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L'assurda storia di Christine e Lea Papin, Le Sorelle Assassine

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view post Posted on 7/8/2011, 16:23     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Le Mans - Il 2 Febbraio 1933, viene sconvolta da un crimine efferato, assolutamente senza precedenti, un delitto violento, sanguinoso, esasperato.

Una scena del crimine che si presentò agli occhi degli inquirenti come qualcosa di agghiacciante, capace di riportare alla mente gli orrori di Rue de La Morgue, il celebre racconto di Edgar Allan Poe.

Ma dietro questo fatto di cronaca spaventoso, che per giorni riempì le pagine dei giornali, ci fu una storia ancora più dura, che vale la pena di conoscere.

Christine e Leà Papin, nacquero in un’oscura e disagiata famiglia di Angers nei primi anni del 1900. Avevano sei anni di differenza, Christine era del 1903 e sua sorella Leà del 1909, ma sembravano due gemelle, simili fisicamente e molto vicine affettivamente, legatissime, dipendendo praticamente una dall’altra.

Il padre era un alcoolizzato cronico che abusò addirittura della sua terza figlia, Emilie, costretta a riparare in convento.

Dopo questo fatto i genitori delle ragazze divorziarono, e la madre Clemence, in mancanza di altre risorse fu costretta a ricoverare le figlie in un orfanotrofio.

Questa dura infanzia plasmò il carattere delle ragazze Papin in maniera indelebile.

Christine crebbe con un carattere ombroso, difficile, schiva e apparentemente sottomessa, sua sorella Leà, dipendente da lei emotivamente per ogni minima cosa, timida, scontrosa, completamente succube di sua sorella, pronta a seguirla anche in capo al mondo purché non le si domandasse mai di decidere in proprio o di assumere iniziative.

Per Leà, sua sorella Christine era uno scudo contro il mondo, sapeva di non avere le forze per affrontare la realtà, e cercò di rimediare vivendo praticamente nella sua ombra, perché in questo modo si sentì più sicura.

Così quando l’orfanotrofio finalmente riuscì a piazzarle dovette proporle entrambe perché Christine non avrebbe mai accettato mai di separarsi da Leà e Leà non poteva sopravvivere sola.

Vennero mandate dunque, assieme, a servizio presso la famiglia Lancelin, a Le Mans, nel 1926.

Rispettivamente, avevano 23 e 17 anni.

In Rue Labruyère numero 6, la famiglia che ospitò le due giovani come domestiche era composta da padre, madre e una figlia.

Il capofamiglia, Renè Lancelin, di professione avvocato, era un uomo pacato e schivo. Rigido e stimato professionista, ma di animo pantofolaio, lasciava che in casa i pantaloni li portasse sua moglie. Non voleva sapere nulla dell’organizzazione domestica, gli bastava avere i suoi spazi e che le sue routine venissero rispettate.

Disposto a portare a casa i soldi, era pronto a delegare ogni cosa a sua moglie, a patto di non essere disturbato con banali quisquilie e irritanti seccature.

Madame Lancelin, ovviamente, non chiedeva di meglio.

Esigente e formalista, rigida e ossessiva, maniaca e perfezionista, non fu una padrona facile per le due cameriere, ancora giovani e inesperte, totalmente ignare della gestione domestica e del normale andamento di una casa; sembrarono completamente inadeguate al compito loro affidato, eppure Madame Lancelin non le congedò, preferisce forgiarle, anche se a modo suo.

Furono anni di rimproveri e minacce, dure reprimende, castighi, insulti e punizioni.

Geneviève Lancelin seguì come un’ombra la madre, imparò, assimilò e replicò. Dopo gli appunti di Madame ci furono gli ammonimenti di Geneviève, una reiterazione in tono minore delle amare reprimende materne.

Per le due ragazze Papin i tormenti si amplificarono, furono anni infernali.

Niente di quel che facevano andò mai bene, furono descritte come sciatte, svogliate, stupide e inadeguate.

Le due sorelle Papin, già provenienti da un infanzia difficile e dalla lunga permanenza in un orfanotrofio, non sapevano a che santo votarsi, volevano fuggire ma non sapendo dove andare in quanto sole al mondo, non conoscevano nessuno e non furono in grado di reagire, o di adattarsi, subirono passivamente, ma intanto immagazzinarono odio e rancore.

Ogni giorno di più, per sette lunghi, lunghissimi, interminabili anni. Uno stillicidio continuo capace alla fine di intaccare il loro già fragile equilibrio mentale.

Vissero nel terrore, bastava un’occhiata, un rimprovero, una frase sibilata a mezza bocca per farle tremare, furono succubi e vittime di una padrona severa, ostile, incontentabile e della sua tirannica figlia.

Certo all’epoca si trattava di un cliché. La servitù era mal pagata, alloggiata in soffitta, scarsamente nutrita, ogni permesso, concessione o deroga veniva fatta pesare come un privilegio, non vi furono sindacati od opere pie a difendere le sorelle Papin.

E per contro forse Madame Lancelin ci godeva un po’ troppo a tenere quelle povere ragazze in suo potere, infierendo magari più del dovuto quando, anche troppo spesso, le coglieva impreparate o incompetenti.

Il tutto naturalmente aggravato dall’erede di famiglia, Geneviève, che scimmiottava a ogni piè sospinto la madre e infieriva, se possibile, oltre ogni limite umano consentito.

La tensione però tramava nell'ombra ed era destinata a sfociare presto in una tragedia.

Un giorno mentre le domestiche erano sole in casa, un vecchio ferro da stiro difettoso, fece saltare l’impianto elettrico in corto circuito.

Leà, che stava stirando la camicetta preferita di Geneviève fu completamente sconvolta, tremò dalla paura, l’indumento era rovinato, non c’èra rimedio possibile.

Christine tentò di consolarla come potè, ma in fondo al suo cuore sapeva bene che la punizione sarebbe stata terribile.

Le due ragazze, avevano segnalato tante volte che il ferro era difettoso, altri abiti erano rimasti danneggiati in passato durante la stiratura, ma la padrona aveva sempre inteso gli incidenti come incompetenza e incapacità, o misere scuse addotte per motivare i loro sbagli continui.

E a quell’epoca i rapporti tra la classe padronale e i servitori non erano molto idilliaci, la ragione stava sempre da una parte sola, da quella dei signori.

Mai nessuno avrebbe dato ascolto a una cameriera, che pure aveva potuto subire un torto, tanto è vero che le ragazze della servitù che rimanevano incinte di mariti e rampolli troppo focosi delle famiglie che le ospitavano, venivano poi messe alla porta senza tanti complimenti, prive di referenze e di ogni possibile mezzo di sostentamento.

Erano tempi duri, in cui non ci si faceva molto scrupolo nel rispetto dei diritti umani, soprattutto nei confronti dei sottoposti e di ceti inferiori, e questo Christine, per quanto vissuta isolata, lo sapeva assai bene.

Così le due ragazze lasciarono tutto com’era e si rifugiarono nell’unico posto dove si sentivano al sicuro, nella misera soffitta dotata di un minuscolo abbaino dove abitavano.

Poi si spogliarono, si misero a letto assieme, ed aspettarono avvinte il ritorno della loro padrona, non sapendo ancora cosa avrebbe potuto loro accadere, ma erano terrorizzate.

Furono ore di tensione in cui con i sensi allertati e i nervi tesi allo spasimo rimasero in attesa dell’inevitabile.

Cosa maturò nella loro mente in quel momento, è difficile saperlo, ma di certo cercarono di farsi coraggio nel buio, ascoltando ogni rumore, ogni scricchiolio, con struggenti carezze e sussurri sottili.

Presto le donne della famiglia rincasarono, trovano la casa al buio, odore di bruciato, la camicetta rovinata, naturalmente corsero al piano superiore lungo la scala traballante urlando rimproveri, entrambe, una a voce più alta dell’altra, in un crescendo ossessivo.

Ma il peggio avvenne quando Christine e Leà si affacciarono alla porta della soffitta scarmigliate e discinte.

Fu uno scandalo. Due ragazze sole, seminude, a letto, di giorno, assieme. Non si può nemmeno immaginare cosa le due Lancelin possano aver detto alle ragazze inermi e indifese. Minacce, insulti, aggressioni verbali.

Eppure sarebbero rimaste vive se in extremis, nel corso della discesa, Madame Lancelin non avesse cambiato idea e non fosse risalita fino a mezza scala, per reiterare ancora un’ultima reprimenda.

Quest’ultimo gesto le costerà la vita, e anche a sua figlia Geneviève.

Se solo le Lancelin avessero visto quella scintilla di furore negli occhi di Christine, se avessero compreso di essersi spinte oltre il limite, se solo si fossero fermate, appena un attimo, a considerare quelle due ragazze per quello che erano, due esseri umani, due fanciulle sole, fragili e spaventate.

Ma la storia doveva andare diversamente.

In Christine, che aveva sopportato per tanto tempo, scattò una molla fatale. Quell’ultimo gesto di Madame Lancelin le fece perdere definitivamente il sottilissimo filo che ormai la legava alla realtà.

Quando si avventò su di lei fu come una furia, con la sola forza dei pollici, a mani nude, le cavò entrambi gli occhi dalle orbite e mentre Madame Lancelin si accasciò sui gradini, Leà, come in trance, ripetè gli stessi gesti che vide fare a Christine sulla giovane Lancelin, che rimase attonita e non ebbe nemmeno il tempo di reagire.

Le finirono a colpi di martello, infierirono sui loro cadaveri con oggetti contundenti di vario genere, con un sotto vaso di bronzo, con un coltello, con tutto quello che capitò loro tra le mani.

Non fu mai chiaro se fu atto premeditato o un raptus improvviso di follia, anche se il pubblico ministero si chiese come mai un martello e un coltello fossero così tanto opportunamente a portata di mano.

Ma la cosa non ebbe poi molta importanza perché l’opinione pubblica, anche prima del processo, era tutta contro di loro.

Dopo gli omicidi le ragazze tornarono a letto, nude, lasciando le camicie da notte insanguinate sulle scale. Fu questa la scena che trovò l’Avvocato Lanceline, il padrone di casa, quando la sera fece ritorno.

Quella la scena che videro gli inquirenti, i magistrati, gli investigatori e i poliziotti, quella la scena che tutti rivissero attraverso i giornali.

La mano del servo che si levò contro il padrone, una cosa inaudita, aggiunta a tanta ferocia nell’esecuzione del crimine, questa fatalità costò alle sorelle Papin una condanna piena.

Anzi, la pubblica opinione, a gran voce, avrebbe voluto vedere applicata la pena di morte, per entrambe, ma i giudici furono magnanimi, non vollero utilizzare uno strumento così antiquato in un’epoca tanto moralmente avanzata.

In Francia non veniva emessa una sentenza di morte dal 1887, e nel 1933, quando iniziò il processo, nessuno se la sentì di ripristinare un uso ormai decaduto.

Così la pena di morte, abolita poi da Mitterand nel 1982, venne loro risparmiata e le due sorelle furono condannate alla sola pena detentiva.

Christine, nominalmente condannata a morte e poi subito graziata, ricevette un commutazione della pena capitale convertita ai lavori forzati a vita, Leà, che per tutto il processo rimase catatonica, senza alcun tipo di reazione, seguendo sempre le affermazioni e le gestualità della sorella come un automa, fu condannata a soli dieci anni.

Christine, che era sempre stata la più forte, dovette soccombere presto, la mente ormai fortemente provata, iniziò a dare in escandescenze, pretendendo di avere la compagnia della sorella, tentando di strapparsi gli occhi con le unghie, alla fine si lasciò morire di fame.

Leà scontò la sua pena senza obiezioni, non reagì, si potrebbe dire che non diede praticamente segni di vita, rimase dove le dissero di stare, fece quel che le dissero di fare, in questo modo, passivamente, sopravvisse, e al termine della condanna tornò a vivere presso la madre e a fare la domestica.

Sulle sorelle Papin sono stati versati fiumi d’inchiostro, scritti valanghe di libri, stesi dozzine di trattati psicologici, realizzati film, radiodrammi e commedie.

Di loro si è detto tutto e il contrario di tutto, sono state fatte passare per lesbiche, omosessuali, deviate, amorali, si è tentato di classificare il loro caso come un simbolo della lotta di classe, si è parlato delle umili cameriere angariate e pressate dal padrone che alla fine, insensatamente si ribellano.

La verità è che erano due ragazze sfortunate, sole, in balia di un mondo le cui regole non capivano e che non erano in grado di accettare, scagliate in una realtà che non sapevano e non potevano gestire, completamente inadatte alla sopravvivenza, destinate a soccombere presto in balia di eventi troppo più grandi di loro.

Avrebbero dovuto chinare il capo, arrendersi, rinunciare, invece, inaspettatamente, contro ogni legge della selezione naturale, due creature votate all’estinzione e alla morte, sono sopravvissute, disperatamente, aggrappandosi con le unghie e con i denti alla loro unica possibilità di salvezza, la ribellione estrema, e per far questo sono passate alla storia come Christine e Leà Papin, le Sorelle Assassine.

Edited by Demon Quaid - 27/4/2022, 20:35
 
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arianna 72
view post Posted on 30/9/2012, 16:51     +1   -1




scusa,ma ,hanno fatto bene..il problema è sorto dopo ,nnn hanno saputo gestire le loro responsabilità..meglio morire che vivere cio che hanno vissuto loro..io sono così...
 
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1 replies since 7/8/2011, 16:23   1234 views
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