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Storie di torture

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view post Posted on 27/12/2010, 18:06     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Avvertimento per i lettori: questo articolo è molto crudo. Se qualcuno sa di correre rischi e restarne sconvolto, è pregato di non leggere.

LO STAFF

Torture e Supplizi



Dopo l'editto anti-cristiano di Toyotomi Hideyoshi (1587), un cortigiano convertito è sotterrato fino alle spalle ed ha il collo lentamente segato per tre giorni.

E i giudici ordinarono, piombo fuso sulla carne viva…
Le atrocità più inumane, le sevizie più brutali e insopportabili, il piacere sadico di arrecare dolore straziante, squartare, smembrare sbudellare, impalare bruciare e spellare vivi, castrare e violentare donne uomini , e spesso innocenti: ecco le barbarie della tortura e del supplizio.


Il piacere che nasce dal dolore altrui è forse il più tenebroso mistero della mente umana.



Sul lungomare di Ipanema, spiaggia alla moda di Rio de Janeiro, la segretaria Graciela Antonia Penedo, capelli neri e curve prominenti, cammina ancheggiando sicura. di sé. Non sa di essere seguita da un'auto con tre uomini a bordo. Svoltato l'angolo, i tre scendono "di corsa, la bloccano, le tappano la bocca con un tampone di anestetico, la caricano in auto e via verso una località segreta e appartata. La solita violenza carnale di gruppo? Non solo. Graciela è la collaboratrice di un politico di destra e i rapitori, "braccio armato" di un gruppo terroristico di sinistra, la sottopongono ad ogni sorta di tortura pur di avere la lista degli industriali e dei militari che finanziano il deputato. I quotidiani brasiliani; con il tipico compiacimento dei cronisti di "nera", riportano i referti dei medici e della polizia: trafitture da spilloni, bruciature varie, tumefazioni, una raccapricciante piaga tra le gambe, penetrazioni sessuali ripetute, sodomizzazioni bestiali, fellatio ecc.
Nove uomini si sono alternati per tre giorni nel possedere con violenza e anche contro natura quel corpo giovane. Devastante, l'ultimo giorno, è stata la tortura con l'acido. Nuda e con le gambe divaricate, legata da cinghie di cuoio ad un tavolo, Graciela ha dovuto sopportare che da un serbatoio ancorato al soffitto una goccia di acido solforico cadesse ogni quindici secondi sul proprio sesso. Le sue urla sovrumane riempiono la casa; ma nessun vicino può ascoltarle. Intanto, con uno sfrigolio raccapricciante e un filo di fumo la sua vulva brucia ed è profondamente corrosa fino a diventare un grumo informe.

L’energia elettrica si presta egregiamente a varie forme moderne di tortura. La resistenza apparente dell'organismo. a scariche ripetute di elettricità, purché a basso amperaggio, è utilizzata dai servizi segreti per martirizzare a lungo e stordire, senza uccidere spie, ed agitatori politici. A Smirne, in Turchia, nell'aprile 1972 a far le spese della tortura elettrica è Semra Eker, di 23 anni, presunta fiancheggiatrice di un gruppo terroristico marxista. Poiché non parla , è costretta a togliersì gonna e calze: i torturatori le legano mani e piedi e cominciano a percuoterle le piante dei piedi con bastoni: Questa è un tortura "leggera" molto in uso ai giorni nostri. Dopo mezz'ora di percosse, molto dolorose ma che lasciano poche tracce, le collegano mani e piedi ai fili della corrente elettrica, così che il suo corpo è sottoposto a violenti scuotimenti. Ma quando un elettrodo è spostato dalla mano all'orecchio, la ragazza è squassata in modo terribile. I denti anteriori si rompono, sviene. Quando riprende i sensi, si scopre in una pozza di liquami puzzolenti: qualcuno la sta bastonando e prendendo a calci. Un sadico le infila nella vagina un manganello che ha sulla punta un filo elettrico che dà scosse spaventose. Sviene ancora, e quando si sveglia si trova appesa seminuda ad un grosso tubo di un corridoio. I militari passando la ricoprono di ingiurie, la chiamano "puttana" e la seviziano con i loro manganelli. La tortura, quindi, non è scomparsa. Decine e decine dì casi come questo, accaduto in Brasile qualche anno fa, sono denunciati ogni anno in tutto il mondo, secondo il rapporto annuale di Amnesty International.

Oltre ai terroristi, sono per lo più le polizie e i servizi segreti dei paesi dittatoriali, un tempo soprattutto in Unione Sovietica (famigerati i sotterranei della Lubianka, a Mosca) e negli altri paesi comunisti, nella Spagna del dittatore Franco e nella Grecia di Papadopoulos, oggi nell'America Latina e in Oriente, a conservare orribile la tradizione della tortura e del supplizio. La prima, oggi praticata solo nella fase inquisitoria (interrogatorio), è ancora in uso nelle versioni moderate presso le polizie di tutto il mondo, comprese purtroppo quelle dei paesi liberali, e consiste nei metodi noti come acqua, bastonatura, luce accesa, fame e sete, stazione eretta prolungata, scosse elettriche leggere ecc. Gli inquirenti si giustificano affermando che “solo così i malfattori parlano”. Le torture gravi, di cui riferiamo più avanti, sono oggi escluse: nelle organizzazioni statali di tutti i paesi liberali, è solo un vergognoso ricordo sono in Europa e nel Nord America i supplizi, cioè le esecuzioni capitali compiute con crudeltà e violenza prolungata. Non altrettanto si può dire per le polizie dei tanti “in civili” paesi in via di sviluppo", per le organizzazioni criminose, e per i terroristi.

Fantasiose e crudeli erano le torture d'un tempo. Anzi, l'efferatezza dei metodi, la ricerca scientifica del massimo dolore possibile, la moltiplicazione inutile di torture e supplizi curiosi a scopo dimostrativo e di deterrente psicologico, unite alla casualità e al capriccio infantile con cui talvolta erano scelte le vittime, rischiano di suscitare nel disinvolto lettore di oggi più che ribrezzo una certa stupita ammirazione. Anche l'arte viene scomodata per dare i tormenti più atroci, come è il caso della scultura 'del "toro di Falaride", commissionata dal tiranno di Agrigento tra il 570 e i1550 a. C. all'ateniese Ferillo. Ed anche le sentenze dei giudici prevedevano talvolta la pena accessoria della tortura o del supplizio, non ultimi quelli dello Stato Pontificio di papa Pio IX, fino a1 1870.

La condanna di Robert F.braciere Dàmiens



Prima della rivoluzione francese i dispositivi giudiziari erano pieni di dettagli atroci e particolareggiate descrizioni di tormenti d'ogni tipo da infliggere ai condannati, con grande dispendio di truppe, artigiani, attrezzi e animali; sembrando ai giudici déll'epoca "troppo leggera" la morte senza dolore e senza un apparato scenico terrificante. Un esempio è la condanna di Robert F.braciere Dàmiens, che con un pugnaletto aveva ferito leggermente il re di Francia Luigi XV. La sentenza del 26 marzo 1575 della Corte Suprema di Parigi ordina, infatti, che il Damiens "sia assoggettato a tortura straordinaria", cioè ad un intero campionario di patimenti d'ogni tipo,e poi atrocemente suppliziato.

E così avviene, secondo i minimi particolari previsti dalla Corte. Al regicida mancato gli infilano gli stivali spagnoli che danno molta sofferenza e causano lo spezzettamento delle gambe. Poi il Damiens viene sospeso ad una fune (tortura del "pendolo") e abbassato su braciere acceso e finche il fuoco bruci le piante dei piedi , con le tenaglie roveti gli strppano brani ci carni fumanti . Seguono la tortura dell’acqua per mezzo di un imbuto e molte altre forme di tortura , il tutto per 50 giorni di seguito. Finalmente sul patibolo di Parigi gli viene arsa la mano destra mentre impugna lo stesso pugnale dell’attentato poi viene attanagliato, e su queste ferite come da sentenza è gravemente bruciato da colate successive di piombo fuso, pece, cera ed olio bollente. Con lo squartamento, infine, sì entra nel supplizio. I quattro cavalli che devono smembrarlo non ce la fanno. Interviene un' chirurgo che in mancanza di bisturi suggerisce al giovane e inesperto boia, il figlio di 17 anni del famoso Samson, di tagliare i fasci dei legamenti dì braccia e gambe del Damìens con una scure prestata da un macellaio. Così avviene, ma il condannato è sempre vivo e vigile, pur nello strazio supremo. Ora, frustati a sangue, i cavalli: strappano uno dopo l'altro gli arti, mentre il Damiens orribilmente guarda. È ridotto ad un tronco e - osservano le dame "muove gli occhi a lungo prima di spirare". Le trieoteuses, donne del popolo che continuano a sferruzzare a maglia, di tanto in tanto alzano l'occhio per non perdere i dettagli più interessanti. Davvero una bella cerimonia e un lavoro pulito, commentando da esperte.

Non come il supplizio della "sega" in cui, capovolto la vittima nuda e a gambe aperte, poggiando la grossa sega nell'incavo naturale dell'ano, ì due boia la tranciano tra urla inumane, fiotti di sangue e schizzi di materia fecale tutto intorno.


Pene "barbariche"? Macché.



Sembra che i barbari non le praticassero. Gli orientali sì, eccome. Altro che nonviolenza. Solo che in Giappone la sega segava di meno, perché era di bambù, e ci voleva tempo perché il collo del condannato fosse tagliato a puntino (supplizio del nogo jiribiki). Così fino a soli 100 anni fa. Anzi avevano inventato il self-service: chiunque dei passanti può ' effettuare l'operazione. La testa della vittima è bloccata da una gogna, la sega insanguinata è lì accanto.

Il gesuita padre Bartoli riferisce che dopo l'editto anti-cristiano del dittatore Toyotomi Hideyoshi (1587) un cortigiano convertito è sotterrato fino alle spalle ed ha il collo lentamente segato per tre giorni. La crocifissione a gambe divaricate, con collare e manette di ferro, è prevista dal Codice penale giapponese durante la dinastia Tokugawa (1603-1667). La bollitura in olio bollente o acqua bollente è comminata agli ufficiali superiori e al loro capo, il tartaro Targutai, dopo la sconfitta in battaglia del loro esercito (30 mila uomini) da parte dei 13 mila di Gengis Kahn. Il più famoso brigante giapponese, popolare come Robin Hood, Ishikawà-Goemon, è condannato con suo figlio a morire in una caldaia di acqua e olio bollente (Kioto, 1594). Ed anche in Europa non si scherza, al riguardo.

Quando il veggente ebreo Braham, poco psicologo, rivela alla contessa di Seasorth (Scozia) che suo marito Lord McCenzie ha un'amante a Parigi, la dama lo fa morire nella pece bollente. Molto cinese il supplizio ideato dall'imperatore di Cina Hung-Wu, fondatore della dinastia Ming: ordina di tagliuzzare il colpevole con ben 3550 colpi di coltello, fino al lento ma totale dissanguamento. Ma c'è di peggio, almeno per l'olfatto. Escrementi umani e di animali, sozzure maleodoranti d'ogni tipo, in Giappone sono utilizzati saggiamente nella tortura dal `500 a tutta l'epoca Edo, che si conclude verso la fine dell'Ottocento. Nella tortura ana-tsurushi, sospesi a testa in giù in una fossa, per giorni e giorni, i malcapitati lambiscono con la testa e le labbra le lordure più ributtanti, ma anche acqua gelida o bollente. II gesuita portoghese C. Ferreira non resiste ed abiura la fede. Nel supplizio della fossa si viene sotterrati a testa in giù nella terra o nei liquami.


Ma gli orientali non hanno nulla da insegnarci



Tra le pene previste dalle ordinanze penali dell'imperatore Carlo V ("Carolina Lex"), nel 1532, figura anche la sepoltura del condannato vivo, l'impalamento, l'annegamento e la spinta dall'alto di una rupe o d'un edificio. Ma così numerosi erano torture e supplizi, che il poveretto giungeva a metà del decathlon di tormenti già bello e morto, come accade nell'Ottocento all'avvelenatrice palermitana Tofania D'Adamo. Anche il rogo viene perfezionato" da Federico II, che lo rende più doloroso. Come? Servendosi di casse di legno foderate di piombo, metallo che fonde rapidamente sul malcapitato, bruciandolo ancor prima che sia raggiunto dalle stesse fiamme. E proprio nella civile Europa, in un passato non ancora dimenticato, le torture e i supplizi sono stati applicati in modo sistematico e con feroce fanatismo. Papa Innocenzo IV legittima la tortura, con la bolla Ad extirpanda, già nel 1252. Quattro anni dopo è Alessandro IV ad autorizzare gli inquisitori ecclesiastici a praticarla in prima persona. Così, dal Medio Evo in poi, specialmente con la Controriforma, i domenicani e i cattolici più esaltati per mezzo dei Tribunali della Santa inquisizione escogitano e mettono in ' pratica, in Spagna ed anche in Italia, Francia e altrove, le più sadiche torture ai danni di presunte"streghe" e supposti "ereticí".





















 
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view post Posted on 19/3/2011, 15:45     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Decapitazione con la scure



Come spiega Eva Cantarella nel suo "I supplizi capitali in Grecia e a Roma" il rito della decapitazione con la scure "veniva eseguito dinanzi al maggior numero possibile di persone, convocate a questo scopo da un araldo, al suono di tromba. La decapitazione era uno spettacolo pubblico cui si faceva luogo dopo che il condannato era già stato sottoposto a un altro rituale la cosiddetta passeggiata ignominiosa. Con le mani piegate dietro al dorso e la schiena curva sotto il peso della furca il reo veniva fustigato e pungolato dagli aiutanti del magistrato, insultato dalla folla e da questa, non di rado, preso a sassate. Giunto sul luogo dell'esecuzione allo stremo delle forze non gli restava che attendere la fine. E la fine, nella sua sanguinaria crudeltà, sopraggiungeva assai rapidamente. Mentre le trombe suonavano, dopo che il magistrato aveva pronunziato le 'parole di legge', la scure colpiva brutalmente il collo del condannato. La testa rotolava sanguinante al suolo e Tito Livio asserisce che la terribile visione aveva un formidabile effetto deterrente sugli spettatori: per tutti essa era ammaestramento a evitare nel futuro comportamenti analoghi a quello punito (.)" Ma in realtà aggiunge la Cantarella il vero scopo di questa esecuzione rituale altro non era se non "dimostrare l'autorità incontrastata di chi l'infliggeva" e secondo alcuni, tra cui il Mommsen, anche quella di "offrire il colpevole agli dei come vittima sacrificale". D'altra parte anche la scure (securis), la cui lama era affiancata da alcune verghe di olmo o di betulla (virgae), le stesse adoperate per flagellare il condannato prima dell'esecuzione e tenute insieme da una cinghia rossa che rappresentava il potere della magistratura - era "un simbolo e strumento di potere, e più precisamente dell'imperium".

Sacrifici umani aztechi



Presso gli Aztechi la spettacolarizzazione della tortura assume una funzione prettamente religiosa e quindi strettamente legata alla dimensione mitopoietica.
"Il metodo più importante che permetteva all'uomo d'influenzare gli dei non era la preghiera; l'uomo doveva nutrire gli dei, soprattutto il Sole" spiega il Katz nel suo "Le civiltà dell'America precolombiana" e continua "Senza tale nutrimento il Sole non avrebbe potuto esistere, la sua luce si sarebbe spenta e il mondo sarebbe stato annientato". Tale missione sacra per gli Aztechi venne esposta chiaramente dalla Donna Serpente Tlacaellel, luogotenente del Sommo Oratore "Sacrificate questi figli al Sole. Si deve cercare un mercato conveniente e, come gli uomini vanno al mercato per trovare le tortillas calde, il nostro dio verrà al mercato con il suo esercito ad acquistare le vittime sacrificali ed esseri umani, che potrà mangiare" Questa pratica rituale tanto importante era legittimata dal mito delle origini, quando gli dei, dopo l'avvento del Quinto Sole (secondo gli Aztechi il mondo era stato creato cinque volte e distrutto quattro, ogni epoca era chiamata "Sole") si erano dovuti sacrificare gettandosi nel fuoco, così gli uomini erano tenuti a seguire il loro esempio.

"Vennero suonati il cupo tamburo di Huichilobos e molte altre buccine e corni e strumenti come trombe, e il frastuono era terrificante. Tutti noi guardammo in direzione della grande Piramide, da dove giungeva il suono e vedemmo che i nostri compagni catturati quando era stato sconfitto Cortés, venivano portati a forza su per i gradini per essere sacrificati. Quando li ebbero portati sulla piccola piazza, davanti al santuario dove sono custoditi i loro maledetti idoli, vedemmo che ponevano piume sulle teste di molti di loro, e ventagli nelle loro mani; e li costrinsero a danzare davanti a Hiuchilobos, e dopo che ebbero danzato, immediatamente li stesero riversi su pietre piuttosto strette preparate per il sacrificio, e con coltelli di pietra squarciarono loro il petto ed estrassero i cuori palpitanti e li offrirono agli idoli che stavano là. Quindi a calci gettarono i corpi giù per la gradinata e i macellai indios che li attendevano là sotto tagliarono le braccia e i piedi e scuoiarono la pelle dei volti e quindi la prepararono come fosse pelle da guanti, con le barbe, e la conservarono per le loro feste.Allo stesso modo sacrificarono tutti gli altri e mangiarono le gambe e le braccia e offrirono agli idoli i cuori e il sangue" a riportare inorridito la vicenda è Bernal Diaz del Castillo, uno dei conquistadores del Messico, che durante l'assedio di Tenochtitlan fu costretto ad assistere impotente alla morte dei compagni. Ma se è vero che i corpi delle vittime venivano mangiate, non si trattava tuttavia di puro cannibalismo. Anche in questo caso, infatti, la natura della cerimonia era rituale, "era un pasto rituale" - osserva il Katz - "una sanguinosa comunione con gli dei".

Le torture dell'Inquisizione



"La stagione dei grandi massacri non è il Medioevo. Comicia ora, verso la fine del XV secolo, mentre Cristoforo Colombo scopre l'America" scrive Frescaroli e, mentre i conquistadores inorridivano davanti ai sacrifici umani degli Aztechi, portando avanti la propria crociata, dall'altra parte dell'oceano, in Europa, gli uomini di Chiesa praticavano le più atroci torture in nome di Dio. Se nel 1484 era stata scritta la famosa bolla papale "Summis desiderantes affectibus" a proposito delle streghe, le amanti del maligno, il sentimento di odio e di terrore irrazionale già da tempo aveva preso piede. Tortura dell'acqua, stivaletto, strappata, veglia e ovviamente rogo erano solo alcuni dei supplizi che la mente sadica degli inquisitori aveva partorito.
Ecco dunque una storia di stregoneria, una vittima e il solito rituale pubblico. L'accusata: una povera donna del popolo, Anne Eve.

"Nell'estate del 1658, a Wehlitz, un villaggio a 5 km da Gommern, presso Magdeburgo, avvenne un fatto insignificante. Una donna, Anne Eve, stende la biancheria a stendere in giardino ad asciugare al sole. Quando va per ritirarla, due bambine l'avevano sporcata e in un momento di stizza la donna impreca 'Rospi del diavolo'" Il caso vuole che una delle due bambine muore accidentalmente e Anna Eve viene accusata di satanismo. Processo, tortura. Era il 9 ottobre 1660 quando la poveretta è trascinata davanti al tribunale. Il giudice le fa quattro domane. Alla prima "Siete una strega?" il carnefice le stritola i pollici. L'inquisita risponde che neppure sa cosa significhi "strega". Alla seconda domanda, "Avete fatto del male?", il boia le applica le cosiddette scarpe spagnole. Alla terza domanda "Avete conosciuto i dragoni del diavolo?", le viene inflitta la strappata (rottura delle ossa). Infine all'ultima domanda "Dite tutto ciò che sapete, tutto ciò che avete fatto", di nuovo le vengono infilati i piedi nelle scarpe spagnole. Ma Anne Eve non confessa, non sa cosa deve confessare, di cosa è accusata. Il fatto inoltre che la donna non abbia versato neppure una lacrima è segnale ch'essa è demoniaca, perché insensibile al dolore, al punto che si è addormentata due volte durante il processo - viene fatto notare dai giudici - (in realtà era svenuta). "La furia tormentatoria si abbatte ancora su di lei. E' irrigata, sfregiata, affumicata con zolfo bollente. La si sottopone a una violentissima strappata, le si spezzano le ossa a martellate, le si fa trangugiare ancora del liquido e le si brucia ancora con lo zolfo sotto il mento, le ascelle e nelle parti intime. D'un tratto una calma profonda, paurosa (.) La bocca si contorce, il viso diventa livido. Carnefici e giudici temono che la preda sfugga e nell'estremo tentativo di sottrarla alla morte le fanno odorare dell'aceto. Ma Anne Eve è morta. Sono le otto del mattino del giorno 11 novembre 1660. Le 'operazioni' erano cominciate all'alba, alle quattro"

Squartamento per lesa maestà:



Cosa s'intende quindi per ordine costituito? E' la società che si difende o comunque si sente legittimata a difendersi contro ogni minaccia reale o immaginaria che in qualche modo metta in discussione uno stile di vita comune, con le sue regole, le sue credenze, la sua morale religiosa, le sue abitudini. A garanzia di questo ordine, al di sopra di tutto, siede il re, il capo tribù, l'imperatore, il pater familias (nel microcosmo familiare), ossia colui che incarna il Potere. Potere cui viene conferita spesso una natura sovra-umana, sacra, divina. Potere che in nessuna maniera e per nessuna ragione deve essere messo in discussione, pena l'annientamento dell'intera comunità.
Attentare direttamente alla persona del re in una monarchia significa quindi commettere una colpa che va ben oltre il gesto in sé. E' una minaccia all'intera società.

"Cinque gennaio 1757, Robert François Damiens procurò una ferita al costato del re Luigi XV con un temperino. Le ragioni non si vennero mai a sapere. Immediatamente immobilizzato dalle guardie, cominciò per lui un lungo e tormentato calvario. Fu sottoposto innanzitutto alla tortura dello stivaletto, strumento che serviva a fratturare le caviglie. Si faceva infilare il piede del condannato nello stivale di ferro e negli spazi liberi s'incuneavano a martellate zeppe roventi. Non contenti i carnefici gli strapparono la carne dalle gambe con ferri infuocati, poi lo gettarono in una cella strettissima quasi priva di ossigeno. Il 26 marzo 1757, legato come una bestia in un sacco di cuoio, fu gettato ai piedi dei giudici. Riconosciuto colpevole di lesa maestà fu condannato a essere portato sulla piazza de Greve e qui a essere 'attenagliato' al petto, braccia, cosce e polpacci. Sulle parti 'attenagliate' fu gettato olio bollente, pece resinosa, cera e zolfo fusi. La sua mano destra fu costretta a prendere un coltello e poi bruciata con 'fuoco di zolfo'. Infine il corpo 'tirato e smembrato da quattro cavalli' e le sue membra 'consumate al , ridotte in cenere e gettate al vento'. La macabra esecuzione avvenne davanti a una folla delirante ed eccitata. Sembra che il poveretto non si decidesse a morire e che per ben tre volte i cavalli caddero perché le sue membra non si lasciavano staccare. Un uomo nella folla, un medico forse, gridò 'Datemi un coltello, occorre amputare i fasci di nervi degli arti. Dobbiamo facilitare il lavoro a quelle povere bestie'. E così fece. Quando i cavalli si misero in moto, una coscia si staccò per prima, poi l'altra, poi un braccio. Damiens respirava ancora. Finalmente nel momento in cui i cavalli s'irrigidirono trattenuti da un solo arto che restava, le sue palpebre si sollevarono, i suoi occhi si volsero al cielo e quel tronco trovò la morte."



Tortura indiana



Tra tutti i riti di iniziazione praticati dai selvaggi, quelli degli Indiani nordamericani sono però forse i più terrificanti, consistendo in torture atroci e diaboliche. Le procedure variavano da tribù a tribù, ma sembra che quella dei Mandan fosse la più spietata e sanguinaria. Prima di essere sottoposto alla prova, il giovane doveva digiunare. Il procedimento, dice Catlin, era il seguente:
“L'iniziando, col petto rivolto verso l'alto, si disponeva sulle mani e sui piedi. Un uomo, che serrava un coltello nella mano destra, afferrava un pollice o più di carne da ciascuna spalla o da ciascun seno e la sollevava con due dita, al di sotto delle quali infilava la sua lama, affilata da entrambi i lati, nonché intaccata o dentellata con un'altra per provocare il maggior dolore possibile. Una volta estratta, un altro uomo, che teneva stecche e spiedi nella mano sinistra, era pronto a infilarli nella ferita. Si facevano quindi scendere due corde dalla sommità della capanna (tenute da due uomini appositamente posti fuori dalla stessa) e dopo averle assicurate a quei dolorosi appigli, si cominciava a sollevare il corpo dell'iniziando; durante l'elevazione, erano introdotti altri spiedi nella carne o nei tegumenti di ciascun braccio, sotto la spalla, ma anche sotto il gomito e le ginocchia. Si completava infine il sollevamento fino alla sospensione dell'intero corpo e, mentre il sangue colava per le membra, gli astanti, sempre a quegli spiedi, appendevano anche il proprio scudo, il proprio arco, la faretra, ecc.” (G.Catlin, Letters and notes on the manners, customs and conditions of the North American Indians, 1841, p.170)
Come se non bastasse, la vittima veniva gradualmente e ulteriormente sollevata, cosicché, non solo il peso del suo corpo, ma anche quello dei vari oggetti attaccati alle sue membra, gravassero sui punti a cui erano ancorate le corde. Era tale la sollecitazione della carne, nei punti nei quali erano inseriti gli spiedi, che, rispetto al tessuto circostante, si allungava per sei o otto pollici di altezza. E così, questi uomini, in uno stato di agonia che al solo pensiero fa rabbrividire, se ne stavano appesi per aria, ricoperti del loro stesso sangue coagulato, soffocando il benché minimo gemito, nello sforzo di superare questa suprema prova di resistenza e coraggio. «Facevano spavento e orrore alla vista», dice Catlin. In aggiunta, solo quando le autorità si fossero ritenute soddisfatte, avrebbero ordinato di riportare a terra i corpi, dove avrebbero giaciuto apparentemente senza vita, per riaversi solo dopo molto tempo.
Si potrebbe pensare che un simile supplizio possa soddisfare i più esigenti fautori della disciplina. E invece no, le sofferenze dell'iniziato non si sono esaurite qui. È esistita infatti un'altra prova di sopportazione, che è nota come "l'ultima corsa", ossia, nella lingua della tribù che l'ha praticata, Eh-ke-nah-ka-nah-pick. Ogni giovane veniva affidato a due atletici guerrieri più anziani di lui. Una di queste guardie, se così possiamo chiamarle, stava a destra dell'iniziando, mentre l'altra alla sua sinistra, ma entrambe gli tenevano stretta l'estremità libera delle cinghie di cuoio che gli avvolgevano i polsi. In vari punti aveva appesi alla carne, per mezzo di spiedi, pesi diversi. Ad un segnale stabilito le due guardie si mettevano a correre in tondo attorno al giovane in loro custodia, trascinandolo. Gli iniziandi, erano trascinati in tondo, l'uno dietro l'altro, dalle rispettive scorte, mentre i pesi gravavano sulle loro carni, che si laceravano in orribili brandelli insanguinati. La prova continuava finché la vittima, per la stanchezza e per il sangue perduto, sveniva.
 
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