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Tutta la mitologia Greca, In ordine alfabetico

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Demon Quaid
view post Posted on 20/6/2010, 21:32 by: Demon Quaid     +1   -1
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Vampiro di dracula

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Dall'isola che non c'è....l'Inferno?

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Amintore (mitologia)

Amintore è una figura della mitologia greca, era il re dei Dolopi.

Costrinse in esilio presso Peleo il figlio Fenice, accusandolo di volergli sottrarre l'amante.

Amintore fu poi ucciso da Eracle a cui aveva rifiutato il passaggio sopra i propri territori.

Amisodaro

Nella mitologia greca, Amisodaro era il nome di un licio, padre di Atimnio e di Maride.

Amisodaro, ricco cittadino della Licia, ebbe due figli, Atimnio e Maride, che divennero durante la guerra di Troia compagni in armi del grande Sarpedone. La guerra era scoppiata per via di un capriccio di amore voluto da Paride, che rapì Elena moglie di Menelao. I due giovani persero la vita mentre combattevano in battaglia, per mano di un'altra coppia di fratelli, Antiloco e Trasimede.

Il nome di Amisodaro è legato anche alla Chimera. Tale mostro, dotato di tre teste, una di leone, una di capra e una di serpente, fu infatti tenuto a bada proprio dal saggio e tranquillo Amisodaro che lo nutriva, quando gli era possibile, per evitare che facesse danni maggiori agli abitanti della Licia. Fino al giorno in cui Bellerofonte uccise quella creatura spaventosa.

Amitaone

Amitaone è un personaggio della mitologia greca, discendente di Eolo, re di Orcomeno. Amitaone era infatti uno dei figli di Creteo, re di Jolco, che aveva sposato la bellissima Tiro dopo che costei era stata posseduta da Poseidone che per averla aveva assunto le sembianze del fiume Enipeo, tanto desiderato da Tiro. I figli avuti con Creteo erano appunto Esone , Fere e Amitaone.

Essendo succeduto a Creteo sul trono di Jolco il primogenito Esone, Amitaone abbandonò la sua terra per la Messenia. Amitaone sposò Idomenea che gli diede due figli Melampo e Biante.

Amore e Psiche

«Vi erano in una città un re e una regina. Questi avevano tre bellissime figliole. Ma le due più grandi, quantunque di aspetto leggiadrissimo, pure era possibile celebrarle degnamente con parole umane; mentre la splendida bellezza della minore non si poteva descrivere, e non esistevano parole per lodarla adeguatamente »

La storia di Amore e Psiche viene messa per iscritto da Apuleio, scrittore latino del II secolo.

L'asino d'oro

L'unico romanzo latino a noi giunto completo è Le metamorfosi, conosciuto anche come L'asino d'oro, opera parzialmente autobiografica di Apuleio in undici libri, nella quale il protagonista narra la sua trasformazione in asino. Nel testo l'autore aggiunge varie sottotrame nate da leggende popolari.

Tra le più note v'è senza dubbio Amore e Psiche, in due libri, che tratta la storia dei due personaggi omonimi. La favola, come il resto de Le metamorfosi, ha un significato allegorico: Cupido - identificato con il corrispondente greco Eros, signore dell'amore e del desiderio -, unendosi a Psiche - ossia l'anima - le dona l'immortalità. Tuttavia questa, per giungervi, dovrà affrontare quattro durissime prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi.

Anche la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo racconto nel racconto con l'opera principale; è infatti facile scorgervi una "versione in miniatura" dell'intero romanzo: come Apuleio anche Psiche è una persona simplex et curiosa; inoltre, entrambi compiono un'infrazione, alla quale seguirà una dura punizione. Solo in seguito a molte peripezie potranno raggiungere la salvezza.

Psiche

Il nome Psiche allude al significato mistico della storia. E riconduce alle prove che la donna dovrà affrontare nel corso della storia, simbolo delle iniziazioni religiose al culto di Iside.

Storia

Psiche, una bellissima fanciulla che però non riusciva a trovare marito,diventa l'attrazione di tutti i popoli vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Venere. Venere saputa l'esistenza di Psiche, che portava gli uomini a tralasciare e dimenticare la vera Venere, invia suo figlio Amore perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra, perché Psiche sia coperta dalla vergogna di questa relazione. I genitori di Psiche, intanto, consultano un oracolo che gli risponde:
«Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un'alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l'aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d'Averno e i regni bui.»

Psiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e li viene lasciata sola.
Ma il dio si innamora della mortale, e con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua.
Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche, ogni notte i due bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto.
Psiche è dunque prigioniera nel castello di Cupido, legata da una passione che le travolge i sensi.
Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Cupido le aveva detto di evitare, con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, per sapere se costui fosse realmente o no un mostro, come le era stato detto da un oracolo.
È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:
« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa»

Il dio vola via, ma Psiche riesce ad aggrapparglisi alla gamba, anche se presto sfinita, si lascia cadere. Questa straziata dal dolore tenta più volte il suicidio, ma gli dei che la incontrano la fermano impedendoglielo. Psiche inizia così a vagare per le varie città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle, e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, mettendo in ordine qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna sapendo della sua ira che spera così di placare.
Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provarono pena per l'amata di Cupido. La seconda prova consisteva nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fece per avvicinarsi alle dette pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e avrebbe dovuto aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consisteva nel raccogliere dell'acqua da una sorgente che si trovava nel bel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall'aquila dello stesso Giove.
L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio arrivando molto vicino a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente, però, la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità, apre l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. Questa volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglia dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dalla ampolla e va a domandare aiuto a suo padre.
Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche e Amore ricevono l'aiuto di Giove.
Mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.
Più tardi nascerà la figlia, concepita prima delle prove di Psiche, durante una delle tante notti di passione dei due amanti. Questa sarà chiamata Voluttà, ovvero Piacere.

Ampelo

Ampelo è una figura della mitologia greca.

Era un giovane amato da Dioniso. Morì accidentalmente, cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito o da un albero sul quale si era arrampicato per cogliere un grappolo d'uva, a seconda della versione del mito che si vuole accreditare. Nella prima variante, riportata da Nonno, Ampelo fu poi trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino. Stando a Ovidio, invece, Dioniso lo tramutò nella stella Vindemiatrix (in latino «vendemmiatrice»), della costellazione della Vergine.

Secondo Nonno, Ampelo fu il primo amore di Dioniso. Il giovane, tenuto all'oscuro della natura divina del suo compagno, era coetaneo del dio e lo superava in bellezza. I due vivevano fra satiri e sileni presso il fiume Pattolo, in Lidia o forse in Frigia (Nonno confonde spesso le due regioni turche). Lo stesso Dioniso era incerto sulle origini del fanciullo: poteva appartenere alla stirpe dei satiri, tanto che aveva la coda, ma più probabilmente era figlio di Selene, dea della luna, ed Elio, il sole.

Il dio era perdutamente innamorato di Ampelo, e di lui gelosissimo, ma temeva continuamente per la sua vita, presentendone un destino simile a quello di Ila, Giacinto e Ganimede, tutti giovinetti amati da divinità o semi-divinità, sottratti prematuramente alla vita terrena.

I due compagni si confrontavano quotidianamente in una varietà di giochi, dalla lotta alla caccia, che Dioniso volentieri lasciava vincere al suo favorito. In occasione di una gara di corsa cui parteciparono Ampelo e due satiri, Cisso e Leneo, il dio intervenne per rallentare i rivali e garantire la vittoria all'amato.
Per colpire l'attenzione del suo amante, Ampelo si cimentava cavalcando tigri, orsi e leoni. Il dio, gli raccomandò però di guardarsi, nei suoi giochi, dalle corna del toro.

Dioniso aveva infatti ricevuto un segno dell'imminente morte del giovane: al dio era apparso un drago cornuto, che scagliava un cerbiatto adagiato sul proprio dorso contro le pietre di un altare, uccidendolo. Intuendo nella apparizione un presagio del destino che attendeva il giovane, il dio fu sul punto di piangere per la futura perdita, ma alla vista del sangue che arrossava la pietra dell'altare, e che preannunciava il dono del vino, eruppe in un riso di gioia. Su richiesta di Era, matrigna di Dioniso, la dea Ate, l'Errore, che si trovava in Frigia da quando Zeus furibondo ve l'aveva scagliata, si presentò ad Ampelo sotto le spoglie di un giovane satiro e gli consigliò di provare a cavalcare un toro, persuadendolo che con ciò si sarebbe guadagnato la predilezione del dio e la possibilità di guidarne il cocchio, che era stato affidato a Marone.

Ampelo si accostò a un toro che si abbeverava presso il Pattolo; dalle fauci dell'animale colava sul corpo del giovane un rivolo d'acqua, simbolo della fatica cui i buoi sarebbero stati costretti per irrigare le vigne. Ampelo ornò il capo del toro di narcisi e anemoni, fiori germogliati in seguito alla morte di Narciso e Adone, entrambi giovani cari agli dei; infine gli montò in groppa. Mentre galoppava sul dorso del toro, vedendo la luna, si prese gioco di Selene, che per punizione mandò un tafano a pungere il toro. L'animale, imbizzarrito, disarcionò Ampelo, lo trafisse con le corna e lo scagliò contro delle rocce, finché la testa non si staccò dal corpo.

Dioniso, disperato, asperse la ferita con l'ambrosia, il nettare degli dei, la cui dolcezza si sarebbe poi trasfusa nel vino. Eros, per consolarlo, raccontò al dio affranto la storia di un altro bellissimo fanciullo, Calamo, tramutatosi in canna a seguito di un amore sfortunato.

Frattanto le Ore, personificazione divina delle quattro stagioni, si recavano presso loro padre, Elio, custode delle profetiche tavolette di Armonia. Una di loro, Autunno, avrebbe presto avuto il capo adorno di tralci di vite, poiché era giunto il tempo del vino, previsto nell'ultima raffigurazione della terza tavoletta, che segnava l'avvento di una nuova era del mondo: vi era infatti rappresentata la Vergine, segno zodiacale di transizione fra l'estate e l'autunno, con in mano un grappolo d'uva.
I lamenti di Dioniso giunsero a commuovere Atropo, una delle Moire, filatrici del destino di ogni creatura. Costei diede nuova vita al corpo di Ampelo, che subito mise radici e si trasformò in un tralcio vite, scampando così all'Ade. Il dio strinse fra le mani un grappolo d'uva, e dal nuovo frutto stillò un succo che aveva la stessa dolcezza dell'ambrosia, e che donava l'ebbrezza: il vino aveva fatto la sua prima comparsa sulla terra.

Cisso, il satiro con cui Ampelo aveva gareggiato, si sarebbe trasformato nell'edera che si avvolge alla vite, mentre Calamo, la canna, l'avrebbe sostenuta contro il vento.

Ovidio, oltre a precisare che Ampelo era figlio di un satiro e di una ninfa, racconta una versione diversa del mito: Dioniso e il suo favorito vivevano sui monti Ismari, in Tracia; il dio aveva affidato ad Ampelo un rampicante che pendeva dalle foglie di un olmo. Il giovane, arrampicatosi sull'albero per cogliere il frutto del rampicante, perse l'equilibrio e morì nella caduta: la pianta prese così il nome di Ampelo, «vite». Dioniso, addolorato, tramutò il giovane nella stella Vindemiatrix.

La Vindemiatrix, appartiene alla costellazione della Vergine; la sua apparizione a oriente, subito prima dell'alba, segnalava un tempo l'inizio del periodo della vendemmia, a settembre; a causa della precessione degli equinozi oggi sono le stelle della costellazione del Leone a comparire in quella posizione all'inizio dell'autunno.

Per un altro mito sulla nascita del vino, vedi Eneo e Stafilo.

Ampice

Nella mitologia greca, Ampice dal greco Ἄμπυξ era il figlio di Pelia, padre di Mopso l’argonauta.

Ampice, uno dei tanti figli di Pelia il lapita, scelse come moglie la ninfa Cloride e da lei ebbe un figlio, Mopso, veggente e profeta, futuro Argonauta. Per tale discendenza Mopso è anche detto Ampycides

Contro i centauri

Ampice era uno dei lapiti che cercò di rapire Piritoo il giorno del matrimonio, quando cerca di rapire la sposa si imbatte nei centauri, combattendoli fino allo stremo.

Amulio

Figlio di Proca e fratello minore di Numitore. Prima di morire, Proca aveva diviso in due parti l'eredità reale: il regno a Numitore e i tesori ad Amulio. Quest'ultimo, con l'appoggio delle ricchezze che gli toccò in sorte, cacciò dal trono di Albalonga, nel Lazio, il fratello Numitore e obbligò la sua figlia, Rea Silvia, a diventare vestale, perché Numitore non avesse eredi. Ma Rea Silvia venne sedotta da Marte e diede alla luce due gemelli. Amulio la cacciò in prigione e ordinò ai suoi servi di annegare i neonati nel Tevere. I bambini, Romolo e Remo, furono salvati dai servi che gettarono la culla nel fiume in piena. Poco dopo furono trovati da Faustolo e allevati come pastori. Quando i gemelli furono cresciuti, rubarono degli oggetti ai briganti locali per darli ai pastori; ma i briganti con una trappola acciuffarono Remo e lo portarono da Amulio.
I briganti dichiararono che aveva razziato le terre di Numitore; fu allora consegnato a suo nonno che ben presto scoprì la sua identità. Andò poi a cercare anche Romolo, e i gemelli venuti a conoscere le loro origini, punirono Amulio uccidendolo e ridiedero il potere al loro nonno Numitore.
Secondo il poeta Nevio, Amulio sarebbe stato un buon vecchio che avrebbe accolto con gioia il ritrovamento di Romolo e Remo.

Anapo (mitologia)

Nella mitologia greca, Anapo era il nome di una divinità fluviale.

Anapo ai tempi in cui Persefone fu scelta da Ade, dio degli inferi, come sua sposa e decise di rapirla per portarla nel suo regno infernale vedendo la povera ragazza decise di opporsi. In suo aiuto venne anche la ninfa Ciane, ma anche unendo le forze soccombetterò innanzi al divino avversario. I due furono tramutati e Anapo divenne un fiume della Sicilia.

Anassagora (mitologia)

Nella mitologia greca, Anassagora era uno dei re di Argo, figlio di Megapente.

Quando le donne argive impazzirono, per colpa di Dionisio, la loro furia venne scatenata durante il regno di Anassagora. Questi ben felice di vedere Melampo e suo fratello, il compagno Biante riuscire a portarle alla ragione, grazie alle loro tecniche mediche. Pieno di gratitudine Anassagora donò a loro due terzi del suo regno, tenendosi quindi per se solo il rimanente tezzo.

Discendenza

Da Anassagora discendono la stirpe dei Anassagoridi, suo figlio continuò ad essere re di Argo al posto del padre. Il suo regno, prolungato nel tempo ebbe una vita più prospera e lunga dei regni di Melampo e Biante.

Anassarete

Anassarete è una figura della mitologia greca, donna cipriota famosa per la sua freddezza.

Tale Anassarete era una bellissima ragazza che viveva nell’isola di Cipro. Era amata perdutamente da un giovane, Ifi, che fece di tutto per cercare di conquistarla. Lei non solo non ricambiò il suo sentimento, ma trattò Ifi con tanta freddezza, che egli decise di uccidersi. Ifi sperava che con quel gesto estremo, almeno dopo la morte, avrebbe vinto il carattere gelido della donna, ma Anassarete ancora una volta mostrò un cuore senza amore.

Secondo il mito, che viene narrato da Ovidio ne Le metamorfosi, la dea Afrodite, che aveva assistito a tutta la vicenda, decise di trasformare la ragazza in una statua di pietra, così come di pietra era il suo cuore.

Anassibia

Anassibia, o Anasibia, è il nome di vari personaggi della mitologia greca.

1. Figlia di Bia e Ifianassa, nipote di Melampo. Sposò Pelia, con il quale ebbe Acasto, Pisidice, Pelopia, Ippotoe e Alcesti
2. Moglie del guerriero Nestore
3. Figlia del miceneo re Atreo e di Erope nonché probabile madre di Pilade
4. Ninfa di cui si era invaghito il dio Apollo e che la dea Artemide rese invisibile affinché scampasse, nascosta nel suo tempio, alle attenzioni del dio.

Anatto

Nella mitologia greca, Anatto era il nome di uno dei giganti, stirpe famosa per la loro lotta agli dei dell'olimpo.

Anatto, figlio di Urano e di Gea, la madre terra, era il re della Caria, chiamata in passato Anattoria. Non era interessato come i suoi fratelli all'assedio del regno degli dei ma semplicemente gli interessava regnare il proprio paese.

Discendenza

Suo figlio Asterio successe a lui al comando del suo regno, ma fu sconfitto e ucciso da Mileto.

Anceo (Poseidone)

Anceo è una figura mitologica greca, figlio di Tegeo e del dio Poseidone.

Partecipò alla spedizione degli argonauti, guidando la nave "Argo" dopo la dipartita di Tifi. Una volta conclusasi la missione, ritornò al suo paese, Tegea.

Un indovino gli predisse che non sarebbe vissuto per lungo tempo. Infatti, piantò delle viti nella sua terra e il veggente gli predisse "che non sarebbe riuscito neanche ad assaggiarne i frutti".
Difatti, mentre si apprestava a bere il vino del suo raccolto, un servitore lo avvisò che un cinghiale stava devastando la vigna. Anceo si recò sul posto, ma venne incornato e ucciso dal corposo suino, che, celato dietro le siepi, improvvisamente gli balzò addosso.

Anceo il piccolo

Nella mitologia greca, Anceo il piccolo era uno dei partecipanti alla spedizione degli argonauti.

Anceo, è il cugino del più famoso Anceo figlio di Poseidone, che per distinguerlo dall'altro viene soprannominato il piccolo.

Figlio di Licurgo, quando Giasone inviò i suoi araldi in cerca di eroi per il suo viaggio lui rispose all'appello, senza però distinguersi, all'ombra del più famoso parente.

Morte
La caccia al cinghiale calidonio

Quando Meleagro si dimenticò di Artemide nelle sue offerte sacrificali, la dea inviò il cinghiale calidonio, per punirlo. Di nuovo gli araldi vennero inviati e di nuovo Anceo rispose all'appello.

Durante la caccia alla cui inizialmente si era rifiutato perché partecipava una donna, Atalanta, decise poi di intervenire gridando senza alcuna paura, affermando che il modo di cacciare degli altri non fosse quello giusto, volle provare per far vedere agli altri come si agisce, scagliando la sua lancia contro il mostro. Come risultato il cinghiale lo colpì in pieno sventrandolo, cadde a terra dove morì dopo pochi attimi.

Confusione

Molti testi riportano il nome Anceo senza riportarne il soprannome creando confusione per chi cerca informazioni al riguardo di uno o dell'altro.

Anche le morti sono simili, perché entrambi muoiono per colpa di un cinghiale.

Anchiale

Nella mitologia greca Anchiale era il nome di una delle ninfe.

Anchiale, ninfa dell’isola di Creta, secondo una versione del mito raccontata da Apollonio Rodio, avendo stretto nelle proprie mani la terra di Oasso, nella grotta di Ditte, aveva creato i dattili, Tizia e Cileno. Secondo altre tradizioni i dattili erano stati creati da Rea, in numero di dieci come il numero delle dita da cui prendono nome.

Anchialo

Nella mitologia greca, Anchialo era il nome di un guerriero acheo che accompagnò gli eserciti di Agamennone e Menelao nella guerra di Troia, citato al libro V dell'Iliade. Perse la vita negli scontri nel corso del decimo anno di guerra.

Guerriero valoroso ed esperto, Anchialo tentò col compagno Meneste un coraggioso assalto ad Ettore: saliti su un solo cocchio, affrontarono l'eroe, protetto da Ares, cadendo entrambi trafitti dalla sua lancia. Furono gli unici eroi a disobbedire all'eroe Diomede, il quale, sconfortato dalla presenza di Ares tra i Troiani, aveva appena imposto ai suoi uomini di non avanzare di fronte alla pressione del nemico.

La loro morte suscitò lo sdegno di Aiace Telamonio, il quale, postosi in difesa dei loro cadaveri, trafisse a sua volta il troiano Anfio finché, travolto dala furia degli avversari, fu costretto a retrocedere. Non si sa quale fu la sorte dei corpi di Meneste ed Anchialo.

Anchinoe

Nella mitologia greca, Anchinoe era il nome delle figlie del dio fluviale Nilo.

Anchinoe si innamorò di Belo, fratello gemello di Agenore che a sua volta era il figlio di Libia e il dio dei mari Posidone, dalla loro unione nacquero i gemelli Egitto, il conquistatore delle terre che dopo chiamò con il suo nome e Danao, colui che ebbe le cinquanta figlie conosciute come le manaidi, mentre l’altro gemello ebbe cinquanta figli, ma anche Cefeo, la persona che contrastò le nozze di Perseo, il famoso figlio di Zeus che uccise la gorgone Medusa con Andromeda, la ragazza incatenata che era offerta in sacrificio.

Anchise

Anchise è una figura della mitologia greca.
Il nome significa "curvo", "storto", e si collega alla sua storia, nella quale Zeus lo rende zoppo.

Eroe di Troia, figlio di Capi e di Temisto, era cugino di Priamo in quanto ambedue discendenti da Dardano.

Da un amore con Afrodite nacquero Enea e Lirno (o Liro). Afrodite si innamorò di Anchise mentre egli si recava a pascere le sue mandrie nei pressi di Troia. La dea per convincerlo a corrispondere il suo amore aveva assunto le vesti di una principessa frigia. Quando lei stava per procreare l'eroe troiano gli rivelò la vera identità e gli preannunziò che il nuovo arrivato avrebbe avuto fama eterna. Dopo la caduta di Troia il figlio se lo portò a spalla mentre la città era in fiamme. Anchise infatti, punito per aver amato una divinità, secondo alcune fonti leggendarie era diventato cieco, oppure paralitico, secondo altre.

Più tardi, dopo la spiacevole storia con Afrodite, il giovane decise di sposarsi con una certa Eriopide, dalla quale ebbe numerose figlie, la maggiore delle quali si chiamava Ippodamia. Ma Anchise non disdegnò nemmeno la compagnia di alcune schiave, dalle quali ebbe altri figli, tra cui Elimo ed Echepolo.

Durante il viaggio verso l'Italia, morì a Trapani dove il figlio gli diede onorata sepoltura sul monte Erice dove c'era un tempio consacrato ad Afrodite. Oggi, sulla spiaggia dove egli morì si può vedere la stele che ricorda lo storico evento. La stele, detta appunto stele di Anchise, si trova presso la contrada Pizzolungo facente parte del Comune di Erice. Enea sceso nell'aldilà incontra il padre che gli dà le profezie sulla grandezza di Roma.

L'amore di Afrodite per Anchise è narrato nell'Inno omerico ad Afrodite. Secondo la leggenda, Anchise, ubriaco, osò vantarsi del suo amore con la dea durante una festa: Zeus, per punirlo, lo colpì con un fulmine e lo rese zoppo.

Ancio

Nella mitologia greca, Ancio era il nome di uno dei Centauri.

I centauri erano creature mitiche, con forma per metà umana (la parte superiore del corpo) e per metà cavallo (la parte inferiore).

Ancio, uno di questi, uno dei più fieri e coraggiosi della sua razza, mentre stava in compagnia presso la grotta di Folo sentì un odore irresistibile. Si trattava dell’inebriante odore di un ottimo vino, e il centauro decise e convinse i suoi compagni nel lottare per averlo.

Appena diretto nella grotta si ritrovò Eracle, figlio di Zeus famoso per le sue dodici fatiche, ospite di un altro centauro, un certo Folo figlio di Sileno, a difendere il proprio vino. La lotta fu inevitabile ma Ancio, anche se con il suo gruppo erano armati di ogni arma disponibile, venne respinto dall’eroe greco.

Ancuro

Nella mitologia greca, Ancuro era il nome di uno dei figli di Mida.

Un giorno vicino alla città capitale del regno di Ancuro, si era aperto un piccolo baratro. Tale voragine lentamente si ampliava minacciando di travolgere e inghiottire la città intera.

Ancuro volendo evitare il disastro che si stava preannunciando si rivolse all’oracolo.

Il responso dell’oracolo

L’oracolo rispose che per richiudere tale orifizio bastava che il re ci gettasse quello che aveva di più prezioso. Allora Ancuro iniziò a gettargli dentro monete, oro e gioielli ma nulla, la voragine anzi si ingrandiva. Il re gettò tutto quello di prezioso che aveva, ma l’abisso si parava innanzi a lui sempre minaccioso. Alla fine il sovrano perse pazienza e speranza e si gettò nel vuoto, in quell’ enorme vuoto nero. Subito dopo la voragine si rinchiuse su di lui.

Andremone

Nella mitologia greca, Andremone era il nome di diverse figure su cui si raccontano i miti.

Sotto tale nome si ricorda:

* Andremone, sposo di Gorge (o Gorga), la figlia di Oineo regnante in una delle regioni dell’Etolia, suo figlio Toade (o Toante) partecipò alla guerra di Troia partendo con 15 navi
* Andremone, figlio di Ossilo, che ebbe in sposa Driope che ebbe dal divino Apollo Anfisso
* Andremone figlio di Codro che, secondo Pausania, avrebbe guidato i Cari alla vittoria contro gli Ioni con la conquista della città di Lebedo.

Androclea

Nella mitologia greca, Androclea era il nome di una delle figlie di Antipeno, l’altra era Alcide .

Quando Eracle si schierò dalla parte dei tebani per la loro dipendenza dopo averli armati e preparati consultò l’oracolo per essere sicuro della vittoria, questi gli profetizzo vittoria certa se la persona, con i più alti fasti di nascita del luogo, avesse sacrificato la propria vita.

A quel tempo non vi erano dubbi, la persona prescelta era Antipeno, discendente diretto di Sparta. Questi era un codardo ed indugiava con scuse sul suo destino di agnello sacrificale.

In vice sua Androclea con sua sorella decisero di levarsi la vita per la salvezza del regno.

Dopo la morte

In seguito alla morte di Androclea lei insieme a sua sorella furono elette a gran voce dal popolo eroine nel tempio di Artemide.

Interpretazione e realtà storica

L'oracolo di Tebe era solito chiedere in sacrificio esseri umani per le sue profezie, sempre di stirpe nobile, in tal caso Androclea si sarebbe gettata dalla roccia insieme alla sorella, stessa sorte toccò alle figlie di Eretteo.

Edited by demon quaid - 17/12/2013, 11:49
 
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