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I celti, Storia e tradizioni

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view post Posted on 30/12/2008, 10:58     +1   -1
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Il diavolo è sicuramente donna.

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MITI CELTICI

BREVE STORIA DEI CELTI

In tempi antichi, i Celti popolavano il nord dell'Europa. Le loro origini sono oscure, ma probabilmente, giunsero in Europa dall'Asia centrale nell'età del ferro, circa 5000 anni fa. . Già conosciuti dai Greci, che li chiamavano Kheltoi, successivamente, divennero i Galli per i Romani (dal termine Galati, cioè "bianchi", per via della loro pelle chiara), col quale venivano chiamati nell'Europa dell'est nell'Ellenismo.

Essi si insediarono tra l'attuale Francia e Germania. Successivamente si spostarono a ovest, giungendo anche in Gran Bretagna e nella Penisola Iberica, dove acquistarono il nome di Celtiberi. Erano un popolo di guerrieri liberi, diviso in tribù a loro volta divise in clan o genti, che facevano capo a un re. Solo al contatto con i Romani, conobbero anch'essi la schiavitù.

Giulio Cesare ci parla di questi popoli germanici nel suo "De Bellum Gallicum" (metà del I secolo a.C.), una sorta di diario in cui racconta il contatto coi Celti della Germania di allora e la sconfitta del loro capo Vercingetorige, che aveva tentato fino all'ultimo di aggregare intorno a sé le sparse tribù galliche. Anche in nord Italia si è riscontrata la presenza di tribù celtiche, già dal VIII secolo a.C. (cultura di Golasecca).

Nel III secolo a.C. i Romani conquistarono definitivamente in nord Italia, sconfiggendo i Celti, costretti ad emigrare a nord o a diventare schiavi. I culti e i miti celtici, successivamente, si fusero con le altre religioni dell'Impero. Ciò portò alla scomparsa, da lì a breve, dei Druidi, i sacerdoti celtici, a cui la tradizione attribuisce la costruzione del complesso megalitico di Stonehenge, in Inghilterra.

Non sappiamo molto della loro cultura e dei loro usi e costumi, perché prevalentemente venivano trasmessi oralmente, da padre in figlio. Non possediamo forme scritte nel vero senso della parola, se non grandi e piccoli complessi megalitici, come a Carnac in Francia e Stonehenge, e altri isolati menhir, cui significato è ancora oscuro.

Si pensa che questi blocchi di pietra, tra l'altro molto pesanti, potessero essere serviti ai Druidi come osservatori astronomici, grandi orologi solari, oppure come catalizzatori di energie telluriche cui uso si è andato perdendo nei secoli. Al tempo, molto più che nel nostro presente, era molto più importante l'osservazione degli astri, che i saggi collegavano al ciclo delle stagioni, utile per l'agricoltura, fonte primaria, insieme all'allevamento, per la sopravvivenza di quei popoli.

I Celti usavano predire eventi futuri tramite divinazione, osservazione di segni naturali, che interpretati correttamente, potevano fornire importanti indicazioni per vivere correttamente. Il loro sistema di scrittura, trovato impresso su molti monoliti, era costituito da Rune, usate anche per predire il futuro. La caduta dei Celti fu dovuta soprattutto per via della loro mancanza di unità (un po' come accadde anche più tardi per i Longobardi). Ma i loro culti, le loro pratiche religiose, la loro mitologia, sopravvisse fino ai giorni nostri, passando attraverso i secoli bui del Medioevo e la più recente e meravigliosa età moderna.

DIVINITÀ CELTICHE

Divinità più importanti:

Arawn Artio Coventina Dagda
Arianrhod Cernunnos Epona Brigit

Arawn

Re dell'Annwn (l'oltretomba) e guardiano dei luoghi pericolosi. Pregando questo Dio un mortale potrebbe avere accesso alla saggezza delle anime degli antenati assimilate da Arawn.

Nel primo ramo del Mabinogion egli è accompagnato da una muta di cani bianchi dalle orecchie rosse detti Cwn annwn (i cani dell'oltretomba). Narra la leggenda di Arawn e Pwyll che i due si scontrano durante una battuta di caccia durante la quale Pwyll, principe del Dyfed, sottrae una preda ai cani di Arawn. Il dio profondamente offeso offre a Pwyll una via di scampo: i due dovranno scambiarsi le sembianze e regnare sui rispettivi regni per un anno, alla fine di questo periodo Pwyll dovrà uccidere con un solo colpo Hafgan, un dio-re che insidia il trono di Arawn. Pwyll riesce nell'intento e tra lui ed Arawn si instaura un rapporto di profonda amicizia.

Arawn è anche signore dell'inganno e del doppio gioco e fa di tutto per accaparrarsi le anime dei mortali. Meschino, crudele, affascinante, non ha un aspetto vero e proprio, ma si presenta sotto molteplici forme e aspetti.

Egli può dare consiglio a chi lo prega, rivelando a lui il passato e il futuro, i pensieri più segreti dei vivi e dei morti, ma spesso questi consigli sono raggiri, frasi sibilline o vere e proprie armi a doppio taglio, finalizzate sempre al raggiungimento da parte di Arawn del suo unico e solo obiettivo: altre anime di cui cibarsi.

Arawn si diverte inoltre ad avvicinare fanciulle mortali, mostrandosi loro con le sembianze del loro amato, o di un uomo bellissimo, corteggiandole per poi depositare nel loro grembo un figlio dannato, dal destino segnato e legato ad Arawn per l'eternità.

Egli dimora di preferenza nella parte più buia dell'Annwn, dove gode nell'ascoltare i gemiti e i lamenti delle anime che vi vagano senza pace.

Arianrhod

Arianrhod ("la ruota d'argento", ovvero la Luna) è una delle discendenti di Don. Sorella di Gwydion (consigliere di Math ap Mathonwy) e madre di Dylan e Llew Llaw Giffes.

Arianrhod presiede all'aurora, alle fasi lunari e quindi per associazione a tutte le questioni femminili, alle nascite, ai matrimoni, alla fertilità ed ai riti lunari. E' una Dea dalla connotazione fortemente sessuale ed i riti a lei dedicati comprendono accoppiamenti ed orge. La sua dimora è Caer Arianrhod, ovvero l'aurora boreale.

Nel quarto ramo del Mabinogion si narra che il Dio Math ap Mathonwy (Math figlio di Mathonwy) aveva il bisogno di posare i piedi sul ventre di una vergine per calmarsi. Quando la vergine Goewin che era preposta a questo compito fu stuprata durante una battaglia Arianrhod venne scelta per sostituirla. Per provare la sua verginità ella dovette camminare sul bastone magico di Math. Appena compiuta la prova Arianrhod dette alla luce due figli. Uno venne chiamato Dylan, l'altro ebbe dalla madre tre Geis (veti): egli non doveva aver un nome, non poteva sposare una donna mortale nè portare armi che non gli fossero state donate dalla madre. Gwydion convinse con l'inganno Arianrhod a chiamare questo ragazzo Llew Llaw Giffes ("lo splendente dall'abile mano").

Artio

Dea della caccia e dell'abbondanza, spesso raffigurata come un'orsa (o in compagnia di un orso). Il suo nome significa infatti "orsa". Pare che il nome di Artù sia collegato a questa divinità di cui ad oggi non restano che pochissime tracce.

Cernunnos

Dio delle foreste e degli animali selvatici, , il cui nome significa "colui che ha le corna" o "colui che ha le corna appuntite". La sua figura è fortemente sessuale in quanto Cernunnos simboleggia la forza, la virilità e la fertilità.

La prima immagine conosciuta di Cernunnos è l'incisione rupestre di Paspardo, in Val Camonica, del IV secolo a.C., nella quale il dio è ritratto con le corna di un cervo, porta un torquis ad ogni braccio ed è accompagnato da un serpente con corna d'ariete e da un piccolo fedele col pene eretto.

In altre rappresentazioni egli ha un serpente al posto di un braccio e dalla sacca che tiene in grembo cadono monete o semi, simboli anch'essi di abbondanza e fertilità.

Cernunnos figura anche sul famoso Calderone di Gundestrupp, nell'atto di gettare un uomo al suo interno, forse come simbolo di rinascita o rigenerazione.

Coventina

Coventina era la personificazione della sacra fonte di Carrawburgh situata lungo il Vallo di adriano. La sorgente alimentava un piccolo pozzo circondato da un muro ed era usanza per i celti di quelle zone di andare a gettare al di là del muro monete, monili od oggetti di uso quotidiano come offerta alla Dea. Erano soprattutto le donne a fare queste offerte per propiziarsi un parto sicuro.

Coventina era anche considerata una dea guaritrice, si credeva infatti che le acque della sua fonte potessero guarire molti malanni.

E' spesso raffigurata come una ninfa acquatica seminuda sdraiata in mezzo alle onde oppure nell'atto di versare acqua da una coppa.

Epona

Epona è la dea dei cavalli per antonomasia, il suo nome deriva infatti dalla parola celtica "epos" che significa appunto "cavallo". Per i celti il cavallo era molto importante, al punto tale che essi non ne mangiavano per alcun motivo le carni, per questo Epona era una delle divinità più venerate.

Il suo culto era diffuso soprattutto in Gallia e in Renania tra le tribù degli Edui, dei Lingoni e dei Treveri ma compare anche in aree più remote come la Britannia e l'Iberia.

Viene rappresentata sempre in compagnia di uno o più cavalli, con ceste di grano o frutta ai suoi piedi. In alcune raffigurazioni ella porta appesa alla cintura una chiave che secondo alcuni studiosi rappresenta la sua capacità di aprire le porte dell'oltretomba e di favorire così una "rinascita". Epona era inoltre associata all'acqua e al latte, nutrimento essenziale per i Celti.

Dagda

In origine era chiamato Dagodevos ed era la principale divinità dei danesi che si spostarono in Irlanda. Padre di Angus (o Oengus), dio dell'amore e di Brigit, dea della sapienza e della poesia, sposo di una dea con tre nomi (Breg "menzogna", Meng "astuzia" e Meabel "disgrazia") era considerato come un dio benevolo, protettore degli uomini e padre dei Tuatha de Danann. Altre divinità come Bodb il rosso, Ceacht, Midir e Ogma sono talvolta indicate come suoi figli.

Il suo nome significa "il buon dio" ed eraassociato alla magia e all'abbondanza, egli infatti possedeva un caderone magico chiamato Uldry che poteva nutrire tutta la terra.

Viene rappresentato con un'enorme clava in mano, la quale ha una particolarità: quando colpisce da una parte uccide i vivi e quando colpisce dall'altra resuscita i morti.

Il Dagda è una figura paradossale, dotato di infinita saggezza è però rozzo e volgare ed ostenta una voracità smodata oltre ad una perenne, smisurata erezione.

Fu costretto dal figlio Angus ad abdicare.

Brigit

"Alta, forte o gloriosa", dea della sapienza, del fuoco, del focolare domestico e della poesia. Brigit è una delle divinità più complesse del Pantheon celtico ma anche una delle più amate, tanto che la Chiesa Cristiana per eradicarne il culto la trasformò in Santa Brigida. Era una dea una e trina, a volte legata a due "sorelle" e talvolta veniva associata anche alla guarigione ed alla fertilità tanto che la festa di Imbolc (1° febbraio) era a lei dedicata in quasi tutta l'area celtica.

Brigit era conosciuta anche con i nomi Berecyntia, Brigindo, Brid, Bridget e Brigantia, in quest'ultima forma era la dea protettrice dell'omonima tribù dei Brigantii del nord della britannia. Per i briganti la Dea Brigit era anche una divinità della guerra e veniva da loro raffigurata con elmo, lancia e scudo.

In Irlanda era la figlia del dio buono Dagda e quindi legata alle "cose buone", alla fertilità, al parto, ai mestieri ed alla poesia.

In Scotia era chiamata Bride, dal cui nome pare derivi il moderno Bride (sposa, in inglese) ed era la dea preposta ai matrimoni e al parto.

IL CULTO DELLA TESTA

"…per i Celti la testa umana è venerata sopra tutto, poiché la testa è l'anima, centro delle emozioni così come di vita in sè, un simbolo delle divinità e delle alimentazioni dell'aldilà." Paul Jacobsthal, Arte Celtica Iniziale

"è un simbolo potente degli atteggiamenti religiosi della gente celta. La testa corrisponde alle divinità. E’ considerata l'essenza dell’essere, la sede dell'anima, il simbolo dell’alimentazione divina. Ann Ross, "testa", uomo, mito & magia, un'enciclopedia illustrata del Supernatural

Una funzione della religione celtica, che tende ad essere ignorata è la riverenza per la testa umana.
Per i Celti, la testa umana rappresenta una manifestazione fisica di quel centro di vita, quell'essenza che i cristiani conoscono come l'anima.

TESTE MOZZATE

La testa è un trofeo stimato nella battaglia, le teste dei nemici sgominati, vengono divise fra i Guerrieri e conservate come bottino di guerra:
"quando i loro nemici cadono, tagliano le loro teste e le fissano sui colli dei loro cavalli e cantando una canzone di vittoria, vengono trasportate come bottino di guerra e vengono inchiodate sulle loro case. Le teste dei nemici più distinti vengono imbalsamate con olio di cedro, conservate con attenzione in una cassa e mostrate con orgoglio agli sconosciuti perchè, per questa testa, uno dei loro antenati, il padre, o egli stesso, hanno rifiutato una grande somma di soldi. Dicono che alcuni di loro si vantano perchè hanno rifiutato il peso della testa in oro..." Scrittura di Diodorus Siculus nell’ANNUNCIO di I° secolo

SCAVI

Lo stato e la posizione dei crani umani scoperti durante gli scavi negli sterri, compresi tra la collina di Bredon e di Stanwick, suggerisce che le teste venivano appese sui cancelli o sui pali ai lati dei cancelli del villaggio.

MITOLOGIA

Nella storia di Branwen contenuta nel Mabinogion si narra che la testa di re Bran dopo essere stata riportata in Irlanda (la terra natale), fu sepolta sotto una torretta sulla collina bianca come un talismano protettivo per custodire la fertilità della terra e per evitare il terreno incolto.
Una storia anche accennata nella triade 37 – “i tre concedimenti dell'isola della Gran-Bretagna”.

L'ANNWN - L'oltretomba dei celti

Diodoro Siculo riporta che tra le popolazioni dette “Galli” dai romani era diffusa la credenza che le anime degli uomini fossero immortali e che dopo un determinato periodo di tempo tornassero a vivere in un altro corpo.

L’ingresso dell’Annwn (Cruachan) è situato su di un'isola in mezzo al freddo mare del nord, sulla quale si trova una grande montagna sul cui lato ovest si trova una grotta. Da qui si discende verso l’abisso.

Secondo le tradizioni celtiche le anime dei defunti vanno a finire nell’Annwn (l’abisso) composto da tre cerchi a spirale, il che riflette l’idea sia l’idea del “passaggio” che quella del tre come numero sacro.

Il primo cerchio è l’Abred (la migrazione) in cui l’anima viene purificata e liberata dai ricordi della sua vita terrena. Le anime che non riescono a liberarsi della loro componente umana non proseguono il cammino ma tornano in vita sotto forma di animali o piante. Coloro che sono morti da vigliacchi o hanno compiuto in vita azioni disonorevoli invece non possono tornare in vita ma soffriranno per l’eternità nella parte più buia dell’Annwn, tormentati dai Cwn Annwn, i cani bianchi dalle orecchie rosse del dio Arawn.

Le altre proseguono nel secondo cerchio, il Gwnfyd (luogo di felicità) dove lo spirito del defunto viene sollevato da ogni dolore. Per la maggior parte degli uomini questo è il luogo d’arrivo prima della rinascita, solo pochissimi eletti possono arrivare al terzo cerchio.

Il Ceuhant (luogo infinito) è il cerchio più interno dell’Annwn, ove è possibile incontrare gli Dei ed apprendere da essi i misteri dell’universo.
Coloro che tornano in vita dopo aver dimorato nel Ceuhant sono destinati a rinascere come druidi.

Dopo un determinato ciclo di vite lo spirito viene considerato purificato ed elevato e viene quindi ammesso nel Tir Na Nog, la Terra dell’Eterna Giovinezza, una sorta di paradiso celtico dove non si invecchia mai, si beve idromele e si mangia a volontà.

LE FESTIVITÀ CELTICHE

Le feste celtiche celebrano i momenti dell'anno nei quali il mondo terreno e il mondo degli Dei si sovrappongo.

Per i celti il tempo è ciclico: le ore si susseguono per ritornare a quella originaria, le giornate non iniziano all'alba ma vengono contate partendo dalla notte, le stagioni scandiscono i ritmi della vita e della morte. La morte non è la fine ma un nuovo inizio. Questo concetto è molto importante per comprendere la cultura celtica. Nei cicli della natura si trova l'elemento divino, che permea l'intera vita dei Celti. Le feste celtiche sono proprio i momenti in cui si aprono le porte tra il mondo degli uomini e quello degli Dei e in alcune ricorrenze gli spiriti dei morti possono comunicare con i viventi. L'anno celtico consisteva di 13 mesi ovvero 12 come i nostri attuali più un mese di 3 giorni alla fine di ottobre che collegava l'anno vecchio al nuovo. I nomi gaelici delle quattro stagioni risalgono ad epoche pre-cristiane: Earrach per la Primavera, Samhradh per l'Estate, Foghara per l' Autunno, e Geamhradh per l'Inverno.

Le feste celtiche sono divise in due cicli:

il primo ciclo è quello del viaggio del sole attraverso il cielo, e comprende quindi i due solstizi e i due equinozi. Le feste solari (dette anche Alban) sono: Alban Arthuan, Alban Eiler, Alban Heruin, Alban Elved

Il secondo ciclo è quello delle stagioni, legato alle tradizioni contadine quali il tempo della semina, della fioritura, della maturazione e del raccolto. Queste feste sono dette feste del fuoco e sono le più importanti: Samhain, Imbolc, Beltane (o Beltain), Lughnasadh. Ogni festa veniva solitamente celebrata per tre giorni (prima, durante e dopo il giorno ufficiale di osservanza). Per il celti il 3 era il numero della divinità.

LE FESTE DEL FUOCO E LE FESTE SOLARI

FESTE DEL FUOCO (SAMHAIN, IMBOLC , BELTANE, LUGHNASAD )

SAMHAIN

Cade la notte del 31 Ottobre ed è la festa dei morti.

Samhain segnava il capodanno ed era il tempo quando la notte era più lunga del giorno, fredda e buia.

I rituali iniziavano con lo spegnimento di tutti i fuochi (che venivano poi riaccesi a partire dal fuoco acceso dall'Eildeir dei druidi e tenuti accessi tutto l'anno).

Samhain era il tempo quando le porte tra questo mondo e il mondo ultraterreno si aprivano e gli spiriti dei morti (e a volte anche i mortali) potevano passare liberamente da un mondo all'altro.

Era consuetudine lasciare del cibo e delle bevande davanti alle abitazioni per placare le anime dei defunti.

In alcune regioni, in particolare in Scozia, i giovani uomini percorrevano i confini delle fattorie, dopo il tramonto, tenendo in mano delle torce fiammeggianti per proteggere le famiglie dalle Fate e dalle forze malevole che erano libere di camminare sulla terra quella notte.

Samhain era per i druidi il momento in cui si poteva più facilmente prevedere il futuro.

Come nelle altre principali Feste del fuoco, Samhain era una celebrazione del passaggio da una stagione all'altra.

IMBOLC

Imbolc cade il 31 Gennaio e significa letteralmente "in latte", in quanto corrispondeva al periodo in cui iniziava la produzione di latte delle pecore e delle mucche.

Il latte era basilare per l'economia celtica e quindi Imbolc era una grande festa.

La tradizione voleva che si facessero passare i primi agnelli nati in cerchi infuocati,

le donne si cospargervano le parti intime con le ceneri rimaste credendo che aiutasse le gravidanze,

per questo veniva chiamata la festa della fertilità e i figli concepiti in quel periodo venivano detti figli del fuoco.

Durante i rituali di Imbolc era consuetudine versare latte per terra, una piccola offerta e per propiziare il ritorno della fertilità e generosità della terra.

BELTANE o BELTAIN

Cade il 30 aprile ed era la festa della primavera, si celebrava solitamente su alture e colline, in luoghi più "vicini al cielo".

Beltane era anche chiamata talvolta Cetsamhain che significa "opposta a Samhain".

La parola "Beltaine" letteralmente significa "splendente" o "fuoco brillante".

A Beltane il dio cornuto, impersonato talvolta da un "re d'estate" moriva, per poi rinascere, recuperando così il suo ruolo di consorte della dea e la fecondava (la Dea solitamente era rappresentata da una sacerdotessa), dando inizio alla propria rinascita.

Beltane preannunciava l'arrivo dell' Estate vera e propria.

Si credeva che la rugiada del mattino di Beltane facesse fiorire la bellezza di una donna per tutto l'anno.

Alla Vigilia di Beltane i druidi preparavano due grandi falò con i nove legni sacri. Le greggi venivano ritualmente spinte fra i due fuochi, per purificarle e proteggerle per il resto dell'anno. I fuochi ovviamente simboleggiavano il ritorno della terra alla vita e alla fecondità .

I festeggiamenti includevano scherzi e divertimenti in giro per le campagne, balli intorno all'Albero di Maggio (tipo albero della cuccagna al quale venivano appesi cibi e altre chicche), ed era consuetudine, per gli innamorati, trascorrere la notte insieme nelle foreste. Moltissimi sono i cosiddetti figli di Beltane, nati proprio dai rapporti avuti in questa magica notte.

I giovani saltavano sopra il fuoco per propiziarsi la fortuna nella ricerca della sposa o dello sposo, i viaggiatori saltavano il fuoco per assicurarsi un viaggio sicuro e le donne incinte per assicurarsi un parto facile.

Si usava anche tagliare rami da un albero di Biancospino per decorare l'esterno delle case. Il Biancospino è l'albero della speranza, del piacere e della protezione. Il forte tabù che proibiva di tagliare rami di biancospino e di portarli in casa era annullato tradizionalmente alla Vigilia di maggio.

Beltane, e la sua controparte Samhain, dividevano l'anno nelle sue due stagioni primarie, Inverno ed Estate.

LUGHNASAD

Lughnasadh (chiamata anche Lammas dai sassoni) cade il 1° agosto e segnava l'inizio della stagine dei raccolti.

Tutti i riti di Lughnasad miravano ad assicurare una stagione di frutti generosi, in quanto un raccolto abbondante assicurava la sopravvivenza della tribù durante i freddi e sterili mesi invernali.

Si praticava anche la raccolta dei mirtilli a scopo divinatorio: se i mirtilli erano abbondanti, si riteneva che il raccolto sarebbe stato più che sufficiente.

All'alba della vigilia di Lughnasad si costruivano piccole capanne coperte di fiori, possibimente vicino a corsi d'acqua, dove gli innamorati dormivano insieme la notte del 31 Luglio.

A Lughnasadh si onoravano Lug, Dio associato sia con il Sole che con la fertilità agricola, e Arianrhod, Dea delle Luna e dell'Aurora. In loro onore si tenevano gare di destrezza sportiva.

LE FESTE SOLARI O ALBAN (ALBAN ARTHUAN, ALBAN EILER, ALBAN HERUIN, ALBAN ELVED)

ALBAN ARTHUAN

Ovvero il solstizio d'inverno, cade il 21 dicembre, è il giorno più breve dell'anno ed è chiamato anche:

Yule, Mabon, Jul, Saturnalia, Sol Invictus, Sol Index, Sol Indigens.

Il 21 dicembre il giorno raggiunge il minimo della durata per poi iniziare ad "allungarsi" nuovamente.

Questa festa segnava la notte più lunga, più buia dell'anno ma era una festa di pace.

Molti onoravano l'avvento del Sole bambino bruciando il ceppo di Yule e onoravano la Dea nei suoi molti aspetti di Madre.

Era usanza scambiarsi piccoli doni quali biscotti od oggetti utili.

ALBAN EILER

E' conosciuto anche come Ostara, cade il 21 marzo, il suo nome significa, "Luce della Terra,"

E' uno dei due momenti dell'anno in cui notte e giorno sono uguali (l'altro è Alban Elved).

Questo equilibrio tra luce e buio è raro in natura e quindi Alban Eiler era considerato un potente momento per i rituali magici dei Druidi

In questo periodo si seminavano i campi e quindi i rituali per questa festa erano di carattere "primaverile" e propiziatorio.

Si usava seminare una nocciola nella terra davanti alla propria abitazione. Se la nocciola germogliava entro Lughnasad si considerava un ottimo auspicio per la nascita di figli sani, robusti e numerosi.

ALBAN HERUIN

Cade il 21 giugno e rappresenta il solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno.

Ad Alban Heruin (letteralmente"La Luce della Spiaggia") il sole raggiungeva il suo zenith e gettava tre raggi di luce sul mondo.

Era conosciuto anche come Litha.

I rituali avvenivano tradizionalmente all'aperto o nei boschi con giochi, cibo, bevande e un grande falò.

I campi erano colmi di grano, la vegetazione era fitta e lussureggiante... per questo Alban Heruin è la festa della fruttificazione, della maturazione dei frutti, della prosperità.

Per i druidi era il giorno ideale per la raccolta delle erbe, per le divinazioni e per i piccoli e grandi riti protettivi legati all’elemento fuoco.

Anche durante questa notte altissimi fuochi salutavano e onoravano la potenza degli Dei.

ALBAN ELVED

Alban Elved, (letteralmente"La Luce dell'Acqua") è il primo giorno di Autunno.

Era chiamato anche Harvesthome e Mabon.

Il 21 settembre il giorno quando il sole cominciava di nuovo a calare e la metà scura dell'anno si avvicinava.

Come nell'equinozio primaverile, giorno e notte erano di lunghezza uguale ed era quindi un altro giorno importantissimo per i Druidi.

Alban Elved è il momento in cui il dio Sole inizia a declinare per fare posto alle divinità femminili, lunari. Il ciclo produttivo e riproduttivo è concluso, le foglie cominciano a ingiallire e gli animali iniziano a fare provviste in previsione dell’arrivo dei mesi freddi.

I SACRIFICI

La religione druidica conosce i sacrifici e ne fa uso. Sacrificare, è rendere sacro un oggetto o un essere, è farlo passare altrove, vale a dire nel mondo divino, caricandolo di tutti i desideri, di tutte le pulsioni, di tutti i sentimenti della comunità che opera il sacrificio. Ciò non ha niente a che vedere con la concezione ridicola e degenerata comune in cui il sacrificio è un atto negativo: da una parte, il sacrificio è un atto per placare, grazie a delle offerte, una divinità temibile, dall’altra, permette di liberare dal senso di colpa l’individuo o il gruppo sociale “inventando” un capro espiatorio.

Presso i Celti, i sacrifici, consistono in diverse oblazioni: vegetali, primizie del raccolto, rami d’albero e fiori. Al pari ci sono sacrifici di animali: tori, soprattutto arieti, ma sempre, o quasi, giovani maschi. Per contro, uno dei Riti di Intronizzazione del Re, comporta il sacrificio di una giumenta dopo che il Re si è unito sessualmente con essa. Dopo di ciò, si fa bollire la carne dell’animale, il Re si bagna nel brodo e mangia la carne. In un Rito di Elezione regale, un uomo ingerisce la carne e il brodo di un toro bianco prima di dormire e di vedere in sogno il futuro Re. La carne di porco, animale sacro e cibo del Banchetto d’Immortalità, è ugualmente utilizzata nel Rito, soprattutto per la Divinazione.

Per quanto riguarda i sacrifici umani, i Celti custodiscono i malfattori per un periodo di cinque anni e poi, in onore dei loro Dei, li impalano e ne fanno degli olocausti. Talvolta essi uccidono le vittime a colpi di frecce, oppure le crocifiggono nei loro luoghi sacri o le fanno soffocare con la testa in un calderone, ne appendono altre ad un grande albero e le sgozzano o anche le bruciano in gabbie di legno o in fantocci di vimini.

L’avvampamento dei fantocci di vimini si tratta di un simulacro, come accade in ogni Rito di passaggio, con morte apparente – ed estasi – seguita da una risurrezione non meno simbolica. L’impiccagione all’albero e il soffocamento nel calderone devono essere della stessa natura e si tratta di un atto di rigenerazione. Durante la morte sacrificale del Re, si sviluppa il ringiovanimento di quest’ultimo, il suo rinnovamento interiore, senza i quali la sua potenza rischia di decrescere con pregiudizio della collettività nel suo insieme. I Druidi non praticano sacrifici umani se non per sostituzione, per il tramite di un simulacro o di un simbolo.

Il Rituale delle Teste Tagliate non è un atto sanguinario in quanto non si taglia la testa di un essere vivente: è quella di un morto che viene tagliata. I Celti tagliano la testa dei loro nemici abbattuti e inchiodano questi trofei alle porte delle loro case. Accade anche che si tagli la testa di uno dei propri compagni morti, per evitare che questa testa cada nelle mani dei nemici. Le teste tagliate costituiscono un Tesoro Sacro.

E’ una sorta di “deposito di garanzia” attraverso il quale gli esseri umani stabiliscono un contatto con gli Dei. Anche in questo caso vi è un sacrificio nel senso che ogni Tesoro materiale viene trasceso e trasmutato in Tesoro spirituale. In quest’ottica i Celti accumulano dei Tesori, principalmente Oro, che vengono deposti in laghi o in stagni sacri.

Secondo la legge religiosa, non deve accadere che un uomo osi nascondere presso di sé il proprio bottino o toccare le offerte riservate agli Dei; un simile crimine è punito con un’orribile morte tra i peggiori tormenti. Non si può commettere impunemente un sacrilegio, e i Celti sono particolarmente sensibili a questa nozione. Giacchè, nel pensiero druidico, per mezzo del sacrificio, un oggetto o un essere viene elevato al rango divino.

LE SACERDOTESSE CELTICHE

Non abbiamo prove storiche certe del fatto che le “Druidesse” fossero delle Sacerdotesse appartenenti all’ordine dei Druidi, e neppure del fatto che le donne fossero effettivamente ammesse a far parte dell’ordine druidico.

Esaminiamo a questo proposito gli scritti dei biografi imperiali:
Tacito nei suoi Annales, XIV, 29-30 narra della battaglia combattuta nel 61 d.C. sull’Isola di Mona (l’odierna Isola Anglesey) in cui i Romani, guidati da Svetonio Paolino, distrussero il Sacro centro dei Druidi di Britannia massacrandone tutti gli appartenenti.

Tacito descrive la presenza, accanto ai Druidi, di donne vestite di scuro con i lunghi capelli sciolti al vento che agitavano fiaccole.

Questa può essere considerata senz’altro una prova che le donne avessero una certa influenza nelle questioni spirituali anche se non possiamo dire con certezza che si trattasse di Sacerdotesse appartenenti all’ordine druidico.

“Stabat pro litore diversa acies, densa armis virisque, intercursantibus feminis, [quae] in modum Furiarum veste ferali, crinibus disiectis faces praeferebant; Druidaeque circum, preces diras sublatis ad caelum manibus fundentes, novitate adspectus perculere militem, ut quasi haerentibus membris immobile corpus vulneribus praeberent. dein cohortationibus ducis et se ipsi stimulantes, ne muliebre et fanaticum agmen pavescerent, inferunt signa sternuntque obvios et igni suo involvunt.”

Flavio Vopisco nel suo Historia Augusti, XIV, 2-3 fa riferimento alla profezia di una Sacerdotessa druidica nella seconda metà del III secolo:
“Diocleziano, che militava ancora nei ranghi inferiori, ed era di stanzia in Gallia nel paese dei Tungri, si trovò in una locanda a fare i conti dei suoi costi giornalieri con una donna che era una druidessa. Questa a un certo punto gli disse “Diocleziano, sei troppo avaro e spilorcio!”. Ed egli le rispose scherzando: “Quando sarò imperatore, allora sì che largheggerò”. E si dice che la druidessa abbia risposto: “Diocleziano, non scherzare, sarai infatti imperatore, dopo aver ucciso il cinghiale”.

In effetti quando Diocleziano uccise il prefetto Arrio soprannominato “il cinghiale” divenne imperatore e si avverò così la profezia della Druidessa.

Ancora Vopisco nel suo Historia Augusti racconta che Aureliano avesse consultato le Druidesse di Gallia chiedendo loro se l’Impero sarebbe rimasto in mano ai suoi discendenti, ma che queste risposero che nessun nome sarebbe stato più famoso di quello dei discendenti di Claudio:
“Quindi, secondo Diocleziano, Aureliano un giorno consultò le Druidesse di Gallia per chiedere loro se l’Impero sarebbe restato in mano ai suoi discendenti, ma quelle risposero che nessuno nello Stato avrebbe avuto un nome più eclatante di quello dei discendenti di Claudio” Lampridio nel suo Historia Augusti LX racconta che nel 235 d.C. Alessandro Severo aveva iniziato una spedizione in Gallia per liberarla dai romani e che, mentre si accingeva a partire, una profetessa druidica gli urlò in lingua gallica: “Va’ ma non sperare nella vittoria e non fidarti dei tuoi soldati”. E infatti Alessandro Severo morì poco tempo dopo per mano dei suoi soldati.

Di queste donne chiamate dai Romani “druidesse” sappiamo soltanto che predicevano la fortuna ed è quindi possibile che il nome dryades, o una forma simile, sia stato loro attribuito dagli autori latini a causa di un fraintendimento originato da una scarsa conoscenza dello status e delle funzioni dei veri Druidi: le “druidesse” possono aver di fatto rappresentato, agli occhi acritici dei biografi imperiali, quel che restava di una funzione ben documentata tra i druidi fin dalle origini cioè la divinazione; e per questo possono averle chiamate con quel nome, incuranti di un loro autentico legame con l’ordine dei Druidi, solo per indicarle come donne sapienti.

Tuttavia sappiamo che in passato figure di interpreti e indovini erano considerate un sottordine dei druidi e quindi è possibile che queste donne, continuando l’opera dei vati, fossero investite di un’autorità tradizionale che autorizza in un certo senso a considerarle membri dell’antica casta sacerdotale. Di conseguenza non c’è nulla di improbabile nell’immagine di donne che in Gallia avevano la reputazione di druidi, anche se l’associazione del loro ruolo di indovine con una vita da locandiere, come emerge dal brano di Vobisco, dà chiaramente il senso del livello molto basso a cui era sceso il druidismo nel III secolo.
Esistono invece prove, seppure incerte, della presenza tra i Celti di Sacerdotesse nel vero senso del termine chiamate spesso in lingua irlandese Bandrui:

La donna nella Società Celtica rivestiva ruoli più importanti rispetto a quelli rivestiti in altre civiltà contemporanee, ruoli paragonabili a quelli degli uomini poiché non esistevano discriminazioni sessuali, e quindi le donne godevano spesso di una grande considerazione; la storia e le leggende sono ricche di importanti figure femminili che furono non solamente guerriere ma anche Sacerdotesse e profetesse.
Ricordiamo la Regina Boudicca, guerriera e Sacerdotessa della Dea Andrasta (dea dei corvi e delle battaglie simile alla divinità irlandese Morrigan); Medb, il cui nome significa “esaltazione” e che era considerata una profetessa; Scathach, Regina guerriera che istruì l’eroe irlandese Cu Chullain; Banbhuana, figlia di Deargdhualach e maestra del Druido irlandese Mogh Roith; Camma, Sacerdotessa della dea Brigit; Nessa, madre del Re Conchobar che prese il nome di sua madre invece che quello di suo padre e fu così chiamato mac Nessa Conchobar; Fidelma cui si fa riferimento nel famoso ciclo epico irlandese Tain Bò Cuailnge, druidessa dotata di capacità di preveggenza e descritta come una giovane armata, vestita di una tunica rossa, con capelli biondi e lunghissimi raccolti in tre trecce, occhi dotati di tre iridi e una bacchetta leggera in mano.

Ricordiamo infine la figura di Véleda (I secolo d.C.) appartenente alla Tribù dei Bructeos che, grazie al compimento delle sue predizioni durante la rivolta delle Tribù gallo-germaniche contro i romani nel 69 e 70 d.C. fu rivestita di un prestigio sacro tra i celti e i germani. Tacito a questo proposito racconta che nessuno poteva parlare personalmente con Véleda e che la donna dava i suoi responsi chiusa in un’alta torre: “Tencteris legati ad Civilem ac Veledam missi cum donis cuncta ex voluntate Agrippinensium perpetravere; sed coram adire adloquique Veledam negatum: arcebantur aspectu quo venerationis plus inesset. ipsa edita in turre; delectus te propinquis consulta responsaque ut internuntius numinis portabat” (Historiae, IV, 65).

Importante è anche il mito delle c.d. Insulae Feminarum. Nell’VIII secolo Immram Bran scrive “Non poltrire su un inetto giaciglio, e non lasciare che lo smarrimento ti assalga: intraprendi un viaggio sul limpido mare, per scoprire se è in tuo potere trovare Tir na mBan, la Terra delle Donne”. Queste Isole magiche popolate di misteriose maghe, a cui si fa riferimento in alcune leggende celtiche, non sono senza rapporto con l’isola di Avalon della leggenda Arturiana. Terra mitica di Druidi e Sacerdotesse devote alla Luna, Avalon era perennemente avvolta dalle nebbie per far sì che non fosse trovata; quest’isola era anche detta Albion o Emain Ablach cioè Isola delle Mele ed era considerata il luogo magico dove tutto cresce in abbondanza e spontaneamente. Avalon era posta tra il mondo reale e quello ultraterreno della tradizione celtica e infatti nessuno degli antichi scrittori ha mai identificato una località reale con quest’isola mistica.

D’altra parte però anche molti autori latini hanno fatto riferimento a isole su cui si trovavano organizzazioni religiose femminili: Posidonio racconta dell’esistenza di un isola sulla foce del fiume Loira su cui vivevano delle donne consacrate a Dioniso (Dionyso Katechoménas: evidentemente sotto la denominazione greca attribuita al dio si nascondeva un dio celta locale) e narra come in questa Isola -santuario fosse proibito l’accesso agli uomini; Artemidoro fa invece riferimento a una Sacerdotessa Celta chiamata Gallizena che era legata al culto di Demetra (ancora una volta l’autore denomina una divinità celta con un nome greco) e abitava un’isola del litorale Britannico.

Pomponio Mela nella De Chorographia III, 6, 48 descrive un’organizzazione religiosa femminile in Gallia: quella delle nove vergini dell’Ile de Sein. Queste donne riservavano i loro rimedi e le loro predizioni a chi avesse intrapreso la navigazione per consultarle e, secondo il geografo romano, erano chiamate Bandrui ed erano ordinate in tre diverse categorie.

La categoria di minore autorità era quella delle Sacerdotesse che vivevano perennemente recluse sull’Isola ed erano tenute ad osservare un voto perenne di castità, queste Sacerdotesse avevano il compito di alimentare il sacro fuoco perenne in onore delle divinità femminili cui erano consacrate; la seconda categoria di Sacerdotesse aveva il permesso di sposarsi ma doveva comunque rimanere all’ interno del santuario fatta eccezione per pochi giorni l’anno in cui potevano allontanarsi per compiere i propri doveri coniugali, queste Sacerdotesse potevano parlare con la gente e compiere profezie e, secondo Mela, leggevano il futuro sulle foglie del vischio; le Bandrui della classe più alta invece accedevano al loro ruolo solo dopo molti anni di studio e un rito di passaggio, potevano circolare liberamente e avevano il compito di mantenere vive le tradizioni religiose, praticavano l’astrologia e leggevano il futuro osservando le vittime dei sacrifici umani (sacrifici che comunque potevano essere compiuti solo dai Druidi maschi); Pomponio Mela racconta infine che le più potenti di queste Bandrui avevano il potere di comandare i venti e le tempeste, di trasformarsi in uccelli e di curare le malattie più terribili; queste donne erano riverite come divinità dal popolo, potevano dominare la magia delle pietre e delle erbe curative, preparavano i moribondi a una dolce morte, e si occupavano delle nascite e degli incantesimi d’amore.

Continuando ad analizzare miti e leggende scopriamo come le epopee irlandesi fanno spesso riferimento a delle maghe dotate di poteri straordinari e iniziatrici dei giovani tanto in campo guerresco che in campo sessuale. In Irlanda si narrava dell’esistenza di indovine che venivano comunemente associate ai Druidi e che alcuni scribi medioevali hanno definito bandrui; leggende ed iscrizioni citano spesso le “nove maghe” preposte a custodire le acque, e compaiono riferimenti alle banfhlaith vergini custodi dei fuochi sacri, e a sacerdotesse in grado di suscitare tempeste, provocare malattie, uccidere i nemici con maledizioni ed evocare le nebbie; le Sacerdotesse che compaiono nelle leggende irlandesi sono descritte come guaritrici ed erboriste, veggenti e profetesse, donne sagge e “streghe”.

Anche il culto della Dea Brigit è un culto prettamente femminile: tre mesi dopo Samain e quaranta giorni dopo Yule, il 1 febbraio, i Celti celebravano la festa di Imbolc dedicata alla Dea Brigit, festa di purificazione in cui si esaltava il Fuoco ma anche l’Acqua Lustrale. La Dea Brigit portava il soprannome di Belisama “la Splendente”, al suo culto non erano ammessi gli uomini e le erano invece consacrate 19 sacerdotesse che vegliavano su un Fuoco perpetuo. Il numero 19 non è casuale: è infatti legato ai cicli lunari poiché secondo il Ciclo Metonico ogni 19 anni la Luna presenta la stessa combinazione di fasi rispetto ai giorni del Calendario Solare. (c.d. Ciclo Metonico dal nome dell’ateniese Metone che lo scoprì già nel 433 a.C. calcolando che ogni 235 lunazioni medie i noviluni si riproducono nelle medesime date).

Edited by demon quaid - 24/6/2016, 16:18
 
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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La cultura religiosa celtica considerava il mondo, la natura e le sue manifestazioni viventi, immersi in un fluido eterico invisibile nel quale esseri inimmaginabili e senza dimensione –quali déi- vivevano una eterea esistenza che a pochi mortali era dato cogliere e percepire. Il mondo delle foreste, dei boschi cupi ed impenetrabili, risonanti di echi lontani; il fulgore della vegetazione rigogliosa pervasa dai raggi solari, i misteriosi baratri fra rocche di pietra ed absidi di basalto erano, per i Celti, il più grande tempio vivente che ospitava la forza magica immanente del creato e dei suoi innumerevoli esseri. Leggende solari, cupe e terribili superstizioni, saghe arcaiche tinte di terrori e di sangue, lontane gesta d’eroi e di sacerdoti misteriosi testimoniano questa antica fede naturale radicata nel cuore tenace della più avita e misteriosa cultura d’Europa, soffocata dal mondo moderno ma mai doma e sconfitta. Pressoché impossibile è ricostruire il corpus di dottrine che davano senso e significato a queste antiche tradizioni: il mistero celtico, tramandato solo oralmente e mai per iscritto, è stato suggellato dal silenzio al quale furono ridotti gli sconfitti sacerdoti celti; queste tradizioni parlano, ormai, solo il linguaggio senza tempo ed evanescente delle leggende più antiche. Dietro il gran manto del mistero è però possibile cogliere frammenti dell’antica sapienza druidica (druid, è radice sanscrita che significa “vedere”, come nel latino “videre”). Un primo caposaldo della convinzione magica della Natura presso i Celti è dato dalla convinzione dei nostri antichi progenitori dell’esistenza di esseri e forze profonde celate agli uomini: un Pantheon di divinità maggiori e minori che hanno dato vita alle immaginifiche ed affascinanti leggende del Piccolo Popolo di gnomi, fate, streghe, elfi, trolls e coboldi. Per i Celti esistevano luoghi sacri ove queste presenze misteriose eppur reali avevano la possibilità di manifestarsi con un vigore insospettato. Ogni località che desse segni dai quali intuire che la Natura fosse ammantata di forze misteriose ed affascinanti –soprattutto tra valli, forre, boschi e radure campestri- era il luogo di elezione di queste magiche presenze. Il sacerdote celta era in grado di localizzare questa energia occulta del mondo naturale, di accumularla e di orientarla verso luoghi ed obbiettivi precisi –nel bene e nel male- a favore del proprio popolo ed a rovina dei nemici e in ciò la tradizione celtica si avvicina fin quasi all’identificazione con fedi e credenze presenti in altri popoli tradizionali. Questa forza occulta e magnetica della Natura era considerata presente in ogni specie vivente, tenendo ben presente che per i Celti ogni presenza naturale era dotata di oscura vitalità: piante, pietre, fulmini, tempeste, esseri animali ed umani erano pervasi da questa sorta di anima magica che rappresentava il doppio sottile della loro esistenza fisica proiettato nella dimensione parallela dell’universo di Faerie. Nei luoghi sacri l’esorbitante e sovrabbondante presenza di tali energie magnetico-sottili permetteva l’affiorare di fenomeni magici ai quali i Celti consacravano i loro riti più vivi e partecipi: la natura si animava allora di una vita arcana e misteriosa che poteva essere volta a vantaggio dell’uomo oppure a suo danno inesorabile. Le leggende celtiche sono più chiare di quanto non sembri ad una prima lettura –basta decifrarle con una lettura criptica e simbolica- ed allora il segreto dei druidi fa trapelare la grandezza terribile che lo ammanta poiché, come sostiene a ragione Elide, tutto il Sacro è pervaso dal senso di sgomento della grandiosità terribile del sovrannaturale. Non a caso, i templi celtici erano siti in foreste o sulla cima incontaminata di monti sacri, laddove le forze spirituali primigenie avevano eletto il luogo della manifestazione privilegiata. La magia druidica consisteva essenzialmente nella conoscenza di queste forze e nella capacità di governarle attraverso la ritualità gestuale e, soprattutto, attraverso l’elaborazione di mantras magici in grado di “incantare” tali disincarnate entità, al pari di quanto conosciuto nelle più occulte ed inaccessibili dottrine del buddismo mahaianico tibetano: dimostrazione palese dell’unità primordiale delle tradizioni indo-ariane. Tali energie, attraverso il rito consacrato nei luoghi misterici del culto celtico, nel maestoso silenzio delle foreste di querce, grazie all’incontro con una natura ancora giovane e non contaminata dal progresso, si manifestavano, imprigionate dalla forza evocatrice del mago-druida in oggetti sacri costituenti il simbolo e la forza sacra delle singole comunità celtiche. Una leggenda viva nelle valli del Friuli nord-orientale narra che, ponendo in croce due rami tagliati di fresco da un albero, si possa sentire un sibilo lieve ma oscuramente inquietante: la leggenda, di chiara matrice celtica con contaminazioni cristiane, dice che il sibilo è la voce dell’anima di un defunto che si lamenta di essere stata imprigionata da démoni maligni attraverso i rami posti nella forma rituale di croce. Spira da questa leggenda malinconica la percezione di una Natura vivente attraversata da spiriti malevoli e benigni, perfidi e tristi, molteplici proiezioni dell’anima magica dei popoli dell’antica Europa. Simili a questa sono le numerose saghe e le leggende che descrivono le anime dannate imprigionate in granitiche pareti di montagne misteriose, anime costrette dal loro Fato, in notti infernali di tregenda, ad uscire dalla loro tombale prigione per darsi a ridde demoniache ed agghiaccianti. Anche queste saghe, comunissime in tutto l’arco alpino, nascono tutte dalle brume sperdute della spiritualità celtica. Riecheggia, sempre, la sacralità del mondo boschivo alpestre che per i Celti era mondo sacro per eccellenza. Tutte le tradizioni d’Europa hanno identificato in siti arcani e forestali i luoghi più profondi di manifestazione dell’Oltremondo pagano, laddove le forse spirituali sottili avrebbero avuto –quasi magica porta sull’invisibile- possibilità di manifestarsi nel caduco mondo terreno. Le tradizioni celtiche, attraverso le leggende, ci tramandano quasi una mappa di questa geografia sacra di località magiche arcaiche. Luoghi simili sono ancora conosciuti del Country Wicklow in Irlanda, nella Scozia Settentrionale, come pure in tutta l’Europa e fino a Roma ed oltre. In questi luoghi si narrava si manifestasse con gran facilità l’antico popolo di Faerie per festeggiare con danze eliche e riti campestri l’antica forza immanente della Natura, del Mundus Imaginalis. Lo scrittore, celta moderno, W.B. Yeats ha a lungo narrato nelle sue opere di apparizioni di esseri fatati (i Sidhe), nell’Irlanda, manifestando la convinzione dell’esistenza reale di località sature di forza magica in grado di favorire e di rendere possibile queste apparizioni dell’oltremondo celtico. Una di queste apparizioni ci è documentata da Yeats: “Ci fu dapprima uno splendore di luce e poi vidi che questa proveniva dal cuore di una figura alta con un corpo apparentemente formato da aria trasparente o fosforescente e attraverso il corpo scorrere un fuoco elettrico e radiante. Attorno a questa figura si espandeva un’aura lucente simile ad ali fiammeggianti”. La descrizione nelle foresti irlandesi di una immagine simile a quella degli Elfi delle leggende, appare molto simile a quanto esposto nelle dottrine segrete del Tibet circa la facoltà di alcuni monaci, attraverso lunghi esercizi di meditazione, di proiettare l’immagine del proprio doppio etereo o sottile al di fuori del corpo fisico, come nella saga di Milarepa (l’asceta dell’Himalaya) che, di notte, durante il sonno, si allontanava dal corpo fisico per presiedere convegni di spiriti delle montagne. Al di là di saghe e leggente –che comunque mantengono un fondo di verosimiglianza difficilmente comprensibile per l’uomo moderno- abbiamo la concreta testimonianza di Evola nelle sue Meditazioni delle vette, dove ci descrive le inesauribili possibilità logiche dei monaci tibetani. Del resto, l’esperienza dell’esistenza di siti arcani del genere ove l’impossibile diviene realtà, ci è stata confermata dal grande alpinista Kurt Diemberger (4) che, nell’attraversare una misteriosa valle segreta del Tibet, giunse in una fortezza sconosciuta alla cartografia ufficiale, dove percepì forze energetiche sottili che gli permisero di coronare con successo un’ardita impresa alpinistica che sembrava impossibile. Di foreste magiche è piena la tradizione popolare. Qualche volta, taluni di questi siti arcani vengono ricostruiti quasi come templi naturali, novelli nemeton celtici, come è accaduto durante il XV secolo nel bosco di Bomarzo, in Toscana (5), quando in una antica foresta vennero innalzati simboli esoterici e solari in prossimità dei punti di maggior energia naturale effusa dal Sacro Bosco: tali simboli, scolpiti nella pietra, raffiguravano Mostri, Draghi (simbolo del fuoco), Divinità delle Acque (simbolo complementare a quello igneo).

Edited by Falupbis - 5/8/2020, 19:57
 
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view post Posted on 24/1/2019, 01:53     +1   -1
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Guardiano del male

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Quali Alimenti erano in uso nella trazione dei Celti (Sia della Gallia che Irlanda)?

Orzo, Miglio, Segale, Lenticchie, Cicerchia, Avena, Panico, Nocciole, Noci, Burro, Formaggi, Gemme di Pino Cembro, Germogli di Luppolo, Maiale, Ovini, Caprini, Pollame, Cacciagione (Volatili Esclusi), Prosciutti e Insaccati, Storione, Salmone, Lumache, Castagne, Mele (Di diversa Razza), Uva, Vino, Idromele, Birra.

I cereali coltivati nell’età del Bronzo sono: il grano tenero (Triticum aestivum subsp. compactum), la spelta (Triticum spelta), il miglio (Panicum miliaceum) e l’avena (Avena sativa); nell’età del Ferro: il panico (Setaria italica) e la segale (Segale cereale)


Questi sono i principali cibi della cultura culinaria Celtica.


Ora andremo nel dettaglio di quelli elencati sopra.


Orzo: Era usato per fare minestre asciutte (il panicium, l'antenato della tradizionale panissa vercellese, oggi fatta di riso e fagioli), pane, birra di tutti i tipi, polente.

Miglio: usato per preparare minestre asciutte, polente.

Segale: Per preparare la panificazione.

Lenticchie: Era legume molto presente sulla tavola celtica, mischiato con cereali.

Cicerchia: E' una specie di cece continentale ormai poco reperibile ma ancora coltivato nel Canavese.

Avena: L'avena, usata ormai quasi esclusivamente per l'alimentazione animale, era un tempo molto diffusa, sia per la facilità di coltivazione, sia per le sue grandi qualità nutritive.

Si presenta in chicchi, simili a quelli del frumento, solcati.

L'avena é in assoluto il cereale più ricco di proteine (lisina) e di grassi, per questo motivo se ne sconsiglia l'uso costante a chi abbia problemi di peso e/o renali, d'altro canto, é un cereale leggermente "eccitante" che aiuta in modo considerevole gli apatici, gli indecisi, gli adolescenti e chiunque abbia bisogno di "rigenerarsi". Tale caratteristica viene perduta dal cereale se consumato sotto forma di fiocchi, che conferiscono invece calma e rilassatezza.
L'avena contiene anche naturalmente un ormone della crescita chiamato "Auxina", questo, unito all'alta percentuale di calcio contenuta nei chicchi, la rende indicata nei ritardi di crescita e nel rachitismo. Per la sua particolare composizione si utilizza come alimento nutritivo rinforzante e ricostituente, specialmente per bambini ed adolescenti, ma si rivela utile anche per stimolare l'organismo degli anziani. L'avena e' poi tra i cereali che contengono piu' fibra, quindi un ottimo lassativo.

Dal caratteristico sapore dolciastro, è adatta per i primi piatti, ma anche per ottimi dolci. L'avena può essere consumata: in chicchi per insalate estive, preparazioni tipo risotto con salse e/o verdure saltate in padella; in fiocchi aggiunta al latte, allo jogurth, cotti nel brodo o nel latte e poi consumati od usati come base per la preparazione di torte dolci insieme a miele, uvetta e pinoli; come farina usata prevalentemente per la panificazione (dona un pane dolciastro, elastico che ha la capacità di saziare rapidamente) o per fare biscotti e frittelle. Con la farina di avena si prepara il porridge, piatto tipico della cucina anglosassone (e che piace solo a loro!).

Panico: Altro Cereale dell'era del Ferro e conosciuto dai Celti, il Panico (Setaria italica), (Panicum Italicum), un cereale simile al miglio (Panicum miliaceum), è nativo dell’Asia. Pianta graminacea spontanea è stato l’alimento delle popolazioni neolitiche d'Europa.
Viene oggi utilizzato nell’alimentazione umana in Asia, Africa e Europa orientale, da noi è un mangime pregiato per molte specie di uccelli.
In Italia ed è una coltivazione tipica del pistoiese.

Il valore nutritivo del panico è molto elevato, in quanto ricco di carboidrati e di minerali e povero di grassi, ottime le proprietà anti anemiche, diuretiche e stimolanti.

I grani rispetto al miglio sono meno lucidi, di forma rotonda, appiattiti e di grandezza più piccola. Il colore varia dal paglierino al rosso-arancione, dal sapore dolce e gradevole, possono essere teneri, duri, semi duri: i primi producono farina utilizzata per la panificazione; i duri forniscono la semola; i semi duri, invece, sono costituiti da cariosside a frattura farinosa da cui si ricava farina qualitativamente mediocre per la panificazione. I grani decorticati, si consumano nelle minestre o sono cotti come il riso.

Nocciole: Sono state molto usate dai Galli stanziati in Piemonte soprattutto (ancora oggi pregiatissime!), essi per primi inventarono la pasta di nocciole, antenata del gianduja.

Noci: Già all'epoca dei Celti era molto usato l'olio, per condire le pietanze ma anche per nutrire e rendere lucidi i capelli scuri delle dame golasecchiane (di Golasecca prov. di Varese), nonché il mallo, usato ancora oggi per coprire i capelli bianchi.

Burro: Di origine Celtica proveniente dalla Gallia era questa pietra miliare della cucina ed è stato Cesare a scoprirlo proprio in Gallia e portarlo poi in Italia, sul continente era più adatto al clima, insieme a lardo e cotiche.

Formaggi: Il famoso gorgonzola e tutti gli erborinati d'Europa sono di antichissima origine Celtica, come la fontina, il taleggio e il bitto.

Gocce di Pino: Queste non sono altro che le Gemme del Pino Cembro che con una ricetta taurina (che metterò in una discussione a parte) sono le antenate della caramelle che conosciamo appunto con il nome di Gocce di Pino, sono di origine Celtica (e queste Celtiche sono più sane) e le usavano per la tosse.

Germogli di Luppolo (Virtis): I germogli del luppolo selvatico che si trovano in primavera nei fossi, nel Nord Italia e in Europa centrale. Erano e sono usati in cucina per insaporire minestre e zuppe. Inoltre, le tracce archeologiche di una tomba golasecchiana (Golasecca Prov. di Varese), indicano che già nel VII - VI sec. a.C. era utilizzato per fare la birra. In un bicchiere trovato a Pombia ci sono tracce di birra rossa doppio malto, la tipica ceruisia gallica! La più antica trovata in Europa!


Maiale: Dopo il Cinghiale era il cibo Celtico per eccellenza, rimasto tuttora nella cultura alimentare della Pianura Padana come della Germania (altro posto da dove provengono i Celti).

Ovini e Caprini: Sebbene venissero prima le Capre, sono sempre stati presenti nelle fattorie Celtiche entrambi le razze, soprattutto sui monti.

Pollame: La gallina (In quanto non sa volare) viene dalla Mesopotamia e compare in Europa durante l'età del ferro, probabilmente era l'unico pennuto a finire sulla tavola, dato che per i Celti era tabù mangiare i volatili, poiché erano considerati messaggeri degli dèi ma questo vale anche per il Gallo, che era molto sacro e non si poteva mangiare.

Cacciagione: Presente solo sulla tavola dei nobili, primo fra tutti il cinghiale (Naturalmente era vietato cibarsi della cacciagione/selvaggina di ogni tipo di volatili che sapessero volare).

Prosciutti e Insaccati: Quelli prodotti dai Celti erano così rinomati che i Romani ne importavano tonnellate.

Storione: Era un pesce molto rinomato presente nel Po fino al medioevo come altri pesci, ad esempio il luccio, temolo, cavedano, salmerino (Purtroppo gli amanti delle trote saranno delusi perché esse sono arrivate molto dopo), i pesci pescati nel Lago Maggiore spesso venivano salati proprio come le acciughe. La parola alici deriva da una simile parola Celtica che indicava, appunto, il pesce salato.

Salmone: Molto apprezzato quanto sacro, i Celti ritenevano che mangiarne le carni portasse loro beneficio spirituale.

Lumache: I Celti che giunsero in Liguria (Italia) del cuneese le allevavano a scopi culinari (Altro che origini Francesi).

Castagne: Sono state introdotte nel V sec. a.c., molto utilizzate dai poveri, sia bollite, sia per farina
te che per la panificazione e per la polenta (anche se risulta un pò ustionante per lo stomaco, bruciori a gogo per alcune persone).

Mele: Le Mele vengono utilizzate dai Celti in varie pietanze, ma qui parlerò delle Mele Cotogne e dell'origine Celtica della Cotognata( Si, proprio la Marmellata di Mele Cotogne - Cotognata), molto usata per accompagnare arrosti, soprattutto di maiale e cinghiale.

Uva: Di origine Celtica è anche il Mosto d'uva ma in particolare la Cognà, ricetta che è rimasta nella tradizione piemontese, purtroppo poco reperibile, è fatta con mosto d'uva, cotognata, confettura di mele, di pere, nocciole e noci. Oggi come ai tempi dei celti si usa per accompagnare i bolliti.

Vino: Sebbene sappiamo che il Sidro di Mele è di origine Celtica, essi non è vero che non conoscessero altri tipi di vino.
Nella zona del Lago Maggiore sono state trovate tracce di una sorta di Nebbiolo, e si sa per certo che un vino cisalpino amato dai galli era simile all'attuale Lambrusco.
La tradizione di invecchiarlo in botti di rovere è tipicamente celtica, mentre i romani lo conservavano in anfore e lo allungavano con miele e acqua di mare.
Se noi oggi beviamo il vino senza allungarlo utilizzando bicchieri conici invece di coppe larghe e poco fonde lo dobbiamo di certo ai Galli.

Idromele: Era una bevanda sacra per eccellenza, si pensa sia l'ambrosia citata nei miti greci. E' di origine indoeuropea e non dovrebbe essere bevuta con leggerezza, ma solo nelle cerimonie sacre e alle feste tradizionali.

Birra: Già ai tempi dei Celti ne esistevano vari tipi.
La ceruisia era quella rossa doppio malto, la cerea quella chiara di frumento tipo weiss, la bier quella chiara luppolata, la curmi quella spumosa che piaceva molto alle donne perché fatta fermentare a freddo col miele, infine la camum, birra chiara prodotta in Pannonia con miglio o orzo o frumento, oggi la più famosa birra Irlandese che forse si avvicina di più all'originale birra Celtica è la Guinness.

Edited by Falupbis - 24/1/2019, 12:51
 
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