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Come uccidono le serial killer

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Yaoji
view post Posted on 12/4/2013, 14:41     +1   -1




Le assassine seriali, spesso, riescono a portare avanti per anni e anni la catena di omicidi e, dal punto di vista investigativo, sono ancora più difficili da scoprire e catturare dei loro corrispettivi maschili. Il tempo medio di durata di un omicidio seriale commesso da una donna è di otto anni, il doppio di quello maschile.

La scelta delle armi, l'accurata selezione delle vittime e una pianificazione metodica dei delitti volta a simulare una morte naturale, sono tutti elementi che, combinati con una forte resistenza culturale e sociale che nega l'esistenza dell'omicidio seriale femminile, sono alla base di questa loro maggiore longevità.

Per quanto riguarda l'arma usata, sono rarissime le ipotesi nel quale vengono usate metodiche quali percosse o uso di armi bianche, in poche parole metodiche che implicano contatto fisico con la vittima. L'arma preferita dalle donne è il veleno, perché è un'arma discreta, silenziosa e che, se usata bene, non lascia tracce e permette di far considerare la morte della vittima come un decesso da intossicazione. Ci sono poi armi specifiche per ogni contesto in cui avvengono gli omicidi; ad esempio, in ospedale, è logico che venga praticata l'iniezione di sostanze letali, dato che quella di fare le iniezioni è un'attività di routine ospedaliera destinata a passare inosservata.

Mentre gli uomini scelgono generalmente delle vittime con le quali non c'è nessun tipo di relazione, le donne selezionano soprattutto vittime con le quali hanno qualche tipo di rapporto. Proprio per questo motivo, le assassine seriali raramente sono coinvolte in omicidi a sfondo sessuale, che, invece, rappresenta una motivazione fondamentale della controparte maschile.

Oltre a ciò, i maschi sono più o meno distribuiti tra stanziali e mobili, le donne, invece, sono quasi esclusivamente stabili dal punto di vista geografico, cioè tendono ad uccidere sempre nello stesso luogo e forse questa differenza è dovuta al tradizionale accentramento delle attività femminili intorno alla casa e alla famiglia.

Le donne che mostrano una maggiore mobilità sono quelle che uccidono in coppia o in gruppo, che decidono appunto di seguire il maschio nei suoi spostamenti. Le assassine seriali, di solito, non infieriscono sui cadaveri con manifestazioni di overkilling, mutilazioni, smembramenti o aggressioni sessuali. Alcune donne fanno eccezione e i loro omicidi possono raggiungere notevoli livelli di brutalità che li avvicinano a quelli maschili. In Italia, Leonarda Cianciulli tagliava a pezzi i corpi delle donne che aveva appena ucciso e, con alcune parti, fabbricava delle saponette e dei dolcetti da offrire agli ospiti.

In effetti, analizzando alcuni casi di omicidio seriale femminile tra i più recenti, si nota l'uso di modalità più violente, anche se l'arma preferita rimane il veleno.

Pur dovendo sempre fare i conti con i problemi connessi con il "numero oscuro", ci sembra corretto affermare che, in quei paesi in cui la figura femminile è ancora massicciamente sottomessa al dominio maschile (ad esempio nei paesi arabi), difficilmente ci possono essere casi di donne che uccidono serialmente.

Le donne che uccidono individualmente non torturano le vittime prima di ucciderle e non si gratificano sessualmente alle loro sofferenze. Le vittime scelte dalle assassine seriali hanno, generalmente, un qualche grado di relazione con loro: sono mariti, amanti, genitori, figli, parenti e conoscenti e vengono uccisi prevalentemente con modalità sedentarie, cioè nella stessa casa dell'assassina, in case di cura, ospedali e altri luoghi chiusi. Non si notano comportamenti predatori nei confronti delle vittime, ad eccezione delle donne che uccidono in coppia con un uomo. Le donne che uccidono in gruppo, di norma, ne fanno parte come membri passivi e sono sottomesse alla volontà di un leader maschile.

Esaminando la casistica internazionale, si nota come la maggioranza delle storie di vita delle assassine seriali presentino molti elementi in comune. Esattamente come gli uomini, la maggior parte delle donne serial killer sono cresciute in "famiglie multiproblematiche" e quasi tutte hanno subito una qualche forma di abuso durante l'infanzia. Un'altra caratteristica abbastanza comune è lo svilupparsi di una sessualità precoce e molto intensa, accompagnata ad una personalità aggressiva, violenta e bisognosa di dominare gli altri.

Numericamente non sono molte, però le assassine seriali sono altrettanto pericolose degli uomini, perché hanno una capacità di manipolazione di gran lunga superiore. Non è un caso che, mediamente, la donna continui ad uccidere per un tempo più lungo rispetto all'uomo, e ciò è dovuto al fatto che, spesso, uccide le sue vittime mediante un avvelenamento progressivo che fa classificare le morti come naturali.


"Complesso di Medea" e "sindrome di Munchausen per procura"

Il "complesso di Medea" e la "sindrome di Munchausen per procura" sono comportamenti accomunati dal fatto che entrambi riguardano l'infanticidio e il figlicidio, o comunque reati di aggressione violenta contro minori, compiuti quasi esclusivamente da donne.

Entrambi i comportamenti, se ripetuti nel tempo, possono dar luogo a casi di omicidio seriale. Il primo prende il nome dal mito greco di Medea che uccise i suoi due figli per vendicarsi del tradimento subito dal coniuge.

Alcune donne, poste in una situazione di stress emotivo con il compagno, utilizzano i figli per scaricare la loro aggressività, arrivando addirittura ad ucciderli, allo scopo di far del male all'altro coniuge. La madre, in crisi psicotica, soffre di un delirio di onnipotenza materna e si autonomina giudice di vita e di morte, uccidendo il figlio per non farlo soffrire; in questo modo, si rimpossessa completamente dei figli, estromettendo il padre.

Il secondo comportamento patologico deriva il suo nome dal barone di Munchausen, un personaggio letterario che intratteneva i suoi ospiti raccontando avventure impossibili. Il primo studioso ad usare questa espressione fu il dottor Asher, nel 1951, utilizzandola per descrivere le persone che si rivolgono insistentemente e inutilmente a medici, lamentando continuamente dei disturbi che, in realtà, sono inesistenti, fino al punto di riportare conseguenze dannose a causa dei ripetuti accertamenti o addirittura dei numerosi interventi chirurgici.

Nel 1977, il pediatra Roy Meadows è il primo ad utilizzare il termine "sindrome di Munchausen per procura", descrivendo la situazione nella quale uno o entrambi i genitori inventano sintomi nei propri figli o addirittura procurano loro disturbi e poi li sottopongono ad una serie di esami ed interventi che raggiungono il risultato di danneggiarli.

Meadows analizzò personalmente diversi casi e, in ogni circostanza, era la madre a provocare i sintomi e la metà di loro possedeva capacità infermieristiche apprese in qualche corso. Gran parte delle madri aveva, in precedenza, sofferto a sua volta della "sindrome". Meadows verificò anche che, in tutti i casi, il padre era l'elemento passivo della coppia e, spesso, era presente una notevole discrepanza, sia a livello intellettuale che sociale tra i coniugi, con la donna di livello più elevato.
(Altrodiritto)

donne+assassine



Edited by demon quaid - 22/7/2016, 19:04
 
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