Un Mondo Accanto

Torture medievali, Dove non arriva il demonio ci pensa l'uomo

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 19/7/2013, 15:30     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Una cella con dentro un monaco. In questa cella, l'inquisito veniva portato per le varie torture, alle quali il monaco doveva assistere, fino a che il torturato o confessava, oppure moriva.



Una foto dell'epoca, dell'inquisizione spagnola, che ritrae gli imputati messi al rogo.



Edited by demon quaid - 28/11/2014, 22:50
 
Top
view post Posted on 23/7/2013, 15:36     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Gabbia di ferro. Appesa all’esterno di un palazzo, il condannato vi era spesso lasciato seminudo alle intemperie e allo scherno e alla violenza del popolo. Il torturato, se condannato a morte, vi restava appeso fino alla morte per inedia, congelamento, disidratazione o ferite inflitte dai passanti.



Edited by demon quaid - 28/11/2014, 22:53
 
Top
view post Posted on 16/9/2013, 20:10     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:




Il Toro di Falaride è un originale strumento di tortura e di esecuzione progettato nell'antica Grecia.

L'invenzione dello strumento viene attribuita a Perillo di Atene, un fonditore di ottone, che propose a Falaride, tiranno di Agrigento, l'invenzione di un nuovo sistema per giustiziare i criminali.

Secondo la leggenda, egli creò un toro di ottone, vuoto all'interno e con una porta sul fianco. La vittima veniva rinchiusa nel toro e un fuoco veniva acceso sotto di esso, riscaldando il metallo fino a farlo diventare incandescente: così la vittima all'interno arrostiva lentamente a morte. Per far sì che niente di indecoroso potesse rovinare il suo diletto, Falaride ordinò che il toro fosse costruito in modo che il suo fumo si levasse in profumate nuvole di incenso. La testa era dotata di un complesso sistema di tubi e fermi, che convertivano le urla dei prigionieri in suoni simili a quelli emessi da un toro infuriato. Si narra anche che quando il toro veniva riaperto, le ossa riarse delle vittime brillavano come gioielli e venivano trasformate in braccialetti. Falaride lodò l'invenzione e ordinò che il sistema sonoro venisse provato dallo stesso Perillo. Quando Perillo entrò, venne immediatamente chiuso dentro e venne acceso il fuoco e così Falaride poté udire il suono delle sue grida.

Prima che Perillo morisse, Falaride aprì la porta e lo tirò fuori. Perillo credeva che avrebbe ricevuto una ricompensa per la sua invenzione, e invece, dopo averlo liberato dal toro, Falaride lo gettò dalla cima di una rupe. Si dice che lo stesso Falaride sia stato ucciso con questo metodo quando venne rovesciato da Telemaco. Secondo Erodoto, l'arrostimento dentro a un toro di Falaride era la forma di tortura più nota ai greci. Si narra che il satirico Luciano di Samosata (II secolo d.C.) abbia dato la prima descrizione dettagliata della creazione e dell'uso del toro di Falaride.

Edited by demon quaid - 28/11/2014, 22:55
 
Top
view post Posted on 16/9/2013, 21:07     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Una presunta strega in attesa di essere torturata



wNujDaM



Edited by demon quaid - 28/3/2015, 20:09
 
Top
view post Posted on 10/11/2013, 17:26     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Caccia alle streghe ed evoluzione del diritto



La caccia alle streghe che verrà scatenata nel 500 ebbe l'appoggio dell'apparato giudiziario e del corpus giuridico che erano stati riformati.Tutto il processo di scoperta ed eliminazione delle streghe si svolgeva ormai nell'ambito giudiziario.
Se nel medioevo e nei decenni che precedettero l’età moderna si svolsero molti processi sommari nelle campagne o nei luoghi montani più isolati(e streghe, stregoni o supposti tali, furono torturati ed uccisi da “tribunali del popolo” improvvisati per interessi economici o superstizione- fra 400 e 500 venne formalizzata una procedura giudiziaria nuova. I tribunali secolari ed ecclesiastici adottarono il sistema inquisitorio detto di “procedura penale” che facilità e promosse lo svolgimento dei processi per stregoneria.


Dopo la bolla papale del 1525, che autorizzava la tortura nei casi di sospetta stregoneria, i tribunali ebbero un ulteriore strumento di potere e di pressione nei confronti degli imputati.
Con la tortura, la confessione scaturiva quasi spontaneamente dalle labbra degli imputati, le cui carni venivano dilaniate da ruote dentate, tenaglie, catene e altri strumenti di supplizio.
Per rendere ancora più agile ed efficiente l’apparato inquisitoriale infine, i processi alle streghe vennero affidati a tribunali regionali, dotati di una discreta indipendenza dalle istituzioni centrali.

La tortura



Già praticata nel mondo greco e romano, la tortura fu riesumata nel XII secolo dalle leggi di grandi stati nazionali, come la Sicilia, la Francia, la Castiglia e dall’Istituzione ecclesiastica.
Con il diffondersi dei movimenti ereticali, la Chiesa prese ad adottare massicciamente la tortura contro gli imputati di crimini religiosi. Si iniziò con la decretale di Gregorio IX (1234) per poi giungere a una formulazione inequivocabile nella bolla Ad extirpanda del 1252 di Innocenzo IV. Da allora l’uso della tortura venne formalizzato in ogni processo contro i sospetti di eresia e ad amministrare il supplizio furono delegati i giudici civili. Più tardi con la decretale Multorum querela di Clemente V, la tortura fu introdotta, come procedura consueta, anche nei tribunali dell’Inquisizione. Le modalità di applicazione variavano, a seconda dei reati e dei tribunali, in ogni caso essa aveva lo scopo di purgare gli indizi che avevano permesso l’incriminazione dell’imputato.
Il significato della tortura, specie nei processi di eresia e più tardi di stregoneria, riecheggia l’ordalia, in cui tra accusato e tormento doveva frapporsi un intervento sovrannaturale per determinare l’innocenza o la colpevolezza. Se il torturato resisteva ai tormenti almeno due o tre volte, negando ogni attribuzione, doveva essere assolto; così come doveva essere liberato per insufficienza di prove se, dopo aver confessato sotto le grinfie del carnefice, non avesse ratificato la propria confessione in luoghi lontani dalla sala di tortura.
In pratica però queste garanzie dell’imputato e del torturato non erano applicate, poiché quasi nessuno riusciva a superare la prova, che in certi casi era prolungata all’infinito.


Il giardino dei supplizi



Particolarmente truculento, era il tormento inflitto a eretici ed ebrei, colpevoli di reati minori. Il supplizio consisteva nell’appendere per i piedi il condannato, accanto al quale venivano legati due lupi o due cani affamati, che lo sbranavano vivo.
Il supplizio della corda veniva definito “colla”. Il reo (definito “collato”) veniva in genere appeso per le braccia alla carrucola e ai suoi piedi erano attaccati dei pesi, dei vasi di acqua o degli animali vivi. Si racconta che al Savonarola così sospeso vennero accostati ai piedi dei bracieri incandescenti.
A volte, invece, il tormento consisteva nello stringere la caviglia o i piedi dell’imputato dentro una morsa di ferro o di legno, che veniva stretta progressivamente dal boia.
Questo supplemento di tortura si chiamava “stanghetta” e venne in epoca più recente sostituito dal torchio che schiacciava la caviglia contro la gamba, oppure dai gambali a vite, dentro i quali venivano serrate le gambe del torturato. Man mano che si stringeva la vite le gambe, la carne e le ossa si spappolavano tra atroci tormenti.
La stretta o stringimento di altre parti del corpo, in particolare il cranio, le mani o i genitali, veniva effettuata con diversi strumenti. Se la tortura era lieve si usava l’allacciatura o funicella, con cui venivano legate strettamente le parti in questione, specie le mani e i genitali maschili. Se la tortura era lieve si usava l’allacciatura o funicella, con cui venivano legate strettamente le parti in questione, specie le mani e i genitali maschili. Se la tortura era più severa il giudice ordinava l’applicazione dello “schiacciapollici”, uno strumento di ferro, a forma di morsetto, dentro il quale venivano infilati i pollici dell’imputato. Stringendo le viti, il boia produceva lo stritolamento progressivo delle dita. Esisteva poi lo “straziaseni”, consistente in una lunga tenaglia con cui venivano straziati e recisi i capezzoli sia degli uomini che delle donne. Una tortura particolarmente sadica e spettacolare, ancora, era quella del “tormento del sale”. In questo caso l’ignaro seviziatore era rappresentato da una povera capra tenuta a digiuno per giorni. I piedi del torturando, legato su una sedia, venivano spalmati di grasso o lardo, poi ricoperti di sale. La capra, con la sua lingua ruvida, a furia di leccare apriva delle piaghe nella sua lingua ruvida, a furia di leccare apriva delle piaghe nella pelle, sulla quale veniva aggiunto altro sale, fino a che il disgraziato veniva letteralmente “brucato” dall’animale fino all’osso.

Tormenti sublimi



Ma si ricorreva anche ad un’altra “capra”, uno strumento particolarmente usato nei supplizi pesanti, e che ebbe innumerevoli varianti. Si trattava di uno sgabello appuntito sul quale veniva in genere legata la persona sottoposta a “veglia”.
La tortura del sonno è stata da sempre uni degli strumenti più ipocriti e sofisticati di supplizio. Non lascia segni sul corpo, è immateriale e in poco tempo offre risultati stupefacenti. Con la perdita del sonno, infatti, l’imputato, senza essere minacciato, menomano o brutalizzato, diventa un obbediente collaboratore del suo aguzzino. La tortura del sonno opera sul prigioniero una sconvolgente alterazione del tempo, dello spazio, dei ruoli e delle relazioni. In preda ad allucinazioni deliri, vertigini, chi è torturato dal sonno scambia il proprio carnefice con un amico a cui confidarsi, e diviene inconsapevolmente l’aguzzino di se stesso. Un tempo, però, la tortura del sonno veniva quasi sempre associata a qualche supplizio corporale, forse perché appariva incruenta, e quindi poco efficace.
Così oltre alla “capra sedile” c’era la “tortura dell’acqua” che consisteva nel fare ingurgitare a forza al prigioniero, mediante un imbuto, decine di litri d’acqua mista a sale, aceto o calce. Se sopravviveva, quando il suo ventre si era trasformato in un otre gigantesco, veniva legato ad un tavolaccio inclinato, con la testa verso il basso. La pressione dell’acqua sugli organi interni poteva provocare dolori atroci, accresciuti dal fatto che spesso il carnefice colpiva il disgraziato sulla pancia con degli stracci bagnati, per non lasciare segni.
Fra le torture più raccapriccianti, in uso contro omosessuali e streghe, c’era il “supplizio del topolino” o “dello scarafaggio”. Un topolino veniva introdotto nell’ano degli imputati di sodomia o nella vagina delle donne accusate di essere streghe. E’ facile immaginare il terrore che ispirava la sola minaccia di questa tortura che, se messa a effetto, poteva portare a lacerazioni ed emorragie interne. Lo scarafaggio o il tafano venivano invece posti nell’ombelico dell’imputato e imprigionati sotto un bicchiere in modo che lentamente gli rodessero la pelle e la carne.
Per le streghe era poi stato inventato l’ariete, detto anche “sedia delle streghe”. Lo strumento consisteva in un sedile rotondo, irto di punte di ferro sul quale la strega veniva messa a cavalcioni, quasi a ricordarle il bastone che usava inforcare per recarsi in notturno volo ai sabba. Sotto la sedia, veniva acceso un braciere che rendeva le punte di ferro incandescenti.
A volte la strega veniva legata su un tavolo ricoperto di fascine di biancospini, dai fiori romantici ma dalle spine aguzze, e sulla sua schiena veniva passato avanti e indietro, un rullo irto di aculei. Quando era reticente alla “confessione” le venivano cavati gli occhi, mozzate le orecchie, stritolati i seni. Infine veniva bruciato del brandy o dello zolfo sul suo corpo.
C’erano quindi torture di paradigmatica efferatezza, il cui scopo dichiarato era quello di prolungare il più possibile il dolore e la sofferenza dell’imputato. Non erano mortali, non menomavano il corpo, ma infliggevano dei tormenti senza fine. In questo campo pare che l’inventiva umana sia stata inesauribile, quasi che “il desiderio di giustizia” e “la sete di verità” di giudici e inquisitori abbiano spinto inventori, artigiani e dilettanti a creare strumenti di supplizio capaci di scalare le vette della “sofferenza più sublime”.

Tortura ed erotismo



Per quanto ci si interroghi sulla ragione di tali orrori, ostentati in pubblico e seguiti da un folto numero di appassionati, riesce difficile dare una spiegazione razionale ed esaustiva al perché uomini di fede, uomini di Dio e uomini di scienza abbiano potuto per secoli servire questa macchina abominevole che, per scacciare il Diavolo, trasformava essi stessi in demoni abbietti.
Senza dubbio, non è estranea all’uso della tortura una certa propensione al sadismo o all’erotismo perverso, data l’epoca profondamente sessuofobia, in cui vigevano una repressione sessuale e un moralismo insani. La tortura con risvolti sadica-sessuali è evidente nel caso del “topolino” come nell’uso dello “straziaseni” e, in parte della fustigazione e della gogna. La bruciatura, la “punzonatura” e lo schiacciamento dei genitali non hanno bisogno di commenti, tanto è evidente in essi la perversione erotica.
Estremamente drammatico e spettacolare era inoltre lo strumento denominato “culla di Giuda”. In genere si applicava agli accusati di sodomia e a donne considerate streghe. Gli imputati sottoposti a questo supplizio venivano legati a diverse corde in trazione e appoggiati con le gambe divaricate su un cuneo di ferro. Allentando le corde poco a poco, il peso del corpo faceva penetrare il cuneo nell’ano o nella vagina dei torturati. Molto diffusa fu la “culla di Giuda” durante il cinquecento e il seicento nei confronti delle presunte streghe “amanti del diavolo”. Una variante di questo tormento a sfondo erotico-sessuale era una “culla” sulla quale veniva infilzata direttamente la donna. Alla malcapitata venivano legati dei pesi sempre più massicci sia alle mani sia ai piedi, fino a che rimaneva impalata, morendo lentamente fra atroci sofferenze.
Per la sua spettacolarità la gogna, applicata alle donne, aveva risvolti erotici di notevole richiamo in una società dove il moralismo impediva qualsiasi forma di nudità. La donna, infatti poteva essere costretta a stare con il seno nudo, le testa e le braccia imprigionate dai legni, oppure con le gambe scoperte fino all’inguine e le caviglie chiuse nei ceppi. Così pure la ruota,alla quale venivano legati pubblicamente gli autori di reati non molto gravi, aveva un riscontro erotico perché di solito la donna era costretta a spogliarsi o ad indossare vesti molto succinte, Anche la fustigazione delle donne presentava aspetti sadico-erotici molto evidenti. Legata al pala, le spalle e il seno denudato, la malcapitata veniva flagellata sotto gli occhi di tutti. Le urla e le contrazioni spasmodiche del suo corpo erano considerati uno spettacolo eccitante che richiamava molti estimatori provenienti anche dai ceti elevati.

Nudità e giudici



Denudare gli imputati era il primo atto “del rituale” della tortura. Uomini o donne, persone giovani o anziane tutti dovevano denudarsi di fronte al giudice e alla corte dei torturatori.
La nudità era di per sé una forma di umiliazione e di sottomissione, specie per le donne.
A volte, un particolare rapporto erotico, si instaurava, nel chiuso della camera di tortura, fra aguzzini e imputata, specie quando l’imputata era giovane e bella.
In una stampa francese del Settecento una bella fanciulla tutta nuda e depilata è legata sul cavalletto di tortura con le gambe divaricate e la schiena arcuata.
La posizione e l’atmosfera sono cariche di tensione erotica. Solo l’aspetto apparentemente indifferente dello scrivano, fa pensare che la visita ginecologico-inquisitoriale non sia in realtà la premessa di uno “stupro legale”.
In molti casi l’imputata venne realmente violentata più volte dai famigli dell’Inquisizione.
Il prete, che è anche giudice, confessore ed esorcista, e il medico, che è anche consigliere e in certi casi esorcista, si assumono il compito di incarnare ufficialmente, insieme all’inquisitore, sguardo onnipresente, i più bassi istinti collettivi, per contenerli e purificarli.
Il corpo giovane e attraente della strega viene esibito, nudo e indifeso, in tutta la sua provocante carnalità, affinché attragga e seduca i suoi persecutori. Subito dopo però esso è punito con la tortura per la sua naturale lascivia.

I gradini della tortura



A seconda della gravità dei crimini addebitati, esisteva una progressione della tortura, codificata da regole e consigli canonici che troppo spesso non venivano rispettatati, se non nel caso di imputati ricchi e molto in vista. Anche il papato si era applicato alo studio dei metodi e delle modalità di tortura. Paolo III, nella bolla Ad onus Apostolicae del 1548, aveva fissato il tempo massimo della durata della “corda” ad una ora. I gradi ammessi della tortura erano formalmente cinque. Si cominciava con la “terrizione reale”, che era la minaccia della tortura fatta di fronte agli strumenti più impressionanti. Si passava, poi, alla tortura lieve, che consisteva in genere nel “collare” l’imputato per qualche minuto. Mentre era appeso egli doveva recitare un Padre Nostro di contrizione. Il terzo grado consisteva nel tenere sollevato l’imputato per un tempo maggiore, senza infliggergli ulteriori tormenti. Questa tortura media veniva applicata quasi sempre agli imputati eccellenti: persone di riguardo che non dovevano recare su di sé le stimmate del carnefice. Seguiva poi il quarto grado, quello regolamentato dalla bolla papale.
Infine, per i crimini più gravi e agli imputati meno garantiti veniva applicato l’ultimo livello della tortura, il più brutale e doloroso. A questo livello potevano essere impiegati tutti gli strumenti atti a infliggere dolore e tormenti spaventosi.
Fra gli attrezzi più in voga nel Cinquecento e nel Seicento c’erano la morsa che schiacciava le labbra, gli spilloni che venivano infilati sotto le unghie, nei punti diabolici e negli organi sessuali, le sfere di ferro incandescenti poste sotto le ascelle o in mezzo alle cosce degli imputati. Molto diffusa era la flagellazione eseguita con catene di ferro a più anelli, o con staffili muniti di “stelline” taglienti, “corone di spine” o lame affilatissime, che scorticavano e incidevano la carne fino all’osso. Rudimentale, ma sempre efficace, era il nerbo di bue che, se usato da un aguzzino esperto, poteva aprire la carne delle natiche e della schiena fino all’osso. Più sofisticata era invece la fustigazione mediante la “gatta”. Questo flagello era composto da decine di corde di canapa intrise in una soluzione di sale e zolfo sciolti in acqua. La “gatta” applicata con zelo dagli aguzzini nelle zone dell’addome, dei genitali e della schiena, riduceva la carne del condannato a strisce sanguinolente che mostravano scoperti intestini e polmoni.
In Spagna, ancora, si utilizzava un attrezzo denominato simpaticamente “solletico spagnolo”. Si trattava di un ferro a forma di artiglio che veniva montato su un bastone e usato dal boia per asportare brandelli di carne e scarnificare a poco a poco il condannato.
Come si vede, in questo palcoscenico degli orrori e dei tormenti, gli uomini di legge, di Dio e della scienza non hanno dimenticato alcuno strumento, alcuna sofferenza per rendere lo spettacolo più cruento ed esemplare. E per trasformare il rito di esorcizzazione del Male e del diabolico in una procedura perversa e luciferina.
I quattro elementi fondamentali della natura: acqua, aria, terra e fuoco, furono sfruttati a fondo da questi funzionari ai quali venne delegato il compito di distillare il Bene attraverso le pratiche più ripugnanti ed efferate.
Ancora nel XVII secolo, e oltre, era in auge il “toro di Falaride”, forno fra i più spettacolari, usato per “purificare gli eretici e le streghe”. I condannati a morte finivano graticolati vivi nel ventre dell’animale di bronzo, che era posto su un grande fuoco. Mentre morivano lentamente, fra atroci sofferenze, i condannati gridavano e imploravano pietà, ma le loro voci giungevano agli spettatori sotto forma di suoni inarticolati e di muggiti bestiali.
Il fuoco è sempre stato l’elemento preferito dei tribunali religiosi o laici che fossero. In Francia, oltre al “toro”, veniva usato anche il “quemadero”, una fornace alimentata a legna in cui gli eretici morivano bruciati e soffocati, anticipa sinistramente altre fornaci e camere a gas del nostro secolo.
L’acqua era presente in molte torture che potevano trasformarsi in esecuzioni capitali. Nella “prova dell’acqua” l’imputato veniva immerso nella corrente di un fiume o in un lago. Se resisteva alle numerose e prolungate immersioni era prosciolto dall’accusa. Per legge, la tortura non si poteva ripetere; ma, come abbiamo altre volte sottolineato, la norma veniva costantemente raggirata: l’accusato poteva essere torturato più volte se reticente. Per altro l’Inquisizione spagnola, nel caso fosse morto per asfissia, o a causa dei gravi danni fisici subiti, declinava ogni responsabilità: la colpa era da attribuire all’imputato stesso, che non avrebbe perso la vita, né sarebbe stato mutilato, se avesse ammesso spontaneamente la verità.

La tortura come ricreazione popolare



Esistevano torture ed esecuzioni di origine popolare che divertivano molto il pubblico. Era il caso dell’annegamento degli eretici in botti piene di acqua e sale, o di aceto; oppure dei torturati che venivano impacchettati in sacchi di iuta insieme a gatti inferociti e buttati nei pozzi o negli stagni. Ma tornando agli elementi primordiali, anche la terra fu, oltre che luogo di estremo riposo, un mezzo di tortura dolorosissimo. I condannati venivano sepolti vivi con la sola testa fuori della tomba, e morivano divorati dai cani o dagli animali selvatici, a volte dalle formiche, oppure si spegnevano dopo giorni di agonia per la sete, la fame e lo schiacciamento dei polmoni.
Le esecuzioni basate sul soffocamento del condannato furono innumerevoli. L’aria, primo elemento, era protagonista in molte macchinazioni dei tormento, sotto forma di sottrazione ed assenza. Si moriva soffocati mediante la tortura dell’acqua, ma anche con la “garza”: uno straccio infilato in gola e che, impregnato d’acqua o di aceto, riduceva sempre più la capacità respiratoria del torturato, fino a soffocarlo. Gli occhi, stralunati dal soffocamento, escono dalle orbite, il volto assume un rictus tremendo, la vista si affievolisce fino a scomparire, la lingua, gonfia e oscena, esce dalla bocca, quasi a cercare un ultimo contatto dell’interno con l’elemento madre che abbandona la sua creatura.

Sul rogo



Tortura estrema, che si concludeva inevitabilmente con la morte degli accusati, era la condanna al rogo, che colpiva anche gli eretici. L’esecuzione della condanna veniva affidata al braccio secolare. Eretici, ebrei, bestemmiatori, sodomiti e streghe venivano giustiziati dallo Stato. Era lo Stato che allestiva i roghi, che ordinava di ammucchiare le fascine nella piazza principale, che trasportava la strega dal carcere al rogo. Stretta fra i funzionari dello Stato, la strega passava fendendo la moltitudine tra gli insulti maledizioni e sputi; spesso le veniva messo intorno al capo un copricapo di foggia ebraica. Poi veniva fatta salire sulle cataste di legna e legata al palo. I funzionari dello Stato ordinavano al boia di accendere il fuoco, davanti ad una folla muta e affascinata, che seguiva con spasmodica attenzione ogni fase del supplizio, che tendeva le orecchie per cogliere ogni lamento, ogni invocazione, ogni grido di dolore che la strega avrebbe emesso dal corpo martirizzato.
Un funzionario dell’Inquisizione era tuttavia sempre presente. Uno solo, per testimoniare davanti alla moltitudine, si sosteneva, i versetti del Quarto Evangelo: “Se uno non dimora in me, venga buttato come un ramo che si secca, e questi rami vengano raccolti e bruciati”. Alla più terribile delle morti, il funzionario assisteva con l’obbligo di riferire al Tribunale che il rogo aveva avuto luogo e che il corpo della strega era ridotto in cenere. Se tra le fiamme che già divampavano, la strega avesse gridato che era pentita e che avrebbe confessato, o se la “strega ebrea” avesse urlato che era disposta ad abiurare, non le sarebbe certo accaduto, come per le sue consorelle condannate nel Medioevo, di venire subito liberata, e salvata dal fuoco. Ora, soprattutto sotto l’Inquisizione spagnola, le leggi insegnavano che confessione e pentimento dovevano avvenire prima della condanna finale, nell’aula dove si svolgeva il processo. Fuori del carcere, sulle fascine del rogo, attendeva la morte a cui la condannata non poteva sfuggire.
A proposito della tortura e del supplizio del rogo, in aperto contrasto con la religione e le politica, il grande filosofo e moralista del Cinquecento Michel de Montagne scrisse nei Saggi che la crudeltà era il primo dei vizi, il male più grave, la malattia morale più diffusa nell’Europa del suo tempo.

Un grazie a eroicifuori.com

Una presunta strega messa al rogo





Edited by demon quaid - 28/12/2015, 22:42
 
Top
view post Posted on 6/3/2015, 23:46     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Altri 2 sistemi di tortura



Il primo è il cosidetto chiamato "rospo". Il condannato era tirato dai quatto lati degli arti, fino allo slogamento, rottura o addirittura sbrancamento delle ossa.



La seconda è "il taglialingua, che non ha certo bisogno di spiegazioni. Veniva usato in particolar modo per le streghe che non dicevano il vero, condannandole così al silenzio per il resto della vita.

 
Top
view post Posted on 28/3/2015, 20:07     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Un torturato mentre gli bruciano i piedi



E0gFwxx

 
Top
view post Posted on 3/2/2016, 17:30     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:




Una tortura (e relativa esecuzione pubblica) di un leader protestante durante le guerre di religione in Francia nel '500


 
Top
view post Posted on 3/2/2016, 17:55     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


germania



jpg



auto_da_fe



arresto


STREGHE2



accusa



Catena Carcerato con gogna



41183_26141



Il condannato alla gogna era esposto nei luoghi di mercato e sottoposto al pubblico dileggio per ore o per alcuni giorni.
Gogna per polsi testa e catene per i piedi, un accessorio terrificante per un travestimento di sicuro effetto
 
Top
view post Posted on 30/3/2017, 21:32     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


nI9sXdE



Questo attrezzo si chiamava "Coccodrillo tosatore". Serviva per torturare i maschi, i cui organi genitali, pene sopra e testicoli sotto, venivano inseriti in questi attrezzo. E poi si tirava. Questo causava spesso l’evirazione degli uomini e la conseguente morte per dissanguamento a causa del grande afflusso di sangue al pene, quindi della forte emorragia.
 
Top
view post Posted on 30/3/2017, 21:47     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,002
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Torture con animali



Una fra le peggiori torture con gli animali era sicuramente lo scafismo. Il condannato era legato e lasciato in una palude stagnante a venire mangiato vivo dagli insetti.
 
Top
Xpac
view post Posted on 22/8/2018, 15:53     +1   -1




Nella tortura dell'acqua anche le donne erano picchiate sul ventre ?
 
Top
26 replies since 10/12/2008, 22:38   164893 views
  Share