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Julia Carta

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view post Posted on 28/9/2020, 19:47     +1   -1
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Guardiano del male

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Julia Carta: la strega di Mores e Siligo



Il 18 ottobre del 1596, i funzionari dell’inquisizione fanno irruzione in una casa di Mores (SS) con un mandato di cattura per una ragazza accusata di eresia, apostasia, stregoneria e profanazione di cadavere. Si chiama Julia Casu Masia Porcu, indicata nei documenti processuali dell’inquisizione come Julia Carta, una ragazza di Mores, sposatasi poi a Siligo all’età di 25 anni.

Julia Carta: chi era?

Julia Carta era una ragazza di estrazione popolare come tante dell’epoca, poverissima, analfabeta, religiosa ed educata alle attività tipicamente femminili. All’età di 25 anni, sposò un vedovo di Siligo, Costantino Nuvole, da cui ebbe sette gravidanze, ma un solo figlio sopravvissuto, Juan Antonio.

Ma non fu solo questo. Fu anche una “majalza” (strega in sardo logudorese), depositaria di conoscenze magiche tramandatele i particolare da tre personaggi a lei vicini mentre, da nubile, abitava ancora a Mores. Sua nonna materna, Juana Porcu, le aveva insegnato a preparare unguenti curativi. Da una certa Thomayna Sanna imparò a confezionare amuleti magici (sas pungas) e da una zingara della comunità gitana locale apprese le tecniche magiche diagnostiche, basate sull’osservazione delle fiamme.

Ma ebbe anche un altro maestro, di un’altra natura rispetto alle precedenti: il diavolo.

Non una strega qualunque

I documenti processuali la descrivono come una persona particolarmente intelligente, acuta e complessa, pur non avendo avuto nessuna educazione formale. Dalla ricostruzione, essa viene descritta come indovina, conoscitrice dei berbos, delle erbe, delle fumigazioni e detentrice del potere di guarire, far ammalare e uccidere. Tali documenti descrivono minuziosamente le procedure, le erbe e gli oggetti utilizzati in quelle pratiche magiche. Piante comuni, tegole di chiesa, urina, pietra pomice, monete, ossa di morto e tanti altri elementi. Rituali antichi, tramandati di donna in donna, le cui origini affondano nella notte dei tempi. Un sincretismo tra paganesimo e cristianesimo, nel quale magie ancestrali incontrano invocazioni a Dio e alla Madonna.

Testimonianze come questa mostrano come le comunità del Logudoro fossero propense a ricorrere alle pratiche magiche nella vita quotidiana, specie ai fini terapeutici. Ma non solo, si praticava anche la magia nera per scopi malefici.

Julia, come spesso erroneamente viene riportano, non era una comune strega rurale. A si rivolgevano persone da tutti i centri limitrofi e di ogni ceto sociale, dal popolino alla nobiltà. Persino la futura Marchesa di Mores, Caterina Virde y Manca, si rivolse a lei poiché vittima “malefici rappresentati da diversi pupazzi trapassati da chiodi e sotterrati nella sua casa”.

Tra le grinfie dell’Inquisizione

La Sardegna fu duramente colpita dall’Inquisizione Spagnola che, dal 1492 al XVII secolo, seminò terrore e miseria e mise la popolazione in uno stato di totale sudditanza nel tentativo di imporre un modello di società cristiana. Le pratiche magiche di qualsiasi tipo erano un peccato punibile con la morte e, per tale motivo, Julia Carta finì tra le maglie della Santa Inquisizione. Tradita, forse per paura di quel sistema brutale, da quella comunità che l’aveva accolta, quella Siligo medioevale a cui lei voleva rendersi utile.

L’accusa partì da sua amica di Siligo, Barbara De Sogos che, presumibilmente durante la confessione, riferì al parroco del paese, Baltassar Serra Manca, delle attività magiche di Julia. In particolare riferì al prete, commissario del Santo Officio, che l’aveva sentita parlare dell’autoconfessione: i peccati non dovevano essere riferiti necessariamente al prete, ma si poteva essere assolti in completa autonomia. Julia sosteneva di aver imparato tale pratica dalla nonna materna, che consisteva nel “dire i peccati dentro un buco da ricoprire nel pavimento della chiesa davanti all’altare o in casa sotto il lenzuolo”. Durante l’Inquisizione Spagnola, “offendere” un sacramento come quello della confessione, era considerato un reato gravissimo.

Fu quindi avviata una prima istruttoria il 19 settembre del 1596 e, il 25 dello stesso mese, furono ascoltati i primi testimoni: Domenica Carta Oggiano, Giacomina Enna e Giacomina Zidda. Queste accusano Julia di hechizería (fattucchieria), di aver cercato di curare alcuni loro familiari malati con unguenti di carattere magico, di ricorrere a suffumigi e amuleti e di lanciare maledizioni e sortilegi.

L’arresto e il primo processo

Fu poi il turno altre testimoni, che accusarono Julia della preparazione di amuleti e di ricorrere a fattucchierie dai risvolti sovrannaturali allo scopo di danneggiare o uccidere persone . Nove giorni dopo, il 18 ottobre, venne arrestata a Mores, a casa dei genitori, e condotta a casa dei familiares del paese, uomini di fiducia dei funzionari presenti ovunque. La portarono poi nelle carceri del Santo Officio, nel castello di Sassari, dove iniziò il suo travaglio durato un decennio e articolato in due processi.




Nel mese di agosto però, ammise di aver praticato alcune pratiche magiche e il mese successivo avvenne la svolta. Julia Carta confessò di essere adoratrice del Señor Domán, il diavolo, il quale fu per lei istigatore, maestro e tentatore. Nelle sue inquietanti confessioni, Julia riferì delle apparizioni del demonio, manifestatosi prima con le sembianze di un vecchio con la barba bianca e, successivamente, nelle vesti di un pastore. Ammise che fu il diavolo ad averle dato le istruzioni per preparare amuleti, suffumigi e unguenti e di aver avuto con esso dei rapporti sessuali. Inoltre dichiarò che con costui avrebbe stipulato un patto: l’anima e l’abiura di Dio e della fede in cambio di potere e ricchezza.

L’abiura

Il 6 ottobre, l’inquisitore Pedro de Axpe emise la sentenza dichiarandola eretica e, dieci giorni dopo, Julia fece pubblica abiura nella Chiesa di Santa Caterina (attuale Piazza Azuni) a Sassari. Durante l’autodafè, portava il sambenito, l’abito della vergogna fatto di panno giallo recante la croce di Sant’Andrea. Era un monito, un simbolo di umiliazione pubblica che gettava disonore sul condannato e su tutta la sua famiglia. Julia scampó al rogo, ma fu condannata a portare il tale abito per 3 anni più a una serie di obblighi di carattere religioso.

La cosa notevole è la trasformazione strategica della protagonista. Si assiste a uno sdoppiamento di Julia che, in una fase iniziale, nega ogni accusa, ma che poi decide di lasciar andare alcune confessioni per rafforzare la sua posizione.

Il secondo processo e la scomparsa

Dopo una pausa di 7 anni, nel 1604 iniziò un secondo processo che durò sino al 1606 con l’accusa di essere recidiva. Confessó nuovamente e gli inquisitori la dichiararono eretica formale, idolatra del demonio e apostata della fede. La condanna proposta fu il rogo, ma riuscì a scongiurare tale pena anche stavolta. Il suo nome comparirà in un altro documento del 1614, e dopodiché di lei si perde ogni traccia, alimentando quell’alone di mistero che la circondava.

I documenti processuali: l’archivio digitalizzato

I preziosi documenti del processo, fortunatamente digitalizzati, sono disponibili online sul portale PARES, l’archivio storico spagnolo. I documenti del primo processo sono consultabili liberamente cliccando su questo link, mentre quelli relativi al secondo su quest’altro.

Il caso di Julia Carta è stato riportato alla luce dal professor Tomasino Pinna nel libro “Storia di una strega. L’Inquisizione in Sardegna. Il processo di Julia Carta“. Un lavoro incredibile e prezioso che aiuta a comprendere meglio la Sardegna dell’epoca e le sue dinamiche.

“Julia” raccontata dal rapper DubZenStep

DubZenStep è un rapper sardo che, nell’album Inner Circle, ha racconto la pezzi di Sardegna antica in chiave hardcore. Affianco a s’Accabadora, tra i pezzi compare “Julia“, uno storytelling rap/trap che intende ripercorrere in qualche verso la sua vita, il suo processo e la sua dura carcerazione.


Fonte

Edited by Falupbis - 13/8/2023, 21:41
 
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