Lonza (animale)
Lonza (dal francese antico lonce), probabilmente ai tempi di Dante Alighieri indicava un felino, presumibilmente la lince (ma avrebbe potuto trattarsi anche di un leopardo o una Pantera nera), un tempo presente in tutta Europa, attualmente solo nelle Alpi ma in quei tempi evidentemente anche negli Appennini.
Dante la pone tra le tre fiere, lince-leone-lupa, simboli di altrettanti peccati capitali, che gli sbarrano la strada nel primo canto dell'Inferno (Divina Commedia I, vv. 31-60).
Allegoricamente i commentatori antichi indicano la lonza come la lussuria, che si interpone tra Dante e il colle con l'intento di farlo ripiombare nei suoi dubbi peccaminosi.
Su un antico documento viene citato che una lonza o leonza veniva tenuta in una gabbia nel Comune di Firenze, forse da qui l'idea di Dante di rappresentare allegoricamente la sua città con questo animale. In reatà il serraglio di leoni che Firenze teneva dietro Palazzo Vecchio, in quella che oggi si chiama appunto Via dei Leoni, è ben documentato, e non si vede perché egli non avrebbe usato il leone stesso, che incontrerà poco dopo, per indicare la sua città.
Quindi l'interpretazione legata a un vizio umano, sebbene non tutti siano concordi nell'indicare proprio la lussuria, sembra quella più valida e accettata, considerando che nei bestiari medievali la lonza veniva definita un animale sempre in calore e che quindi si accoppiava in ogni stagione.
Virgilio
Virgilio è la guida di Dante nel viaggio attraverso i nove cerchi infernali e nell'ascesa al monte del Purgatorio. Dalla settima Cornice del Purgatorio ai due poeti si affianca Stazio, che ha completato il cammino di purgazione e si accinge ad ascendere al Paradiso. Giunti nel Paradiso Terrestre, Virgilio saluta Dante e si appresta a tornare nel Limbo.
Beatrice si sostituisce al poeta latino nel ruolo di guida attraverso i nove cieli del Paradiso.
Giunti nel decimo cielo, l'Empireo, Beatrice torna al suo seggio nella Candida Rosa ed il ruolo di guida, nell'ultimo tratto del viaggio ultraterreno, viene assunto da S. Bernardo di Chiaravalle.
Le scuolePublio Virgilio Marone nacque il 15 ottobre del 70 a. C. ad Andes, un piccolo villaggio nei pressi di Mantova, da una oscura famiglia di coltivatori.
La sua formazione ebbe inizio a Cremona, dove frequentò la scuola di grammatica, e dove, a quindici anni, prese la toga virile.
Da Cremona si trasferì a Milano e poi nuovamente a Roma, alla scuola del retore Epidio, esponente dell'indirizzo asiano, così chiamato perchè di moda in Grecia, uno stile oratorio ricco e brillante, in netto contrasto con lo stile semplice degli oratori classici. Epidio, inoltre, annoverava tra i suoi discepoli i giovani che sarebbero diventati gli elementi di spicco della futura classe dirigente di Roma, fra cui Marco Antonio e Ottaviano.
Virgilio, tuttavia, schivo per natura, non aveva talento oratorio, nè intendeva perseguire la carriera forense. Abbandonò così la retorica per dedicarsi agli studi filosofici, e in particolare all'Epicureismo, che approfondì a Napoli alla scuola di Sirone.
Qui divenne intimo amico di Vario Rufo e Plozio Tucca, che saranno poi i curatori della prima edizione dell'Eneide.
La perdita delle terreDopo la morte di Cesare, fra il 44 ed i primi mesi del 43, Virgilio fece ritorno ad Andes, dove ritrovò l'amico della sua giovinezza, Asinio Pollione, che ricopriva l'incarico di distribuire le terre ai veterani.
Grazie a lui, uomo sensibile alle arti ed alla cultura, il poeta potè in un primo tempo sottrarre le sue terre all'esproprio, tuttavia, un anno più tardi, mentre era impegnato nella composizione delle Bucoliche, i suoi campi di Mantova furono assegnati ai soldati di Ottaviano, per i quali si era rivelato insufficiente il territorio di Cremona.
Virgilio non dimenticò mai il dolore causato dalla perdita della sua terra, per la quale sentì sempre una viva nostalgia.
Il trasferimento a RomaPerdute le sue terre nel mantovano, Virgilio si trasferì a Roma, dove pubblicò le Bucoliche, composte dal 42 al 39 a.C.. L'anno successivo entrò a far parte del circolo letterario di Mecenate.
Catullo e Lucrezio erano morti da poco e soltanto la poesia alessandrina, coltivata da Cornelio Gallo, conservava ancora un certo splendore, mentre Orazio, che Virgilio stesso presentò a Mecenate, iniziava allora a scrivere le satire.
Mecenate ed Ottaviano, il suo referente politico, offrirono a Virgilio una casa a Roma, nel quartiere dell'Esquilino, ma il poeta spesso preferiva ritirarsi a sud verso il mare ed il sole, mentre si dedicava alla composizione delle Georgiche, compiuta in sette anni, durante un soggiorno a Napoli, fra il 37 ed il 30.
Le Georgiche diedero a Virgilio la fama e suscitarono l'ammirazione di Mecenate, che gli era stato particolarmente vicino nelle varie fasi della composizione.
L'EneideNell'estate del 29 Ottaviano, tornato dall'Asia dopo la vittoria conseguita ad Azio su Antonio e Cleopatra, si era fermato ad Atella per riprendersi da un mal di gola. Là Virgilio gli lesse per quattro giorni di seguito i libri compiuti delle Georgiche, aiutato da Mecenate, che lo sostituiva nella lettura quando era stanco.
Dopo questo episodio, certo non senza un suggerimento da parte dello stesso Augusto, Virgilio fu scelto quale cantore del nuovo impero e del nuovo principe.
Da questo momento fino alla fine della vita Virgilio attese all'Eneide, un poema epico sulle origini di Roma. Virgilio aveva nella tradizione letteraria latina predecessori illustri nell'ambito di questo genere letterario, ma l'Eneide si richiamava più da vicino al modello omerico.
Il poema era stato inizialmente concepito come una narrazione allegorica delle imprese di Ottaviano, ma il poeta cambiò idea ed il poema storico venne sostituito dal poema epico sulle vicende di Enea, progenitore dei Romani.
Ancora tre anni dopo l'inizio della stesura dell'Eneide, Virgilio scriveva ad Augusto che il poema era solo "incominciato" e ci vollero ancora tre anni perchè la prima redazione dell'Eneide fosse terminata.
Nel 22 Virgilio lesse all'imperatore alcuni canti del poema, ma non si trattava ancora della stesura definitiva.
Il viaggio in AsiaNel 19 a.C. Virgilio partì per un lungo viaggio attraverso la Grecia e l'Asia allo scopo di arricchire la propria cultura e, nello stesso tempo, verificare la topografia dei luoghi descritti nel poema.
Ad Atene il poeta incontrò Augusto, di ritorno dalle province orientali. Questi, notate le sue precarie condizioni di salute, lo persuase a tornare in Italia. Virgilio, che aveva appena visitato Megara sotto un sole cocente, era estenuato ed il suo stato si aggravò durante la traversata verso le coste italiane.
Sbarcato a Brindisi, il poeta era in fin di vita, ma prima di morire chiese il manoscritto dell'Eneide, ancora incompiuta, per bruciarlo. Gli amici non gli ubbidirono.
Era il 22 settembre del 19 a.C..
Il corpo di Virgilio fu trasferito a Napoli e sepolto sulla via di Pozzuoli. Suoi eredi furono Augusto e Mecenate, che diede incarico a Vario e Tucca di pubblicare l'Eneide.
Virgilio e DanteL'incontro di Dante con Virgilio, all'uscita dalla "selva oscura" così come la sua elezione a guida nel viaggio attraverso l'Inferno e lungo le sette cornici del Purgatorio "non ha soltanto un significato simbolico, nel contesto religioso e morale del poema, ma anche un preciso avvertimento letterario, preceduto ed accompagnato dal ripudio di un altro poeta, Ovidio, e della poesia d'amore, in un più ampio ed ambizioso progetto di rinascenza culturale" (G. Petrocchi, Il I canto dell'Inferno, in Nuove letture dantesche, 1966).
"Tu se' lo mio maestro" (Inf. I, 85) gli dice Dante, in cui "magister" ha un significato più ampio del modello di bello scrivere, per diventare maestro di vita morale, colui che, pur non avendo avuto la rivelazione della fede, ha tenuta alta la lampada per far luce a quanti vengono dopo di lui.
Pg. XXII, 67-69
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte.
Virgilio rappresenta, così, quell'umana virtù che costituisce il primo gradino del processo di ascesi dell'anima che, partendo dalla ragione, giunge ad una fede consapevole."Tu se' ... 'l mio autore" (Inf. I, 85) dice ancora Dante. Virgilio è l'"auctor", il precedente imprescindibile, il modello sicuro, la memoria, insieme personale e storica, colui che testimonia e conferma a Dante, con l'Eneide, la natura provvidenziale ed universale dell'Impero Romano, che prepara ed accompagna la redenzione spirituale operata da Cristo.
Nel Convivio il poeta aveva, infatti, asserito che "'autore' ... si prende per ogni persona degna d'essere creduta e obedita" (Convivio IV, vi, 5).Il rinnovato incontro con Virgilio, che pure aveva già segnato profondamente gli anni della formazione, segna, per Dante, il passaggio dalla giovinezza spirituale e poetica alla piena maturità stilistica ed interiore.
Proprio grazie a questo passaggio Dante potrà parlare ancora di Beatrice, l'altro evento fondamentale nella sua vita, e finalmente nel modo degno che si augurava alla fine della giovanile Vita Nuova.
Enea
Enea ferito da una freccia, curato dal medico Iapige, sorretto dal figlio Ascanio e assistito da Venere, pittura parietale, I secolo a.C., da Pompei, Napoli, Museo Archeologico NazionaleEnea (greco: Αἰνείας; latino: Aenēās, -ae) è una figura della mitologia greca e romana. Figlio del mortale Anchise e di Afrodite/Venere, dea della bellezza. Suo padre era il cugino di Priamo, re della città di Troia. Principe dei Dardani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero valorosissimo, assume tuttavia un ruolo secondario all'interno dell'Iliade di Omero.
Enea è il protagonista assoluto dell'Eneide di Virgilio: le vicende successive alla sua fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite, favorite dall'ira di Giunone, si concluderanno con il suo approdo nel Lazio e col suo matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino. Da questa unione sarebbe nato Silvio, futuro regnante di Albalonga e possibile capostipite dei re di Roma.
La figura di Enea, prototipo dell'uomo sottomesso e obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Virgilio e a Omero, come Quinto Smirneo nei Posthomerica.
Mito
Origini(GRC)
« Αἰνείαν δ᾽ ἄρ᾽ ἔτικτεν ἐυστέφανος Κυθέρεια
Ἀγχίσῃ ἥρωι μιγεῖσ᾽ ἐρατῇ φιλότητι
Ἴδης ἐν κορυφῇσι πολυπτύχου ὑληέσσης. » (IT)
« Diede la vita ad Enea Citerèa dalla vaga corona,
che con Anchise l'eroe si strinse d'amabile amore
sopra le vette dell'Ida selvosa, solcata di valli. » Afrodite, con l'aiuto del Tempo, partorisce Enea, opera di Giovanni Battista Tiepolo, 1754-1758 ca, Londra, National Gallery.Un tempo Zeus, il padre degli dèi, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, stabilì di punire la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale.
Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, figlio di Capi e di Temisto (oppure, secondo altre leggende, di Egesta), che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida.
Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i sui favori.
Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l’aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa frigia, figlia del re Otreo, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell’Ida.
Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento erotico e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell’amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell’alba, Afrodite rivelò all’uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.
Tuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.
Ma allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.
La punizione di Anchise(LA)
« Iam pridem inuisus diuis et inutilis annos
demoror, ex quo me diuum pater atque hominum rex
fulminis adflauit uentis et contigit igni. » (IT)
« È molto che, in odio agli dèi, inutile, gli anni trascino,
da quando il padre dei numi e sovrano degli uomini
mi sfiorò con la vampa del fulmine, mi toccò col suo fuoco. » (Commento di Anchise, Virgilio, Eneide, libro II, versi 647-649)
Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avrebbe preferito passare una notte con la figlia del Tal dei Tali piuttosto che con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall’ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.
Udita la temibile vanteria, Zeus dall’alto dell’Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata ad incenerirlo. Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.
Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com’era alla vista dell’ira divina.
Nascita e infanzia dell'eroeIl pargolo nacque sul monte Ida dove lo allevarono le ninfe e il centauro Chirone, la madre infatti, essendo dea, doveva vivere sul monte Olimpo e il padre, punito da Zeus, venne reso storpio per aver rivelato ad altri il suo rapporto con Afrodite. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio.
Guerra di Troia - Primi combattimentiAchille assalì il monte Ida e depredò le mandrie di Enea, che fuggì. In seguito Enea parteciperà alla guerra di Troia dalla parte dei Troiani, ovviamente; sarà a capo di un contingente di Dardani.
Contro Diomede e aiuto di AfroditeFu eroe valoroso, secondo solo ad Ettore, e spesso supportato dagli dei. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest’ultimo venne ucciso da Diomede ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell’amico dagli assalti greci.
« Balzò a terra Enea, con la lunga lancia e lo scudo, temendo che gli Achei gli strappassero il morto. Gli si mise accanto come un leone che della sua forza si fida; teneva davanti a sé la lancia e lo scudo rotondo, pronto ad uccidere chiunque gli venisse di fronte, e gridava in modo terribile. »
(Omero, Iliade, Canto V, vv. 299-302) Affrontò Diomede ma venne ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l’ira della dea, la colpì costringendola alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo, a Pergamo, e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Enea, benché non venga ricordato per altre imprese, combatté comunque anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace, insieme agli altri comandanti troiani.
Contro l'eroe AchilleDopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo.
« Achille a sua volta scagliò l’asta dalla lunga ombra e colpì Enea nello scudo rotondo al bordo estremo dove il bronzo è più sottile e più sottile la pelle di bue. Da parte a parte passò, il frassino del Pelio, e lo scudo risuonò sotto il colpo. »
(Omero, Iliade, Canto XX, vv. 273-277) Poseidone decise allora di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell’esercito.
Fuga da Troia Statua di Gian Lorenzo Bernini che raffigura la fuga da TroiaLa notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d’aspetto, che gli annunciò l’inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l’incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio. Durante la fuga perse però la moglie Creusa che, sotto forma di fantasma, gli rivelò il suo futuro di fondatore di un grande popolo. Secondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade, la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.
Approdo in Italia, eroe nell'EneideFuggito da Troia, Enea giunse, insieme a un drappello di compagni, in terra di Tracia, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso Creta. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell’Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto
« M’incammino dal porto, lasciata la flotta e il lido, proprio mentre per caso nel bosco, davanti alla città, accanto all'onda d'un falso Simoenta, Andromaca libava annuali vivande e mesti doni ai morti e ne invocava i mani sopra il tumulo d’Ettore, che con un verde cespo, aveva, se pur vuoto, consacrato, e con due altari, causa di pianto. »
(Virgilio, Eneide, Canto III) Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all’amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l’Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell'attuale Salento, a Porto Badisco. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono ad Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d’odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l’Africa.
Le passioni di Enea e Didone, affresco romano da Pompei, Casa del Citarista, III stile, 10 a.C - 45 d.C.Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l’eroe narrò le sue terribili vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina
« Le ancelle la accolgono, e riportano sul talamo marmoreo il corpo svenuto e lo adagiano sui cuscini. Ma il pio Enea, sebbene desideri calmare la dolente, e confortarla, e allontanare con parole le pene, molto gemendo e con l’animo vacillante per il grande amore, tuttavia esegue i comandi degli dei, e ritorna alla flotta. »
(Virgilio, Eneide, Canto IV) Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. Sbarcarono di nuovo a Erice, dove per l'anniversario della morte del padre Anchise ,furono celebrati, tra siciliani e troiani, i giochi in suo onore, i ludi novendiali (libro V). Nella vicina città di Drepano, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la sibilla con la quale scese nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone.
« Tra di esse, fresca della ferita, la fenicia Didone errava nella vasta selva; appena l’eroe troiano le ristette vicino e la riconobbe tra le ombre, indistinta, quale si vede sorgere la luna al principio del mese, o si crede di averla veduta tra le nubi, gli sgorgarono lacrime e parlò con dolce amore. »
(Virgilio, Eneide, Canto VI) Incontrò in seguito l’anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso ad Enea in Italia. Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche Gaeta e il Circeo. Il re del luogo, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l’ira di Turno, il re dei Rutuli. Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, Almone (Eneide), giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest’ultimo consigliò inoltre all’eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l'assenza di Enea il campo troiano venne assediato dalle truppe di quattordici giovani condottieri rutuli, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e altri giovani che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi guidati da Tarconte, ed agli Arcadi guidati dal Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni.Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e la sete di vendetta riuscì perfino a soffocare la sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise il figlio Lauso, intervenuto per difendere il padre. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L’eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo decise di affrontare la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla cadde in battaglia. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall'ucciderlo; ma ricordando poi il dolore di Evandro per la morte di Pallante, conficcò la sua spada nel petto del nemico (...vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).
« Dicendo così gli affonda furioso il ferro in pieno petto; a quello le membra si sciolgono nel gelo, e la vita con un gemito fugge sdegnosa tra le ombre. »
(Virgilio, Eneide, Canto XII) Edited by demon quaid - 12/12/2015, 01:10