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Il Tromba del Madagascar, Da leggere attentamente. Topic sulle possessioni

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view post Posted on 24/10/2009, 23:51     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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La possessione è stata definita "una particolare condizione personale o collettiva che si presenta come occupazione dello spirito o della presenza vitale individuale da parte di realtà estranee, rappresentate come potenze impersonali o personali (dèi, demoni, spiriti di defunti, spiriti naturali, spiriti di animali, ecc.)" e per queste sue caratteristiche è opposta all'estasi, che è invece un "salire dell'anima", un "uscire dell'anima". Secondo Alfonso di Nola i due fenomeni si sviluppano spesso parallelamente nella stessa personalità religiosa, per esempio nei casi in cui la possessione, come occupazione dell'anima da parte di una potenza, è preceduta da forme di estasi, di "svuotamento" dell'individualità fisica. Gli stessi fedeli del vodu per spiegare la trance del posseduto affermano che lo spirito (loa) entra nella testa dell'eletto dopo averne scacciato il "grande angelo buono", una delle due anime presenti nell'uomo.

Anche Luc de Heusch definisce la possessione sulla base della sua opposizione allo sciamanesimo. I due fenomeni gli appaiono infatti inversi. Lo sciamanesimo è una "démarche ascensionnelle", un "viaggio verso dio" dell'anima, reso possibile dall'esistenza di un'asse del mondo. L'anima dello sciamano, dopo aver abbandonato il corpo, sale al cielo o scende agli inferi e, secondo un tema costante, lotta contro gli dèi per riconquistare "l'anima rubata" di cui il malato è stato privato. Lo sciamano conserva quindi l'integrità della sua personalità psichica. La possessione comporta al contrario una "discesa degli dèi" e una "incarnazione" nel corpo del posseduto, il quale è quindi totalmente invaso dal dio che si sostituisce alla sua normale personalità.

Nelle loro forme pure i culti di tipo sciamanico sono propri delle popolazioni mongole e amerindie; i culti di possessione autentici caratterizzano invece il mondo nero, tanto in Africa che in America . Secondo l'interpretazione di Erika Bourguignon, è la società a "scegliere" il tipo di trance da adottare e compie tale scelta in base alle tensioni e al tipo di economia di sussistenza caratteristiche della società stessa. Le società di cacciatori, come quelle americane, in cui sono i maschi ad essere caricati di particolari tensioni e responsabilità, sarebbero legate infatti alla "trance allucinatoria" o "di tipo maschile" (caratteristica dei maschi), mentre nelle società africane, basate sull'agricoltura e caratterizzate dall'inferiorità sociale delle donne, è presente la "trance da possessione" o "di tipo femminile" (caratteristica delle donne).

Alfonso di Nola distingue poi due forme fondamentali di possessione: una possessione da parte di potenze negative, ingeneranti il male, la malattia e la morte e una possessione positiva che realizza invece il contatto dell'uomo con le potenze divine benefiche. Nella possessione negativa o "invasamento" la presenza vitale può essere messa in crisi dallo spirito di un defunto che non ha ancora raggiunto la condizione di antenato, da un dio offeso da un comportamento riprovevole dell'uomo (che ha infranto ad esempio una norma sociale tabuizzante, una norma religiosa o rituale), da spiriti maligni o da atti di stregoneria. La possessione positiva permette la "discesa" del dio tra i fedeli ed è destinata alla divinazione, alla salvezza individuale e di gruppo, alla guarigione. Nella possessione tromba, caratteristica del Madagascar, il contatto con il soprannaturale è spesso utilizzato per risolvere situazioni conflittuali che si verificano all'interno della società e che non possono essere risolte razionalmente; sarà quindi lo spirito ad indicare le azioni da compiere.

In entrambi i tipi di possessione la presenza dello spirito nell'eletto è segnalata dalla malattia. Mentre nel caso di una possessione "malefica" o "inautentica" si deve procedere ad un allontanamento (esorcismo) dello spirito, nella possessione "benefica" o "autentica" la presenza esterna è accettata come un bene e la cura sarà quindi un adorcismo; lo spirito viene infatti "assunto" attraverso un rito di iniziazione.

La possessione positiva si ritrova ad esempio presso gli etiopi di Gondar, nel vodu haitiano, nel tromba malgascio.

In questo tipo di possessione lo spirito si manifesta spesso attraverso una malattia, ma la sua presenza può essere annunciata al posseduto anche in sogno o durante un rito religioso. La malattia può essere guarita solo nel corso di una cerimonia appositamente organizzata durante la quale, con l'aiuto di un medium, lo spirito responsabile si manifesterà nel corpo del posseduto. Al di là dell'aspetto terapeutico, il quale sia ad Haiti che presso i Sakalava passa in secondo piano, la cerimonia è ritenuta conferire al corpo un nuovo vigore procurando degli effetti benefici.

Generalmente le cerimonie di possessione si svolgono in un quadro spazio-temporale preciso, che include il luogo, le decorazioni, i personaggi, i colori, i suoni. Il medium conduce la cerimonia, invoca gli spiriti e sorveglia le manifestazioni della trance dei fedeli.

Contrariamente a ciò che avviene nel rito cattolico, in cui l'officiante è l'attore principale e unico, e i fedeli sono dei semplici spettatori, nelle cerimonie di possessione gli eletti e tutti i presenti partecipano attivamente al rito. Questo si svolge in uno spirito di "festa popolare" che sorprende gli occidentali abituati alla gravità del culto cristiano: i fedeli parlano e scherzano continuamente, consumano abbondantemente cibo e bevande alcoliche.

Anche il corpo assume in questi riti un ruolo opposto a quello che gli è destinato nel rito cattolico. Il corpo è innanzitutto il veicolo del dio e durante la possessione esprime con movimenti, gesti e parole le caratteristiche dello spirito che ospita. Il corpo è inoltre coinvolto nelle danze sfrenate e nei contorcimenti spasmodici che caratterizzano la trance, la quale segna sia l'arrivo che la partenza dello spirito. Secondo la prospettiva cattolica la sregolatezza dei sensi nella comunicazione con il sacro è di essenza diabolica; infatti "la preghiera cattolica è, sul piano spirituale e fisico, preparazione alla morte ed esige umiltà e raccoglimento e silenzio del corpo".

Spesso, come avviene anche nella macumba brasiliana, prima della fine della trance c'è una fase dedicata alle consultazioni, in cui i posseduti danno consigli o prescrivono rimedi alle malattie a chiunque dei presenti lo richieda.

Con la fine della trance e la partenza dello spirito, il posseduto, ridiventato se stesso, non si ricorda più di niente e ritorna alle sue occupazioni profane, mentre i fedeli si disperdono. Al momento della partenza dello spirito, nel vodu haitiano il viso del posseduto viene coperto da un fazzoletto per rispetto al dio, mentre in Madagascar lo spirito tromba si scatena in un'ultima danza alla fine della quale il posseduto cade a terra sfinito con il viso coperto dalle mani.

Come è stato sottolineato da Lapassade e da Bourguignon (1983) le forme e i contenuti della trance non sono spontanei ma riflettono il modello appreso e differiscono quindi da cultura a cultura. In Etiopia ad esempio il movimento caratteristico della trance è il cosiddetto gurri, ritenuto il segno della vittoria del genio Zâr sulla personalità del posseduto (Leiris, 1989); la danza dei tarantati riproduce invece il modo di muoversi del ragno-possessore (De Martino, 1961).

Al di là delle sue apparizioni nel corso delle cerimonie religiose, lo spirito non abbandona il posseduto e la sua costante presenza, sotto forma di "possessione latente", è indicata da alcune evidenti somiglianze con il carattere del posseduto e da numerosi altre manifestazioni, quali poteri di chiaroveggenza, di guarigione o di stregoneria. Come affermano Bourguignon e Lapassade non esiste quindi necessariamente equivalenza tra possessione e trance, dal momento che in alcune culture africane vi può essere l'una e non l'altra.

Oltre che nelle cerimonie rituali, nella malattia e nel sogno, lo spirito si manifesta anche attraverso delle trance "selvagge" che scoppiano improvvisamente nella vita quotidiana dei fedeli. È proprio in tali circostanze profane che secondo Métraux si evidenzia il ruolo psicologico della possessione, che viene usata in questi casi come meccanismo di fuga dalla sofferenza o da situazioni disagevoli.

Mentre presso gli Yoruba si è posseduti da una sola divinità, nei culti vodu e tromba una persona può essere invece posseduta da più spiriti, anche se è consacrata ad uno solo. Nel vodu il loa-tête è lo spirito che ha posseduto per primo un individuo e che è divenuto il suo protettore; nel tromba i posseduti-saha sono dei posseduti riconosciuti dalla comunità come vere e proprie controfigure di un determinato spirito e per questo motivo godono di maggiore importanza rispetto ai posseduti ordinari.

Il legame personale tra il posseduto e lo spirito che lo abita si stabilisce solo al termine di una lunga preparazione che avviene attraverso un'iniziazione. Il rito, che viene celebrato sotto la guida del medium, oltre ad assicurare la protezione dello spirito, comporta la conoscenza delle "cose sacre", quali la divinazione, la magia, la medicina, la vita e le caratteristiche degli spiriti, le tecniche del corpo necessarie a provocare la trance. Nell'iniziazione haitiana del kanzo la fase della "morte simbolica" e quella della "rinascita" sono interrotte da un periodo di reclusione ("di margine") particolarmente lungo e severo.

Dopo l'iniziazione il posseduto continuerà ad essere "cavalcato" dagli spiriti, ma le crisi avverranno tradizionalmente, si inscriveranno in un complesso mitologico e saranno quindi "controllate dalla società".

La possessione positiva può assumere l'aspetto di una possessione "spontanea", come in alcuni momenti critici dell'esistenza o come capacità eccezionale in alcune grandi personalità religiose, ma più frequente è il caso delle possessioni "provocate". Gli "stimoli provocatori" sono numerosi e mirano a generare "concentrazione, meditazione, eccitazione sensoriale, entusiasmo, abbandono, perdita della coscienza e della presenza vitale". Vengono a questo scopo utilizzati ad esempio i liquori fermentati, le droghe, la danza, i suoni e i rumori intensi, la musica, la fumigazione, movimenti rapidi e circolari della testa, i colori.

Per alcuni autori la musica del tamburo per la sua ripetizione crea uno stato analogo all'ipnosi. Rouget ha criticato le ipotesi che legano la trance di possessione alla dimensione musicale, dal momento che non è possibile stabilire una relazione di causa effetto tra queste due dimensioni. La musica ha più una funzione di "socializzazione" che di scatenamento della trance ed ha per obiettivo essenziale quello di far identificare il gruppo con una divinità. La musica e la danza contribuiscono per Rouget a "distanziare" il rituale, cioè a situarlo nella sfera del sacro, suscitando così una forte partecipazione emotiva, ma non sono indispensabili all'induzione della trance.

Nella maggior parte dei culti di possessione ogni spirito è definito con tratti specifici (colore preferito, mestiere, elementi caratteristici del vestiario, uno stato civile, un'età ben determinata) che si ritrovano nel comportamento della persona posseduta.

Il panteon di questi spiriti non è fisso e può trasformarsi secondo i cambiamenti socio-economici della società. Per esempio le divinità originarie dell'Africa, presenti nei culti vodu, una volta trasferitesi nelle regioni afro-americane in seguito alla tratta degli schiavi, hanno dei caratteri diversi e qualche volta opposti a quelle del paese di origine e questo a causa dell'adattamento a condizioni storiche e culturali nuove. Il vodu haitiano si ritrova sotto altri nomi (macumba, candomblé, santeria) in Brasile e a Cuba dove ha conservato con più rigore che in Haiti le tradizioni africane. Inoltre nuove divinità appaiono localmente, quale risultato di sincretismi religios.

Gli spiriti, quale che sia il loro sesso, si incarnano indifferentemente in uomini o in donne che, attraverso gli abiti cerimoniali e il proprio comportamento, indicano tale cambiamento. Questa ambivalenza sessuale è presente alle origini di molte cosmogonie africane e caratterizza la personalità divina.

L'inversione rituale presente nei riti di possessione è stata interpretata come un'occasione per esprimere la parte femminile dell'uomo e inversamente la parte maschile della donna. Secondo Scott-Billmann la possessione può essere anche un mezzo per dare libero sfogo alle tendenze omosessuali, come avviene ad Haiti dove, secondo questa interpretazione, tutti gli individui maschi che servono Erzulia sono degli omosessuali dichiarati. Il loro comportamento durante la cerimonia non sfocia mai in una relazione sessuale, ma si limita a ancheggiamenti e a occhiate lanciate agli uomini presenti.

Il posseduto, o il medium, è considerato nella propria società come il "cavallo" del dio o come il suo "sposo" ed adotta il comportamento che è ritenuto essere quello dello spirito in questione. Gli dèi costituiscono così una sorta di repertorio di ruoli e la possessione è per un soggetto il fatto di incorporarsi in un ruolo dato. Per Leiris infatti i geni Zâr di Gondar assomigliano a personaggi teatrali, perché conservano determinate caratteristiche e sono costantemente legati a un'azione. Leiris mette in luce poi anche altri elementi caratteristici del teatro che sono presenti nella cerimonia, quali il travestimento dei posseduti e il carattere esclusivamente pubblico delle "esibizioni" rituali.

A Gondar, in Etiopia, la personalità degli spiriti viene utilizzata dal posseduto come alibi per svincolarsi dalla responsabilità di alcuni comportamenti che egli non intende assumere nella vita ordinaria e che vengono attribuiti durante la cerimonia a questo o quello spirito; così il posseduto, compiendo determinate azioni o pronunciando pesanti accuse, può permettersi pubblicamente le sue trasgressioni e i suoi desideri senza pagarne le conseguenze.

Anche secondo Lewis le cerimonie zâr e quelle vodu sono delle "vere rappresentazioni teatrali" in cui vengono mimate le difficoltà e le situazioni relative alla vita quotidiana. In questo contesto secondo Lewis la possessione è una liberazione dagli impulsi e dai desideri repressi nella vita ordinaria ed ha un ruolo decisivo come compensazione psichica.

Secondo alcuni etnologi la crisi di possessione non si svolge completamente in stato di incoscienza. Leiris, pur riconoscendo nel comportamento dei posseduti un certo grado di "simulazione", è consapevole del fatto che tale teatralità non può essere dichiarata, pena la perdita di senso delle cerimonie che si basano proprio sulla credenza della reale presenza degli spiriti. Anche secondo Métraux agli occhi del pubblico nessun posseduto è un attore, "il ne joue pas un personnage, il est ce personnage pour toute la durée de la transe".

Il posseduto tuttavia si differenzia dall'attore, perché è mosso dalla fede e si offre totalmente alla divinità. Secondo Métraux il posseduto tiene il suo ruolo in buona fede, attribuendolo alla volontà dello spirito possessore. Il semplice fatto di credersi posseduto è sufficiente a provocare in lui "il comportamento proprio dei posseduti, senza intenzione di inganno", comportando la possessione una "suggestione di stato". Il meccanismo di identificazione con gli dèi o meglio "l'auto-ipnosi" è causata, secondo la tesi del dottor Louis Mars, dall'ansia e dalla suggestione, determinata quest'ultima dall'atmosfera sovreccitata delle cerimonie e dall'educazione mistica appresa in famiglia. Lo stato di possessione è dunque in "funzione del clima intensamente religioso dell'ambiente voduista" e della "profonda credenza nei loa e nelle loro incarnazioni".

Schott-Billman, citando l'espressione di Lèvi Strauss, parla di "efficacia del simbolo" che agisce a livello del corpo e usa tale tesi per spiegare le manifestazioni "soprannaturali" del corpo, quali ad esempio l'insensibilità al dolore e allo sforzo, a cui spesso si assiste increduli e che si manifestano durante la trance del posseduto. Questa efficacia è spiegata col fatto che il "corpo-miracolo" diventa una pura rappresentazione delle caratteristiche o delle azioni mitiche degli spiriti ed è dovuta all'esperienza mistica del posseduto.

Lo sciamanesimo come la possessione viene classificato da Luc de Heusch tra le religioni estatiche. Entrambi vengono definiti cioè come "due modi di approccio al sacro attraverso tecniche corporee più o meno violente.queste tecniche fanno riferimento a una particolare disposizione del corpo e dello spirito che la nostra cultura considera come nevrotica: il cambiamento di personalità". Gli etnologi si dissociano dalle interpretazioni psichiatriche della crisi di possessione, sottolineando il carattere sociologico del fenomeno. La crisi estatica non è mai anarchica, ma si integra in un culto organizzato da precise e rigide regole. Il medico Louis Mars sottolinea che la ricerca a tutti i costi dell'isteria porta a non comprendere a fondo la ricchezza dei fenomeni di possessione, che si rivelano, secondo la sua tesi, "uno strumento cultuale o un mezzo terapeutico".

La fase iniziale della trance si manifesta in effetti con i sintomi di un attacco isterico (i posseduti danno l'impressione di aver perso il controllo dei movimenti), ma a differenza dell'isterico che nella crisi rivela le proprie angosce, "il posseduto rituale deve conformarsi all'immagine classica di un personaggio mitico".

Lapassade invece di vedere nella trance una forma di isteria, all'inverso considera l'isteria una trance o meglio l'ultima tappa storica della trance. Nel contesto del capitalismo e del cristianesimo, la trance "privata di ogni forma specifica culturale e sociale di espressione" si è trasformata in pura isteria.

Nei culti africani la predominanza tra i posseduti di donne e di persone tradizionalmente marginalizzate ha servito di supporto a una visione catartica della possessione che sarebbe secondo alcuni autori lo sfogo simbolico-religioso degli esclusi sociali alla ricerca di compensazione. Secondo le interpretazioni funzionaliste, che situano i culti in rapporto alla struttura sociale, i fenomeni di possessione sono stati visti anche come contro-potere rispetto alle religioni universaliste dominanti , come "resistenza simbolica" alle ingerenze della cultura occidentale , come "linguaggio degli oppressi" o come mezzo per realizzare desideri coscienti o incoscienti.

Un'interpretazione ontologico-esistenziale della possessione è quella che Ernesto De Martino dà del tarantismo pugliese. Il rituale di possessione è considerato dall'autore come risolutore di "una crisi della presenza storica" legata alla miseria e alla condizione di subalternità delle classi popolari del sud e in particolare delle donne. Il primo morso che raggiunge le "tarantate" si configura come un "rimorso", cioè come un ritorno di un episodio critico del passato. Attraverso la danza rituale, stimolata soprattutto dalla musica della tarantella e dai colori, verrà esorcizzato lo spirito del ragno che si è impossessato del corpo della donna. Il morso del ragno rappresenta simbolicamente la "crisi della presenza", cioè "il rischio di perdere la propria identità e la propria ragion d'essere nel mondo". Il rischio di soccombere e di "non esserci" viene superato attraverso la partecipazione al rito, il quale si pone quindi come regolatore dei "momenti critici dell'esistenza.

Cenni storici-culturali


L'origine del popolo malgascio è un problema etnologico non ancora completamente risolto. È opinione prevalente; che l'isola sia stata disabitata in epoca preistorica e popolata in seguito ad ondate migratorie. Nella tradizione orale autoctona, i più antichi abitanti del Madagascar sono i Vazimba, popoli considerati di origine africana, divenuti oggetto di venerazione. Si ritiene che l'occupazione dell'isola sia stata effettuata da gruppi eterogenei provenienti dall'Indonesia e da popolazioni africane (arrivate attraverso il canale di Monzambico). Le due componenti, indonesiana (definita anche austronesiana) ed africana (soprattutto bantù), si rilevano dalle caratteristiche fisiche della popolazione , dalla cultura e dalla lingua. Anche i fenomeni etnologici rivelano la doppia origine: la forma delle case, il culto degli antenati, le formule di cortesia e la letteratura orale ricordano l'Indonesia; alcuni aspetti, come l'importanza economica e simbolica dei buoi, evocano l'Africa dell'est; mentre altri elementi, come le danze e gli strumenti musicali, provengono da entrambe le aree. Non bisogna tralasciare altrettante importanti influenze di origine arabo-persiana ed indiana. Infatti nell'Est, nel Nord e nell'Ovest dell'isola quasi tutti i gruppi hanno risentito in gran parte della successiva occupazione musulmana, le cui tracce si rilevano soprattutto nell'organizzazione economica dei Sakalava (questa popolazione è dedita al commercio e qui fiorisce un mercato di tipo arabo o indiano). Gli abitanti degli altipiani presentano, invece, caratteristiche profondamente diverse: i Betsileo ed i Merina sono popoli di agricoltori e praticano la coltivazione del riso a terrazze, di chiara origine indonesiana.

Il popolo malgascio si suddivide in diciotto tribù-nazioni o etnie ufficiali. La definizione di tribù-nazioni è di Giovanni Iannettone, mentre altri parlano invece di etnie; altri ancora li definiscono con il termine di tribù. Secondo Hubert Deschamps si tratta di più clan, che condividono lo stesso territorio ed hanno una storia comune; non si distinguono, invece, per le caratteristiche linguistiche e culturali. Gli elementi comuni a tutto il popolo malgascio sono costituiti, infatti, dalla lingua, dai costumi e dal patrimonio spirituale-religioso, articolato in un complesso sistema di credenze e di pratiche simboliche.

Ogni etnia - categoria che ritengo più adeguata - era strutturata in classi suddivise generalmente in nobili (andriana), uomini liberi e schiavi. Deschamps preferisce, invece, utilizzare il termine di casta, valutando la genesi autonoma delle formazioni sociali (i clan) e la loro estrema chiusura verso l'esterno, anche successivamente alla costituzione dei regni (formatisi attraverso la confederazione di più clan), considerando semplici eccezioni le ipotesi di matrimoni interclanici. Anche Dilenge si rifà al concetto di casta, pur ammettendo che in alcune regioni vigeva il sistema dell'esogamia. Al contrario Françoise Raison-Jourde sostiene la non rigidità delle gerarchie sociali (il re ha il potere di far decadere a suo piacimento un clan di sangue "nobile" o di crearne uno nuovo) e ritiene che gli osservatori europei del XIX secolo abbiano parlato impropriamente di caste.

A ulteriore conferma della scarsa pertinenza del termine casta è opportuno ricordare la valutazione di Iannettone secondo cui è più adeguato parlare di classi dal momento che la "classe" dei nobili andriana, all'interno della quale venivano scelti i re, tenderà a divenire col tempo meno numerosa e a contrarre matrimoni con altri gruppi fino ad essere assorbita in gran parte dagli hova. Ancora, alcuni membri di quest'ultima classe, costituita prevalentemente da commercianti, artigiani e militari avevano accesso alle cariche più ambite e frequentavano la nobiltà, contraendo persino matrimoni con componenti della famiglia reale: tutto ciò è in evidente contrasto con il sistema di casta.

La condizione di schiavitù veniva trasmessa ereditariamente ed era inoltre riservata ai prigionieri di guerra e agli individui colpiti da condanna penale. Lo schiavo poteva emanciparsi, rientrando nella condizione da cui proveniva o altrimenti acquisendo lo status di schiavo affrancato. In realtà la dipendenza dal padrone si riduceva all'obbligo di determinate prestazioni di lavoro. Lo schiavo, infatti, era di solito trattato con umanità, faceva parte della casa e poteva disporre di qualche bene personale (ma certamente non del suolo); era libero di circolare, di formarsi una famiglia e di partecipare alle cerimonie pubbliche. L'abolizione della schiavitù, disposta dai Francesi nel 1896, creò degli squilibri tali (sia nella struttura sociale che nell'organizzazione economica) da rendere necessaria, dopo pochi mesi, l'istituzione del lavoro obbligatorio.

In base alla ricerca condotta tra il 1970 e il 1973, J. F. Baré riscontra nella società sakalava del nord-ovest dell'isola tre «ordres ou strates sociaux» i nobili, i "roturiers", gli ex-schiavi; questi ultimi costituiscono lo strato più basso della classe media o si sono completamente assimilati ad essa. Inoltre la gerarchia sociale comprende anche una categoria di individui, chiamati Sambiarivo, a cui sono affidati istituzionalmente compiti religiosi importanti, come quello di posseduti reali.

Anticamente tutte le etnie erano inquadrate in monarchie assolute di carattere ereditario, il cui potere era considerato di origine divina. Tuttavia esisteva una diffusa partecipazione collettiva alla vita politica, come è dimostrato dall'esistenza in tutte le regioni di assemblee degli abitanti del villaggio, con poteri decisionali (come il fokonolona presso i Merina) o di altri istituti analoghi.

La famiglia patriarcale poligamica è la cellula di base del lignaggio, del clan (che riunisce famiglie con lo stesso antenato storico), della tribù. Il capo famiglia ha una forte autorità: dispone dei beni familiari, è obbligato ad osservare solo i costumi degli antenati, è il solo legittimo interprete della volontà dei defunti della famiglia. Il matrimonio costituisce una vera alleanza tra due gruppi clanici; la maggior parte di quelli plebei sono retti dalla regola dell'esogamia, mentre i gruppi aristocratici hanno la tendenza a far prevalere l'endogamia, anche se non sono rare le loro unioni con persone appartenenti alla classe inferiore. La deroga al tabù d'incesto è possibile solo in seguito a rigide procedure rituali. Il divorzio è ammesso e può essere dichiarato solo dal marito, mentre la moglie può ritornare nella famiglia d'origine.

L'accesso alle donne è uno dei mezzi per conservare la potenza sociale ed economica. La poligamia continua a sussistere in alcune regioni, anche dopo la sua formale abolizione. Le nuove unioni si verificavano, in particolare modo, in seguito a separazioni temporanee dalla prima moglie da parte dei lavoratori autonomi, dei funzionari in trasferta o dei militari. La poligamia, in realtà, non è praticata da tutti, ma è e resta un privilegio solo dei ricchi, dal momento che il futuro sposo è tenuto a versare del denaro ai parenti della sposa. Per quanto riguarda le mogli, "il marito deve trattarle tutte, dal punto di vista dei doveri coniugali, su piede di perfetta eguaglianza e ogni infrazione a questa regola sarebbe una causa di divorzio".

I rapporti sociali si basano sul vincolo della parentela e su quello della "fratellanza del sangue" che unisce spiritualmente persone di clan diversi. I fratelli di sangue stabiliscono dei circuiti di scambi tra i rispettivi gruppi secondo un sistema di reciprocità che prevede anche lo scambio delle donne. I loro discendenti sono uniti da legami di "parenté à plaisanterie", la quale costituisce il corrispettivo dei legami di fraternità di sangue.

I Malgasci costituiscono la maggior parte della popolazione attuale di Madagascar, arricchita in proporzione decrescente anche da Francesi, Comoriani, Indiani, Cinesi ed altri. Più dell'82% della popolazione vive ancora in aree rurali, ma le città sono in continua crescita.

Le figure reali di ieri e di oggi

E' nel XV secolo, alla fine del periodo di popolamento dell'isola e probabilmente in seguito agli stimoli degli apporti culturali indiani, indonesiani, persiani e arabi, che si assiste all'unificazione dei clan territorialmente contigui e alla creazione dei regni storici malgasci, che hanno dato origine alle grandi dinastie. A partire dal 1600 il regno sakalava, sotto la dinastia dei Maroserana, diviene un impero e arriva a coprire circa i due terzi dell'isola: i Sakalava conquistano tutta la costa ovest e fondano i due regni del Menabe (nell'ovest) e del Boina (nel nord-ovest). Il confinante regno betsimisaraka, nato dalla confederazione tra due tribù, sorge e muore nello spazio del secolo XVIII, soccombendo prima all'egemonia del regno merina e poi alla colonizzazione francese.

Mentre gli Inglesi ed i Francesi tentano a più riprese di stabilirsi nell'isola per assicurarsi vantaggi in campo diplomatico e commerciale, all'interno, il regno indigeno dei Merina (o Hova), sviluppatosi a partire dal XVII secolo, acquisisce sotto il re Andrianampoinimerina il controllo sulla regione centrale dell'isola. Ulteriori ampliamenti territoriali dell'Imerina si hanno sotto il figlio Radama I, grazie al supporto bellico europeo, e sotto i suoi successori, che riuniranno tutti i Malgasci in un solo stato, dominato dalla monarchia merina, che durerà fino al 1896, quando la dinastia crollerà sotto la dominazione coloniale francese. Dopo la rottura del sistema coloniale e la conquista dell'indipendenza (1960) il Madagascar si costituisce in repubblica, superando così le costruzioni monarchiche del passato.

In base ai lavori di Jaovelo-Dzao, lavori basati sulla ricerca sul campo, ci si rende conto che i rappresentanti delle antiche dinastie reali sakalava continuano ad essere eletti dal loro popolo anche dopo la decolonizzazione e l'instaurazione della repubblic e sono tutt'oggi presenti sui territori che costituivano i regni monarchici di un tempo, conservando un potere del tutto simbolico.

Dopo due secoli di egemonia (dal XVII al XVIII secolo) il potere della monarchia sakalava verrà messo alla prova dapprima dalle incursioni e dalle conquiste territoriali dell'etnia merina e poi dalla dominazione coloniale francese, sotto la quale crollerà definitivamente alla fine del XIX secolo.

In territorio sakalava il potere coloniale tenta di appoggiarsi ai discendenti delle dinastie reali e ai gruppi dominanti per controllare le masse rurali. Altrove (ad esempio in Imerina dove la monarchia verrà soppressa) saranno gli antichi schiavi, liberati e cristianizzati, a diventare gli intermediari dell'amministrazione francese. La contraddizione tra vecchi e nuovi gruppi dominanti si sviluppa col problema della gestione della poca terra disponibile e dell'allevamento dei buoi (simbolo di prestigio sociale). Le classi dominanti giocheranno sul registro del rapporto con gli antenati per conservare il primato sulla terra. Le cerimonie dinastiche mantengono un significato ideologico e permettono alla dinastia reale e ai gruppi dominanti di riaffermare il loro potere sul territorio. Anche coloro che hanno acquisito un nuovo status socio-economico sono costretti a legittimare il proprio potere attraverso la partecipazione a tali cerimonie.

Dopo l'indipendenza e la scomparsa delle strutture di potere coloniale non resta alle monarchie sakalava che la monopolizzazione dell'ordine rituale e del controllo dei principali attori, indovini e posseduti reali. Come afferma, infatti, F. Raison-Jourde all'interno dell'organizzazione della repubblica malgascia i discendenti dei lignaggi reali sakalava rimangono legati a funzioni amministrative regionali, lontani dai vertici dello stato. È proprio negli anni sessanta, nel quadro di una decolonizzazione particolarmente conservatrice, che secondo Althabe si assiste alla moltiplicazione dei fenomeni di possessione, diffusi non solo in paese betsimisaraka, come affermato da Althabe, ma anche in Imerina, nel Betsileo e soprattutto nel Menabe e nel Boina.

Oltre alle sedute del tromba continuano ad essere celebrati ancora oggi i rituali delle antiche monarchie (Fanompoana o Fitampoha), organizzati dagli eredi dinastici con l'intenzione di una legittimazione personale. La persistenza di tali rituali si spiega però anche con il desiderio popolare di mantenere un contatto con il proprio passato nella figura degli antichi re, la cui presenza è prepotentemente testimoniata anche dallo spazio geografico (colline sacre, tombe,...). Secondo F. Raison-Jourde in Madagascar «la storia, sotto forma dei tantara (tradizioni e privilegi allo stesso tempo), è continuamente invocata per definire l'identità dei gruppi sociali e, al loro interno, degli individui. Una società "organica", cementata attraverso questo legame con le figure storiche reali, continua a vivere dietro la facciata "democratica" di una collettività di cittadini uguali, istituita dalla Repubblica francese e poi dalla Repubblica malgascia».

Come osservato da Barè in base alla sua ricerca condotta tra i Sakalava di Nord-Ovest dal 1970 al 1973, il potere ufficiale (allora rappresentato dal Presidente della Repubblica Didier Ratsiraka) a cui aderiscono "volontier" Amada II e suo fratello non diminuisce per niente la sovranità di questi due principi nei confronti dei Sakalava Bemihisatra del Nord, che continuano a celebrare le cerimonie dinastiche (i Fanompoana e le sedute del tromba).

I re contemporanei, come testimonia Estrade, non conoscono la venerazione, il rispetto e la grandezza di un tempo, vivono in modo modesto e sono spesso costretti ad esercitare una professione, dal momento che il danaro offerto dai fedeli è destinato al mantenimento dei palazzi reali (doany) e del personale delle tombe reali (mahabo). Persino durante la festa del bagno delle reliquie, cerimonia dinastica tra le più importanti, Estrade constata che nessuna maestosità particolare distingue il re dagli altri ministri del culto, ai quali si confonde mentre conduce nel recinto sacro gli animali destinati all'immolazione.

Infine, secondo l'esperienza di Baré, dopo il 1960 i re sakalava ed i propri consiglieri perdono il controllo sul territorio e conseguentemente parte della loro influenza sul popolo, sopraffatti sempre più dalla "gente dei morti" e dai posseduti reali. Come scrive anche Estrade il re "nous a semblé surtout docile aux suggestions des autres, de son médium en particulier qui lui dictait toutes les décisions à prendre.". Oltre che dalle decisioni dei saha, la libertà di iniziativa di questi re è limitata dai costumi tradizionali e dall'etichetta di corte.

Dunque se durante la colonizzazione le monarchie sakalava hanno saputo preservare la base fondamentale del potere attraverso il possesso delle terre su cui si è innestato il mantenimento dell'ordine ideologico e simbolico che le dinastie reali hanno saputo conservare anche durante il successivo periodo repubblicano, il rischio della distruzione delle antiche strutture appare, secondo Baré (1980), nella società sakalava moderna. Infatti man mano che le giovani generazioni si allontanano dall'ambiente familiare e che l'educazione viene assicurata dalle nuove istituzioni quali la scuola ed i mezzi di comunicazione di massa, l'antico apparato simbolico e religioso scompare e affiora un'ignoranza totale dei fatti monarchici e il desiderio di "marchandise". Ma la vera e propria fine delle monarchie verrà solo quando "l'Etat s'emparera des lieux sociaux qu'elles contrôlent ancore, c'est-à-dire, quand il inculquera aux paysans sakalava la conscience de sa légittimité à les faire obéir, comme les possédés royaux, dernier bastion des monarchies, entraînent encore leurs serviteurs à une obéissance aveugle et jouée" (Baré, 1980, 344).

La religione

L'animismo


Alla complessità del substrato etnico malgascio corrisponde la varietà delle concezioni religiose e delle rappresentazioni mitologiche, di fondo indonesiano con larghe influenze derivate dagli apporti africani, musulmani e, talvolta, cristiani. La visione religiosa di questo popolo è influenzata, poi, secondo Lahady, dagli elementi del quadro geografico (le piogge, i corsi d'acqua, le foreste).

La religione tradizionale è animistica: si fonda sulla concezione di un'anima separata dal corpo, invisibile in condizioni ordinarie e rivelata da esperienze quali il sogno, la visione o la trance.

I tratti principali della religione malgascia, che si ritrovano nella vita religiosa di tutti i gruppi, sono:

A .
La credenza in un dio supremo, creatore del mondo, detto Zanahary-be nelle regioni costiere, Andrianahary (Principe o Signore creatore) o Andriamanitra (Principe o Signore profumato) nell'interno. Il grande creatore è evocato all'inizio di tutte le cerimonie religiose e nei momenti più importanti della vita, tuttavia nessuna offerta, nessun tempio, nessun culto gli sono indirizzati: egli si tiene distante dagli avvenimenti umani; un pantheon di intermediari tra lui ed il mondo, quali i Vazimba (primi abitanti legendari dell'isola, dal sangue nobile), gli esseri mitici, gli antichi re, i geni della natura e gli altri spiriti, sono i veri destinatari del culto.

Il mondo divino è concepito, poi, sul modello dell'organizzazione sociale: vi è infatti correlazione tra la tendenza monoteista e la società più patriarcale del sud e la concezione politeistica (le divinità creatrici sono numerose) e la struttura sociale più democratica del nord.

B .
Il culto degli antenati (Razana). Questi vegliano sull'osservanza degli usi e dei costumi tradizionali; sono considerati come fonte di vita e come intercessori dei vivi presso Zañahary. Alcuni di loro che si sono distinti in modo speciale in vita o a cui sono state attribuite qualità ammirabili, prendono generalmente, dopo più generazioni, il nome di Zañahary (creatore).

Secondo un'interpretazione ricorrente lo spirito del defunto può talvolta riprendere possesso del corpo, riportandolo alla vita, o può materializzarsi presso le tombe, presso la sua abitazione o sui luoghi da lui preferiti; in genere resta in una zona della terra, posta verso l'est, che è la sua residenza invisibile. Sono sede dei morti, o loro consacrate, molte acque (sorgenti, cascate, laghi), perché connesse a spiriti di personaggi mitici. Secondo quanto riportato da Jean-Marie Estrade, un mito recente fissa la residenza dei morti su un'alta montagna, l'Anbondrombe, al confine dei paesi Tanala e Betsileo, olimpo ignorato dalla maggior parte dei malgasci della costa che localizza la vita dei defunti semplicemente nella tomba e nei suoi dintorni.

Il culto degli antenati è basato sulla credenza dei Malgasci in un'altra vita: morire significa accedere ad un'altra forma di esistenza, quella di Razana. Il culto -come dice Radavidrason- è connesso alle idee «sulla morte come evento principale della vita, su un aldilà tutto terreno che vive ed interviene nella realtà quotidiana», sull'esistenza nell'uomo di un'anima (avelo, ambiroa), che, dopo la morte, attraverso i riti funebri, diventerà Razana (antenato pacificato) e quindi Razam-be (grande antenato lontano) per le generazioni successive, per poi dissolversi nella divinità Andriamanitra. Il ciclo non necessariamente giunge al termine, potendosi interrompere precocemente, a seconda della sorte distribuita da Dio a ciascuno. L'azione necessaria perché il defunto continui la sua esistenza come "Antenato" è la celebrazione delle cerimonie funebri da parte della famiglia di origine e dei figli; altrimenti diverrà un' "anima in pena", ostile e vendicativa.

La morte ed i funerali non mettono fine alla relazione tra vivi e i morti. Presso tutte le tribù, infatti, hanno luogo riti diversi, ma dallo stesso significato, intesi ad entrare in contatto con i defunti per conoscerne le volontà e ad onorarli con l'offerta sacrificale di animali.

Jaovelo-Dzao descrive le diverse categorie di Antenati. La prima corrisponde a quelli promossi al rango della Divinità superiore: sono gli Antenati illustri e reali, che eleggono il loro domicilio in posseduti reali e portano il nome di tromba. La seconda categoria è quella degli Antenati semplici, che si manifestano sia riproducendosi in un animale o in una pianta, sia incarnandosi in un loro parente, sia attraverso sogni o malattie. Generalmente, a condizione che il rituale funebre sia stato completato, questi ultimi restano tranquilli nella loro dimora ancestrale. La terza categoria è costituita da coloro che, al contrario, non hanno potuto raggiungere tale dimora (sia perché non hanno ricevuto le cerimonie necessarie, sia perché sono stati troppo malvagi in vita) e che quindi errano tra la natura.

C . Il culto di idoli e feticci (sampy). I più importanti sono i sampy "reali", da cui derivano quelli familiari e personali. Il culto dei sampy prevede l'offerta di omaggi (hasina); a ciascuno dei sampy corrispondono, poi, dei divieti (fady) da rispettare e dei riti da celebrare.

D .
L'infinità delle forme rituali che si riferiscono al culto degli dei o a quello degli antenati. Secondo Jaovelo-Dzao ciò è legato alla concezione del mondo come un'unità contenente allo stesso tempo il mondo degli uomini e quello degli Antenati e della Divinità; tra l'uno e l'altro esiste una relazione dialettica e permanente, il cui passaggio simbolico avviene attraverso la celebrazione dei Riti, mentre quello ontologico attraverso la nascita e la morte.

E . La credenza negli spiriti e nella sorte. Nella cosmogonia malgascia tutti gli avvenimenti della vita sono sottomessi all'influenza misteriosa di forze occulte (spiriti o semplici correnti magiche), benevole o malvage, manipolate da stregoni e guaritori. Esistono degli esseri dotati di una coscienza di tipo umano, generalmente invisibili, tra i quali si distinguono gli spiriti della vita, o geni della natura, e gli spiriti dei morti. I primi (tsiñy o tiñy), generalmente maligni, popolano la natura, sono le divinità della crescita umana, animale e vegetale; la loro psicologia è dominata dal capriccio, la fantasia, la suscettibilità, lo spirito di vendetta; ogni regione ha i suoi geni dominanti e ben definiti, molti altri sono anonimi. I secondi sono gli spiriti tutelari della tribù e della famiglia, dispensatori dei regali divini (salute, fecondità, ricchezza), i quali instaurano un dialogo permanente con i viventi. I lolo sono degli spiriti che abitano tutti gli elementi della natura e quasi sempre sono ritenuti essere i fantasmi degli antenati. Secondo le credenze locali essi si abbandonano alle loro attività preferite: visitare i parenti, disturbare il sonno con sogni bizzarri, imporre idee curiose e inattese, suggerire azioni, spegnere le luci, ecc. Le condizioni nelle quali vivono sono quelle conosciute nella vita ordinaria: hanno le stesse preoccupazioni, gli stessi amici e nemici, le stesse ricchezze, gli stessi gusti.

Il pantheon malgascio è completato da fantasmi di stregoni e da anime di animali sacri, ingiustamente uccisi, in particolare i camaleonti (che si crede entrino nei corpi di chi li calpesta).

F . Un complesso ritualismo connesso ai ritmi di produzione ed ai tempi di semina e di raccolta. Ogni nuovo raccolto è tabuizzato e sacralizzato e può essere destinato al consumo normale soltanto dopo un rito di immissione nell'ambito profano. Il rito è il Santabary o "primizie del riso".

G .
La presenza, nella vita sociale e religiosa, di rigide norme di osservanza e di evitazione (i fady). Questi indicano il limite fra il sacro e il profano, designando ciò che non può essere mangiato, detto, toccato, fatto, nella maggior parte delle attività umane. L'infrazione del fady comporta una crisi nell'ordine sociale o nella vita individuale e la necessità di conseguenti pratiche rituali riparatrici. Spesso i fady osservati hanno un'origine mitica.

H . L'evocazione degli spiriti per riceverne oracoli. Tale pratica è diffusa in tutta l'isola, ma cambia denominazione a seconda delle regioni. Secondo Estrade si distinguono le evocazioni dei geni della natura dalla negromanzia che invece è una forma di evocazione degli spiriti dei morti. Alla negromanzia appartengono i culti reali Merina, Betsileo e Sakalava. L'invocazione dei re è una pratica religiosa che si inserisce in una rete di credenze: in Dio, nella sopravvivenza degli antenati e nella loro missione permanente di tutelare gli individui, le famiglie, il paese. Generalmente l'invocazione si fa nelle vicinanze dei resti mortali del defunto (tombe, reliquie, oggetti).

I . La convinzione che la malattia o la disgrazia siano "segni" della rottura dell' armonia cosmica, ossia di quella solidarietà che, secondo una credenza diffusa tra i malgasci, lega l'uomo alla società e all'universo e che si manifesta nel rispetto dell'ordine, della gerarchia e dei costumi creati dagli antenati. I garanti di tale armonia sono le divinità e gli antenati.

L .
Il sikidy, divinazione di origine araba. La tecnica divinatoria si basa sull'interpretazione della posizione presa dai semi su sedici figure, che rappresentano interessi vitali dell'esistenza malgascia (la ricchezza, il paese natale, i genitori,...). Prima di presentare il caso della consultazione (malattia, malanno, colpa, sospetto, progetti), l'indovino (ampisikidy) procede all'invocazione delle Divinità e dello spirito Sikidy. L'essenziale di tale pratica consiste nell'esorcismo del dika (male sacro), che può essere stato generato da un genio, da un antenato, da un'ingiuria, dalla violazione di un tabù o di un divieto ancestrale, dalla stregoneria. Il male è neutralizzato con gli aody (elementi minerali e vegetali), individuati attraverso la stessa arte divinatoria.
Agli indovini (ampisikidy) e agli astrologi (mpanandro) si ricorre anche per conoscere il proprio destino (vintana), assegnato a ciascuno da Dio e rivelato dall'oroscopo.

Le altre religioni presenti a Madagascar

Oltre alla religione tradizionale, un posto di rilievo hanno anche le confessioni cattolica e protestante; i musulmani costituiscono, invece, una minoranza. I cristiani sono numerosi soprattutto in Imerina, nel Betsileo e nelle città, ma si trovano quasi dovunque anche nella brousse.

La cristianizzazione incontra tutt'oggi delle resistenze, come dimostra il movimento di rivolta, allo stesso tempo anticristiano ed anticoloniale, del 1947. Ma, nell'insieme, le chiese e le varie istituzioni cristiane sono divenute cellule sociali fortemente integrate ed influenti. Quasi tutti i quadri dirigenti della politica e dell'amministrazione e la stessa élite intellettuale sono battezzati.

La religione tradizionale (essenzialmente basata sul culto degli antenati) tende a perdere la sua influenza nelle città e resta viva soprattutto nelle campagne. Inoltre, le migrazioni e la scolarizzazione hanno contribuito a cambiare la mentalità e rendono meno assidua la partecipazione della popolazione alle cerimonie e al culto degli antenati. I vecchi, economicamente deboli, hanno poco prestigio per riuscire ad imporre i costumi tradizionali. Le persone influenti del villaggio, i notabili, sono spesso degli arricchiti ed alcuni non appartengono nemmeno all'etnia locale e quindi non hanno interesse a trasmettere le credenze e le pratiche tradizionali. Prevale tuttavia un diffuso conformismo sociale che contribuisce, soprattutto nelle piccole comunità di villaggio, alla coesione sociale, al mantenimento della morale e al regolamento dei conflitti.

Alcune pratiche religiose tradizionali sussistono anche presso coloro che sono diventati cristiani, quali i famadihana, sugli altipiani, e, un po' dappertutto, è diffusa la credenza nella sorte e il ricorso agli indovini.

Secondo quanto affermato da Giovanni Dilenge, in conformità al nuovo atteggiamento di apertura delle Chiese verso i costumi locali (soprattutto dopo il Concilio Vaticano II), c'è stata una rivalutazione della cultura malgascia, anche in campo religioso: i famadihana (cerimonie di esumazione e di ricomposizione dei resti mortali) sono visti come una forma di onore dovuto ai genitori ed ai parenti. Lo stesso culto degli antenati è - secondo questa interpretazione - considerato di grande importanza per tenere unita la famiglia e per favorire la fedeltà alle tradizioni. In questa nuova ottica la messa e i sacramenti sono celebrati nella lingua locale, i ritmi e le melodie della musica malgascia sono utilizzati nella liturgia; anche nella "Via crucis" si notano delle forme di sincretismo originali: mentre le figure di Gesù e Maria hanno tratti europei, quelle dei carnefici rivelano sembianze malgasce. Dall'analisi della crescente simbiosi che si è sviluppata negli ultimi decenni tra le due culture "appare evidente che il Cristianesimo a Madagascar non è caduto in una landa di aborigeni, ma tra un popolo di spiccata religiosità" pertanto all'interno di tale simbiosi "trovano arricchimento sia la cultura malgascia che l'annuncio cristiano".

Palesemente sincretista è anche il fenomeno di possessione tromba. Si ritrova nelle cerimonie tromba, a fianco ai simboli classici, elementi arabi (le stelle, la mezzaluna e le croci di terra bianca con cui si ornano i posseduti) e cristiani (le immagini dei santi presenti nel decoro delle capanne, il rosario posto sull'altare del tromba, i canti cristiani, gli spiriti di missionari e di regine devote al cristianesimo, il rito del Barisa calcato sul battesimo e il calendario delle cerimonie tromba che segue le feste cristiane). Gli stessi discorsi dei posseduti (che consistono spesso in esortazioni e consigli basati su luoghi comuni) sono considerati da Estrade il frutto dell'influenza cristiana che, congiuntamente alla scomparsa del potere monarchico, sarebbe stata la causa della prevalenza nel tromba di una funzione morale e religiosa rispetto a quella storica di sostegno del potere dei re.

Edited by demon quaid - 2/1/2017, 00:41
 
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view post Posted on 25/10/2009, 13:14     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Origini storiche

Il tromba è un fenomeno di possessione diffuso in tutto il Madagascar. Originario dell'Ovest dell'isola, precisamente del popolo sakalava, si è in seguito esteso, in modo piuttosto omogeneo, anche sulla costa orientale e sugli altipiani dell'Imerina, come è dimostrato dalle ricerche di J. M. Estrade, P. Lahady e G. Althabe.

Per poter interpretare in maniera adeguata il tromba è necessario inquadrarlo storicamente, collocandolo all'interno della fondazione delle grandi dinastie malgasce. È infatti all'interno dei sistemi monarchici sakalava che ha avuto origine il culto di possessione, conosciuto come tromba. Tale fenomeno fu "istituzionalizzato" dai Maroserana per legittimare e strutturare il proprio potere nei confronti delle popolazioni autoctone, presenti nell'ovest dell'isola al momento della conquista sakalava. Per spiegare i successi passati e costruire un avvenire solido, il popolo sakalava fa entrare dunque i suoi sovrani nella sfera divina. È da questo momento che in ogni famiglia il culto dei propri antenati passa in secondo piano rispetto all'invocazione collettiva degli antenati reali e che «ogni riferimento alla monarchia» diventa «riferimento all'ordine divino del cosmo».

La monarchia e le rappresentazioni del potere monarchico costituiscono una parte importante della simbologia del rito.

Il nesso tra potere monarchico e sfera religiosa è sottolineato anche da Rusillon. Per i Sakalava, infatti, tutta la religiosità era concentrata intorno ai loro re e regine che erano ritenuti di origine divina e come tali erano oggetto di culto.

Secondo Andrianjafy il rispetto e la venerazione profonda per il ampanjaka (re, regina) giungeva fino all'idolatria. Il popolo sakalava credeva fermamente "al diritto divino dei re" ed attribuiva ai propri sovrani una protezione speciale da parte della divinità; disobbedire loro diveniva non solo un crimine, ma un sacrilegio. Secondo i miti di fondazione sakalava la creazione del mondo è opera degli antenati reali, considerati sia figli della stessa divinità che incarnazione degli dèi più antichi.

Il re, in vita, godeva di un prestigio divino, testimoniato dall'obbligo di inchinarsi in sua presenza, di usare un linguaggio esoterico nei suoi confronti e dal diritto di vita e di morte che egli esercitava sui suoi sudditi. Il re veniva inoltre considerato il ministro del culto per eccellenza e gli erano attribuiti, grazie alla sua sacralità, poteri di guarigione. Una volta morto, diveniva ancora più potente. Il passaggio al nuovo stato - come è descritto da Estrade - si effettuava laboriosamente ed esigeva la partecipazione popolare. La prima tappa di questa "santificazione" erano i funerali. Il re veniva innanzitutto privato della carne in putrefazione. Queste operazioni duravano due o tre mesi, durante i quali il popolo offriva da mangiare ai becchini, che beneficiavano anche delle offerte fatte al re (incenso, oli profumati, musica dei tamburi sacri e delle conchiglie marine, canzoni rituali). Con la morte del re si apriva un periodo di instabilità sociale che si manifestava in un certo disordine visibile perfino nella barba, nei capelli e nei vestiti della popolazione, disordine dovuto anche all'abolizione provvisoria dell'esercizio della legge. Tale caos, secondo quanto affermato da Jaovelo-Dzao, doveva rappresentare simbolicamente la fine del mondo, rivissuta alla morte di ogni ampanjaka.

Quando il corpo era ormai ridotto a scheletro e ne erano state prelevate le reliquie (barba, unghie, capelli, denti), si procedeva all'inumazione. L'entrata del re nel mondo sacro era simbolizzata dall'attribuzione di un nuovo nome, che riassumeva le sue qualità o la sua storia terrestre, mentre quello precedente diventava tabù. Da questo momento in poi il re era destinato a tornare tra i suoi sudditi attraverso solo la possessione tromba.

L'incarnazione dello spirito di un sovrano sakalava (tromba) diventerà un modello che si diffonderà in tutta l'isola, influenzando in particolare i culti di possessione betsimisaraka e merina. Disinseriti dalla loro storia dinastica, ridotti a stereotipi, questi spiriti sakalava acquistano un carattere mitico tale che sono chiamati tromba anche gli spiriti dei sovrani betsimisaraka e merina.

Ancora oggi i fenomeni di possessione diffusi presso la popolazione malgascia sono ritenuti, generalmente, opera di un tromba, ovvero dello spirito di un antico sovrano che si incarna in un vivente per elargire benedizioni, consigli o rimedi per le malattie. I posseduti sono generalmente donne, spesso nubili o sterili. Nella società malgascia, in cui la prole e la fertilità godono della più grande considerazione (35), la presenza di queste donne al centro di un rito molto sentito dalla popolazione è considerata dalla maggior parte degli interpreti come una forma di riscatto sociale da una condizione subalterna. Tuttavia si registrano anche casi di possessione maschile, soprattutto da parte di vecchi.

La venuta dello spirito è preceduta da uno stato di trance, che viene indotto con l'ausilio di musica, danza e numerose libagioni. Ma in realtà il tromba si manifesta per la prima volta in una forma più intima e privata, attraverso il sogno o la malattia. E' solo in seguito a questo "segno" che vengono poi organizzate, a spese della famiglia del posseduto, una serie di cerimonie pubbliche per consentire l'apparizione dello spirito e la guarigione dell'eletto. Il posseduto verrà consacrato ed investito ufficialmente dal medium (saha) nel suo nuovo ruolo durante il rito del Barisa; in seguito l'iniziato dovrà seguire un tirocinio per apprendere l'uso delle piante medicinali ed i segreti del suo ufficio, che hanno a che vedere con la storia delle dinastie e in particolare con quella determinata figura regale da cui è posseduto.

I seguaci del tromba sono organizzati in confraternite che raramente superano l'ampiezza del villaggio; ne fanno parte, oltre ai devoti ed ai malati-guariti, anche persone che partecipano alle cerimonie semplicemente per paura di ritorsioni (invio di disgrazie e malattie) da parte dello spirito.

I riti di possessione tromba sono stati visti con diffidenza ed avversati non solo dai cristiani e dai musulmani come manifestazione di "spiritismo" e magia, ma anche dalla medicina ufficiale, che li ha considerati espressioni patologiche ed ha ritenuto i "rimedi" dettati dallo spirito responsabili di numerosi decessi.

Come riscontrato da Estrade il carattere ossessivo e persecutorio del culto ha provocato in molti la conversione al cristianesimo, vista come definitiva liberazione dallo spirito tormentatore. Altri, la maggioranza, preferiscono invece frequentare sia la Chiesa che le sedute del tromba.

Come si diventa tromba

Secondo quanto affermato dalla maggior parte dei "malgachissants"; il termine tromba designa allo stesso tempo lo stato di possessione, lo spirito possessore, lo stesso posseduto (quando non è designato col termine di saha) e l'insieme del rito di possessione.

I principali aspetti cerimoniali della possessione tromba sono: le sedute in cui vengono evocati gli spiriti, i bagni sacri e la consacrazione degli iniziati.

Secondo la tradizione sakalava, quando un sovrano muore (particolarmente il sovrano regnante) nei due o tre anni che ne seguono la morte, il suo spirito "esce" attraverso un individuo vivente. Il manifestarsi di tale spirito, posteriore alle cerimonie funebri che gli sono dovute, significa, secondo Baré che in tal modo la reciprocità tra vivi e morti è assicurata.

Ci sono vari modi per acquisire lo status di posseduto. Il futuro posseduto può essere "scelto" dallo spirito, il quale - secondo l'analisi di Ottino - si manifesta per la prima volta attraverso una malattia. Baré afferma che in seguito lo spirito può anche apparire in sogno al malato, annunciandogli il proprio nome e ordinandogli di "farlo uscire". Questi consulta allora uno specialista in divinazione o un medium per conoscere la vera causa della propria malattia: il "segno", infatti, potrebbe provenire da un atto di stregoneria o essere l'avvertimento di un antenato di famiglia. Comunemente, il medium si intrattiene con il malato, per diagnosticare se c'è o meno una effettiva presenza di tromba e per farsi aiutare a chiarire il caso egli si consulta in privato con il proprio tromba. Se il risultato è positivo si procede ad organizzare la cerimonia pubblica, la festa di accoglienza del tromba che permetterà di identificare pienamente lo spirito e di conoscerne le volontà. In seguito lo stato di possessione diviene una condizione permanente ma latente, nel senso che si manifesta solo saltuariamente. Secondo Ottino l'unico "segno" del tromba si troverebbe nella testa del posseduto, che diventa la sede e il simbolo della possessione e come tale non può essere toccata.

Lo status di posseduto può essere anche una scelta deliberata che spinge alcune persone a frequentare le sedute del tromba, durante le quali si apprende la biografia dei re. Lo status di posseduto è infatti molto ambito perché costituisce un mezzo di mobilità sociale, che si fonda sull'acquisizione di un potere rituale-simbolico importante e che diventa spesso anche una cospicua fonte di reddito.

Infine secondo Jaovelo-Dzao esiste anche la possibilità che sia il medium a scegliere la persona che diventerà un posseduto tromba. Baré fa notare che tale status non può essere trasmesso ai discendenti; gli stessi posseduti, una volta morti, sono interrati nel cimitero familiare del proprio gruppo. In contrasto con quanto affermato da Baré, Estrade invece raccoglie testimonianze di una sorta di "dovere di successione", che spingerebbe gli individui ad accettare il tromba di un proprio congiunto (« "Mes tromba sont ceux que possédaient mon père avant sa mort" raconte un possédé...».

Non tutti i posseduti sono però dei tromba. I posseduti reali possono essere infatti di due tipi: i posseduti ordinari (tromba) e le persone dette saha.

Il termine tromba indica i posseduti di piccolo status, che agivano nel dominio privato, in opposizione a quello di saha che designa i posseduti legittimi che, all'epoca delle grandi monarchie sakalava (XVII sec. - XIX sec.), avevano un ruolo istituzionale riconosciuto nelle unità territoriali e che intervenivano nelle decisioni politiche. L'opposizione tra una possessione ordinaria e privata ed una pubblica è netta. Esisteva in ogni villaggio sakalava, infatti, un gran numero di "piccoli posseduti", che agivano in una sfera ristretta: erano i posseduti di spiriti di aristocratici che non avevano regnato e che non venivano considerati dall'apparato monarchico come degli interlocutori. I "grandi posseduti" erano, invece, quelli che venivano installati presso le tombe reali e che avevano un ruolo politico importante.

Inoltre nella possessione detta "ordinaria" l' "entrata" dello spirito è consecutiva ad uno stato indotto di trance in cui si trova il posseduto tromba. Tuttavia la discesa dello spirito non è né automatica né fisiologicamente sempre possibile, infatti non sono rari i casi di persone che crollano, sfinite, prima che lo spirito si manifesti. Tale possessione "ordinaria" si oppone ad un'altra definita "tecnica" che è propria dei "grandi posseduti", cioè i saha. Costoro, contrariamente al semplice posseduto (che deve ricorrere a delle tecniche che gli permettano di raggiungere lo stato di trance), sono sempre in grado di assicurare il loro ruolo: agiscono così attraverso una possessione "tecnica", nel senso che per passare dallo stato di individuo a quello di spirito è sufficiente cambiare vestiti e aspetto. Quindi i saha sono sempre disponibili per ogni consultazione che l'apparato politico (e particolarmente l'apparato delle tombe reali) possa domandare loro.

Secondo quanto affermato da Baré, nei saha c'è una sovrapposizione tra la personalità del posseduto e quella dello spirito al punto che, anche al di fuori della trance, i grandi posseduti sono salutati nello stesso modo riservato agli aristocratici e ai grandi dignitari. Per Ottino, invece, al di fuori dello stato di trance i saha vengono trattati in modo normale.

Lo spirito di un re, che si manifesta ordinariamente nei due o tre anni che seguono la sua morte, può possedere simultaneamente più persone ma ha un solo saha, riconosciuto come vero sostituto del principe defunto. Ogni persona, a sua volta, può essere posseduta allo stesso tempo da spiriti di più ampanjaka (re, regine). I posseduti più importanti sono quelli che "ospitano" più di dodici tromba (il cui numero può arrivare fino a sedici).

Infine i "grandi posseduti" si oppongono ai "piccoli posseduti" dei villaggi anche per il fatto che mentre questi ultimi sono considerati come "autentici" solo in seguito ad un vago consenso fatto intorno alla loro persona ed al loro stile nella possessione, i posseduti reali importanti, particolarmente quelli che risiedono nei villaggi costruiti presso le tombe reali, sono l'oggetto di un esame condotto con straordinaria prudenza da parte di un membro della famiglia reale. L'esame consiste in un vero e proprio interrogatorio sulla vita dello spirito di cui ci si dichiara posseduti e nell'identificazione delle sue reliquie e degli oggetti personali. Solo dopo questa fase il posseduto può essere considerato un tromba "autentico": è allora installato presso le tombe reali vicino le spoglie mortali che egli rappresenta ed è investito dei poteri reali, compresa la capacità di infliggere sanzioni soprannaturali (che si manifestano sotto forma di malattie).

Il reclutamento dei posseduti (saha o tromba) era, secondo Baré , subordinato a due criteri generali: innanzitutto l'appartenenza ai Sambiarivo, e poi la conoscenza dei rituali e dei fatti storici. I Sambiarivo (lett. "la folla dei mille") erano degli individui che acquisivano uno status ambiguo di schiavi (schiavi reali), erano cioè dei personaggi garanti dell'ordine rituale. I Sambiarivo, al contrario degli schiavi in senso stretto (che esercitavano un'attività produttiva sulle terre del sovrano), sono presi all'interno dei gruppi sakalava e vengono stabiliti in modo permanente presso i recinti funebri.


Lo spirito possessore (tromba).

Come afferma Jaovelo-Dzao, gli antenati reali della dinastia sakalava e i diversi geni benevoli sono i personaggi principali dei dialoghi dei medium. La lista è numerosa e contiene personaggi stereotipati, alcuni dall'identità ben conosciuta, altri anonimi che si caratterizzano perché rappresentano un mestiere o un luogo d'origine.

Oltre ai tromba dei re sakalava, esistono anche tromba di re o regine merina che hanno avuto un ruolo importante nella storia sakalava, e tromba di principi sakalava celebrati a causa di alcuni avvenimenti particolari della loro vita anteriore o a causa delle loro morti tragiche o macabre. Tra questi ultimi Jaovelo-Dzao parla dei tromba andrano, spiriti di principi sakalava che si suicidarono, annegandosi, in seguito alla sconfitta subita da parte dei colonizzatori Merina all'inizio del XIX secolo. Sono spiriti molto aggressivi e quando ritornano sulla terra sono vestiti di bianco e minacciano con un bastone gli stranieri. Come affermano Jaovelo-Dzao e Lombard, i tromba sazoka sono gli spiriti dei re in generale e si manifestano durante alcune cerimonie reali, quali i funerali, la circoncisione, i bagni delle reliquie e la pulizia delle tombe.

Bisogna però distinguere la relazione di un saha con lo spirito di un re defunto (sazoka) dalla relazione con gli spiriti tsiñy o Koko. Lo spirito possessore tromba può essere infatti come si è già visto quello di un antenato reale, ma anche quello di un genio della natura. Gli spiriti tsiñy furono i primi abitanti della terra e rappresentano gli antenati dell'uomo in generale, i Koko o Kokolampo sono gli spiriti della foresta. Entrambi si manifestano agli esseri viventi attraverso la possessione tromba.

Infine tra gli spiriti tromba Jaovelo-Dzao ritrova anche i tromba "roturiers", cioè spiriti di ubriachi, guerrieri, politici, maghi o stregoni e i tromba di bambini il cui ruolo, secondo Estrada, è interpretato spesso da vecchi.

Protagonisti e operatori del tromba.

I protagonisti del rito di possessione sono secondo Jaovelo-Dzao le divinità (Zañahary), gli Antenati, gli spiriti tromba, i geni tsiñy, il medium saha e il suo assistente, il paziente (marary), coloro che assistono e gli adepti.

Il primo e il più importante tra i funzionari del culto di possessione è il saha, chiamato da Rusillon fondy. Il medium saha è il capo della cerimonia di possessione, ma accade spesso che egli intervenga anche in altri riti, come quelli che celebrano la nascita, il matrimonio, la morte. La sua capacità di mettersi in trance assicura la comunicazione con i geni, gli antenati, le divinità.

Come spiegato da Jaovelo-Dzao il termine saha ammette due accezioni, "canale" e "campo": il medium è il campo d'azione degli spiriti e il canale che permette il loro passaggio. Il primo della gerarchia è chiamato sahabe (capo-medium). All'interno della comunità del villaggio, il sahabe ha differenti competenze, che includono l'arte divinatoria, l'astrologia e la guarigione. La sua abilità di guaritore si basa sulla conoscenza delle proprietà delle piante medicinali: egli in trance parla dei rimedi di cui bisogna servirsi e delle malattie (indicate con i nomi dei re) in questione; la potenza dell'aody (rimedio sacro) prescritto e la forza dello stesso medium porteranno alla guarigione del malato. Il saha si impone per la sua funzione e per il suo carisma all'interno della cerchia degli adepti e la sua influenza può estendersi a tutto il villaggio ed oltre.

Anche se le iniziazioni avvengono nell'età puberale, i veri medium, qualsiasi sia la loro appartenenza sessuale, assumono la loro funzione solo nell'età matura. Il rango di sahabe si può raggiungere solo in vecchiaia, età simbolo di saggezza, costanza, stabilità, sacralità.

L'ampangataka o mpamoaka ha innanzitutto il compito di assistere il medium durante la trance e di interpretare il linguaggio dello spirito (spesso incomprensibile). Tale ruolo è affidato generalmente al partner coniugale del medium o almeno ad una persona che è in relazioni particolarmente intime con lui. Con l'aiuto del mpamoaka coloro che assistono alla cerimonia possono comprendere ciò che accade tra il saha e lo spirito del malato o tra quest'ultimo e i tromba dei presenti (la presenza di uno spirito ne attira, infatti, altri).

Il mpamoaka assume anche il ruolo di mediatore tra il mondo degli spiriti e quello degli esseri viventi «egli parla in nome degli dèi e prega in nome degli adepti»; infine ha il compito di dirigere i presenti ("riscaldarli") e di provvedere all'organizzazione della cerimonia, del decoro e dell'accoglienza degli spiriti.

Grande importanza nello svolgimento della cerimonia hanno anche i presenti, che contribuiscono con i canti e il battito delle mani (rombo) a dare il ritmo alle danze, mostrando così una grande partecipazione durante la trance del posseduto.


I luoghi sacri.

I luoghi sacri malgasci sono i doany (palazzo reale), dove sono conservate le reliquie del re defunto, e i mahabo, le tombe dei re. Entrambi si trovano all'interno di interi villaggi sacri che vengono designati con lo stesso nome (doany e mahabo). Contrariamente a ciò che succede nei villaggi profani, in quelli sacri l'esistenza sociale e la disposizione dello spazio sono regolati da uno stretto simbolismo, il cui rispetto è assicurato da numerosi divieti (fady). Dà una testimonianza dei comportamenti a cui ha assistito nel villaggio sacro di Miarinarivo (a nord-est dell'isola), che ospita al suo interno uno dei doany sakalava. «Qui è vietato tutto ciò che può creare rumore (oggetti, comportamenti, mezzi di trasporto) e turbare così il riposo dei re... Per penetrare nel palazzo reale è necessario togliere le scarpe, entrare col piede destro, vestirsi di lambahoany e spogliarsi di ogni oggetto che possa ricordare la civiltà moderna... all'interno, una tenda bianca nasconde le reliquie agli sguardi profani».

La continua protezione dei doany e il culto che vi si celebra sono affidati a degli specialisti, votati ereditariamente a queste mansioni. Tutti gli abitanti del villaggio sacro partecipano al servizio reale e se ne dividono i compiti. Spesso questi "funzionari del sacro" possono diventare anche "canali" dello spirito. I servitori dei doany sono sottomessi a diverse obbligazioni rituali e sono tenuti a non rivelare i dettagli relativi alla biografia e ai funerali dei re, allo scopo di prevenire i saha impostori.

Una precisa testimonianza delle tombe reali è fornita da J. F. Baré che ha incentrato il suo studio in particolare su quelle controllate da una sotto-dinastia sakalava stabilitasi a nord-ovest, i Bemihisatra. L'organizzazione bemihisatra sorveglia direttamente tre tombe reali (situate a Ambalarafia, Manongarivo e Tsinjoarivo) ed indirettamente altre due (quelle di Lavalohaliky e Nosy Berafia). Questa ripartizione delle spoglie reali tra tombe differenti è dovuta ad esigenze di segmentazione territoriale dei regni oppure al rispetto dell'autonomia religiosa di ciascuno dei morti reali oppure al tasso di conflittualità sociale interna al gruppo dei discendenti reali.

Manongarivo e Ambalarafia sono i principali luoghi di culto della monarchia bemihisatra e particolarmente a Manongarivo, dove sono inumati i discendenti più recenti della famiglia reale, le prestazioni funebri sono frequenti. Ognuno dei due villaggi sacri racchiude al proprio centro il recinto funebre e le tombe, entrambi costruiti su una posizione sopraelevata, visibile da qualsiasi punto dello stesso villaggio. L'insieme degli atti sociali, dei compiti politico-rituali e degli oggetti funebri sono ordinati secondo una precisa suddivisione dello spazio.

Ancora secondo la descrizione di Baré, è inclusa nel palazzo reale (doany) una piccola costruzione, la zomba vinta, su cui gravano più divieti. Essa contiene gli oggetti che sono stati in contatto col corpo del sovrano (vasellame, vestiti), le reliquie reali e il danaro cerimoniale. Infine, l' "apparato" delle tombe reali è esclusivamente reclutato tra i Sambiarivo (schiavi reali) della popolazione sakalava di ogni unità territoriale.

Gli strumenti musicali e i canti.

Lo strumento musicale tradizionale indispensabile e sempre presente nelle sedute del tromba è la valiha, una sorta di cetra. Il ritmo è dato anche dal rombo (o battito di mani) e dal suono dei tamburi reali, manandria o hazolahy. L'arte dei battitori di mani e quella dei suonatori dei tamburi si apprende attraverso una lunga pratica. I manandria sono l'emblema della regalità sakalava e contribuiscono a ricreare nel corso della cerimonia l'atmosfera e l'ambientazione delle corti degli antichi re. Meno frequentemente si trova la fisarmonica, molto apprezzata ma costosa. Nelle descrizioni di Estrade delle cerimonie contemporanee del tromba, il classico tamtam o i volgari bidoni e barattoli completano la gamma degli strumenti a percussione. Sono, invece, rigorosamente vietati dallo spirito gli strumenti moderni o stranieri (la fisarmonica è un'eccezione). Tutti gli strumenti musicali prima dell'uso sono consacrati con del caolino o "terra bianca", utilizzata dal medium anche per segnare il corpo dei posseduti e gli altri oggetti rituali.

Gli studiosi della cultura malgascia sostengono che i tamburi reali sono stati utilizzati come strumenti cerimoniali nel Sud-Est malgascio sin dalla nascita del primo regno nel XVI secolo. Jean-François Baré descrive in particolare il tipo hazolahy (lett.: "legno maschio"), dalla forma lunga e cilindrica, che viene utilizzato sia presso le reliquie reali e quindi i doany che presso le tombe. Gli hazolahy delle tombe reali di Manongarivo sono tesi con la pelle di due animali sacrificali, il bue e la capra, sono battuti esclusivamente dagli uomini che li hanno in custodia e sono conservati in una dimora riservata ai soli tamburi. Gli hazolahy sono gli "iniziatori" delle cerimonie, il loro suono separa il tempo cerimoniale da quello quotidiano ed è sempre alternato a quello delle conchiglie marine (antsiva). Quest'ultima descrizione data da Baré contrasta con quella che ritroviamo in Estrade secondo cui la conchiglia di mare non appare sempre a fianco ai tamburi; strumento sacro per eccellenza, questa viene infatti utilizzata solo durante la festa annuale del Bagno o per calmare la collera dei re, ma non si ritrova durante le cerimonie tromba.

Curt Sachs fornisce nel suo libro una descrizione precisa degli strumenti musicali malgasci. Per il suo lavoro l'autore si e' basato sull'osservazione diretta degli strumenti presenti nel Musée de l'Homme a Parigi, sulle foto prese sul campo e sulle relazioni di viaggio risalenti sino al XVII secolo. Di particolare interesse è la testimonianza che egli offre sugli strumenti utilizzati durante le cerimonie tromba: il tamburo detto hazolahy (o manandria) e la valiha. Il manandria è un tamburo su cono, in legno duro; ha un corpo leggermente bombato e due pelli sensibilmente diseguali, la più piccola delle quali è circondata da una rondella in paglia. L'attacco è indiretto: la pelle è avvolta intorno ad un cerchio di legno o di metallo; il bordo, rialzato, è tenuto fermo da un altro cerchio. Vicino alla piccola pelle vi è una cintura formata da più giri di corda. Il tamburo è sospeso al corpo con l'aiuto di una corda ed è mantenuto quasi orizzontale, con la grande pelle posta a destra. Come spiega M. H. Deschamps si tamburella il piccolo lato con la mano, ad un ritmo frenetico e continuo, ed il lato più largo con una bacchetta di legno, con colpi più o meno distanziati e violenti che scandiscono la danza. Il tamburo su cono esiste solo in coppia, di taglia e tonalità diverse, in modo da fornire quattro note. La differenza non consiste nella lunghezza, ma solo nel diametro. Dove esistono strumenti accoppiati, l'uno è guardato come maschio, l'altro come femmina: il nome di "legno maschio", potrebbe del resto esserne una conferma. Un'altra spiegazione sarebbe quella secondo cui il tamburo hazolahy non è mai tra le mani di una donna; molti osservatori affermano che esisterebbe un divieto formale alle donne di toccarlo. Il hazolahy è uno strumento rituale, spesso sacro, che si ritrova nelle cerimonie reali, nelle circoncisioni, nei funerali; sembra tuttavia che venga usato anche in occasioni profane e che il modo di suonarlo non sia costante (può essere battuto anche con due mani).

La valiha è una sorta di cetra costruita su canna di bambù. Consiste in un grosso pezzo di bambù compreso tra due nodi, al di là dei quali è stata generalmente lasciata, da una parte e dall'altra, una certa porzione di canna. Tra i nodi e nel senso della lunghezza si staccano dalla corteccia delle sottili bande che servono da corde. Queste non vengono tagliate fino alle estremità, protette da uno spago avvolto tutto intorno. Ogni corda è tesa ed accordata con due piccoli angoli di legno inseriti come cavalletti. Per quanto riguarda gli accordi, si ritrova una forte influenza dell'Occidente.

Lo strumento può essere suonato seduti o in piedi. A seconda dei casi, l'estremità inferiore del bambù è stretta tra le ginocchia o i piedi, oppure è posta sotto il braccio o appoggiata sullo stomaco.

Le circostanze e le parole cantate durante le sedute del tromba testimoniano, secondo Rusillon, che i canti rivolti allo spirito sono dei canti religiosi e anche la musica costituisce una realtà sacra. Pur conservando una certa monotonia, quest'ultima offre una grande varietà; è raro infatti che in clan diversi o anche in una serie di sedute successive, si cantino le stesse parole su una stessa aria. Ciò dipende molto, comunque, dall'improvvisazione del capo-coro (ampijijy). In una stessa seduta, all'interno del coro, possono susseguirsi più direttori: il più esaltato, il meno stanco o il più abile diventa il direttore momentaneo.

In Rusillon ritroviamo precise testimonianze sul genere di canti e di musica utilizzati durante le cerimonie tromba. Secondo l'autore i canti sono composti generalmente da un linguaggio esoterico, impiegato in modo laconico. I canti iniziali delle cerimonie, accompagnati dai valiha, ritmati dai tamburi e dai battiti delle mani, sono di appello e di invocazione. Una volta intonato, il canto è continuato fino a completo esaurimento, a meno che il capo-coro (ampijijy) non ne cominci uno nuovo o che un altro non interrompa l'esecuzione. Se lo spirito si fa attendere, si accelera il ritmo del canto, per incitarlo con più forza a venire. Generalmente quando i presenti cominciano a spazientirsi perché lo spirito si fa desiderare, l'ampijijy pone delle domande sul re alle quali il coro dice di non voler rispondere.

Quando il malato inizia ad agitarsi, ci si appresta ad accogliere il re, che sta per materializzarsi nel posseduto, con una nuova preghiera composta da una frase ripetuta all'infinito, cantata dapprima lentamente ed a voce moderata e poi più velocemente. I cantori finiscono per arrestarsi, sfiniti, ma il malato, eccitato, continua da solo, automaticamente, i suoi movimenti delle spalle e della testa.

Se si tratta di un uomo possessore di un tromba femminile, lo si obbliga a travestirsi e si canta una cantilena, particolarmente ripetitiva, che non ha alcun senso e che parla di una donna, di una regina, di un ermafrodita o di un uomo che ha abitudini di donna; grazie alla sua ripetizione interminabile e al fatto di essere accompagnata dal fumo dell'incenso, esercita un effetto straordinario sul medium facilitandogli l'entrata in trance. Nelle cantilene è talvolta espresso un certo rimpianto per non poter vivere in una terra migliore del Boina, rimpianto che alla fine del canto si tramuta infine in rassegnazione e speranza, dal momento che in questa terra si possono comunque "servire" gli antenati e godere della loro presenza. Poco numerosi sono i canti di umiliazione in cui i presenti cantano per conto del malato, si umiliano per lui e nello stesso momento quest'ultimo si esalta per essere stato scelto da un tromba. Spesso i canti allo spirito permettono anche di rinfrescare la memoria collettiva. L'ampijijy enumera infatti tutti i personaggi celebri che costituiscono il pantheon sakalava e si ingegna anche ad inventarne dei nuovi, cosa sempre molto apprezzata dai partecipanti.

Quando lo zelo dei presenti diminuisce, il medium si abbandona ad un'energica mimica che mira a far riprendere vigore alla litania; iniziano, allora, dei canti spontanei in polifonia.

Nell'ottica musicale del tromba l'aspetto terapeutico non è da sottovalutare: i suoni cacofonici e discordanti scacciano gli spiriti cattivi, mentre la musica dolce ed armoniosa evoca quelli benefici e calma quelli malvagi.

Generalmente queste nenie sono cantate all'unisono. Di tanto in tanto vi sono delle prove di armonizzazione e spesso si termina con una corona a quattro voci, ciascuno dando il suo piccolo colpo di gola. Spesso gli esercizi si prolungano per tutta la notte e nessuno si sottrae allo sforzo e alla fatica. Avere un ruolo in circostanze così memorabili è considerato un onore, senza dimenticare che l'eventuale rifiuto di partecipare alle cerimonie sarà seguito dalla vendetta degli spiriti o da quella dei posseduti interessati offesi da tale atteggiamento.
 
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view post Posted on 26/10/2009, 18:20     +1   -1
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CERIMONIE E PERFORMANCE RITUALI DEL TROMBA

1. Il Fitampoha (Fanompoana o il bagno delle reliquie.

Il Fitampoha è una cerimonia dinastica originaria della regione sakalava del Menabe e consiste nel bagnare nel fiume Tsiribihina le reliquie reali o dady (lett.: antenato) degli antichi regnanti del regno del Menabe.

Secondo la maggior parte degli studiosi malgasci questo rito era presente già tra le popolazioni che abitavano l'ovest dell'isola prima della conquista sakalava e, come altre tradizioni religiose riguardanti il culto degli antenati, fu adattato dai Sakalava della dinastia dei Maroserana ai propri re. E' precisamente al re Andriamisara che si fa risalire l'origine del culto delle reliquie reali nel Menabe. Le reliquie di Andriamisara e dei suoi successori saranno in seguito trasportate più a nord da Andriamandisoarivo, un principe dei Maroserana. All'inizio del XVIII secolo egli abbandona il Menabe e fonda il nuovo regno sakalava del Boina, dando inizio alla dinastia dei Zafimbolamena che governerà questo territorio fino alla conquista dei Merina (popolazione dell'altopiano centrale dell'isola). Nella città di Majunga (capitale del Boina) Andriamandisoarivo costruisce un doany dove saranno deposte le reliquie che ha portato con se' e che daranno origine anche qui ad un grande culto.

Secondo la testimonianza di E. Nérine Botokeky e di F. Raison-Jourde la celebrazione di questi rituali reali è accertata fino agli anni ottanta in tutto l'ovest sakalava e si è svolta circa ogni dieci anni (1939, 1958, 1968, 1978), ma, come dice F. Raison-Jourde, si avverte un certo allontanamento e disinteresse soprattutto tra la popolazione del Menabe verso queste cerimonie dinastiche.

Secondo quanto affermato da Lombard e da E. Nérine Botokeky la cerimonia del Fitampoha del Menabe dura sette giorni e raggiunge il suo punto culminante il venerdì del bagno delle reliquie (55). Fino al giovedì precedente l'inizio della cerimonia si vive una scena orgiastica che rappresenta il disordine sociale. Il venerdì si immola un bue davanti il santuario dove sono conservate le reliquie (zomba). Il guardiano del zomba designa poi i dieci mpibaby, cioè coloro che dovranno trasportare le reliquie e gli oggetti rituali (utensili appartenuti al re defunto). Il venerdì, primo giorno della cerimonia, le reliquie escono dal zomba per essere portate presso il fiume, dove, l'ultimo venerdì della settimana, vengono bagnate e cosparse con il grasso del bue sacrificato; il sabato riprendono il loro posto nel zomba davanti al quale viene organizzata una cerimonia di ringraziamento che segna la fine della festa.

Secondo Lombard lo stesso schema vale anche per la cerimonia del Fanompoa del Boina, con la differenza che le quattro reliquie deposte nel zomba faly sono le sole fabbricate dalla dinastia dei Zafimbolamena. Egli afferma inoltre che qui le reliquie sono unte con una mistura e non bagnate nell'acqua.

Durante la cerimonia gli antenati reali sono presenti, oltre che sotto la forma materiale delle reliquie, anche nella persona dei posseduti. Vestiti di bianco (simbolo di purezza) e di rosso (simbolo di regalità), i posseduti sono considerati e venerati come i re defunti che incarnano.

Anche i clan nobili e quelli dominanti da un punto di vista economico partecipano alla cerimonia, durante la quale si definisce la loro posizione sociale. Infatti, secondo quanto affermato da Lombard, solo la dinastia reale, i gruppi nobili e i principali clan del regno si dedicano all'allevamento dei buoi e possono quindi fornire gli animali necessari per l'organizzazione delle cerimonie dinastiche. Ciò rafforza il loro prestigio sociale ed economico e il loro status nella società sakalava.

Originariamente, secondo Nérine Botokeky durante il culto delle reliquie il sacro era attentamente isolato dal profano attraverso un insieme di divieti (fady) da rispettare nella scelta dei mpibaby, del linguaggio e delle attitudini da osservare nei confronti dei posseduti reali e infine delle categorie di persone che potevano partecipare alla festa. Sempre secondo l'autrice, tali divieti, come altre regole rituali, vengono sistematicamente trasgrediti nelle cerimonie dei nostri giorni; questo fatto è interpretato come un segno dell'indebolimento dell'influenza della dinastia reale del Menabe. Anche Lombard osserva che in seguito alla colonizzazione e al crollo del potere monarchico sakalava vi è stato un certo declino nel livello della cerimonia. Nérine Botokeky nota che gli stessi fady rituali, testimonianza del carattere sacro delle reliquie del sovrano, si sono modificati. La prova è data dal Fitampoha del 1978, durante il quale alcuni divieti sono stati eliminati. Ad esempio si è permesso a operatori televisivi, venuti a girare il film "Fitampoha", di precedere i dady (antenati) durante la processione e il bagno e persino di entrare nel rivotse, luogo sacro dove sono deposte le reliquie. Inoltre altri divieti legati alla scelta dei partecipanti vengono oggi tacitamente evasi e così chiunque può recarsi alla festa del Fitampoha senza distinzione di sesso, di età o di appartenenza clanica. Anche i mpibaby non si sottopongono più ai numerosi imperativi tradizionali, tanto che «le bon mpibaby se fait rare».

Secondo Lombard il rituale rappresenta simbolicamente l'origine del mondo a partire dal momento della sua creazione e ripercorre la storia del regno sakalava. Infatti il bagno delle reliquie degli antenati [associate agli uomini e al potere] nell'acqua (associata alla donna) sta a ricordare la formazione della dinastia reale sakalava, la creazione del regno e la delega del potere da parte del dio Zañahary agli antenati mitici sakalava. Per Lombard quindi ogni cerimonia esprime il concepimento della regalità sakalava e la sua legittimità.

Per Nérine Botokeky la cerimonia del Fitampoha è un atto di fedeltà e sottomissione del popolo sakalava della regione del Menabe ai propri re defunti. Inoltre permette ai partecipanti di rivivere la propria storia attraverso la presenza dei posseduti reali, che ricordano gli antichi conflitti di successione dinastica. Un tempo questa riattualizzazione rinsaldava e riaffermava il potere dei re e legittimava anche la gerarchia dei gruppi clanici all'interno della società sakalava.

Oggi la cerimonia del Fitampoha è, secondo Lombard, un ritorno nostalgico alle origini e rappresenta per i discendenti della dinastia reale l'occasione di affermare sul piano rituale un potere locale che hanno di fatto perso a favore dell'amministrazione nazionale. Secondo F. Raison-Jourde questo rituale serve oggi a legittimare i nuovi rapporti di potere. Il culto, infatti, oltre gli interessi dei discendenti della dinastia reale e quelli delle famiglie dei servitori reali, tutela anche la posizione sociale del gruppo dei notabili. Questi ultimi cercano attraverso la partecipazione alle cerimonie una legittimazione del proprio potere economico di recente acquisizione.

La festa annuale del bagno fu istituita all'inizio del XVIII secolo anche nel regno del Boina, in seguito al trasporto in questa regione delle prime reliquie dei re sakalava. Anche qui, come nella regione del Menabe, tale cerimonia si compie presso i vari doany (palazzo reale) disseminati sul territorio, ma la più importante e grandiosa è quella organizzata nella città di Majunga. Henry Rusillon nel suo libro dà una precisa descrizione del Fanompoana di questa città a cui ha assistito agli inizi del ‘900.

Il doany di Majunga è il solo ben curato ed è circondato dai due recinti tradizionali che ne difendono l'accesso. Al centro del secondo recinto, più serrato, una capanna di legno, il Zomba-faly conserva le quattro reliquie sante, gli Andriamisara efa-dahy, oggetto di culto e di adorazione. Queste si distinguono appena, circondate da ampie tele che le nascondono allo sguardo. Le offerte (stoviglie, stoffe, oggetti di uso quotidiano, danaro, cibo) sono ammassate al suolo.

Il "servizio del re" è vissuto dalla popolazione come una grande festa, a cui le persone accorrono numerose e per tribù, vestite dei più bei lamba e coperte di gioielli, per fare offerte e voti. La preparazione della cerimonia è lunga, infatti mesi prima sono inviati degli emissari per raccogliere dei contributi destinati a coprire le spese e per indicare la data della festa, che si tiene ogni anno, nel mese di luglio e in un giorno di luna piena. Circa i due mesi precedenti le "Grandi giornate" cominciano le visite ai diversi doany; alti tamburi, i Manandria, che rappresentano anch'essi gli antenati, sono trasportati da una tomba all'altra, fino a Majunga, dove si svolge il Fanompoana.

Presso coloro che non sono potuti andare a Majunga con la loro tribù, in special modo gli antichi schiavi e i Merina si rinnovano in piccolo le stesse scene di possessione e di sacrifici a cui si assiste durante la processione.

La cerimonia del bagno delle reliquie di Majunga descritta da Rusillon è simile a quella celebrata nel Menabe.

Nel Zomba-be si riuniscono tutti i discendenti degli antichi re; ne sono espulsi con vivacità coloro che non sono stati espressamente designati dagli spiriti. Questa capanna contiene i resti dei quattro grandi re sakalava, non visibili in tempo ordinario. Solo con protezioni speciali si può essere ammessi all'ora del Bagno, dietro la grande tela, per contemplarli. L'entrata nel primo recinto che difende il Zomba be è relativamente facile allo straniero. Poi bisogna presentarsi alla porta del secondo recinto che circonda un'altra capanna (il Zomba-faly) che contiene le reliquie: tutto ciò che è europeo non piace agli antenati e si cerca di evitare la loro ira facendo spogliare quelli che portano pantaloni o calzano scarpe. All'interno del Zomba be le donne battono le mani e cantano suppliche agli spiriti affinché si manifestino, perdonino e benedicano. Mentre dietro la tela i principi preparano il letto, gli antenati si impossessano di alcuni presenti. In seguito, aperta la porta del Zomba faly, quattro individui posseduti dagli antenati, si travestono con camicie e berretti appuntiti rossi, segno della vicinanza degli spiriti. Gli idoli vengono lavati con cura ed accolti con grande clamore dalla folla. Il venerdì seguente il bagno è consacrato ai festeggiamenti; è questo il momento in cui si pagano i voti, si raccontano le guarigioni ed in cui può avvenire che gli Andriamisara efa-dahy, sempre portati dai quattro personaggi, siano esposti al pubblico e facciano un giro nel cortile. Al loro passaggio ci si inginocchia, si canta, si urla, ma non si è più posseduti.
Ogni anno è versata come voto una somma di danaro, collettivamente o individualmente. Queste offerte sono in parte utilizzate per pagare i guardiani e fare qualche regalo ai guaritori, mentre la maggior parte è lasciata a disposizione degli spiriti, che provvederanno a ripartirla.

Agli inizi degli anni settanta Jean-Marie Estrade assiste alla stessa cerimonia di Majunga. Anch'egli ci parla della sua lunga preparazione, che si estende per un anno intero. La festa del bagno è celebrata nei giorni di luna piena del mese di luglio e avviene di domenica.

Il preludio della festa consiste in due veglie d'onore e di protezione alle offerte, deposte nella residenza reale; al suo interno una donna, stimolata dall'incenso, dai ritmi e dai canti, entra in trance. La festa inizia a mezzogiorno con la grande processione che trasporta le offerte verso il doany di Miarinarivo. Circa cento donne circondano il gruppo delle giovani caricate del fardello dei regali. Tutto intorno vagano le possedute, in camicia bianca, che impersonificano i servitori reali di un tempo e che, camminando, brandiscono gli inopportuni con il bastone e distribuiscono consigli e rimedi. La folla attende sul sagrato del tempio. Il giorno dopo è consacrato all'invocazione solenne dei re defunti, preceduta da preghiere, canti, ritmo di tamburi e seguita dalla risposta dei tromba sotto forma di oracolo. Il re ne segna l'inizio e la fine. Il culmine della festa è, la domenica, il bagno solenne delle reliquie che avviene, dopo l'omaggio della danza, all'interno del santuario. Qui sono raggruppati i principi e tutti i discendenti della famiglia reale e i posseduti degli spiriti reali vestiti con camicie e con sabaka (berretti rossi a forma di corna di zebù). Alle reliquie si accordano gli onori del bagno, che è sempre stato in Madagascar esclusiva prerogativa della famiglia reale. L'acqua del bagno, divenuta sacra, è ingurgitata, usata per unzioni e conservata con cura. Seguono il sacrificio di buoi e la divisione della carne. La chiusura delle solennità è marcata da una nuova festa che si svolge il venerdì seguente in una atmosfera più raccolta: è intonato il rombo, un canto ritmato dai battiti delle mani; i devoti portano come riconoscenza ex-voto; si svolgono delle danze sacre ed in particolare il Rebiky, eseguito al suono dei manandria, da due uomini con i sabaka, che portano una lancia nella mano destra e un fazzoletto rosso nella sinistra. La giornata termina con una nuova divisione della carne.

Le principali fasi di questa cerimonia, che si estendono con delle pause per tutto il mese, sono: la colletta delle offerte, in denaro o in natura; la processione con i doni verso il doany; le grandi suppliche nel corso di più veglie cantate (la prima delle quali comincia alla luna piena del mese precedente la festa); la celebrazione del bagno delle reliquie; la cerimonia di ringraziamento nel venerdì seguente la festa.

L'ultima fase della festa è seguita dall'autore presso un diverso doany, situato più a nord di Majunga, dove all'epoca si trovavano parte dei dady. Le reliquie reali, infatti, considerate il simbolo del potere, sono state spesso al centro di conflitti sia durante la dominazione merina sia in seguito durante quella coloniale. Una disputa per il loro possesso oppone nel 1957-58 al doany di Majunga i discendenti dei rami Bemazava e Bemihisatra della dinastia sakalava. La restituzione delle due principali reliquie ai Bemihisatra avverrà nel 1973, dopo anni di culto celebrato in modo diviso.

L'aspetto del "grande servizio annuale" che è stato definito da Estrade "étrange" e che illustra bene i rapporti che esistono tra le cerimonie del bagno e quelle del tromba, è la partecipazione dei posseduti reali. Questi, nei Fanompoana, errano tra la folla per esercitare una sorta di servizio d'ordine, per distribuire oracoli o semplicemente per divertire i curiosi.

La possessione non è, nella maggior parte dei casi, spontanea, ma il risultato di un'evocazione dello spirito fatta attraverso purificazioni, richiami musicali ed olfattivi.

Estrade distingue durante i Fanompoana tre tipi di possessione: una "familiare", il cui carattere è la fantasia, l'improvvisazione e spesso il pittoresco; una "funzionale", strettamente legata alle necessità della cerimonia, che viene eseguita da tromba-servitori, cioè da una sorta di "agenti di polizia" in veste bianca e armati di grossi bastoni dal pomo d'argento; una "liturgica, il cui tratto essenziale è la gravità e che si svolge in un clima religioso come risposta alle preghiere e ai gesti di adorazione".

L'autore nota, poi, altri legami esistenti tra i Fanompoana e le sedute del tromba (analogie nello svolgimento e in alcuni aspetti delle cerimonie). In entrambi i casi si ha una reincarnazione del re: mentre nei Fanompoana si tratta di un ritorno solenne per tutto il popolo sakalava, nelle sedute del tromba si tratta invece di un ritorno più familiare per qualsiasi devoto. I tempi fissati sono, nei due casi, il periodo di luna crescente ed il venerdì, giorno fausto. La terminologia è la stessa per designare gli interpreti della volontà dello spirito nelle sedute del tromba e i porta-parola del popolo davanti la tenda bianca delle reliquie durante la cerimonia del bagno, entrambi infatti vengono chiamati ampangataka. Anche i divieti da seguire nella capanna del tromba sono identici a quelli osservati nel doany: portare le scarpe, fischiare, fotografare. L'organizzazione dello spazio cerimoniale del tromba è ricalcata simbolicamente su quella del doany. La processione delle offerte non esiste nel tromba, ma è sostituita dalla presentazione dei doni al medium. Il momento dell'evocazione è lo stesso nelle due cerimonie così come le parole che vengono pronunciate: l'appello ai re avviene in un silenzio religioso, poi si accende l'incenso e risuonano gli strumenti sacri e il battito di mani, poco dopo sopravvengono le possessioni, teatralizzate in modo identico. Il rito del bagno manca nel tromba (al di fuori dei doany non esistono reliquie dei re) ma al suo posto c'è l'uso di bagnare monete d'oro e d'argento in un piatto contenente un mélange di acqua, terra bianca, miele, piante. Infine, si ritrova la stessa cerimonia di ringraziamento, in risposta ai favori ottenuti dai re nelle sedute precedenti.

Le sedute del tromba

Secondo la maggior parte degli studiosi della cultura malgascia il tromba dei re defunti, cioè la possessione da parte dei re defunti, deve essere separato dal tromba degli spiriti jiny e koko e deve essere inscritto tra le cerimonie dinastiche, a fianco del Fitampoha e del Fanompoana.

Le cerimonie tromba vengono organizzate, secondo la credenza malgascia, allo scopo di stabilire un dialogo con lo spirito di un re defunto (precedentemente rivelatosi attraverso il sogno o la malattia) e di sondare i suoi desideri, sono quindi delle risposte alla manifestazione dello spirito. Le sedute seguono il ciclo lunare e si svolgono nell'intervallo di tempo che intercorre tra una festa del bagno ed un'altra. Le cerimonie ordinarie possono aver luogo all'aria aperta, ma più spesso si svolgono all'interno di capanne che sono sempre molto affollate. Il saha erge in questo caso l'altare nella sua capanna, nell'angolo degli antenati. Quando invece si tratta di un rombo tromba (trance collettiva che riunisce più adepti intorno a più saha) si costruisce il podio al centro del villaggio (centro del mondo), non lontano dall'altare degli antenati.

In base a diverse ricerche fatte essenzialmente nel Boina nel corso di due viaggi (nel 1901 e nel 1907) e di una missione evangelica (dal 1909 al 1911), il pastore Henry Rusillon pubblica nel 1912 uno studio relativo al rito di possessione tromba in cui dà una precisa descrizione delle varie sedute a cui assiste e di come vengono decorate le capanne in cui si svolgono le cerimonie.

Nella parte nord-est di una stanza (talvolta vi si costruisce appositamente una capanna) si mette un sedile, generalmente una cassa che viene decorata o almeno ricoperta di un tappeto e che rappresenta il trono reale su cui siede il "malato". Di fronte si monta un altare che viene apparecchiato con un piatto contenente l'acqua, il miele, la terra bianca, le radici di ninfea e dell'argento o dell'oro. L'acqua contenuta nel piatto prende un gusto dolce grazie al miele, amaro a causa delle radici di ninfea, aspro al palato a causa della terra bianca. È una bevanda sacra presa con avidità dal malato o dai presenti. Si pone anche uno specchio nel caso in cui il tromba sarà una regina e un cappello se sarà un uomo.
In ogni lato dell'altare vi sono bottiglie di idromele, di alcool o di vino "Toro", a seconda dei luoghi. Le bottiglie, in numero di quattordici, sono destinate a riscaldare ed a sostenere i cantanti; inoltre esprimono l'atmosfera festosa prodotta dalla visita dei re.
In un luogo riservato si mettono i lamba (vestito a grandi frange o con una larga banda di seta) che sono destinati al malato in trance una volta venuto a conoscenza dell'identità dell'antenato che lo possiede. Dopo essere stati indossati, i vestiti saranno conservati fino alla nuova manifestazione del tromba. Questi costumi rassomigliano a quelli dei re di una volta e possono essere una camicia rossa o un lamba; sono confezionati da sarti speciali (l'ampanjaka o lo stesso medium) e vengono lavati molto raramente. Un uomo può vestirsi da donna e viceversa, a seconda del sesso del tromba.
Il quadro è completato dai bastoni, dalle coppe per l'incenso e dal caolino. Il bastone, sul quale si appoggiano, a turno, il saha, il mpamoaka ed il malato, è lungo e talvolta ornato di sculture (arabeschi, un serpente, un caimano, un bue). La parte alta è scavata di qualche centimetro e contiene una piccola scatola d'argento nella quale sono messi degli aody (foglie diverse, piccole pietre, miele, grasso). Il bastone è qualche volta munito di campanelli, che tintinnano contro la volontà di chi lo tiene e che si agitano con vivacità quando arriva la trance o quando il saha gesticola, gridando vicino il paziente. L'emboka, o incenso malgascio, brucia davanti al malato, che si avrà cura a fare circondare dal fumo. La terra bianca serve a segnare il viso o il corpo dei presenti, oltre alle bottiglie e tutto ciò che è impiegato nella cerimonia, in segno di purificazione.
Infine, ciò che completa la caratterizzazione dell'atmosfera è la presenza di un rumore, sempre ritmato, che ha la funzione di regolarizzare i movimenti del malato e di provocare in lui un certo stordimento.

Il rito del tromba, descritto da Henry Rusillon, comprende "quattro grandi stadi" o cerimonie. Oltre alle riunioni preparatorie tra il malato ed il saha durante le quali si deve accertare la presenza di uno spirito reale, vengono organizzate quattro sedute pubbliche: il Misafosafo (la carezza) ha lo scopo di attirare il tromba con lusinghe e preghiere, esortandolo a venire tra i viventi; il Vaky-vava è un'espressione che significa letteralmente "apertura della bocca" o "la bocca rotta": lo spirito segnala la sua presenza attraverso le prime espressioni verbali; l'Anpitononina serve a far parlare il tromba che viene interrogato su svariati motivi; infine il Valy-hataka è una vera e propria festa durante la quale viene fatto un sacrificio per ringraziare lo spirito.

L'incontro preliminare:
Il medium (saha o fondy) avvertito della visita di un paziente, si abbandona ad una serie di esercizi preparatori che contribuiscono al successo del suo intervento. Innanzitutto, si sottopone all'abluzione che, in primo luogo, serve ad annullare ogni traccia di malefici (prodottisi in seguito ai diversi contatti che ha dovuto effettuare) e, in secondo luogo, gli conferisce la sacralità. Pulito e sacralizzato, è pronto ad entrare in relazione con i tromba che hanno domicilio in lui e ad indirizzare loro invocazioni, spiegando le ragioni del suo appello. E' allora che si introduce per la prima volta il paziente presso di lui. Ciascuno fa in modo che questo primo incontro si svolga nella più grande discrezione ed in segreto. Si tratta semplicemente di determinare se il paziente sia o meno vittima di uno Spirito-tromba. Sono presenti le persone più intime, che cantano e battono le mani. Il malato è posto di fronte al medium. Questi ha due metodi di lavoro per capire se è capace di esercitare qualche azione sul soggetto che ha di fronte. Se riesce, tra il rumore ritmato, attraverso dei gesti e lo specchio, ad ottenere un sonno più o meno profondo durante il quale si manifestano dei tremori, può dichiarare una riuscita certa e fissare il giorno di una seduta pubblica. Se questo primo metodo fallisce, il malato è messo sotto un grande panno dove si bruciano, in una piccola coppa, incenso ed erbe odorose; durante tutto il tempo della fumigazione, i parenti si agitano e cantano le loro invocazioni. Dopo un po' di tempo, se l'operazione è riuscita, il malato non ha più coscienza di se stesso, fa smorfie e piange, muovendo spalle, gambe e braccia al ritmo dei battiti di mani. Se il malato è refrattario, significa che non è posseduto.

Misafosafo, la carezza:
Riuniti in una capanna, gli adepti accolgono lo spirito allo stesso modo di un visitatore reale e mostrano grande pazienza attendendo la sua epifania. Il coro canta e batte le mani, mentre circolano le bevande. Tra il chiasso, il medium-guaritore fa una lunga evocazione. Egli prega gli antenati di cui si ricorda, parla loro del paziente e si prepara ad entrare in trance. Si canta sempre più forte accelerando il ritmo, la resina brucia, il saha si alza per andare incontro allo spirito, il malato attende pazientemente il risultato della consultazione. Perché il tromba sia contento, l'intensità ed il ritmo dei canti non devono diminuire. Il medium perde conoscenza, è preso da convulsioni. Gli si dà da masticare del caolino, egli sputa della saliva biancastra, ha gli occhi rovesciati ed emette dei gemiti. E' allora che l'aiutante del medium grida ad alta voce per invitare lo spirito a venire il più rapidamente possibile. Egli lo carezza e lo supplica. Il paziente trema ed il rumore aumenta intorno a lui. Il tromba del medium riconoscerà un suo parente nello spirito che possiede il malato. In un'atmosfera gioiosa ci si separa.
Il medium indica il giorno della prossima seduta. Se si può, si sceglierà per il paziente un giorno in cui egli avrà un attacco di febbre. Ogni adepto del tromba si ritira, segnato con della terra bianca sul naso o sulle orecchie, segni che conserverà con cura il più a lungo possibile.

Il Vaky-vava:
In rapporto alla precedente, questa seduta è più accuratamente preparata. L'altare è provvisto di tutta l'apparecchiatura ed è eretto ad est o nord-est della capanna. Di fronte è posto il sedile del malato. L'assemblea è rivolta verso l'est. Il medium cerca di mettere il paziente in uno stato vicino all'ipnosi. Egli si rivolge allo spirito che si è impossessato del malato. Il coro canta, battendo le mani, accompagnato dai valiha o dalla fisarmonica. I partecipanti si rivolgono allo spirito che si suppone all'origine della malattia e lo pregano in ginocchio, con le mani levate, con i palmi in alto al di sopra della loro testa, di perdonare la trasgressione del fady; la prova del perdono sarà la fuga del tromba. Durante questo tempo il paziente piange, gesticola, fa delle smorfie, emette grandi sospiri. Ogni tanto il medium, o il suo assistente, versa sulla testa del posseduto una parte del contenuto del piatto sacro e non dimentica di fargli bere l'acqua, come per diminuire l'intensità della crisi che sembra estremamente dolorosa. Questo momento di aspersione è seguito da un altro di eccitazione più intensa in cui tutti i presenti vedono lo spirito presente e lo pregano con più fervore. Allora il medium fa nuovamente bere un sorso d'acqua sacra ed opera un grande segno bianco sul naso e le guance del paziente (il segno parte dal lato delle labbra ed arriva sotto il lobo dell'orecchio): è il vaky-vava. Con questo gesto la bocca del malato è stata aperta e lo spirito finalmente parla. Si canta, si grida, si danza e si agisce come se si volesse spaventare lo spirito, ora onorato, ora vilipeso. Ora il privilegio di mettersi in trance non è più riservato solo al malato ed al medium, ma molti tra i presenti sono posseduti dagli spiriti. Si produce un vero contagio, dal momento che tutti gli antichi tromba si risvegliano al richiamo della presenza dei loro parenti; inoltre nuovi tromba si manifestano spontaneamente.
Le crisi hanno un carattere diverso a seconda della tribù a cui appartiene il posseduto. Il malato urla, si agita violentemente per qualche istante, poi all'improvviso avanza con movimenti bruschi e getta i suoi vestiti. I presenti, prevedendo ciò, lo circondano e lo rivestono di lamba nuovi. La stessa scena si ripete più volte intorno a persone diverse, poiché ogni tromba ha il suo momento di crisi. D'ora in avanti questi vestiti divengono abiti reali e sacri; li si conserva presso il saha, nell'angolo dove si fanno le preghiere.

Da questo momento il malato è considerato sotto la sua nuova personalità e durante la trance, ovviamente, egli dimentica totalmente la sua. Si ignora ancora il nome dell'ospite. Con il corteo il posseduto è condotto verso la cascata sacra, per il bagno. Per lo stesso scopo, in mancanza di un corso d'acqua, si può disporre di una tenda posta ad est della capanna del medium. Al ritorno lo si trasporta con allegrezza e giubilo. Egli si calma bruscamente, vestito degli abiti reali: è una nuova creatura e la sua stessa attitudine cambia. Mentre i presenti continuano ad indirizzare al medium preghiere, invocazioni e suppliche, progressivamente l'eccitazione diminuisce.

Quando il silenzio sarà completo, bisogna far attenzione a che nessuno si installi sulla soglia della porta o presso la finestra, per evitare che sia posseduto dallo spirito che sta per lasciare i luoghi. Se il tromba si reincarna in un'altra persona, questa si ammalerà a sua volta.

Alla fine della cerimonia si bagnano i presenti con il contenuto del piatto rituale.

Parenti ed amici sono rassicurati dalla guarigione prossima e certa. La seduta seguente attirerà più persone, curiose di conoscere l'identità dell'ospite soprannaturale. Questa cerimonia del Vaky-vava è di grande interesse, perché è da questa che dipende la sorte finale del malato.

L'ampitononina non differisce, all'inizio, dalle due precedenti cerimonie. La disposizione nella capanna ed i personaggi sono gli stessi, ma gli attori e gli spettatori sono più eccitati. Il malato stesso comincia a prendere l'abitudine ed entra più facilmente in trance.

Per il giorno fissato dall'indovino o dal medium si invitano parenti ed amici, fedeli al tromba. La cerimonia si svolge se possibile all'esterno, su un podio, per evitare che l'isteria collettiva provochi degli incidenti. Sul podio si dispone una grande tavola orientata verso Est-Ovest. A sud della tavola si pone un letto ricoperto di una stuoia nuova ed orientato Ovest-Est. Tra il letto e la tavola si organizza uno spazio tale da permettere agli operatori del culto di muoversi liberamente. Il suolo è ricoperto di una stuoia pulita poiché i presenti che vi si siederanno metteranno abiti nuovi. Il modo di vestire è codificato in modo rigido: bisogna evitare gli abiti cuciti e cercare di avere un lamba di un pezzo solo, facendo in modo che le spalle e le braccia siano nude. Le regole variano secondo le regioni e gli spiriti.

Prima dell'arrivo degli invitati si dispongono sulla tavola gli oggetti rituali. Ogni medium (in occasione dei grandi Rombo tromba possono venirne molti) è munito di un bastone sacro. La cerimonia inizia il pomeriggio e si prolunga tutta la notte. Il paziente si siede ai lati del saha e del suo assistente, il coro comincia i preludi musicali battendo le mani. Tutti si servono abbondantemente di toaka (bevanda alcolica) durante la cerimonia.

Il malato geme e si agita, si impadronisce di un bastone, mette il suo lamba a tracolla, immerge le dita nell'acqua mista a terra bianca, fa delle figure sul suo viso e su quello degli assistenti. Gli adepti così consacrati si inclinano e salutano il tromba.

I canti raddoppiano d'intensità, tanto che i presenti emettono delle forti grida. Il malato canta e danza. Sfinito, si distende sul letto urlando: è il segno che il tromba ha lasciato il paziente. Ma lo spirito rimane presente e può incarnarsi in un'altra persona tra i presenti. Qualche volta si produce un vero contagio nell'assemblea: ognuno degli adepti manifesta segni di possessione (gemiti, crisi, movimenti violenti e bruschi). I canti ed i battiti di mani raddoppiano d'intensità.

Si supplica il tromba di rivelare il suo nome. Ciò, può durare molte ore o risolversi rapidamente. Infatti, benché quello che caratterizza la terza seduta o la terza serie di sedute è che il tromba debba parlare, questo non accade automaticamente, poiché lo spirito può ingannare i presenti inviando i suoi servitori ed i suoi schiavi. Questi ultimi hanno il compito di annunciare le ragioni per le quali il tromba ha creduto non rispondere alle evocazioni. I motivi più frequentemente invocati sono la violazione di tabù e di divieti. I servitori, che sono gli emissari del re, sono inviati per primi, ma può accadere anche che tali spiriti si sostituiscano completamente al padrone, allora, l'esorcista e tutta l'assemblea protestano violentemente anche con ingiurie e li rinviano a cercare il re.

Gli spiriti inferiori hanno un metodo particolare per testimoniare la loro presenza: il malato si contorce sul suo sedile, ride fragorosamente e senza sosta. Ben presto si sposta, va da una persona all'altra, producendo una certa confusione. Diventa più audace e si abbandona a sconvenienti familiarità, dalle quali si asterrebbe certamente nella vita ordinaria. Questi incidenti si producono talvolta alla fine delle sedute: quando il lo spirito del re è già arrivato, i suoi servitori lo seguono per adempiere al loro servizio; l'agitazione diventa generale e termina con la rumorosa dispersione dell'assemblea. Se tali incidenti si producono prima, l'attesa è più lunga.

Nel mezzo dei canti di acclamazione e dei movimenti di esaltazione, il medium si alza, in preda a convulsioni. Coloro che assistono restano in silenzio. Lo Spirito si fa riconoscere, non prima però di aver rivolto dei rimproveri al paziente ed ai presenti: è Radama (il secondo re merina) o Andriamisara o un altro. Immediatamente tutti si pongono in modo da soddisfare lo spirito, che rivela dei sentimenti e delle attitudini impreviste. Se egli detesta ciò che è europeo, subito si rifiuta tutto quello che può ricordare i bianchi. Se, invece, sembra amarli (è in generale il caso di Radama), tutta l'assemblea cerca di divenire europea, anche parlando un francese d'occasione. Se lo spirito è creduto anticristiano, si fanno imprecazioni contro i cristiani.

Sotto l'influenza dell'esaltazione si producono dei fenomeni di glossolalia: si finge di parlare francese, gli Hova articolano parole sakalava e viceversa (per gli uni e per gli altri ciò è nell'ordinarietà una grande difficoltà). Quanto al tromba, egli parla la lingua del suo paese di origine. I posseduti spesso parlano la lingua sacra ed esoterica del tromba: è il beko, il vocabolario dei re sakalava e della corte reale.

Il tromba, una volta dichiaratosi, non è riconosciuto subito come il vero spirito risiedente nel malato, ma deve essere identificato dai suoi parenti. Può accadere a volte che lo spirito di cui si dichiara posseduto il malato esista già presso un altro saha e in tal caso i presenti protestano in modo violento dal momento che non possono esistere due "esemplari" nello stesso villaggio. Si manifesta allora una certa esitazione, tanto più che gli spiriti amano il cambiamento e passano facilmente da un medium all'altro. Poco a poco l'ordine si stabilisce: gli spiriti tromba si sentono in famiglia, si salutano e si interpellano.

Improvvisamente tutto il popolo è preso da manie di grandezza, rivive qualche episodio di un'epoca lontana, ma non tarda, tuttavia, a ritornare alla realtà.

Lo spirito si presenta anche come un guaritore, infatti è in grado di prescrivere degli aody (sostanze medicinali). Niente, del resto, gli è sconosciuto e così viene interrogato su molte questioni: indica i divieti da osservare, i viaggi da fare, designa gli stregoni che hanno gettato un cattivo destino su questo o quello dei presenti.

Quando il malato ritorna al suo stato normale non ricorda niente dell'accaduto, si sente molto debole e prova il bisogno imperioso di andare a fare un bagno. Il suo assistente ha il compito di raccontargli tutto alla fine della crisi.

A questo stadio, la cerimonia del tromba prosegue secondo due percorsi. Mentre all'interno ci si abbandona ad esercizi bizzarri, all'esterno, davanti al toñy (recinto sacro e altare degli antenati), si immola uno zebù. L'animale è più di una vittima: è trattato come una divinità. Delle condizioni sono richieste: la testa, la coda, le quattro zampe devono essere di colore bianco; inoltre è necessario che si lasci condurre all'immolazione senza protestare. Davanti la vittima legata, tenendole la coda, l'orante fa una lunga invocazione alle divinità, ai geni, agli spiriti, anche sconosciuti, poi immola il bue. Il primo sangue che esce dalla ferita, generalmente alla gola, serve ad abbeverare gli Spiriti ed i partecipanti alla cerimonia e a realizzare una specie di aspersione o di libagione. Vengono segnati (sul naso, sulla fronte, sulla bocca ed alla base del collo) il paziente e tutti i presenti che lo desiderano. Si versa anche un po' di sangue nel piatto sacro, unendolo alla mistura indicata ed il tutto servirà per delle benedizioni reiterate o per aspergere ancora il malato.

L'aspersione si rinnoverà tutte le volte che un qualunque movimento segnali la presenza dello spirito; se qualche goccia si disperde su qualche presente, immediatamente questi è preso da tremori.

Terminato il sacrificio, viene distribuita la carne. Una volta invocato lo zebù, ognuna delle differenti parti organiche è offerta alle divinità, in sostituzione di un essere umano. La maggior parte della carne è consumata dai presenti, come per partecipare in modo intimo alla vita della divinità che era nella vittima e per rinforzare i legami tra i vivi.

Dopo tutte queste prestazioni il malato deve essere guarito; altrimenti, è sempre possibile ricominciare. La responsabilità del fallimento è attribuita, in questo caso, a qualche intruso, o semplicemente al paziente stesso per aver violato dei tabù. Se invece il malato muore, sarà accusato di negligenze gravi nel "servizio". Se invece egli ritrova la salute ci si prepara a celebrare il valy hataka.

Valy hataka, festeggiamenti con sacrifici di riconoscenza:

In quest'ultima parte delle cerimonie del tromba dominano la gioia e la fiducia. Non si ha più bisogno del fondy o del mpamoaka: il malato guarito diviene a sua volta il medium ed ha il suo assistente. Il nuovo medium, prima di dedicarsi interamente alla sua nuova professione, deve adempiere un ultimo compito: ringraziare il capo-medium ed invitare tutti gli adepti a celebrare una grande festa per offrire un sacrificio di riconoscenza agli Spiriti-tromba, ai geni, agli Antenati ed alle divinità. Egli non tarda ad entrare in trance: il tromba parla, indica l'ammontare del suo compenso per aver guarito il malato e detta dei nuovi divieti da osservare. Poi lo si interroga, promettendogli doni più o meno grandi. C'è anche una sorta di negoziazione a proposito dei fady: si può reclamare meno severità nelle prescrizioni in cambio di un risarcimento, che lo spirito accetta o rifiuta a suo piacimento. Quando il mercato sarà concluso tutte le offerte apparterranno al nuovo medium. Perché egli non ne abbia la piena disponibilità, le istruzioni sul loro uso sono emanate dal tromba. Egli deve conservare il danaro oppure, se lo spirito glielo ordina, comprare delle grandi catene che porterà sulle spalle: una donna avrà, invece, una moneta da cinque franchi tra i capelli; un'altra dei cerchi in oro o in argento al polso o alla caviglia. Nella maggior parte dei casi il danaro offerto è conservato con i vestiti sacri e, in determinate circostanze, avrà posto di nuovo nel piatto sacro e verrà distribuito dallo Spirito-tromba in segno di soddisfazione.

Lo joro velo (preghiera vivente o bue sacro) è un bue offerto come riconoscenza allo Spirito-tromba durante questa cerimonia, che però non verrà immolato. È un animale scelto con cura, il cui colore dipende dallo spirito al quale è destinato. Il giorno fissato si brucia dell'incenso davanti all'animale, lo si consacra con delle invocazioni e poi gli si rende la completa libertà, talvolta a danno dei coltivatori del villaggio. In questa circostanza viene interpretato anche il destino degli esseri umani.

Qualsiasi siano le sue colpe, il joro velo non deve essere mai disturbato o colpito. Consacrato, diviene proprietà dello spirito tutelare e, divenuto adulto, viene venduto al mercato. Un giovane bue viene comprato per rimpiazzarlo. La differenza del prezzo tra l'acquisto e la vendita sarà dello spirito. Il medium procede allora ad una distribuzione generale. Gli si viene a chiedere aiuto e soccorso, come ai re viventi; gli si domanda un prestito, ed egli si dimostra molto generoso. Se il danaro di cui dispone non è sufficiente a soddisfare tutti i bisogni, allora è sostituito simbolicamente con un segno rotondo fatto, con della terra bianca proveniente dal piatto sacro, nel palmo della mano del suo interlocutore. La festa prosegue con monotonia tra giochi, grida e libagioni, e talvolta termina in un'ubriachezza generale.

Come affermato dall'autore, le cerimonie descritte sono monotone, lunghe e possono rinnovarsi molte volte in un lasso di tempo ravvicinato fino al prodursi del risultato atteso, inoltre non hanno un ordine e dei particolari immutabili dal momento che la loro modifica dipende dall'umore degli spiriti e dalla loro fantasia.

All'inizio del XVII secolo, in seguito all'espansione sakalava e alle influenze reciproche che avvennero tra le tribù a causa di alleanze matrimoniali o militari, il tromba sakalava si diffuse nelle altre regioni dell'isola, così come avvenne più tardi durante le guerre di unificazione intraprese nel XIX secolo dai re Merina. Infine, in epoca più recente, sono avvenute importanti migrazioni dalle regioni sovrappopolate o aride verso il nord e l'ovest, regioni ricche di industrie e miniere, dove il tromba prolifica (Estrade, 1977). Il tromba sakalava, secondo Estrade, non sarebbe tuttavia stato modificato in modo essenziale dal contatto con i vari gruppi locali.

A partire dal 1970 Jean-Marie Estrade, percorre l'intera isola di Madagascar "alla ricerca dei posseduti". Il suo viaggio è motivato sia da studi etnologici, sia dalla prospettiva del raggiungimento di un dialogo tra la chiesa cattolica e queste tradizioni religiose. Le descrizioni che egli fornisce sulle diverse forme assunte dal tromba nei luoghi da lui visitati, testimoniano le variazioni che il culto ha subito a contatto con la città e la modernità, nonché con le altre religioni:

Per i primi incontri con il tromba è scelta la parte sud-est dell'isola. In questi villaggi Estrade assiste a delle sedute del tromba non del tutto spontanee, ma organizzate un po' su commissione.

Presso la tribù degli Antesaka, un venerdì notte, iniziano i preparativi: è fissata al muro una tappezzeria raffigurante un paesaggio malgascio di sogno, è innalzato un altare sul quale sono in evidenza una bottiglia di rhum ed un piatto con dell'acqua e una moneta d'argento. Rivolto verso l'est, il saha (chiamato da Estrade "guida sacra") agita il suo sonaglio in una nuvola d'incenso. Ciascuno, con mani, piedi o vari strumenti musicali si sforza di creare il ritmo. Il saha (qui chiamato "prete") incoraggia i presenti, poi decide una pausa. Attendendo gli spiriti, si beve del rhum. Poi si riparte con un ritmo più vivo, si cantano appelli e suppliche. Improvvisamente si alza una donna, occhi rivoltati e capelli in disordine, che danza e geme. La guida tesse, con la sua sciarpa rossa, un recinto invisibile intorno alla posseduta e ne interpreta le parole. Abbandonata dallo spirito, la posseduta crolla. Il suo assistente si assicura che il corpo non sia stato danneggiato. La seduta è finita.

In un altro villaggio le tre possedute sono nubili. Una di esse, vestita di bianco, prende un bimbo tra le braccia ed inizia a cullarlo; una chiave (che libera dai mali) è posta vicino al piatto con l'acqua; nell'assistenza non vi sono malati.

A Nosisoa Estrade assiste ad una cerimonia che si svolge nell'oscurità, nella capanna di un tromba che detesta la luce. Qui, tra le melodie che preparano la venuta dello spirito, sono presenti dei canti protestanti: patrimonio musicale di alcuni fedeli cristiani che sarebbero passati al tromba dopo la morte del loro catechista non rimpiazzato. Il tromba intesse dei discorsi, sulla pace e sulla tempestività dei pagamenti, che sembrano dettati dagli amministratori.

A Lavibahiny, un villaggio inaccessibile per terra, il tromba regna senza concorrenza. Nella capanna dove si svolgerà la cerimonia, le pareti sono tappezzate da molti lamba (quadrati di cotone in cui domina il rosso) destinati alla vestizione del tromba. Qui si assiste al Barisa, il bagno d'iniziazione. Dopo la venuta dei tromba, hanno luogo le consultazioni: vengono chiesti rimedi ai mali, consigli morali o psicologici. I tromba trascorreranno il resto della notte a danzare e a divertirsi con i viventi, ma tutto deve svolgersi nel giusto ordine. All'alba i posseduti, scortati dai musicisti, si dirigono, danzando, verso l'oceano, e qui si bagnano, dopo aver proferito le ultime invocazioni rivolti verso il sole nascente. Due ore più tardi le possedute hanno già ripreso le proprie faccende domestiche, dimentiche dell'accaduto.

La culla del tromba rimane la città di Majunga, a nord-ovest, capitale dell'antico regno sakalava del Boina, fondato verso 1690. Qui il rituale è semplificato :dopo aver coperto gli specchi ed essersi purificate le dita, il medium si siede in una poltrona, si copre di un telo bianco, e, dopo qualche brontolio, riappare nel suo nuovo personaggio. Agli oggetti classici (piatto d'acqua, moneta d'argento, braccialetto di perle) se ne aggiungono dei nuovi, come birra e sigarette, destinati ad un tromba francofono dai gusti moderni. Questo tromba "cittadino" rappresenta l'immagine-tipo dell'uomo ricco, sognato dalle donne povere del luogo e che porta su di sé gli attributi di tali ricchezze, rappresentati dai prodotti d'importazione: cappello di nylon, occhiali neri, sigarette di lusso.

A Port-Bergé (distretto di Majunga) il tromba è considerato dall'amministrazione un'industria, innanzitutto per gli organizzatori, molto numerosi, ma anche per il comune che percepisce un compenso per ogni domanda di autorizzazione delle sedute.

Ad Ampasikely la maggior parte delle donne, convertita al cristianesimo, usa frequentare la messa la domenica e partecipare alle sedute del tromba il venerdì.

Ad Ambilobe (nell'estremo nord) il principe sakalava vivente sembra disinteressarsi completamente del tromba. Forse è questa la ragione del suo degrado e della presenza di nuove forme di possessione. Alcune sono ispirate dal cristianesimo: un anglicano, posseduto dallo Spirito Santo, scaccia gli spiriti maligni, in un decoro cristiano, prescrivendo offerte e preghiere; un catecumeno cattolico, che ha abbandonato la chiesa, cura in nome della Santa Vergine che gli detta i rimedi; la moglie di un piccolo artigiano opera guarigioni in nome di San Michele, un altro, in nome della Trinità.

Più a sud del Boina, nel Menabe, si trova la vera culla della dinastia sakalava. Il tromba, in mezzo a questa popolazione di pastori, prende un altro carattere rispetto a quello delle popolose città operaie o dei villaggi del Boina: la cerimonia (che può durare più giorni) è considerata come una cura ai malanni fisici, ma se il tromba, dopo aver ricevuto le offerte, non concede la guarigione, la speranza si trasferisce sulla scienza medica.

Sulla costa est di Madagascar, nel territorio abitato dalla grande tribù Betsimisaraka, la presenza del tromba è più discreta che in terra sakalava: il comune ignora le domande ufficiali di autorizzazione allo svolgimento delle cerimonie (domande registrate, invece, nei villaggi del Boina). Il pantheon del tromba si arricchisce di eroi locali e le cerimonie sono marcate dalla vita marittima, con i fady di alcuni pesci o molluschi. Anche qui il culto subisce qualche variazione dovuta all'influenza del cristianesimo: a Tamatave un guaritore lavora in un santuario il cui decoro rassomiglia a quello di una chiesa cattolica (ceri, numerose statue), ma la messa in scena si ispira al tromba (suonando la fisarmonica, evoca gli spiriti guaritori, entra in trance e dona delle prescrizioni).

Secondo la testimonianza di Estrade, negli anni settanta il tromba domina in modo incontrastato nei villaggi sacri edificati intorno ai doany ed in certe frazioni isolate del Menabe, del Boina e della costa est. Nell'ovest sakalava ha un'esistenza tranquilla: facente parte della tradizione, è generalmente diffuso, ma deve dividere la sua influenza con quella dell'Islam e del Cristianesimo. In questo territorio l' amministrazione, divenuta più tollerante rispetto ai tempi della colonizzazione, percepisce una tassa sulla celebrazione delle cerimonie. Nelle regioni betsimisaraka il culto tromba ricopre un posto importante, come del resto su tutta la costa est, se si fa eccezione per la tribù degli Antemoro. È invece marginalizzato all'interno di quelle etnie in cui domina il culto degli antenati della tribù e il cristianesimo. Quale portato dall'emigrazione, il tromba è invece un ascesa nell'Androy e presso i Bara, facendo concorrenza agli antichi riti di possessione locali (helo e koko). E' rarissimo sulle alte terre dell'Imerina e del Betsileo, dove è presente solo presso gli emigrati sakalava o antandroy. Tananarive, la capitale, offre l'immagine di una città moderna a dominazione cristiana; i vecchi culti reali merina perdurano nelle campagne circostanti; la possessione è praticamente scomparsa e il tromba, quasi insignificante, appare come aspetto "esotico" della città. Nelle regioni in cui il tromba non è accettato, si ritrova in teatro come numero comico.

Il pantheon del tromba delle altre regioni va oltre i re della dinastia sakalava. Si tratta in questi casi, come per le possessioni improvvise nel corso dei Fanompoana, di ospiti inattesi, non evocati, di cui si ride e si apprezzano le burle, ma che vengono scacciati se si mostrano malefici (l'esecuzione di questo esorcismo rientra nel ruolo dei medium-saha).

Anche se le principali divinità sono rimaste sakalava, il rito ha subito l'influenza delle storie locali (come in paese betsimisaraka), ma soprattutto quella della città. In ambiente cittadino lo spirito si adatta ai nuovi costumi: il tromba richiede la fotografia dell'essere amato che si vuole conquistare, distribuisce sigarette come rimedi, vende agli studenti polveri magiche da spargere nelle aule d'esame, impone dei fady (divieti) moderni come quello dell'orologio o del colore del vestito. Il danaro gioca inoltre un ruolo più importante, dal momento che i medium richiedono forti somme per ogni consultazione. In città, infine, il rituale si è semplificato: le cerimonie maestose si sono condensate in una sola seduta, davanti agli imperativi del lavoro gli orari si sono modificati (il sabato sera è preferito al venerdì) e ragioni economiche riducono il consumo di rhum, un tempo meno costoso perché fabbricato liberamente.

Secondo l'autore, altre variazioni del rito sono dovute poi all'influenza del cristianesimo, come testimoniano il rosario posto sull'altare del tromba, i canti cristiani affiancati a quelli tradizionali, la venuta dei "tromba cristiani" (missionari e regine devote), il calendario del tromba che segue le feste cristiane.

Ma nonostante questi aspetti sincretistici, lo spirito-tromba non è tollerante verso i cristiani e spesso, durante le sue apparizioni, mostra riprovazione verso coloro che si lasciano trasportare da nuove abitudini e impone dei fady (divieti) di preghiere cristiane. La religione cristiana del resto, come riscontra Estrade, "non è ancora penetrata nelle campagne e laddove è stata accolta è spesso reinterpretata". Gesù è stato spesso identificato al creatore bonaccione e lontano e i ministri di culto cristiani sono visti come dei posseduti a tal punto che i malgasci credono che si instauri una lotta di influenze tra gli spiriti che si incarnano in preti e pastori e quelli che abitano i guaritori.

I re incontrati da Estrade nel suo viaggio ricorrono ai tromba a titolo privato e non più, come una volta, allo scopo di ricevere istruzioni sulla conduzione del regno. Anche alcuni politici di Madagascar invocano gli spiriti, soprattutto per ottenerne appoggio elettorale e consigli.

Dopo aver assistito alle sedute del tromba organizzate nelle diverse regioni dell'isola presso le varie etnie (Antemoro, Vezo, Merina, Betsimisaraka, Antesaka, Sakalava), Estrade si convince della profonda omogeneità dei tromba, al di là di qualche variante di stile e di qualche sviluppo nel pantheon. Basandosi su ciò che ha visto e sulle informazioni raccolte tra i posseduti, Estrade ricostruisce le cerimonie del tromba, che generalmente consistono in due sedute che si svolgono nell'arco di un mese: la prima (volambelo) il venerdì che segue l'apparizione della luna nuova, la seconda (valirombo, azione di grazia) il venerdì della luna piena. La descrizione dei preparativi fatta da Estrade si differenzia da quella fornita da Rusillon per il fatto che a fianco agli oggetti tradizionali (il piatto con l'acqua, il blocco di terra bianca e il brucia-profumi) se ne ritrovano alcuni moderni, quali cappelli, chiavi, coltelli, carte da gioco, specchi, profumi, saponi, sigarette; per quanto riguarda le bevande, è presente il rhum, il vino, la birra e la limonata.

Preparativi materiali. Nella capanna del "maître-possédé" i discepoli e gli assistenti provvedono ai preparativi. Sulla parete est dell'edificio si tende una stoffa rossa, impressa di vari motivi; su di un tavolino o a terra si dispongono gli oggetti rituali: il piatto colmo d'acqua, zuccherato al miele, in cui vengono immersi delle piante, una moneta d'argento o d'oro, perle, bijoux o semplici biglietti di banca, in modo che ciascuno comunichi all'acqua le proprie virtù. Affianco al piatto: un blocco di terra bianca per le unzioni, il brucia - profumi (dove si consumerà l'incenso), gli oggetti moderni favoriti dai tromba (cappelli, chiavi, coltelli, le carte da gioco, specchi, profumi, saponette...). Grande spazio è occupato dalle bevande: il rhum innanzitutto, ma anche il vino, la birra, la limonata, secondo l'identità dei tromba evocati. Presso l'altare vi sono una sorta di trono, gli scettri e i bastoni magici dei capi tromba. Infine il tessuto, bianco o rosso, destinato alla vestizione.

Il Volambelo:
Evocazione. Gli invitati presentano le loro offerte al capo spirituale, spesso come voto dopo una guarigione. Il capo tromba è rivolto nella direzione dell'est; alla sua destra c'è l'assistente-interprete, alla sinistra il suonatore di valiha e "l'orchestra", dietro, i membri della confraternita (malati-guariti che hanno assunto la possessione, chiamati Zana-tromba), i consulenti, i partecipanti ed infine i curiosi. Una officiante marca le fronti con la terra bianca della propiziazione: tutti sono uniti in un rito che deve loro assicurare i favori del tromba. Il medium comincia una lunga evocazione degli spiriti più famosi.

Le attrattive. Terminate le ultime parole della supplica, la valiha lancia i primi accordi, seguita da tutta l'orchestra. E' la prima fase della cerimonia e consiste nel "carezzare" i tromba con operazioni gradevoli ai sensi che hanno lo scopo di spingerli a discendere tra gli uomini. Alle sensazioni olfattive (viene bruciato l'incenso e i vestiti sono impregnati con del profumo) e sonore (il rombo e le arie favorite dai tromba), si aggiunge il piacere degli occhi, offerto dai colori delle decorazioni.

Le tecniche dell'estasi. Durante il canto, i futuri posseduti sono "preparati" con delle imposizioni supplementari di terra bianca con i segni dei tromba invitati e con delle aspersioni di acqua sacra. In ginocchio, i candidati alla possessione, sull'esempio del capo-medium, cominciano ad agitare in cadenza dapprima la testa, poi tutto il corpo. Colui che conduce il gioco gira intorno al gruppo agitando una sciarpa rossa e giocando con gli specchi, per allontanare gli spiriti malefici. Infine mette sotto il naso dei Zana-tromba delle foglie dal profumo violento. Talvolta i posseduti si alzano in piedi e vanno incontro agli spiriti, danzando.

La discesa dei tromba. Improvvisamente si produce la trance: il posseduto soffoca, lo sguardo diviene assente, l'espressione dolorosa o beata, l'andatura sonnambolica. Ognuno ha il proprio stile, dettato dal tromba che lo abita. Dopo una brutale caduta e la morte simbolica (rappresentata da un lenzuolo bianco con cui viene coperto il posseduto per qualche secondo) appare la nuova personalità. Allora comincia la messa in scena: i posseduti (uomini o donne) si travestono e modificano la voce a seconda del sesso dello spirito. Ma ci sono anche dei tromba sconosciuti, selvaggi, che eseguono prodezze ginniche. Se si incontrano, invece, degli spiriti muti, che non vogliono scoprire la propria identità, il capo della possessione, con gesti simbolici, riesce a farli parlare; a ciò segue il rito della vestizione. Le "toilette" sono conservate nell'angolo degli Antenati, a nord-est della capanna e comprendono abiti tradizionali (spesso semplici pezzi di tessuto), o moderni (completi con cappello, bastone ed occhiali) per gli eventuali spiriti stranieri che si incarneranno in un tromba.

L'accoglienza. Quando la vestizione è terminata (questa avviene sotto la protezione di una tenda) ed il re e i principi si sono installati sul proprio trono, hanno luogo i riti di accoglienza: scambio di complimenti in un'atmosfera di gioia e di familiarità. Il vecchio rituale delle visite ai re sakalava prevedeva un'etichetta servile ed umiliante, ma nella cerimonia il rapporto con i re è idealizzato. I tromba ritornano, talvolta, con le loro intere famiglie, i figli e i servitori (venuti in trance complementari): è un singolare teatro al quale il pubblico partecipa intonando canzoni di benvenuto o canti folkloristici dei luoghi d'origine dei re e adeguando il proprio comportamento all'attitudine storica di quel re.

Consultazioni ed oracoli. Dopo aver bevuto soprattutto del rhum (bevanda sacra, utilizzata per le libagioni religiose) i tromba sono più loquaci, ma il loro linguaggio è incomprensibile (vengono usati la lingua d'origine, metafore, termini nobili sinonimi di quelli profani o vocaboli sacri) ed esige un interprete.

Profezie. Gli strumenti musicali zittiscono, tranne la valiha e vengono pronunciati gli oracoli, molto vaghi ed ambigui. Nel complesso i discorsi dello spirito rilevano più dal genere oratorio che da quello oracolare.

Prescrizioni mediche. I malati avanzano, vengono esaminati e curati con precise prescrizioni, che consistono, spesso, in un'applicazione di terra bianca sull'organo malato.

Il ballo sacro. Ai canti di supplica, di omaggio, succedono quelli di gioia, in cui la fantasia trova posto. Si tratta spesso di improvvisazioni sulla natura e le sue bellezze. I canti e il battito delle mani accompagnano generalmente la danza, eseguita dai soli posseduti, spesso con gli occhi chiusi. I danzatori formano un tondo. I piedi battono sul suolo lentamente poi più velocemente, le anche oscillano, il busto è dritto, le braccia tese orizzontalmente segnano la distanza, si alzano e si abbassano insieme e separatamente, le mani tremano. La festa continua fino all'esaurimento del rhum. Uno dopo l'altro i posseduti crollano. Gli inservienti ne controllano le membra e soffiano loro nelle orecchie per riparare agli effetti dell' "irradiazione" soprannaturale. Si effettua il ritorno al quotidiano.

Il Valirombo:
Circa quindici giorni dopo, alla luna piena, ci sarà una nuova seduta, di gioiosa riconoscenza. Al centro della festa, questa volta, il malato guarito e il suo medium. La famiglia riconoscente versa dei soldi che serviranno all'acquisto di ex-voto (collane, braccialetti, perle) che il "miracolato" porterà su di sé. Ma la maggior parte della spesa servirà a comprare un giovane zebù da consacrare allo spirito, i benefici della cui vendita saranno distribuiti a tutti.

Estrade ritrova anche in altre cerimonie reali alcuni elementi presenti nelle sedute del tromba. L'offerta della coppa di rhum al posseduto che troneggia nella sua maestosità, il linguaggio speciale utilizzato nei suoi confronti e l'interprete del re che funge da mediatore ricordano la cerimonia di intronizzazione dei re, mentre il lenzuolo da dove emerge il posseduto nel momento in cui è raggiunto dal tromba evoca, invece, i funerali reali.

La fine delle cerimonie tromba, secondo le descrizioni sia di Rusillon che di Estrade, è marcata dalla consacrazione allo spirito di uno zebù o di un bue, il quale deve rimanere in vita. Questa pratica, detta joro velo, non è del tutto scomparsa e viene infatti ritrovata da Jaovelo-Dzao in qualche zona del Madagascar attuale, anche se lo zebù sacro, sempre più raro, viene sostituito da un volatile.

La presenza della possessione tromba sulla costa est del Madagascar è testimoniata anche da P. Lahady e da G. Althabe, ma mentre il primo fa risalire la comparsa e la formazione di tale culto presso i Bemihisatra all'inizio del XVII secolo con l'espansione sakalava ad est, il secondo ritiene che il tromba sia unicamente un fenomeno post-coloniale apparso presso i Betsimisaraka solo nel 1960.

Pascal Lahady si è interessato in modo specifico alle credenze religiose dell'etnia betsimisaraka sul cui territorio ha raccolto, negli anni settanta, numerose testimonianze tra gli anziani e i capi religiosi dell'intera regione sul rito di possessione tromba, qui chiamato Manongehy.

Nella capanna del capo del tromba si riuniscono gli abitanti del villaggio e dei dintorni, ciascuno portando ciò che gli è stato comandato durante la riunione precedente. Il capo spirituale rivolge la parola direttamente all'assemblea. Egli pretende obbedienza e sottomissione: è una vera ristrutturazione della comunità intorno alla figura del longobe (capo dei medium) o piuttosto della divinità. Poi si prepara la venuta degli spiriti con la costruzione simbolica del santuario. La "sposa dello spirito" (assistente del capo religioso) prende un piatto sacro e vi depone del miele (frutto della foresta) ed una liana arrotolata (dimora in miniatura e simbolo delle divinità della foresta). Brucia poi dell'incenso. Anche qui sono impiegati dei materiali moderni: piatto in porcellana o in duralex, scatola di Nestlé, bottiglie e pasticche mentolate. L'invito, rivolto alle divinità delle foresta, presenta innanzitutto il riconoscimento degli errori e le domande di perdono degli adepti (temi ripresi con insistenza nei canti e nei discorsi). L'appello è dapprima collettivo, rivolto alla società degli "Spiriti Illustri" (i Venerabili Ra, spiriti della Natura e della Fecondità universale), poi ad un genio in particolare, presentato come re e Zañahary.

Anche se altre persone possono entrare in trance, la possessione del capo spirituale è essenziale. Il longobe si veste con gli abiti rosso-porpora del tromba, prende della terra bianca e resta in attesa. L'arrivo dello spirito è marcato dal cambiamento di personalità e della lingua parlata. Egli si pone come uno straniero e si impone attraverso dimostrazioni di violenza verbale e comportamentale. La "sposa dello spirito" lo saluta usando la sua lingua. Gli spiriti che arrivano sono di tutti i tipi: europei, merina, antandroy, antemoro, sakalava, geni abitanti dell'acqua...

Dopo la sottomissione il dialogo continua in un tono quasi familiare. A turno tutti prendono la parola raccontando i loro infortuni, il "Grande-Sole" risponde, ispirato dal tromba che è in lui, indicando le cause dei mali e facendo dei segni di terra bianca sul suo bastone sacerdotale (forse per ricordarsi di ciò che è stato detto e che, alla fine della seduta, dovrà riassumere). Lo spirito annuncia la sua dipartita e, dopo essersi fatto pregare, resta ancora un po'; infine parte, emettendo un forte grido, simile a quello che ha segnato il suo arrivo.

Dopo un istante giunge lo spirito burlone ed altri ancora; ad ogni manifestazione di spiriti tromba il capo spirituale beve del toaka, saluta i presenti e ne distribuisce anche a loro, poi indica i diversi divieti che devono osservare coloro che sono in trattamento. Fino all'alba (che segna il termine della cerimonia) anche altre persone possono levarsi bruscamente in trance. Quando tutti gli spiriti si sono manifestati, il capo spirituale riassume le diverse malattie, i divieti da osservare ed i rimedi. Infine, fa diversi annunci riguardanti la data della riunione seguente e le modalità da rispettare per il suo svolgimento.

Anche se la struttura della cerimonia (presentazione delle offerte, appello vocale con canti, arrivo e consultazione degli spiriti e loro partenza) e parte degli oggetti rituali impiegati (la terra bianca, ilpiatto con l'acqua, gli abiti rosso-porpora) sono in effetti identici a quelli descritti da Estrade, tuttavia a proposito del Manongehy Lahady parla di un vero tromba betsimisaraka con caratteristiche culturali proprie. Al contrario del tromba sakalava, da cui ha avuto origine, il carattere reale scompare a profitto della tematica del capo carismatico autoritario o benevolo. L'officiante principale della possessione è infatti un capo militare o un gran fratello (detto Longobe), potente e lucente come il sole (è chiamato anche Johary, Grande-Sole), che prende sotto la sua cura i fedeli (figli di Manongehy) come degli orfani. Inoltre gli adepti non frequentano né le tombe né le stele sepolcrali (che costituiscono, invece, i santuari del tromba reale sakalava) considerate dai Betsimisaraka luoghi pericolosi. Il tromba betsimisaraka si rivolge poi generalmente a Zañahary e alle divinità della foresta. Infine una particolarità, che dà anche il nome alla possessione, è la presenza dello spirito burlone Manongehy, che rende scherzoso il suo medium.

Anche Gérard Althabe ci fornisce una testimonianza della presenza di cerimonie tromba in paese betsimisaraka. In realtà l'autore sceglie per la sua inchiesta un'area limitata del territorio betsimisaraka, la piccola comunità di Fetraomby, scelta che gli causerà pesanti critiche. La sua ricerca, iniziata nel 1964 e che era destinata all'origine a definire le modalità di sviluppo economico di tale area, lo ha condotto ad assistere in modo diretto al rito del tromba. Le varie fasi della cerimonia di cui fornisce una precisa descrizione sono più o meno le stesse che ritroviamo presso i Sakalava, descritte da Estrade.

Quadro temporale e spaziale. La cerimonia ha luogo di notte e dura dal sorgere della luna all'alba. La data è determinata dalle fasi della luna, e, generalmente, è fissata alla luna piena. La casa dove ha luogo la cerimonia, costruita sulla collina del tavy (cioè fuori dal villaggio e sul territorio dei discendenti dei posseduti) ha una doppia caratteristica: è composta di materiale straniero comprato (tetto in lamiera; all'angolo est, sulla tavola apparecchiata, vi sono rhum e vino, un piatto con del denaro, un bicchiere d'acqua con gioielli d'argento, uno specchio rivoltato, un pacchetto di sigarette) e la sua posizione è stata definita da necessità astrologiche complesse. Questa europeanizzazione del quadro materiale è in contrasto violento con il tavy, luogo che esprime il ritorno al modo di vita degli antenati.

I presenti sono vestiti con abiti europei, sono disposti in modo disordinato e non, come nelle altre cerimonie, secondo regole precise (l'appartenenza al gruppo dei discendenti o ad una comunità di villaggio, l'età, il sesso). L'unica separazione che emerge è quella tra il gruppo che si trova all'interno della casa, appartenenti ai discendenti dei posseduti, e gli stranieri che restano fuori. Non vi sono spettatori, ma ciascuno è attore: partecipa ai canti e batte in cadenza le mani, seguendo il ritmo dei tre tamburi e della fisarmonica che suonano nella casa.

Un codice verbale nuovo, inedito, non utilizzato nella quotidianità, designa i nomi di luogo e dei posseduti.

L'evocazione. Il preludio della cerimonia è molto lungo. Il futuro posseduto dirige la supplica dei presenti e ne è l'attore principale. Si implora lo spirito di venire con singhiozzi, preghiere, canti, danze. Se l'attesa è troppo lunga, ci si interroga se vi siano dei colpevoli tra i presenti. Talvolta qualcuno confessa le proprie colpe, che devono essere espiate aggiungendo doni in danaro; altre volte il colpevole è denunciato ed allontanato. In qualche raro caso lo spirito non si manifesta; si attende, allora, un suo segno (spesso appare in sogno al posseduto) attraverso cui farà conoscere il suo scontento, a cui si dovrà rimediare prima di evocarlo nuovamente. Se il segno non giunge il gruppo dei posseduti effettuerà personalmente delle inchieste, prima all'interno del proprio lignaggio, poi sull'intera comunità. Le supposte colpe si situano in rapporto allo stesso tromba o agli antenati.

Presenza del tromba. Spesso, lo spirito risponde all'appello: il ritmo si ferma ed il posseduto cade a terra, raggiunto dallo spirito. Quest'ultimo è soprattutto un insieme caratteriale che verrà espresso dal posseduto attraverso i vestiti indossati, l'espressione del viso, i gesti, l'accento, l'uso di parole straniere. Vi sono tre categorie di spiriti: alcuni sono re, regine e generali dell'epoca pre-coloniale, merina e sakalava; altri sono designati unicamente dall'etnia di appartenenza; altri ancora sono esseri più astratti (Vorombe, il grande uccello; Ampelamena, la donna rossa).

I presenti non si rivolgono direttamente allo spirito ma al vady tromba (il congiunto del tromba). Egli interviene nelle relazioni individuali tra il posseduto-tromba ed i presenti, specialmente nel momento della presentazione dei malati. Non interviene, invece, nelle prediche, nelle minacce di morte e nelle imprecazioni lanciate dallo spirito ai presenti. Per affermare la sua dominazione egli dà anche degli ordini bizzarri, accompagnati da insulti, che vengono scrupolosamente eseguiti. In ogni momento minaccia di ripartire; lo si trattiene con suppliche e con la promessa di nuovi doni. Il ruolo di intermediario, in un primo tempo tenuto dal futuro posseduto, è assunto, dopo l'arrivo dello spirito, dal vady tromba.

Comunione. Il tromba prende il rhum ed il vino che sono sulla tavola, li mischia all'acqua in cui sono immersi i gioielli d'argento, beve per primo e, nello stesso bicchiere, fa bere i presenti: il tromba designa alcune persone seguendo la fantasia, senza seguire le normali regole di precedenza. Si beve inginocchiati, manifestando il più profondo rispetto: è un segno di comunione e di unità di tutti i presenti nella subordinazione al tromba.

Presentazione dei malati. Ciascuno dei presenti può presentarsi allo spirito, rivolgendosi al vady tromba e versando una somma di danaro; può intercedere per se stesso o per quei componenti della famiglia che abitano nella sua casa. La malattia è legata ad una colpa che rinvia o direttamente al tromba (in questo caso egli esige dei doni - tutti oggetti stranieri, comprati da commercianti - ed impone dei divieti) o agli antenati (la terapia sarà allora il sacrificio di un animale e la cerimonia di riparazione). La colpa e la malattia implicano la famiglia nella sua unità: i divieti devono essere rispettati da tutti i componenti e riguardano attività che si svolgono solo all'interno della casa. Quando il malato è guarito, lo spirito può dispensare da tali costrizioni.

La quiete. Lo spirito-padrone è ormai installato nel suo ruolo, come i servitori nel loro; non vi è più tra i due termini la tensione dell'inizio della cerimonia. Il tromba danza, tra la gioia dei presenti, e, mostrando il suo buonumore, distribuisce a qualche privilegiato una parte dei doni monetari che sono nel piatto, racconta storie, parla di sé, fa scherzi divertenti.

La partenza. Con l'arrivo dell'alba, lo spirito proclama la sua imminente partenza, tra le suppliche ed i gemiti dei presenti; la tensione tra il padrone ed i servitori riappare. Lo spirito, innervositosi, lancia minacce e ricorda i doveri di obbedienza; infine ordina ai suonatori ed ai cantanti di lanciarsi in un ritmo rapido ed assordante. Talvolta accompagna la sua danza, che segue tale ritmo, con un canto in cui nomina gli abitanti del luogo dove sta per arrivare. Bruscamente il posseduto cade a terra in ginocchio, con la testa tra le mani che toccano il suolo e resta immobile, i suoni ed i canti si sono arrestati nello stesso momento della caduta. Poi si alza e stira le sue membra come svegliandosi da un profondo sogno, riprende i suoi vestiti e mette ordine nella casa, mentre i presenti si disperdono.

Tra i differenti tromba che si manifestano esistono due tipi di relazioni, di parentela o di dominazione-subordinazione. Al momento dell'evocazione, il re può inviare uno dei suoi servi, portavoce dei suoi desideri. La situazione può divenire buffa quando il servitore si finge re ed è insultato e scacciato, una volta scoperto.

I vestiti ed i piatti utilizzati durante la cerimonia sono esposti in casa, non toccati da nessuno, segni della presenza permanente del tromba (Althabe, 1969, 96-104).

I culti di possessione sono tuttora praticati con uno straordinario vigore anche presso le tombe reali dell'Imerina, come è dimostrato dalle manifestazioni di possessione accertate negli anni 1956-1962 sulle tombe delle dodici colline sante e in luoghi meno conosciuti (Raison-Jourde, 1983). Questi culti non sono stati rilevati da Estrade, che classifica l'Imerina tra le zone di "tromba rarissime" (Estrade, 1977, 188), forse perché, come afferma F. Raison-Jourde, qui i re della possessione hanno uno statuto particolare. Infatti sotto l'influenza del cristianesimo i culti fanno riferimento a un dio unico, Andriamanitra, di cui gli spiriti reali sono divenuti gli intercessori.

Anche Radavidrason Zafisoatompoina Noro dà testimonianza della presenza del tromba sugli altipiani dell'Imerina. Secondo l'autrice il manasina o tromba trae origine dalla credenza in esseri invisibili, detti Vazimba nell'Imerina e kokolampy presso gli Antandroy, che rappresentano gli antichi re fondatori della stirpe o comunque antenati remoti di grande prestigio. Nel passato tali riti di possessione venivano celebrati in occasione di circostanze straordinarie, quali carestie, epidemie, guerre; attualmente per influenzare positivamente il destino nelle vicende quotidiane.

Il rito si celebra presso un "santuario", luogo sacro e vietato, costituito da una tomba di un re o di un altro personaggio eminente del passato oppure da una stele sacra posta presso una sorgente o un lago. La cerimonia ha inizio al tramonto con l'invocazione dello spirito del grande antenato formulata dal voatsindry (posseduto scelto dallo spirito) che presiede il rito. Le offerte dei convenuti vengono disposte sulla tomba o sulla stele. Voti e suppliche sono pronunciati e le pietre sacre vengono asperse di miele e di sangue di pollame. Nelle prime ore del mattino del giorno fissato, l'acqua lustrale è attinta dalla sorgente sacra. Il liquido riceve una forza supplementare posto in contatto con un anello d'oro, metallo un tempo riservato ai principi. Quest'acqua servirà a purificare lo zebù che verrà sacrificato. Il colore di quest'ultimo è scelto secondo l'oroscopo. L'animale deve essere privo di difetti ed il suo uccisore deve avere entrambi i genitori viventi. Il rà-velona (sangue vivo) verrà raccolto ancora caldo, prima che l'animale muoia, e consumato sul posto dai partecipanti ovvero conservato in coagulo per gli infermi che non hanno potuto recarsi al rito. Lo zebù viene quindi squartato e la testa e la gobba saranno disposte sulla tomba. Dopo l'ingestione del sangue ed il contatto prolungato con il luogo sacro, si manifesta la trance dei voatsindry. Questi sono presi da convulsioni e si agitano a ritmo di musica, profferendo nel contempo frasi più o meno enigmatiche che un seguace cerca di interpretare per gli astanti. Sarà sempre questo accolito a trasmettere al posseduto le domande poste dai partecipanti a voce bassa. Si tratta per lo più di richieste di realizzazione di desideri.

La credenza malgascia, come testimonia Estrade, vuole che gli spiriti prendano un mese di riposo all'anno (mese di settembre), che quindi segna un tempo di pausa per le cerimonie. I tromba si raggruppano nei doany da dove inviano i sogni oppure, in casi eccezionali, possono fissarsi come presenza maligna, nella capanna dei loro posseduti.

Trascorso questo tempo detto di "luna vuota", il mese di ottobre (la primavera malgascia) viene inaugurato con una festa detta "bain de renouveau", dal momento che i malgasci non usano immergersi nelle acque dell'isola durante l'inverno. Il bagno sarà condotto dal capo-medium e avrà luogo in mare e, dopo una settimana, sotto una cascata. Secondo Lahady, che preferisce chiamarlo "bagno del giudizio" (Misetra am-pitsarana), è un rito di purificazione e di rigenerazione di tutta la società degli adepti. Lo spogliarsi ha un significato di ritorno agli albori dell'umanità, alla natura indifferenziata della nudità e di abbandono simbolico dello stato di impurità. L'acqua (del diluvio) presente alle origini del mondo è allo stesso tempo segno di morte e di rigenerazione e segna le due tappe di una nuova esistenza (il pentimento e l'assoluzione da un lato, il ritorno alla vita dall'altro). Il fatto che tutti gli adepti (il saha, i posseduti e i malati) partecipino al bagno collettivo dà a questo rito il carattere di rito di ricostruzione dell'intera comunità sotto la guida del capo-medium. Durante il bagno, il contatto con l'acqua fredda provoca spesso delle crisi nervose che vengono interpretate come il risveglio dei tromba, così "une nouvelle saison du tromba commence".

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3. Il rito di iniziazione del Barisa.

Estrade ritiene che il rito del Barisa derivi il suo nome dal miele portato con la cottura al colore rosso che ha il potere di fare entrare in trance e che viene bevuto durante il rito. La "festa del Barisa" è secondo Estrade una sorta di consacrazione di un malato che assume la possessione. Accettando di servire l'ospite reale, il posseduto potrà interpellarlo e beneficiare del suo potere, della sua scienza e del suo prestigio. In cambio l'eletto si impegna ad obbedire al suo tromba, ad assistere alle cerimonie (durante le quali apprenderà dal medium i segreti del suo nuovo ruolo) e a partecipare alle spese. Per quanto riguarda, invece, il malato che non vuole accettare la possessione, rischia in ogni momento il ritorno aggressivo del suo tromba.

Jaovelo-Dzao e Lahady mettono in evidenza nel Barisa piuttosto il momento del "lavaggio" che ricorda il diluvio e l'acqua primordiale e che viene interpretato come atto di purificazione e di integrazione nella società degli spiriti.

La cerimonia del Barisa è presente, secondo le testimonianze di Estrade e Lahady, sia in paese sakalava che betsimisaraka, è celebrata di solito all'inizio della stagione in presenza di tutti i posseduti e dei malati in trattamento ed è organizzata a spese dell'eletto. La cerimonia si svolge in due fasi principali durante le quali l'iniziato è battezzato (con dell'acqua pura mischiata a miele, terra bianca e piante magiche) con un nuovo nome, segno della sua nuova personalità.

La preparazione rituale della bevanda sacra (barisa) dura tutta una notte. Al canto del gallo i giovani che hanno ancora i genitori in vita (simbolo della vita integrale) sono scelti per andare nella foresta a cercare "l'acqua immacolata" per confezionare il barisa. La bevanda sacra viene preparata nell'angolo est della capanna e versata in bottiglie, poste ai lati dell'altare, guarnite con apici di Dracoena (pianta sacra) e segnate con della terra bianca (raffigurante uno zebù e sei punti). Il barisa riceve la sacralità dall'acqua, l'energia divina dall'ebollizione; è anche fonte di gioia e potenza come mostrano i segni di terra gioiosa e la figura dello zebù che ornano le bottiglie.

La notte seguente, dopo il pasto, si eseguono i canti rituali. Gli spiriti sopraggiungono e si distinguono secondo gli abiti ed i colori scelti da ciascun posseduto. Poi si fanno i saluti d'uso e si indica il motivo della cerimonia, mostrando le bottiglie di barisa. Lo spirito si presenta sempre come disturbato dalle invocazioni degli uomini. Innanzitutto egli consacra tutti gli adepti, ponendo sulla testa di ciascuno una moneta da cinque franchi (è la moneta di partecipazione individuale che prende il nome di "argent célèbre") e versandovi sopra del barisa. Dopo il rito del "lavaggio" si beve insieme, segno di unità e di comunione con gli spiriti.

C'è gioia tra gli uomini per la presenza dello spirito, fonte di rinnovamento, di pienezza, di potenza. Anche lo spirito è gioioso e lo mostra con la sua danza da contorsionista, in cui trasporta i suoi adepti (segnati dall'"argent célèbre"). Nella danza egli porta con sé un piatto in cui sono stati deposti una moneta da cinque franchi ed il danaro delle partecipazioni individuali. La "sposa dello spirito" cerca di supplicarlo, calmarlo ed aiutarlo; agita dietro di lui una lunga striscia di stoffa ed è nelle sue braccia che il medium si abbandonerà quando lo spirito lo avrà lasciato.

La struttura della cerimonia del Barisa ricorda, secondo Lahady, sia quella delle sedute del tromba che quella del "bagno del giudizio". In tutte e tre infatti l'offerta rituale è seguita dall'appello vocale con domande di perdono e canti, mentre ci si prepara simbolicamente, attraverso il vestirsi o lo spogliarsi, a prendere contatto con il mondo degli spiriti. È inoltre sempre presente anche l'integrazione nel mondo degli spiriti, espressa da ordini e divieti nel caso delle sedute del tromba e dal "lavaggio" e dall'immersione nell'acqua sacra nelle altre due cerimonie.

4. Altre manifestazioni del tromba.

Al di là delle cerimonie reali e delle sedute pubbliche espressamente organizzate, lo spirito dei re defunti è sempre presente nella vita dei malgasci. Il tromba viene invocato quotidianamente nei momenti di difficoltà e di perplessità, ma presiede anche i riti che accompagnano le stagioni della vita. Jean-Marie Estrade ne testimonia la presenza nei momenti della nascita, del matrimonio, della morte:

La nascita. La prima settimana dopo la nascita, il bimbo viene accolto dalla cerchia familiare con una festa di ringraziamento a Dio e agli Antenati. Il tromba interviene in alcune famiglie per l'attribuzione del nome, che verrà comunque scelto tra quelli che indicano il giorno o il mese di nascita. Un mese dopo viene celebrata la "toilette", una sorta di battesimo, durante la quale vengono offerti del rhum o dell'idromele e del danaro ai posseduti della confraternita della madre del bambino, mentre sono in stato di trance; soddisfatti, gli spiriti non tardano ad andarsene e comincia allora la festa profana con bevande "moderne". Il tromba della madre viene evocato in seguito durante un'altra festa, organizzata circa a sette anni dalla nascita, che segna il passaggio del bambino "dalla puerilità alla saggezza".

Il matrimonio. Se la famiglia della futura sposa è devota di un tromba, si sollecitano gli oracoli di questo spirito per conoscerne il volere. Se, inoltre, la ragazza è una posseduta si impongono dei riti supplementari (che consistono in offerte allo spirito) prima di onorare i genitori della ragazza con doni e complimenti come vuole la tradizione malgascia. Se il pretendente è accettato dal tromba della ragazza, si potrà celebrare il matrimonio. Alla cerimonia matrimoniale tradizionale se ne aggiunge quindi un'altra per "intronizzare" il tromba nella nuova famiglia: nel corso di una piccola festa, in cui sono convocati i posseduti della confraternita della donna, il marito fa dei doni al tromba promettendogli rispetto.

Tromba funerario. Dopo la morte di un posseduto bisogna rendere omaggio al suo tromba e offrirgli l'ospitalità di un nuovo corpo.

Secondo Estrade in alcuni momenti della storia, quando la colpa è grave e collettiva, viene rotto l'equilibrio tra gli uomini e gli spiriti e questi ultimi possono arrivare improvvisamente sulla terra attraverso numerose possessioni. Queste crisi collettive sono dunque causate dagli spiriti tromba, come è stato osservato anche da Raoul Allier nell'introduzione al libro di H. Rusillon. In queste occasioni si assisteva a danze collettive che possono coinvolgere anche migliaia di persone e che sono seguite da crisi di possessione, caratterizzate da scalpitii, grida, movimenti bruschi della testa e delle braccia, agitazione dei lamba.

Tale fenomeno è conosciuto in Madagascar con il nome di Ramanenjana e in passato si è manifestato in modo diffuso soprattutto nella regione dell'Imerina in cui ha fatto la sua comparsa per la prima volta nel 1863. Oggi secondo Jaovelo-Dzao il Ramanenjana è "tombée en désuétude".

Jean-Marie Estrade e il dottor Andrianjafy, medico malgascio che ha studiato i sintomi clinici del tromba, collegano queste coreomanie a crisi politiche e sociali, mentre Raoul Allier le spiega come reazione violenta all'introduzione di usi e costumi stranieri. In passato, infatti, tali possessioni collettive imperversarono nell'isola sia nel 1863 sotto il regno di Radama II, giovane re favorevole al progresso, alla libertà di culto e alla presenza degli europei, che nel 1895 al momento dell'occupazione francese e furono causa di forti tensioni politiche e sociali che portarono addirittura all'uccisione del re regnante allora.

La crisi del Ramanenjana viene descritta da Rusillon: il futuro posseduto danza sotto un impulso che non riesce a controllare, fa cioè dei movimenti alternati con piedi e mani, contorcendosi da un lato e dall'altro, ma quasi senza cambiare posto. Talvolta cessa di danzare per camminare, correre e saltare; altre volte, continuando a danzare o a camminare saltando, tiene delle bottiglie piene d'acqua in equilibrio sulla testa.

Anche il dottor Andrianjafy dà diretta testimonianza del fenomeno e osserva che la vittima ama portare con sé lunghe canne da zucchero che tiene in mano o sulle spalle quando danza. Spesso il malato compie evoluzioni portando una bottiglia piena d'acqua sulla testa, mantenendola in perfetto equilibrio. Abitualmente danza al suono del tamburo ma altri strumenti, come il valiha o il lokanga-voatava possono egualmente servire allo scopo; se non è possibile procurarseli i presenti battono il tempo con le mani e cantano l'aria prediletta dal paziente. Quest'ultimo ama recarsi, sia solo sia accompagnato da indovini, maghi, musicisti e qualche parente, presso alcune "pietre sacre" presenti nelle antiche capitali dei regni storici presso le quali un tempo si svolgevano le cerimonie di incoronazione dei sovrani di Madagascar. Qui il malato, che ha dei segni di terra bianca sulla fronte e sui palmi delle mani, danza per ore intere; la scena termina con l'offerta allo spirito, amante di dolciumi, di una canna da zucchero di buona qualità che viene deposta sulla pietra sacra.

Anche le tombe sono luoghi di riunione scelti dal malato. Non è raro, in tempo di epidemia, vedere più vittime incontrarsi di sera sulle tombe di antenati nobili e danzare qui al chiaro di luna sino a dopo la mezzanotte. In questo caso, il malato vi si reca da solo senza il suo corteo e soltanto i parenti si tengono ad una certa distanza per sorvegliarlo e per evitare che cada, privo di sensi, senza nessun soccorso.

Nelle crisi di Ramanenjana i posseduti entrano in comunicazione con gli spiriti dei morti reali ed in particolare con la famosa regina Ranavalona I, madre di Radama II. Il malato-posseduto teme sopratutto il maiale ed i cappelli, al punto che la sola vista di questi provoca in lui una forte repulsione e persino convulsioni o terribile ira. Il maiale è ritenuto impuro da molte tribù malgasce ed era aborrito dalla defunta Ranavalona I; i cappelli ricordano invece gli stranieri, dal momento che la maggior parte degli indigeni non ne porta.

Precise relazioni sul Ramanenjana sono contenute in documenti dell'epoca, gli Annales de la propagation de la foi e il Moniteur universel, che descrivono le crisi di possessione prodottesi in quegli anni, crisi che "intendevano manifestare così lo sdegno di Ranavalona I contro il re suo figlio, reo di aver «venduto» Madagascar agli stranieri". In queste occasioni di dialogo con gli spiriti era prevalente infatti, se non esclusivo, il giudizio negativo sulla politica perseguita da Radama II: spesso la vecchia Ranavalona ordinava al figlio di ritornare all'antico regime, di non permettere la diffusione della preghiera cristiana, di scacciare gli europei e di impedire la presenza dei maiali nella città santa; altre volte Ranavalona e Radama I dichiaravano il loro figlio indegno della corona oppure piangevano e supplicavano i loro antenati di ricorrere ai guaritori per scacciare i malefici gettati sul loro infelice successore.
 
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view post Posted on 27/10/2009, 22:44     +1   -1
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I SIMBOLI DEL TROMBA

1. Gli oggetti e l'abbigliamento cerimoniali

Come descrive Estrade tutti gli elementi della natura (la terra e l'acqua, i minerali e i vegetali, gli odori e i suoni) hanno, secondo la credenza malgascia, oltre alle note proprietà fisiche o chimiche, altre caratteristiche o "virtù" che riguardano la loro posizione, forma o colore. Tali virtù nascondono e allo stesso tempo condensano la forza magica della natura e rappresentano una realtà che va aldilà della percezione immediata. I medium con l'aiuto degli spiriti che li abitano hanno una maggiore capacità di manipolare e di penetrare i simboli racchiusi negli oggetti o negli elementi naturali che compaiono anche nelle cerimonie religiose.

Secondo l'affermazione di Turner "in un contesto rituale ogni articolo usato, ogni gesto fatto, ogni canto o preghiera, ogni unità di spazio e di tempo sta per convenzione per qualcos'altro". Il simbolismo, espressione del linguaggio e della comunicazione religiosa, è quindi un elemento essenziale del processo rituale (Fabietti, 1982) ed ha, secondo Eliade, "un ruolo fondamentale in qualsiasi società tradizionale". La funzione del simbolo è, secondo Eliade, quella di "rivelare una realtà totale, una coincidenza degli opposti", come infatti dimostrano i simboli acquatici del tromba che indicano la valenza sia positiva che negativa dell'acqua, e quindi "i più profondi aspetti della realtà" che non possono essere espressi con concetti e che "sfidano ogni altro mezzo di conoscenza". Per Umberto Eco "la diffusione del modo simbolico" risponde poi "a criteri di controllo sociale delle pulsioni individuali e collettive", tema sviluppato anche da M. Douglas secondo la quale "quanto maggior valore si attribuisce al controllo sociale, tanto maggiore è l'importanza dei simboli del controllo del corpo". Nel rito del tromba il corpo ha, come vedremo, una grande importanza non solo come supporto dello spirito ma anche come veicolo del sistema simbolico stesso che si esprime attraverso il corpo del posseduto con le figure della danza, con i segni di terra bianca e con uno specifico abbigliamento.

Come afferma Umberto Eco "i contenuti da assegnare all'espressione simbolica vengono suggeriti da una tradizione precedente" e quindi si può capire come gli stessi oggetti naturali assumano significato diverso a seconda degli ambienti culturali. È in questa ottica che "per progredire nella conoscenza del tromba" Estrade cerca di "decifrare questo linguaggio",interrogando gli stessi malgasci sul significato da loro attribuito alle azioni e ai simboli rituali del tromba. Talvolta le informazioni raccolte sono affiancate dalle proprie osservazioni ed interpretazioni.

Innanzitutto Estrade pone l'accento sull'importanza attribuita all'acqua nella società tradizionale malgascia. Simbolo di fecondità e di purezza, l'acqua è utilizzata nelle cerimonie religiose per le purificazioni rituali e come rimedio alle malattie e alla sterilità. Nelle sedute del tromba è contenuta in un piatto posto sull'altare e, arricchita dal potere dell'argento e delle perle che vi vengono immerse, è bevuta dalle donne venute a consultare lo spirito per domandare fecondità e salute.

Lo spirito reale è poi messo in relazione con la purezza e la pulizia, infatti è ritenuto "puro e pulito" ed è particolarmente attento a conservare la purezza dell'acqua che dovrà essere utilizzata nelle cerimonie, dopo essere stata raccolta dal fiume all'alba, prima di essere toccata dagli uccelli.

In rapporto con l'acqua, a cui è assimilato per il suo biancore, anche l'argento è considerato simbolo di purezza. Estrade lo ritrova nella festa del tromba sotto forma di una moneta reale (la piastra) e talvolta di gioielli; gli adepti ne assimilano tutte le virtù bevendo l'acqua in cui sono immersi tali oggetti. In opposizione all'oro, principio attivo, maschio, solare e celeste, l'argento è considerato un principio passivo, femminile, lunare ed acquatico; tuttavia la sua brillantezza ed il suo valore lo assimilano proprio all'oro e gli conferiscono dignità reale. L'oro è infatti "storicamente considerato attributo della divinità e della regalità e simbolo del potere".

All'argento o all'acqua è associata la "terra bianca", nome con cui viene indicato cioè il caolino o il gesso, il cui uso è molto diffuso a Madagascar sotto forma di maschera o più spesso di segni sul corpo. Nel tromba oltre a consacrare i fedeli e gli oggetti usati durante la cerimonia, come gli strumenti musicali e le bottiglie contenenti le bevande tradizionali, il gesso serve anche a purificare e a riscattarsi dalla colpa per avere violato un fady (divieti rituali).

Il caolino è utilizzato anche per segnare in modo quasi permanente le persone e gli agenti del culto presenti nei villaggi sacri dei mahabo e dei doany, ma di gran lunga più rilevanti sono i segni fatti con questa terra sul corpo del posseduto che, a seconda delle forme che possono assumere (serie di punti, triangoli, lune, stelle) e della parte del corpo interessata (gli occhi, la fronte o la pancia) rivelano ai fedeli l'identità del tromba che si è manifestato.

Questa terra ha inoltre virtù terapeutiche e ne vengono infatti sempre prescritte dal saha delle applicazioni per qualsiasi malattia o ferita e infine, l'espressione tany-ravo (lett. terra gioiosa) con cui essa è spesso designata evoca l'idea di portafortuna.

Oltre all'argento e alla terra bianca partecipano alle virtù dell'acqua anche le perle. Nate dall'acqua, infatti, le perle sono legate alla forza germinale di questa e donano la fecondità. Durante le cerimonie tromba sono depositate nel piatto rituale spesso come offerte allo spirito e l'acqua in cui le perle sono state immerse viene poi bevuta dai malati per assumerne le proprietà benefiche. Talvolta gli adepti, seguendo le prescrizioni del tromba, le portano indosso perché ritengono il solo loro contatto sufficiente ad assicurare salute, prosperità, longevità, fortuna e a raggiungere qualsiasi altro obiettivo, come la fedeltà del marito o la felicità.

Questa credenza malgascia ricorda quella diffusa tra gli Ndembu dello Zambia, di cui ci dà testimonianza Turner, anch'essi "convinti, portando certi oggetti, di portare anche i poteri e le virtù che questi sembrano possedere e di potere, manipolandoli secondo modi prestabiliti, organizzare e concentrare questi poteri per distruggere le forze maligne". In Madagascar per scacciare gli spiriti malvagi e per guarire le malattie, che sono del resto sempre ritenute di origine soprannaturale, si ricorre a rimedi sacri (aody) confezionati con perle e piante medicinali oppure consistenti in applicazioni di terra bianca o di acqua sacra. Estrade ritrova nella maggior parte delle sedute del tromba anche l'uso di altri oggetti ed essenze magiche dalla stessa funzione esorcista. Lo specchio è infatti utilizzato dal medium per captare ed allontanare dal malato, attraverso il riflesso, geni malefici ed atti di stregoneria ed è impiegato anche come strumento di divinazione per individuare la causa delle malattie, in sostituzione dell'acqua in cui gli indovini una volta leggevano l'avvenire. Durante i funerali reali, invece, il corpo del re dopo essere stato privato della carne viene avvolto in un lenzuolo su cui sono stati cuciti una miriade di piccoli specchi.

Un altro rimedio simbolico-magico è, secondo Estrade, quello di far fumare dell'incenso vicino al malato. È a questo scopo che all'inizio della cerimonia del rombo tromba ogni posseduto deposita un seme di incenso nella coppa posta sulle braci. Come resina incorruttibile l'incenso è infatti indicato in un rito che celebra una sopravvivenza di un re defunto e vuole rendere la salute e la vita ai suoi adepti.

Il fumo viene collegato alla presenza spirituale dei tromba che vengono attirati proprio dal profumo dell'incenso che brucia. Infatti, secondo una credenza malgascia raccolta da Estrade, gli spiriti benevoli vengono evocati con buoni odori e con suoni dolci e armoniosi, mentre i suoni discordanti e gli odori acri e nauseabondi scacciano i geni malvagi; è per questo che per attirare i tromba i fedeli si impegnano nei canti favoriti dagli spiriti, man mano che la resina brucia.

Per procurare la guarigione il tromba, attraverso il medium, fa uso, come abbiamo visto, degli elementi della natura che predilige, ma ricorre anche ad oggetti moderni come l'amo per agganciare la fortuna, la chiave per aprirne la porta, l'ago per ricucire un'amicizia o l'ascia per tagliare un malessere.

Oltre ai segni di terra bianca con cui viene ornato il corpo del posseduto, l'identità dello spirito che viene tra i suoi adepti è rivelata anche dal tipo di lamba (vestito a grandi frange o con una lunga banda di seta) che indosserà il posseduto. Lo spirito può essere infatti un re, una regina o anche uno schiavo. Una volta che il malato avrà indossato i vestiti appropriati, dopo aver gettato bruscamente i suoi, è pronto a ricevere lo spirito.

Oltre a mettere in risalto la presenza della divinità, gli abiti cerimoniali sono provvisti di speciali virtù, capaci di facilitare la trance, di invocare la divinità e di guarire i pazienti. Questi costumi devono essere confezionati da persone specifiche (la sposa del medium o il medium stesso) e vengono lavati molto raramente.

Nella scelta degli abiti rituali è data grande importanza al colore rosso perché simbolo del potere e della regalità; il rosso è infatti il colore dello stendardo e dello stemma reale sakalava. Il rosso è poi legato al principio della vita ed evoca perciò la bellezza, la ricchezza, la forza, l'azione e l'immortalità.

Colore anche del fuoco e del sangue, è proprio sotto forma del sangue che il rosso gioca ancora un ruolo principale nel tromba. Durante le cerimonie numerosi spiriti si abbeverano infatti del sangue dei buoi sacrificati ma anche di quello che cola dalle ferite che si sono provocati, gesto che, secondo Estrade, vuole commemorare una vecchia tradizione sakalava secondo cui niente deve perdersi del sangue che cola dalle ferite dei re.

Bisogna ancora insistere sul colore rosso del rhum, bevanda preferita dai re sakalava e sempre presente in abbondanza sull'altare. Per essere gradito agli spiriti reali anche il miele, nutrimento divino, deve acquisire un bel colore rosso e nella cerimonia del Barisa viene quindi caramellato prima di essere deposto sull'altare.

Il rosso del sangue vitale e il bianco della purezza e della beatitudine, il cui simbolismo si deve avvicinare all'acqua ed all'argento, .sono quindi i colori prediletti dei tromba.


2. Il periodo, l'ora e l'orientazione

Secondo la tesi di Eliade, qualsiasi rito religioso è un evento sacro perché è una riattualizzazione di un evento primordiale e si svolge quindi in un "tempo sacro". Il tempo, per Eliade, non è infatti "omogeneo" e "continuo", ma esistono intervalli di tempo sacro, un tempo cioè "circolare" "reversibile" e "infinitamente recuperabile", che interrompono la normale durata temporale, propria del tempo "quotidiano" "storico" e "cronologico". Il passaggio dall'uno all'altro avviene attraverso i riti che proiettano i partecipanti nel tempo mitico delle origini e che quindi non possono essere celebrati che in determinate circostanze e modi. Anche nel tromba ritroviamo delle regole costanti che stabiliscono il momento propizio e il modo adatti a celebrare il rito e a disporre gli oggetti rituali.

La data delle sedute del tromba è fissata in funzione della luna, che deve essere crescente, e della storia mitica dei re. Il fattore economico e sociale non è totalmente assente: i periodi di carestia sono controindicati, mentre il fine settimana è favorevole. La data è anche in rapporto con particolari eventi della vita dei campi.

Con la sua "morte e resurrezione" la luna simboleggia, secondo Estrade, la scomparsa ed il ritorno dei re che possono quindi apparire solo sulla scia dell'astro. Inoltre considerata come un simbolo femminile di fecondità non può non "partecipare" a questo culto che riunisce essenzialmente donne e che è proprio di una società che pone la fecondità al primo posto dei suoi valori.

L'ora in cui avvengono le benedizioni, la processione della cerimonia del Bagno delle reliquie ed in cui l'iniziato riceve l'investitura durante il rito del Barisa è sempre, secondo Estrade, mezzogiorno, perché è l'ora in cui il sole è allo zenit e i raggi solari cadono perpendicolarmente sulla terra ed è l'ora che rappresenta quindi la benevolenza degli spiriti.

Quando i posseduti sollecitano i favori della divinità e dei tromba devono orientarsi in direzione dell'est. Il levante è il simbolo della vita, della gioia, della fortuna e della giovinezza e, come il sole all'inizio del giorno, rappresenta le forze ascendenti. La testa del mondo, la dimora degli dei e degli antenati si ritiene che siano collocati ad est, mentre il luogo sacro per eccellenza è il nord-est dove infatti è costruito l'altare e si trovano gli oggetti rituali. Queste due direzioni (il nord e l'est) sono, secondo Estrade quelle principali da cui sono arrivati i primi immigrati malgasci. Il nord-est è dunque considerato dominio degli spiriti ed è opposto al sud-est che è invece dominio dei viventi.

INTERPRETAZIONI DEL TROMBA

1. Funzioni manifeste e funzioni latenti.

Roger Bastide, basandosi sui suoi studi riguardanti i culti di possessione afro-americani, individua due gruppi di funzioni, manifeste e latenti, generalmente presenti nei culti di possessione. Secondo Bastide tali culti, come tutti i fenomeni sociali, "hanno ragione di esistere perché svolgono una funzione utile per l'individuo e per il gruppo". Le funzioni sono inoltre destinate a mutare nel tempo e a subire quindi dei cambiamenti "che sono consecutivi alle modificazioni storiche delle circostanze".

Seguendo la prospettiva funzionalista, ritroviamo anche nel tromba alcune delle funzioni "manifeste" e "latenti" che Bastide attribuisce ai culti di possessione in generale. La "funzione manifesta", che è secondo Bastide quella di mettere in contatto il sacro e il profano, di assicurare l'attualizzazione simbolica dei miti e l'incarnazione degli spiriti dei morti e dei geni della natura in modo da garantire così l'armonia del cosmo e della società, verrà analizzata attraverso le interpretazioni di due autori malgasci, Jaovelo-Dzao e Radavidrason. All'interno del gruppo delle "funzioni latenti" del tromba, funzioni individuate invece da studiosi occidentali e che verranno esaminate in questo capitolo, ritroviamo ad esempio una funzione di contestazione del sistema politico malgascio post-coloniale o delle decisioni prese dal sovrano vivente, una funzione "attestataria" di sostegno del potere e degli status sociali tradizionalmente privilegiati, una funzione di compensazione sociale per quella parte della popolazione resa inferiore dalle norme tradizionali , una funzione " teatrale" di evasione e di fuga dalle misere condizioni di vita.

Il tromba è stato interpretato poi anche come uno stato di ipnosi che sopravviene in seguito ad un indebolimento fisico causato da una malattia o che viene provocato dalle pratiche cerimoniali o da droghe soporifere.

Infine riportiamo il punto di vista di due medici malgasci (il dottor Andrianjafy e suo padre, 1902) che hanno visto nel tromba dei sintomi patologici simili a quelli di un attacco di paludismo e influenzati dalle credenze superstiziose locali.

La maggior parte degli studiosi della cultura malgascia di cui si parla in questo capitolo si riferiscono, nelle loro interpretazioni, esclusivamente al tromba come culto di possessione da parte degli spiriti dei re defunti. Solo Raison-Jourde, come vedremo, ritrova nella società sakalava contemporanea anche la possessione tromba causata dagli spiriti della natura, i tromba antety e i tromba andrano.



2. Il tromba come controllo sociale e mezzo di espressione della società.

Nella ricerca della funzione originaria del tromba Paul Ottino, nel suo articolo del 1965, rivolge lo sguardo ad un passato più lontano rispetto al periodo della creazione dei regni sakalava, al quale la maggior parte degli autori legano l'origine del fenomeno. Al di là della funzione del tromba ritenuta dall'autore "la più conosciuta", e cioè quella di sostegno dell'apparato politico sakalava e dell'autorità temporale dei principi, Ottino mette in luce una funzione di controllo sociale risalente al periodo precedente la conquista sakalava. Quest'ultimo aspetto, poco studiato, spiega secondo Ottino in particolare il fatto che, malgrado il declino attuale del sistema politico e religioso tradizionale, questa manifestazione di possessione si è mantenuta più o meno inalterata.

Il controllo sociale è esercitato dai posseduti che, grazie alle loro facoltà fuori dal comune, possono ritrovare oggetti rubati, identificare e fare arrestare i ladri e possono intervenire anche con accuse considerate più gravi, come l'incesto e la stregoneria, e che vengono punite spesso con la morte.

Ma le denunce dei posseduti, a seconda se questi agiscono o meno in stato di trance, provocano effetti differenti nella società. Anche se le accuse proferite dal posseduto in trance sono gravi e perlopiù verosimili, dal momento che confermano sospetti già presenti all'interno del gruppo, non provocano infatti all'interno della società alcuna reazione immediata (cosa che avviene invece per le denunce pronunciate "en periode lucide"), ma la comunità "se contente d'en prendre bonne note". La causa di queste differenti reazioni da parte della comunità va ricercata, secondo Ottino, nel fatto che quando i posseduti agiscono nella vita ordinaria si tratta di una differenza di status e non di natura, come durante la trance, che li distingue dai membri "normali" della comunità. Nel caso in cui il posseduto agisce invece in stato di trance il suo intervento è considerato di altra natura, dal momento che viene attribuito allo spirito di un morto. Secondo la credenza comune il mondo dei vivi deve rimanere quindi distinto da quello dei morti e l'uno non può agire direttamente sull'altro. Sul piano dell'efficacia e delle garanzie offerte alla società tuttavia non vi è alcuna differenza dal momento che l'accusato è in ogni caso tenuto sotto sorveglianza ed è così costretto a modificare la propria condotta o a lasciare il villaggio.

Il fatto che gli ordini impartiti da un posseduto in trance sono immediatamente eseguiti solo se riguardano il campo politico e religioso, cioè il dominio dei re, e non quello sociale, mette in luce secondo Ottino i due aspetti del tromba (strumento del potere politico e mezzo di controllo sociale) e i diversi interessi che protegge (quelli del gruppo sociale dominante e quelli dell'intera società). Tale "ambiguità" viene spiegata dall'autore con l'evoluzione che il tromba ha subìto nel tempo. Le prime tracce del tromba risalgono infatti secondo Ottino alla cultura proto-malgascia, anteriore alla conquista sakalava e la funzione di controllo sociale era la sua funzione originale. In seguito i conquistatori sakalava avrebbero usato a loro profitto la venuta degli spiriti come anche la figura dei saha, alterandole. Le nuove funzioni assunte avrebbero fatto così indietreggiare quelle iniziali. Ciò è particolarmente evidente per i saha che, nel momento dell'equinozio di settembre, all'interno dei Mahabo, continuano a officiare antichi riti il cui significato è ormai dimenticato. L'antico carattere del tromba invece non si è cancellato del tutto, ma al contrario ritrova con il declino dell'organizzazione politica sakalava un'importanza crescente. Ottino afferma che è proprio l'aspetto originale del tromba, quello cioè di controllo sociale, a mantenere in vita questo rito e a farlo sopravvivere al declino dell'apparato politico dei re sakalava.

Per Estrade invece alla scomparsa del potere monarchico sakalava si lega inevitabilmente anche quella del tromba che rimane solo come luogo di divertimento e di svago, come testimoniano le trance spontanee, non ritualizzate, a cui assiste durante il suo viaggio nell'isola e di cui dà testimonianza nel suo libro.
 
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3. Il tromba come mezzo di evasione, di gioco o come mezzo per modificare lo status sociale.

Come osserva Raison-Jourde, l'opera di Estrade non porta alcun nuovo apporto sul senso del tromba. Egli infatti lega questo fenomeno di possessione alle strutture politiche sakalava durante tutta la storia malgascia e "aggira largamente il suo contesto politico e socio - economico contemporaneo", accontentandosi di illustrare le varianti etniche e regionali del tromba e di "opporre l'equilibrio secolare della campagna all'universo sconcertante della città".

Estrade cerca di spiegare i motivi della larga adesione al tromba con un'analisi che indaga più su pulsioni e interessi individuali che non su un ordine generale. Ciò che spinge a partecipare alle cerimonie viene individuato dall'autore ad esempio nella paura della morte di cui parla Ottino, nella liberazione dai divieti rituali, nella speranza di accedere all'ambita "professione" di saha, nel vizio dell'alcol o anche nella passione per la musica.

Lo studio dei moti dell'animo umano che avvicinano al tromba non esaurisce in ogni caso secondo Estrade il mistero di questo fenomeno tra i cui adepti non si trovano infatti solo "malati o persone considerate inferiori" ma anche "vecchi robusti e madri appagate"; la stessa regina Binao, considerata tra le più ricche e adulate, ospitava regolarmente alcuni spiriti di famosi antenati sakalava.

Estrade ritrova nel tromba anche "la realizzazione di desideri consci o inconsci", come il bisogno di evasione dalle misere condizioni di vita e come l'affermazione di superiorità della donna.

Il fatto che i posseduti tromba contano in gran parte donne è generalmente attestato, oltre che dagli antropologi occidentali, anche dagli stessi fedeli malgasci che, secondo una credenza comune raccolta da Ottino, attribuiscono la numerosa presenza femminile nel ruolo di medium ad una preferenza particolare degli spiriti. Per Jaovelo-Dzao, un antropologo malgascio contemporaneo, la partecipazione delle donne alle cerimonie religiose rievoca simbolicamente le figure della "Dea Luna", che tranquillizza e rinvigorisce l'uomo con la freschezza della notte, e della terra-madre, generatrice di vita.

Bastide vede invece una necessaria relazione tra la partecipazione ai culti di possessione e la posizione inferiore della donna nelle società patrilineari, come nei culti Zâr dell'Etiopia e nel tromba sakalava. È grazie alla possessione infatti che la donna acquista importanza relativamente all'uomo, diviene un essere sacro e superiore al suo sposo, e supera il suo stato di dipendenza. Il tromba costituisce inoltre, secondo Estrade, una protezione per le donne ripudiate e le donne sterili in particolare, a cui offre "il calore di una confraternita, il lusso dei profumi, dei gioielli e degli specchi, l'allegria del canto e della danza, il sapore moderno di bevande e di sigarette".

Se all'interno della religione patriarcale malgascia la donna non ha alcun ruolo e viene infatti marginalizzata nei riti tradizionali che si svolgono intorno al palo dei sacrifici, la sua condizione non è invece considerata inferiore nell'ambito familiare e sociale. Come testimonia Deschamps infatti la donna è consultata frequentemente nelle decisioni familiari, dirige di fatto la casa, esce, riceve visite, può abbandonare il domicilio coniugale e ritornare nel gruppo della propria famiglia portando con sé i suoi beni. La donna conserva infatti il diritto di possedere un suo patrimonio e di partecipare all'eredità paterna e maritale.

Oltre alla funzione di modificare lo status sociale delle donne rese inferiori dalla religione tradizionale, Estrade attribuisce al tromba anche un altro ruolo "che nessuno sembra riconoscere, perché ciò sarebbe blasfemo", che è cioè "quello che viene chiesto al teatro". Tale funzione di divertimento, di svago e di catarsi si esprime secondo Estrade nelle trance individuali e improvvise a cui egli assiste durante i funerali, negli ospedali, nelle prigioni ma anche nelle regioni in cui il tromba non è accettato ed è quindi oggetto di scherno. La stessa funzione "teatrale" è ritrovata anche da Bastide e da Métraux nelle società afro-americane rispettivamente studiate, in cui i culti sono avvicinati a "psicodrammi" o a "etnodrammi", termini che indicano cioè quel fenomeno "originario" che è al tempo stesso dramma e religione e che è simile al teatro terapeutico organizzato dal medico per giungere alla guarigione del paziente attraverso la "dedrammatizzazione".

Perché sia "autentica", cioè subita in buona fede in una prospettiva magico- religiosa, è necessario che la possessione sia sentita dagli attori rituali e che risponda a determinati interessi o tensioni sociali, altrimenti diventa una possessione "jouée", caratterizzata dalla spontaneità, come ad esempio nel vodu haitiano, nei culti Zâr dell'Etiopia e nel tromba sakalava. L'azione teatrale è infatti, secondo la tesi di Leiris un'azione non "vécue" ma "jouée" dai suoi protagonisti che restano coscienti di questo gioco; è una possessione definita "inautentica", cioè simulata deliberatamente per darsi in spettacolo o per agire sugli altri (con parole o atti da cui ci si asterrebbe in situazioni normali) sfruttando l'alibi dello spirito.

Un altro campo in cui Estrade ritrova il tromba legato al divertimento e allo svago è quello dei giochi infantili. Vi è infatti nella lingua sakalava proprio un'espressione che indica questo gioco del tromba (manao Kitrombatromba) e la stessa espressione è poi impiegata anche per indicare il tromba degli impostori.

Come è testimoniato da Ottino, e dalle stesse espressioni malgasce da lui raccolte di "falso saha" o di "tromba bugiardo", l'inganno è ammesso, anche se, come mostra Rusillon, è raro per superstizione o per paura dello spirito. Nella teoria sakalava la possessione è reale se si produce una effettiva sostituzione dello spirito alla personalità del posseduto, ma, di fatto, la verifica che tale mutamento sia già avvenuto nel momento in cui vengono pronunciate le parole dello spirito è impossibile a farsi. Inoltre nessuna sanzione, materiale o spirituale, minaccia i falsi posseduti o incombe sui loro parenti, come accade invece nel caso dei falsi guaritori. Ma qual è quindi il grado di credulità che viene attribuito ai discorsi delle persone in trance? Secondo Ottino anche se i Sakalava riconoscono largamente che la possessione possa essere talvolta simulata e portare ad abusi, tuttavia la loro cultura non tollera che tali dubbi vengano espressi collettivamente ed apertamente, perché potrebbero causare, in questo modo, l'indebolimento dell'autorità e dell'efficacia del tromba.

Perché il rito possa essere considerato efficace deve infatti fondarsi sul consenso di tutta la società sul significato del rito stesso. La "riuscita simbolica totale" avviene infatti secondo la tesi di Isambert quando il rito è assicurato da un "sentimento intenso di realtà di ciò che si compie" e dalla "coesione tra i partecipanti". L'efficacia rituale perde invece di forza e di sacralità tutte le volte che il rito si trasforma in una scena teatrale e la rappresentazione del sacro in questi termini può essere anche considerata, come mostra l'espressione di Estrade, qualcosa di "blasfemo".


4. Il tromba come culto di contestazione.

Il lavoro di Althabe si basa su una ricerca sul campo condotta sin dal 1964 e centra l'analisi sociologica sui rapporti di autorità tra popolazione e stato. La comunità studiata è quella del villaggio betsimisaraka di Fetraomby, gli anni di riferimento sono quelli dell'immediata indipendenza e il nuovo potere avversato è quello rappresentato dal governo centrale malgascio, percepito dalla popolazione come continuatore del potere europeo.

Il tromba è per Althabe una tecnica di "liberazione nell'immaginario" da un oppressione dovuta alla dominazione da parte di un altro gruppo (merina o francese). Secondo Althabe infatti il tromba è un culto di origine sakalava nato nel XIX secolo dalla contestazione dell'oppressione merina e che compare presso i Betsimisaraka nel 1960 in seguito alle nuove costrizioni economiche ed amministrative. Secondo Estrade e numerosi altri autori questa teoria è inaccettabile per il fatto che il tromba ha un'origine più remota che risale al tempo della conquista dei territori dell'ovest malgascio e quindi si ritrova all'interno della dinastia sakalava già dal XV secolo, mentre compare presso i Betsimisaraka in epoca più recente, ma in ogni caso molto anteriore all'indipendenza.

Il tromba secondo Althabe si oppone non solo al sistema di potere post-coloniale e di conseguenza al cristianesimo, associato al colonialismo, ma anche all'organizzazione religiosa tradizionale e cerca di costruirsi proprio sulla negazione di questi due sistemi. Questo culto "innovatore" e "contestatore" permette secondo Althabe di comprendere la dialettica che opera nelle società dette dualiste tra il sistema tradizionale, degradato, e quello moderno, imposto dall'esterno; da questo scontro nasce un terzo tipo di sistema socio - culturale (rappresentato ad esempio dal tromba malgascio).

La riorganizzazione interna del villaggio intorno alla "servitù" dello spirito-tromba è percepita come la realizzazione dell'indipendenza dall'autorità statale, che si traduce nell'adorazione degli antenati malgasci ed egualmente nell'eliminazione dell'appartenenza al cristianesimo. La "liberazione nell'immaginario" si realizza continuamente durante la cerimonia attraverso la riattualizzazione nei fedeli della condizione di servitori abbandonati che invocano disperatamente il loro padrone assente. Lo spirito, quando arriva, afferma poi violentemente la sua dominazione con minacce di morte, imprecazioni e ordini bizzarri a cui devono sottomettersi anche i funzionari dell'amministrazione presenti alla cerimonia, i quali sono spesso oggetto dei capricci dello spirito. L'esecuzione immediata degli ordini dettati dallo spirito del re manifesta la sottomissione dovuta al potere tradizionale, cioè conferma il potere del sovrano vivente contro l'autorità statale.

La sottomissione al tromba costituisce inoltre il "quadro comune" o "la comunità di superamento" attraverso cui si realizza la comunicazione sia tra i discendenti dello stesso lignaggio che tra i membri di lignaggi diversi. Tale ruolo di intermediario era assicurato, prima dell'arrivo del tromba, rispettivamente dalla comunità degli anziani e da quella costituita dalle divinità della foresta.

Secondo Althabe il tromba ha contribuito poi anche allo sviluppo socio - economico dei villaggi. Tale progresso si situa sia nei rapporti sociali, come testimoniano l'emergenza del rapporto di coppia e la nascita di associazioni giovanili, che in quelli economici (sviluppo delle piantagioni di caffè). La nuova "comunità di superamento" creata dal tromba ha portato infatti secondo Althabe ad una certa libertà rispetto alla grande famiglia, all'autorità degli anziani e al lignaggio di appartenenza.

Così i giovani si riuniscono in associazioni e i coniugi iniziano a gestire da soli i conflitti matrimoniali, al di là dei rispettivi gruppi familiari, e a mettere in comune le risorse economiche. In campo agricolo il tromba "salva" la piantagione di caffè, che sarebbe stata secondo Althabe trascurata fino al 1960 in quanto coltura straniera in favore del tavy, che designa il luogo, appartenente alla comunità familiare, dove si coltiva il riso all'interno di un quadro tradizionale dominato dal lignaggio e dagli antenati.

Bastide non è d'accordo con la funzione "progressista" attribuita da Althabe al tromba, che avrebbe infatti dato luogo, attraverso la presenza immaginaria degli antenati, a una nuova società più progredita. I due fatti citati da Althabe, cioè l'apparizione della coppia (dovuta alla liberazione delle donne) e la creazione di associazioni giovanili (dovuta alla liberazione dei cadetti), vengono spiegati piuttosto da Bastide con il mutamento delle strutture sociali di origine economica e con l'influenza del cristianesimo. Le missioni infatti, come mostra Bastide, hanno lottato nel Madagascar per fare evolvere la famiglia estesa in quella coniugale e le stesse associazioni giovanili di cui parla Althabe sono state create e sono tuttora rette da preti cattolici o pastori protestanti.

Inoltre secondo Bastide il tromba, come tutti i culti di possessione, non contiene progresso ma rappresenta un ritorno al culto degli antenati. E anche quando vi è "contestazione nell'immaginario", come ad esempio nel caso delle epidemie di possessione (Ramanenjana), si tratta sempre di un culto dello status quo che difende l'ordine tradizionale dalle ingerenze culturali ed economiche straniere.

Anche Estrade ritiene che la rivoluzione interna di cui fu testimone Althabe è stata scatenata, ben prima dell'indipendenza (1960) e della colonizzazione, dall'introduzione della Bibbia nel paese. Per quanto riguarda poi la funzione di contestazione del potere attribuita al tromba, Estrade afferma che il movimento nazionalista malgascio si disinteressa all'utilizzazione del fenomeno per le proprie rivendicazioni, ritenendolo retrogrado e privo di una reale forza; inoltre, la maggior parte dei posseduti sono donne e contadini illetterati, lontani dalle preoccupazioni politiche. Infine secondo Estrade nei discorsi degli stessi posseduti sono ricordate più frequentemente le rivalità etniche (e in particolare le guerre tra i Merina e i Sakalava) che il periodo coloniale o post-coloniale.

Il problema evaso da Althabe è secondo Raison-Jourde quello di "comprendere come il nuovo potere, che non può ignorare questa rivendicazione spontanea di ritorno agli antenati, si pone in rapporto ad un'eredità storica che pone i dirigenti in posizione di esteriorità rispetto ai soggetti". Tuttavia lo sguardo di Althabe, anche se è limitato nel tempo (si riferisce agli anni 1947-64) e nello spazio (osserva le micro-regioni rurali betsimisaraka) (86), pone secondo Raison-Jourde una questione pertinente, quella cioè dello sviluppo del tromba negli anni sessanta su larga parte dell'isola. Tale tesi è infatti secondo l'autrice difficile da difendere dal momento che il rapporto individuale con le figure reali attraverso la possessione non è un dato ufficiale della storia malgascia, tranne nell'ovest dove si trova accuratamente controllato.

5. Funzione "attestataria" e "contestataria".

Baré mostra come la possessione tromba, che fa parte del sistema delle credenze sakalava garanti della permanenza dell'ordine monarchico, è allo stesso tempo il mezzo usato dai "roturiers", cioè le classi medie, per controllare le decisioni prese dal sovrano vivente.

Come è generalmente attestato dagli studiosi della cultura malgascia; sin dalle origini dei regni storici sakalava l'apparato monarchico ha poggiato la legittimità del proprio potere sull'origine divina della dinastia e sull'esistenza postuma dei re defunti. Anche durante il periodo coloniale e all'interno dello stato repubblicano contemporaneo la monarchia sakalava e i lignaggi nobili hanno continuato a sostenere l'autorità dei posseduti reali, su cui evidentemente si basa la loro stessa esistenza (Baré -1977- parla di "linguaggio dei morti" e di "potere dei vivi"). Le monarchie dell'ovest hanno perso infatti dopo l'annessione francese oltre all'esercizio del potere politico anche il controllo territoriale e fondiario su cui si basava il loro potere e hanno visto così nella monopolizzazione dell'ordine ideologico il solo mezzo per conservare la gerarchia sociale e il rispetto per la monarchia.

Nel 1972 la monarchia sakalava del nord appare infatti a Baré come "un insieme organizzato di individui che condividono credenze e idee". La gerarchia sociale è affiancata da una gerarchia politica, sia pure ormai priva di ogni potere statuale, a cui accedono tutte le "caste" e che è composta, oltre che dal sovrano, da due consiglieri del re (manantany e fahatelo) e da alcuni consiglieri territoriali che costituiscono il gruppo della "gente dei vivi", e da dignitari rituali, tra cui i posseduti saha, che appartengono invece alla "gente dei morti". L'insieme di queste funzioni permette agli strati dominanti di mantenere la loro posizione di potere pur essendo ormai estromessi da ogni ruolo di governo. Così il carattere astorico della maggior parte delle funzioni, svolte da un responsabile sakalava, testimonia questa paradossale tenacità dell'apparato monarchico e questo attaccamento collettivo ad una struttura in via di estinzione.

Ancora oggi permangono quindi in modo diffuso un insieme di credenze che "coesistono con la negazione dell'organizzazione che le incarna". Come si concilia il fatto che gli individui sono condizionati da un'organizzazione politica, lo Stato, distinta da quella associata alle loro credenze? Lo Stato secondo Baré esiste come categoria esterna e solo le regole monarchiche conferiscono "du plaisir au jeu social" e animano le conversazioni. D'altra parte, come afferma Raison- Jourde, gli uomini politici della prima repubblica sono stati incapaci di affrontare, se non in modo repressivo, questi fenomeni, "espressione del ritorno al passato e alla sacralità della monarchia contro le promesse del futuro e la laicità della repubblica". Il fatto che gli uomini pubblici non abbiano alcuna presa su questa realtà non vuol dire tuttavia che se ne disinteressino, infatti conoscono le reti organizzative dei culti tromba a cui talvolta si appoggiano.

Se il legame con le figure reali è usato per definire l'identità e il ruolo del gruppo dominante e quindi ha una funzione politica "attestataria", è possibile anche un suo uso "contestatario" da parte della società. In ciò vi è un limite già conosciuto dal re al tempo delle grandi monarchie e cioè la possibilità di vedersi condannare, nel nome dei suoi antenati, da dei posseduti ufficialmente riconosciuti. I saha infatti vengono interrogati sulle scelte politiche e giudicano qualsiasi atto del sovrano non solo nel periodo dei grandi regni ma anche oggi che la monarchia è scomparsa come forma di governo. Inoltre per manifestare il loro scontento avevano ed hanno tutt'oggi il potere di inviare, anche al sovrano stesso, sanzioni soprannaturali (che si manifestano con la ripetizione di avvenimenti gravi e luttuosi).

Così come ha sottolineato Ottino, gli interventi dei saha non sono suscettibili di sanzioni da parte dell'apparato monarchico ed i posseduti, talvolta strumentalizzati dalle diverse fazioni, non esitano a criticare violentemente l'azione del sovrano vivente, che deve tenerne conto, sia modificando la sua azione politica, sia placando l'opposizione degli antenati con delle cerimonie funebri alle tombe. Essere scettici sulla buona fede dei saha significa non solo mettere in dubbio la parola di un posseduto ma anche il suo carattere sacro.

Le tombe dei re e i posseduti sono quindi il mezzo per mantenere in vita l'ideologia sakalava e giustificare la permanenza della posizione privilegiata dei nobili che sono più generalmente, come scrive Baré, "portatori del senso della gerarchia, della società e del cosmo intero". La "gente dei morti" acquista importanza sempre più grande all'interno della società e può infatti modificare la volontà del sovrano supremo e dei suoi consiglieri diretti e così, secondo l'espressione di Raison-Jourde, "il re viene posseduto dai suoi sudditi". A questo proposito Baré ricorda che negli anni 1957-1963 lo spirito della regina Tsiomeko, attraverso l'azione di una posseduta, si oppone alla decisione di Amada e dei suoi consiglieri che volevano recintare le terre che circondavano le tombe reali ed affittarle all'industria zuccheriera francese installata a Nosy Be. In un'altra occasione invece lo spirito della regina Binao chiese al fratello Amada, succedutole al trono nel 1923, di essere inumata in un nuovo mahabo. In entrambi i casi la famiglia reale arretra di fronte al volere dei posseduti perché sa che la scomparsa delle antiche credenze, che utilizzano le parole dei morti reali e la possessione, porterebbe alla sua stessa fine.

La funzione "contestataria" del tromba agisce, come abbiamo visto, sia all'interno stesso del sistema monarchico, e in questo caso i posseduti sono considerati da Baré come delle "istituzioni di normalizzazione" il cui compito è di riportare "al punto di equilibrio" la struttura in cui è avvenuto il conflitto, sia nei confronti dello stato centrale malgascio. Per quanto riguarda invece la funzione "attestataria" del tromba, i riferimenti alla regalità da parte dei vari gruppi sociali sono costanti ed agiscono ancora nel presente. Nell'ovest sakalava la possessione tromba è usata come forma di legittimazione del proprio potere non solo dai nobili, come è stato osservato da Baré, ma anche da almeno altri due gruppi sociali: le famiglie dei servitori reali e i notabili regionali. Questi ultimi controllano gli scambi commerciali col l'estero e hanno la necessità di cercare una legittimazione al loro recente accesso al potere. Le cerimonie, oltre a fissare gli individui negli status ereditari, vengono utilizzate infatti anche per legittimare i nuovi rapporti sociali corrispondenti a "glissements gerarchici o a capovolgimenti". In una società non più retta dall'istituzione reale, la messa in causa degli status ancestrali è infatti frequente. I tentativi di conservare l'importanza dei rami primogeniti dei lignaggi di origine nobile si esprimono nei tromba antety (o tromba della terra). Questi culti privilegiano il potere patrilineare, la preminenza del primogenito sul cadetto, dell'allevatore sul risicoltore. Invece i culti tromba andrano (spiriti legati all'acqua) sono espressione degli status minori o dominati all'interno della tradizionale costruzione dinastica, come i lignaggi matrilineari e i cadetti, e rivendicano l'accesso legittimo alla terra. I tromba andrano fanno infatti riferimento ai Vazimba, cioè agli antichi abitanti del territorio, e alla forza del diritto del primo occupante.

Come i tromba antety e andrano così anche le cerimonie del fitampoha obbediscono alla stessa logica secondo cui il mito è capovolto nel suo senso per le necessità dei rapporti attuali. Il fitampoha, istituito originariamente dalla dinastia reale per garantire la propria permanenza al potere, non presuppone più la riproduzione dei rapporti sociali storici, ma è il luogo di "strategie sociali e di manipolazioni". Infatti nel fitampoha organizzato nel 1968 di cui parla Chazan-Gillig, i lignaggi legittimano le loro situazioni rispettive (accesso alle funzioni pubbliche) in funzione alla loro prossimità alla dinastia reale, la quale da soggetto della storia è divenuta oggetto e punto di riferimento dei vari gruppi sociali. Il fitampoha è quindi secondo Chazan-Gillig il riflesso delle contraddizioni sociali del momento e il luogo dove si legittimano i nuovi rapporti sulla base di relazioni di alleanza o parentela con la dinastia legittima legata agli antichi re.



6. Il punto di vista emico: Jaovelo-Dzao e Radavidrason.

Robert Jaovelo-Dzao nasce e studia nell'isola di Madagascar. Appartenente alla popolazione sakalava basa il suo libro, consacrato all'interpretazione dei riti della propria etnia, oltre che su fonti bibliografiche e sull'osservazione diretta delle cerimonie anche sui ricordi dei racconti familiari riguardanti i miti sakalava. L'autore sottolineando il carattere emico delle sue osservazioni scrive: "nous pensons comme les informateurs sakalava et les possédée eux-mêmes".

Secondo la definizione di Jaovelo-Dzao "il tromba è una forma di religione" ed è quindi a suo giudizio "opportuno inserirla nell'insieme dei riti e delle credenze sakalava". Dopo aver raccontato il mito cosmogonico sakalava l'autore infatti spiega il rituale del tromba come espressione di tale mito. Come sostiene Eliade, nelle religioni arcaiche i miti cosmogonici rivelano il modo in cui è nato il cosmo perché per tali culture "il tempo nasce con la prima creazione all'inizio dei tempi". Il rito raccontando il mito riattualizza il tempo sacro in cui è avvenuto l'atto della creazione e tale desiderio "di reintegrare il tempo dell'origine equivale" secondo Eliade "sia al desiderio di ritrovare la presenza degli dei che di ricuperare il mondo forte, fresco e puro, così come era in illo tempore". Attraverso "l'eterno ritorno", ossia con il periodico rinnovarsi del contatto con il sacro attraverso il rito, "l'esistenza umana si salva dall'annientamento e dalla morte".

Gli elementi rituali del tromba (l'acqua, la danza del medium, il bastone dello spirito, il travestimento del posseduto e il colore rosso) esprimono quindi, secondo Jaovelo-Dzao, la riattualizzazione della creazione. La danza del medium è infatti messa in relazione con gli spiriti dell'aria trasportati dai turbini e con i vortici primordiali da cui ebbe origine il mondo. Anche l'acqua del diluvio primordiale è evocata in tutti i simboli acquatici presenti nel tromba e viene identificata quindi allo stesso tempo con la vita e con la creazione oppure con la morte e la distruzione. Infine la distinzione ed allo stesso tempo la confusione dei sessi a cui si assiste nella cerimonia, durante la quale infatti un uomo può vestirsi da donna se il tromba che lo abita è lo spirito di una regina e viceversa, ricordano per Jaovelo-Dzao la situazione primordiale (il mondo ha avuto origine da un uovo ambivalente) e allo stesso tempo l'androginia divina.

Jaovelo-Dzao afferma che durante la trance il medium-saha e il malato si appoggiano a turno al bastone sacro dello spirito-tromba. Il gesto viene spiegato dall'autore come la partecipazione simbolica all'essenza dell'Albero Cosmico, rappresentato dal bastone. Tale albero, piantato sin dalle origini da Zañaharibe al centro del mondo, costituisce un ponte tra cielo e terra ed assicura agli uomini in modo permanente la discesa degli spiriti e le benedizioni divine, nonché l'energia necessaria al funzionamento di tutti gli elementi del cosmo. Secondo la tesi di Eliade l'Albero Cosmico è un simbolo che manifesta lo "spazio sacro", il luogo cioè in cui si viene in contatto direttamente col mondo divino. L'Albero Cosmico infatti trovandosi al centro dell'universo sostiene e mette in contatto i tre mondi che lo costituiscono, il cielo, la terra e l'inferno.

Il serpente, il coccodrillo e lo zebù, che sono spesso scolpiti sul bastone, sono animali sacri ed incarnano i geni della natura e gli antenati di determinati gruppi clanici. Il serpente e il coccodrillo, avvicinati all'acqua, suggeriscono il tempo primordiale. Lo zebù è un animale sempre da presente nella vita quotidiana dei malgasci ed ha avuto secondo Jaovelo-Dzao molta importanza nella civilizzazione dell'etnia. Il sacrificio di questo animale, il cui sangue è bevuto dagli spiriti-tromba e dai loro adepti durante il rito, rievoca il sacrificio primordiale del figlio della divinità, spesso assimilato al sole il cui "sangue" continua a dare la vita agli elementi del cosmo. I sacrifici umani che accompagnavano un tempo i funerali reali e lo stesso culto dinastico tromba si riferiscono, invece, al secondo sacrificio compiuto nel tempo mitico e cioè quello della regina Andriamandikavavy e di uno zebù rosso, entrambi sacrificati per la prosperità dei posteri.

Gli aody contenuti in una piccola scatola d'argento posta nella parte alta del bastone, costituiscono dei rimedi simbolici che conservano le virtù terapeutiche e magiche del bastone stesso e sono solitamente una pietra, che rappresenta la forza e l'immortalità, del miele, che evoca la dolcezza e la vitalità, l'olio, che simboleggia la forza.

Per Jaovelo-Dzao la presenza nel tromba del rosso e del sangue ha delle referenze mitiche. Innanzitutto il rosso rappresenta il sangue versato dal figlio della divinità, ucciso dai suoi rivali, che, come abbiamo già visto, continua ad inondare il cosmo sotto forma di raggi solari. Poi è il segno della presenza di Andriamandenta (lett. il-Principe-che-taglia-la-gola) morto sul campo di battaglia oppure del ritorno di Mbilo, un rinomato mago sakalava che preferì suicidarsi piuttosto che darsi al nemico.

Anche altri elementi del rito riproducono i modelli di comportamento stabiliti dagli dei, dagli eroi civilizzatori o dagli antenati mitici nel tempo primordiale. La preghiera e l'offerta presenti nel tromba obbediscono infatti, secondo l'interpretazione di Jaovelo-Dzao, alla volontà di Ratovoana, l'uomo-dio che coltivò per primo sulla terra il riso che fino a quel momento era stato l'alimento esclusivo degli dei, e riprendono le norme di comportamento da lui dettate: «tutti coloro che coltivano il riso devono offrire le primizie del raccolto a Zañahary». Eliade spiega tale bisogno dell'uomo di imitare "gli stessi gesti esemplari e gli atti divini" come il riflesso della "sua aspirazione e del suo sforzo di vivere il più possibile vicino ai suoi dei".

Per essere compreso nella sua vera essenza il tromba viene poi necessariamente inscritto da Jaovelo-Dzao all'interno delle credenze malgasce e viene infatti in questa ottica interpretato come «una pratica religiosa di carattere carismatico, che mira a provocare, attraverso un saha, medium in trance, il contatto e la comunicazione con esseri immateriali, per ottenere oracoli per il comportamento o la terapia religiosa».

L'autore mette da parte l'aspetto terapeutico del rito, che è del resto presente nel tromba come in tutti i riti che celebrano il ritorno alle origini, e sottolinea piuttosto la necessità di inscrivere il tromba all'interno delle credenze sakalava, riferendosi in particolare a quelle, diffuse anche in tutta l'isola, che riguardano la onnipresenza dei morti sulla terra e la loro incarnazione nei viventi e la continuità della vita dopo la morte attraverso l'anima presente nell'uomo.

Il tromba è tra i riti che mettono in comunicazione i vivi con ciò che viene definito dall'autore "l'aldilà indeterminato" e cioè con gli antenati lontani, primordiali o di origine mitica, che vengono distinti dagli antenati recenti, ben conosciuti e individuati ("l'aldilà determinato"), appartenenti al gruppo familiare del posseduto, i quali vengono onorati in altro modo (ad esempio con la manutenzione del cimitero, la riparazione e la costruzione in muratura della tomba).

Il rito del tromba, e in particolare la figura del medium, costituisce secondo l'autore, "da una prospettiva più dinamica", l'asse principale che permette a Zañahary, così come agli antenati reali divinizzati e ai geni della natura, di umanizzarsi ed all'uomo di divinizzarsi. "E' allora che il medium diviene da un lato la quintessenza del movimento ascendente dell'uomo verso le regioni superiori della divinità e dall'altro l'emanazione della superiorità divina in un movimento discendente".

Oltre a costituire il mezzo principale di comunicazione degli uomini con le forze soprannaturali, il tromba serve anche a riequilibrare il rapporto dei vivi con tali forze e a ristabilire "l'armonia cosmica" verso la cui realizzazione tendono tutte le cerimonie religiose malgasce. Tale armonia viene infatti spesso turbata da colpe rituali (violazioni dei fady o dei comportamenti tradizionali) e la sua rottura è segnalata dall'avvento di malattie e sciagure.

Le cerimonie tromba sono infine, sempre secondo l'autore, anche un mezzo per risolvere i conflitti e moltiplicare gli incontri e le occasioni di festa tra gli abitanti del villaggio, nonché per stringere relazioni interpersonali tra gli adepti e i partecipanti alle cerimonie che talvolta provengono da altri villaggi.

Appartenente al gruppo etnico dei Merina anche Radavidrason Zafisoatompoina Noro, come Jaovelo-Dzao, nel raccogliere informazioni per la stesura del suo lavoro (una tesi relativa all'anno accademico 1988-89 intitolata Ciclo della vita umana in Madagascar) si basa su fonti bibliografiche, sulla ricerca sul campo ma anche su reminiscenze personali, scolastiche e familiari.

Secondo l'autrice il tromba si inserisce nella venerazione e nel rispetto malgascio per i propri antenati e trae origine dalla credenza in esseri invisibili che rappresentano gli antichi re fondatori della stirpe o comunque antenati remoti di grande prestigio.

Per quanto immateriali questi spiriti vengono rappresentati con modalità umane. Sono infatti di sesso maschile o femminile, buoni o malvagi e non tollerano assolutamente la mancanza di rispetto. Scelgono i loro discepoli tra gli uomini mandando loro sogni e visioni e rendendo nota attraverso la possessione la propria volontà. I posseduti saranno poi protetti e soccorsi in tutte le circostanze dagli spiriti che li abitano.

La consapevolezza dell'esistenza del soprannaturale si manifesta in un'intima connessione tra il divino ed il quotidiano e si traduce concretamente nella celebrazione di riti, preghiere e sacrifici che accompagnano anche le fasi della vita.

«Nella concezione malgascia dell'esistenza, ogni essere, ogni oggetto, lo stesso tempo ed i luoghi sono come presi in prestito dalle potenze soprannaturali. Da qui nasce quel senso di fatalismo e di precarietà, di timore per la propria sorte che domina lo stato d'animo del malgascio. Da qui la paura dell'insolito, di ciò che non è abituale e da qui l'indecisione profonda che caratterizza ogni circostanza della vita del malgascio».

I riti tromba hanno dunque secondo l'autrice un significato di comunicazione e di comunione con le temute potenze soprannaturali.

7. Un altro approccio emico: la "coreomania palustre" e il trattamento adatto alla sua cura.

Un medico malgascio, il dottor Andrianjafy, con l'aiuto di suo padre, ha osservato il fenomeno del Ramanenjana, che, come abbiamo visto precedentemente, è una manifestazione "selvaggia" della possessione tromba, apparsa per la prima volta negli anni 1863-1964 durante il regno di Radama II, un re particolarmente favorevole all'afflusso degli europei nell'isola.

Il Ramanenjana è considerato da Andrianjafy una malattia tropicale, che viene chiamata "coreomania palustre" per i sintomi coreutici e maniaci che la caratterizzano e perché si manifesta sempre nella stagione pluviale, successiva alla grande siccità e che corrisponde alla prima e più attesa raccolta del riso che avviene in acque stagnanti e quindi nel periodo più caldo e malsano dell'anno.

Secondo la descrizione di Andrianjafy la crisi malarica è caratterizzata da dolori diffusi in tutto il corpo, da spossatezza generale e da febbre. Dopo l'attacco febbrile, il malato ha la pelle e la fronte sudaticce, gli occhi rossi e lo sguardo inespressivo; subito dopo comincia a lamentarsi della testa, "la gira e la rigira" in modo molto bizarro, " la dondola", questa maniera particolare di muovere la testa è la postura caratteristica del Ramanenjana. Per due o tre giorni il paziente prova un malessere generale, poi si manifesta un'agitazione nervosa che assume una forma molto curiosa. Da questo momento infatti se il minimo rumore agisce su di lui e, specialmente, se gli capita di ascoltare un canto o una musica, diviene incapace di controllarsi, si sottrae ad ogni costrizione, corre dove proviene la musica e danza, talvolta per molte ore consecutive con una rapidità vertiginosa. Egli dondola la testa da un lato all'altro con un movimento ritmico, agita le mani dall'alto in basso in modo uniforme. Lo sguardo è stravolto e tutta la fisionomia prende un'espressione di smarrimento e di estraneità a ciò che accade.

Il ritmo della danza si regola sensibilmente sulla musica, sempre più rapida, ma degenera spesso in un calpestio sul posto. Il malato danza in tal modo, con lo stupore dei presenti, come se fosse posseduto da qualche spirito maligno, con una persistenza quasi soprannaturale, fino a cadere, infine, come privo di vita. Se la musica viene sospesa, il malato si precipita in avanti, come preso da un nuovo attacco e si mette a correre fino al momento in cui cade a terra, in uno stato di insensibilità totale. A questo punto si riporta il paziente a casa propria.

Come osserva Andrianjafy nel "vero Ramanenjana", che presenta i sintomi patologici febbrili e nervosi appena descritti "la cui realtà non può essere messa in dubbio", si manifestano dei movimenti coreutici, quali oscillazione della testa, abbassamento e sollevamento delle spalle, delle braccia e delle dita delle mani e dei piedi. Ma la danza vera e propria non è un sintomo immediato e si osserva solo nei malati che sono stati sottomessi all'influenza dei medium. Spesso alcuni, raggiunti semplicemente da convulsioni o da movimenti coreutici, sono stati invitati o addirittura forzati dai loro parenti ad eseguire dei movimenti ritmici di vera danza.

A fianco a questi casi, vi sono poi dei malati "in buona fede" che presentano il quadro quasi completo del Ramanenjana, senza alcun condizionamento esterno. Una spiegazione plausibile di questo può essere secondo Andrianjafy il fatto che la maggior parte dei malgasci conosce il Ramanenjana e i suoi mezzi di guarigione. Le persone allora, quando vengono prese da una malattia che presenta sintomi coreutici o nervosi, si credono, in buona fede, raggiunti dal Ramanenjana ed inconsciamente giungono fino a manifestarne i sintomi.

La musica, da sempre usata nelle "manie danzanti" per "canalizzare" in qualche modo il disordine dei movimenti, si ritrova quindi anche nel Ramanenjana come agente curatore. Tuttavia secondo Andrianjafy la musica non è sufficiente, perché il malato guarisce solo dopo un certo numero di danze (che attraverso la sudorazione provocano la fine degli attacchi di febbre), mentre il Ramanenjana, trattato senza musica, ma semplicemente con il chinino, guarisce in due o tre giorni.

I "veri" malati durante le manifestazioni febbrili non sono secondo Andrianjafy comunque in grado di eseguire da soli un rito o un'azione, come ad esempio recarsi sulle tombe degli antenati, eseguire movimenti ritmici e faticosi o danzare con una caraffa colma d'acqua sulla testa, azioni di cui spesso gli stessi malati non hanno coscienza e nella cui esecuzione vengono infatti aiutati dai medium, che forniscono loro anche gli oggetti rituali utilizzati durante la possessione (il bastone o la caraffa con l'acqua).

Le cause che predispongono al Ramanenjana sono individuate da Andrianjafy nell'indebolimento dell'organismo provocato dalla raccolta del riso, nel sesso femminile, più incline a suggestioni di ogni natura, ed infine nell'ambiente insalubre delle risaie, in cui si ritrovano tutte insieme le cause determinanti del paludismo (acqua stagnante, alte erbe, caldo umido, punture di zanzare).

Per combattere il Ramanenjana Andrianjafy indica non solo dei rimedi materiali, quali "la guerra alle zanzare" e la diffusione gratuita del solfato di chinino, ma suggerisce anche l'apertura alla civilizzazione e al progresso europei e soprattutto "la guerra ai guaritori ed alla superstizione, che attraverso le loro suggestioni, tengono questi cervelli primitivi sotto la loro dominazione religiosa e politica".

La malattia, che ha origine dall'intossicazione palustre, è infatti secondo Andrianjafy condizionata dalla cultura e va quindi combattuta attraverso un'opera di "igiene morale", oltre che con la scienza medica.

Andrianjafy considera infine come forme violente di paludismo anche le altre epidemie coreutiche storiche, come il "Tégretier" (Ballo di Abissinia), le convulsioni del cimitero di S. Medardo, il Tanzwuth tedesco e il Tarantismo pugliese,. Per rafforzare la sua tesi riporta poi ciò che scriveva a questo proposito J. Rochard sul Tarantismo:

«I casi di Tarantismo che si osservano attualmente non sono che degli attacchi violenti in forme deliranti o comatose, di cui gli abitanti non conoscono la causa, e che attribuiscono senza ragione alla puntura della tarantola. Facendo danzare i malati al suono del violino e della cornamusa, fino a quando cadono ormai sfiniti, sperano di eliminare il veleno provocando una abbondante traspirazione; si limitano, in realtà, ad accelerare l'apparizione dello stadio di sudore e la fine della crisi, che ne è la conseguenza, sembra giustificare la loro teoria, e li mantiene nell'errore».
 
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4 replies since 24/10/2009, 23:32   2387 views
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