventato violentemente al suolo, dove morì.

Teucro 1

Antico re, eponimo della popolazione dei Teucri, abitanti nella Troade. Il mito lo dice figlio di Scamandro e di Idea, una ninfa del monte Ida. Teucro e il padre, alla loro partenza da Creta, avevano consultato l'oracolo che aveva ordinato loro di stabilirsi nel luogo in cui fossero stati attaccati da alcuni "figli del suolo". Ora avvenne che, una notte in cui erano accampati in Troade, le loro armi, i loro scudi e le corde dei loro archi furono rosicchiati da topi. Comprendendo che l'oracolo si era avverato, fondarono in quel punto un tempio ad Apollo Sminteo ("l'Apollo dai Topi"), e vi si stabilirono. Qualunque sia la sua origine, Teucro è l'antenato della famiglia reale di Troia. Accolse Dardano e gli diede una parte del suo regno e sua figlia, Batieia. Da questo matrimonio nacquero: Ilo, Erittonio, Zacinto, e una figlia, Idea, dal nome della nonna materna.

Teucro 2 (Telamone)

Teucro è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Telamone e di Esione, figlia di Laomedonte, e fratellastro di Aiace il Grande. Si distinse nella Guerra di Troia in qualità di infallibile arciere.

Imprese in guerra

Nella battaglia che seguì al duello tra Ettore e suo fratello Aiace, egli realizzò un vero massacro di nemici, che abbatté uno dopo l'altro grazie alle sue frecce: Orsiloco, Ormeno, Ofeleste, Daitore, Cromio, Licofonte, Amopaone e infine il valoroso Melanippo. Furioso per non essere ancora riuscito a colpire Ettore con la sua freccia, ne scoccò un'altra nella sua direzione, ma Apollo deviò il dardo che andò a colpire suo fratello Gorgitione, figlio di Priamo e Castianira.

Teucro difese coraggiosamente anche l'accampamento greco dal feroce assalto dei nemici; quando vide il formidabile Glauco arrampicarsi sulle mura, gli scagliò contro una freccia che lo colpì ad un braccio. Ferito, il capo licio arretrò, sparendo tra le file dei suoi alleati, sperando che l'avversario non si vantasse della sua vittima.
L'amico Sarpedonte, desideroso di vendicare il compagno licio, con una furia incredibile afferrò un parapetto che impediva l'accesso all'accampamento, distruggendolo e aprendo un varco ai suoi compagni. Tuttavia nulla poté l'abile arciere stavolta contro un simile nemico.

Più tardi, Poseidone, uscito dal mare e assunto l'aspetto di Calcante, passò in rassegna i capi achei più forti per incitarli alla battaglia in difesa delle loro navi. Scoppiata nuovamente la mischia, Teucro scagliò la sua lancia uccidendo Imbrio, cognato di Priamo, vendicato immediatamente da Ettore, che uccise l'avversario Anfimaco con un colpo d'asta e lo spogliò delle armi. L'eroe figlio di Telamone si rifece in seguito di questa perdita uccidendo poi Protoone e Perifete, altri temibili guerrieri.

Per i giochi funebri in onore di Achille perse la gara di tiro con l'arco contro Merione. Fu tra i guerrieri che si nascosero nel cavallo di legno. Al ritorno a Salamina fu cacciato dal padre che lo accusò di non aver saputo proteggere Aiace da se stesso e di non essere riuscito a vendicarlo uccidendo Ulisse. Con alcuni fedeli amici si recò a Cipro, dove, aiutato da Belo, si stabilì nell'isola e fondò una città cui diede il nome di Salamina in ricordo della patria. Sposò Eunea, figlia del re di Cipro. Secondo un'altra versione tentò invano di tornare a Salamina e poi si recò in Spagna, dove morì.

Le sue vicende erano raccontate nel Teucer del tragediografo latino Marco Pacuvio.

Teutra

Figlio di Lisippa e re di Teutrania in Misia. Si raccontava che Teutra, mentre cacciava sulla montagna, inseguì un giorno un gigantesco cinghiale che si rifugiò nel tempio di Artemide Ortosia. Teutra era sul punto di forzare l'ingresso allorché il cinghiale implorò pietà con voce umana. Teutra non gli badò nemmeno e lo uccise, offendendo così Artemide in modo tale che essa ridonò la vita al cinghiale, punì Teutra con il tormento della lebbra e lo costrinse a vagare tra valli solitarie. Sua madre Lisippa, con l'aiuto del veggente Poliido e con cospicui sacrifici, riuscì a placare la collera d'Artemide, e Teutra recuperò la salute.
Fu Teutra ad accogliere Auge, figlia di Aleo re di Tegea, allorché la giovane fu venduta da Nauplio. Teutra sposò Auge e ne adottò il figlio, il piccolo Telefo. Un'altra versione raccontava che Auge era stata venduta dopo aver dato alla luce il figlio e che questi era stato esposto sul monte Partenio, dove una cerbiatta lo nutrì col suo latte. Alcuni mandriani lo rinvennero, lo chiamarono Telefo e lo portarono al loro padrone, re Corito. Più tardi, quando Telefo raggiunse l'età virile, si recò a Delfi per avere notizie dei suoi veri genitori. Gli fu detto di recarsi da re Teutra in Misia, dove trovò Auge, ora sposata a Teutra, e da lei seppe che essa era sua madre ed Eracle suo padre. Teutra allora diede in sposa a Telefo sua figlia Argiope, e lo dichiarò erede al trono.

Teutrante

Nella mitologia greca, Teutrante o Teutra, figlio di Leucippe, chiamata anche Lisippa, era il re di Teutrania, in Misia; il suo regno era tanto grande da arrivare a toccare la foce del Caico.

Il cinghiale


Teutrante, da giovane, partecipando ad una battuta di caccia, inseguì un enorme cinghiale. Alla fine, il re stava per ucciderlo quando l’animale iniziò a parlare, implorando pietà in nome di Artemide e poi trovando riparo proprio in un tempio della dea. Teutrante non esitò a finire la bestia.

Artemide, allora, infuriata, lo fece ammalare di lebbra e lo costrinse a vagare in solitudine. Teutrante guarì solo grazie alla madre, Leucippe, che placò la divinità portando con sé il veggente Poliido. Egli riuscì a medicare il re grazie alle pietre "antipate" che si trovavano su quel monte.

La madre, in segno di gratitudine, non solo fece erigere una statua, ma ordinò la creazione di un gigantesco toro d'oro, capace di emulare il suo predecessore, e gridando di essere risparmiato.

Auge e Telefo


Auge, figlia di Aleo e di Neera, fu desiderata da Eracle che la violentò[5]. Da tale unione nacque un bambino, che la madre nascose intimorita nel tempio di Atena. Eracle subito riuscì a trovarlo e lo abbandonò sul monte Partenio[6][7], dove fu allattato da una cerva e poi raccolto da alcuni mandriani, che decisero di chiamarlo Telefo, proprio per via dell'insolita balia. Essi, non sapendo cosa fare del pargolo, lo portarono al loro signore, il re Corito.

La donna fu venduta come schiava grazie a Nauplio a Teutra.

Una volta che Telefo diventò adulto, chiese all'oracolo di Delfi notizie sui suoi genitori: il responso fu di andare a cercare Teutrante in Misia. Quando Telefo venne a corte, Auge era diventata la regina di Teutrania: ella gli rivelò l'identità del padre (Eracle), mentre Teutrante gli diede in sposa la figlia Argiope, rendendolo il proprio erede, anche perché non aveva figli maschi.

Altre versioni del mito


Secondo un'altra versione, Teutra aveva adottato, e non sposato, Auge che cercava rifugio nel suo regno. A Telefo, giuntovi con il suo amico Partenopeo, alla ricerca della madre, furono offerti il regno e Auge come promessa sposa, purché prima sconfiggesse Idas, il figlio di Afareo, uno degli Argonauti, il quale stava preparando un assalto al regno della Misia.

Si racconta anche che Auge fu gettata in mare insieme al figlio: secondo questa versione fu lo stesso Teutra a ritrovare i due e a sposare la donna, adottando il bambino. Anche il luogo di nascita di Telefo è dibattuto.

Teutrante, in seguito partecipò alla guerra di Troia, trovando la morte per mano di Ettore.

Tiberino

Divinità romana, figlio di Giano e di Camesena, avrebbe dato il suo nome al principale fiume del Lazio, sostituendo quello primitivo di Albula. Considerato, secondo talune versioni della sua leggenda, come marito di Ilia (vedi Rea Silvia), ha notevole importanza nelle vicende di Enea e della sua venuta nel Lazio. Le acque del fiume essendo state sempre considerate come purificatrici, il dio Tiberino interviene anche nelle tradizioni relative allo stabilimento del culto di Esculapio nell'isola Tiberina. Un suo culto regolare si faceva risalire a Romolo. La festa era fissata l'8 dicembre, data della dedicazione del tempio nell'isola.

Tiche

Figlia di Zeus e dea del destino. A lei Zeus diede il potere di decidere la sorte di questo o quel mortale. A taluni essa concede i doni contenuti nella cornucopia, ad altri nega persino il necessario. Tiche è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta. Ma se capita che un uomo, che essa abbia favorito, si vanti delle sue ricchezze né mai ne sacrifichi parte agli dèi, né se ne serva per alleviare le pene dei suoi concittadini, ecco che l'antica dea Nemesi si fa avanti per umiliarlo.
I Romani la identificarono con la dea Fortuna. Ogni città aveva la propria dea Tiche figurata con una corona turrita in capo e con in mano dei simboli di buon augurio. Palamede consacrò la prima coppia di dadi da lui inventati nel tempio della dea ad Argo.

Tideo

Figlio di Eneo, re di Calidone, e di Peribea. Lo zio Agrio, che aveva usurpato il trono di Eneo, lo esiliò da Calidone con l'accusa di omicidio, benché Tideo affermasse che si trattava di un incidente. Molte sono le versioni su chi effettivamente uccise, se il fratello Olenia, lo zio Alcatoo, fratello di Eneo, oppure gli otto figli di Mela, un altro zio. Dopo il gesto criminale, Tideo trovò rifugio alla corte di re Adrasto ad Argo, dove ebbe una disputa con un altro rifugiato, Polinice di Tebe. Adrasto li riconciliò e diede loro in spose le sue figlie: Deipile a Tideo e Argia a Polinice, perché un oracolo gli aveva detto di darle a un leone e a un cinghiale e Tideo aveva sullo scudo l'insegna di un cinghiale e Polinice quella di un leone.
Adrasto decise di aiutare i due principi a riconquistare i rispettivi regni. Disse però che dapprima avrebbe marciato su Tebe, che era più vicina, e anche Tideo partecipò alla spedizione contro Tebe, guidata dai sette campioni. Nel corso della loro marcia attraversarono Nemea, dove regnava Licurgo. Gli chiesero il permesso di abbeverare le truppe nelle sue terre e Licurgo acconsentì. La schiava Ipsile li guidò alla sorgente più vicina, dopo aver posato a terra il piccolo Ofelte, figlio di Licurgo, che venne ucciso dal morso di un serpente che gli si avvinghiò alle membra. Quando Adrasto e i suoi uomini ritornarono dalla sorgente non poterono fare altro che uccidere il serpente e seppellire il bambino. Istituirono poi i Giochi Nemei in onore del fanciullo, chiamandolo Archemoro che significa "colui che dà inizio a sciagure".
Giunto sul Citerone, Adrasto inviò Tideo come suo araldo ai Tebani, con la richiesta che Eteocle rinunciasse al trono in favore di Polinice. Quando tale richiesta fu respinta, Tideo sfidò i capi tebani a singolar tenzone ed emerse vittorioso da ogni scontro. Tornando verso il fiume Asopo, fu attaccato da cinquanta uomini che gli tesero un'imboscata. Tideo li uccise tutti, fuorché Meone che tornò a Tebe a raccontare gli eventi. Gli Argivi si avvicinarono alle mura della città e ciascuno dei campioni si piazzò dinanzi a una delle sette porte. Tiresia il veggente, consultato da Eteocle, predisse che i Tebani sarebbero stati vittoriosi se un principe di sangue reale si fosse volontariamente offerto in sacrificio ad Ares; allora Meneceo, figlio di Creonte, si uccise dinanzi alle porte. La profezia di Tiresia si avverò: i Tebani ripresero coraggio, fecero una furibonda sortita, uccisero altri tre dei sette campioni e uno di loro, che si chiamava Melanippo, ferì Tideo al ventre. La dea Atena che amava Tideo si avvicinò a lui con l'intento di dargli l'immortalità, ma Anfiarao capì l'intenzione della dea e, carico di odio per Tideo che aveva convinto Adrasto a quella fallimentare spedizione, staccò rapidamente la testa dal corpo di Melanippo e la gettò a Tideo che spaccò il cranio del nemico e ne divorò il cervello. Atena, disgustata, si allontanò e Tideo morì come un comune mortale.
Da Deipile, Tideo aveva avuto un figlio, Diomede.

Tieste

Tieste è un personaggio della mitologia greca figlio di Pelope e di Ippodamia e fratello gemello di Atreo. Poiché un oracolo gli aveva predetto che dall'unione incestuosa con la figlia Pelopia sarebbe nato il vendicatore di Atreo, Tieste, cercando di non farsi riconoscere, violenta la figlia. Il figlio che nasce si chiama Egisto. La vita di Tieste è contrassegnata dai rapporti di ostilità con Atreo. Insidia la moglie di Atreo e questi si vendica uccidendo i figli di Tieste e offrendone le carni in pasto al padre. La causa di tanta ostilità fu la maledizione che pendeva sul capo del loro padre Pelope che troverà il suo epilogo nella uccisione di Agamennone, figlio di Atreo, da parte di Egisto e nell'assassinio di quest'ultimo da parte di Oreste figlio di Agamennone.

Tifide


Tifide di Sife (anche Tiphys o Tifi) era nella mitologia greca, uno degli argonauti: il timoniere della nave.

Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, viene descritto come abilissimo pilota della Beòzia, cui Atena insegnò l'arte della navigazione.

All'epoca in cui Giasone mandò gli araldi in cerca di avventurieri per il recupero del vello d’oro, cercava fra gli altri anche qualcuno che potesse guidarli, come timoniere della nave Argo attraverso la Colchide, Tifide accettò l’invito diventando la guida di tutti gli Argonauti.

Le avventure degli Argonauti


Come timoniere era di fatto lui che decideva in che direzione proseguire, come quando da Atene partirono alla volta del Bosforoe, incappati in un forte vento improvviso proveniente dal nord a loro contrario, Tifide, vedendo che non riuscivano ad avanzare, decise di cambiare direzione cercando di tornare alla penisola ma approdando davanti a re Cizico che li attaccò credendoli pirati. In seguito quando Giasone decise di abbandonare Eracle su un'isola, molti Argonauti cercarono di far cambiare idea a Tifide ma senza risultato alcuno.

La morte


Il destino non gli permise di giungere nella Colchide con gli altri Argonauti, perché morì a causa di una misteriosa malattia alla corte del re Lico. Gli furono resi solenni onori funebri e gli altri argonauti, dopo avergli alzato un tumulo, scelsero chi doveva prendere il suo posto al comando del timone. La scelta cadde infine su Ancèo, che si dimostrò molto abile.

Tifone

Gigante mostruoso della mitologia greca, che contese a Zeus il dominio del mondo.
Quando Zeus sconfisse i Titani e li rinchiuse nel Tartaro o quando gli dèi dell'Olimpo sconfissero i Giganti, Gea (la Madre Terra) per vendicarsi giacque con Tartaro nella grotta di Coricia in Cilicia e generò il più giovane dei suoi figli, Tifone: il mostro più grande che mai vedesse la luce del sole. Dalle cosce in giù era tutto un groviglio di serpenti e le sue braccia che, allargate coprivano cento leghe in ogni direzione, avevano innumerevoli teste di serpenti in luogo di mani. La sua orrenda testa d'asino toccava le stelle, le sue ampie ali oscuravano il sole, fiamme uscivano dai suoi occhi.
Quando si lanciò all'assalto dell'Olimpo, gli dèi fuggirono terrorizzati in Egitto dove si travestirono da animali: Zeus divenne un ariete, Apollo un corvo, Dioniso un caprone, Era una vacca bianca, Efesto un bue, Artemide un gatto, Afrodite un pesce, Ares un cinghiale, Ermete un ibis e così via. Soltanto Atena non si mosse e rimproverò Zeus per la sua codardia finché il sommo dio, riassumendo le sue vere sembianze, scagliò da lontano dei fulmini contro Tifone e, lottando a corpo a corpo, l'abbattè con il medesimo falcetto di cui s'era servito per castrare Urano. Ferito e ululante, Tifone si rifugiò sul monte Casio, e colà il mostro, che era soltanto ferito, avvolse Zeus nelle sue mille spire, gli strappò il falcetto e dopo aver tagliato i tendini delle sue mani e dei suoi piedi lo trascinò nella grotta di Coricia. Nascose i tendini di Zeus in una pelle d'orso e li affidò alla custodia di Delfine, sua sorella, un mostro per metà donna e per metà serpente.
La notizia della sconfitta di Zeus sparse il panico tra gli dèi, ma Ermete e Pan si recarono segretamente alla grotta di Coricia, dove Pan terrorizzò Delfine con un improvviso orribile urlo, mentre Ermete abilmente sottraeva i tendini per rimetterli nelle membra di Zeus che ritornò sull'Olimpo e, salito su un carro trainato da cavalli alati, inseguì di nuovo Tifone scagliando folgori. Tifone era andato sul monte Nisa, dove le tre Moire gli offrirono frutti effimeri facendogli credere che gli avrebbero ridonato forza, mentre invece lo predisponevano a sicura morte. Tifone raggiunse poi il monte Emo in Tracia e, accatastando le montagne l'una sull'altra, le fece rotolare verso Zeus che, protetto da una cortina di folgori, riuscì a salvarsi mentre le montagne rimbalzavano indietro su Tifone, ferendolo in modo spaventoso. I fiumi di sangue sgorgati dal corpo di Tifone diedero al monte Emo il suo nome. Il mostro volò poi in Sicilia, dove Zeus pose fine alla sua fuga schiacciandolo sotto il monte Etna, che da quel giorno sputa fuoco.
Si attribuisce a Tifone la paternità di vari mostri ch'egli generò da Echidna, figlia di Calliroe e di Crisaore, e cioè Cerbero, il cane infernale a tre teste; l'Idra, serpente acquatico dalle molte teste che viveva a Lerna; la Chimera, capra che sputava fiamme, con la testa di leone e la coda di serpente; la Scrofa di Crommione; l'avvoltoio che torturò Prometeo; Ladone, il drago che sorvegliava i pomi d'oro delle Esperidi; Ortro, il cane a due teste di Gerione, che giacque con la propria madre e generò in lei la Sfinge di Tebe e il Leone Nemeo.

Timbreo


Timbreo, personaggio dell'Iliade, fu un re asiatico alleato dei troiani.

Nel poema Timbreo è presentato come re, anche se non viene nominato il popolo su cui comanda. Stranamente questo condottiero non è citato nel Catalogo Troiano del libro II.

La morte


Timbreo fu ucciso da Diomede nell'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle Gesta di Agamennone.

Timete

Nella mitologia greca e nella mitologia romana, Timete è il nome di differenti personaggi, non sempre ben distinti, ma altrettanto conosciuti. La maggior parte di queste figure mitologiche hanno però fatto parte alla guerra di Troia, la guerra che scoppiò a causa del rapimento di Elena da parte del principe troiano Paride, innamorato di lei.

All'interno della mitologia greca, esistono tre personaggi con lo stesso nome, ma non sempre ben distinti l'uno dall'altro.

*
Il più antico personaggio che porta tale nome è un re di Atene, il quale succedette al nonno Demofonte, figlio di Teseo, e dominò per parecchi anni sull'Attica;
* Il Timete più conosciuto è però il Troiano che, dopo aver subito un grave torto dal re Priamo, suo cognato, decise di vendicarsi tradendo i suoi compatrioti per andare dalla parte degli Achei (i Greci);
* Timete, piuttosto mal confuso con l'omonimo precedente, ritenuto figlio di Laomedonte e dunque fratello di Priamo.

Nella mitologia romana, ovvero nella tradizione raccontata da Virgilio nell'Eneide, Timete è anche il nome di altri personaggi:

*
Timete, un guerriero troiano, ricordato col patronimico "Icetaonio", il quale difende l'accampamento dagli attacchi dei nemici Rutuli guidati dal re Turno.
* Timete, anch'esso un guerriero troiano, ucciso in combattimento proprio per mano di Turno.

La presa del potere


Il più antico personaggio con questo nome era figlio di Ossinte, re d'Atene, il quale era a sua volta figlio di Demofonte, figlio di Teseo. Ossinte, mentre regnava sulla sua città, si era sposato ed aveva infatti avuto due figli: Afeida, il maggiore, e Timete.
Alla morte del re, Afeide, essendo il primogenito, gli succedette al trono ma Timete, invidioso e desideroso di possederlo con la forza, uccise il fratello e governò al suo posto.

Durante il suo lungo governo sulla città, Timete si trovò in disaccordo con la popolazione vicina dei Beoti i quali reclamavano come loro possedimento la città di Enoe. Non volendo concederla, il re preferì dichiarare loro guerra cosicché per lungo tempo Attica e Beozia si combatterono ferocemente, ma senza esito.
Di fronte a questi risultati, entrambe le regioni decisero di stabilire la contesa attraverso il duello tra i re dei rispettivi paesi.

L'abbandono e l'esilio


Avendo paura di misurarsi con Xanto, il valoroso re di Tebe, Timete dichiarò ufficialmente che avrebbe lasciato il trono in favore di qualsiasi persona che fosse riuscito a battere Xanto al suo posto. L'eroe Melanto, discendente di Neleo, accettò la proposta e, grazie all'aiuto degli dèi, riuscì a sopraffarre il nemico e ad ucciderlo. Come stabilito dai patti, Timete conferì al vincitore il potere regale e si preparò per andare in esilio.

Timete, il troiano

Timete è anche il nome di un abitante della città di Troia; secondo alcuni era figlio di Laomedonte, re di Troia, e quindi fratello di Priamo, ma la tradizione più comune fa di Timete non il fratello di quest'ultimo, bensì il cognato.

Matrimonio con Cilla


Questo Timete, infatti, aveva sposato una sorella di Priamo, Cilla, e i due avevano appena generato segretamente un bambino, chiamato Munippo.
Poco prima della nascita del piccolo, Ecuba, moglie di Priamo, aveva fatto un incubo in cui presagiva di partorire un figlio che avrebbe causato la fine di Troia.
Passato del tempo, Ecuba mise al mondo un bambino, poco dopo la nascita del figlio di Cilla. Esaco convinse Priamo a uccidere i bambini appena nati con le loro madri, ma il re di Troia, non avendo il coraggio di uccidere sua moglie e suo figlio, uccise invece Cilla e Munippo, facendoli seppellire nel santuario di Troo.

La vendetta

Furibondo per l'offesa ricevuta, Timete covò odio sino alla fine nei confronti di Priamo e, secondo alcuni mitografi, decise di tradirlo appoggiando segretamente i piani dei Greci.
Omero non fa riferimento all'episodio, ma fa apparire Timete nel Consiglio degli Anziani che Priamo radunava costantemente a Troia[4]. Durante i dieci anni di guerra, il troiano sembra non aver tentato di vendicarsi dei torti subiti da Priamo, ma, anzi, pare averlo appoggiato nelle sue decisioni.

La vera vendetta di Timete si consumerà il giorno in cui gli Achei, fingendo di ritirarsi dalla guerra, abbandonarono sulle coste della Troade un enorme cavallo di legno, opera di Epeo con l'aiuto di Atena.
Timete fu dunque il primo ad esortare i suoi compatrioti a collocare tale simulacro nella rocca, ma Enea stesso, che racconta tale avvenimento alla regina Didone, a posteriori avanza il dubbio che egli, messosi d'accordo con i Greci, spingesse i Troiani a introdurre il cavallo in città per vendicare la morte dei suoi famigliari.

Ignota fu la sua fine dopo la caduta di Troia. D'ora in poi i mitografi non lo ricordano più, ma l'unica cosa certa fu che il suo spirito di vendetta venne comunque appagato il giorno della caduta della città.

Edited by demon quaid - 7/12/2014, 15:29
 
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Vampiro di dracula

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Tindareo

Re di Sparta, figlio di Ebalo o di Periere e della naiade Batia o di Gorgofone.
Alla morte di Ebalo, Ippocoonte, fratellastro di Tindareo, lo scacciò da Sparta insieme col fratello Icario, benché taluni dicano che Icario fosse d'accordo con Ippocoonte. Tindareo riparò presso il re Testio in Etolia, del quale sposò più tardi la figlia Leda; lo aiutò in alcune imprese di guerra; infine partecipò a una spedizione di Eracle contro Ippocoonte e i suoi dodici figli. Dopo la conclusione vittoriosa di questa impresa, Tindareo riconquistò il trono di Sparta. Leda gli diede molti figli: Elena era figlia di Zeus e lo erano anche i Dioscuri, Castore e Polideuce; le altre figlie, Clitemnestra, Timandra, Filonoe e Febe, erano figlie di Tindareo.
Quando Tieste uccise Atreo, Agamennone e Menelao si rifugiarono a Sparta dove Tindareo diede loro in spose rispettivamente Clitemnestra ed Elena e li aiutò a riconquistare il regno di Micene per Agamennone, il maggiore dei fratelli. Clitemnestra era in realtà già sposata a Tantalo, re di Pisa e figlio di Brotea, ma Agamennone lo uccise insieme al figlio e la sposò. La mano di Elena era stata chiesta, a causa della sua grande bellezza, da tutti i più importanti principi greci. In verità Teseo di Atene l'aveva già portata via da Sparta con l'intenzione di sposarla, ma non era ancora in età da marito (aveva infatti dodici anni appena) e l'eroe l'aveva affidata a sua madre Etra nel villaggio attico di Afidna. I fratelli di Elena, i Dioscuri, erano però giunti a salvarla. Ora tutti i pretendenti alla sua mano giunsero a Sparta e Tindareo si trovò nella grave difficoltà di fare la sua scelta. Consigliato da Odisseo sacrificò un cavallo e chiese a tutti i pretendenti di giurare che avrebbero accettato l'uomo scelto, chiunque egli fosse, e che avrebbero protetto i suoi diritti coniugali. Fu proprio questo giuramento che più tardi spinse i principi greci a partecipare alla guerra di Troia per togliere Elena a Paride.
Tindareo diede Elena a Menelao, fratello di Agamennone, i cui doni si dimostrarono i più ricchi e premiò Odisseo aiutandolo a conquistare la mano di sua nipote, Penelope, figlia di Icario.
Un triste fato tuttavia incombeva sul matrimonio di Elena e Menelao: anni prima mentre stava sacrificando agli dèi, Tindareo si era stupidamente scordato di Afrodite che si vendicò giurando di rendere famose per i loro adulteri le tre figlie del re. Infatti, Clitemnestra tradì il consorte con Egisto, Elena con Paride e Deifobo e Timandra, la quale aveva sposato Echemo, re dell'Arcadia, con Fileo figlio di Augia.
Tindareo aveva perduto i suoi figli, i Dioscuri, nella battaglia contro Ida e Linceo, chiamò Menelao a Sparta e gli affidò il regno. Secondo Euripide visse abbastanza a lungo da accusare Oreste, figlio e uccisore di Clitemnestra, davanti all'Areopago di Atene del delitto di matricidio, o nella stessa Argo, davanti al tribunale del popolo.
Fu uno di coloro che Asclepio risuscitò da morte ed era onorato come eroe a Sparta.

Tindaro

Tindaro (o Tindareo) è una figura della mitologia greca, figlio di Ebalo e della ninfa Bateia (da altre versioni, di Periere e di Gorgofone).

Era il re di Sparta che, destituito insieme al fratello Icario dal fratellastro Ippocoonte, fuggì presso re Testio di Calidone. Testio aveva due figlie: Altea che sposò Oineo e Leda che, per quanto amata da Zeus, sposò Tindaro e dal quale ebbe quattro figli: Castore, Polluce, Elena e Clitennestra. Secondo il mito, solo Clitennestra era in realtà figlia di Tindaro, mentre Zeus, che aveva sedotto Leda sotto le spoglie di un maestoso cigno, era il vero padre di Elena, Castore e Polluce.

Organizzò poi con Eracle un attacco vittorioso contro Sparta per riconquistare il trono.

Elena era una magnifica fanciulla e in breve la corte fu assalita dai pretendenti. Spaventato dal numero, Tindaro fece giurare a tutti, su suggerimento di Ulisse, anch'egli in un primo momento fra i pretendenti alla mano della ragazza, che chiunque fosse stato il fortunato sposo, tutti loro avrebbero dovuto correre in suo aiuto in caso di necessità.

Elena sposò Menelao. Quando Paride rapì Elena e la portò a Troia, dando inizio alla guerra, Tindaro fece appello al suo giuramento e chiese agli ex pretendenti il loro aiuto.

Tiresia

Tiresia è una figura della mitologia greca. Il celebre indovino era figlio di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Tiresia ebbe una figlia, Manto, anche lei indovina.

Il mito racconta che passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), vide due serpenti che copulavano, ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo.

Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: chi potesse provare in amore più piacere: l’uomo o la donna. Non riuscendo a giungere ad una conclusione, dato che Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l’uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo che donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere sessuale si compone di dieci parti: l’uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché l’indovino aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni.

In altre versioni del mito fu la stessa madre a chiedere il dono della profezia, dopo che la dea Atena lo aveva accecato per punirlo di averla vista nuda mentre si faceva il bagno.

Nel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfussa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.

La storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle metamorfosi (per quanto riguarda l'episodio di "transessualità") e da Stazio nella Tebaide.

Dante Alighieri lo citò vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino però non fa accenno alle sue arti divinatorie ma cita solo il prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito due serpentelli, che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Forse all'Alighieri qui interessava solo deprecare come i maghi talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere "preveggente" in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.

Tiro
(mitologia)
Tiro è una figura della mitologia greca, figlia di Salmoneo e di Alcidice.

Nel libro XI dell'Odissea, si narra del suo amore impossibile per il dio fluviale Enipeo in quanto, oltre a non essere ricambiato da Enipeo, era osteggiato da Sidero seconda moglie di Salmoneo. La cosa non sfuggì a Poseidone che per sedurla ne assunse le sembianze.

Dall'unione tra Poseidone e Tiro nacquero due gemelli. Quando si accorse però che i nascituri non erano figli avuti con Enipeo, per la vergogna Tiro li mise al mondo segretamente e poi li abbandonò su una montagna.

Furono salvati da un guardiano di cavalli che ne aveva udito i loro gemiti, in quanto uno dei due era stato inavvertitamente scalciato da uno dei suoi cavalli. Il guardiano chiamò costui Pelia, per il livido che portava sulla fronte, e l'altro Neleo. Divenuti adulti, i due vollero vendicarsi contro Sidero, e Pelia l'uccise presso l'altare del tempio di Era dove s'era rifugiata.

Finalmente libera dalle angherie della matrigna Tiro si sposò con Creteo, fratello di Salmoneo, e dal quale ebbe tre figli. Il più noto fu Esone, che sarà padre di Giasone, l'eroe del vello d'oro, gli altri due Fere e Amitaone.

La vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei.

Tirreno

Figlio del re della Lidia Ati e di Callitea, eroe eponimo dei Tirreni (Etruschi). A seguito di una carestia, guidò gli emigranti Lidi fino all'Etruria, dove presero il nome di Tirreni. Secondo un'altra tradizione, figlio di Eracle e Onfale. Era ritenuto l'inventore della tromba e diede il suo nome al mare occidentale italico.

Tisameno

Tisameno, nella mitologia greca, era il figlio di Oreste e di Ermione.

Aveva come figli: Daimene, Spartone, Telle, Leontomene e Cometa.

Aveva ereditato il titolo di re di Argo dal padre, dovette poi cederlo agli eraclidi Euristene e Procle (oppure al loro padre Aristodemo).

Un altro Tisameno era re di Tebe, figlio di Tersandro e Demonassa, figlia di Anfiarao. Quando Tersandro morì in Misia nella guerra di Troia, Peneleo diventò reggente di Tisameno fino a maggiore età. Suo successore fu il figlio Autesione.

Tisifone 1

Una delle tre Erinni, innamorata del bell'eroe Citerone, ma questi disprezzava il suo amore. Allora Tisifone trasformò uno dei suoi capelli in un serpente che con un morso uccise Citerone. Il suo nome venne dato alla montagna che, prima, si chiamava Asterione.

Tisifone 2

Figlia di Alcmeone e di Manto e sorella di Anfiloco. Alcmeone affidò i suoi figli a Creonte, re di Corinto, perché li allevasse. Anni dopo la moglie di Creonte, invidiosa della straordinaria bellezza di Tisifone, la vendette come schiava, temendo che il re ne facesse sua moglie. La ragazza fu acquistata dal proprio padre, Alcmeone, che non la riconobbe. Quando Alcmeone ritornò a Corinto, richiese i suoi figli. Il re non potè rendergli che il figlio Anfiloco e, a quel punto, ci si accorse che la schiava acquistata era Tisifone. Così Alcmeone ritrovò i suoi due figli.

Titone


Nella mitologia greca Titone, detto anche Titono era figlio di Laomedonte e della figlia del dio fluviale Scamandro, chiamata Strimo. È fratello di Podarce, che in seguito sarà chiamato Priamo e che diverrà re di Troia. Gli altri suoi fratelli sono Clitio, Icetaone, Lampo e le tre sorelle, Esione, Astioca e Cilla.

Fu amato da Eos (l'aurora), con la quale ebbe un figlio, Memnone, che partecipò alla Guerra di Troia.

La leggenda narra che Eos chiese a Zeus di donargli l'immortalità, dimenticando di richiedere anche l'eterna giovinezza. Vedendo il suo amato diventare sempre più vecchio e privo di forze, Eos ottenne che fosse mutato in cicala.

Tizio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Nella mitologia greca, Tizio (o Titio) era uno dei Giganti, figlio di Zeus ed Elara.

Nascita


Zeus, timoroso della vendetta di Era, decise di nascondere l'amante Elara, figlia di Orcomeno, nelle viscere della terra della Beozia: qui nacque il gigante Tizio. Secondo Omero, invece, quest'ultimo sarebbe stato figlio di Gea; Apollonio Rodio cerca di mediare tra le due tradizioni, facendo di quest'ultima la balia del Gigante.

Morte


Era, per punire Latona, che aveva dato alla luce i figli di Zeus Apollo ed Artemide, ispirò un violento desiderio al gigante. Tizio andò, così, alla ricerca di Latona. Ella si trovava nel bosco di Panopeo dove adempieva ad un rito, quando il gigante Tizio irruppe, cercando di violentarla. Le sue grida furono udite da Artemide e Apollo, che, subito giunti, uccisero il gigante con una moltitudine di frecce. Secondo Pindaro e Callimaco, fu la sola Artemide a ammazzarlo; secondo Apollonio Rodio e Quinto Smirneo, Apollo. Zeus considerò quest'uccisione, nonostante Tizio fosse suo figlio, un atto di giustizia dovuta. Secondo un'altra versione, del resto, fu lo stesso Zeus ad ucciderlo.

Supplizio nel Tartaro

Giunto nel Tartaro, Tizio fu condannato ad un'orribile tortura: le sue braccia e le sue gambe furono fissate con forza al suolo, tanto che il suo gigantesco corpo copriva due (o piuttosto nove, secondo Properzio) acri, mentre due avvoltoi, due aquile o un serpente avrebbero per l'eternità divorato il suo fegato.

Progenie


Secondo una versione del mito, Tizio ebbe per figlio Taso, mentre dalla figlia Europa[9] nacque Eufemo, uno degli Argonauti.

Tlepolemo

Tlepolemo era un eroe della mitologia greca, figlio di Eracle e di Astioche (oppure di Astidamia).

Genealogia

Secondo Omero, Tlepolemo era figlio di Eracle e di Astioche, a sua volta figlia del re di Efira, Filante, che, per sfuggire a una vendetta familiare per aver ucciso lo zio Licinnio, si sarebbe rifugiato nell'isola di Rodi, dove avrebbe fondato le città di Lindo, Ialiso e Camiro. Secondo Pindaro, invece, Tlepolemo era figlio di Astidamia, a sua volta figlia del re di Dolopia Amintore, e sarebbe partito per l'isola di Rodi in seguito al responso di un oracolo.

Biografia


Tlepolemo uccise Licinio, anziano zio materno del padre, e per sfuggire alla vendetta dei parenti si trasferì da Argo, città di cui era re, in una zona disabitata dell'isola di Rodi dove fondò le tre città di cui divenne automaticamente il sovrano; Tlepolemo compare nel secondo canto dell'Iliade come comandante delle truppe di Rodi. La morte di Tlepolemo è narrata nel quinto canto dell'Iliade: Tlepolemo sfida il capo dei Lici Sarpedonte. Nel duello Tlepolemo muore ma ferisce gravemente l'avversario.

Igino cita Tlepolemo anche fra i pretendenti di Elena[5], e in quanto tale avrebbe partecipato alla guerra di Troia. Dopo la sua morte, la regina Polisso, sua moglie, lo avrebbe vendicato uccidendo Elena.

Tlepolemo Damastoride


Tlepolemo, personaggio dell'Iliade, era figlio di Damastore e fu un guerriero troiano.

Tlepolemo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade relativo alla battaglia delle navi.

Tmolo

Re della Lidia, figlio di Ares e di Teogone. Mentre cacciava sul monte Carmanorio, s'innamorò della cacciatrice Arippe, una casta sacerdotessa di Artemide. Arippe, sorda alle minacce e alle lusinghe di Tmolo, si rifugiò nel tempio della sua signora dove, incurante della santità del luogo, il re la violentò sul giaciglio della dea stessa. Arippe s'impiccò a una trave, dopo aver invocato Artemide che subito scatenò la furia di un toro; Tmolo fu lanciato in aria, ricadde su una palizzata appuntita e su ciottoli taglienti e morì tra atroci sofferenze. Il figlio Teoclimeno lo seppellì là dove l'aveva trovato, e chiamò "Tmolo" il monte. Una città dello stesso nome, costruita sulle sue pendici, fu distrutta da un grande terremoto durante il regno dell'imperatore Tiberio.

Toante

Nella mitologia greca, Toante era il nome di diversi personaggi.

Sotto tale nome troviamo:

* Toante, re di Calidone e Aleurone, nell’Etolia;

* Toante, figlio di Dioniso;

* Toante, figlio di Boristene;

* Toante il giovane, uno dei nomi del figlio di Giasone e Ipsipile;

* Toante, uno dei Giganti, che parteciparono alla rivolta contro Zeus e furono sconfitti dalle Moire.

Toante, re di Calidone e Aleurone


Toante figlio di Andremone e Gorge, uno dei pretendenti di Elena, partecipò alla guerra di Troia, schierato con Achille e i suoi compagni, al comando di una flotta composta da cinquanta navi.

Toante, figlio di Dioniso

Toante, figlio del dio Dioniso e di Arianna, divenne re di Lemno e sposò Mirina dalla quale ebbe due figli, Ipsipile e Sicino. Quando le donne dell’isola, stanche del comportamento degli uomini, li uccisero tutti, sua figlia gli risparmiò la vita, facendolo fuggire su una piccola nave.

Toante, figlio di Boristene


Toante, re della Tauride, in questo regno Artemide salvò Ifigenia portandola con sé.

Tosseo 1

Figlio di Eneo, re di Calidone in Etolia, e di Altea, fratello di Meleagro. Il padre lo uccise con le proprie mani perché il ragazzo saltò irriverente il fossato scavato a difesa della città.

Tosseo2

Figlio di Eurito, re d'Ecalia, e fratello di Ifito, Deione, Clizio e Iole.
Eracle, saputo che il suo amico Eurito aveva offerto la propria figlia Iole in sposa all'arciere che fosse stato capace di superare in una gara lui stesso e i suoi quattro figli, subito partì per quella sfida. Eracle vinse la gara senza difficoltà. Eurito ne fu assai amareggiato, e quando seppe che Eracle aveva ripudiato Megara dopo averne ucciso i figli, rifiutò di concedergli Iole in isposa e cacciò Eracle dal palazzo, ma l'eroe giurò di vendicarsi in seguito. Più tardi infatti, Eracle intraprese una spedizione contro Ecalia, conquistò la città, uccise Eurito con i figli e s'impadronì di Iole, che portò via come schiava.

Toote


Nella mitologia greca, Toote è il nome di un araldo acheo che accompagnò gli eserciti di Agamennone e Menelao alla guerra di Troia, sorta in seguito al rapimento di Elena ad opera del troiano Paride. È menzionato da Omero nel libro XII dell'Iliade.

Toote era il portavoce dell'esercito acheo al tempo dell'assedio di Troia. Sciolto dall'obbligo militare, era tuttavia sottoposto ai comandi dei condottieri greci e aveva l'obbligo di recapitare i messaggi assegnatili, indipendentemente dalla lontananza del destinatario.

Araldo di Menesteo


L'episodio omerico che lo vede protagonista si colloca nel libro XII dell'Iliade. Osservando la netta avanzata dei Lici, popolo alleato di Troia, contro la torre da lui difesa, Menesteo, re di Atene, temette per l'incolumità del suo contingente e tentò di richiamare l'attenzione di Aiace Telamonio, Aiace d'Oileo e Teucro con alte grida, soffocate tra l'altro dalle urla e dal suono metallico delle armi.

L'eroe si rivolse allora all'araldo Toote e lo supplicò di recare un messaggio ai due Aiaci con l'invito a raggiungerlo sulla sua torre. Toote riferì testualmente il comando ad Aiace Telamonio, il quale, accompagnato dal fratello Teucro e dal servo Pandione, si apprestò ad accorrere in aiuto.

Tossechine


Nella mitologia greca, Tossechine è il nome di un leggendario compagno di Filottete, menzionato da Quinto Smirneo nel libro XI della Posthomerica (poema epico che narra i fatti successivi all'Iliade di Omero).

Dotato di un nome inconsueto, Tossechine è descritto come un fedele amico dell'arciere Filottete, con cui partecipò alla guerra di Troia; Quinto Smirneo non fornisce altri dettagli su questa figura, ma ne tramanda la bontà d'animo.

Morte


Nell'ultimo scontro aperto tra Troiani e Achei, Filottete cercò di impedire la furiosa avanzata di Enea, scagliando una freccia contro un suo compagno, Medonte, che uccise sul colpo. L'eroe troiano, accecato dal dolore per la sua morte, afferrò un sasso e lo scagliò con violenza contro Tossechine, fracassandogli le ossa del capo all'interno dell'elmo, che rese vana ogni difesa. Stranamente, Filottete, pur avendo assistito alla morte dell'amico, non cercò di vendicarlo.

Trace (mitologia)

Trace era un figlio di Ares da una madre sconosciuta.

Probabilmente il mitico capostitipe dei Traci, guidò il suo esercito Edone in una campagna marittima contro le isole dell'Egeo, saccheggiò Lemno e altre isole circostanti.

Ma quando attaccò il santuario di Apollo a Delo, il Dio inflisse a lui e ai suoi uomini una "orribile malattia" (probabilmente lebbra).

Quando tornarono in Tracia non erano i benvenuti e fondarono una colonia nella piccola isola di Icaria.

Trambello

Figlio di Telamone e di Teanira. Fu allevato, a Mileto, dal re Arione, il quale ne aveva accolto la madre, fuggitiva. In seguito, Arione elesse Trambelo re dei parenti asiatici di Telamone, i Lelegi o, altri dicono, i Lesbi. Trambelo era innamorato di Apriate, un'eroina di Lesbo, ma lei non lo ricambiava. Allora il giovane decise di rapirla mentre ella passeggiava con le sue accompagnatrici. La ragazza si oppose e Trambelo la buttò in mare. Alcuni dicono che vi si gettò lei stessa, e morì annegata.
Quando, nel corso della guerra di Troia, Achille conquistò Mileto, Trambelo combattè contro di lui, e fu ucciso. Ma Achille, ammirando il valore del giovane, s'informò sulla sua identità e, venendo a sapere che era figlio di Telamone e perciò suo parente, provò grande dolore e gli innalzò una tomba sulla spiaggia.


Trasimede


Nella mitologia greca, Trasimede era uno dei figli di Nestore, re di Pilo, e di Anassibia.

Partecipò alla guerra di Troia insieme al fratello Antiloco, conducendo una flotta composta da quindici navi. Nel corso dei combattimenti, egli si distinse uccidendo Maride, un giovane e valoroso guerriero alleato dei Troiani, compagno di Sarpedone. Trasimede fu poi uno degli Achei ad entrare nel cavallo di legno.

Trasio


Trasio, (in greco Θρασίοσ), personaggio dell'Iliade, fu un guerriero troiano.

Trasio fu ucciso da Achille nell'azione bellica descritta nel libro XXI dell'Iliade relativo alla Battaglia del fiume.

Treco


Nella mitologia greca, Treco, era un provetto guerriero, proveniente dall’ Etolia, che si distinse durante la guerra di Troia.

Quando Paride figlio di Priamo re di Troia prese con se Elena moglie di Menelao, scoppiò una guerra fra la Grecia e i troiani. Fra i tanti eroi che risposero all’appello del fratello di Agamennone ci fu Treco, abilissimo guerriero esperto con la lancia.

Durante una delle tante battaglie trovò Ettore sulla sua strada, il greco non arretrò e combatté contro un uomo aiutato da Ares, il dio della guerra, che gli faceva compagnia.

Tritone

Figlio di Poseidone e di Anfitrite, fratello di Roda e Bentesicina. Viene rappresentato come una creatura con la testa e il corpo di uomo e una coda di pesce. Benché la sua dimora sia, generalmente, l'intero mare, Tritone è ritenuto talvolta il dio del lago Tritonio, in Libia.
Quando il terribile vento di nord-est si abbattè sugli Argonauti e in nove giorni li spinse verso le più remote spiagge della Libia, e laggiù un'enorme ondata sollevò l'Argo oltre le insidiose rocce che si sgranano lungo la costa e portò la nave all'asciutto a un miglio circa nell'entroterra, Giasone, confortato in sogno dalla triplice dea Libia, posta l'Argo su dei rulli, indusse gli Argonauti a spingerla a forza di spalle fino al lago salato Tritonio. Qui Tritone apparve sotto le sembianze di un bel giovane chiamato Euripilo e indicò loro quale direzione dovevano prendere per raggiungere il Mediterraneo. In cambio del dono ricevuto dai Greci (un massiccio tripode di bronzo), donò a Eufemo una zolla di terra magica, presagio della venuta in Cirenaica dei suoi discendenti. E infatti Batto, il fondatore della colonia di Cirene, passa per essere un discendente d'Eufemo. Proprio lui gettò nel mare quella sacra zolla da cui spuntò l'isola di Tera.
Tritone era ambiguo, spesso soccorrevole, ma talvolta anche maligno e ostile. In una locale leggenda beota, a Tanagra, si raccontava che, durante una festa di Dioniso, le donne del paese si bagnassero nel lago. E, mentre nuotavano, Tritone le aveva attaccate. Ma Dioniso, rispondendo alle loro preghiere, era giunto in aiuto e aveva messo Tritone in fuga. In un'altra occasione Tritone, avendo cercato di impossessarsi degli armenti, era caduto in trappola: gli abitanti del lago deposero sulla riva una brocca di vino, e Tritone, attirato dall'odore, si avvicinò e bevve. Poi si addormentò sul posto, ciò che permise di ucciderlo a colpi di scure.
Tritone viene associato alla conchiglia del buccino che usava come tromba per sollevare o placare le tempeste. Nella battaglia tra gli dèi e i Giganti, portava anche un tridente come suo padre Poseidone. In un mito che riguarda l'infanzia di Atena si narra che Tritone avesse una figlia, Pallade, con cui la dea giocava e che, durante un accesso d'ira, la dea uccise accidentalmente. La tradizione conosce un'altra figlia di Tritone, una sacerdotessa d'Atena chiamata Triteia, la quale fu amata da Ares dal quale ebbe un figlio, Melanippo, che fondò in Acaia la città di Triteia, attribuendole il nome della madre.

Trittolemo

Trittolemo è un eroe della mitologia greca legato alla dea Demetra ed ai misteri eleusini.

Trittolemo era figlio di Celeo, re di Eleusi, e di Metanira, mentre secondo altre fonti era figlio di Oceano e Gea.

Secondo la tradizione, Demetra mentre cercava la figlia Persefone giunse ad Eleusi nelle sembianze di una vecchia di nome Doso e fu accolta come ospite da Celeo, che le chiese di badare ai suoi due figli, Demofoonte e Trittolemo. Per ringraziare Celeo della sua ospitalità, Demetra decise di fargli il dono di trasformare Demofoonte in un dio. Ma mentre si accingeva a compiere il rituale fu interrotta da Metanira entrata nella stanza.

Demetra decise allora di insegnare a Trittolemo l’arte dell’agricoltura, cosicché potesse trasmettere la sua conoscenza ed insegnare ai Greci a piantare e mietere i raccolti. Sotto la protezione di Demetra e Persefone volò per tutta la regione su di un carro alato per compiere la sua missione di insegnare ciò che aveva appreso a tutta la Grecia.

Tempo dopo Trittolemo insegnò l’agricoltura anche a Linco, re della Scizia, ma costui rifiutò di insegnarla a sua volta ai suoi sudditi e tentò di uccidere Trittolemo: Demetra per punirlo lo trasformò allora in una lince.

Trofonio

Figlio di Apollo e di Epicasta, ma talvolta è ritenuto uno dei figli d'Ergino. Suo fratello Agamede era come lui un famoso architetto. Entrambi progettarono e costruirono a Delfi, il tempio di Apollo; il tempio di Poseidone, in Arcadia, sulla strada da Mantinea a Tegea; la casa d'Anfitrione, a Tebe; il tesoro d'Augia, a Elide; quello di re Irieo, a Iria. Nel costruire quest'ultimo edificio, avevano disposto una pietra in modo tanto scaltro che era facile per loro spostarla e, la notte, i due s'introfulavano nella tesoreria e rubavano del denaro. Irieo, vedendo diminuire il denaro senza che le porte fossero aperte, pensò di tendere una trappola intorno all'edificio, in cui Agamede restò imprigionato. Trofonio, non riuscendo a liberarlo, lo decapitò, affinché non svelasse il nome del complice, ma la terra si socchiuse e inghiottì Trofonio. Nel bosco sacro di Lebadea, sul posto dov'egli era stato inghiottito, fu innalzata una stele.
Il suo sepolcro fu dimenticato per qualche tempo; ma essendo sopraggiunta una carestia ad affliggere la Beozia, si andò a consultare l'oracolo di Delfi, il quale, per mezzo della Pizia, rispose che dovevasi ricorrere a Trofonio, e andare a cercarlo a Lebadea. I messi vi si recarono, ed ottennero la risposta, che indicò loro il modo come far cessar la carestia. Dopo quel fatto a Trofonio venne innalzato un tempio dove riceveva sacrifici in cambio di oracoli. I riti da effettuare per ottenere gli oracoli da Trofonio erano molto laboriosi e complessi. Il supplice doveva purificarsi con parecchi giorni d'anticipo, alloggiare in un edificio dedicato alla Buona Foruna e a un certo Buon Genio, bagnarsi soltanto nel fiume Ercina e sacrificare a Trofonio, alla sua nutrice Demetra e ad altre divinità. In quel periodo il supplice doveva nutrirsi di carni sacre, specialmente delle carni dell'ariete offerto in sacrificio all'ombra di Agamede, fratello di Trofonio, che lo aiutò a costruire il tempio di Apollo a Delfi.
Secondo un'altra leggenda, Trofonio e Agamede che avevano costruito il tempio di Apollo, richiesero al dio il loro salario, questi promise di pagarli al termine di sette giorni. Nell'attesa consigliò loro di vivere allegramente e abbandonarsi a ogni piacere per sei giorni. Al settimo giorno ambedue furono trovati morti nei loro letti. Era la migliore paga che il dio potesse dare loro.

Troilo

Troilo è un personaggio leggendario associato alla storia della guerra di Troia. Il primo riferimento a lui si trova nell' Iliade, la quale venne messa per iscritto nel VII o VIII secolo a.C.

Nella mitologia classica, Troilo è un giovane principe Troiano, uno dei figli del re Priamo (o talvolta di Apollo) e di Ecuba. Le profezie legate al destino di Troilo erano legate a quelle di Troia: una affermava che egli sarebbe stato catturato e ucciso da Achille, un'altra diceva che se egli fosse morto prima dei vent'anni la città sarebbe caduta. Sofocle era uno degli scrittori che si interessarono a questa storia. Essa era anche un tema molto diffuso tra gli artisti del tempo. Egli era anche considerato come un paragone della giovane bellezza maschile.

Nell'Europa Occidentale del Medioevo e nelle versioni rinascimentali della leggenda, Troilo appare come il più giovane dei cinque figli legittimi di Priamo, avuti da Ecuba. Malgrado la sua giovinezza, egli è uno dei più forti capitani troiani nella guerra di Troia. Il giovane morì poi in battaglia per mano di Achille. In un'aggiunta popolare della vicenda, avuta origine nel XII secolo, Troilo s'innamora di Cressida, il cui padre ha disertato i Greci. Cressida garantisce il suo amore a Troilo ma presto trasferisce il suo affetto all'eroe greco Diomede, per ottenere la libertà del padre, preso in ostaggio dai Greci. Chaucer e Shakespeare sono tra gli autori che scrissero opere incentrate sulla vicenda di Troilo e Cressida. Sin dalla tradizione medievale, Troilo era considerato un paragone del fedele amante cortese e anche del virtuoso cavaliere pagano.

Poca attenzione venne rivolta al personaggio durante il XVIII e il XIX secolo. Comunque, Troilo venne riconsiderato nel XX e XXI secolo da autori che scelsero elementi dalla versione classica e medievale della leggenda.

Troo

Secondo la mitologia greca Troo, fu un Re della Dardania figlio di Erittonio, da cui ereditò il trono, e padre di tre figli: Ilo, Assaraco e Ganimede. È l'eponimo di Troia, città che venne chiamata anche Ilio dal nome di suo figlio. Secondo due diverse versioni della leggenda sua moglie fu Calliroe, figlia del dio del fiume Scamandro, oppure Acallaride, figlia di Eumede.

Quando Zeus rapì Ganimede, Troo si addolorò per il destino del figlio: commosso, Zeus inviò da lui Ermes con due cavalli così veloci da poter correre sull'acqua. Ermes rassicurò Troo, dicendogli che Ganimede era diventato immortale e sarebbe stato il coppiere degli dei, un ruolo di assoluto riguardo.

Secondo una variante della leggenda Ganimede è invece figlio di Laomedonte, nipote di Troo.

È da Troo che la stirpe dei Dardanidi prese il nome di Troiani e la loro terra venne chiamata Troade. Nell' Iliade Troo è anche il nome di un guerriero troiano, figlio di Alastore.

Troo
(figlio di Alastore)

Troo è un personaggio citato nel ventesimo libro dell'Iliade.

Troo era un giovane troiano figlio di Alastore (omonimo di un guerriero licio).

La morte


Troo fu il guerriero troiano che più di ogni altro si arrese al grande nemico Achille, che era ritornato in battaglia dopo che l'antagonista del poema Ettore, figlio del re Priamo, gli ebbe ucciso l'amico che aveva mandato al soccorso dei Greci Patroclo, acconsentendogli di prestargli le sue armi perché, credendolo Achille, i Troiani avessero cessato di assediare il campo acheo, tuttavia dopo che Ettore ebbe bruciato una delle navi appartenente a Protesilao, l'eroe greco che per primo, messo piede sul suolo troiano, era stato ucciso da Ettore stesso, all'inizio della guerra di Troia. Achille rientrò in battaglia facendo strage di troiani, cercando Ettore. Non ebbe pietà nemmeno di Troo figlio di Alastore che gli abbracciò le ginocchia sperando che il Pelide non lo ammazzasse; Achille lo colpì con la spada corta al fegato facendolo schizzare fuori; lasciò quindi il nemico a terra, disteso in un lago di sangue. La morte sopraggiunse dopo una breve agonia.


U



Turno

Leggendario re dei Rutuli, figlio del re Dauno e della ninfa Venilia, fratello di Giuturna. La sua leggenda viene compiutamente svolta da Virgilio, nell'Eneide. Qui Turno è presentato come il principale antagonista dell'eroe troiano contro il quale combatte e per istigazione della dea Giunone, e in difesa della sua candidatura alle nozze con Lavinia, figlia di Latino, già a lui promessa dalla regina Amata prima dell'arrivo di Enea. Ma un oracolo aveva detto che Lavinia doveva sposare un uomo che giungeva da lontano. Latino riconobbe in Enea il candidato e lo accolse con cordialità, Giunone però intervenne ancora mandando l'Erinni Aletto a suscitare la guerra fra Troiani e Latini, a ispirare nel cuore della regina Amata un'invincibile avversione per Enea e a destare nel cuore di Turno, re dei Rutuli, viva gelosia. Turno riunì i suoi alleati tra cui Camilla dei Volsci e l'esiliato etrusco Mezenzio. Enea ebbe l'appoggio di Tarconte, re degli Etruschi, i quali odiavano Mezenzio per la sua crudeltà, e di Evandro l'arcade, che era imparentato con i Troiani e aveva da poco fondato la sua colonia a Pallanteo (sul colle Palatino).
Durante l'assenza di Enea, recatosi in Etruria in cerca di altri alleati, Turno attaccò il campo troiano e cercò di bruciare le navi che vennero da Cibele trasformate in Ninfe marine e nuotarono lontano. Quando Enea ritornò, la battaglia stava volgendo al peggio. Pallante, il giovane figlio di Evandro, e molti altri degli uomini di Enea furono uccisi, ma Enea uccise Mezenzio e suo figlio Lauso e mutò le sorti della battaglia. Venne stabilito un armistizio e si giunse all'accordo di risolvere la questione con un combattimento singolo tra due campioni. Ma Giunone fece in modo che i Latini rompessero il patto, e nella battaglia che seguì Enea venne ferito. Venere lo curò ed egli attaccò Laurento, la città di Latino, con tale violenza che Amata, credendo Turno morto, si tolse la vita. Ancora una volta Turno accettò la tregua e il combattimento singolo, ma sua sorella Giuturna, una ninfa d'acqua che l'aveva aiutato a resistere a Enea, abbandonò la sua causa ed Enea lo sconfisse. Turno gli chiese di risparmiargli la vita e l'eroe troiano, compassionevole come sempre, avrebbe voluto salvarlo, ma alla vista del balteo di Pallante, di cui l'eroe rutulo era fregiato, fu preso dall'ira e lo trafisse.

Ucalegonte

Nella mitologia greca, Ucalegonte appare come uno degli anziani compagni di Priamo, a Troia, insieme ai tre fratelli del re e ad altri anziani, quali Antenore, Antimaco, Pantoo e Timete.

Il ruolo di Ucalegonte è sommariamente descritto nell'Iliade; insieme ad altri troiani dalla veneranda età, faceva parte del consiglio degli anziani che si radunava periodicamente presso le Porte Scee per discutere di guerra o per fornire sagge informazioni al re.

Nell'Iliade, Ucalegonte e gli altri anziani appaiono radunati per discutere su una possibile trattativa tra Achei e Troiani, che si sarebbe conclusa con un leale duello tra Paride, il provocatore della guerra, e Menelao, il re di Sparta.

La morte

La fine del vegliardo è raccontata brevemente da Virgilio nell'Eneide; la notte della caduta di Troia la casa di Ucalegonte, che si trova vicino a quella di Enea, viene icnediata dal fuoco delle fiaccole nemiche e rasa al suolo.

Virgilio non allude esplicitamente anche alla morte dell'anziano troiano, ma sicuramente la nota frase "Già arde lì accanto Ucalegonte" fa capire che Ucalegonte è perito nel rogo della sua abitazione (intossicato o divorato dal fuoco).

Udeo

Nella mitologia greca, Udeo era il nome dei uno degli Sparti, la sua fama era dovuta al fatto che si credeva che da lui discendesse l'indovino Tiresia.

Di lui si racconta in occasione delle avventure di Cadmo: quando durante il suo lungo viaggio si fermò con l'intenzione di fondare una città (poi fu Tebe), egli decise di effettuare un sacrificio ad Atena ma un drago, figlio di Ares o comunque a lui sacro, apparve e l'eroe riuscì ad ucciderlo. La stessa dea gli consigliò di seminare i denti strappati alla bestia. Da ognuno dei denti sorse un soldato armato,formando il battaglione degli Sparti.Cadmo riuscì a metterli l'uno contro l'altro e dalla battaglia che seguì sopravvissero solo cinque soldati.Oltre a Udeo , gli altri furono:Echione, Pelore, Ctonio e Ipsenore. Udeo insieme ai suoi compagni aiutò l'eroe nella costruzione della città. Da allora fu uno dei capostipiti delle famiglie nobili della città.


V



Urano

Divinità primigenia, figlio e sposo di Gea (la Terra), con essa generò per primi gli Ecatonchiri o Centimani: Briareo, Gige e Cotto. Seguirono i tre feroci Ciclopi monocoli: Bronte, Sterope e Arge. Ma Urano incatenò questi suoi figli e li gettò nel Tartaro. Nacquero poi i Titani: Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Crono; e le loro sorelle Titanidi: Teti, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Tia. Gea soffriva molto per la perdita dei suoi figli scaraventati nel Tartaro, e indusse i Titani ad assalire il loro padre; e così essi fecero, guidati da Crono, il più giovane dei sei, al quale essa diede come arma un falcetto di selce. Lo assalirono tutti, tranne Oceano: Crono tagliò i genitali del padre e li gettò in mare presso Capo Drepano, dal sangue uscito Gea concepì le tre Erinni (Aletto, Tisifone e Megera), i Giganti e le Ninfe del frassino, chianate Melie, mentre dai genitali caduti in mare nacque la dea Afrodite. Altri ritengono che Zeus generò Afrodite in Dione.
I Titani in seguito liberarono i Ciclopi dal Tartaro e affidarono a Crono la sovranità sulla terra. Non appena ebbe il supremo potere, Crono esiliò nel Tartaro Ciclopi e Titani, unitamente agli Ecatonchiri, e presa in moglie sua sorella Rea governò sull'Elide. Ma era stato profetizzato sia dalla Madre Terra, sia da Urano morente, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato.


X



Venere

Dea italica simbolo della primavera, dei fiori e dei giardini. Il suo culto coincide con quello della greca Afrodite. La storia del figlio di Enea, dei suoi vagabondaggi e della nuova città che fondò in Italia la rese molto importante per i Romani e divenne la protettrice della gente Giulia a cui appartenevano Augusto e i suoi successori, perché discendevano da Giulio, figlio di Enea e quindi nipote della dea. Fu Venere ad aiutare Enea nella fuga da Troia in fiamme e a proteggerlo da Giunone. Fece in modo che Didone, regina di Cartagine, si innamorasse di lui e gli desse rifugio. Lo aiutò anche nella battaglia finale contro Turno, rimettendo la lancia che era finita su un albero nelle sue mani perché potesse combattere.

Vertumno

Nome latinizzato della principale divinità etrusca, Voltumna, particolarmente venerata nel cosiddetto fanum Voltumnae, presso Volsinii (Orvieto), considerato come il centro religioso, e in molti casi anche politico, della dodecapoli. Le caratteristiche di Vertumno sono incerte: talora appare come spirito malefico, talora come dio della vegetazione, talora della guerra; pare che in origine fosse una divinità sotterranea. Anche la sua iconografia è dubbia, nonostante vari tentativi di identificazione con tipi statuari conosciuti. Nel 264 a. C. il suo culto fu introdotto in Roma, dove ebbe un tempio sull'Aventino. Ovidio ne fa lo sposo della ninfa Pomona, probabilmente perché Vertumno era protettore della vegetazione e, particolarmente, degli alberi da frutto.

Vesta

Una delle più importanti divinità romane antiche, dea del focolare domestico. Il suo nome è derivato da quello della greca Estia, e sembra sia stato introdotto attraverso la colonia calcidese di Cuma. Il culto di Vesta era diffuso anche nelle città del Lazio; era privo di immagini, e solo in età tarda se ne ebbero delle immagini in aspetto di matrona. Consisteva soprattutto nel mantenimento del fuoco sacro, che veniva spento per essere immediatamente riacceso soltanto il 1° marzo, il giorno iniziale dell'anno secondo il più antico calendario romano. Lo spegnimento in altre occasioni era considerato presagio di gravissime sciagure: la riaccensione non poteva avvenire se non mediante l'uso di un'arbor felix. Il tempio di Vesta, nel Foro, conservò, nonostante successive ricostruzioni, la forma circolare tradizionale della capanna primitiva del Lazio. In esso potevano entrare solo le Vestali e il Pontefice Massimo e, nella ricorrenza delle Vestalia, che si svolgevano dal 7 al 15 giugno e culminavano il 9, le donne. Il penus Vestae, poi, che conteneva i Penati dello Stato e il Palladio, poteva essere visitato solo dalle sacerdotesse.
A Roma era considerata protettrice dello Stato; le Vestali, sue sacerdotesse, custodivano il fuoco sacro, simbolo appunto dello Stato.

Virbio

Antica divinità laziale, venerata nel santuario di Diana nel bosco sacro di Aricia (oggi Ariccia), sulle rive del lago di Nemi. Dopo l'introduzione in Roma della mitologia greca, Virbio venne considerato come il figlio di Teseo, Ippolito. I Latini, infatti, narrano che Artemide, dopo aver chiesto ad Asclepio di risuscitare il corpo di Ippolito, lo avvolse in una fitta nube e gli fece assumere le sembianze di un vecchio e decise di nasconderlo nel bosco a lei sacro ad Aricia, in Italia. Colà, col consenso di Artemide, Ippolito sposò la ninfa Egeria. Affinché nulla gli ricordasse la sua morte, Artemide gli diede il nuovo nome di Virbio, che significa vir bis due volte uomo; e nessun cavallo può avvicinarlo. Soltanto gli schiavi fuggiaschi possono divenire sacerdoti di Artemide Aricina. Nel bosco a lei sacro sorge un'antica quercia, i cui rami non si debbono spezzare; ma qualora uno schiavo osi compiere questo gesto, il sacerdote, che ha a sua volta ucciso il proprio predecessore e vive in un costante timore della morte, deve duellare con lui, spada contro spada, per la carica sacerdotale. Gli Arici dicono che Teseo supplicò Ippolito di rimanere con lui ad Atene, ma che Ippolito rifiutò.
Pare che Virbio fosse raffigurato in aspetto di vecchio.

Virginia

Eroina romana. Secondo la leggenda, durante la tirannia dei decemviri (sec. V a. C.), uno di questi, Appio Claudio, non essendo riuscito a sedurre Virginia, la bella figlia di un centurione a nome Virginio, che si trovava con l'esercito sul monte Algido, la fece dichiarare dal tribunale schiava di un suo cliente, Marco Claudio. Approfittando dell'assenza del padre di Virginia, Appio affidò la ragazza alla custodia di Marco Claudio, ma Icilio, il giovane a cui era stata promessa in matrimonio, apparve con lo zio Numitorio e impedirono che cadesse nelle mani di Marco Claudio, in attesa dell'arrivo del padre. Appio inviò messaggi ai comandanti dell'esercito perché impedissero all'uomo di partire, ma Virginio riuscì ugualmente a tornare e condusse la figlia al foro, vestita a lutto. Appio dichiarò che Virginia era una schiava e doveva essere consegnata al suo legittimo proprietario e Marco Claudio cercò di toglierla dalle braccia del padre. Virginio cercò di resistere ma vide avvicinarsi un gruppo di uomini armati. Allora fece mostra di obbedienza e chiese qualche minuto da trascorrere con la figlia. Rapidamente la portò in una macelleria che si trovava nei pressi e la uccise colpendola al cuore, maledicendo Appio, e dichiarando che la morte era preferibile al disonore. Il suo gesto disperato sollevò il furore del popolo, che rovesciò il governo decemvirale ricostituendo la repubblica.

Vulcano

Divinità romana del fuoco, particolarmente venerata a Ostia, ove esisteva un sacerdozio detto del pontifex Volcani et aedium sacrarum. La sua identificazione con il greco Efesto appare piuttosto tardiva. Non è da escludersi una sua derivazione dall'etrusco Velchan, meno plausibile una sua identificazione con il cretese Velchanos, attributo o forse secondo nome di Zeus. Oltre a Ostia, Vulcano aveva un luogo sacro, il Volcanale, nel Foro, e un tempio presso il circo Flaminio. Le sue feste, dette Volcanalia, si svolgevano il 23 agosto. Alle feste di Vulcano, si usava gettare nel fuoco dei piccoli pesci, e talvolta altri animali. Si riteneva che queste offerte rappresentassero vite umane, per la conservazione delle quali esse venivano sacrificate al dio.

Xanto 1

Xanto e Baio erano i cavalli immortali di Achille, nati sulle rive dell'Oceano, e dati da Poseidone a Peleo come dono di nozze. I loro nomi significano "baio" e "pezzato" ed erano figli del vento occidentale Zefiro e dell'arpia Podarge. Achille li condusse a Troia e li prestò a Patroclo quando questi condusse i Mirmidoni in battaglia. Alla morte di Patroclo i due cavalli piansero amaramente e Zeus ebbe pietà di loro, rimpianse di averli donati a un mortale costringendoli a restare coinvolti nelle sofferenze di quelle miserabili creature. Diede loro la forza di sfuggire a Ettore e così fecero ritorno alle linee greche.
Quando Achille tornò in battaglia criticò i due cavalli per non aver riportato Patroclo sano e salvo, e Xanto ricordò ad Achille che Patroclo non era morto a causa loro ma perché Apollo aveva decretato la sua fine per dare gloria a Ettore, e aggiunse anche che la morte dello stesso Achille era prossima. Le Erinni lo ammutolirono improvvisamente e da allora Xanto non parlò più. Achille dichiarò che la profezia della sua morte non gli era nuova poiché l'aveva già udita in gioventù.

Xanto 2

Altro nome del fiume di Troia, Scamandro, e del suo dio. Xanto, insieme col torrente Simoenta che confluiva nello Scamandro, si oppose ai greci, e sollevò le sue onde contro Achille. L'eroe era sul punto di soccombere, allorché Era inviò in suo soccorso Efesto armato di fuoco. Questo dio accese tutta la pianura costringendo il fiume a rientrare nel suo corso, e per non seccarlo gli fece giurare che non avrebbe dato mai più soccorso ai Troiani.

Xanto 3

Nome di uno dei quattro stalloni del re tracio Diomede, che Euristeo ordinò ad Eracle di catturare, come sua ottava Fatica. Diomede teneva le sue cavalle legate con catene di ferro a mangiatoie di bronzo, e le nutriva con la carne dei suoi ospiti ignari. Un'altra leggenda vuole che si trattasse di stalloni e non di cavalle, ed elenca i loro nomi: Podargo, Lampone, Xanto e Dino.

Xuto

Xuto o Suto è un personaggio della mitologia greca, secondogenito di Elleno e della ninfa Orseide, nonché fratello di Eolo e di Doro.

Cacciato dalla Tessaglia dai suoi due fratelli, si trasferì ad Atene, in Attica, dove prese in sposa Creusa, figlia di Eretteo, da cui ebbe Ione e Acheo. Quando gli fu chiesto di indicare un successore per Eretteo, scelse Cecrope, il più anziano dei fratelli della moglie, scatenando così le ire degli altri pretendenti.

Scacciato ancora una volta dalla terra d'adozione, giunse in Peloponneso dove divenne re.

In altre versioni sono Eolo e Iono i figli di Suto. Euripide, nella tragedia Ione, fa di Iono il fratello maggiore di Doro e Acheo.


Z




Zacinto

Eroe eponimo dell'isola di Zacinto (oggi Zante), nel Mar Ionio. Secondo le tradizioni, questo eroe è ritenuto figlio di Dardano, o un Arcade venuto dalla città di Psofi.

Zagreo

Originariamente divinita sotterranea e agreste cretese, divenne nei misteri orfici una manifestazione del dio Dionìso.
Il mito di Zagreo, quale si desume dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli (libro VI), lo faceva figlio di Zeus e Persefone. Il sommo dio affidò ai Cureti cretesi figli di Rea, o secondo altri ai Coribanti, il compito di custodire la culla di Zagreo nella grotta Idea e colà essi gli danzavano attorno, battendo le loro armi l'una contro l'altra, come già avevano fatto attorno alla culla di Zeus sul Ditte. Ma i Titani, nemici di Zeus e istigati da Era, sbiancandosi il volto col gesso per rendersi irriconoscibili, attesero finché i Cureti furono addormentati e a mezzanotte indussero Zagreo a seguirli, offrendogli dei giocattoli: un cono, un rombo, mele d'oro, uno specchio, un astragalo e un batuffolo i lana. Zagreo diede prova di grande coraggio quando poi i Titani gli balzarono addosso minacciosi e si sottopose a varie metamorfosi per trarli in inganno: divenne successivamente Zeus avvolto in pelle di capra, Crono che fa cadere la pioggia, un leone, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre e un toro. A questo punto i Titani lo afferrarono saldamente per le corna, gli affondarono i denti nella carne e lo divorarono vivo.
Atena interruppe l'orrendo banchetto poco prima della fine e, impadronitasi del cuore di Zagreo, lo portò a Zeus. Dal cuore Zeus rigenerò suo figlio nel corpo di Semele, e punì i Titani per il loro delitto colpendoli con la sua folgore che li ridusse in cenere. Da queste ceneri nacque il genero umano. Quando il figlio di Semele creato dal cuore di Zagreo nacque, Zeus lo chiamò Dioniso. Il mito orfico a questo punto aderì al mito dionisiaco.

Zefiro

Dio del vento occidentale; uno dei figli di Astreo e di Eos, sposo di Clori, da cui ebbe un figlio, Carpos. Si innamorò del giovane Zacinto di Amicle, nei pressi di Sparta. Ma anche Apollo corteggiava Zacinto e ne ottenne i favori, allora Zefiro si vendicò deviando un disco che il dio aveva lanciato in modo che colpisse il giovane alla testa uccidendolo. Zefiro era il padre dei cavalli immortali Xanto e Balio. Aveva ingravidato la loro madre, un'Arpia, mentre pascolava in forma di puledra nei prati lungo le rive dell'oceano. Zefiro era considerato un vento gentile, ben diverso dal duro vento del nord, Borea. Fu Zefiro a sospingere Psiche nel castello di Cupido (Eros). Secondo alcuni sua sposa era Iride, l'arcobaleno.
Nell'Attica gli era dedicato un altare sulla via sacra di Eleusi. Nella mitologia romana a Zefiro corrispondeva Favonio.

Zete

Figlio di Borea e Orizia, gemello di Calaide. Ai due gemelli, quando raggiunsero la maturità spuntarono le ali; Orizia ebbe da Borea anche due figlie: Chione che generò Eumolpo a Poseidone, e Cleopatra, che sposò Fineo, vittima delle Arpie. Zete e Calaide presero parte con Giasone alla spedizione degli Argonauti per la conquista del Vello d'oro. Quando la nave Argo fece scalo a Sarmidesso, capitale della Tinia in Tracia, il re Fineo, veggente, ospitò gli Argonauti, li informò sul futuro del loro viaggio, quindi li pregò di aiutarlo, sapendo che due di loro, i suoi alati cognati Calaide e Zete, sarebbero riusciti a cacciare le Arpie. Queste odiose creature entravano svolazzando nel palazzo all'ora dei pasti e rubavano cibo alla tavole del re, insozzando il poco che rimaneva coi loro escrementi. Fu dunque preparato un banchetto per gli Argonauti e subito le Arpie piombarono sulle tavole. Calaide e Zete si levarono con la spada in mano e inseguirono le Arpie nell'aria facendole fuggire lontano, al di là del mare. Alcuni dicono che essi raggiunsero le Arpie alle isole Strofadi, ma risparmiarono le loro vite quando i mostri implorarono pietà; infatti Iride, messaggera di Era, intervenne e promise che le Arpie sarebbero ritornate alla loro caverna del Ditte in Creta e mai più avrebbero molestato Fineo.
I boreadi parteciparono ai giochi funebri per le esequie di Pelia, Zete vinse la corsa podistica più breve e suo fratello Calaide la più lunga. Ma, ben presto, furono uccisi da Eracle, che non perdonava loro d'aver consigliato agli Argonauti di abbandonarlo in Misia, allorché si era attardato nella ricerca dell'amato Ila. Mentre tornavano dai funerali di Pelia, l'eroe li scoprì nell'isola di Teno, e li uccise. Innalzò loro due stele che vibravano ogni volta che il Vento del nord soffiava sull'isola.

Zeto

Zeto è una figura della mitologia greca, figlio di Zeus e Antiope (a sua volta figlia di Nitteo di Tebe), fu sposo di Aedona.

Quando Nitteo seppe che la figlia Antiope era incinta, la cacciò. Ella si recò a Sicione, presso lo zio Lico, che la trattenne alla stregua di una prigioniera.
Nacquero due gemelli, Anfione e Zeto. Il re ordinò che venissero abbandonati sul monte Citerone, affinché morissero. I neonati furono trovati da un pastore, che li allevò come propri figli.

Antiope fu riportata alla Cadmea, da Lico e da sua moglie, Dirce, in quanto erano appena succeduti a Nitteo. Dirce trattò Antiope crudelmente, tanto da costringerla a fuggire e trovare rifugio presso i figli.

Divenuti adulti, i figli vendicarono la madre, uccidendo Lico e facendo trascinare Dirce da un toro. I fratelli si impossessarono del regno tebano e costruirono una nuova città ai piedi della Cadmea. Zeto portava le pietre, mentre Anfione suonava la lira, il cui suono faceva disporre le pietre nel punto voluto magicamente.

Una volta che la città fu costruita, i due fratelli la governarono in pieno accordo.

Zeus

Divinità suprema dell'antica religione ellenica. La tradizione informa che Crono sposò sua sorella Rea, ma era stato profetizzato sia dalla Madre Terra, sia da Urano morente, che uno dei figli di Crono l'avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, Crono divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Rea era furibonda e partorì Zeus, il suo terzo figlio maschio, a notte fonda sul monte Licia in Arcadia, e lo affidò alla Madre Terra. Costei portò Zeus a Litto, in Creta e lo nascose nella grotta Dittea sulla collina Egea. Colà Zeus fu custodito dalla ninfa dei frassini Adrastea e da sua sorella Io, ambedue figlie di Melisseo, e nutrito con il latte della ninfa (o capra) Amaltea. Attorno alla dorata culla di Zeus bambino, montavano la guardia i Cureti figli di Rea. Essi danzavano battendo le spade contro gli scudi e gridando per coprire i vagiti del piccolo, perché Crono non potesse udirli nemmeno da lontano. Rea infatti, dopo il parto, aveva avvolto una pietra nelle fasce e l'aveva data a Crono che la inghiottì, convinto di divorare il suo figliolo Zeus. Col passare del tempo tuttavia, Crono cominciò a sospettare la verità e si mise a inseguire Zeus, che trasformò se stesso in serpente e le sue nutrici in orse: ecco perché brillano in cielo le costellazioni del Serpente e delle Orse.
Divenuto adulto, Zeus volle impadronirsi del potere detenuto dal tirannico padre e convinse la titanessa Meti a mettere un emetico nella bevanda di Crono. Crono vomitò i cinque figli che aveva inghiottiti insieme alla grossa pietra che era stata sostituita a Zeus. Tale pietra venne successivamente posta dallo stesso Zeus a Delfi, dove divenne oggetto di venerazione come omphalos, ombelico o centro della terra e del mondo. In segno di gratitudine, i fratelli e le sorelle riportati in vita chiesero a Zeus di guidarli nella guerra contro i Titani, che si erano scelti il gigantesco Atlante come capo.
La guerra durò dieci anni (Titanomachia), ma infine la Madre Terra profetizzò la vittoria di suo nipote Zeus, se egli si fosse alleato a coloro che Crono aveva esiliato nel Tartaro. Uccise perciò la loro carceriera, Campe, e liberò i giganti centimani (Ecatonchiri) e i Ciclopi, che diedero a Zeus la folgore, arma invincibile, ad Ade un elmo che rendeva invisibili, e a Poseidone un tridente. I tre fratelli tennero poi un consiglio di guerra; Ade si introdusse segretamente nella dimora di Crono per rubargli le armi e, mentre Poseidone lo minacciava col tridente per sviare la sua attenzione, Zeus lo colpì con la folgore. I tre giganti centimani stritolarono sotto una pioggia di sassi i Titani superstiti e un improvviso urlo del dio Pan li mise in fuga. Gli dèi si lanciarono all'inseguimento. Crono e tutti i Titani sconfitti, a eccezione di Atlante, furono esiliati nelle isole britanniche all'estremo occidente (oppure, come altri dicono, nel Tartaro) sotto la sorveglianza degli Ecatonchiri, e non turbarono più la pace dell'Ellade. Ad Atlante, come loro capo, fu riservata una punizione esemplare: doveva infatti sostenere sulle sue spalle il peso del cielo; ma le Titanesse furono risparmiate, per intercessione di Meti e di Rea. Dopo la vittoria, i tre fratelli divini Zeus, Poseidone e Ade decisero quindi di dividersi l'universo in tre regni. Zeus ebbe in sorte il Cielo, mentre ai fratelli Poseidone e Ade andarono rispettivamente il Mare e il regno dei morti; la terra rimase dominio comune.

Zeus lotta contro i Giganti Tuttavia, la vittoria di Zeus e degli Olimpi fu ben presto contestata loro, ed essi dovettero lottare contro i Giganti, sobillati dalla Madre Terra, irritata nel sapere i propri figli, i Titani, rinchiusi nel Tartaro. Era profetizzò che i Giganti non sarebbero mai stati uccisi da un dio, ma soltanto da un mortale che vestiva pelle di leone, e che anche costui non sarebbe riuscito nell'intento se non avesse trovato, prima dei Giganti, una certa erba che rendeva invulnerabili e cresceva in un luogo segreto sulla terra. Zeus subito si consigliò con Atena e la mandò ad informare Eracle (il mortale vestito di pelle di leone cui Era voleva chiaramente alludere) di come stavano le cose; poi proibì a Eos (l'Aurora), a Selene (la Luna) e a Elio (il Sole) di brillare per qualche tempo. Alla debole luce delle stelle, Zeus vagò in una regione indicatagli da Atena, trovò l'erba magica e la portò in cielo. Gli Olimpi poterono allora affrontare in battaglia i Giganti. Alcioneo fu ucciso da Eracle, aiutato da Atena, la quale consigliò all'eroe di trasportarlo lontano da Pallene, suo paese natale, perché ogni volta che cadeva al suolo, subito riprendeva forza toccando la sua terra. Eracle si caricò Alcioneo sulle spalle e lo portò oltre il confine della Tracia, eliminandolo poi a colpi di clava. Porfirione si precipitò su Era, ma ferito al fegato da una freccia di Eros, la sua furia omicida si trasformò in brama lussuriosa e lacerò la vesta di Era. Zeus, vedendo che il gigante stava per oltraggiare sua moglie, abbattè Porfirione con una folgore. Il gigante si rialzò subito, ma Eracle lo ferì mortalmente con una freccia. Frattanto Efialte aveva impegnato Ares in battaglia e l'aveva costretto a piegare le ginocchia; ma venne ucciso da una freccia di Apollo nell'occhio sinistro e da un'altra d'Eracle nell'occhio destro. Dioniso abbattè Eurito con un colpo di tirso, Ecate bruciacchiò Clizio con le sue torce, Efesto ustionò Mimante con proiettili di ferro rovente, Atena colpì Pallante con una pietra, ma sempre, in questi casi, Eracle dovette vibrare il colpo mortale. Scoraggiati, i Giganti superstiti si rifugiarono sulla terra e gli Olimpi li inseguirono. Encelado fuggì, ma Atena gli scagliò addosso un gran masso, che si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Polibote fu inseguito da Poseidone attraverso i flutti e giunse nell'isola di Cos. Il dio spezzò una parte dell'isola, chiamata Nisiro e la lanciò sul gigante. Ermete, preso in prestito l'elmo di Ade, che rendeva invisibili, uccise Ippolito, mentre Artemide uccideva Grazione con una freccia. Le Moire, con i loro proiettili infuocati bruciarono le teste di Agrio e di Toante. In quanto agli altri Giganti, Zeus li fulminò ed Eracle li finì con le sue frecce.

Zeus scaglia dardi contro Tifone Dopo questo tentativo fallito di sconfiggere Zeus, Gea (la Terra) non si rassegnò; si giacque col Tartaro nella grotta di Coricia in Cilicia e generò il più giovane dei suoi figli, Tifone: il mostro più grande che mai vedesse la luce del sole. Quando Tifone si lanciò all'assalto dell'Olimpo, gli dèi fuggirono terrorizzati in Egitto dove si travestirono da animali. Soltanto Atena non si mosse e rimproverò Zeus per la sua codardia finché il sommo dio, riassumendo le sue vere sembianze, scagliò da lontano dei fulmini contro Tifone e, lottando a corpo a corpo, l'abbattè con il medesimo falcetto di cui s'era servito per castrare Urano. Ferito e ululante, Tifone si rifugiò sul monte Casio e colà il mostro, che era soltanto ferito, avvolse Zeus nelle sue mille spire, gli strappò il falcetto e dopo aver tagliato i tendini delle sue mani e dei suoi piedi lo trascinò nella grotta di Coricia. Nascose i tendini di Zeus in una pelle d'orso e li affidò alla custodia di Delfine, sua sorella, un mostro per metà donna e per metà serpente. La notizia della sconfitta di Zeus sparse il panico tra gli dèi, ma Ermete e Pan si recarono segretamente alla grotta di Coricia, dove Pan terrorizzò Delfine con un improvviso orribile urlo, mentre Ermete abilmente sottraeva i tendini per rimetterli nelle membra di Zeus che ritornò sull'Olimpo e, salito su un carro trainato da cavalli alati, inseguì di nuovo Tifone scagliando folgori. Tifone era andato sul monte Nisa, dove le tre Moire gli offrirono frutti effimeri facendogli credere che gli avrebbero ridonato forza, mentre invece lo predisponevano a sicura morte. Tifone raggiunse poi il monte Emo in Tracia e, accatastando le montagne l'una sull'altra, le fece rotolare verso Zeus che, protetto da una cortina di folgori, riuscì a salvarsi mentre le montagne rimbalzavano indietro su Tifone, ferendolo in modo spaventoso. I fiumi di sangue sgorgati dal corpo di Tifone diedero al monte Emo il suo nome. Il mostro volò poi in Sicilia, dove Zeus pose fine alla sua fuga schiacciandolo sotto il monte Etna, che da quel giorno sputa fuoco.
Zeus non si lasciava trasportare dai propri capricci come gli altri dèi dell'Olimpo, a meno che non si trattasse di capricci amorosi. Dalle sue unioni divine nacquero dèi e dee che sedettero nel gran consesso degli Olimpi; i suoi amori con donne mortali generarono altri dèi o stirpi di eroi. La prima delle spose di Zeus in ordine di tempo fu Meti, figlia d'Oceano, che per sfuggire alle voglie del dio assunse diverse forme, ma infine fu raggiunta e fecondata. Un oracolo della Madre Terra disse che sarebbe nata una figlia e che, se Meti avesse concepito una seconda volta, sarebbe nato un figlio destinato a detronizzare Zeus. Questi allora inghiottì Meti. A tempo debito, Zeus fu colto da un terribile dolore di capo e subito accorse Ermete, che indovinò la causa della pena di Zeus. Egli indusse dunque Efesto o, come altri dicono, Prometeo, a munirsi di ascia e di maglio per aprire una fessura nel cranio di Zeus, ed ecco balzar fuori, tutta armata, la dea Atena. Zeus sposò poi Temi, una delle Titanidi, e da lei ebbe le tre Ore: Eunomia, Diche e Irene; le tre Moire (le Parche), Cloto, Lachesi e Atropo; la Vergine Astrea, personificazione della Giustizia. Una tradizione vuole Zeus unito a Dione che gli avrebbe partorito Afrodite. Zeus lasciò Temi per Eurinome, un'altra oceanide che generò le Cariti (cioè, le Grazie: Aglae, Eufrosine e Talia); poi sposò sua sorella Demetra che gli generò Persefone. Si unì alla titanessa Mnemosine ("memoria") che generò le nove Muse e, secondo alcuni, giacque con Latona e in lei generò Apollo e Artemide. Soltanto a questo punto si pose il matrimonio sacro di Zeus con la sorella Era, la sposa ufficiale. Da questo matrimonio nacquero Ares, Ebe e Ilizia. Era diede alla luce Efesto senza intervento maschile, per vendicarsi della nascita di Atena dalla testa di Zeus. Un'altra sposa divina fu Maia, figlia di Atlante, che generò Ermete. Di lei Era non fu gelosa, mentre nei confronti di tutte le altre mogli e amanti, ninfe o mortali, mostrava un'implacabile furia vendicativa. Vedendo la bellissima nereide Teti sia Zeus sia Poseidone furono incantati dal suo fascino e cercarono di sedurla, ma appena Zeus seppe dal titano Prometeo che il figlio di Teti era destinato a diventare più grande di suo padre, la costrinse a sposare il mortale Peleo.

Zeus seduce Leda La prima donna mortale sedotta da Zeus fu Niobe, figlia di Foroneo, re di Argo. Sedusse anche un'altra donna argiva, Io, figlia di Inaco, a lungo perseguitata da Era, e in lei generò Epafo, antenato dei re d'Egitto. Vide Europa sulla spiaggia di Tiro e, infiammato d'amore per la sua bellezza, si trasformò in un toro d'un candore abbagliante, la portò in groppa fino a Creta dove, vicino a una fonte nei pressi di Gortina, si trasformò in aquila e la violentò. Europa gli generò tre figli: Minosse, Radamanto e Sarpedone, i quali nacquero nella casa di Asterione, re di Creta, poiché a lui, già incinta, Zeus la maritò. Generalmente Zeus appariva alle donne mortali nella forma d'un animale. Quando Semele, figlia di Cadmo, venne sedotta, Era la convinse a chiedere al dio di provare la sua identità apparendole nella sua vera forma e a quella vista Semele incenerì. Zeus allora portò il feto di Dioniso nella sua coscia fino a quando non fu pronto per nascere. Visitò Danae, madre di Perseo, e si unì a lei in forma di pioggia d'oro poiché suo padre Acrisio l'aveva rinchiusa in una torre. Sedusse Leda, moglie di Tindaro e madre di Elena e dei Dioscuri, in forma di cigno. In Antiope Zeus generò Anfione e Zeto, re di Tebe; la compagna mortale a cui apparve con le sembianze del consorte Anfitrione fu Alcmena, madre di Eracle, l'eroe predestinato a salvare gli dèi nella guerra decisiva contro i Giganti (Gigantomachia).
Non vi era regione del mondo ellenico che non si vantasse di avere come eponimo un figlio nato dagli amori di Zeus. Così i Lacedemoni si dicevano discendenti del dio e della ninfa Taigeta; gli Argivi si riconoscevano in Argo, nato da Zeus e dalla Niobe argiva; i Cretesi vantavano la loro origine dai figli di Europa. Allo stesso modo i grandi protagonisti delle leggende e molti degli eroi si ricollegavano a Zeus: è il caso di Agamennone e Menelao che discendevano da Tantalo, o di Achille e Aiace discendenti da Zeus attraverso la ninfa Egina. Il padrone del mondo spesso sceglieva a capriccio le sue amanti e le prendeva con grande malizia e furbizia, cambiando aspetto o forma, lasciando poi le sue vittime esposte alla vendetta della gelosa Era. È quanto accadde alla tenera Io, a Callisto, o a Europa; accadde anche a Semele che pure gli concepì il divino Dioniso. Altre volte, nella volontà di Zeus di dare figli a donne mortali, i poeti e i mitografi hanno voluto ricercare un atto provvidenziale: Leda che egli fecondò sotto forma di cigno, doveva partorire Elena affinché provocasse un conflitto sanguinoso che facesse diminuire la popolazione troppo numerosa della Grecia e dell'Asia; dall'inganno perpetrato nei riguardi di Alcmena nascerà Eracle, l'eroe destinato a portare pace, ordine e sicurezza tra gli uomini, distruggendo mostri e briganti.
Zeus volle punire con il diluvio la razza umana abbrutita dai vizi e l'empietà di Licaone, re dell'Arcadia, che aveva cercato di servire carne umana agli dèi. Più tardi, confinò Tantalo nel Tartaro per lo stesso delitto e anche per aver rivelato i segreti degli dèi agli uomini. Issione venne punito perché si era mostrato di un'estrema ingratitudine nei riguardi di Zeus che l'aveva purificato e salvato dalla follia in seguito all'uccisione del suocero, ma anche perché osò innamorarsi di Era e tentare d'usarle violenza. Zeus punì anche Asclepio per aver disobbedito alle sue leggi resuscitando i morti, e in risposta Apollo cercò di vendicare suo figlio uccidendo i Ciclopi che avevano creato la folgore di Zeus. Zeus avrebbe voluto precipitare Apollo nel Tartaro, ma Latona intervenne ottenendo che Apollo per punizione servisse per un anno intero, come bovaro, Admeto, re di Fere in Tessaglia.
Zeus ebbe a volte scontri con gli dèi e punì severamente le loro trasgressioni. Quando Era, Poseidone, Apollo e tutti gli altri dèi, a eccezione di Estia, si ribellarono e cercarono d'incatenarlo con corde di cuoio, venne salvato da Teti e dal centimane Briareo. Poiché la congiura contro di lui era stata organizzata da Era, Zeus la sospese alla volta celeste fissandole due bracciali d'oro ai polsi e legandole un'incudine a ogni caviglia. Efesto, che si era del tutto riconciliato con Era, quando vide la madre appesa al cielo, osò rimproverare Zeus che, infuriato, lo scagliò giù dall'Olimpo rendendolo per sempre zoppo. Zeus punì poi Apollo e Poseidone costringendoli a servire il re Laomedonte, per il quale costruirono le mura di Troia; ma perdonò tutti gli altri Olimpi, perché avevano agito istigati dai primi. Fu anche spietato con gli errori degli uomini mortali, soprattutto verso quelli che si arrogavano la sua maestà, come Salmoneo e Ceice.
Zeus intervenne anche nelle dispute che sorgevano un po' dappertutto: fra Apollo ed Eracle, a proposito del tripode di Delfi, che Eracle voleva portare via e fissare un suo oracolo in altro luogo. Apollo ingaggiò una lotta che rimase incerta, poiché Zeus separò i due combattenti lanciando fra di loro un colpo di fulmine, e l'oracolo restò a Delfi. Poi intervenne fra Apollo e Ida, a proposito di Marpessa che Apollo cercò di sottrarre a suo marito, ma essa rimase fedele a Ida; fra Pallade e Atena, provocando così, involontariamente, la morte di Pallade; fra Atena e Poseidone, i quali si disputarono il possesso dell'Attica; fra Afrodite e Persefone, innamorate entrambe del bell'Adone, il quale, per decisione di Zeus, venne costretto a vivere un terzo dell'anno con Afrodite, un terzo con Persefone e un terzo dove voleva lui. Zeus passava per aver rapito il giovane Ganimede, nella Troade, e per averlo fatto suo coppiere personale in sostituzione di Ebe.
L'iconografia ci presenta il dio in vari atteggiamenti: nudo mentre scaglia la folgore; tranquillo mentre impugna la folgore e si appoggia allo scettro; eretto col corpo parzialmente avvolto nelle vesti; seduto, impugnante con la destra lo scettro sormontato da un'aquila e recante con la sinistra protesa una Nike. A Roma Zeus fu identificato con Giove, come lui dio del cielo luminoso e dio protettore della città, nel suo tempio del Campidoglio.

Edited by demon quaid - 7/12/2014, 16:02
 
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eracle
view post Posted on 22/2/2016, 20:57     +1   -1




indica quante e quali trasformazioni effettua nereo e come reagisce eracle
 
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94 replies since 12/6/2010, 23:03   25114 views
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