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Stregheria: Nome delle Streghe in base alla Regione

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view post Posted on 23/1/2019, 22:01     +1   -1
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Guardiano del male

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A dove so io

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Liguria


Bàzure

Siamo nei dintorni di Savona. Queste creature sono anche chiamate "streghe marinare", poiché si dice che riescano a navigare nelle tempeste, che riescono anche a scatenare. Possono inoltre rovinare il pane nei mulini e il vino nelle botti, rapire i neonati e succhiargli il sangue.




Piemonte


Masche

Sono streghe e sciamane del Piemonte, antiche sapienti grandi dai grandi riti di protezione e grandi divinatrici, da loro in misterioso e leggendario Libro del Comando (da non confondere con quello di Agrippa di altra tradizione lontana da Paganesimo), si dice anche che lanciassero malocchi e tutto può essere.
Come tutte le streghe erano perseguitate ed etichettate come malvagie terribile e adoratrici del diavolo, cosa più sbagliata in quanto i loro riti di protezione infatti, servono proprio a tener lontano proteggersi e eliminare demoni diavoli e compagnia bella.




Lombardia



Zöbia
Si tratta di una tribù si streghe che vive in Lombardia. Il nome potrebbe significare giovedì, poiché è il giorno del loro sabba. Sono anche dette zöbiane o giubbane. Non sembra molto malefica, anzi si limita a entrare nelle case dai camini attendendo il risotto tradizionale oppure fa sparire i vestiti delle donne, trasformati da gomitoli di refe, in modo che si ritrovino in strada quasi nude.




Veneto


Bele butele

Vedi Genti beate/anguane



Genti beate
Altro nome delle streghe che trae in inganno. Sono diffuse nel veronese e qualcuno le ascrive alla famiglia delle Fate e più precisamente alle anguane. Vivono nelle grotte e si riuniscono la notte per tenere i loro concili. Vanno a caccia di serpenti, uccelli e caprioli, di cui si nutrono. Per qualcuno si tratta perfino di spiriti, che vivono nei pressi delle sorgenti.
L'anguana è una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa e tipica della mitologia alpina.
Storie sulle anguane (agane nelle tradizioni friulane, carniche e ladine dolomitiche) si ricordano soprattutto nelle regioni pedemontane e montane (Carnia, Valli del Natisone, Val Badia, Val Gardena, Livinallongo del Col di Lana, Val di Fassa, Ampezzano, Cadore), ma sono creature fatate anche di altre zone, per esempio del folklore della Laguna di Grado e di Marano. Le anguane presentano caratteristiche e nature diverse a seconda delle varie leggende e delle località. Sono conosciute anche come subiane, aganis, ogane, gane, vivane, pagane, zubiane, acquane, longane.
L'antico termine anguana lo si può trovare nel De Ierusalem celesti, opera scritta da Frate Jakomin da Verona (Giacomino da Verona) nel XIII secolo. Le anguane sono presenti nella celebre, e antichissima, Saga dei Fanes, racconto mitologico delle Dolomiti, conosciuto soprattutto nella versione scritta da Karl Felix Wolff nel 1932.
Generalmente le anguane sono rappresentate come spiriti della natura affini alle ninfe del mondo romano (probabile modello originario del mito), i cui caratteri molto spesso si fondono però con quelli delle ondine e altre figure della mitologia germanica e slava (le rusalki in particolare). In molte zone del Friuli il loro mito si sovrappone e si confonde con quello delle Krivapete (tipiche invece delle grotte e delle montagne), con le quali condividono numerose leggende. Alcune storie affermano che le anguane, al pari di altre creature mitiche, fossero donne morte di parto, o anche fanciulle morte giovani, oppure anime di bambine nate morte, oppure ancora donne nate avvolte nel sacco amniotico (le si potrebbe definire, perciò, benandanti al femminile). Secondo altre tradizioni erano donne dei boschi, dedite ad un culto pagano (fondendone evidentemente il mito con la realtà delle religioni sciamaniste ancora vive in Friuli e in Carnia almeno sino al XVII secolo), ma erano perlopiù considerate figure non umane appartenenti al mondo degli spiriti.
Vengono descritte frequentemente come giovani donne, spesso molto attraenti e in grado di sedurre gli uomini; altre volte però appaiono invece come esseri per metà ragazze e per metà rettile o pesce, in grado di lanciare forti grida (in Veneto esisteva, fino a poco tempo fa, il detto "Sigàr come n'anguana", gridare come un'anguana). In altre storie sono delle anziane magre e spettrali, o figure notturne che si dileguano sempre prima che chi le incontra sia in grado di vederne il volto. Vestite, nelle leggende friulane, quasi sempre di bianco, altre tradizioni affermano che amassero, invece, i colori brillanti e accesi, come il rosso e l'arancione (in rari casi appaiono con stracci logori di colore nero).
In ogni caso le leggende sulle anguane hanno in comune la presenza, in queste creature, di uno o più tratti non umani: piedi di gallina, di anatra o di capra, gambe squamate, una schiena "scavata" (che nascondono con del muschio o con della corteccia). L'altro elemento comune su cui tutte le leggende concordano è che le anguane vivono presso fonti e ruscelli e sono protettrici delle acque. Talvolta anche dei pescatori (ai quali, se trattate con rispetto, spesso portano fortuna). In molte storie (comuni anche alle krivapete e ad altri esseri soprannaturali) si narra di come abbiano insegnato agli uomini molte attività artigianali tradizionali, quali la filatura della lana o la caseificazione (tali storie si concludono generalmente con gli uomini che rompono il patto o non si dimostrano riconoscenti e la anguana che se ne va, offesa, senza insegnare loro un'arte essenziale - generalmente la produzione del sale, dello zucchero, del vetro o di altre arti nelle quali la popolazione dei luoghi delle varie leggende è carente).
Nei comuni cimbri veronesi le anguane (in questo territorio chiamate anche Bele Butèle, Belle Ragazze), erano un tempo addette ai pozzi e lavavano i panni della gente delle contrade, ma si rifiutavano di lavare i capi di colore nero. A Campofontana abitavano in una grotta dietro al Sengio Rosso, sotto la vetta del monte Telegrafo.
Talora (così come le "sorelle" krivapete) assumono tratti sinistri. In diverse leggende sono solite terrorizzare o burlare i viaggiatori notturni, spargere discordia, in particolare tra le donne, rivelando segreti e pettegolezzi, inoltre, se insultate, sono inclini alla vendetta, portando sfortuna a vita al malcapitato (molte leggende tuttavia specificano chiaramente che, a differenza di orchi e "strie", le streghe, le anguane non uccidono mai uomini o animali). Si dice anche che spesso asserviscano coloro che si attardano fuori casa la sera (soprattutto giovani ragazze), costringendoli a riempire vanamente cesti di vimini (incapaci di trattenere l'acqua) per tutta la vita. Altri racconti popolari, invece, raccontano vicende di anguane male intenzionate ingannate dall'astuto protagonista che chiede loro di riempire un cesto di vimini, trattenendole così fino al sorgere del sole (in diversi luoghi del Friuli vigeva l'usanza di lasciare davanti all'ingresso un cesto di vimini, che l'agana avrebbe invano cercato di riempire per tutta la notte, lasciando in pace gli abitanti della casa). Secondo la tradizione popolare, le anguane smisero di mescolarsi con le persone comuni dopo il Concilio di Trento. Il passaggio dalla dedicazione all'anguana alla titolazione al diavolo deriva dalla demonizzazione delle divinità pagane nel medioevo.
Era presente il culto dell'anguana presso lo Scalfìn dal diaul (= Tallone del diavolo), detto anche Cèpp da l'Angua , a Canzo. Questo viene ricordato durante la sofisticata celebrazione della Giubiana da Canz con la presenza del personaggio. Anche numerosi luoghi del Triveneto ricordano le anguane nella toponomastica: grotte, massi, rupi valli. L'Anguan-tal, valle dell'Anguana, è una zona di contrada Pagani di Campofontana, Verona. Buso dell'anguana è il nome dato a diverse caverne del Vicentino.




Stria della Diassa

Nella provincia di Belluno impazza la stria della Diassa, altrimenti detta "strega del ghiaccio". Padrona degli elementi atmosferici invernali, può scatenare bufere di neve e valanghe. Nessuno ne conosce l'aspetto.




Tempestare
Le streghe tempestare sono proprie di tutta la nostra penisola e si tratta di streghe – ma anche stregoni – che hanno ormai da tempo imparato a controllare gli agenti atmosferici. Possono procurare bufere, tempeste, grandinate e rovinare così i raccolti. Si dice che la bora, il ben conosciuto vento triestino, sia causata da streghe del luogo. Nella zona di Brescia due disastri, che hanno causato la perdita di centinaia di alberi, sono attribuiti all'azione di queste streghe.




Vecia barbantana


Questa strega arriva dal Veneto e la sua caratteristica, molto temuta dai bambini, è di camminare in continuazione per i centri abitati, catturando i bambini sperduti e nutrendosene.




Toscana

Adoratrici di Diana e Aradia

Nome non Definito, adoratrici di Diana e Aradia.
E' un culto Etrusco Italico in realtà, troviamo informazioni solo sul vangelo delle Streghe o Vangelo di Aradia di Charles Godfrey Leland, Avrebbe ricevuto il manoscritto nel 1886, durante un soggiorno in Italia. Alcuni sostengono che la donna in questione fosse Margherita Zaleni, una chiromante, che avrebbe iniziato lo stesso Leland alla stregoneria. una Strega di questo culto, rimodellato come gli pareva meglio da Grimassi e che i veri cultisti dissentono da lui.
Aradia, o il Vangelo delle Streghe comincia con la nascita di Aradia da Diana e dal fratello di questa, Lucifero, descritto come "il dio del sole e della luna, il dio della luce (splendor), tanto orgoglioso della sua bellezza, che per il suo orgoglio fu scacciato dal paradiso. Il discorso si sposta poi sulla situazione di oppressione sociale dei poveri dell'epoca che per sfuggire alla schiavitù dei ricchi e dei potenti spesso si trasformavano in briganti e assassini. Aradia viene quindi inviata in loro soccorso come maestra di arti stregonesche e protettrice

« Un giorno Diana disse a sua figlia Aradia
È vero che tu sei uno spirito,/ 'Ma sei nata per essere ancora /Mortale, e tu devi andare /Sulla Terra a fare da maestra /A donne e uomini che avranno /Volontà d'imparare alla tua scuola /Che sarà fatta di stregonerie. /Non devi essere come figlia di Caino /E della razza di quelli che son divenuti, /Scellerati e infami a causa dei maltrattamenti, /Come Giudei e Zingari, /Tutti ladri e briganti, /Tu non diventerai… /Tu sarai (sempre) la prima strega…






Campagnia


Janare

La janara, nelle credenze popolari dell'Italia meridionale e in particolare dell'area di Benevento, è una delle tante specie di streghe che popolavano i racconti appartenenti soprattutto alla tradizione del mondo agreste e contadino.
Il nome potrebbe derivare da Dianara, ossia «sacerdotessa di Diana», dea romana della Luna, oppure dal latino ianua, «porta»: era appunto dinanzi alla porta, che, secondo la tradizione, era necessario collocare una scopa, oppure un sacchetto con grani di sale; la strega, costretta a contare i fili della scopa, o i grani di sale, avrebbe indugiato fino al sorgere del sole, la cui luce pare fosse sua mortale nemica.
Probabilmente la leggenda nacque nel periodo del regno longobardo su Benevento, poiché anche se quasi tutti gli abitanti della città si erano convertiti al cristianesimo, alcuni veneravano ancora in segreto gli Dei pagani in particolare le Dee Iside, Diana ed Ecate il cui culto è ancora testimoniato da monumenti sparsi per la città.
Dopo l'arrivo dei longobardi anch'essi pagani, forse alcuni dei pagani rimasti si unirono a loro nel culto degli alberi presente nella religione longobarda e nel culto della vipera dorata cara ad Iside, da qui forse nacquero le leggende delle orge infernali che si tenevano le notti di sabato sotto l'enorme noce.
Jana Mari, in uno dei suoi grimori, narra storicamente ciò che le è stato tramandato da generazioni " Viene tramandato di come i Longobardi che abitavano quei luoghi in quell’epoca, adorassero la Vipera a due teste o alata, in forma di idolo d'oro, che custodivano nelle proprie abitazioni.
Alle volte si ritrovava nelle campagne un serpente a due teste: da questa rara malformazione si capiva che chi lo aveva trovato era posto sotto la protezione della dea Iside (il culto della dea era già presente a Benevento dove sorgeva un tempio dedicato alla dea egizia: Iside, infatti, era una divinità in grado di controllare i serpenti.)
Essi la veneravano sia appendendo un serpente morto ad un albero vicino a casa, o addirittura appeso direttamente sull’uscio di casa: in questo caso, essi passavano sotto il serpente morto e gli toccavano la testa come segno di deferenza.
Inoltre uso tra i Longobardi era quello di appendere nel corso dei loro rituali principali , la pelle di un caprone ai rami del noce e poi, tutti i presenti volgevano le spalle al noce, cavalcavano il più velocemente possibile, spronando i cavalli, in una specie di "giostra" per giungere primi a colpire con una “lancella” il feticcio e poterne così mangiare un pezzetto (dopo averli cotti sulla brace, in presenza di tutti i convenuti festanti), affinché venissero esauditi i voti che in quella occasione essi formulavano.
Il noce di Benevento fu fatto tagliare la prima volta sul finire del VII sec. da Barbato, prete cattolico, quando Costante II Eraclio, imperatore di Costantinopoli, sbarcò con una grossa armata a Taranto e, dopo aver depredato la Puglia, cinse d’assedio per molti mesi Benevento: In città il cibo scarseggiava e gli aiuti dal nord tardavano a giungere.
Grotta della Janara località Gianola a Formia (LT). La grotta della janara si trova nel Parco Marino della Riviera di Ulisse tra l'antico porticciolo Romano di Gianola ed il lungomare di Santo Janni. È indicata da cartelli turistici e trattasi di una scala coperta, antico collegamento con i portici, il Tempio di Giano con le vasche termali allora esistenti. Prende il suo nome da una leggenda locale dove si pensava che fosse frequentata dalle streghe.




Zucculara

Sempre a Benevneto c'era questa Strega zoppa, infestava il Triggio, la zona del teatro romano, ed era così chiamata per i suoi zoccoli rumorosi. La figura probabilmente deriva da Ecate, che indossava un solo sandalo ed era venerata nei trivii ("Triggio" deriva proprio da trivium).
Vi è poi la Manalonga (=dal braccio lungo), che vive nei pozzi, e tira giù chi passa nelle vicinanze. La paura dei fossi, immaginati come varchi verso gli inferi, è un elemento ricorrente: nel precipizio sotto il ponte delle janare vi è un laghetto in cui si creano improvvisamente gorghi, che viene chiamato il gorgo dell'inferno. Infine vi sono le Urie, spiriti domestici che ricordano i Lari e i Penati della romanità.
Nelle credenze popolari la leggenda delle streghe sopravvive in parte ancora oggi, arricchendosi di aneddoti e manifestandosi in atteggiamenti superstiziosi e paure di eventi soprannaturali.




Puglia


Gatte masciare

L’ARCO DELLE STREGHE A Bari e nella provincia le streghe erano chiamate “gatte masciare”, termine che deriverebbe da megaera, una delle tremende Erinni, ma anche dal vergo latino megairo, cioè invidio. Erano infatti le masciare coloro che lanciavano il malocchio, si arrampicavano sui tetti delle case, facevano ammalare i bambini e si trasformavano in terribili gatti neri attraverso l’uso di un particolare unguento, da qui il nome di gate masciare. Come le loro “colleghe” italiane anche le streghe baresi si recavano al sabba beneventano ove raggiungevano Lucifero pronunciando la frase magica “sop’ a spine e ssop’a saremìinde / m’agghi’acchià a Millvìinde” ( su spine e su sarmenti, mi troverò a Benevento”. La tradizione delle tremende masciare è fortemente diffusa, nel borgo antico del capoluogo pugliese, nei pressi della Basilica di San Nicola, ove, sotto “U arche d’la Masciar’, si incontravano spesso streghe e demoni richiamati da oscuri rituali. La gente evitava così il passaggio da quelle stradine o tentava di proteggersi attraverso l’uso di uno scongiuro che, in realtà, diviene interessante da esaminare perché in qualche modo è traccia delle vere origini. Bisognava farsi il segno della croce e dire “Driana meste ca va pela vì, degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Marì” ( Maestra Diana che vai par la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria. Al di là dell’effetto dello scongiuro che avrebbe fatto ritornare la gatta masciara delle sue sembianze di donna, interessante è il forte richiamo alla Maestra Diana che ci riporta a culti pagani mai dimenticati.




Calabria e Balisicata


Abitatrici dei campi

Non è ben chiara la natura di queste streghe, che alcuni definiscono invece Fate. Sono presenti nelle leggende della Calabria e della Basilicata, che hanno subito l'influenza delle comunità albanesi. Si dice che rapiscano i bambini nelle culle, per poi nasconderli nei tronchi delle querce. Troviamo questo aspetto nel romanzo fantastico Zeferina di Riccardo Coltri. In realtà queste caratteristiche sono più proprie delle Fate che delle Streghe.




Sicilia


Animulari

Sono presenti in Sicilia e rientrano nella famiglia delle Streghe. Sono donne che hanno venduto la loro anima al diavolo. Questo potrebbe far pensare che il loro nome derivi da "anima", mentre invece sembra che sia dovuto al termine dialettale siciliano "anunulu", che significa arcolaio, poiché si dice che volino la notte girandolo. L'arcolaio compare anche nella fiaba La bella addormentata nel bosco, in cui la strega Malefica si trasforma appunto in un arcolaio per far pungere la principessa. Queste streghe, con opportuni unguenti e formule magiche, possono passare attraverso le fessure di porte e finestre.




Nome Madri:

(Non ha nulla a che fare con le Tre MAdri di Dario argento che in Realtà erano Tre Vere Streghe di Origine Greca prima Streghe poi divenute Dee Oscure).

Nel folclore della provincia di Trapani le madri sono streghe brutte, orribili, che hanno occhi gialli e pupille ovali (elemento caratteristico dei gatti). Sono in grado di lanciare malefici e sortilegi e conoscono le arti magiche. In Calabria queste streghe sono conosciute coi nomi magare e magarat.




Maciara


In alcuni centri della provincia di Avellino, specialmente nell'area dell'alta Irpinia, ai confini con le province di Foggia, Potenza e Salerno, c'è la maciara. Risulta essere sorta di stregoncella, più atta alle malocchiature dette "affascino". Per estensione, si dice di che fa moine, cioè che fa la "maciara" o che fa le "maciarije".




Istria Parte Italiana (Visto che una parte é della Croatia una parte della Slovenia)


Lavandaie

Le lavandaie hanno diverse appartenenze: possono essere fate, ma anche fantasmi. In alcuni casi si tratta però di streghe. L'elemento che accomuna queste creature è l'acqua. Sono donne viste nei pressi di una sorgente a lavare i panni. Si fanno aiutare dai viandanti incauti, che sono così costretti a strizzare i panni finché si ritrovano spezzate le ossa delle braccia. Le streghe lavandaie possono anche rapire i bambini dalle case e la loro sorte è in questo caso peggiore, perché le piccole vittime sono sbattute sulle rocce in continuazione, come fossero delle lenzuola. Questa leggenda è propria di Istria.




Sardegna


Cogas

Le cogas sono riconoscibili perché hanno una minuscola coda oppure una piccola croce pelosa sulla schiena. Erano conosciute anche con i nomi di surbiles o surtoras.
Considerate streghe e vampire poiché dedite a succhiare il sangue umano soprattutto quello dei neonati non ancora battezzati, is cogas erano temute anche per il loro potere di trasformarsi in animali, di rendersi invisibili o di spostarsi velocemente a cavalcioni su delle scope.
Si dice che bastasse rivoltare un indumento, anche indossato in quel momento, per vedersele all’improvviso di fronte, senza abiti e coperte solo dai lunghi capelli e peli.
 
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