Un Mondo Accanto

Storie di Lupi Mannari

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 26/1/2016, 19:47     +1   -1
Avatar

Vampiro di dracula

Group:
Administrator
Posts:
16,003
Reputazione:
+105
Location:
Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

Status:


Le storie sulla licantropia hanno origini remotissime, già in un passo della Bibbia si narra della vicenda del re Nabucodonosor, il quale, a causa della sua vanità, fu trasformato in una specie di lupo e assunse un comportamento animale. Non è certa la fonte dalla quale è nata la credenza sui licantropi (dal greco lykos, che significa lupo e anthropos, uomo) e che in seguito furono definiti "lupi mannari" (dal latino lupus hominarius, che sta per lupo simile all'uomo), resta il fatto che in numerosissime leggende o storie è onnipresente questa inquietante figura.

In alcuni ambienti, fino a qualche anno fa, esisteva la credenza diffusa che la licantropia non fosse, come si riteneva in epoche antichissime, l'espressione di una forza malvagia e oscura o di uno spirito animale in grado di impossessarsi di un uomo e agire attraverso di lui, ma che fosse una sorta di malattia facilmente spiegabile in termini medici. Tale malattia, ovviamente di natura sconosciuta, induceva un uomo ad assumere, in certi momenti della sua vita o in certi periodi, le sembianze di un lupo; alcuni ritenevano addirittura che la peluria del corpo potesse aumentare in modo vistoso e che unghia e denti assumessero la forma tipica di quelli di un lupo. In queste condizioni, "il malato" era indotto a vagare per i boschi nascondendosi dagli altri uomini e aggredendo i poveri sfortunati che incontrava sul suo cammino. Terminata la crisi, l'uomo tornava alla normalità, conducendo una vita normale e non ricordando nulla di ciò che gli era accaduto. Una visione del genere, non meno fantasiosa di quella della licantropia ottenuta per possessione di uno spirito animale, fu alimentata soprattutto a partire dagli anni Trenta con la produzione di film horror sull'argomento. Oggi, nonostante la gente consideri l'esistenza del licantropo solo una leggenda, vi è ancora, per alcuni, la credenza che la licantropia sia una malattia ben definita che, ovviamente senza l'aumento di peli e la crescita dei denti, induca ugualmente un uomo ad assumere l'atteggiamento di un lupo, facendolo ululare e camminare a quattro zampe nelle notti di luna piena. Tuttavia, la licantropia intesa come malattia rappresenta un equivoco.

Non esiste una nosografia specifica nella quale inquadrare tale disturbo, si tratta soltanto di una forma di delirio che si può esprimere in diversi disturbi psichiatrici di personalità di tipo paranoide o in alcune forme di psicosi. Tale delirio, definito "zooantropico" è rappresentato dalla convinzione patologica di un soggetto di trasformarsi in un animale o che alcuni organi del suo corpo si stiano tramutando in quelli di animali, nulla di più. In psichiatria, la condizione in cui vi è la convinzione di trasformarsi in lupo è definita anche "licantropia di Nabucodonosor" così denominata per rappresentare soltanto una delle tante modalità di esprimersi che ha un pensiero delirante. Non ci sono né peli, né ululati nelle notti di luna piena, ma solo un'idea patologica. Le storie e i racconti sulla licantropia ( da lycos che significa lupo e anthropos che significa uomo) affondano le loro radici nella notte dei tempi quando l’uomo, vivendo tra le braccia della mater natura e circondato dalla sua immanenza che si tramutava in alberi ed animali, si sentiva parte integrante della stessa. Moltissime sono così le tradizioni degli uomini-cambiaforma, o meglio degli uomini lupo sparse in tutto il mondo; forse la più antica la ritroviamo nella Bibbia ove re Nabucodonosor, a causa della sua vanità, fu trasformato da Dio in un lupo. Esempi di divinità dalle sembianze animalesche le troviamo anche nella cosmogonia egizia ove si parla di Anubi, il dio sciacallo o ancora il dio lupo Ap-uat che aveva la funzione di traghettare i morti nell’aldilà mentre nella cosmogonia nordica, di cui parleremo in seguito, e dove il lupo è simbolo di vita, troviamo come fedeli compagni di Odino i canidi Freki e Geri, mentre simbolo della apocalisse finale è il lupo Fenrir. Il mito narra che il dio Tyr, per incatenare definitivamente il malvagio animale, lo sfidò a rompere un laccio sacro e indistruttibile. Fenrir fiutò l’inganno e disse di accettare solo se qualcuno avesse posto la mano tra le sue fauci. Ovviamente, come previsto, il lupo non riuscì a rompere il magico laccio, ma Tyr perse l’arto. Questo particolare ci permette di legare l’episodio a quei riti di smembramento tipici del culto del lupo e già incontrati in altre civiltà, lo smembramento e la seguente dispersione nei campi delle “parti” non e’ altro che un rituale di fertilità: la morte stessa genera rinascita nella natura. E’ così che in Irlanda alcune dee madri sono raffigurate in compagnia di piccoli cani e in uno dei santuari celti più importanti, la fonte di Haughey, nei pressi del sito di Emhain Macha, furono trovate delle ossa di questo animale mentre in Germania nell’Europa centrale lo ritroviamo come fedele compagno della dea germanica Holle che guida i morti negli inferi. Tracce di questi antichi ricordi le troviamo poi nella cultura classica, ad esempio nella cultura greca ne parla Ovidio nelle sue celebri “Metamorfosi” o nei miti riguardanti il re dell’Arcadia Licaone, che, per aver cercato di ingannare Giove fu trasformato dallo stesso in un lupo. In realtà sembrerebbe che questi miti fossero legati ad ancor più antiche usanze di feste pagane di tradizione sciamanica ove era abitudine consumare carne di lupo e venerare l’animale come un dio. Era infatti l’animale che, tramutatosi in guida per il sacerdote, gli suggeriva comportamenti e rituali. Il cibarsi della carne dell’animale totemico così, non era una gozzoviglia ma un sacramento solenne, un modo per il primitivo di acquistare ed assorbire una parte di divinità. Lo stesso Apollo, dio della luce, termine caratterizzato dalla stessa radice della parola lupo, “luke”, fu partorito da Latona che assumeva spesso sembianze di lupo e sembra che la stessa divinità, conosciuta anche con il nome di Apollo Liceo, avesse potere su questi animali. Tradizioni legate all’adorazione dell’animale le troviamo anche nella cultura romana, del resto i fondatori dell’Urbe, Romolo e Remo, furono proprio allattati da una Lupa che poi divenne lo stesso simbolo della città. La tradizione voleva anche che i due re avessero vissuto proprio con un branco di lupi e che, accoppiatisi con tali belve, avessero dato origine a creature per metà umane e per metà fiere. Petronio nel suo Satyricon parla per la prima volta dei “versipellis”, uomini all’interno dei cui corpi crescevano folti peli e così che bastava si rivoltassero come un guanto per cambiare il loro aspetto. Inoltre nelle date attorno al 15 Febbraio a Roma si celebravano i famosi “Lupercali”, feste in onore del dio Lupesco protettore delle greggi e degli armenti. Questi rituali, basati spesso su riti orgiastici con sacrifici animali erano stati a loro volta ereditati dai romani dalle popolazioni autoctone che vedevano nell’animale una divinità. La scelta del lupo, o delle fiere locali come divinità non era casuale, infatti l’animale, che con i suoi comportamenti era considerato grande predatore, era in competizione con gli stessi uomini cacciatori e così il selvaggio, per propiziare una buona caccia, cercava di onorare l’animale sia per ingraziarselo e evitare che gli sottraesse il sostentamento, sia per poter ereditare dallo stesso la sua stessa capacità di caccia. Ecco così che il lupo diventa il dio-protettore-cacciatore adorato in moltissime culture animiste e che ritroviamo tra i Germani, i popoli nordici, i Mongoli, gli Indiani d’America e in moltissime altre tradizioni. Il culto del lupo lo troviamo anche nelle tradizioni sciamaniche-finniche dell’area russa o slava, le cui tradizioni legate a uomini che si trasformavano in lupi furono descritte dallo stesso Erodoto che ci parla del popolo dei Neuri e che ritroviamo anche in un passo del famoso “canto di Igor”, ove si narra delle trasformazioni in lupo del principe Vseslav, e nelle numerosissime leggende locali. L’antico nome che questi popoli davano agli uomini-lupo era vulko-dlak, pelle di lupo, forse per una tradizione legata a uomini che si vestivano con le loro pelli e dunque forse guerrieri come nelle tradizioni nordiche o sciamani. Del resto per il primitivo, secondo i principi della magia empatica o imitativa, travestirsi con le pelli dell’animale equivaleva a trasformarsi nello stesso acquisendo i suoi poteri e le sue capacità come testimoniato dai cacciatori Pawnee o i Mau-Mau, gli uomini leopardi piaga e terrore dei soldati inglesi o ancora i guerrieri nordici come i ulfhednar, le teste di lupo o i non lontani cugini Berseker, i camici d’orso. Si narra che questi terribili guerrieri andassero in battaglia solo vestiti della pelle del loro animale totemico, urlando, ringhiando e ululando come lupi e che erano presi da una furia così devastante, definita poi dai latini con il termine di “furore” che non sembravano avvertire il dolore delle ferite loro inflitte o che uccidevano con disumana forza sia i nemici che i loro compagni per poi morire spesso con il cuore scoppiato. Sicuramente per favorire il connubio tra uomo e bestia e dunque assorbire tutte le caratteristiche dell’animale essi, come in molte tradizioni sciamaniche, facevano sicuramente uso di droghe come quelle ottenute dal micidiale fungo della Amanita Muscaria, che provocava visioni e grandi scariche adrenaliniche e che era poi mescolata con delle bevande alcoliche. Tradizioni di guerrieri-lupi le troviamo poi anche nelle tradizioni italiche. Si parla del popolo dei Reti abitanti nell’area che oggi è il Trentino e il Veneto settentrionale e che crearono numerosi problemi alle mire espansionistiche di conquista dei romani e dei popoli dei Peleghetes, Lastojeres, Cajutes, letteralmente orsi, cani e lupi.


LA MELANCONIA CELEBRALE



Il lupo e i suoi sacerdoti così hanno sempre avuto una valenza benefica, essi erano intermediari tra l’uomo e le forze naturali rappresentate appunto dalle fiere dalle quali, a scopo magico, guerriero o semplicemente per caccia, l’uomo cercava di acquistare la forza. Successivamente però avviene una trasformazione, con il passaggio dalla caccia all’allevamento il lupo subisce una prima trasformazione, esso non è più animale totemico ma diventa nemico delle greggi e dunque dell’uomo, ma sarà nel Medioevo che esso assumerà sembianze malvagie che lo legheranno alla magia e al demonio. Nel 1252 con la bolla papale “Ad extirpena”, Papa Innocenzo IV autorizzò la persecuzione dei culti pagani, ma soprattutto nel 1500-1600 la caccia alle streghe diviene anche caccia al licantropo che, oramai perduto il suo significato sacerdotale, viene visto come mostro o come malattia. Moltissimi malati di quella che veniva definita “melanconia celebrale”, una forma di quella che chiameremmo oggi schizofrenia, furono accusati di stregoneria e condannati al rogo. Nascono così le tradizioni legate ai “lupomini”, “werewolf” o “loup garou”, uomini che si trasformavano in lupi ma il cui significato, oramai demonizzato era completamente differente da quello dei sacerdoti sciamani. Moltissime sono le tradizioni popolari e i racconti sui licantropi, spesso vecchi guaritori o semplici malati di mente venivano scambiati come adoratori del demonio. Successivamente queste “malattie” furono legate anche a timori e tabù, così ecco che se un paese veniva colpito da peste o carestia significava che in questo era nascosto un “lupomino” e così si scatenavano terribili cacce all’“untore”. Stessa cosa dicasi per violazioni di tabù, nel materano ad esempio, ed in particolare a Grassano vi era la credenza che chiunque avesse sposato la sua figlioccia si sarebbe trasformato nelle notti di luna piena in un lupo, forse antico ricordo di culti autoctoni che veneravano il sacro animale e tradizioni simili le ritroviamo nell’area siciliana e nel pugliese. La religione Cristiana non poteva rimanere a guardare, per esorcizzare questi antichi ricordi e per guarire queste malattie legate a satana iniziò a introdurre nella cultura popolare santi guaritori come Sant’Antonio da Padova e il più famoso San Vito, legato al famoso “ballo del santo”,un modo per esorcizzare epilessie e malattie “lunari”, per non parlare di San Francesco d’Assisi e la vicenda del lupo, un modo per esorcizzare antichi culti pagani legati all’animale totemico dell’area umbro-abruzzese e legarli alla nuova figura cristiana, idea che ritroviamo anche nella versione “abruzzese” dell’evento e in particolare della tradizione del paese di Cocullo dove si narra che San Domenico, patrono del villaggio, si trovava a combattere contro un lupo che, la tradizione voleva aver rapito un bimbo in fasce per poi portarlo con se nel bosco. Fu il santo, con le sue preghiere a Dio, a far tornare l’animale con il pargolo e a renderlo mansueto, un altro modo per identificare il santo con la signora delle bestie, la padrona della natura che può donare vita e morte ai suoi credenti. Sarà proprio questo tentativo di cancellare la cultura popolare che ha permesso la sua sopravvivenza anche se camuffata da false vesti, infatti questi rituali antichissimi sono sicuramente eredità dei culti autoctoni sciamani europei poi successivamente assorbiti dal Cristianesimo con una vera e propria opera di sincretismo che ci ha permesso di conoscere antiche tradizioni mai del tutto dimenticate che ancora oggi combattono contro il tempo e l’umana dimenticanza.


Lupi in Lombardia



La mappa dei luoghi visitati dalla Bestia Feroce Gli Angeli e i Santi, posti a protezione delle mura e delle porte di Milano dagli antichi arcivescovi, hanno dovuto lavorare parecchio non solo nel Medievo, ma anche nei secoli successivi fino alle Cinque Giornate del 1848,quando i Milanesi sfondarono a Porta Tosa, o fino all’agosto del 1943, quando si trovarono forse impreparati davanti ad una minaccia che veniva dal cielo. Molti furono gli eserciti nemici accampati fuori Milano: qualcuno riuscì ad entrare, altri non vi riuscirono, ma i protettori della città, invocati ogni anno nelle Litanie Triduane, fecero sempre del loro meglio per limitare i danni o almeno per aiutare i superstiti a risollevarsi. Dove riuscirono meglio nel loro compito, fu nella protezione dalle insidie della Natura - acqua, fuoco, terremoti, belve - dalle quali Milano è stata egregiamente preservata. Il drago di Porta Venezia, è vero, fece morire centinaia di persone con il suo fiato pestilenziale, ma fu subito ucciso (con una salatissima multa?) dall’ingegnoso funzionario pubblico Uberto Visconti. L’opera dei protettori fu ancora più meritoria se pensiamo a com’era il territorio che circonda la città sino a due secoli fa, infestato da banditi e da un’altra razza dimenticata di predatori: i lupi. La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano.Grazie all’attento e minuzioso studio di Maria Comincini pubblicato nel 1991 (vedi Bibliografia) possiamo conoscere meglio il paesaggio milanese, quando al posto di automobili, TIR ed aerei, sfrecciavano cervi, caprioli, lupi. In questo ambiente, esterno ed estraneo alla città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. Lo studio sopra menzionato riporta molti dati su questa guerra, relativamente agli ultimi secoli e nelle diverse province lombarde. Ho estratto da quell’elenco gli avvenimenti più rilevanti svoltisi non troppo lontano da Milano per poter inquadrare meglio l’evento più significativo,ancora oggi ricordato in molte pubblicazioni: quello della Bestia Feroce.



Persone aggredite e uccise dai lupi intorno a Milano:


1462 i lupi assaltano dei fanciulli nella Martesana

1484 i lupi vanno di notte a mangiare i cadaveri nel cimitero dell’ospedale di S. Ambrogio (via S. Vittore a Milano)

1512 e 1530 alcuni morti fuori Porta Ludovica.

1528 molti lupi nel Milanese che aggrediscono i ragazzi

1530 fuori di città molte persone uccise soprattutto da un grosso lupo

1558 molti lupi che uccidono nel Ducato

1575-78 cinque persone uccise da due lupi a Misinto

1580 un lupo fa molte vittime a Busto Garolfo

1603 boschi infestati dai lupi tra Cusago e Trezzano

1650-52 tre ragazzi uccisi da un lupo a Nosate

1655 molte persone uccise ad Abbiategrasso

1656-58 quattro bambini uccisi da un lupo a Bellusco

1668 una bambina uccisa da un lupo a Cesate, un altro nel 1692

1676 due bambini uccisi a Nosate

1679 molti ragazzi uccisi dai lupi a Bellusco

1740 una bestia simile a quella del 1792 assale molte persone in Lombardia, scompare nell’inverno e viene uccisa la primavera seguente

1765 sedici persone assalite a Orio Litta e molte uccise anche per aver contratto la rabbia; a Rivolta d’Adda un lupo (idrofobo?) assale i soldati del Castello e molte altre persone

1766 premio a chi uccide i lupi e caccia generale nello Stato

1767 un lupo assale cinque persone a S. Colombano al Lambro

1772-74 premi a chi uccide i lupi

1801 bestia feroce “che credesi lupa” a Legnano e Locate

1801 lupo idrofobo a Limbiate

1812 un fanciullo ucciso ad Arluno

1816 una bambina assalita da un lupo a Gessate


Questo elenco, a detta dello stesso studioso che è riuscito a raccogliere tutti questi dati, è ancoraincompleto, ma ci consente di fare queste considerazioni: i lupi attaccano l’uomo - generalmente giovanissimi guardiani di animali - soprattutto in momenti di grave carestia. I casi più drammatici, quelli del 1765-67, ebbero come protagonisti dei lupi idrofobi e i danni più rilevanti furono causati dalla malattia contratta dai morsi del lupo più che dai morsi stessi.

La Bestia Feroce



Nel 1792 le cose però andarono ancora diversamente. Dal 5 luglio al 2 settembre, un animale dall’aspetto pauroso e vagamente somigliante ad un lupo uccise quattro ragazzi e sei ragazze, tutti compresi tra i 6 e i 13 anni di età, ferì gravemente un’altra ragazzae assalì alcune persone adulte. Non era un periodo di carestia, né l’animale era idrofobo. Forse non era nemmeno un lupo. La storia, curiosa e inquietante, ci è stata fortunatamente raccontata con dovizia di particolari dall’anonimo estensore del Giornale circostanziato... pubblicato a Milano nello stesso anno.

Tutto cominciò il 5 luglio 1792, quando Giuseppe Antonio Gaudenzio, un bambino di 10 anni di Cusago venne mandato dal padre di notte nel bosco a cercare la vacca che aveva smarrito. Non tornò più a casa. Dopo qualche giorno si trovarono dei vestiti stracciati e “avanzi del corpo di un fanciullo divorato”. Si incolparono i lupi e si pensò che il bambino, stanco, fosse stato assalito mentre dormiva. Pochi giorni dopo però, il 9 luglio, un gruppo di ragazzi di Limbiate viene assalito da “una brutta bestia, simile a un grosse cane, ma dall’orribile aspetto e di strana forma”. I ragazzi fuggirono, ma il più piccolo, Carlo Oca di 8 anni, venne raggiunto. Quando i contadini accorsero avvertiti dagli altri ragazzi lo trovarono sbranato dalla belva. La notizia si sparse rapidamente seminando il panico tra i contadini. Molti videro o credettero di vedere lo strano animale in località molto distanti tra loro. Qualcuno sparò contro qualcosa, ma senza esito. I bambini erano tenuti chiusi in casa. Le autorità governative, nella persona del conte di Kevenhüller, il 14 luglio pubblicarono un Avviso nel quale si diede notizia dell’uccisione dei due fanciulli da parte di “una feroce Bestia di colore cinericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane”. Fu indetta quindi una “generale Caccia” con premio di 50 zecchini per chi avesse ucciso la “predetta feroce Bestia”.

La caccia generale, organizzata da varie città e paesi della zona ad ovest di Milano, non diede alcun esito, neppure quando il premio per “distruggere la Bestia feroce”salì a 150 zecchini. Nel frattempo giravano strane voci sul “Mostro girovago”, segnalato ormai da troppe parti.
Un intraprendente tipografo stampò un’incisione dove la Bestia feroce venne raffigurata con un bambino in bocca, quasi fosse un nuovo tipo di biscione visconteo. Altri sostennero che si trattava di una jena, ricordando che recentemente era passato per Milano un artista girovago con due jene in gabbia. La notizia trovò ancora più credito quando si venne a sapere che questo artista - un certo Bartolomeo Cappellini - era a Cremona dove esibiva una sola jena. Interrogato, diede varie versioni sulla sparizione dell’altro animale, fece le valigie e riparò velocemente nel Veneto.

Più aumentava il premio, più numerosi erano i cacciatori che si lanciavano nell’impresa. Alcuni “professionisti” giunsero anche dalla Vallassina e dalla Valsassina, ma senza alcun esito. Anzi, arrivò ben presto dalla Bestia una tremenda sfida. Il 1° agosto sorprese un gruppo di bambini vicino a Senago, raggiunse Antonia Maria di 8 anni e la trascinò nel bosco dove i contadini che la inseguivano la costrinsero a lasciare la preda ormai moribonda. Sul collo della bambina furono contate 45 ferite. Un testimone fornì questa descrizione dell’animale che suscitò molte perplessità nei funzionari pubblici e un grande terrore nei contadini:“lunghezza di due braccia circa, alta un braccio e mezzo come un vitello di ordinaria grandezza, con la testa simile a quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il mento come le capre ed il resto del corpo baio rossino sulla groppa e lungo di egual colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe alle estremità con unghie lunghe, con un grosso petto che va restringendosi posteriormente.”

Due giorni dopo, il 3 agosto, la vittima fu Domenico Cattaneo di 13 anni ucciso nei pressi di Cesano Boscone; il 4 agosto, fu Giovanna Sada di 10 anni ad essere afferrata per la gola ad Arluno mentre era al pascolo ai margini di un bosco. Considerando la notevole distanza che c’è tra Arluno e Cesano Boscone, a questo punto si pensò che ci fossero addirittura due Bestie feroci.

Ormai tutta la città e il contado erano terrorizzati. A Milano non si parlava d’altro. Il 7 agosto anche la Municipalità di Milano volle fare qualcosa e decise di offrire “con le dovute cautele” fucili in prestito a chi avesse voluto cacciare la Bestia. Aggiunse altri 50 zecchini al premio offerto dal Governo.

Le campagne attorno a Milano, a questo punto, si popolarono di rumorose brigate di cacciatori che ricordavano, con il loro fracasso, le antiche Litanie Triduane in una versione più laica e moderna. Una di queste brigate, si racconta, il 10 agosto burlò un oste mangiando e bevendo allegramente e abbondantemente. Ad un certo punto uno di essi sbucato dal bosco gridò di aver visto la Bestia. Subito tutti balzarono in piedi, afferrarono i fucili e si dileguarono in un attimo dalla vista dell’oste e dal... conto.

Se i Milanesi avevano ancora voglia di fare scherzi, la Bestia invece non scherzava affatto. Il giorno dopo questo buffo episodio, l’11 agosto, alle 8 del mattino, Regina Mosca di 12 anni venne uccisa “in vicinanza di S. Siro fuori di Porta Vercellina, sotto la parrocchia di S. Pietro in Sala (oggi in piazza Wagner)”. Alle 23 dello stesso giorno, Dionigi Giussano di 12 anni fu aggredito e ferito a Boldinasco nella pieve di Trenno (oggi piazza Kennedy). Ormai la Bestia era sotto le mura di Milano. I rimedi finora adottati, le grandi battute di caccia, si erano dimostrati del tutto inefficaci. I cacciatori di professione, che provenivano da lontane vallate, se ne tornarono a casa delusi e le Autorità si misero in moto per cercare altre soluzioni mentre le uccisioni continuavano.

Il 16 agosto il conte di Kevenhüllerscrisse al Magistrato Politico Camerale affermando che a suo avviso non si trattava di un lupo, che i cacciatori avevano fallito e quindi bisognava trovare qualche altro rimedio. Chiese una relazione su quanto era stato fatto fino a quel momento. Il funzionario che venne incaricato di far eseguire la “condanna a morte” della Bestia feroce fu lo stesso personaggio che trent’anni prima era stato osannato in tutto il mondo per il suo libro contro la pena di morte: Cesare Beccaria.

La trappola per catturare la Bestia FeroceIl 20 agosto, Cesare Beccaria, vagliate le varie proposte presentate, e orientatosi verso l’antica soluzione delle trappole che da sempre erano state adottate per catturare i lupi, incaricò i sacerdoti Rapazzini e Comerio di seguire l’esecuzione un loro progetto che era risultato essere il più idoneo. Si trattava di una fossa circondata da una palizzata ovale con al centro un piccolo rialzo con un animale vivo legato. Il contratto con i due sacerdoti prevedeva che venissero predisposti a spese dello Stato 30 steccati o “giochi” secondo il loro progetto. Potevano crearne altri se volevano a loro spese e in questo caso avrebbero preso il premio del governo. Un avviso in questo senso venne affisso con la stessa data del 20 agosto.

Anche la Congregazione municipale di Milano si mise al lavoro, ma in tutt’altra direzione: pensò di rivolgersi agli Angeli e ai Santi. Il 18 agosto fece affiggere l’Avviso di un Triduo di preghiere in S. Maria delle Grazie per i giorni 19-20-21 agosto “attesa l’inefficacia dei mezzi umani finora adoperati per l’uccisione della Bestia feroce”. Fu proclamato lo stato di pubblica calamità.Alla vigilia dell’arrivo a Milano di Napoleone, e della profonda trasformazione dei costumi che ne seguì , si riaccendeva dunque la polemica tra Illuministi e Tradizionalisti. L’Anonimo estensore del Giornale, illuminista convinto, stigmatizzò l’operato delle autorità locali con queste parole:

“... al volgo contadino, inclinato al meraviglioso, e al poltrone, che ama meglio lassiar di sè la cura al cielo, che da sè stesso difendersi, destano il pensiero, che non una Bestia naturale questa sia, ma uno spirito infernale, o altroché d’analogo. Questa, comunque insensata, opinione si sparge, e v’ha sin chi dice averla trovata di notte in mezzo ad un bosco in figura di gentil donzella. A ciò danno peso, presso chi non ragiona, le preci pubblicamente contro la Fiera ordinate...” (pp. 17-18)

Questo atteggiamento della Municipalità aveva dalla sua una tradizione molto antica, quando molti santi erano preposti alla difesa dai lupi, come S. Defendente, S. Alessandro, S. Sebastiano, S. Giuliana e S. Elia. Nel 1777, pochi anni prima di questo evento, il prevosto di Primaluna aveva raccolto 189 lire tra gli abitanti della Valsassina da mandare a Roma al fine di ottenere dal papa una Bolla di scomunica contro i lupi.

Intanto i bambini continuavano ad essere assaliti e a morire in varie località fuori Milano: il 16 agosto alle 23 a Barlassina, Anna Maria Borghi di 13 anni; il 21 agosto presso Bareggio, Giuseppa Re di 13 anni; il 22 agosto a Terrazzano, la bambina Maria Antonia Rimoldi di Mazzo; il 2 settembre, Giovanna Bosone venne assalita, ma il fratello Gerolamo di 14 anni riuscì a liberarla in tempo. Ferita gravemente alla gola, venne curata grazie al chirurgo fornito da Pompeo Litta e guarì.

Il 13 settembre erano pronte 18 delle 30 trappole previste. Si stilò il rapporto sull’idoneità da parte dell’ispettore del Beccaria, che il giorno 17 dispose il pagamento ai sacerdoti delle spese sostenute. Il giorno dopo, in un campo detto la Crosazza della Pobbia fuori di Porta Vercellina, distante da Milano miglia 5 circa, un lupo cadde nella trappola. I contadini, sentendolo urlare, lo colpirono con sassi e pertiche e poi lo impiccarono con un cappio.

Iniziò un processo formale di riconoscimento che vide sfilare molti testimoni chiamati a osservare l’animale per capirese era veramente quello veduto da loro durante le drammatiche aggressioni: molti riconobbero nel lupo ucciso la Bestia feroce, alcuni invece affermarono che si trattava di un animale diverso. Il 4 ottobre venne stilata una Relazione che ammise l’identità del lupo con la Bestia feroce, ma con molte riserve, tanto che si proseguì comunque a realizzare le altre 13 fosse, che furono terminate il 30 ottobre. Soltanto il 24 dicembre Beccaria autorizzò l’esposizione al pubblico del lupo, debitamente imbalsamato, in una casa Agli scalini del Duomo (dov’è ora la Rinascente) dalle 9 alle 14 e dalle 17 alle 21. Il biglietto costava 10 soldi a persona e per i nobili ci si rimetteva alla loro discrezione. Nella primavera dell’anno seguente le fosse vennero smontate e rinchiuse. L’incubo era finito, ma solo il 18 gennaio 1794 la Municipalità riconobbe il premio di 50 zecchini ai due sacerdoti, che presero in seguito altri 12 zecchini vendendo il lupo al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pavia.



Un X-file del XVIII Secolo.

I puntata: Una cronaca dimenticata.



Nel ballatoio ligneo che si affaccia sull’atrio della Biblioteca Nazionale Braidense si trova una raccolta di scritti e opuscoli vari di argomento lombardo, costituita da una serie di cartelle che riportano sul dorso la segnatura Miscellanea 14.16.

Nell’atmosfera un po’ cupa, appesantita dalle strutture di legno antico, ma illuminata dai violenti fiotti di luce che si riversano dalle finestre che si aprono su un cortile interno del palazzo di Brera, emergono dalle cartelle dalla copertina violacea opuscoli di formati differenti, legati insieme. Uno di questi, che appare in apertura di cartella, è un opuscolo di poco più di sessanta pagine, stampato in caratteri piuttosto grandi, su una carta di colore chiaro, di qualità discreta; nel frontespizio il titolo Giornale circostanziato di quanto ha fatto la Bestia feroce nell’Alto Milanese dai primi di Luglio dell’anno 1792 sino al giorno 18 settembre p. p.

La prefazione, in cui l’accorto narratore pone le premesse della sua circostanziata cronaca, è volutamente ambigua e lascia spazio a interpretazioni differenti. L’incertezza è l’unico valore ricavabile e il referente si trasforma in tal modo in un’entità irreale e inafferrabile, un essere solo apparentemente identificabile, simile agli esseri reali, ma non identico ad essi.

Se nei racconti di fantasmi l’essere che appare, nella sua impossibile e inspiegabile realtà, è troppo orribile per poter essere nominato, nella cronaca settecentesca la raccapricciante creatura viene sovente ricordata, ma in maniera indefinita: più che un animale reale e verosimile è una categoria, <<la bestia>>, che evoca lontane paure e una persistente apprensione, un’essenza ferina che piomba improvvisamente nel nostro quotidiano per sconvolgerne e distruggerne gli equilibri e le certezze.

Leggiamo quindi le brevi pagine introduttive dell’anonimo cronista.



AL LETTORE



Mentre la Bestia feroce facea stragi di Fanciulli, e atterriva gli uomini, io, che saper potea quanto alla pubblica autorità venìa riferito, m’occupava di mano in mano a scrivere questo Giornale, coll’intenzione di pubblicarlo tosto che la Bestia fosse presa, con che e avrebbe avuto fine il Giornale, e sarebbesi alla medesima potuto dare con accertatezza un nome, aggiungendone la descrizione, e se v’era d’uopo la figura.

Tenni per certo, che questo momento fosse giunto nel giorno 18 di Settembre, quando s’annunziò la presa della Bestia in una delle Fosse Lupaje di cui parlasi sotto il giorno 20 di Agosto.

Tante cose si dissero a principio, che parea non potersi dubitare esser quella veramente la Bestia feroce che si volea far perire; ma tante altre cose si dissero in appresso, che nacque forte dubbio su di ciò. Qual Bestia veramente sia stata presa, e in che modo, e quali particolarità siansi in essa ravvisate nella Sezione Anatomica, lo diremo a suo luogo.

Intanto s’è pensato di non più ritardare a pubblicare quanto la Bestia feroce ha fatto finora, e quanto si è fatto per essa. Se veramente sarà cessato il danno, e argomentar così potremo, che sia perita la Fiera, sarà così terminato il libro. Altrimenti si darà esposto in un Appendice quanto in seguito avverrà; poiché la Bestia, se vive ancora, non potrà sfuggir lungamente la persecuzione de’ Cacciatori quando sgombre siano dalle Biade, e dalle Viti le Campagne, e dalle Foglie i Boschi stessi.

Così termina l’introduzione, lasciando aperte le porte dell’incubo. Ogni soluzione rimane possibile: forse la Bestia non è ancora morta, e in tal caso l’orrore potrebbe continuare, o forse è morta o è stata catturata, ma il suo cacciatore non ha reso testimonianza dell’avvenimento. Ma perché sarebbe stata nascosta la verità, se non fosse stata troppo orribile per poter essere liberamente raccontata?

La storia incomincia il 4 luglio del 1792 e ha come sfondo le aree della campagna milanese, allora in parte incolta e boscosa.

Quel giorno, dunque, ha inizio questa inquietante vicenda, che preferiamo raccontare con le parole stesse dell’anonimo redattore della cronaca, fedelmente trascritte, conservando errori e punteggiatura dell'originale.


Giornale, 5 Luglio



La prima vittima umana di questa Bestia feroce, per quanto sappiamo probabilmente, fu Giuseppe Antonio Gaudenzio di Cusago.

Situato è questo villaggio a sei miglia da Milano presso un esteso bosco a cui dà il nome, fra il Naviglio, e la strada, che conduce a Novara. Ivi sovente albergano i lupi nell' inverno, e sen fa annualmente non inutil caccia dal Sig. Don Francesco Gallina, che ne possiede parte. Ivi frequentemente facea soggiorno la feroce Bestia.

Dicesi, che nel giorno 4 il fanciullo, com' era suo costume, conducesse la vacca, unica ricchezza della sua famiglia, a pascolare nel bosco. O foss' egli trascurato, o capricciosa oltre l' usato fosse quel giorno, la vacca s' inselvò, la perdè di vista, e già cadea il Sole, nè potea rinvenirla. Sperò, che da sè stessa fosse ita alla consueta stalla, e s' avviò a casa. Incontrò sull'aja il burbero padre, che gli chiese della vacca. Sorpreso il figlio, e dolente di non trovarla, cercò qualche scusa: il padre soverchiamente severo, va, gli disse, minacciandolo, cercala, e non osar di più tornare, se non la riconduci. Tornò il figlio piangendo, e disperato al bosco. Che gli avvenisse, non si sa. Più non si rivide da parenti alla sera, nè alla notte. Alla mattina il padre sentì rimorso della sua crudeltà; e 'l dolor, e 'l pianto della moglie glielo raddoppiava: corse al bosco: dopo molti giri trovò la vacca, che tuttavia pascolavasi: chiamò lungamente il figlio, che mai rispose; e lo pianse perduto, senza sapere qual fine avesse fatto. Solo dopo alcuni giorni seppe, che si era trovato un giupponcino, e de' calzoncini lordi di sangue, un cappello, e alcuni avanzi del corpo di un fanciullo divorato. Sentì allora tutta la sua durezza. Se ne accusarono i lupi; benchè paresse strana cosa, che in quella stagione, il lupo animal carnivoro insieme, e frugivoro, a cui offria abbondante cibo la campagna, assalito avesse un fanciullo; e si dubitò piuttosto, che questi, stanco e abbattuto, si fosse addormentato, e 'l lupo l' avesse colto dormente. Forse così avvenne; ma quello, che si seppe poi della Bestia feroce, indusse ad accusarne lei piuttosto, che i lupi.

8. Luglio



Questo primo male non sapeasi ancora in Milano quando vi pervenne al giorno 9 dello stesso Luglio la notizia di ciò, che avvenuto era a Limbiate. Situato è questo villaggio a 8 miglia da Milano verso tramontana, e distante ben 12 miglia da Cusago, presso al torrente Seveso, e appoggiato ad una costa, sopra la quale sta una pianura per gran parte incolta, detta la Grovana. Ivi a luogo a luogo è della boscaglia, principalmente sul pendio; e ivi è il pascolo del Comune. Alcuni ragazzi d'ambo i sessi ivi stavano in guardia delle vacche, e di altri animali loro affidati da parenti. Sull'accostarsi della sera veggon avvicinarsi a loro una brutta bestia, simile a grosso cane, ma d'orribil ceffo, e di strana forma. Si spaventano, e non sapendo che meglio fare, mentre la bestia temporeggia disegnando la preda, e studiando il miglior modo di afferrarla, salgono su vicini alberi, gridando ajuto. Lontani erano i contadini a lavorare ne' campi, e niuno accorse. La Bestia non potendo raggiugner i fanciulli, dopo d'aver fatti alcuni giri sotto le piante, parte. I ragazzi, che più non la veggono, si fanno coraggio, e discendono. Non pensano ai loro animali, che all'aspetto della Belva feroce si erano radunati insieme, quasi disponendosi alla difesa, e quindi avviatisi senza guida al paese. Appena i ragazzi sono a terra, la Bestia, che erasi celata, sbuca dalla macchia. Chi ha migliori gambe è il primo. Rimane ultimo Carlo Oca di otto anni. La Bestia l' afferra, e presolo pel collo se lo strascina nel bosco. I contadini accorrono, ma tardi: trovano il fanciullo in parte divorato, abbandonato poc' anzi dalla Bestia spaventata, all' udire il rumore di chi andava in traccia di lei. Sospettossi qui pure d' un lupo; e sebbene i ragazzi dicessero unanimemente, che avea testa molto larga, muso acuto, grandi denti esterni, pelo cupo, e macchiato al disopra, bianchiccio al di sotto, coda folta e riccia, orecchie alte ecc. : pur ciò che si trovava di differenza fra la descrizione loro, e la vera figura del lupo, attribuivasi alla loro spaventata immaginazione. Ciò non ostante nacque allora pensiere ch' esser potesse un' Jena. Due di queste bestie erano state portate a Milano entro gabbia di legno e ferro da Bartolommeo Cappellini, ed erano state esposte alla pubblica curiosità sul finir dell' Inverno scorso sino ai primi di Marzo. Più di uno aveva osservato, che la maggiore, la quale mostravasi pure la più feroce, era poco assicurata, essendo la cassa poco meno che sdruscita: Non era impossibile, che rotta la prigione fosse fuggita; ma impossibil, era, che qui venuta fosse un' Jena dai deserti dell' Asia, e dell' Africa. Crebbe maggiormente il sospetto allorchè seppesi, che Bartolommeo Cappellini era colle sue bestie feroci a Cremona, e ivi una sola Jena avea. Chiesto, che avvenuto fosse dell' altra, a principio rispondea che morta gli era, e aveala sotterrata; ma udendosi accusare di sciocchezza per non averne serbata la pelle, dava in seguito meno improbabile risposta, cioè, che essendosi da lui separato il compagno, che aveva ugual diritto su quel loro capitale, a lui ceduta avea insieme ad altre bestie una delle Jene; nè sapea, che poi ne fosse avvenuto. Per ultimo vedendo crescere le inchieste, e udendo le stragi, che una Bestia feroce facea sul Milanese, stimò più sicuro consiglio l' abbandonare lo stato Austriaco, e rifuggiarsi sul Veneto, ove nemmeno osò dimorare lungamente. Questa opinione ha tosto eccitato lo ingegno degli intagliatori in legno, ed in rame, e gli stampatori a darci ritratti della Jena, or copiati da Buffon, e da altri naturalisti, or fatti a capriccio; e innumerevoli erano le botteghe, e gli angoli delle strade, ove tali figure si vendeano. La prima stampa, che sen vide fu un inesatto ragguaglio dell' uccisione fatta di questo fanciullo: Eccone la figura. Vegliavasi a Limbiate, e attendeasi il ritorno della Bestia feroce quando nel giorno 11 s' intese, che a Corbetta, distante da Milano 12 miglia, e altrettante da Limbiate sulla strada di Novara, aveva rapita, e sbranata, e in parte divorata la fanciulletta Giuseppa Suracchi d' anni sei. Stava questa al tramontar del Sole con una sua sorella maggiore sulla strada che da Corbetta conduce alla CassinaPobbia, in custodia d' alcuni animali. Veggono le sorelle dalla siepe sbucare una bestia, che esse prendono per un grosso cane, di colore cinericcio scuro, con macchie nericcie, il quale avventasi alla più piccola, l' afferra pe' panni sul fianco, e strascinandola, malgrado le alte sgrida sue e della sorella la porta sull'alta riva entro la siepe. La smarrita, e tremante sorella, che la perde di vista, corre a cercar ajuto, e racconta fra i palpiti del cuore il tristo caso. Accorrono i parenti, e altri Contadini, e dopo lunghe ricerche trovano la misera fanciulletta sbranata, entro una vigna, distante ben un mezzo miglio dal luogo ove ghermita l' avea la Fiera. Crebbe allora vieppiù il pensiere, che fosse una Jena, avendo osservato, che scannata l' aveva alla gola, quasi per beverne prima il sangue; il che dicesi essere proprio di quella Fiera . Non mancò però chi pensò diversamente; e chi aveva fatte molte ricerche, espose francamente, che dalle sue indagini, dalle informazioni prese, e da un ponderato esame di tutto ciò che narravasi su questo proposito, egli inferiva, che molti de' fatti che raccontavansi fossero frottole, o sogni e gli altri provassero, che i lupi, e non la Jena erano i malfattori; un sogno era stato, secondo lui, il Ragguaglio fatto da certa donna di Corbetta detta la Bella-bocca, la quale narrava, che la Fiera se le era avvicinata, e afferratala avea per la gonnella; ma essendo al di lei grido accorso il vicino marito, erasene quella fuggita attraversando d' un salto la pubblica strada; e rendea ragion così del non trovarsi sulla polve impronte de' di lei piedi. Un ridevole equivoco era stato quello di Teresa Janisdi San Stefano Comune di Corbetta ragazza di anni 15, la quale avendo veduto un animale uscir da un campo di biade grido altamente la Bestia, e si diede alla fuga, mentre il vento trasportò il di lei fazzoletto bianco, staccatosele dal capo, sulla testa dell' animale stesso. I parenti poco lontani accorsero, e spaventati pur essi a principio, perchè un animale mansueto si, ma incognito vedeano, nell' avvicinarsegli il riconobbero per un vitello, a cui il fazzoletto alterava la fisonomia. Non fu questo il solo equivoco preso. Presso Villacortese distante da Milano 16 miglia fra ponente, e tramontana un ragazzo vede un quadrupede barbuto che salta; e tosto grida ecco la bestia: chi l’ode corre a casa ad armarsi, e ‘l più zelante va a dar campana a martello. Ecco schioppi, forconi, vanghe, picche: si corre al campo, e si trova… che? una capra che aveva peloso il mento più delle altre. Un altro fatto che pur di lieto fine lo induce ad attribuire al lupo le insidie, e i mali di che veniva accagionata una Jena. A Sedriano, villaggio distante 10 miglia da Milano, e due da Corbetta, due ragazze se ne stavano in un campo alla cura di due vacche ed una troja. La Bestia arriva, e lor s’avvicina, esse corrono agli animali, e questi prendono le loro deboli, e timide custodi sotto la loro protezione: le vacche abbassando le corna, e la troja grugnendo, e mostrando le bianche zanne s’avventano alla bestia inimica, e la cacciano in fuga. Tuto ciò ai costumi del Lupo, anzichè a quei della Jena, secondo lui s’assomiglia. Un fatto consimile era avvenuto presso al bosco di Cusago. Perché i lupi qui abbondino quest’anno, e più crudeli siano dell’usato egli crede rinvenirne la cagione nelle pioggie eccessive, che hanno inondato molte valli, e ingombrato il soggiorno e ‘l covile delle lupe, che presso di noi son venute a sgravarsi, del che abbiamo argomento in alcuni lupacchiotti, che si sono uccisi nel bosco di Cusago summentovato. Malgrado questi ragionamenti ciò che dopo avvenne ci portò a credere, che lupo non fosse quella Bestia sì ghiotta di carne fanciullesca. Per molti giorni si stette cheta contentandosi di oche, dindi, polli, e qualche porcellino. Forse anche si nudrì di qualche cadavere di cavallo, involando così il pascolo ai corvi e agli avoltoj. Si narrò, che fu veduta in un campo a Cesano distante da Milano 12 miglia sulla strada comasina. Avvisati i contadini s' armano di fucili, e di picche che la Casa Borromea somministra, circondano il campo, e aspettano che si muova per farle fuoco addosso. Nulla veggono, nulla sentono. Credono d' essere stati ingannati, o che partita sia la Bestia chetamente, mentr' essi meditavano di sorprenderla. Risolvono d'abbandonare l' impresa, e a un tratto, odon rumore nell' angolo del campo stesso, vi si volgono, e veggon la fiera partire a gran balzi, sicchè nemmeno hanno tempo di far fuoco su di essa. Così a un dipresso è succeduto ai cacciatori del Sig. Don Bassano Bonanome: essi perlustrano il bosco di Cusago; lasciano intatto un angolo presso ad un capo di roggia, che noi diciam fontanile, e da quell' angolo sbuca da lor fuggendo la Fiera senza che abbiano tempo di metter alla faccia lo schioppo. L'agilità, e la sveltezza dell'animale congiunta alla sua malizia, hanno così più volte deluse le speranze di chi credea colla sua morte acquistar ricchezza, e gloria. Due Cacciatori essendo sull' aperta brughiera di Senago; ma appiattati nell' alveo d' un rivo, odono i lor compagni che dal confin del bosco gli avvisano, che la Bestia verso loro s'avvia: ascendono la sponda, la belva passa, e non hanno tempo a tirarle, se non quando si era a distanza grandissima. Uno dei cacciatori di Valsasina, di cui parleremo, vedela da vicino; dubita, perchè diversi erano i rapporti sulla sua figura (altri bigia descrivendola, altri rossiccia, ed altri bruna), e quando si determina a farle fuoco addosso, la Bestia è fuor del tiro ordinario. I lepri, ai quali solo, mangiate erano le interiora e l' capo, trovati da cacciatori furon certamente avanzi de' pasti della Bestia, che gli avea presi al corso. Certamente convien dire, che tal Bestia alla velocità, e alla malizia unisca molta fortuna; ma è vero altresì, che l' indolenza, e la viltà de' villani fanno la fortuna sua. Molte volte i contadini accorrono alle strida de' fanciulli assaliti o minacciati, e non mai v' accorrono collo schioppo. Talora s' armano, tirano il colpo alla fiera sdrajata, che sembra essersi posta a bersaglio; ma talmente lor trema il braccio, che il colpo va a ferir il suolo o i rami degli alberi. Così è avvenuto a un certo Rosana di Desio, che vede la Bestia giacente appiè di giovane salice, ha tempo di prendere lo schioppo carico a palle incatenate: tira il colpo, tronca l' albero, e la Bestia intatta si ritira. Colpi simili non infrequenti hanno prodotto un male, a cui la ragione non sarebbesi mai aspettata. Se il timor fece gli Dei de' Gentili, al dir di Lucrezio, soventi anche fra Cristiani creò gli spiriti maligni, gli stregoni, i demonj ove non erano. La sagacità di questa Bestia, che sì di rado incappa in uomini armati; il timor panico de' cacciatori i più risoluti quando la veggono; l'agitazion loro, per cui perdono e la vista per ben mirare, e la forza di tener diritto lo schioppo; l' agilità superiore a quante bestie conosciamo; la differenza d' aspetto, che rilevasi dalle diverse descrizioni, che ne abbiamo; il trovarsi poco meno che contemporaneamente in luoghi distanti: tutte queste cose, e più altre interamente sognate, al volgo contadino, inclinato al maraviglioso, e al poltrone, che ama meglio lasciar di sè la cura al cielo, che da sè stesso difendersi, destano il pensiere, che non una Bestia naturale questa sia, ma uno spirito infernale, o altrochè d' analogo. Questa, comunque insensata, opinione si sparge, e v' ha sin chi dice averla trovata di notte in mezzo ad un bosco in figura di gentil donzella. A ciò danno peso, presso chi non ragiona, le preci pubblicamente contro la Fiera ordinate come diremo in appresso. Sì strane opinioni però non trattennero punto il Governo dal prendere le più opportune misure per liberare il paese da questo flagello. Ai 14 di Luglio fu promulgato dalla Conferenza Governativa il seguente.


A V V I S O



In questo momento giunge alla notizia della Conferenza Governativa, che la Campagna di questo Ducato trovasi infestata da una feroce Bestia di color cenericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso cane, e dalla quale furono già sbranati due fanciulli.

Premurosa la medesima Conferenza di dare tutti li più solleciti provvedimenti, che servir possano a liberare la provincia dalla detta infestazione, ha disposto che debba essere subito combinata una generale Caccia con tutti gli Uomini d' armi delle Comunità, col satellizio di tutte le Curie, e colle guardie di Finanza.

Al tempo stesso rende inoltre noto, che da questa Tesoreria Camerale verrà pagato il premio di cinquanta Zecchini effettivi a chiunque, o nell' atto della suddetta generale Caccia, o in altra occasione avrà uccisa la predetta Bestia feroce: somma che verrà subito sborsata dal Regio Cassiere Don Giuseppe Porta, in vista del certificato, che rilascierà il Regio delegato della Provincia, nel di cui Territorio la suddetta Bestia sarà stata ammazzata.


Milano li 14 Luglio 1792



In vista di questo avviso s'accrebbe il numero di quei che aspiravano al premio, e all' onore di aver liberata l' Insubria da tanto nemico. Pareva facile ad ogni cacciatore l' ucciderla, e pareva impossibile ai tranquilli ragionatori, che sedendo su Caffè ne meditavano la strage, che ad ogni momento non venisse la nuova della Fiera uccisa, e la fiera stessa portata in trionfo. Fuvvi anche chi inopportuno derisore di questa ben perdonabile lusinga, mandò de' messi fallaci per vedere il popolo vanamente accorrere.

Ma si giunse al di 19, e la Belva, contenta di polli, e d' animali non domestici, poco di se faceva parlare. Molti, a vero dire, diceano d'averla or qua or là veduta; ma poco erano creduti.

Ciononostante si eseguì l' intimata Caccia generale. Si sa che tutte le Comunità della Lombardia Austriaca hanno certo numero di contadini, i quali, medianti alcuni privilegj e diritti, son tenuti ad avere in casa schioppo, e munizione, ed a servire a cenni del Regio Cancelliere del distretto, qualora abbisogni della forza pubblica.

Chiamansi questi uomini d' armi. Tutti questi uomini d'armi de' distretti XII. XIII. XIV. XXIV. XXV. XXVII. XXVIII. furono comandati. Innumerevoli cacciatori a loro s’ unirono, mossi altri da zelo, altri da curiosità, altri dalla voglia di divertirsi, e di ridere; percorsero le campagne di que' distretti, ove la Bestia soleva aggirarsi; ma le grida, gli urli, i fischi e più di tutto i tamburi avvertiano la Fiera dell'assalto che le si minacciava. O cheta siasi ella appiattata, o sia fuggita in più lontana parte, certo è che nessuno la vide.

Non solo fu inutile questa Caccia generale; ma fu anche nocevole. La Campagna nostra era in que' dì, e lo è tuttora coperta dai grani minuti, e dalle viti, ove non sono prati irrigati, o risaje.Tante persone,che vagavano senza direzione, dovevan' apportare considerevol danno, e ve l' apportaron difatti; onde sen’ ebbero pubbliche lagnanze. Considerevole altronde era stata l’inutile spesa della Regia Camera, che a tutti gli Uomini d' armi pagò la giornata. Maravigliatosi il Regio Governo che in nessuno abbattuta si fosse la Bestia feroce in que’ dì ordinò a Cancellieri di far esplorare se aveasi di essa notizia, e ove fosse stata veduta, per farla ivi inseguire.

Frattanto però la Bestia vivea tuttavia, e se non divorava fanciulli, or in uno, or in altro distretto atterria gli abitanti, di maniera, che i fanciulli e le donne più non voleano andare alla guardia del bestiame e ai lavori campestri. Convenia, giacchè sì facil non era togliere la cagione del timore, rassicurare almeno quelli, e queste, e a tal oggetto nulla immaginar si potea di più spediente quanto l’ordinare che ogni Comunità de' divisati distretti avesse gli uomini d' arme in sentinella in que' luoghi ove soleano i ragazzi condurre il bestiame, e comparir solea la Fiera.

Le sentinelle furon poste: i ragazzi da loro scortati tornarono ai boschi, alle brughiere, ai campi. Alcuni Cacciatori scusavano la dappocaggine loro sulla scarsezza del premio; e la Conferenza Governativa emanò il secondo avviso che qui inseriamo.


A V V I S O



Per vieppiù animare gli Uomini d' armi, li Cacciatori, e qualunque altra persona a far ogni tentativo per distruggere la Bestia feroce, che infesta alcuni distretti di questo Ducato, la Conferenza Governativa ha determinato di aumentare fino a cento cinquanta Zecchini il premio, che verrà corrisposto a chi avrà uccisa la Bestia predetta. Tale premio sarà corrisposto nel modo, che nell' avviso del 14 andante fu indicato per quello di cinquanta Zecchini, trovato equitativo in allora, che si ordinava pure una generale Caccia, e che ignorandosi per anche l' agilità, e la velocità della stessa Bestia, era da supporsi meno difficile il poterla uccidere.


Milano 24 Luglio 1792



Al premio di 150 zecchini aggiugneansi i regali di illustri Cavalieri Borromeo, Litta, Crivelli, Castiglioni, Aresi, ec. ec. che promessi gli aveano qualora sulle loro terre la Bestia fosse stata uccisa. Il Sig. Cavaliere Sannazari, che ha un ricco museo del Regno Animale, per aggiugnervi pur la spoglia di questa Fiera aveva offerti per averla, 20 altri zecchini, ben' inteso, che a lui si portasse dopo che l' uccisore avesse riscosso un dovuto tributo dalla pubblica curiosità. Non puossi ben calcolare quanto, guadagnato avrebbe chi avesse mostrata la spoglia di questa Fiera ad un prezzo proporzionato all’ avidità; ma certo è, che ammontato sarebbe a parecchie centinaja di zecchini. Il contadino, che l' uccidea cambiava stato, e divenia maggiore di tutti i suoi pari. L' esuberanza di questo premio accrebbe ai cacciatori la vigilanza.Alcuni vennero dalla Valassina, ed altri da Valsasina, paese, ove non di rado si ha a combattere co' Lupi, e cogli Orsi. Ma alla Bestia non si arrecò mai danno. Essa, quasi annojata d' altro cibo volgare, ai primi d' Agosto ripensò al suo cibo favorito, cioè ai fanciulli. A Senago distante da Milano 10 miglia al nord-est, ov’ è un' ampia brughiera, e qualche bosco, ai due del detto mese sull' imbrunir della sera stavano venti e più ragazzi uniti guardando i rispettivi loro animali. Da un lato avean' un boschetto detto il Deserto, e dall' altro la pubblica strada, che conduce a Saronno Esce fuori dal bosco l' Animale, e a ragazzi s' avventa: questi fuggono, chi più, chi men veloce, gridando e urlando.

Non vi sono uomini d' armi, nè cacciatori. Antonio Nobili contadino poco robusto stava lì presso tagliando brugo con la falciuola: accorre alle grida, minaccia la Bestia, e questa ritta in piedi attacca zuffa con lui, che con la falciuola ne tien lontane le ugne, e i denti, finchè prendendo essa un consiglio più adattato alle sue viste abbandona il Nobili, insegue i fuggitivi, de' quali ultima era Maria Antonia figliuola di GioanniBeretta legnajuolo, di anni 8. La Fiera la afferra co' denti nel collo, e colla sua preda sen torna al bosco. I compagni, e ‘l Nobili cercano soccorso; i villani vengono; ma niuno ha schioppo. Alle strida, e al battere de' ferri la Fiera abbandona la morente fanciulla, a cui trovano 45 ferite nel collo, e altre lacerazioni in altre parti del corpo.

Il Nobili, che ben vide la Bestia, per quanto la paura gli permettea di vedere, la descrisse lunga due braccia, alta uno, e mezzo, con testa porcina, orecchie cavalline, pelo caprino lungo folto, e bianchiccio sotto il ventre, e più ancora sotto il mento, e alla coda, che lunga era e spiegata, ma era rossiccio e corto sul dorso: gambe sottili, piede largo, ugne lunghe e grosse, largo petto, e stretto fianco. Tale è pur generalmente la descrizione, che i più ne hanno data. Altri però, l' hanno, o credon d' averla veduta sotto tutt' altra forma. Se il Nobili avesse avuto lo schioppo divenìa probabilmente l' Eroe liberator della Patria; ma un pover contadino come può procurarsi schioppo, e munizioni ? Il proprietario del fondo ove succedè il funesto avvenimento, e di quello, che coltivavano i parenti dell' infelice fanciulla, per ovviare all’avvenire; giacchè non v' era riparo al passato, pensò ad armare tutti i suoi contadini con 18 schioppi, che chiese in prestito alla pubblica armeria, e tosto gli ebbe.

Lungo camino la maligna Fiera fece alla notte. Verso la sera del giorno 3 comparve presso Asiano (a 6 miglia da Milano all’ ovest verso Cusago) a tre fanciulli, che stavano presso un campo in guardia delle loro vacche. Avvicinossi a loro dimenando la coda con perfida mansuetudine, tanto che essendo presso a Domenico Cattaneo fanciullo di anni 13, età, che ad un di presso aveano i suoi compagni, l' afferrò per la gola, e via sel portò nel vicin bosco. Corsero gli altri a cercare soccorso. Vennero i contadini, tenner dietro alla strada presa dalla Bestia, che i piangenti compagni indicavano; percorsero il bosco; ma indarno; nè la predatrice Fiera, nè la preda trovarono, e cercaronla invano tutto il giorno 4. Solo dopo due giorni rinvennero nel bosco di Casorate il cadavere di quell' infelice, ignudo, e fracido. Livido n' era, e sommamente gonfio il volto; ma mancante del naso: mangiato n' era il petto, e quanto restava esposto alla voracità della Fiera di quel corpo supino: le braccia, le gambe, e gli intestini separati dal corpo erano rimasti come un rifiuto; ma il fegato era stato mangiato in parte: del vestito non vedeasi, che qualche resto di camiscia lorda di sangue. La descrizione fatta da ragazzi della feroce Bestia corrisponde a quella del Nobili. A foggia degli scelerati, che ad ogni nuovo delitto cambiano soggiorno, la Fiera abbandonò tosto le parti di Casorate, e portossi più al Nord verso Arluno. Stavan ivi alla sera, ora da lei scelta per le depredazioni, sulla pubblica strada, che confina con un bosco, in guardia del bestiame due sorelle figliuole di Pietro Sada, l' una per nome Giovanna d' anni 10 e di 11 l' altra, con Stefano Losa di anni 3. Esce la Fiera dal bosco, afferra pel busto sul petto Giovanna, e via la porta; la fanciulla grida, libere avendo le mani, e 'l volto, e come può si difende. La Fiera la depone, la prende per la gola, la scanna, e sen pasce; mentre i superstiti corrono a narrar la sventura a parenti, che sopraggiungono quando già n' era divorata gran parte di sostanza integumentale, e del collo tutto sino alle vertebre, oltre molte ferite nel resto del corpo.

Nel seguente giorno 5 era tuttavia in quel luogo il cadavere, che giusta le leggi che noi rispettiamo sempre senza sempre ammirarle, non poteasi trasportare se non precedea la visita del Giudice. Cominciò quel giorno in que' d' intorni a spargersi voce, che non una, ma due fosser le Fiere. Tale sospetto già era nato dall' udire, che in sì distanti luoghi, e in sì vicini tempi succedessero le stragi; ma fuvvi in quel dì chi disse d' averle vedute unite movere a passi lenti entro il bosco; e tali ei le descrisse, che il maschio parea più agile, e snello; e femmina l' altra con pendenti zinne. Malgrado questa minuta descrizione non sen fece gran caso. I cacciatori, e Milanesi, e de' vicini monti, di cui parlammo, seguiano a percorrere, e devastare le campagne. La Congregazione Municipale, non già che insufficienti riputasse i mezzi opportunamente presi dal Regio Governo, ma per mostrare pur essa una giusta premura di veder presto tolto di mezzo questo orribil nemico della pubblica tranquillità, e della vita de' contadini non solo offrì pur essa un premio di 50 Zecchini per accrescere il già proposto dalla Conferenza Governativa; ma offrì colle dovute cautele schioppi a chiunque non potea provedersene altronde col seguente

A V V I S O



La Congregazione Municipale di Milano notifica al pubblico d' avere in via sussidiaria alle providenze già date dalla Regia Conferenza Governativa, ed attese le straordinarie circostanze del caso, stabilito un premio di Zecchini 50 per l' uccisione di quella qualunque Bestia, che da qualche tempo infesta la Provincia, e diè morte ad alcuni fanciulli riportandosi per la prova, e pagamento al disposto nel recente Avviso della prefata Regia Conferenza, e di avere inoltre ordinata per agevolare tale uccisione la consegna de' fucili, e bajonette dell' armerìa civica, che si richiederanno per le Comunità dai Regi Cancellieri distrettuali muniti delle opportune facoltà contro loro obbligo in iscritto di farne la restituzione in istato lodevole tosto cessato il bisogno.


Milano li 7 Agosto 1792



Frattanto ai racconti degli avvenimenti tragici sen frammischiano de' ridicoli; alcuni de' quali immaginati erano, altri veritieri. Faceta fu la burla che molti Garzoni di Bottega fecero ad un oste. Essi armati di schioppo, e sciabola avviaronsi alla Caccia sul mezzo dì essendo presso a una buona osteria un buon pranzo ordinaronsi, e avendo deposte le armi, che l' oste addocchiate avea come un pegno, fecero gozzoviglia. Sul finire del pranzo prima che l' oste portasse loro il conto, ecco, uno arriva ansante, e annuncia nel vicin Campo la Bestia: ognun corre all' armi, ognuno balza fuori armato. L' oste tripudia perchè presso all’ osteria sua verrà uccisa la fiera. I cacciatori si sbandano, e l' Oste col conto in mano gli aspetta ancora.

Dicesi esser ciò avvenuto al giorno 10, ma al giorno 11 fummo nuovamente a tragedie più tristi delle prime. La Fiera fatta più ardita s' avvicina alla Città, e viene alla Cassina di San Siro che n' è distante appena un miglio fuor di Porta Vercellina.

Sceglie il mattino, e già ben alto il sole, e s' introduce in un Campo di gran-turco. Forma il suo covaccio sotto una vite scavando il terreno a tal curvatura da potervi comodamente giacere. Vanno in quel Campo alcune ragazze a cogliere le erbe inutili, al doppio oggetto di pascerne il bestiame, di sgombrarne il fondo. La Bestia loro s' accosta, le odora per iscegliere il boccon migliore: già prendeane per la gonnella una di otto anni ma pentitasi si avventò ad una di dodici che avea nome Regina Mosca, e l' afferrò pel collo co' denti, mentre colle ugne lacerolle il petto. Alle grida delle compagne, e de' vicini contadini che accorsero la Bestia lasciò la preda mancante di parte del collo, sicchè parea, che le fosse al tempo stesso stato succhiato il sangue della vena jugulare. Questa avidità di sangue erasi argomentata anche in altre simili uccisioni, onde inferivasi, che nè Lupo fosse nè Orso, ma bensì Jena, o Lupo Cerviero.

Malgrado la strage fatta della fanciulla, la Fiera, non avea certamente fatto buon pasto; onde affamata tuttavia se ne partì, e allontanandosi appena un miglio verso il nord, trovossi prima del cader del Sole a Boldinasco, ove veduto in un Campo Dionigi Giussani d' anni 12, lo assalì, lo gettò per terra, e, presolo pel petto, anzichè per la gola, strascinollo sotto un filare di viti, e disponeasi a farne pasto: anzi par dalle ferite che già gli avesse messi nel collo i denti, o l' ugne; ma alle grida del fanciullo accorse certo Mauro che lì vicino era, e benchè senz' armi pur coraggioso corse verso la Bestia, che fuggì.

Il Lupo Mannaro



Molto, molto tempo fa, nelle notti fredde, quando il vento sibilava tra gli infissi sgangherati delle vecchie case, andava in giro per le zone buie del paese, il lupo mannaro.
Aveva la testa di lupo, le mani pelose, le unghie dure e nere e si reggeva sulle zampe posteriori, camminando come le persone. Si diceva, infatti, che egli fosse un uomo che in determinati periodi dell'anno, nelle notti di novilunio con la luna completamente invisibile, si trasformava da persona a lupo mannaro.
Il suo nome era Feliceantonio Cucumella e faceva il guardiano in una vecchia fattoria di Nocella. Questi durante un anno di freddo intenso e di abbondanti nevicate rimase per un lungo periodo di tempo isolato in Sila, in compagnia di un giovane stalliere che in seguito ad una malattia improvvisa un giorno morì e il suo corpo rimase nella neve per oltre quattro mesi prima di essere sepolto.
Finite le provviste Feliceantonio Cucumella, per sopravvivere alla fame, fu costretto a mangiare carne umana e così da quella volta si buscò la maledizione divina e assunse caratteri demoniaci, diventando appunto un lupo mannaro.
La moglie e i figli che vivevano con lui, quando egli faceva ritorno in paese, si accorsero della sua trasformazione una notte d'inverno, quando all'improviso prese ad emettere prolungati ululati e man mano il suo corpo si trasformava in bestia carnivora.
Terrorizzati da quella metamorfosi trovarono riparo in un sottoscala nel quale si richiusero per tutto il resto della notte.
Il lupo mannaro lasciò, invece, di lì a poco la sua abitazione e si dileguò per le strade del paese in cerca delle sue vittime. Più di una persona cadde tra i suoi artigli, fino a quando si sparse la voce della sua presenza in paese e così la gente nelle notti di novilunio o non usciva più o se era costretta ad uscire lo faceva in compagnia di altre persone, per cui il lupo mannaro si guardava bene dal farsi avanti e per tutta la notte poi era difficile per lui trovare prede isolate da azzannare.
Non appena il sole sorgeva dietro le montagne di Gimmella, ai primi albori dell'alba egli faceva ritorno alla propia casa e riprendeva la forma e i lineamenti umani con i quali era conosciuto da tutti.
La paura del lupo mannaro continuò ad opprimere la gente di San Giovanni in Fiore, fino alla fine del 1893, anno in cui la morte colse nel sonno Feliceantonio Cucumella, stremato da un ruolo nel quale era stato condannato da una maledizione divina.
 
Top
0 replies since 26/1/2016, 19:47   157 views
  Share