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Ottavo cerchio

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demongod
view post Posted on 10/4/2010, 13:29 by: demongod     +1   -1
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Il diavolo è sicuramente donna.

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Quinta Bolgia



giovanni_stradano_malebranche



Il canto ventunesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella quinta bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti i malversatori; siamo nel mattino del 9 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300 (Sabato Santo).

E volser contra lui tutt'i runcigli; ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!» (XXI, vv. 71-72).

1. Incipit
Canto XXI, il quale tratta de le pene ne le quali sono puniti coloro che commisero baratteria, nel quale vizio abbomina li lucchesi; e qui tratta di dieci demoni, ministri a l'offizio di questo luogo; e cogliesi qui il tempo che fue compilata per Dante questa opera.

2. Analisi del canto
2. 1. La bolgia dei barattieri - versi 1-22
Continuando a parlare di cose che non riporta la «Comedía», Dante e Virgilio arrivano sul culmine («il colmo») del ponte che da sulla quinta bolgia, e guardando giù Dante la vede «mirabilmente oscura». In fondo bolle una nera pece e per descriverla Dante inizia una lunga similitudine con quella che d'inverno viene fatta bollire all'Arsenale di Venezia: l'inverno era infatti tempo di manutenzione delle navi e Dante si dilunga descrivendo con minuzia le attività degli operai navali: quando non si può navigare c'è chi costruisce nuove barche, chi tura con la stoppa le falle, chi ribatte la prua e chi la poppa, chi fabbrica remi e chi sartie, chi rattoppa il terzeruolo e chi l'artimone (due tipi di vele)... e Dante descrive con tale vivida minuzia il quadro che sembra di vederselo davanti, con una tale conoscenza anche di termini tecnici che alcuni hanno ipotizzato che Dante fosse veramente stato a Venezia a vedere i cantieri navali, teoria però che non trova riscontri nella cronologia della biografia del poeta.

Dante sta quindi guardando la pece che ribolle, ma qui all'Inferno non lo fa per via del fuoco che la riscalda ma «per divin arte», e invischia dappertutto le due rive. Dante è un po' sorpreso di non vedervi nessun dannato, ma solo bolle.

2. 2. Arrivo di un peccatore - vv. 22-57

Canto XXI, Priamo della Quercia (XV secolo)
Mentre il poeta è così preso dall'osservazione non si accorge di una nera ombra che gli si avvicina alle spalle. «Guarda, guarda!» ammonisce Virgilio, e Dante si gira, ma «come l'uom cui tarda / di veder quel che li convien fuggire» egli rimane ghiacciato dalla paura del pericolo ormai troppo vicino (da notare la suspence finché il pericolo non viene esplicitamente descritto). Si tratta di un «diavol nero», che dietro ai due poeti sta risalendo il ponte di corsa ad ali spiegate. Porta sulle spalle, sull'«omero arguto e superbo» un peccatore piegato in due e con un uncino gli attraversa il «nerbo», il garretto, come si fa con la selvaggina. Dante ha paura ma non sviene. Come in una farsa il diavolo non si cura minimamente dei due pellegrini e inizia a vociare: (parafrasi) "Oh Malebranche, ecco uno degli anziani (cioè dei priori) di Santa Zita (Lucca, città devota alla santa)! Mettetelo sotto, che io torno in quella città che è ben fornita di questi peccatori: lì sono tutti barattieri, tranne Bonturo eh! (frase ironica, Bonturo Dati era rinomatamente il più corrotto di tutta Lucca), lì il no con il denaro si fa diventare ita, (cioè passata, una deliberazione ecc.)".

Nella pece sono puniti quindi i barattieri, che nel lessico giuridico del Medioevo indicavano generalmente gli imbroglioni che arraffavano denaro sottobanco o ottenevano altri vantaggi con la furbizia e quindi, più nello specifico, anche i concussori o magistrati corrotti. Il contrappasso è piuttosto generico e consiste nel fatto che come in vita essi agirono al coperto, adesso sono immersi nel buio nero della pece (come sintetizzato al verso 54). I diavoli, verrà detto presto, hanno il compito di uncinare chi tenta di uscire anche solo per affacciarsi, un po' come fanno gli sguatteri dei cuochi quando spingono giù le pietanze che affiorano da una pentola che bolle (similitudine ai versi 55-57). Essi non sono interpretabili secondo un contrappasso preciso, ma la loro presenza innescherà un episodio tra il faceto e il grottesco che avrà come tema principale quello della furberia e che verrà sviluppato anche nei prossimi due canti.

Il diavolo quindi scarica il suo carico e riparte indietro verso una roccia, più veloce di un mastino che insegua un ladro («lo furo»). Inizia qui la lunga e prolifica serie di similitudini animalesche che Dante usa continuamente in questa bolgia: sono dovute sia alla bestialità di questi dannati, sia a sottolineare lo stile comico delle scene che il poeta si appresta a mettere su, dalla struttura in tutto e per tutto simile a quella delle commedie popolaresche da palcoscenico.

Il dannato, secondo studi d'archivio sulla data di morte di un membro del consiglio degli anziani lucchese nel periodo pasquale del 1300, sarebbe Martino Bottario.

Dopo essere stato tuffato nella pece dal diavolo nella pece egli «torn[a] sù convolto», sconvolto (o "piegato", secondo l'italiano antico) dal bollore e grondante di pece. Allora i diavoli, nascosti sotto il ponte, iniziano a prenderlo in giro beffardamente con ironia malvagia: «Qui non ha loco il Santo Volto!» (parafrasi: "Eh no, qui non c'è il Volto Santo di Lucca!") che si può intendere sia come se il dannato fosse tornato su per pregare la santa reliquia del Duomo di Lucca, sia, in maniera più blasfema che ben si addice al linguaggio dei diavoli, come il dannato tutto nero si sia drizzato a mo' del Volto Santo, che è appunto un Cristo di legno nero; seguitano poi "qui non si nuota come nel Serchio! Se non vuoi i nostri graffi non venire a galla, non fare da coperchio alla pece!" e mentre l'"addentano" con cento uncini («raffi») contuinuano con il loro comico sarcasmo: "Qui conviene ballare al coperto, così come hai arraffato nascostamente".

2. 3. Colloquio tra Virgilio e Malacoda - vv. 58-114

Virgilio e i diavoli nascosti sotto il ponte, illustrazione di Bartolomeo Pinelli
È il momento di "entrare in scena" per i due poeti. Virgilio fa nascondere Dante «acquattato» dietro a una roccia («scheggio», da notare la scelta di questi termini di estrazione più popolaresca e vernacolare) e di non preccuparsi per lui: non gli accadrà niente perché conosce la strada e l'ha già fatta (Dante ha immaginato che Virgilio avesse già disceso l'Inferno poco dopo la sua morte, episodio narato in Inf. IX, 22). Virgilio attraversa quindi il ponte e arrivando sul sesto argine (che divide la quinta bolgia dalla sesta) sta con la fronte alta come ostentando sicurezza (anche qui un elemento farsesco). Come i cani che si avventano contro un poverello che chieda l'elemosina e quello sia costretto a arrestarsi e chiederla lì dove si trova, così Virgilio si trova circondato dai diavoli usciti da sotto il ponte che «volser contra lui tutt'i runcigli». Virgilio però grida: «Nessun di voi sia fello [malvagio]!» fermandoli. Continua poi chiedendo di poter parlare prima di essere semmai afferrato, al che i diavoli chiamano in coro «Vada Malacoda!». Malacoda è un po' il capitano di questa "truppa" di diavoli (che presto daranno luogo a una parodia militaresca) e si presenta a Virgilio dicendo «Che li approda?», "A che pro?". Virgilio, chiamando il diavolo per nome, gli spiega che se sono giunti fin laggiù, al sicuro da tutti gli "schermi" (ostacoli) infernali, come può egli credere che non sia stato per «voler divino e fato destro»? Variando un po' sul tema del vuolsi così colà dove si puote, Virgilio stupisce il diavolo con la sua missione divina e Malacoda con un gesto plateale fa cadere l'uncino sbalordito e si raccomanda agli altri diavoli che essi non feriscano i due. Virgilio chiama Dante, che sgattaiola dal suo nascondiglio e si affretta a raggiungere il suo maestro. I diavoli gli si stringono allora attorno con sembianza «non buona» (efficace litote) e il poeta assimila sé stesso ai fanti pisani della Rocca di Caprona quando, dopo la resa del 6 agosto 1289, uscirono sfilando accanto ai nemici minacciosi; si tratta di un episodio secondario della Battaglia di Campaldino al quale Dante afferma di aver personalmente assistito.

Due diavoli "semplici" della truppa allora continuano a guardare Dante malignamente, che è appoggiato alle spalle di Virgilio, e parlano tra di loro facendo finta che Dante non li senta: «Vuo' che 'l tocchi [con l'uncino] in sul groppone?»; «Sì, fa che gliel'accocchi.» (da notare il linguaggio comicamente sguaiato dei due). Malacoda, che li ha adocchiati però si affretta a dire «Posa, posa Scarmiglione!». Questi diavoli sono minacciosi ma non c'è niente di spaventoso nelle loro azioni, Dante non è indignato o inorridito, ma è come un semplice attore che sa di non avere nulla da temere.

L'attenzione torna sul dialogo di Malacoda con Virgilio: (parafrasi) "Non si può andare oltre questo argine, perché giace spezzato sul fondo della bolgia. Ma se seguitate a camminare su questa roccia più avanti c'è un altro ponte. Proprio ieri, cinque ore prima di adesso, la via crollata ha compiuto mille e duecento sessanta sei anni". Notevolissimo è il senso grottescamente ridicolo che Dante è riuscito a rendere con la sua poesia in questo dialogo: in tutto l'Inferno bene o male tutti vari guardiani e esseri diabolici hanno ceduto il passo, ma nessuno si è messo a dare informazioni "turistiche" ai due pellegrini tranne questo "povero diavolo"; inoltre il suo preciso riferimento orario ricorda la gag di un comico che con disinteresse snocciola un dato così esatto che sembra che non abbia pensato ad altro che a calcolarlo negli ultimi mille anni. Il riferimento comunque è prezioso per datare l'epoca immaginata del viaggio ultraterreno: se Cristo si riteneva morto nell'anno 34 a mezzogiorno, quindi sommando si ottiene le 7.00 di mattina del sabato santo del 1300. Non è chiaro però se Dante considerasse in maniera "mobile" o fissa la Pasqua: se prendeva come data fissa del 25 marzo (ritenuto il giorno "storico" della Crocifissione) o il Sabato Santo di quell'anno che cadde l'8 aprile; inoltre Dante, come scritto anche nel Convivio riteneva Gesù morto a mezzogiorno, mentre i Vangeli di Marco e di Matteo indicavano le 15.00, ma non ci sono elementi per capire se Dante avesse cambiato idea, dopotutto nel contesto degli elementi orari della Commedia si addice meglio la prima ipotesi.

2. 4. La pattuglia dei diavoli - vv. 115-139

Diavoli medievali, Andrea di Bonaiuto, dettaglio degli affreschi nel Cappellone degli Spagnoli (1365 circa), Santa Maria Novella, Firenze
Malacoda prosegue mandando una truppa di dieci diavoli, incaricata di controllare che i dannati non escano dalla pece, e decide di far loro accompagnare i due pellegrini, rassicurandoli che «non saranno rei». Inizia allora a chiamare i diavoli uno ad uno:

« "Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina",

cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,
Cirïatto sannuto e Graffiacane

e Farfarello e Rubicante pazzo. »

(vv. 118-123)

Questo pittoresco corteo, che si può solo immaginare dai nomi e dai vari aggettivi che Malacoda attribuisce ai diavoli, si sistema quindi a mo' di truppa militare in procinto di partire. Ma Dante è un po' turbato da questa scorta non richiesta e temendo da loro qualche brutta sorpresa se ne lamenta con Virgilio di nascosto: (parafrasi) "Maestro, ma che vuol dire questo? Tu la strada la sai, perché non andiamo da soli? Io la scorta non la chiedo... non vedi come digrignano i denti e come si strizzano l'un l'altro le ciglia minacciosi?". Dante ha infatti notato che i diavoli si intendono tra di loro: nel prossimo canto si scoprirà che Malacoda stava mentendo deliberatamente, e gli altri stavano al gioco, dopotutto questo è il girone dei "fraudolenti"; Virgilio però lo rassicura ingenuamente, dicendo che quelli sono segni che essi fanno per questioni che riguardano i dannati, non loro. Vedremo presto di nuovo (dopo l'episodio delle mura di Dite) come Virgilio-"personificazione della Ragione" a volte si faccia ingannare dalla "malizia", da bassezze così smaccate e volgari che per lui sono dopotutto inconcepibili.

I diavoli si mettono allora in plotone con la lingua pronta tra i denti per imitare il verso della partenza, aspettando il cenno del loro «duca», cioè della loro guida Barbariccia:

« ed elli avea del cul fatto trombetta »
(v. 139)

Si chiude con questo gesto sconcio, ma degnissimo della situazione, il primo atto della "commedia" infernale.

Il canto ventiduesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella quinta bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti i malversatori; siamo nel mattino del 9 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300 (Sabato Santo).

È strettamente legato al precedente, del quale costituisce il "secondo atto" della commedia dei diavoli della bolgia dei barattieri.

1. Incipit
«Canto XXII, nel quale abomina quelli di Sardigna e tratta alcuna cosa de la sagacitade de' barattieri in persona d'uno navarrese, e de' barattieri medesimi questo canta.»

2. Analisi del canto
2. 1. Diavoli e barattieri - versi 1-30

Anonimo pisano, Dante e Virgilio preceduti dai dieci demoni (1345)
Il canto inizia riallacciandosi direttamente al precedente e spiega con un'amplissima similitudine il suono del cul del diavolo fatto "trombetta". Dante vi richiama con dovizia di dettagli le proprie vicende biografiche, nelle quali ha avuto modo di vedere operazioni militari d'ogni tipo e tutti i segnali che le caratterizzano (la marcia, l'assalto, la rassegna, la ritirata, le sortite a cavallo, i tornei a squadra e in singolo mossi da suoni di trombe, campane, tamburi, segnali visivi dai castelli, cose all'italiana e cosa alla straniera, né pedoni, né navi che seguissero segnali di terra o le stelle), ma mai uno così strano come questo con cui i diavoli si mettono in marcia (cioè la scoreggia del loro comandante). Questa parentesi, dove Dante finge di essere un po' stupefatto e un po' saccente, è un chiaro esempio dello stile comico del brano dei barattieri: egli usa parole marziali e magniloquenti per metter su un divertissement basato sulla parodia.

Notevole è anche, all'inizio del canto, l'accumulazione di riferimenti militari che si riferiscono ad episodi autobiografici: Dante menziona la battaglia di Campaldino, che fu seguita dall'assedio di Caprona citato nel canto precedente; questa spedizione fiorentina del 1289 si tratta dell'unica esperienza militare che Dante ebbe (a quanto si sa).

Dante e Virgilio dunque stanno camminando in compagnia dei dieci demoni ("i Malebranche") lungo l'argine della bolgia, ma il pellegrino non è spaventato o inorridito (come per esempio sulla schiena di Gerione), anzi non gli viene in mente altro che un proverbio "ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni (cioè i furfanti)" (vv. 14-15), come a voler dire che a ogni luogo si conface una compagnia "in tema" e che essendo all'Inferno si deve rassegnare a passeggiare con i diavoli.

Come detto dal loro capo Malacoda, i demoni devono pattuggliare la pece bollente, per controllare che nessun dannato ne esca. Anche Dante guardando la pece vede i dannati che escono con la schiena, come i delfini, o con la faccia, come le ranocchie (da notare il continuo riferimento a similitudini animalesche, indice della bestialità di questi dannati - Dante era infatti particolarmente avverso ai peccati che riguardavano il denaro - e dello stile comico), le quali si affacciano dall'acqua sugli stagni, ma appena vedono un serpente si rituffano tutte. Così facevano i dannati, sempre pronti a beffarsi dei diavoli in un continuo gioco di astuzie e furberie contrapposte, diametralmente opposto, per esempio, all'episodio dei centauri (Canto XII), dove nessun dannato pare sognarsi minimamente l'idea di uscire dal sangue bollente del Flegetonte.

2. 2. Ciampolo di Navarra - vv. 31-90

Canto XXII, Priamo della Quercia, miniatura del XV secolo
I barattieri quindi appena vedono l'ombra dei diavoli si rituffano, ma uno di essi (e Dante nel ripensarci mentre scrive se ne raccapriccia ancora), sempre come talvolta fanno le rane, è troppo lento a re-immergersi e viene afferrato da Graffiacane, il diavolo più vicino, che lo prende per i capelli impegolati con l'uncino (con un gesto che oggi potrebbe ricordare quello degli spaghetti con la forchetta) e, tirandolo sù come una lontra (nero, lucido per la pece sgrondante) si appresta a scuoiarlo.

Dante, nella sua estrema precisione, premette che dei diavoli si ricorda già tutti i nomi per averli sentiti chiamare a uno a uno e per averli sentiti discorrere nella marcia fin lì. I diavoli stanno gridando "O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!", ma Virgilio, su richiesta di Dante, chiede che prima il dannato dica chi sia presentandosi.

Egli risponde che è nativo della Navarra e che sua madre lo mise al servizio di un Signore, essendo suo padre già morto per aver distrutto sé e le sue cose (suicida e scialacquatore quindi); entrò poi nella famiglia (intesa qui come insieme dei servi) del re Tebaldo (Thibaut II di Navarra o Thibaut V di Champagne) presso di cui compie il peccato di baratteria per il quale è punito. I commentatori antichi diedero a questa figura il nome di Ciampòlo di Navarra (forse una contrazione di Giampaolo o del francese Jean Paul), ma le notizie storiche su di esso sono limitate al solo testo dantesco.

Canto 22, Giovanni Stradano, 1587
Ciriatto allora, il diavolo che somiglia a un porco nel nome e di fatto, fece sentire al dannato come una delle sue zanne, che gli uscivano ai due lati della bocca, ferisse, strusciandola però solamente ("sdruscia"). Dante non è impaurito, ma forse incuriosito da questo sorco finito tra male gatte. Barbariccia, che è il "sergente" di questa truppa, allora "il chiuse con le braccia": chi? Ciriatto o Ciampolo? Sembra più probabile il dannato; e qual è il gesto esattamente? Se dalla scena successiva sembra improbabile che lo tenesse abbracciato (egli infatti si divincolerà) forse allora si potrebbe intendere come egli si sia solo interposto tra i due per contenere i diavoli, magari allargando le braccia, essendo il verbo "chiudere" anche sinonimo di "recintare". Sempre Barbariccia dice poi"State in là, mentr'io lo 'nforco" cioè vorrebbe escludere gli altri diavoli dal piacere della tortura del dannato, anche se qualcuno ci ha letto "inforcare" quale "montare a cavallo" (inforcar li arcioni, come in Pd. VI, 99).

Dante e Virgilio sembrano però tifare una volta tanto per il dannato (una concessione del tutto straordinaria all'ineluttabilità del giudizio divino che commistiona le pene giuste ai dannati, in linea però con l'atipicità di questo brano), quindi gli rivolgono un'altra domanda ritardando il supplizio: "de li altri rii / conosci tu alcun che sia latino (qui sinonimo di italiano)/ sotto la pece?". Il dannato risponde che lì accanto a lui c'era fino a poco fa un "vicino" dell'Italia, un sardo, e che tanto vorrebbe tornare accanto a lui sotto la pece senza paura né di unghia né di uncino.

Nel ritmo incalzante dell'episodio, il discorso di Ciampòlo è di nuovo interrotto dai diavoli. Libicocco, che freme di impazienza per usare l'uncino profferisce laconicamente "Troppo avem sofferto!" e gli stacca un pezzo di braccio con l'arpione. Draghignazzo allora alla vista del sangue si esalta e si avventa sulle gambe del poveretto, ma basta un'occhiataccia del loro capo (il decurio) per fermarli. Le ferite però non sono orride e non danno dolore al malcapitato (si pensi per esempio il raccapriccio di Dante in altre occasioni come con gli scialacquatori o i seminatori di discordie per sottolineare anche qui il tono scanzonato e grottesco), il quale le guarda, ma riprende subito a parlare, spronato da Virgilio.

Il dannato di cui parlava poco fa è Frate Gomita, gallurese, ricettacolo (vasel) di ogni frode, che trattò i nemici del suo signore (suo donno, ricalcato sul sardo che usa come articolo determinativo "su") in maniera che ognuno ne ebbe profitto (lui e loro, intende: prese i soldi e li lasciò liberi; ma anche negli altri offici fu un barattiere, "non picciol, ma sovrano". Con lui c'è Michele Zanche del Logudoro, e le loro due lingue non si stancano mai di parlare della Sardegna.

2. 3. Inganno di Ciampolo e zuffa dei diavoli - vv. 91-151

Alichino insegue Ciampolo di Navarra, illustrazione di Gustave Doré

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Al vedere i diavoli minacciarlo sempre più da vicino, Ciampolo si zittisce. Farfarello sta "stralunando" gli occhi e il gran proposto (un altro modo di indicare ancora Barbariccia, che è stato appunto proposto come capo dagli altri diavoli) lo scaccia: "Fatti 'n costà, malvagio uccello!". Ciampolo allora propone un patto di scambio: se essi (Dante e Virgilio) vogliono vedere altri loro compaesani Toscani e Lombardi, lui li può richiamare se i Malebranche staranno un poco in ritirata (in cesso), così che essi non temano le loro ombre; basterà che egli "suffoli" un segnale convenuto e parecchi (sette con valore indeterminato) usciranno fuori.

Al che Cagnazzo leva il muso e lo accusa di volerli ingannare per tornare nella pece, ma Ciampolo risponde di compiere l'inganno a danno degli altri dannati, adescando i diavoli. Alichino allora, in contrasto con gli altri diavoli, accetta per primo al sua proposta, minacciandolo di riafferrarlo se solo tenta di ributtarsi nella pece ("non ti verrò dietro di galoppo, / ma batterò sopra la pece l'ali" cioè con le mie ali sarò più veloce che un cavallo al galoppo). I diavoli allora convinti da Alichino arretrano appena dietro la riva, coperti anche dalla leggera pendenza delle Malebolge ed il primo a farlo è proprio Cagnazzo, quello che aveva manifestato perplessità, come a intendere il suo spazientimento per il gioco o l'ardimento dopo essere stato convinto: in ogni caso è un realistico particolare psicologico.

Tutti stanno ǵa guardare, ma il Navarrese, studiato il momento giusto, si acquatta e poi spicca il tuffo nella pece beffando tutti. Alichino spicca il salto per acciuffarlo, ma deve fare come il falcone che risale quando l'anatra si nasconde sotto l'acqua: "l'ali al sospetto non potero avanzar" cioè più rapida delle ali fu la paura. Tutti sono presi dai rimorsi, ma più di tutti alichino e dopo di lui Calcabrina, che aveva seguito il volo sperando che il dannato fuggisse per potersi azzuffare; infatti appena il barattiere sparisce egli rivolge i suoi artigli al compagno, che a sua volta risponde con artigliate da sparvier grifagno. Nella zuffa entrambi però rotolano nella pece bollente. Il caldo si rivela meraviglioso pacificatore perché i due si separano subito, ma non riescono a rialzarsi in volo con le ali tutte invischiate di pece, e devono essere afferrati dai compagni, pur essendo "già cotti dentro la crosta".

Approfittando della confusione, Dante e Virgilio se ne vanno.

Edited by demon quaid - 30/12/2015, 16:20
 
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