Un Mondo Accanto

Le divinità vegetali tra sciamanesimo e magia, Etnobotanica, vegetali enteogeni, le chiavi d'accesso al mondo degli spiriti

« Older   Newer »
  Share  
Lenoire
view post Posted on 9/4/2013, 21:27     +1   -1




“Lo stato normale della nostra coscienza è semplicemente un prodotto provinciale della nostra civiltà meccanizzata occidentale. Possiamo benissimo considerarlo come il tipo di coscienza in cui la nostra civiltà ammaestra gli individui, ma esistono altri tipi di coscienza altrettanto validi, ognuno con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi”
Le Shan


“Se si pulissero le porte della
percezione, tutto si mostrerebbe
all’uomo tal com’è, infinito”
W. Blake


shamano


In moltissime civiltà e culture, nelle più diverse parti del mondo, alcune specie vegetali dalle proprietà psicoattive sono da sempre considerate sacre – o addirittura Divinità vegetali – in quanto permettevano alla figura del sacerdote-sciamano di alterare ed espandere il proprio stato di coscienza al fine di comunicare con il Divino o con il Mondo degli Spiriti.

Il termine “enteogeno“ è stato coniato agli inizi degli anni ’70, quando, con gli studi di R. Graves , G.T. Wasson e A. Hofmann, si è iniziato a compiere studi approfonditi in etnobotanica, cioè gli studi di tutte le specie vegetali contenenti particolari principi attivi in grado di indurre la profonda sensazione di comunione, stretto rapporto e/o interazione con la Divinità.
La parola enteogeno deriva dalla somma di tre termini di greco antico: “en”= dentro, “theo”= divino, “gen”= diventare, ovvero: “DIVENTARE DIVINI DENTRO”.

Nell’antichità, l’uso di droghe a scopo religioso o rituale era una pratica comune e diffusa, e in alcune parti del mondo questa tradizione viene ancora portata avanti (anche se si devono fare i conti con le leggi e la concezione moderna a proposito dell’uso di droghe vegetali a scopo sacramentale)

Gli allucinogeni pervadevano e pervadono tutt’ora ogni aspetto della vita delle società di stampo più arcaico: guerra e pace, caccia e agricoltura, pioggia o siccità, nascite e morti, ma soprattutto salute e malattia sono considerate il risultato di forze divine e/o spiritiche.

Di conseguenza ogni “medicina” che può trasportare lo sciamano nella “realtà non-ordinaria” viene considerata migliore di una con effetti solamente fisici. Queste particolari specie vegetali (di cui il Peyote è sicuramente l’esempio più esplicativo) altro non sono che chiavi, in grado di permettere l’accesso al mondo sottile abitato dagli spiriti e dalle potenze divine.


Brevemente faremo un viaggio per conoscere, continente per continente, solo alcune di queste piante -divinità, il loro contesto cerimoniale e le diverse metodologie con cui venivano o vengono tutt’ora assunte.



I misteri Elusini: la bevanda Kykeon, un mistero irrisolvibile?

In Grecia, tra il XV secolo a.C. e il IV secolo d.C., ad Eleusi, nei pressi di Atene, venivano celebrati i Misteri Eleusini, dei riti sacri in onore di Demetra, Dea dei cereali e dell’agricoltura.
I Misteri erano suddivisi in Piccoli e Grandi; questi ultimi si svolgevano nei mesi di settembre-ottobre, duravano 9-12 giorni e si tenevano nel Telesterion, la parte più interna del tempio di Eleusi.

Durante queste celebrazioni, veniva servita ai partecipanti una bevanda dalle proprietà allucinogene, il Kykeon, - citato da Eraclito – i cui ingredienti principali erano: acqua, menta e orzo.
Si è molto discusso e si discute ancora riguardo a quale fosse il componente attivo usato durante questi riti, e attualmente sono due le ipotesi che dividono il mondo degli etnobotanici: l’ipotesi ergotica e quella psilocibinica.

La prima ipotesi (ergotica) nasce nel 1977 dagli studi di Wasson, Hoffman e C.A.P. Ruck e sostiene che il misterioso ingrediente del Kykeon fosse la Claviceps Purpurea (famiglia Clavicipetacee), comunemente chiamata Segale Cornuta o Ergot, un parassita fungino delle Graminacee, famiglia a cui appartiene anche l’orzo.
L’Ergot, oltre all’ acido lisergico (sostanza da cui principalmente deriva l’Lsd), contiene 12 tipi di alcaloidi indolici, suddivisi in 3 gruppi: quello dell’ ergotamina, dell ergotossina e dell’ ergobasina.

A sfavore di questa teoria vi sono però alcune sperimentazioni scientifiche (I.Valencicanni
’90) che attestano l’impossibilità nel preparare una bevanda allucinogena tramite gli sclerozi dell’Ergot. Questo perché sono presenti nel fungo troppi principi tossici, il cui effetto sovrasterebbe di molto il blando effetto psicotropo, e le fonti giunte fino a noi testimoniano un’azione potente, ma piacevole. A questa obiezione è comunque possibile ribattere che sono state fatte sperimentazioni solo sull’assunzione di un
unico principio attivo isolato, mentre l’assunzione del vegetale nella sua interezza potrebbe avere effetti molto diversi grazie all’interazione sinergica dei diversi componenti. Inoltre potrebbe anche essere
possibile che gli Antichi Greci avessero trovato il modo per ovviare a questi effetti collaterali,
quali un’azione di filtraggio o l’aggiunta al composto di una pianta additivo, come ad esempio l’Oppio (così come la Menta potrebbe essere stata aggiunta per le sue proprietà antiemetiche).

Un’altra obiezione nasce dal fatto che ai Grandi Misteri erano ammesse anche le donne, quando è ben risaputo che la Claviceps Purpurea esercita una potente azione abortiva.

In realtà, la diversa proporzione tra i principi attivi di una pianta varia da zona a zona e da annata ad annata, e nel caso dell’Ergot anche da pianta ospite a pianta ospite, quindi si potrebbe ipotizzare che nella
zona di Eleusi crescesse dell’ Ergot il cui contenuto di alcaloidi dalle proprietà psicotrope fosse elevato mentre quello dei principi attivi “disturbanti” decisamente più ridotto. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui le celebrazioni non si sono mai estese al di fuori di quella zona.
Vi sono altri motivi che rendono l’ipotesi ergotica la teoria attualmente più accreditata:
La Claviceps Purpurea è un parassita che colpisce le Graminacee, e uno degli ingredienti principali del Kykeon è l’orzo; cereale appartente a questa famiglia.
Senza contare che i Misteri Elusini erano dedicati proprio alla Dea dei cereali e uno degli appellativi di Demetra era Erysibe, ovvero Ergot.

Vi è poi la presenza di un vaglio come strumento rituale. Il vaglio era un attrezzo utilizzato in erealicoltura per selezionare le granaglie, e in questo caso sarebbe stato indispensabile per separare i chicchi normali
da quelli colpiti dal parassita fungino.
In più, nelle fonti scritte, compare spesso il termine “spiga fiorente”, che potrebbe riferirsi a una spiga da cui fuoriescono gli sclerozi dell’Ergot.

Per una corretta analisi approfondita bisogna prendere in considerazione il termine “Kykeon”, il cui significato è legato all’atto di mescolare. Se nella bevanda rituale fosse stata presente della polvere di sclerozi di Ergot, mescolare sarebbe stato di fondamentale importanza, in quanto questa, quando non è avariata, tende sempre a rimanere a galla.

L’ipotesi psilocibinica, che è precedente, nasce invece negli anni ’60 dagli scritti di R. Graves e dalla sua collaborazione con G.T. Wasson.
Inizialmente questa ipotesi verteva sull’utilizzo del fungo Amanita Muscaria, ma con il passare degli anni l’ attenzione di Graves si orientò verso altri tipi di fungo, del genere Psilocybe o Panaeolus, contenenti gli alcaloidi indolci psilocybina e psilocina.
Attualmente il più noto sostenitore di questa tesi è lo studioso sloveno I. Valencic.

Al contrario dell’ipotesi ergotica, l’ipotesi psilocibinica è stata elaborata sulla base esclusiva di documenti iconografici; come l’Urna Lovatelli, un vaso funebre riconducibile al II secolo a.C. Su questo reperto è rappresentato un rituale dei Misteri Eleusini in cui sono presenti delle forme simili a capsule da Papavero da Oppio, ma rese in forma fungina.
La perplessità riguardo queste misteriose forme deriva dal fatto che l’Oppio, nell’Antica Grecia, era ben conosciuto e solitamente riprodotto con esattezza; di conseguenza è stato ipotizzato che si potesse trattare di un fungo con le stesse proprietà enteogene del Papaver Somniferum.

Un altro importante riferimento è il Bassorilievo di Farsalo, databile intorno al V secolo a.C., dove sono rappresentate Demetra e Persefone mentre tengono in mano qualcosa di molto somigliante a un fungo.

eleusi-ariballo

(Ariballo corinzio con raffigurazione di una figura femminile che tiene in mano una pianta di papavero da oppio e sta di fronte alle due dee eleusine Demetra e Core. Museo Nazionale d’Atene, cat. 287 (Callipolitis-Feytmans, 1970, fig. 7, p. 56)


Ciò che però rende poco attendibile questa teoria (almeno secondo il mio parere) è il fatto che in Grecia sono presenti pochissime varietà del genere Psilocybe, e quelle che ci sono non possiedono proprietà psicoattive di interesse rilevante. Inoltre, questi funghi sono generalmente piccoli e poco vistosi, il che avrebbe reso difficoltosa la raccolta, tenendo conto che ne era necessaria una grande quantità (si stima infatti che ai Grandi Misteri partecipassero più o meno 2000 persone) a scadenze regolari; senza contare che le specie fungine non crescono sempre nella stessa zona e nello stesso periodo, come invece avviene per le piante. Infine, il clima caldo e secco delle estati greche non è certo idoneo a una generosa proliferazione di funghi; anche se studi recenti di J.Gartz suggeriscono che gli Antichi Greci avessero conoscenze botaniche sufficienti per poter intraprendere una coltivazione forzata di queste specie vegetali.

Vi sono poi altre ipotesi di interesse minore, le quali sostengono che il misterioso ingrediente del Kykeon potesse essere il Loglio (Lolium temulentum), la Ruta siriana (Peganum Harmala), o le capsule di
semi del Papaver somniferum, pianta comunque presente nell’iconografia dei Misteri Elusini.

Un’altra teoria ritiene, invece, che la ricetta ci sia giunta incompleta e che quindi questo mistero non verrà mai risolto....


Il Vischio dei Druidi
La pianta della conoscenza


Il Vischio (Viscum Album – fam. Lorantacee), era, insieme alla Quercia, una delle piante più sacre per le popolazioni celtiche e veniva chiamata Oloaiacet o Tinne.
Per i druidi simboleggia la resurrezione e la sopravvivenza della vita alla morte (in quanto rimane verde, e quindi visibilmente vivo, anche in inverno)

Questa pianta sacra ai Druidi era usata specialmente nelle cerimonie volte a celebrare la sopravvivenza dello spirito alla morte fisica, poiché il fatto che il Vischio fosse un parassita vegetale che cresce sugli alberi, anziché a terra, suscitava nei Celti un fascino e un’adorazione del tutto particolari.

Da attenti osservatori della natura alla quale si rifacevano completamente per la loro spiritualità, notarono che il ciclo vitale di questa pianta non tocca mai il terreno perché gli uccelli si cibano delle sue bacche e solo successivamente le trasportano da un albero all’altro; inoltre germogliano solo i semi dei frutti che cadono sui rami mentre, ciò non accade per quelli che cadono a terra.

Questa vita completamente aerea veniva associata ad una delle più spettacolari, misteriose e potenti espressioni divine nel mondo terreno .

Contesto cerimoniale del vischio

Si credeva nascesse là dove era caduta una folgore; il Vischio quercino era quindi considerato il più sacro in assoluto in quanto, oltre ad essere molto raro, la Quercia era considerata l’albero dedicato al Dio dei cieli e su di essa cadono spesso i fulmini.
Veniva raccolto con una complessa cerimonia che si teneva intorno al solstizio d’inverno, e che cadeva sempre il sesto giorno di luna crescente. La descrizione maggiormente attendibile di questo rito ci viene fornita da Plinio il Vecchio nel suo famoso “Naturalis Historia”.

Ai piedi dell’albero venivano allestite una serie di offerte, poi un druido saliva poi sui rami più alti, e con un falcetto d’oro tagliava i ramoscelli di Vischio, che venivano raccolti “al volo” in un telo bianco retto da un altro sacerdote, a terra. Quindi, due tori bianchi con le corna legate per la prima volta venivano sacrificati agli Dei, con la preghiera di rendere il dono propizio a coloro cui l’avevano accordato. Il Vischio così raccolto veniva principalmente impiegato nella preparazione di rimedi fitoterapici volti a stimolare la fecondità (probabilmente perché le bacche secernono un liquido biancastro simile al fluido seminale) e di antidoti contro i veleni.
( L’importanza presso i Celti dell’uso medicinale di questo vegetale si può ben comprendere studiando le leggende sulle mitiche pozioni di Airmed, grandissima erborista figlia del dio della medicina Dian Cecht.)

Con le bacche di questa pianta si preparavano inoltre pozioni volte a favorire l’ alterazione dello stato di coscienza dei sacerdoti prima della trance profetica o prima di viaggi sciamanici, spesso in associazione con Giusquiamo o Amanita Muscaria.

Le perlacee drupe del Vischio contengono infatti viscumina, un alcaloide in grado di provocare allucinazioni, alterazioni psichiche e della percezione di spazio e tempo, oltre che convulsioni, dilatazione pupillare, diminuzione dei battiti cardiaci anche fino al collasso.
Quest’azione psicoattiva veniva spiegata dai Druidi attraverso la credenza che il Vischio fosse in grado si estrarre la linfa della pianta ospitante, assorbendone la positività e il sapere; quindi, concentrando il succo delle bacche, si poteva ottenere una bevanda in grado di donare la conoscenza.


La stregoneria medioevale
e le sue piante enteogene


Fu Paracelso a intuire per primo la connessione tra il mito del volo al Sabba e le componenti psicoattive contenute nei famosi “unguenti delle streghe” o “unguenti del volo”, grazie alla ricetta riportata da P.A. Mattioli, ripresa poi da da G. Della Porta nel suo Magia Naturalis; ma ancora oggi non convince la maggior parte degli studiosi del periodo.

La difficoltà nello stabilire questa connessione è molto probabilmente da imputarsi al fatto che, negli atti dei processi, gli inquisitori sottolineavano gli ingredienti più “macabri” dell’unguento (come il grasso di bambino non battezzato) e accennavano solo di sfuggita alle “erbe delle streghe”.
Questo perché la classe medica del tempo, prerogativa degli uomini e degli ecclesiastici, non voleva certo far sapere in giro che delle donne, spesso povere e poco colte, avevano in realtà una vasta e abbastanza corretta conoscenza dei rimedi naturali. (ottenute a mio parere dalla loro forte connessione con la natura, la quale “parlava” e “sussurrava” loro come ottenere ciò di cui avevano più bisogno dalle infinite celle della natura)

Nonostante questa ipotesi possa realmente spiegare molte testimonianze che ci sono pervenute attraverso i documenti dei processi della “Santa” Inquisizione, che fino a poco tempo fa erano considerate solo bugie
dette per accontentare i giudici, o, alla peggio, deliri causati dalla tortura e dalle terribili condizioni di detenzione; molti studiosi sono ancora scettici a questo proposito.

In realtà, anche se effettivamente alcune parti possono essere invenzioni di menti disturbate, visioni provocate dal dolore e dalla debilitazione, o rivelazioni fatte al solo scopo di salvare la propria vita, mai si è potuto spiegare il motivo per cui molte di queste testimonianze sono così simili tra loro e dettagliate.
Al contrario, ipotizzando che le presunte streghe assumessero alcune specie vegetali dalle proprietà
psicoattive contenenti principi attivi simili, si spiegherebbe in modo chiaro il motivo per cui molte esperienze descritte hanno spesso punti in comune tra loro.
Nonostante ciò, alcuni studi continuano a sostenere che le piante in questione (le più comuni sono Aconito e Belladonna), se applicate localmente sulla pelle, non possiedono un’azione così potente da giustificare le esperienze descritte.
In realtà, molti degli alcaloidi presenti in queste piante sono ben assimilati anche per via epidermica se veicolati in lipidi animali, e tra gli ingredienti dell’unguento erano presenti grassi di origine animale, come ad esempio la sugna.

In epoca Medievale, l’igiene era decisamente scarsa e la maggior parte della popolazione soffriva di dolorosi disturbi della pelle.
Le “piante delle streghe” hanno notevoli proprietà analgesiche e cicatrizzanti; per cui è anche plausibile che l’unguento del Sabba venisse alle volte prescritto per alleviare il dolore e favorire la cicatrizzazione della ferita, e come “controindicazione” portasse ad avere potenti allucinazioni.
(i principi attivi psicotropi agiscono in modo più potente se applicato sulla carne viva piuttosto che sulla pelle intatta in quanto entrano più velocemente e in modo più diffuso nella circolazione sanguigna).

Questo spiegherebbe il motivo delle numerose testimonianze di voli notturni verso “il Gioco”, nonostante sia altamente improbabile che tutte le persone coinvolte fossero streghe, sciamane o anche, semplicemente, Herbane (coloro che conoscevano i segreti e gli impieghi delle piante in medicina)
Quello che resta da definire è se queste donne utilizzassero consapevolmente o inconsapevolmente piante come la Belladonna, venisse fatto a scopo “ludico” o se invece era pratica rituale derivata da una radice pagana - sciamanica mai del tutto scomparsa.

Se il discorso sulle controindicazioni dell’uso terapeutico, tende ad avvalorare la tesi dell’uso inconsapevole; la testimonianza della pratica di cospargere un bastone con l’unguento e poi “cavalcarlo” (pratica da cui deriva il comunissimo cliché della strega che vola a cavallo della scopa) in modo da permettere alle mucose genitali (ricche di vasi sanguigni ) di assorbire velocemente i principi attivi dalla proprietà allucinogene, ci porta comunque a tenere in considerazione la possibilità di un uso davvero consapevole. Anche se è possibile ribattere che sicuramente queste donne medievali non avevano le nostre attuali conoscenze di anatomia, resta il fatto che la pratica esisteva; e l’atto di cospargere un bastone con l’unguento a mettercisi cavalcioni con lo scopo di “viaggiare” nello spazio e nel tempo è sicuramente intenzionale.

Le piante che più comunemente venivano impiegate nella preparazione di questi unguenti, presentano le seguenti caratteristiche:


L’Aconito (Aconitum Nepellus- fam. Ranuncolaceae):

è uno degli ingredienti principali in molte ricette di “unguenti del Sabba”, contiene aconitina, uno degli alcaloidi più tossici presenti in Natura, che vengono assorbiti anche attraverso la pelle.
La sua assunzione provoca stati allucinatori, diminuizione della pressione arteriosa, stordimento e rallentamento del battito cardiaco e della respirazione.
Sacro alla Dea Ecate, la mitologia lo vuole nato dalla bava di Cerbero e portato sulla terra da Ercole presso Acone, il porto della città di Eraclea in Bitinia. Secondo un altro mito, l’Aconito sarebbe dato dal sangue
caduto dal fegato di Prometeo mentre veniva dilaniato da un’aquila.


La Belladonna (Atropa Belladonna- fam. Solanaceae)

È un’altra delle piante che spesso compare nei ricettari medievali come componente dell’unguento
del Sabba. Contiene alcalodi del gruppo dell’atropina, della scopolamina e della iosciamina, che se assunti per assorbimento epidermico provocano sonno profondo, sensazione di ubriachezza, di volare nell’aria e di danzare freneticamente.
Altri sintomi tipici dell’assunzione di questa pianta sono: aumento dei battiti cardiaci, broncodilatazione e depressione delle terminazioni nervose.
Il professor W. E. Peukert, negli anni ’60, fece un esperimento il corpo con un unguento a base di Belladonna (descritto da G. Della Porta nel suo Magia Naturalis) cadde in un sonno lungo e profondo e ne riemerse raccontando di avere avuto visioni del tutto simili a quelle descritte dalle streghe medioevali.

(L’Atropa Belladonna prende il nome da una delle tre Parche, Atropos, colei che taglia il filo delle vite umane e nel linguaggio dei fiori simboleggia il Silenzio, certamente un attributo della morte. E’ inoltre sacra a Bellona, Dea romana della guerra.)


L’ Elleboro nero (Helleborus niger - fam. Ranuncolaceae)


Della famiglia delle Ranuncolacee contiene l’elleborina, un glucoside che, a basso dosaggio, ha proprietà narcotiche e lievi effetti psicoattivi. Secondo Paracelso, la radice polverizzata di questa pianta (chiamata anche “capelli di strega”) entrava a far parte dell’unguento del Sabba per rendere le streghe
invisibili mentre si recavano ai loro raduni. In effetti l’elleborina possiede notevoli proprietà antisettiche e narcotiche e per questo è simbolicamente legata alla capacità di rendersi invisibili.
Sacra a Ecate, veniva anche impiegata nelle fatture per rovinare il buon nome di qualcuno.


Il Giusquiamo (Hyosciamus niger - fam. Solanaceae)


Contiene vari tipi di alcaloidi tra cui la scopolamina e la iosciamina.
L’assunzione di questa pianta provoca la perdita del controllo sulla propria mente, delirio, allucinazioni
visive e sensazione di volare.
Per i Celti era sacro al Dio Belenus, mentre nell’Antica Grecia veniva usato da sacerdoti, sacerdotesse e pitonesse per favorire lo stato di trance.


La Mandragora (Mandragora Officinarum /M. Autumnalis /M. Caulescens - fam. Solanaceae)


è stata considerata la pianta sacra per eccellenza per via della sua radice antropomorfa.
E’ probabilmente la pianta più usata durante il Medioevo per scopi magici (soprattutto per rendersi invisibili) e la sua raccolta richiedeva un rituale molto complesso. Si narrava infatti che la radice, nel momento in cui veniva estratta dal terreno, producesse un grido così terrificante da far impazzire chiunque lo udisse.
Contiene diversi alcaloidi (iosciamina, ioscina, mandragorina, atropina, ragorina, piridina, scopoletina e pseudoiosciamina) che provocano l’aumento delle pulsazioni cardiache, producono effetti di eccitazione
psicomotoria e psichica, manifestazioni di riso convulso e stati deliranti. Una pozione a base di Mandragora veniva inoltre somministrata alle Menadi, le sacerdotesse dei culti dionisiaci. Questa pianta è anche sacra alla Dea Afrodite (in quanto si dice che possieda proprietà afrodisiache).

Lo Stramonio (Datura Stramonium - fam. Solanaceae)

chiamato anche “erba del diavolo”, è una varietà di Datura i cui semi contengono daturina,
un alcaloide che provoca perdita di memoria, stupore psichico, aggressività incontrollata, ebbrezza lucida, sete intensa, dilatazione delle pupille, allucinazioni e delirio.
Le allucinazioni iniziano circa 2-3 ore dopo l’ingestione (o dopo l’applicazione sulla pelle) e possono protrarsi per diversi giorni. E’ sacra a Ecate in quanto i suoi fiori si aprono solo di notte e nell’antica Grecia era usata dall’ oracolo del tempio di Delphi per favorire gli stati profetici.
In altre parti del mondo, diverse varietà di Datura (come la D. Innoxia in Sud America) vengono considerate e utilizzate come piante sacre.



ASIA
Oppio - Hynos, Thanatos e Nyx


L’oppio è una sostanza che si estrae dalle capsule dei semi del Papavero Orientale (Papaver
Somniferum – Fam. Papaveraceae) che in Asia cresce spontaneo.

Praticando delle incisioni longitudinali su di esse prima che abbiano raggiunto la maturità, ne cola un succo lattiginoso che, una volta indurito, diventa l’oppio grezzo, che successivamente viene fatto fermentare con l’uso di un fungo, l’Aspergillus Niger, fino a diventare Chandoo o Maddok o Tschandoo, cioè l’oppio pronto
per essere consumato. Contiene diversi alcaloidi, tra cui: morfina, codeina, papaverina, laudanina, narcotina.

L’oppio è conosciuto è usato fin dalla più remota antichità; i Sumeri, ad esempio, lo impiegavano
in bevande narcotiche e lo chiamavano Hull Gill, pianta della gioia. Questo è stato recentemente confermato dal ritrovamento, nella città sumerica di Uruk, nella Bassa Mesopotamia, di alcune tavolette di argilla a scrittura cuneiforme dove gli ideogrammi GIL e HULL significano rispettivamente “papavero”
e “gioia-ebbrezza”.
Anche gli Assiri conoscevano l’oppio , come testimonia un bassorilievo della dinastia Téglathphalazar che rappresenta un sacerdote e un re ornati di fiori di loto e di papavero, chini su un uomo addormentato.

In Cina era addirittura conosciuto fin dal terzo millennio a.C., ma cominciò a diffondersi soltanto verso il XII attraverso un dolce a base di oppio che veniva consumato in occasione di alcune festività.
Dal XVII secolo i Cinesi, diversamente dai Turchi che lo bevevano o lo mangiavano, presero l’abitudine di fumarlo mescolato a tabacco, e dal 1630 da solo, dopo un emendamento imperiale che vietava l’uso del tabacco. In Cina l’oppio si diffuse molto più che in altri luoghi perché trovò il terreno culturale adatto: il taoismo, una religione in cui il fine principale è l’astrazione dello spirito e in cui viene predicata l’inattività, il riposare immobili, indifferenti e felici per permettere al Tao di agire. Gli effetti dell’oppio portano esattamente a questo stato di coscienza, una rilassatezza totale in cui niente può turbare la mente o lo spirito. Per questo motivo, l’oppio si diffuse in maniera esagerata tra tutte le classi sociali, finchè l’eccessiva richiesta non sfociò nella nota Guerra dell’Oppio (1839-1842).

Grazie agli scambi commerciali, l’oppio era conosciuto anche nella civiltà Egizia, dove era dominio dei Collegi sacerdotali ed era denominato Shepen. Venne importato dalla Mesopotamia fino a che, nel 1500 a.c., non venne iniziata la sua coltivazione in loco. Anche nell’Antica Grecia era noto fin dai tempi pre-omerici, dove era conosciuto con il nome di Nephentés (da “ne”, privativo e “penthos” pena). Era sacro a Hypnos, il sonno, Thanotos, la morte e Nyx, la notte.
Come si è detto precedentemente veniva forse impiegato nei Misteri Eleusini, e per favorire la trance durante gli oracoli di Delfi e di Dodona. Nel mondo romano, il Papaver somniferum giunse solo dopo la conquista della Grecia, e vi sono degli accenni ad esso negli scritti di Plinio il Vecchio e Virgilio.


La Cannabis - Canapa Indiana

Originaria dell’Asia ma poi diffusasi in Africa e in America Centrale, contiene fenolicannabinoli, cannabidioli e tetraidrocannabinoli; e di essa vengono utilizzati a scopo psicoattivo i fiori della pianta femminile e lo loro resina (l’hascisch).

Il suo uso a scopo cerimoniale (oltre che terapeutico, per chi lo riconosce come tale ovviamente) è attestato fin dal 11 secolo a.C. nella civiltà egiziana, soprattutto presso Thebe, dove veniva impiegata in una bevanda rituale dagli effetti narcotici, e in Cina, dov’era nota con il nome di TA MA, ovvero “l’alta pianta da fibra”; nell’impero Assiro dell’ VIII secolo, dove veniva utilizzata come incenso e soprannominata Qunnubu o Qunnabu; e presso gli Sciti, che dopo le cerimonie funebri erano soliti sottoporsi a un bagno di vapore gettando su bracieri ardenti posti in tende apposite, i semi della Cannabis.


L'Amanita Muscaria - e lo sciamanesimo siberiano

L’Amanitae Muscariae, appartenente alla famiglia delle Amanitaceae, è un fungo che cresce in abbondanza nelle foreste di Betulle e Faggi e nelle pianure secche dell’Europa e dell’Asia, il quale si fa sicuramente notare per il suo cappello di un rosso splendente puntinato di bianco. Contiene alcaloidi isossazolizici, acido ibotenico e muscimolo e, dopo una mezz’ora dall’assunzione, provoca allucinazioni, delirio, torpore, sonnolenza e spasmi muscolari. E’ probabilmente la specie vegetale più utilizzata nelle cerimonie religiose o sciamaniche dell’Europa (era impiegata anche nella stregoneria popolare italiana e negli antichi culti vichinghi) e dell’Asia; ma è particolarmente venerata nello sciamanesimo siberiano.

In tutta l’area della Siberia viene chiamato Muchomor, “Fungo che fa cantare” ed è conosciuto per le sue qualità allucinogene tra gli sciamani ostiachi, koriachi, jakuti e di molte altre popolazioni.
Già la raccolta del Muchomor fa parte di un rituale prestabilito:


contesto cerimoniale del Muchomor

Prima di partire alla sua ricerca è necessario accendere un fuoco e presentare delle offerte agli Spiriti della Natura (solitamente dolci, perline, tabacco, grasso di foca), poi, una volta trovato, viene intonato un canto di ringraziamento, infine si procede con la raccolta, effettuata tramite un bastoncino e facendo attenzione a mantenere il fungo integro, per non disperderne il potere.

Prima dell’assunzione, lo sciamano deve attraversare una fase di preparazione spirituale; poi durante una cerimonia accompagnata da canti, danze e tamburi, vengono rivolte al Muchomor determinate richieste, in modo da avere la risposte alle domande durante il viaggio.

Infine, viene la fase di assunzione vera e propria; solitamente il fungo viene essiccato per 2 settimane, poi appallottolato e ingerito, masticandolo a lungo per evitare danni e disturbi all’apparato digestivo, ma in alcune tradizioni vengono invece bevute le urine di una persona che ne ha mangiato, dato che i principi attivi del fungo passano attraverso il corpo e vengono scartati senza mutamenti e con ancora i derivati attivi.
Lo stato d’estasi può durare anche alcuni giorni, durante i quali lo sciamano si reca presso la Betulla Cosmica, l’albero del signore del Mondo (Ajv o Ajv Tojen), che svetta circondato dai Nove Mari, ove
può consultarsi con gli Spiriti di Natura e gli Spiriti degli Antenati e ottenere le risposte che cerca.


Similitudini del Amanita Muscaria

(Sempre a proposito dell’Amanita Muscaria, G.R. Wasson ipotizzò la sua presenza sia nell’ Haoma, la bevanda sacra della tradizione iranica e citata nell’ Avesta, testo legato allo Zoroastrismo; sia nel mitico Soma, che è invece la sacra bevanda dei sacerdoti vedici. Il Soma viene descritto come un liquido inebriante che dona forza, coraggio in battaglia, stimola l’ispirazione artistica, guarisce dalle malattie e rende
longevi. Era composta da latte, farina, miele, acqua di fonte e una qualche sostanza vegetale dalle proprietà psicoattive. Se G.R. Wasson era convinto che l’ingrediente mancante fosse il sopracitato fungo, altri studi propendono invece verso la Cannabis indica, in quanto opere dello stesso periodo dei Veda - II millennio a.C. – rappresentano proprio con la canapa il demone (termine inteso come “Asura”, ovvero intermediario tra gli Dei e gli uomini) dell’ebbrezza Vice Vadat.)


Africa - L'Alan e l'adorazione dei teschi

Presso la tribù bantu dei Fang, attualmente abitanti del Gabon settentrionale, si celebra un culto degli antenati che prevede la conservazione e l’adorazione dei teschi dei parenti defunti.
Durante il So, principale rito di iniziazione all’età adulta viene usata una pianta dalle proprietà psicoattive, chiamata Alan (al plurale, Melan), il cui nome scientifico è Alchornea Floribunda mull-arg, appartenente
alla famiglia delle Euphorbiacee.


contesto cerimoniale del Alan e il misterioso rito del So

Siamo a conoscenza di pochissime informazioni riguardanti il So, è noto comunque, che è un rito molto lungo e complesso, della durata di numerosi mesi, ed è strutturato in tre parti. Inizialmente i candidati
vengono condotti lontano dal villaggio, in uno spazio predisposto nella foresta, dove avviene il rituale di purificazione.

Quando i ragazzi sono pronti per la cerimonia vera e propria, viene somministrato
loro l’Alan, vengono guidati nel luogo sacro e qui, per la prima volta vengono mostrati loro i teschi degli antenati, che vengono fatti “danzare” con l’aiuto di alcuni assistenti.

I teschi, infatti, vengono conservati chiusi in vasi di legno scolpiti con decorazioni antropomorfe, e sono custoditi dai “guardiani del byer” in una piccola capanna ai margini del villaggio. Solo gli uomini iniziati
possono recarsi alla capanna del byer, previo il sacrificio di un animale domestico, e lì chiedere la consultazione degli antenati per ottenere consigli.

Il culto del Byeri presso i Fang ha origini molto antiche, ma nel XIX secolo questa popolazione intraprese una lunga migrazione verso sud, che li portò dove attualmente vivono, nel Gabon Settentrionale e dove vennero in contatto con altre forme di culto che modificarono molto la loro religiosità.
In seguito, durante l’occupazione francese, il Byeri fu perseguitato e bandito e la sua celebrazione si ridusse in clandestinità, arrivando quasi all’estinzione durante gli anni ’30.
Negli anni ’80 questo culto ha progressivamente ricominciato a diffondersi sotto il nome Melan, subendo però alcune modificazioni nella liturgia, diventando una forma di culto più individuale e discreta e perdendo, comunque, il suo ruolo centrale all’interno della società Fang.
(Gli alcaloidi presenti in questa pianta non sono ancora stati studiati.)


L'Iboga - il nuovo culto vegetale degli Apindji

Nel XIX secolo circa, la tribù Apindji e Mitsogho, abitanti la a conoscenza, tramite le popolazioni pigmee, di uno dei maggiori “segreti della foresta”: le proprietà psicoattive dell’ Iboga (Tabernanthe iboga Baill. – famiglia delle Apocynaceae).

Sulla base di questa scoperta, Apindji e Mitsogho elaborarono un nuovo culto, imperniato sugli effetti allucinogeni della pianta (dovuti all’alcaloide ibogaina): il Bwiti tradizionale, che ben presto si diffuse presso molte tribù che vivevano nella stessa zona.
Verso la fine dell’800, i Fang, nel corso della loro migrazione verso sud, arrivarono in Gabon con il loro culto del Byeri ; lì incontrarono il Bwiti tradizionale e il Cristianesimo missionario, e attraverso una veloce e complessa opera di sincretismo religioso, i Fang elaborarono un nuovo culto imperniato sull’uso
dell’Iboga: il Bwiti Fang o Bwiti Sincretico.

Questi due culti, sebbene portino lo stesso nome e si basino sull'uso rituale della medesima pianta hanno in realtà caratteristiche diverse.

-Per i bwitisti tradizionali “battesimo e Iboga sono incompatibili” e non amano neanche rendere partecipi gli occidentali della loro religiosità; per questo motivo si sa veramente poco della loro liturgia.

- Per i Fang, invece, si considerano assolutamente Cristiani, anzi, i veri Cristiani (anche se i Cattolici non si trovano propriamente d’accordo con loro…) e sono convinti che la loro sia una religione universale, destinata ad espandersi anche in Europa, così come il Cristianesimo si è diffuso in Africa e nel Gabon.

Esistono diverse sette all’interno del Bwiti sincretico, ma fondamentalmente i principi sono gli stessi; i sacramenti sono tre: iboga, alan e ostia, e vi sono due tipi di riti principali: le cerimonie notturne (Ngozè) e il rito di iniziazione (Tobe si).

Le Ngozè sono paragonabili a delle messe che seguono il calendario liturgico cattolico, durante le quali tutti i partecipanti assumono una dose di Iboga e passano tutta la notte cantando e ballando seguendo
uno specifico iter rituale e suonando i loro strumenti sacri. Le Ngozè principali come Natale e Pasqua durano anche 3-4 notti consecutive.

Il Tobe si viene invece celebrato ogni qualvolta un individuo decide di diventare membro della comunità religiosa. L’iniziando deve assumere una quantità enorme di Iboga, che progressivamente lo porta a uno stato alterato di coscienza in cui la sua anima si stacca dal corpo e compie un viaggio nell’aldilà, dove può entrare in contatto con gli spiriti degli antenati e le entità divine al fine di ottenere lo Yen, la “grande visione” in cui gli verranno rivelate le “radici della vita”.
L’assunzione dell’Iboga stimola il sistema nervoso centrale, provoca allucinazioni visive e sensoriali ed ha inoltre un’azione afrodisiaca.
A livello fisico, gli effetti sono: convulsioni, alterazioni respiratorie e paralisi o scoordinamento delle reazioni muscolari.


Il Monzdo - aprendo gli occhi vediamo blu

Il Monzdo è una varietà di Datura (Datura fastuosa - fam. Solanaceae) ritenuta sacra presso i Tsonga, una popolazione di lingua bantu, (chiamati anche Shangana Tonga), che abita le regioni di frontiera tra Mozambico e Sud Africa.

Questa pianta, chimata anche “muri wa ku bonisa”, ovvero “ciò che apre gli occhi”, viene principalmente usata durante il Khomba, il rito di passaggio all’età adulta a cui si sottopongono le ragazze. Questi riti vengono celebrati in maggio e sono legati soprattutto alla fertilità.
Dalla radice di Monzdo polverizzata viene ricavato un infuso molto denso, che viene fatto bere alle novizie da grosse conchiglie che fungono da ciotola. Le ragazze vengono poi spogliate, immerse nell’acqua esposte al sole e lievemente fustigate con i rami di Mondzo.
Quindi si attende l’inizio dello stato di estasi, durante il quale si hanno delle visioni geometriche sui toni del blu, chiamate “mavalavala”.

Il colore blu è un elemento importante in quanto è associato agli antenati alla fertilità (probabilmente perché ricorda l’acqua in un continente dove questa scarseggia),infatti le novizie indossano una gonna
blu, portano bandierine blu e si dipingono il viso con un pigmento vegetale dello stesso colore. Sempre blu sono i Xihunze, degli innocui serpentelli che vivono sotto i tetti di paglia delle capanne e sono considerati incarnazioni degli antenati, portatori di fertilità.
Durante il rituale di iniziazione le ragazze entrano in contatto e ricevono messaggi proprio da questi spiriti, e tale contatto è dimostrato dalla visione degli Xihunze.

Il Monzdo, presso la tribù dei Tsonga, viene inoltre usato durante i rituali di esorcismo, chiamati Mancomane.

La pianta di Datura viene bruciata su delle braci, e il posseduto ne deve respirare il fumo. Dopodiché lo sciamano diagnostica il tipo di spirito che affligge la persona in questione e lo scaccia suonando con il tamburo un ritmo specifico.
(Gli alcaloidi presenti in questa pianta non sono ancora stati studiati.)


AMERICHE

Nel Nuovo Mondo, non solo il grande numero di specie, ma anche l’importanza culturale e l’uso sacramentale dei vegetali enteogeni, che nel passato raggiunse vette impressionanti, sono rimasti tali, soprattutto nella zona centrale e meridionale, nonostante la tremenda lotta che i conquistadores intrapresero allo scopo di sopprimere totalmente queste pratiche religiose.


Il tabacco - il dono del Grande Spirito

Presso i popoli nativi del Nord America, la principale pianta sacra, dono degli Dei, è il Tabacco, ma una varietà diversa da quella a cui sono abituati i consumatori di sigarette – Nicotiana tabacum, che contiene
solo il 2-3% di nicotina – la Nicotiana rustica (famiglia Solanaceae), che invece ne contiene
ben il 10%. Una grande quantità di nicotina, soprattutto se aspirata o ingeringerita con rapidità, produce infatti uno stato di forte eccitazione e alterazione sensoriale accompagnato da tachicardia, alterazioni respiratorie e paralisi dei gangli del sistema nervoso autonomo; sintomi che possono essere di molto amplificati tramite i digiuni, i canti, le danze e il ritmo ipnotico del tamburo.

Il Tabacco era per questo utilizzato dagli sciamani per ottenere visioni e illuminazioni e per divinare, ma non solo.
Un mito racconta che questa pianta fu donata agli uomini da Wakan-Tanka, il Grande Spirito, insieme a una pipa sacra e a 7 riti diversi per entrare in contatto con lui e con tutto l’universo. Infatti la pipa non è semplicemente uno strumento per fumare, ma un simbolo molto importante. Il fornello è costituito da pietra rossa, che rappresenta la Terra, e su di esso è inciso un vitello di bufalo, a rappresentanza degli animali che sulla Terra vivono. Il cannello è in legno, per rappresentare tutto il regno vegetale e nel punto dove cannello e fornello si incontrano pendono 12 penne di aquila chiazzata, rappresentanti gli animali alati.

Fumare il tabacco nella sacra pipa era quindi un modo di pregare per e con ogni cosa. Dato che la Nicotina rustica brucia lentamente e con difficoltà, solitamente veniva miscelata con la scorza interna del corniolo rosso e con un’erba aromatica, la Sweet Ann.
L’uso del tabacco era comunque diffuso anche nel Centro
e nel Sud America, sia con funzione ricreativa e sociale, come presso gli Aztechi (dove era ritenuto il corpo della Dea Cihuacohatl); sia a scopo religioso- rituale, come ad esempio riti di iniziazione degli adolescenti delle popolazioni Indios del Rio delle Amazzoni e presso gli Incas.


Il Peyote - la divinità vegetale per eccellenza

Nelle regioni desertiche del Messico settentrionale e del Texas cresce un piccolo cactus senza spine che gli indiani di quelle regioni considerano una vera e propria divinità: il Peyote (Lophophora williamsii e L.
diffusa- Fam. Cactacee).

Dalla radice, che somiglia ad una carota o una rapa, si sviluppano i cosiddetti “bottoni mescal”, simili a puntaspilli color bluastro spento o verde grigiastro con una lieve peluria al centro
e fiori color rosa. Il Peyote è un potente allucinogeno, reso famoso dallo scrittore Carlos Castaneda, le cui proprietà sono oggi universalmente note.

Gli sciamani Aztechi bevevano un infuso di Peyote mescolato con pulque (acquavite di agave) durante le cerimonie religiose. L’oggetto di tali cerimonie era spesso un sacrificio umano e non di rado esse culminavano in orge sfrenate.

Le stesse vittime sacrificali dovevano bere la pozione del «sacro cactus» prima che gli venisse asportato il cuore. I conquistadores spagnoli scatenarono una vera e propria lotta contro quella che definivano impropriamente “radice diabolica” (infatti i principi attivi dall’azione psichedelica sono contenuti solo nei bottoni superficiali), che culminò, nel 1720, con la proibizione del suo uso sacramentale in tutto il Messico. Attualmente, del Peyote sono ancora generalmente vietati, alcune tribù del Messico (principalmente Tarahumare e Huichol) hanno ottenuto il permesso di continuare a consumare il Peyote in occasione di particolari feste religiose.

Infatti, per queste popolazioni, il sacro cactus è una componente fondamentale della loro religiosità da centinaia di anni, e l’importanza centrale che esso ricopre è rintracciabile già nei miti che narrano della sua origine. Ne esistono diverse versioni: una sostiene che il Peyote sia nato dalla trasformazione in cactus di un divino daino bianco (Fratello Maggiore), un’altra narra che derivi dai cocci di utensili per cucina e vasi per l’acqua andati distrutti durante una leggendaria migrazione delle tribù, mentre una terza lo fa nascere dal mais.

P. De Felice, autore de “Le Droghe degli Dei”, commenta: “

[…]risulta da questi differenti miti che il Peyote è assimilato prima ad un animale, la cui carne è stata originariamente il nutrimento essenziale degli Huichol, e poi, in linea di massima, a tutto ciò che può assicurare la sopravvivenza della tribù. Ciò spiega perché lo si identifichi anche con il mais, il cereale divenuto una delle principali risorse alimentari degli indios, vegetale che si presume, come il Peyotl, discendere dal daino. […]”

Così come per il Vischio e l’Amanita muscaria, anche la raccolta del Peyote segue un rigido schema rituale, che nel caso degli Huichol ricalca fedelmente il mito di Fratello Maggiore.

Una delle più poetiche e ben narrate descrizioni di questo rito viene raccontata da A. Cattabiani nel suo “Florario”, in cui vengono anche dettagliatamente esposte le complesse cerimonie con cui questa tribù è solita assumere il vegetale. In generale, gli sciamani del Centro America usano le visioni prodotte dal cactus per interrogare ed entrare in comunione con gli Dei, per divinare, per guarire e per risolvere tutte le necessità dei propri villaggi.

Gli effetti provocati dal Peyote sulla psiche sono piuttosto forti e consistono in visioni riccamente colorate e allucinazioni che coinvolgono tutti i sensi, così totalmente spirituali e fantastiche che è facile capire il motivo per cui si crede che nella pianta siano all’opera potenze divine e spiritiche.
L’effetto psichedelico procede sostanzialmente in due fasi: all’inizio, le persone che ne hanno assunto si sentono particolarmente recettivi e sensibili, poi i loro muscoli si rilassano, la mente diventa meno
recettiva agli stimoli esterni e più sensibile ai segnali che provengono dall’interno.

La fine dell’esperienza psichedelica si conclude con un sonno profondo popolato da sogni molto vividi.
Le allucinazioni indotte dal Peyote sono particolarmente suggestive e realistiche e le visioni molto colorate. Sembra che i variopinti e geometrici motivi riprodotti sui tappeti e sulle coloratissime vesti dei nativi vengano spesso ispirati dalle visioni indotte dal sacro cactus. Il Peyote contiene circa trenta alcaloidi diversi e uno dei suoi componenti psicoattivi principali è la mescalina.



La Salvia Divinorum

La messicana Salvia divinorum è una particolare varietà di Salvia (famiglia Labiatae) dalle proprietà enteogeniche. Viene anche chiamata Ska Maria Pastora, Salvia divina, Hojas de la Pastora, Yerba de Maria o Menta degli Dei (nome attribuito erroneamente visto che non si
tratta di una varietà di Menta, sebbene anch’essa faccia parte della famiglia delle Labiatae).

Viene tradizionalmente usata presso gli indigeni abitanti la Sierra Mazateca nella zona di Oaxaca in Messico, nei riti di iniziazione e nelle pratiche sciamaniche fin dai tempi delle prime civiltà. Attualmente gli indigeni Mazatechi credono che questa pianta sia un’incarnazione della Vergine Maria e la usano come pianta curativa e durante riti di divinazione. Della pianta vengono utilizzate le foglie fresche, masticate come la coca oppure schiacciate fino a ottenere un succo verde scuro che si beve diluito in acqua. Viene usata per predire il futuro, per trovare la causa delle malattie oppure per ottenere risposte a domande circa la scomparsa di persone, il furto di oggetti e altre questioni riguardanti la vita del villaggio.

Gli effetti allucinogeni e divinatori della pianta si ottengono solamente in condizioni di assoluto silenzio e al buio. Perciò i riti associati all’uso della «Maria» (piuttosto complessi) vengono effettuati dagli sciamani
sempre di notte e in luoghi appartati.

Gli effetti principali della pianta – che durano in genere da 10 a 20 minuti e non sono particolarmente
leggere allucinazioni e, soprattutto, la sensazione che la coscienza si separi dal corpo. La mente, staccata dal proprio corpo, può così vivere strane esperienze extracorporee quali, ad esempio, vedere se stessi
dall’esterno, sentirsi un’altra persona – oppure un animale o una pianta – avere la sensazione di essere contemporaneamente in due luoghi diversi, sentirsi «tirati» da forze misteriose.
La Salvorina A è il principio attivo dell’attività enteogenica della pianta


Il Teonanacatl
La carne degli Dei


In Messico crescono diverse specie di funghi allucinogeni
(Psilocybe, Conocybe e Panaeolus, tutti appartenenti alla famiglia delle Agaricaceae) che gli antichi Maya e gli Aztechi mangiavano durante alcune cerimonie religiose. Venivano chiamati Teonanacatl, “carne degli Dei” in lingua Nahuatl, e venivano principalmente assunti per interrogare gli dei o per scacciare le forze del male. Questi funghi, solitamente dal sapore amaro e acre, provocano potenti allucinazioni, e inducono uno stato sognante senza perdita di coscienza, in cui il consumatore diventa totalmente indifferente ed inconsapevole dell’ambiente circostante.

A questa prima fase ne fa seguito una seconda, in cui insorge una grande stanchezza, fisica e mentale, oltre che un’alterazione della percezione di spazio e tempo.
Durante gli stati di trance visionaria indotti dai funghi si possono osservare animali selvatici, disegni astratti e coloratissimi ed enormi funghi antropomorfi. Come succede anche per il Peyote, sembra che gli indios fissino nella mente i geometrici e variopinti motivi osservati durante i loro «viaggi» nel mondo degli spiriti per poi riprodurli su tappeti e vestiti.
E probabilmente anche i Maya degli altipiani del Guatemala, 3000 anni fa, facevano la stessa cosa intagliando le statuette famose attualmente con il nome di “Mushroom Stones”, raffiguranti figure totemiche umane e animali sormontate da un’ampia cappella che hanno perplesso gli archeologi per lungo tempo.

Oggi sono interpretate come una sorta di icone associate ai rituali di un’antica religione improntata sull’uso sacramentale di questi funghi, che, si ipotizza, furono la prima pianta allucinogena scoperta. Gli Aztechi sostenevano inoltre che i funghi fossero in grado di parlare e questo può essere spiegato dal fatto che le allucinazioni indotte dai funghi si manifestano, oltre che attraverso visioni colorate, con suoni di varia natura. Se l’opposizione spagnola verso l’uso sacramentale dei vegetali enteogeni fu massiccia, il Teonanacatl fu sicuramente l’obiettivo più odiato.

L’ intolleranza religiosa dei conquistadores aumentava il loro disprezzo e la loro paura nei confronti di questa pianta, che con la sua azione allucinogena era in grado di mettere gli indios in diretto contatto con il loro Dei. Nel tentativo di reprimere questa particolare usanza, gli spagnoli riuscirono solamente a relegare questa pratica nelle zone più inaccessibili dell’entroterra, dove continua ancora oggi.

Anche se gli sciamani hanno da sempre scelto i diversi tipi di fungo in base alla loro esperienza personale, allo scopo e alla disponibilità stagionale e più usata è lo Psilocybe mexicana (contenente numerosi alcaloidi indolci, soprattutto psilocybina), un piccolo fungo che cresce sulle alture e nei prati umidi del Messico meridionale. Produce stati di ebbrezza e forti allucinazioni caratterizzate da visioni colorate e suoni.
I curanderos (soprattutto le donne) lo consumano in cerimonie di guarigione - in cui tra culti pagani e religiosità cattolica - per entrare in contatto con gli spiriti benevoli e convincerli a guarire le malattie.


I sacri Morning Glories - le piante del Serpente

I Morning Glories messicani sono in realtà due specie diverse: Rivea Corymbosa ed Ipomea Violacea, che forniscono alle popolazioni locali dei semi allucinogeni. Nella famiglia cui appartengono, le Convolvulaceae (da sempre importante fonte di rimedi medicamentosi e come ornamento), circa 1700 specie temperate e tropicali contengono principi altamente inebrianti.

L’ Ololiuhqui (Rivea) e il Tlitlitzin (Ipomea) erano importanti allucinogeni divinatori della religione atzeca, magici e medicamentosi. L’Ololiuhqui è il piccolo seme – tondo e brunastro – di un rampicante (chiamato Coatlxoxouhqui, ovvero pianta del serpente) con le foglie a forma di cuore e fiori bianchi.
Il Tlitlitzin è un seme nero spigoloso, ma del suo uso cerimoniale non si sa molto, in quanto la maggior parte delle fonti sull’argomento sono i lavori dei cronisti spagnoli durante la prima fase di colonizzazione, che, non si sa perchè, hanno spesso citato l’Ololiuhqui e totalmente ignorato il suo “gemello”. Il poco che si sa deriva dai reperti di antichi scritti atzechi.

Nella loro civiltà, i semi di Ololiuhqui avevano una grande importanza. Infatti, si pensava avesse la proprietà di eliminare le pene e le afflizioni. Prima di fare un sacrificio, sacerdoti Atzechi strofinavano
il corpo della vittima con un unguento di cenere di insetti, tabacco e Ololiuhqui per intorpidire la carne e perdere tutta la paura. Gli officianti bevevano anche un estratto liquido della sostanza, che dava loro allucinazioni visive che venivano interpretate come segno di comunione con gli Dei. I semi furono venerati e messi tra gli idoli degli antichi indigeni e le offerte venivano fatte in luoghi conosciuti solamente dalle persone iniziate al culto.


cerimonie e utilizzo dei Morning Glories

L’uso attuale dei Morning Glories Rivea si è leggermente differenziato dalle pratiche antiche; dove i semi e trattare le malattie degli uomini delle tribù. Ma anche attualmente, in quasi tutti i villaggi Oaxaca (e specialmente presso le popolazioni Chatinos; Chinantechi; Mazatechi e Zapotechi); i semi aiutano gli abitanti nei loro periodi difficili e soprattutto nelle cerimonie di guarigione; solo che la cerimonia ha subito l dagli stessi pazienti; solitamente vengono poi selezionati 13 semi, che vengono triturati da una ragazza vergine (spesso una bambina) all’interno di un complesso cerimoniale.

A questa polvere viene poi aggiunta acqua, e la bevanda risultante filtrata.
Il paziente dovrà berla di notte, in silenzio; poi, dopo molte preghiere, si metterà a dormire con qualcuno accanto pronto ad ascoltare ciò che verrà detto durante la fase di estasi, che verrà poi interpretato per capire il motivo dei disturbi lamentati. Nel 1959 si è scoperto che anche l’ Ipomea violacea viene a volte usata dalle popolazioni Zapoteche.

Gli studi di Hoffman su entrambe le specie, hanno rivelato la presenza di diversi alcaloidi strettamente legati all’LSD (ergina, isoergina, chanoclavina, elymoclavina e lysergol). Il contenuto totale di alcaloidi contenuti nell’Ipomea è 5 volte superiore a quello della Rivea, il che dimostra per quale motivo i nativi usino meno semi di Ipomea nella preparazione dei loro rituali.



La Dream Herb - Il sogno lucido dell'estasi

La Calea zacatechichi, attualmente conosciuta nel mondo come Dream Herb, è un arbusto poco appariscente appartenente alla famiglia delle Asteraceae (Compositae), che cresce nella zona compresa tra il Messico e la Costa Rica.
E’ un allucinogeno recentemente scoperto che sembra essere usato solo dagli di Oaxaca: viene assunto per “chiarificare i sensi” e per renderli capaci di parlare con il mondo degli spirito. Dopo aver bevuto un infuso preparato con le foglie essiccate, lo sciamano si rilassa in un posto tranquillo,
fumando una sigaretta preparata con le stesse foglie. La Dream Herb chiamata in questo modo in quanto possiede effetti oneirogeni, ovvero che inducono al “sogno lucido”.

Inizialmente si avverte la sensazione di percepire con molta chiarezza le pulsazioni del proprio cuore; successivamente la Calea conferisce una sensazione di riposo e benessere
che può durare per un giorno o più. Studi recenti indicano la presenza di un alcaloide non identificato che auditive. Dai tempi più antichi, la pianta, che ha un gusto fortemente amaro (“zacatechichi” e una parola atzeca che significa “erba amara”), viene usata per curare la febbre, la nausea e per altri disturbi.


La Coca - Una figlia di Pacha Mama

La pianta della Coca (Erythroxylon Coca- famiglia Erytroxylaceae), un arbusto sempreverde originario della Bolivia, da lungo tempo è diffuso in tutta l’America Meridionale e soprattutto in Perù. Per gli indigeni peruviani la Coca è sempre stata una pianta misteriosa, onorata come una vera e propria divinità.
L’uso delle sue foglie risale al periodo preincaico, quando la Coca era consumata dagli sciamani durante rituali celebrati sulle vette delle montagne più alte in onore di Khun, Dio dei lampi, del tuono e della neve allo scopo di avvicinarsi alla divinità e chiedere il suo favore.
Impiegata al momento dei grandi sacrifici o come offerta, spesso era anche usata come incenso, e sostanzialmente compariva in tutte le cerimonie, soprattutto in quelle legate all’attività bellica.

Anche nella civiltà Incas questa pianta aveva un ruolo molto importante. Essa era il dono che il Dio Sole aveva fatto a suo figlio, Manco Capac, mitico fondatore dell’impero Incas, per alleviare le sofferenze umane ed infondere vigore alla nuova civiltà. Dato il carattere sacrale della Coca, la consuetudine e le leggi incaiche ne disciplinarono l’uso.

L’uso a scopo ricreativo venne vietato, pena la morte, ed era concesso solo l’impiego a scopo terapeutico e l’assunzione durante le cerimonie religiose. I fedeli masticavano la Coca prima dell’inizio del rito vero e proprio, e poi pregavano tenendone una foglia tra le labbra, senza masticarla o deglutirla.

Cesti di Coca venivano bruciati insieme ai sacrifici animali durante la Capacoha, festa che si celebrava quando un nuovo imperatore veniva investito della sua carica, e massicce dosi di questa pianta venivano somministrate alle vittime dei sacrifici umani allo scopo di accentuare il loro stato di esaltazione e per non far rendere loro conto di ciò a cui andavano incontro.

La Coca era anche usata durante le cerimonie funebri: alcune foglie venivano poste tra le labbra del defunto per aiutarlo e sostenerlo durante la lunga marcia verso il regno dei morti.
Ancora oggi tra le popolazioni andine resta l’usanza di porre la Coca tra le labbra dei defunti; inoltre questa pianta è una delle offerte tradizionali nel culto della Pacha Mama ( Madre Terra) ed è pratica comune masticare le foglie o bere il loro infuso (Mate) per contrastare la fatica e i disturbi causati dall'altitudine.
Il principio attivo responsabile della sua azione è un alcaloide chiamato cocaina.





Il San Pedro - Lo scaccia spiriti

Il San Pedro (Trichocereus pachanoi- appartenente alla nuova famiglia delle Equinopsis ) è un cactus colonnare originario dell’Ecuador che ha trovato un clima favorevole in Bolivia, ma soprattutto sulle coste del Perù, diventando una delle piante sacre più importanti per le popolazioni indigene peruviane.
Gli effetti allucinogeni prodotti sono del tutto simili a quelli del Peyote perchè entrambi contengono lo stesso principio attivo: la mescalina.

Questi cactus vengono piantati come recinzione per i bovini al pascolo, il folklore locale ritiene che il San Pedro sia in grado di tenere lontano gli intrusi, fisici o di natura sottile.

La preparazione della pozione di San Pedro è lunga e laboriosa: grossi pezzi di cactus vengono bolliti per diverse ore insieme ad altre erbe della zona (ad esempio: il cactus Neoraimondia macrostibas, l’arbusto Pedilanthus Tithymaloides; Campanulaceous Isotopa longiflora; occasionalmente Datura innoxia) . Quello che si ottiene viene poi filtrato; e questa bevanda, che prende il nome di Cimora, è il componente
base su cui si fonda una cerimonia di guarigione che combina antichi rituali indigeni con elementi cristiani.

Anche se l’uso del San Pedro nei rituali allucinatori e divinatori ha una lunga storia; l’uso attuale che viene fatto di questo vegetale è stato fortemente influenzato dal Cristianesimo.

Influenze evidenti perfino nel nome, che significa San Pietro; probabilmente perché questo Santo possiede le chiavi del paradiso. Il contesto generale del rito, però, è connesso intimamente con la mitologia della Luna ed è quindi una sorta di amalgama di elementi pagani e cristiani.
In alcune occasioni la Cimora viene mescolata con la chicha (birra di mais), e viene bevuta durante le feste religiose. Un altro modo tradizionale di consumare la polpa del San Pedro è questa: il cactus viene privato delle spine, fatto a pezzi piccoli oppure tritato e poi mescolato con tabacco e foglie di coca sminuzzate fino a ottenere una pastella di consistenza gommosa che viene masticata come se fosse chewing-gum.


Lo Xayapa

Lo Xayapa è una bevanda dalle proprietà allucinogene che viene preparata dalle tribù Huacipaire e Zapiteri di etnia Mashco (abitanti la regione Madre de Dios nella parte amazzonica del Perù), a partire dalla corteccia dei rami della Brugmansia x Insignis, un alberello appartente alla famiglia delle Solanacee.


La cerimonia del Xayapa

Come numerose altre piante, anche lo Xayapa segue un rigido schema cerimoniale:
Quando una persona desidera berla, si reca accompagnato da un gruppetto di assistenti presso una cabina posta ai margini del villaggio, vicino a un ruscello, dove gli viene somministrata la bevanda e viene assistito per tutta la durata dell’ esperienza.

Il rito avviene sempre di notte, e per motivazioni ben specifiche, come la previsione di eventi futuri o la cura di una malattia.

Le persone che sono presenti devono essere rigorosamente sobrie, controllare che l’ individuo in stato di estasi non abbia gli arti intrecciati o allacciati e non intervenire nel suo delirio
verbale, ma devono cercare di ricordare con estrema chiarezza ciò che il bevitore dice (perché al risveglio non ricorderà più nulla), che sarà poi interpretato come un responso oracolare.

All’alba, il bevitore di Xayapa viene spogliato e immerso completamente nel ruscello, per “lavare via i residui”, e nelle settimane seguenti dovrà seguire una rigida dieta per disintossicarsi completamente.
Dato che la Brugmansia x insignis contiene una significativa quantità di alcaloidi tropaici del gruppo della scopolamina e dell’atropina, che in dosi troppo elevate possono essere davvero pericolose, la preparazione dello Xayapa viene sempre affidata a esperti scelti dalla tribù.


Ayahuasca - La vera verità

Gli indios dell’Amazzonia occidentale (ma anche di altre zone del Brasile, della Colombia,
del Perù, dell’ Ecuador e della Bolivia) preparano una bevanda dagli effetti allucinogeni che contiene un certo nu mero di piante sacre e che essi chiamano “bevanda della vera realtà”.
Tra le numerose erbe presenti, la principale e una delle più potenti è l’Ayahuasca (Banisteriopsis caapi o B.Inebriansfam. Malpighiaceae), un’enorme liana con piccoli fiori rosa che vive nelle foreste tropicali del Sud America. L’Ayahuasca, il cui significato letterale è “liana dell’anima”, è conosciuta dai popoli dell’Amazzonia con tanti nomi diversi (Yagè, Caapi, Dàpa, Mihi…) probabilmente perché il suo uso è antichissimo e risale a circa 4000 anni fa.

La bevanda viene preparata principalmente attraverso una lunga decozione della corteccia raschiata e sminuzzata di questo vegetale, a cui vengono aggiunti altri ingredienti-additivi, che variano a seconda della possono essere: Datura innoxia o D. Sauvolens, Brugmansia cactus dei generi Opunzia o Epiphyllum, …

Solo gli sciamani possono prepararla e le ricette, che variano da tribù a tribù, sono tenute rigorosamente segrete. Usando queste pozioni essi possono compiere i «viaggi dell’anima» nelle dimensioni ultraterrene ed essere in grado di interrogare le Divinità. Gli scopi di questi «viaggi» nel mondo degli Dei sono diversi: possono servire per conoscere il futuro oppure per farsi spiegare come curare una malattia oppure per conoscere in anticipo l’avvento di carestie o calamità naturali.

Gli effetti dell’Ayahasca sono ipnotici e allucinogeni e possono produrre da un piacevole inebriamento a violente reazioni seguite da malessere. Solitamente le allucinazioni sono visive e molto colorate e in genere non si perde conoscenza né si hanno problemi con l’uso degli arti. Infatti, presso molte tribù, la danza domina per la maggior parte la cerimonia dell’Ayahuasca.

La «bevanda della vera realtà» viene consumata soprattutto di notte perché gli effetti maggiori della droga si manifestano in prevalenza attraverso i sogni che popolano la fase di sonno che conclude l’esperienza psicoattiva. Gli sciamani amazzonici sostengono che, quando bevono la pozione, il loro spirito è in grado di volare alto nel cielo attraversando lo spazio e il tempo. Si pensa che l’inebriamento dell’Ayahuasca tra queste popolazioni voglia anche rappresentare un ritorno all’origine di tutte le cose: chi ne utilizza vede nelle sue visione dei disegni tribali, e la creazione dell’universo, degli uomini e degli animali.

Questa esperienza ha quindi la forza di convincere lo sciamano (e, di conseguenza, tutto il villaggio,
visto che l’opinione di questa figura è tenuta in alta considerazione),della realtà delle sue credenze religiose, perché ha visto ogni cosa e questo non può che fare da fondamento a tutto. In alcune parti dell’Orinoco, in Venezuela, la corteccia viene soltanto masticata.

La Banisteriopsis deve il suo effetto allucinogeno principalmente all’armina, il maggiore alcaloide presente. In passato alcuni antropologi che avevano sperimentato personalmente la droga sostennero che il succo della liana sviluppava delle vere capacità telepatiche (dovute all’alcaloide telephatina, ancora poco studiato) e che quindi le esperienze extrasensoriali descritte dagli sciamani erano realmente avvenute, ma questa teoria non è mai stata avvalorata da riscontri scientifici.




OCEANIA - Il Pituri

La Duboisia hopwoodii F.v. Mueller, è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanacee, dai cui rami fogliari (contenenti alcaloidi nicotinici) veniva preparato il Pituri, la droga sacra degli indigeni australiani. Sebbene quest’arbusto cresca spontaneo in diverse regioni dell’Australia, il Pituri veniva preparato solo a partire dagli esemplari che crescono spontanei nella zona delimitata dai fiumi Mulligan e Georgina (sud-est del Queensland), e il processo di preparazione, tramandato per via ereditaria, era conosciuto solo da alcuni clan (chiamati “Clan del Pituri”) abitanti la stessa zona.

Le foglie di Duboisia venivano sepolte nella sabbia rovente , sopra cui veniva acceso un fuoco, e venivano lasciate così per un paio d’ore. Venivano poi dissotterrate, mescolate con ceneri alcaline (wirra) di alcune specie di Acacia , e infine modellate in forma di piccole polpette.
Queste palline venivano poi messe in bocca e masticate lungamente.

Quando il Pituri era pronto, una certa quantità veniva tenuta da parte per l’uso del clan, mentre altri clan e tribù provenienti da varie parti dell’Australia, lungo tratte commerciali note come “strade del Pituri”.
Attualmente, l’uso del Pituri a scopo magico-divinatorio è andato perso, ma anticamente
era molto diffuso e forse l’unico consentito. Ora, sebbene sempre in un rigido contesto cerimoniale, questa droga ha assunto connotazioni prettamente sociali; duranti le riunioni del clan, la pallina di Pituri viene inizialmente masticata dal capo, e poi passata di bocca in bocca agli altri uomini, passando prima da quelli con un grado gerarchico più elevato, e poi ai gradi inferiori.
Il Pituri viene anche impiegato durante i lunghi viaggi, per alleviare fame e fatica; prima dei combattimenti e durante la caccia per stordire gli animali.


Kava - kava

Il Kava – kava è una bevanda dall’azione sedativa-ipnotica tipica della zona del Sud Pacifico.
E viene estratta dalle radici carnose e dalla corteccia dei rami basali di un basso arbusto perenne chiamato Kava (ma anche : Awa, Yangona, Kew, Tonga, Sakau, ...) appartenente alla famiglia delle Piperacee. E’originario della zona compresa tra la Nuova Guinea e le Hawaii, ma diffondendosi è diventato un importante enteogeno usato dagli indigeni della Micronesia, Melanesia e soprattutto della Polinesia, dove la radice di Kava è parte della cultura e delle tradizioni da diverse centinaia di anni.
Fin dall’antichità, il Kava- kava era diffusissimo e amatissimo.
Hoffer e Osmond riferiscono che nelle Hawaii i nobili lo assumevano in società a scopo ludico, i ceti più bassi lo usavano per rilassarsi mentre i sacerdoti lo impiegavano nei loro rituali.

In generale, in tutta la zona del Sud Pacifico, il Kava – kava veniva usato nelle pratiche mistiche
e sciamaniche, nei riti di iniziazione ai Misteri della morte, nei riti di passaggio e per combattere le stregonerie; era insomma considerato un mezzo di comunicazione con gli Dei e gli Spiriti degli Antenati.
Gli uomini di musica erano soliti bere l’infuso di Kava allo scopo di ottenere ispirazione e per riuscire “ad aprire le proprie orecchie alle canzoni degli spiriti”.

La radice di questa pianta trovava inoltre impiego nella farmacopea popolare come rimedio contro la lebbra e la tubercolosi, per indurre l’aborto e come anestetico durante le operazioni di tatuaggio.
Attualmente, molti preparano questa bevanda avvalendosi di un macina-carne, anche se sull’isola Tonga si seguono ancora le regole tradizionali.

La preparazione deve essere effettuata da un ragazzo o da una ragazza vergine, inginocchiati su una stuoia. La radice va inizialmente masticata per ammorbidirla e separare le fibre, dopodiché viene sputata
su delle foglie e pestata con un sasso. Il procedimento viene ripetuto tre volte, poi il preparato viene messo in infusione in acqua fredda con l’aggiunta di un po’ di olio o latte di cocco, filtrato con fronde di palma ed infine bevuto, molto velocemente per via del gusto amaro e pungente.

Il Kava – Kava produce inizialmente una sensazione di euforia, un notevole stato di eccitazione fisica e mentale e una vivace ed accresciuta sensitività ai suoni più lievi; seguita da uno stato di profondo rilassamento e da una sensazione di felicità priva di preoccupazioni.
Le alterazioni mentali sono solitamente piacevoli, un’esperienza descritta da molti come assolutamente magica.

Dosi massicce di Kava – kava causano dilatazione delle pupille, disturbi visivi, un’alterazione della percezione rispetto a distanza e profondità, difficoltà di coordinazione ed equilibrio durante il movimento. L’effetto può durare dalle 2 alle 4 ore, qualche volta anche più di 8 ore.
L’effetto del Kava è dato dalla presenza di kavalactoni (almeno 6)


Gli alcaloidi, cosa sono.

La maggior parte degli effetti allucinogeni Delle specie vegetali descritte deriva dalla presenza in esse di “alcaloidi”. Sotto questo nome si raggruppano circa 5000 composti organici con strutture molecolari complesse. Contengono azoto, carbonio, ossigeno ed idrogeno.
Hanno tutti origine dalle piante e sono tutti leggermente alcalini, da cui il nome.
Molti alcaloidi allucinogeni sono “indolici”, che contengono tutti composti d’azoto. Il nucleo in dolico degli allucinogeni spesso appare nella forma di derivati triptaminici ed è composto da segmenti fenili e pirroli.


NOTA CONCLUSIVA:
Con la diffusione di questo genere di informazioni, L’intento non è quello di istigare all'uso di sostanze psicotrope, né tanto meno di cimentarsi nella preparazione di bevande sciamaniche per comunicare con spiriti, divinità, o qualunque altra forma di entità.


Come appassionata di etnobotanica, sciamanesimo e antrolpologia, trovo molto bello avere e condividere una conoscenza teorica su questo argomento, su cui si fondano numerose ed importanti tradizioni di impronta sciamanica, così da comprendere fino in fondo i percorsi spirituali che si rifanno a queste culture.

(Questo però non significa essere di conseguenza favorevoli all’inserimento di queste pratiche nella ritualistica neopagana attuale, non avrebbe lo stesso senso e lo stesso valore che poteva avere in epoche più antiche o che ancora si mantiene in determinate zone del mondo e civiltà.)
L’uso di queste sostanze da parte di sacerdoti e sciamani abitanti le regioni più remote è altamente pericoloso.
Ogni volta che l’ “uomo che parla con gli spiriti aiutato dalle cosiddette “piante maestre” o “piante alleate”, rischia la vita.

(Bisogna inoltre tenere presente che la concezione sociale occidentale rispetto all’uso di piante con proprietà allucinogene è molto diversa rispetto a quella presente in altre zone del mondo, quindi l’introduzione del loro utilizzo cerimoniale nella nostra pratica magica o sciamanica rischierebbe purtroppo
di attirare persone in cerca di una scusa per drogarsi liberamente, violando così la sacralità di queste antiche tradizioni.)

IMPORTANTE: Si sconsiglia vivamente la sperimentazione
personale delle sostanze vegetali descritte in queste pagine
in quanto molto pericolose per la salute



“La maggiore di tutte le benedizioni ci arriva sotto forma di pazzia, quando è inviata come
regalo degli Dei. La pazzia inviata dal cielo è superiore alla saggezza creata dall’uomo”
Platone


ayavisions_02


Si ringrazia:

AA VV – Scoprire, conoscere e usare le erbe – Fabbri
AA VV - Segreti e virtù delle piante medicinali – Selezione Reader’s Digest
A. Angelini – Il serto di Iside vol. 1 e 2 - Kemi
Aoumiel – Stregoneria verde vol. 1 e 2– Elfi ed.
Rivista Athame
Chiara Ygraayine
M. Belmonte / M. Burgeno – Il libro dei miti e delle leggende – Armenia
M. Bertona – Il grande libro dell’aromaterapia e dell’aromacosmesi - Xenia
A. Cattabiani – Erbario - Mondadori
A. Cattabiani – Florario – Mondadori
A. Cattabiani – Lunario - Mondadori
S. Cunningham – Enciclopedia delle piante magiche – Mursia
S. Cunningham – Enciclopedia dell’aromaterapia magica – Mursia
S. Cunningham – Enciclopedia delle pietre magiche - Mursia
S. Cunningham – La casa magica - Mursia
S. Cunningham – La magia degli elementi – Armenia
A. Del Fabro / M. Pallavicini – Calendario lunare dei lavori – Gribaudo
R. Graves – la Dea bianca – Adelphi
A. Franklin- Il mondo delle fate - Armenia
J. Frazer – Il ramo d’oro – Newton e Compton
I. Muir – Magia Pagana – Elfi ed.
L. Rangoni – Il grande libro delle piante magiche – Xenia
L. Rangoni – Fiori che curano – Xenia
L. Rangoni – La magia con la Natura - Xenia
L. Rangoni – La magia dei Celti – Xenia
L. Rangoni – Wicca - Xenia
G.B. della Porta – La magia naturale – Giunti Demetra
M. Parolini – 365 + 1 magie - Rizzoli
D. Scott – I giardini incantati – Venexia
D. Scott – Tradizioni perdute - Lunaris
G. Sechi Mestica – Dizionario universale di mitologia – Rusconi
N. Shaw – Erbe medicinali – Konemann
Sezione “Pantheon” – sito www.wicca.it
R. Evans Shultes – Hallucinogenic plants – Golden press
P. de Félice- Le droghe degli Dei- ECIG
A. Hofmann- LSD: il mio bambino difficile- Urra
P.L. Pierini- Iniziazione alla magia delle fate 1 - Rebis
P.L. Pierini- La magica Mandragora- Rebis
H. Smith- La percezione divina
P. Stafford- Heavenly highs – Ronin ed.
D.S. Worthon- Conoscere le piante allucinogene- Savelli
R. Negrini- La magia delle droghe, chimica e alchimia dell’estasi artificiali
Ni il folletto – Erbario generale
M. Nieli – O. Iommelli – L’ayahausca
M. Nieli – O. Iommelli - Il peyote
P. Portone – L’unguento magico e il volo notturno delle streghe
P.A. Rossi – L’ unguento per volare al sabba
G. Samorini- scritti vari
B.Severi – Sciamanesimo e pscichedelia
G. Toro - Preparando il ciceone: la visione dei Misteri Eleusini


Edited by Lenoire - 10/4/2013, 11:53
 
Top
0 replies since 9/4/2013, 21:27   2035 views
  Share