Un Mondo Accanto

Un’occasione importante

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morgana1869
view post Posted on 9/2/2013, 18:17     +1   -1




Un’occasione importante




La Golf nera filava come un razzo, mentre la musica dei Megadeath esplodeva dall’autoradio.
Marcello era entusiasta della serata: un lauto bottino, un’altra animuccia candida spedita al Creatore ed ora quella divertente corsa sulla strada del lungolago. Con una mano impugnava il volante, mentre con l’altra alternava una passeggiata delle dita tra i gioielli appena trafugati con una sorsata del suo amico Jack Daniel’s. Gli occhi fissavano la strada salvo ogni tanto chiudersi ed ondeggiare al ritmo della musica.
Il suo secondo amico (ed il conto finiva a quota due) era la calibro nove, che come ogni volta aveva fatto il suo dovere alla grande, tanto da meritarsi una lustrata ed un’oliata abbondante appena giunti a casa.
Amava essere un criminale, amava uccidere, amava sentire il suo potere attraverso il freddo della pistola nella sua mano quando la impugnava con autorità, quando prendeva la mira con cura e due occhi lo fissavano imploranti. Ormai considerava quello strumento come un’estensione del proprio corpo, e soprattutto della propria volontà di spargere il terrore e la morte. Una volontà spinta da un istinto irrefrenabile, una vocazione a compiere una missione. Affidatagli da chi? Non aveva importanza, la stava portando avanti in modo egregio.
Quella vecchia contessa era stata un osso più duro del solito, ma la compagna di vita calibro nove aveva fatto come sempre il suo dovere.
Uccidere gli dava un piacere quasi fisico, tanto da essere segretamente deluso di fronte alle vittime che arrendevolmente gli consegnavano i propri beni. Quella sera non andò così: la vecchia approfittò di un suo attimo di distrazione per correre in soggiorno, dove attaccata al muro c’era la sua unica speranza di un confronto alla pari. Grave errore per la simpatica nonnina. Pochi passi sul parquet scricchiolante e lui l’aveva raggiunta, ed entrando in soggiorno se l’era trovata con la faccia al muro e le mani alzate tentando di afferrare la vecchia doppietta. Un bersaglio sin troppo facile, da ragazzini al luna park. Cinque o sei secondi dopo stava guardando la vecchia scivolare lentamente lungo il muro, disegnando con il suo sangue una larga riga verticale. Fissò per un attimo il crocefisso appeso al muro, esattamende sopra la riga: “Caro Dio, se davvero sei da qualche parte dovresti ringraziarmi per tutte le animucce che ti sto spedendo!”. Sorrise ed uscì.
Ed ora si trovava in macchina, a rivivere mentalmente l’ennesima battaglia della sua missione di morte, alla ricerca di eventuali errori da non ripetere la volta successiva. Eh sì, sempre lo stesso. ‘Anche stavolta ti sei distratto quando ti ha dato i gioielli! Le hai dato il tempo di sgusciarti via ed arrivare fino al soggiorno! Se invece di quel ferrovecchio avesse avuto una pistola in un cassetto a portata di mano, o se quel parquet fosse stato meno rumoroso saresti tu adesso steso sul pavimento, con gli sbirri che ti disegnano il contorno col gessetto! Peggio per lei, avesse messo la moquette a quest’ora sarebbe viva!’.
Rise fragorosamente mentre si chinava verso l’autoradio per cambiare il CD.
Tutto accadde in un istante.
Lo scoppio della gomma. Lo scricchiolio delle ruote mentre d’istinto sterzava per cercare inutilmente di riprendere il controllo. Il rumore del paraurti che, a quella velocità, sbriciolò il muretto di protezione. Il fischio dell’aria mentre la macchina volava giù dal burrone. Per un attimo gli parve di udire le onde del lago, poi il fragore dello schianto sugli scogli.
Il volo durò pochi secondi, durante i quali pensò, assai di più di quanto il tempo normalmente gli avrebbe consentito. La morte, col suo vestito nero ed il suo sguardo gelido, che tante volte aveva intravisto di profilo ma che ora fissava negli occhi, lo stava raggiungendo. La sensazione di immortalità che la calibro nove in tasca gli aveva sempre dato era svanita. Nulla si sarebbe interposto tra lui e la figura coperta dal nero mantello.
Non era affatto spaventato, forse più incuriosito, come chi guarda uno spettacolo a teatro per anni finchè un giorno decide di curiosare dietro le quinte. Chiuse gli occhi per un istante, quasi non avvertendo lo schianto, e quando li riaprì si trovava ancora lì, al posto di guida, circondato dalle fiamme. Abassò gli occhi e vide il volante ritorto e conficcato nel suo addome. L’immagine era velata di rosso, e non udiva alcun suono.
Non sentiva dolore, non sentiva angoscia, sentiva solamente di “svanire”. Svanì prima la sua vista, poi il suo corpo, in una dolce sensazione di leggerezza. I suoi sensi si erano compattati un uno unico, che gli trasmetteva un’unica informazione: il nulla. Il nulla è un concetto difficile da rappresentare, di solito si immagina uno spazio vuoto, ma nel nulla non esiste nemmeno lo spazio. Marcello non sentiva, non provava, sapeva di non vedere, ma sapeva anche che non esisteva nulla da vedere. Sapeva di “essere” ancora qualcosa ed in qualche posto, diverso da qualsiasi dove fosse mai stato. Sapeva di non essere più cio che era stato una volta. Sapeva che lo schianto lo aveva proiettato in una nuova dimensione. Ah, già, lo schianto! Chissà quanto tempo era già passato?
Ormai non era certo neppure se dove si trovava il tempo esisteva ancora.

Di colpo la voce.
Non la stava esattamente udendo: la voce stava entrando in lui.
“Marcello.”
Non aveva mai provato paura nella sua vita, la provava ora.
“Chi sei?? Come sai il mio nome?? Dove sono??” – Per la prima volta la sua voce tremava.
“Chi? Dove? Quando? Sono domande che imparerai presto a non fare.”
“Ma…”
“Non chiedere, non pensare, non rispondere. Ora non ha più senso. Ciò che hai sempre saputo, il mondo come l’hai conosciuto per te non esiste più. Questa è un momento per te estremamente delicato, ma io ti aiuterò.”
Marcello udì una specie di fruscio, e lentamente vide il suo corpo riapparire.
Una tenue luce lo illuminava dall’alto. Il cono proiettava un piccolo cerchio sul pavimento scuro ed ovattato. Riusciva a vedere se stesso, ma era intrappolato dal buio a pochi centimetri da lui.
“Ciò che vedi è un’idea del tuo corpo. Dobbiamo parlare, e non voglio che tu sia distratto dalla confusione di questo momento. Vedere il tuo corpo ti ridarà un po’ di lucidità, finché sarai pronto al tuo nuovo stato immateriale”
“Dove sono?”
“Come ti ho già detto il ‘dove’ è un concetto che ti diventerà presto estraneo. Possiamo dire che ti trovi in una dimensione ultraterrena. La cultura della razza umana ha tentato più volte di costruire una leggenda relativa a questo ‘luogo’, e se provi a pensare a come hai condotto la tua vita, forse riuscirai ad immaginare dove potresti trovarti ora.”
Il suo nuovo corpo funzionava: a Marcello si gelò il sangue nelle vene.
“Come sarebbe?. Sono veramente all’…ma esiste davvero?”
“Si Marcello, esiste davvero.”
Eternità. Dannazione. Il terrore più totale pervase Marcello appena la sua mente osò sfiorare questi due termini.
“So a cosa stai pensando” la voce si fece divertita “ed è giusto che tu cominci ad ambientarti…”
Il cerchio di luce intorno a Marcello si allargò rapidamente, rivelando che si trovava in piedi su un disco di pochi metri di diametro. Man mano che la luce si espandeva vide che il disco fluttuava nel vuoto, e che di fronte, ad una dozzina di metri di distanza ve ne era un altro, grande circa il doppio del suo. In piedi di fronte a lui, sul secondo disco, vi era una figura gigantesca, con un manto blu scuro ed un cappuccio.
Non aveva volto, ma Marcello sapeva che lo stava fissando.
La luce continuò ad espandersi, fino a svelare completamente quel luogo: i due dischi erano al centro di una gigantesca sfera, la cui superficie interna era coperta dalle fiamme.
La luce emanata da quell’immenso rogo lo accecò, mentre un calore insopportabile lo avvolgeva in una stretta mortale.
Marcello cadde in ginocchio, prendendosi la testa tra le mani. Le dita affondavano nei capelli mentre i palmi premevano contro gli occhi.
Non era un incubo.
“Alzati!”
Marcello si alzò lentamente, ed ancor più lentamente alzò il capo, cercando con dignità di guardare la figura di fronte a lui.
“E… ora cosa succederà?”
“Sei un uomo molto fortunato. Avrai un occasione che non capita a molti”
Il calore si fece più tenue e Marcello poté tornare a concentrarsi sulla voce.
“Di che si tratta?” – Chiese
“Prima lascia che ti spieghi qualcosa su questo posto” – la voce si era fatta più gentile, quasi rassicurante – “Sulla terra, come ti dicevo, esistono vaghe descrizioni di questo posto. Alle volte le grida dei dannati entrano nei sogni degli esseri umani, trasmettendo delle immagini e delle sensazioni sotto forma di incubi. In questo modo dettagli ed informazioni su questo luogo raggiungono il mondo ed, arricchiti dalla fantasia umana, prendono forma in leggende. Ma ciò che stai per conoscere è stato solamente sfiorato dalla mente umana in secoli di civiltà.
Questo luogo è il male.
Il male è l’anima, il corpo, il cervello, la linfa vitale di questo posto, e non vi è differenza tra il luogo e le entità che lo compongono. Esse sono il luogo, il luogo è l’insieme di esse.
Ma esistono due gruppi di entità: chi è stato il male fa parte di diritto del luogo, per l’eternità, mentre chi ha fatto del male vi sarà imprigionato, e del male sarà, per l’eternità, una vittima dannata.”
Marcello era confuso, ma ascoltava concentrato. Comprendere quanto stava udendo per una mente che fino a pochi istanti prima era umana non era impresa semplice.
“Vedi Marcello…”
Marcello capì che quella doveva essere una delle ultime volte che avrebbe sentito pronunciare il suo nome.
“…esiste un’enorme differenza tra fare il male ed essere il male.
Questo non è un luogo dove semplicemente chi ha fatto del male viene punito, come credono in molti sulla terra. In questo luogo il male regna.
Ma cos’è il male in realtà?
Un modo di essere, una via, una scelta che ricade in ogni azione, l’essenza di un esistenza. Chi avrà sposato questa dottrina una volta giunto qui regnerà. Coloro i quali invece hanno scelto di utilizzare il male, di farne uno strumento per i propri interessi disonorano il male stesso, ed è giusto che siano puniti. Vengono quindi mandati qui a subire la loro condanna: l’eterno supplizio.
Ti chiederai probabilmente chi giudica un’entità, o un anima se preferisci, per condannarla o assumerla al rango di regnante.
E soprattutto ti starai chiedendo in che posizione ti trovi tu.
Sappi che esiste un consiglio dei regnanti, che si riunisce una volta ogni decade terrestre per eleggere un solo nuovo assunto.
Ogni dieci anni infatti ad una sola anima tra i defunti della decade viene concesso questo grande onore: entrare a far parte del consiglio, e regnare per l’eternità.
Sei molto vicino a questo obiettivo.
La decade che si concluderà tra poche ore non ha ancora generato un’entità meritevole di ottenere di diritto tale titolo, ma tu sei colui che fino a questo momento si trova più in alto sulla nostra scala di giudizio del male: dal fare all’essere.
Dovrai però superare un’ultima prova: dovrai tornare sulla terra, per un tempo molto breve, e dovrai guadagnarti gli ultimi gradini della scala. La posta in gioco, come avrai capito, è molto alta. Ricorda le mie parole, ricorda cos’è il male, e sii degno dell’occasione che ti è stata concessa. Sii il male, diventa il male e diventerai anche tu parte di questo luogo. Agisci in fretta, la decade scade stanotte, ed il mondo contiene persone in grado ancora di raggiungerti sulla scala: se una di esse dovesse farcela verrai relegato al ruolo di dannato e la tua eternità sarà assai meno piacevole. Sii il male Marcello. Sii degno”
“Ma..”.
Improvvisamente tutto svanì, e Marcello si sentì piombare violentemente a terra.
Quando riprese conoscenza la sua guancia sfiorava dell’erba umida.

Si alzò lentamente e si guardò intorno. Era buio, diverso però da quello che aveva provato dopo lo schianto. Questa volta era assai meno impenetrabile, e quando i suoi occhi vi si abituarono cominciò ad intravedere delle forme.
Si trovava in un bosco.
Si guardò intorno a lungo, spaesato, incapace di pensare al da farsi. La missione che gli era stata affidata era difficile, ed in palio c’era una posta colossale. Ciò che avrebbe fatto nei minuti successivi avrebbe avuto risvolti non sulla sua vita, ma sulla sua eternità.
Gli parve ad un tratto di vedere una tenue luce, e istintivamente cominciò a camminare in quella direzione.
Dopo pochi minuti raggiunse una strada, ed una macchina sfrecciò davanti a lui.
Era di nuovo nel mondo.
Tutto era reale, l’odore della notte, l’umido della boscaglia, il freddo pungente dell’inverno.
La strada era diritta, e si perdeva nell’oscurità in entrambe le direzioni, senza un cartello od un’indicazione per avere un indizio su dove si trovasse.
Si accorse che probabilmente ulteriori informazioni non gli servivano: dalla strada principale se ne diramava una secondaria perpendicolare, che portava dopo una cinquantina di metri ad una casa. Il bagliore che aveva intravisto in lontananza proveniva dalla grande finestra del pianterreno.
Si avvicinò con cautela, ed in prossimità della casa si nascose dietro ad un cespuglio che gli garantiva copertura ed una discreta posizione per scrutare all’interno. Aveva fatto pochissimo rumore, facilmente confuso con quello prodotto dal vento di quella sera.
La finestra dava su un ampio salone, dove all’interno c’erano due persone. Una terza persona, con una folta chioma di capelli rossi, apparve da un corridoio laterale.
“Un piano, non ho mai agito senza un piano!” – pensò
Non aveva tempo, e nemmeno informazioni. Non poteva fare nessun piano.
“Il male. Devo essere il male. Non mi occorre alcun piano. So di essere all’altezza del mio compito. Devo agire, il male agirà con me.”
Diede un’ultima occhiata verso la strada, assicurandosi che il fragore che sarebbe seguito a breve non potesse essere udito da nessuno, poi estrasse la pistola e la caricò. Dopo una breve occhiata all’ingresso per valutare la consistenza della porta si lanciò verso di essa. La colpì con violenza, mandandola a sbattere contro la parete laterale. Due passi all’interno della casa in direzione degli occupanti della stanza col la pistola alzata e li salutò con un ampio sorriso.
“Buonasera signori.”

Le tre persone balzarono sulle loro poltrone, voltandosi di scatto verso di lui.
Lo spavento per l’improvvisa irruzione divenne terrore quando videro la mano che brandeggiava la pistola puntandola da un lato all’altro della stanza.
Sei occhi spalancati seguivano come un pendolo quel movimento.
“Chi è lei?? Cosa vuole??”
Marcello non rispose. Si limitò a percorrere qualche ulteriore passo dentro la sala fissandoli con suo sorriso di sfida. Un classico del suo repertorio.
“Che diavolo vuole?? Prenda quello che vuole e se ne vada!!”
“Hai detto ‘che diavolo vuole’? Fuochino…..”
Vedendolo avvicinarsi i tre indietreggiarono sulle loro poltrone.
Un elicottero li sorvolò a bassa quota. Il mondo decisamente esisteva ancora.
Si arrestò e volse la testa verso i tre, soffermandosi brevemente su ognuno di loro.
Un uomo, un ragazzo, una ragazza.
Improvvisamente Marcello si voltò per uscire. Appena fu sull’uscio si affacciò verso destra per leggere il nome sul campanello.
“Martini” – disse sottovoce.

Quando si voltò per rientrare vide il più vecchio dei tre, probabilmente il padre degli altri due, che si stava lentamente alzando, con una mano sollevata che puntava verso il telefono sul mobile, poco a destra del televisore.
Uno sparo seguito dallo scroscio dei vetri del televisore immobilizzò i presenti.
Marcello si avvicinò all’uomo con passi lunghi e rapidi, fissandolo con uno sguardo severo.
“Senti caro Martini, qui con me ho un distributore di olive da nove millimetri, vuoi che ti prepari tre aperitivi?”
Strappò il filo del telefono dal muro e dal ricevitore e si diresse dietro il ragazzo seduto di fronte all’uomo, avvolgendogli il collo con il filo.
“Mettiamo in chiaro qualche regola: finché io sarò in questa stanza io sono il vostro dio. Non vi muovete, non parlate, non pensate se non sono io ad ordinarvelo. Sono stato chiaro?!”
L’uomo annuì con un corto e tremante movimento della testa.
“Come ti chiami?” rivolgendosi alla ragazza.
“Roberta”
Estrasse un coltello dalla tasca, lentamente, in modo che tutti lo vedessero. Tagliò in due parti il filo del telefono e ripose il coltello.
“Bene Roberta! Molto piacere di conoscerti.” – Le lanciò i fili. – “Legali, tutti e due! E cerca di farlo bene.”
Roberta obbedì.
“Brava Roberta, ora torna a sederti”.

Per qualche minuto nessuno parlò. I tre familiari fissavano Marcello in attesa di una sua mossa o di una sua parola. Marcello passeggiava per la sala, pensando a cosa fare.
Sapeva che nulla spaventava una persona sotto minaccia delle armi più della sensazione che chi aveva le armi in mano non sapesse cosa fare. Il panico, il disorientamento di un aggressore riduceva di molto le possibilità della vittima di uscirne sano e salvo. Tutte le potenziali vittime avevano questa informazione innata…
Il padre cercò di rompere il silenzio. “Senta…”
“Senti tu Martini senior, non so ancora esattamente cosa ne devo fare voi. Quindi fammi il piacere di non rompere!”
Mentre pensava gli cadde un’occhiata su Roberta. Era carina.
Quanti anni avrà avuto? 18 o 19?
Si rese conto che sarebbe stata l’ultima occasione della sua vita di……
Tanto vale approfittarne. Era un’ottima idea, l’avrebbe tenuta in serbo per più tardi.
L’attenzione di Marcello cadde su una fotografia incorniciata appoggiata sulla mensola sopra il televisore. C’erano cinque persone: i tre che già conosceva, una signora di mezz’età ed una più anziana.
La moglie. Dove si trovava ora? Poteva rientrare da un momento all’altro?
“Chi è questa donna?” – Chiese
“Mia moglie.” – Rispose l’uomo.
“E dove si trova ora?”
“E’ morta due mesi fa.”
Quanti anni avrà avuto l’uomo? Una quarantina? La moglie era morta giovane!
‘Che sia passato da queste parti e non me lo ricordo?’ – Marcello sorrise.
“Com’è morta?”
“Ha avuto un incidente qui in casa, è caduta dalle scale.”
“Ma questa casa ha un piano solo.”
“La scale che portano giù in cantina.”
“E questa signora anziana chi è?”
“Mia madre.”
“Abita qui con voi?”
“E’ morta anche lei, un mese fa.”
“Un altro incidente? Siete un po’ sbadati in famiglia!”
“No, è morta nel sonno.”
Marcello abbandonò la foto e si rimise a passeggiare.
“Prima tua madre, poi tua moglie, ed ora, probabilmente, qualcun altro… non è proprio un buon anno per te questo.”
L’uomo teneva il capo chino. Il suo animo, così provato negli ultimi mesi, sembrava non reggere quella situazione. Un brusio di preghiera proveniva dalla sua poltrona.
“Ti ho detto di stare in silenzio” Marcello pronunciò queste parole con una calma terrorizzante. Nel frattempo si era seduto sul bracciolo della poltrona di Roberta
Giuseppe fece per aprire la bocca. Il braccio di Marcello partì come una catapulta ed il bordo della mano tesa colpì Roberta in pieno volto.
Il rumore delle ossa che si fratturavano echeggiò brevemente nella sala, prima di essere sovrastate dall’urlo di dolore della giovane.
“Con voi bisogna proprio passare alle vie di fatto per farvi capire le cose.”
Mentre Roberta si lamentava Marcello si alzò e ricominciò a passeggiare.
I lamenti della giovane gli ricordarono le urla che udì mentre parlava con l’entità.
Gli sembrò anche di poter sentire il calore di quel luogo sulla pelle.
D’improvviso alzò lo sguardo e sorrise. Sapeva cosa doveva fare, sapeva come poteva dimostrare di essere il male.
Sapeva come poteva adoperare quei tre strumenti che gli erano stati messi a disposizione per compiere la sua missione.
Roberta continuava a piagnucolare tenendosi il naso e lentamente sussurrò:
“La pagherai, bastardo.”
Si voltò avvicinandosi a Roberta ed appoggiandole la canna della pistola sulla fronte.
“Senti signorinella. Questa è una pistola. Sai a cosa serve? Serve a far morire la gente. Sai cosa vuol dire morire? E’ un interruttore che si spegne. Il tuo interruttore, che si spegne e non si riaccende più.
Ora tu ti alzerai lentamente, ti volterai lentamente, e ti dirigerai verso il corridoio, perché io e te abbiamo qualcosa da fare di là. E farai la brava, farai tutto quello che ti dirò io, se non vuoi che i tuoi bei capelli diventino molto più rossi.”
Roberta lo fissava con occhi di ghiaccio, mentre le lacrime solcavano la sua maschera d’odio.
Si riavvicinò all’uomo.
“Ascoltami bene: io adesso andrò di là per un po’, ho qualche cosa da fare.”
Voltò lo sguardo verso Roberta facendole un sorriso.
Lo sguardo di lei si velò di orrore.
“Ma nel frattempo voglio che tu faccia una cosa per me.” – Aggiunse tornando a fissare l’uomo.
“Cosa?” – Disse l’uomo sollevando con fatica il capo.
“Quando tornerò ucciderò uno dei tuoi figli ma…”
Fece una pausa per lasciare il tempo al terrore di invadere l’animo dell’uomo.
“..sarai tu a dirmi quale. Hai qualche minuto per scegliere.”
Giuseppe lo fissava con sguardo perso.
“Ma..perche..come…”
“Non voglio sentire nessun ma e nessun perché! Quando tornerò qui tu mi darai la risposta, altrimenti li ucciderò entrambi”.
Marcello non aveva intenzione di ucciderli tutti. Non rientrava nei suoi piani e soprattutto non serviva allo scopo della sua diabolica missione.
Ma occorreva che Giuseppe lo pensasse.
“Non farò mai una cosa del genere!” – Disse l’uomo tra le lacrime.
“Senti amico, lascia che ti riepiloghi la situazione: uno dei tuoi figli è già morto. Quando tornerò qui lo ucciderò. Se tu non mi indicherai quale sappi che anche l’altro morirà.
E sarai stato tu ad ucciderlo.
Non te lo ripeterò un’altra volta, non voglio più sentire una parola fino al mio ritorno, e voglio che tu faccia quello che ti ho chiesto. E vedrai che, se farai il bravo, tra qualche anno ci sarà un figlio unico che verrà a trovarti all’ospizio.”
Prese Roberta per i capelli e la trascinò verso il corridoio.
Fermandosi sulla soglia si voltò: Il ragazzo scuoteva la testa china e singhiozzava. Il padre si guardava intorno con gli occhi spalancati ma ormai privi di luce, di chi si sente addosso il peso di un’angoscia inumana.
“Coraggio bellezza, lasciamoli soli, il tuo paparino ha qualcosa a cui pensare.”

Il tempo sembrò fermarsi nella casa.
Per interminabili minuti il silenzio fu ripetutamente infranto dalle urla di disperazione di Roberta, coperte solo da quelle di piacere di Marcello.
Ogni grido della figlia faceva contorcere l’uomo come avesse ricevuto una pugnalata.
Una manciata di secondi di silenzio e Roberta ricomparì dal corridoio gattonando.
Da dietro Marcello la spingeva con un piede.
“Muoviti!”
Roberta singhiozzava e si trascinava lentamente sulla moquette. Appena giunta sul bordo degli scalini che conducevano alla parte ribassata della sala si lasciò cadere. Marcello la spinse con un calcio, Roberta rotolò per i tre scalini e piombò supina a pochi passi dai suoi familiari. Tossiva e respirava affannosamente, non sanguinava più solo dal naso.
Marcello si rivolse all’uomo, che dagli occhi sprigionava una miscela inumana di odio e paura.
“Spero che tu abbia fatto la tua scelta, la vita di UNO dei tuoi figli dipende da te.”
“No, non posso… Non puoi… non puoi chiedermi una cosa simile! Un padre non può scegliere uno dei suoi figli!!”
“Amico, finché continui a blaterare in questo modo io percepisco una sola risposta, vale a dire ‘uccidili entrambi’! Sei sicuro che sia proprio questo che vuoi?”
“No, ti prego”
“Pregare, ti assicuro, non è proprio indicato, visto la situazione” – sorrise – “facciamo come nei film: conto fino a tre. Uno…”
L’uomo singhiozzò.
“Due…”
“Risparmia lei!”
Marcello lo scrutò con un’espressione perplessa.
“Avrei preferito tu mi dicessi ‘Ammazzalo!’ oppure ‘Falle saltare le cervella!’ ma comprendo il tuo stato d’animo come dire… ’particolare’ e ti do buona la risposta!”
Il ragazzo alzò la testa di scatto verso il padre. “No! Bastardo!”
“Figlio mio…”
“No, maledetto! Non voglio morire!”
“Silenzio!” Marcello ristabilì l’ordine nella casa.
Poi rivolgendosi ai due giovani: ”Cari ragazzi, volete farvi un ultimo salutino?”
Il ragazzo piangeva con la testa chinata sul petto. Roberta giaceva immobile.
Marcello scese i tre scalini e sollevò la testa di Roberta per i capelli.
“Guarda il tuo fratellino per l’ultima volta.”
La sollevò fino all’altezza della sua vita, e le puntò la pistola alla testa.
Gli occhi della ragazza erano semichiusi, e il rantolo che emetteva respirando echeggiava nella stanza.
Il padre lo “No, ho detto di salvarla! E’ lei che devi risparmiare!!” – Urlò il padre.
“Taci maledetto! Io non voglio morire!!” – Singhiozzava il giovane
Marcello si chinò, diede un bacio sui capelli alla ragazza.
“Grazie piccola, mi hai fatto proprio divertire.”.
Il padre cercò con gli occhi sua figlia, ma non riuscì a tenere lo sguardo e si voltò verso la parete bianca alla destra di lei.
Uno sparo echeggiò nella stanza. Il padre istintivamente chiuse gli occhi per un istante, quando li riaprì la parete bianca era coperta da lunghe strisce rosse.
Abbassò lo sguardo: la testa di sua figlia, dal mento alla fronte, non esisteva più.
Il corpo piombò a terra, mentre i capelli rimasero in mano all’assassino, che li gettò verso la pianta all’angolo.
“Perché… perchè? Ti avevo detto di risparmiarla!” – Gridò l’uomo tra le lacrime.
“Lo so, è per questo che l’ho uccisa.”
“Cosa..”
“Tu non sai chi sono io! Non conosci la mia missione! Ma puoi vedere con i tuoi occhi che l’ho portata a termine con pieno successo. In pochi minuti ho distrutto la vita di tre persone. Hai perso tua moglie, sei stato la causa della morte di tua figlia, e l’unica persona che ti è rimasta accanto ti odierà per sempre, perché sa che tu lo avresti sacrificato. Se vuoi puoi toglierti la vita, ma dubito che avrai il coraggio di farlo. Secondo te un uomo può fare tutto questo? No amico, un uomo non può. Solo il Male può!”
Ma l’uomo non lo sentiva più, aveva perso i sensi.
Marcello scostò la porta che penzolava da un solo cardine ed uscì.
Camminò nel bosco e in pochi secondi si trovò nello spazio verde nel quale era giunto. Ebbe l’impressione di averci impiegato molto di meno al ritorno che all’andata, ma non ci fece troppo caso. Si sdraiò e chiuse gli occhi.
Il suo corpo cominciò nuovamente a dissolversi ed il buio era calato di nuovo, ma stavolta non lo intimoriva. Sapeva di avercela fatta: era stato grande, era stato il male. Era felice, ciò per cui aveva vissuto gli stava per regalare l’eternità.
L’oscurità cominciò a diradarsi rapidamente scoprendo il disco fluttuante, la sfera infuocata ed il secondo disco di fronte a lui.
“Bentornato Marcello.” Lo salutò la voce dal mantello blu.
Questa volta l’entità non era sola.

Mentre assaporava la propria vittoria, orgoglioso di se stesso e di come aveva portato a termine la sua definitiva missione, pensava a Roberta, al piacere che aveva tratto dal suo corpo giovane ed innocente, ai suoi morbidi capelli, che ad occhi chiusi sfregando le dita della mano gli sembrava di poter ancora accarezzare.
Aprì gli occhi e di nuovo il sangue di quel corpo immateriale gli si gelò:
Roberta, in piedi sul disco accanto all’entità col mantello, lo fissava sorridendo.
“Ma tu che cazzo ci fai qui??” Chiese Marcello inorridito.
“Mi ci hai spedito tu! Già te lo sei dimenticato?”
“Ma… come fai ad essere qui?”
“Caro mio, ci sono tante cose che non sai! Secondo te come è trapassata la mia povera mammina? Chi l’ha spinta giù dalle scale ed è scesa di corsa per fissarla mentre crepava? Hai mai visto morire qualcuno con l’osso del collo spezzato? Non immagini il terrore nei sui occhi quando sente di non poter più respirare ma ha ancora qualche istante per pensare alla propria morte. Ed il rantolo che emette la sua gola contorta dalle fratture? Nell’ultimo respiro di un moribondo puoi proprio sentire l’anima che si fa largo per fuggire da un corpo che non la trattiene più. Ed è proprio il momento in cui gli occhi perdono la loro luce, ma rimangono a fissarti ed a porti delle domande. Domande sensate sai? Tipo “se sono stata io a darti la vita, perchè ora tu mi dai la morte?”. Ti viene voglia quasi di provare a rispondergli ma ormai…”
“Tu hai fatto questo?!?”
“Certo, E che dire della la mia povera nonnina! Solo che in quel caso hanno creduto che fosse soffocata nel sonno! In un certo senso è stato così, sai com’è, non si respira bene con un cuscino pressato sulla faccia! Povero papà che aveva scelto me per tentare di salvarmi!
Se avesse saputo che lui sarebbe stato il prossimo!”
Al pensiero della domanda che stava per fare Marcello venne invaso dal terrore.
“E.. perché si trova su quel disco??” Rivolgendosi all’entità con il mantello.
“Ma dai!” – Rispose Roberta – ”Ancora non ci sei arrivato? Ancora non hai capito chi è il malvagio della decade?”
“Tu?!??!”
“Già proprio io! Sei proprio stupido! Tu mi hai chiesto se sapevo cosa voleva dire morire. Certo che lo sapevo, bello mio. Sapevo dagli occhi delle persone che ho ucciso cos’è il momento nel quale si spengono i tuoi sogni, i tuoi affetti, il momento in cui tutto quello che hai fatto nella tua vita, i posti che hai visto, le persone che hai incontrato, per te svaniscono per sempre. Finché non hai provato questa esperienza non potrai mai essere il male.
Ma per te è troppo tardi.
Cos’avresti fatto per meritarti questo posto? La patetica scenetta di poco fa, con tanto di monologo strappalacrime? E sentiamo un po’: perché prima ti sei comportato così? Per cattiveria o per la promessa di un premio finale? E sì che ti avevano istruito bene su cos’è la crudeltà, ma tu eri troppo accecato dal desiderio del potere che ti avevano promesso. Ti sei comportato abbastanza bene, ma purtroppo per le ragioni sbagliate!
E adesso hai perso.
Sei stato bravo, ma io ti ho battuto, e ora tocca alla piccola Roby divertirsi un po!”
Spero ti sia goduto quell’ultima scopata, perché da ora per te le cose non saranno affatto piacevoli…..”

Marcello voleva gridare, ma non aveva voce. Voleva piangere, ma non aveva più occhi.
Il suo corpo ricominciò a dissolversi, stavolta per sempre.
Le sue ultime sensazioni, prima di essere dominato dal dolore e dalle urla dei dannati, furono le risate di Roberta ed il vorticoso precipitare verso le fiamme eterne.
 
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